bollettino d`informazione sui farmaci

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bollettino d`informazione sui farmaci
bollettino
d’informazione
sui farmaci
SPED. IN ABB. POST. ART. 2, COMMA 20/C,
LEGGE 662/96 - FILIALE DI ROMA
bollettino
d’informazione
sui farmaci
ANNO VIII - N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2001
EDITORIALE
209 Cos’è una vera novità terapeutica
Dalla “Dichiarazione dell’ISDB
sull’innovazione nel campo dei medicinali”
AGGIORNAMENTI
215 Informazioni sulla trombosi venosa del
250 Coxib e anticoagulanti orali: attenzione
alle interazioni
251 Coxib e meningite asettica
DALLA RICERCA ALLA
PRATICA CLINICA
252 Nell’ipertesione con ipertrofia
ventricolare sinistra il losartan è migliore
dell’atenololo?
viaggiatore
218 Menopausa e terapia ormonale sostitutiva
224 Aggiornamento sui Cox-2 inibitori
(in base ai dati della Food and Drug
Administration)
227 Le ulcere cutanee croniche
232 Il metilfenidato nella terapia del disturbo
I risultati dello studio LIFE
ABC DEGLI STUDI CLINICI
257 Come viene riportata l’importanza clinica
dei risultati degli studi?
Analisi di alcune sperimentazioni
controllate e randomizzate
da deficit di attenzione con iperattività
nell’età evolutiva
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO
DALLA LETTERATURA
237 Temi di rilevante interesse dibattuti nel
2001
ATTIVITÀ REGOLATORIE
261 Il prezzo dei farmaci in Italia
262 I medicinali orfani
244 Sicurezza del vaccino antinfluenzale
inattivato in adulti e bambini affetti da
asma
245 Infestazione da pediculus capitis:
confronto tra un trattamento con un solo
farmaco e un intervento combinato
246 I soggetti sottoposti a studi di trattamenti
farmacologici della depressione sono
rappresentativi dei pazienti che poi si
incontrano nella pratica clinica?
FARMACOVIGILANZA
247 Principali problematiche di
NOTIZIE DALLA DIREZIONE
GENERALE
268 Sperimentazione clinica dei medicinali:
l’Osservatorio Nazionale produce il primo
Rapporto
272 Emendamenti alla norme che regolano il
funzionamento dell’EMEA
Lettera ai Parlamentari Europei da parte di
alcuni componenti del CPMP
FARMACOUTILIZZAZIONE
275 Il mercato farmaceutico mondiale nel
farmacovigilanza del 2001
248 SSRI: attenzione alle interazioni, alle
condizioni di co-morbidità e alle dosi
eccessive
MINISTERO DELLA SALUTE
DIREZIONE GENERALE DELLA VALUTAZIONE
DEI MEDICINALI E DELLA FARMACOVIGILANZA
2001
BOLLETTINO D’INFORMAZIONE SUI FARMACI
Bimestrale del Ministero della Salute
GLOSSARIO
http://www.sanita.it/farmaci/bollettino/bollettino.htm
Direttore responsabile: Dott. Nello Martini
Direttore scientifico:
Dott. Luigi Bozzini
Comitato scientifico:
Prof. Francantonio Bertè
Dott. Marco Bobbio
Dott. Fausto Bodini
Dott.ssa Franca De Lazzari
Prof. Albano Del Favero
Prof. Nicola Montanaro
Prof. Luigi Pagliaro
Prof. Paolo Preziosi
Prof. Alessandro Rosselli
Prof. Alessandro Tagliamonte
Dott. Gianni Tognoni
Dott.ssa Francesca Tosolini
Dott. Massimo Valsecchi
Redattore capo:
Dott.ssa Emanuela De Jacobis
Redazione:
Dott. Renato Bertini Malgarini
Dott.ssa Gabriella R. A. Adamo
Dott.ssa Alessandra Corsetti
Dott.ssa Elisabetta Neri
Dott.ssa Linda Pierattini
EER (Experimental Event Rate)
Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo randomizzato al trattamento in sperimentazione.
CER (Control Event Rate)
Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo di controllo.
IC 95% (Intervallo di confidenza 95%)
Il concetto di base è che gli studi (RCTs, meta-analisi)
informano su un risultato valido per il campione di pazienti
preso in esame, e non per l’intera popolazione; l’intervallo
di confidenza al 95% può essere definito (con qualche imprecisione) come il range di valori entro cui è contenuto,
con una probabilità del 95%, il valore reale, valido per l’intera popolazione di pazienti.
Indicatori di riduzione del rischio di eventi sfavorevoli
ARR (Absolute Risk Reduction)
Riduzione assoluta del rischio di un evento sfavorevole nei
pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto a quelli di controllo. Corrisponde alla formula:
[CER - EER]
NNT (Number Needed to Treat)
Numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire
un evento. Corrisponde alla formula:
[1/ARR]
arrotondando per eccesso al numero intero.
RRR (Relative Risk Reduction)
Riduzione relativa del rischio di un evento sfavorevole nei
pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula:
[CER – EER]/CER
OR (Odds Ratio)
Rapporto fra la probabilità di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione e la probabilità
nei pazienti di controllo. E’ un altro indice di riduzione relativa del rischio di un evento nei pazienti randomizzati al
trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli, e corrisponde alla formula:
[EER / 1 - EER] / [CER / 1 - CER]
Eventuali incongruenze cronologiche tra il materiale citato e la data di pubblicazione del BIF sono dovute alla numerazione
in arretrato del Bollettino. Fa testo la data di chiusura in tipografia. Questo numero è stato chiuso il 12 giugno 2002.
OR è approssimativamente uguale a RRR se il rischio di
base nei controlli è basso (<10%); se il rischio di base è
alto, OR tende a valori costantemente più lontani dall’unità
rispetto a RRR.
Per varie ragioni, compresa la scarsa comprensione dei clinici, l’uso di OR dovrebbe essere abbandonato, e difatti OR
non è più riportata nel glossario di Best Evidence (BMJ) e di
ACP Journal Club (Ann Intern Med).
Indicatori di aumento della probabilità di eventi
favorevoli
ABI (Absolute Benefit Increase)
Aumento assoluto del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento sperimentale rispetto ai controlli.
Corrisponde alla formula:
[EER - CER]
NNT (Number Needed to Treat)
Numero di pazienti da trattare per ottenere un beneficio terapeutico in un paziente. Corrisponde alla formula:
[100 / ABI]
RBI (Relative Benefit Increase)
Aumento relativo del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. RBI corrisponde alla formula:
[EER – CER] / CER
Indicatori di aumento del rischio di eventi sfavorevoli
ARI (Absolute Risk Increase)
Aumento assoluto del rischio di una reazione avversa nei
pazienti che ricevono il trattamento sperimentale rispetto ai
controlli. ARI corrisponde alla formula:
[EER – CER]
NNH (Number Needed to Harm)
Numero di pazienti che devono sottoporsi al trattamento
perchè si manifesti una reazione avversa. Corrisponde alla
formula:
[100 / ARI]
RRI (Relative Risk Increase)
Aumento relativo del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula:
[EER – CER ]/ CER
EDITORIALE
Cos’è una vera novità terapeutica
La Società Internazionale dei Bollettini Indipendenti di Informazione sui Farmaci - ISDB (International Society of
Drugs Bulletins) è una rete mondiale di bollettini e riviste di informazione, indipendente dal punto di vista intellettuale ed economico, il cui obiettivo principale è di diffondere informazioni di buona qualità su farmaci e terapie in
tutti i paesi del mondo (v. Box 1). Destinatari di queste informazioni sono i medici, i farmacisti e i cittadini.
Il 15 e 16 novembre 2001, si è riunito a Parigi un gruppo di lavoro a cui l’ISDB ha affidato il compito di elaborare, per
conto della Società stessa, un documento che definisca cosa s’intende per “progresso terapeutico” dal punto di vista dei
pazienti. La dichiarazione che segue, di cui sono riportati i passi principali, rappresenta la posizione dell’ISDB.
Dalla “Dichiarazione dell’ISDB sull’innovazione nel campo dei medicinali”
1. Scopi e contesto
L’innovazione è un problema centrale per tutti
coloro che, a vario titolo, si interessano di farmaci:
i cittadini, i medici e i farmacisti e chi produce
informazioni loro destinate, chi si occupa di politica
sanitaria, le autorità regolatorie, i vari sistemi di
rimborso dei farmaci e la stessa industria farmaceutica. Fra tutti questi soggetti, sono soprattutto medici e farmacisti ad avere un ruolo chiave nell’accertare il valore reale di un nuovo trattamento farmacologico ed è per questo essenziale che le loro competenze individuali siano supportate da informazioni
indipendenti. I pazienti e i cittadini confidano che
siano sempre compiute la scelte più appropriate nel
loro interesse.
Molti bollettini aderenti all’ISDB giudicano in
modo molto critico la documentazione disponibile
per tutti i farmaci di recente commercializzazione e,
nel pubblicarne i profili, cercano di mettere in evidenza se, e in quale misura, questi nuovi trattamenti
estendano le opzioni disponibili (sia farmacologiche
che non). Complessivamente, solo una piccola percentuale dei farmaci approvati in un anno offre ai
pazienti un reale vantaggio rispetto alle opzioni esistenti.
La Dichiarazione dell’ISDB mette al primo posto le
esigenze dei pazienti e degli operatori sanitari, e si propone di definire “la reale novità terapeutica” in termini
di “vantaggio comparativo”. Le esigenze dei pazienti
sono intese sia come necessità individuali che come
necessità collettive della popolazione.
metodo di trattamento di recente commercializzazione;
• l’accezione tecnologica che si applica ad ogni innovazione industriale come l’impiego di biotecnologie
o l’introduzione di nuovi metodi di rilascio del principio attivo (cerotti, spray, ecc.), o la selezione di un
isomero o di un metabolita;
• infine l’accezione di reale novità terapeutica, secondo cui un nuovo trattamento è innovativo quando
offre al paziente benefici maggiori rispetto alle
opzioni precedentemente disponibili.
2. L’innovazione terapeutica
Quando si deve valutare se un nuovo trattamento
rappresenta una vera novità terapeutica è fondamentale
considerarne l’efficacia, la sicurezza e la convenienza
(aiutando così i pazienti ad impiegarlo correttamente).
Efficacia, sicurezza e convenienza sono fra loro correlate: vanno considerate contemporaneamente e rivalutate con regolarità, mano a mano che emergono nuovi
dati.
A dire il vero, è essenziale una valutazione continua
anche dei vecchi principi attivi, in modo da eliminare
farmaci che non hanno più ragione d’essere utilizzati e
si possano identificare metodi nuovi e migliori per utilizzare i farmaci già approvati.
Una vera novità terapeutica non dovrebbe poi essere
giudicata solo in quanto tale, ma deve essere preso in
considerazione anche il suo costo (v. Box 2).
2.1. Efficacia
Il termine “innovazione” può avere tre diversi significati:
• l’accezione commerciale, secondo cui è innovazione ogni farmaco me-too, ogni nuova sostanza,
nuova indicazione, nuova formulazione e nuovo
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
L’efficacia descrive in quale misura un farmaco raggiunge l’effetto desiderato. Quando utilizzata come uno dei
criteri per valutare se un nuovo farmaco è una vera novità
terapeutica, l’efficacia, dapprima determinata nell’ambito
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EDITORIALE
degli studi clinici (efficacy), deve poi essere trasferita e
valutata nella pratica clinica quotidiana (effectiveness).
Per valutare l’efficacia dei farmaci, il metodo di riferimento comunemente accettato sono gli studi clinici
controllati. Spesso, tuttavia, il disegno e l’esecuzione di
questi studi non sono adeguati, portando così a conclusioni inattendibili o clinicamente irrilevanti. Destano la
massima preoccupazione:
a) gli studi che utilizzano per il nuovo farmaco un termine di confronto non corretto perché, oltre ad
esporre i pazienti arruolati ad un’assistenza inadeguata, presentano un’elevata probabilità di produrre
risultati fuorvianti in favore del nuovo farmaco (il
caso estremo, e assolutamente inaccettabile, è rappresentato dagli studi controllati verso placebo nei
casi in cui già esiste un trattamento con un rapporto
beneficio/rischio favorevole);
b) gli studi che utilizzano misure di esito non convincenti, clinicamente irrilevanti o metodologicamente deboli o per i quali vi possa essere il rischio di un’errata
interpretazione della significatività statistica (ad esempio end point surrogati e non predefiniti, l’utilizzo di
scale e misure non validate clinicamente in quella
determinata patologia o in quella popolazione, la combinazione di end point di rilevanza non confrontabile);
c) gli studi condotti su popolazioni o in contesti che non
rappresentano quelli in cui i nuovi trattamenti
dovranno essere applicati;
d) gli studi impostati per dimostrare la non inferiorità o
l’equivalenza, che sono i più controversi e preoccupanti, e che rappresentano una larga percentuale
degli studi clinici sponsorizzati dall’industria, spesso condotti al solo scopo di ottenere la registrazione
del farmaco. L’esecuzione di quest’ultimo tipo di
studi pone evidenti problemi etici:
- i pazienti arruolati sperano, erroneamente, in una cura
migliore;
- la ricerca non si fonda su reali necessità, ma è attuata
nell’ambito di piani di marketing dello sponsor.
2.2. Sicurezza
Ciò che interessa maggiormente per autorizzare al
commercio un nuovo farmaco sono gli studi di efficacia,
mentre è di norma dedicata meno attenzione ai dati relativi alla sua sicurezza. Quest’ultima riguarda sia gli
effetti indesiderati che si manifestano con una certa frequenza sia gli effetti avversi rari e gravi. Al momento
della registrazione di un nuovo prodotto occorre accogliere con molta prudenza il suo profilo di sicurezza
apparentemente accettabile, dal momento che sarà possibile osservare gli effetti indesiderati rari solo quando
un elevato numero di pazienti sarà esposto al farmaco.
2.3. Convenienza: come aiutare i pazienti e gli operatori sanitari ad ottimizzare l’impiego dei farmaci
Con il termine “convenienza”si intende sia la facilità d’impiego dei farmaci e dei relativi dispositivi che la
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congruità della confezione. Un trattamento più “conveniente”, perché consente una migliore aderenza ad un
determinato schema posologico, può di per sé rappresentare un reale avanzamento terapeutico. Destano
invece perplessità affermazioni di “maggiore convenienza” per trattamenti farmacologici che non sono
sostenuti da dati significativi.
L’aderenza ad una terapia dipende da molti fattori:
praticità, per il paziente e per il medico, dello schema di
somministrazione; durata del trattamento; condizioni di
conservazione (soprattutto nei climi caldi); qualità e
sicurezza della confezione, compreso il fatto che vi
siano incluse le informazioni per il paziente e quelle
relative alla maneggevolezza.
Va tuttavia anche considerato che una maggior facilità d’uso può rappresentare un pericolo se aumenta il
rischio di effetti indesiderati.
3. Gli ostacoli sulla strada delle reali novità terapeutiche
Una “reale novità terapeutica” è un traguardo di cui
condividono la responsabilità tutti coloro che operano
nel campo della ricerca e dello sviluppo di nuovi farmaci.
3.1. Politici e legislatori
La mancanza di trasparenza e di controllo democratico sulle procedure regolatorie e il fatto che i costi
sostenuti dalle aziende per la registrazione dei nuovi
farmaci rappresentino spesso più del 50% del budget
delle agenzie che autorizzano i farmaci al commercio
sono due fattori che possono far passare in secondo
piano le necessità dei cittadini. Alla stregua di fornitori
di servizi, le agenzie regolatorie nazionali e internazionali sono spesso in competizione fra loro per accaparrarsi i compensi per la registrazione dei farmaci. Di
conseguenza, alcune agenzie possono mostrarsi meno
“rigorose” di altre nei confronti dell’industria.
Capita di frequente che l’“efficienza” di un’agenzia
regolatoria venga valutata più dal numero e dalla rapidità delle autorizzazioni al commercio che concede che
dalla qualità delle decisioni. La qualità è chiaramente
inadeguata quando, ad esempio, il legislatore non
richiede di effettuare studi post-marketing per farmaci
nuovi che, al momento dell’approvazione, non siano
stati sufficientemente studiati sotto il profilo dell’efficacia e della sicurezza. Si tratta di un atteggiamento che
non può essere accettato neppure per farmaci destinati
al trattamento di malattie molto gravi, potenzialmente
fatali.
L’industria preme sui legislatori per accelerare le
procedure di approvazione per esigenze di “armonizzazione” e ciò ostacola il riconoscimento delle reali novità terapeutiche.
Anche la qualità e la rilevanza dei dati clinici richiesti per ottenere l’approvazione di un farmaco sono
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EDITORIALE
inappropriate. Per decisione politica, la definizione di
“innovazione” si è fatta meno stringente: in Europa la
direttiva 87/22 del 1986 del Consiglio della Comunità
Economica Europea che prevedeva determinati requisiti perché si potesse parlare di “interesse terapeutico
significativo” non è stata mantenuta nella Disposizione
del Consiglio 2309/93.
è finalizzata ad acquisire quote di mercato per patologie
per le quali esistono già trattamenti adeguati.
Le aziende farmaceutiche hanno di fatto il monopolio della ricerca; per questa loro condizione di sponsor,
si sentono in genere autorizzate a rivendicare il pieno
possesso e il controllo dei dati, e tale situazione mette
in pericolo l’indipendenza della ricerca clinica (vedi, a
tale proposito, quanto riportato in BIF 2001;4-5:145
“Conflitto di interessi in medicina”. NdR)
3.2. Le organizzazioni sanitarie
Il finanziamento della ricerca e dello sviluppo dei
farmaci da parte delle autorità e delle organizzazioni
pubbliche, degli operatori sanitari e dei sistemi assicurativi sanitari è diminuita nel corso degli anni. Ciò
significa che gli studi che non interessano le ditte farmaceutiche mancano di finanziamenti adeguati: ad
esempio, gli studi sui trattamenti non farmacologici
(chirurgia, fisioterapia, medicina alternativa e complementare), gli studi che mettono a confronto più farmaci, gli studi di confronto con farmaci non più coperti da
brevetto, gli studi sulla gestione delle condizioni croniche o dei pazienti terminali che sono commercialmente
poco attraenti ma rappresentano un onere sanitario
significativo e, infine, gli studi che coinvolgono i farmaci orfani e le malattie ormai dimenticate.
3.3. I ricercatori
Per la mancanza di finanziamenti pubblici consistenti e per la schiacciante (ed economicamente attraente)
pressione di progetti sponsorizzati dall’industria, il
mondo accademico non ha più molta influenza nel
decidere quali siano le priorità della ricerca perché si
arrivi a reali novità terapeutiche. La preferenza è data a
studi a breve termine, finalizzati alla pubblicazione
anziché alla valutazione delle implicazioni terapeutiche
delle molteplici promettenti nuove scoperte della ricerca clinica sperimentale.
I vari sistemi sanitari nazionali non si rendono conto
che destinare fondi a ricerche che valutino la reale
importanza delle presunte innovazioni terapeutiche
deve essere considerato un investimento produttivo per
l’assistenza che quotidianamente viene prestata ai
pazienti.
Tranne alcune rare - pur se importanti - eccezioni, i
pazienti hanno tuttora un ruolo molto marginale nel
promuovere o condurre attivamente o partecipare a
studi in aree in cui gli interventi farmacologici si confrontano con strategie di assistenza non farmacologiche.
3.4. L’industria farmaceutica
Essendo al momento delegato alla sola industria farmaceutica, il processo innovativo è soprattutto governato da strategie di marketing piuttosto che dalle esigenze
dei pazienti. Inoltre, gran parte della ricerca industriale
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
4. Cosa impedisce a medici, farmacisti e comuni cittadini di individuare le vere novità terapeutiche
La possibilità di un’informazione corretta sui nuovi
interventi terapeutici dipende dalla capacità partecipativa e di condizionare le decisioni di tutte le parti coinvolte: cittadini, medici, farmacisti e quanti si occupano
di produrre l’informazione loro destinata, politici, autorità regolatorie, organismi deputati al rimborso dei farmaci, industria farmaceutica.
a) L’informazione sui nuovi farmaci proviene soprattutto dalle aziende farmaceutiche, che investono
ingenti risorse nell’attività promozionale. La propaganda industriale tende a non fare una chiara distinzione fra introduzione di un nuovo farmaco sul mercato, innovazione tecnologica e vera novità terapeutica, per cui medici, farmacisti e cittadini sono piuttosto impotenti di fronte a tattiche di marketing
aggressive e alle esagerazioni degli informatori e
delle inserzioni pubblicitarie. Minimizzando o
nascondendo risultati che possono contrastare con le
strategie di mercato e non realizzando, come spesso
accade, gli studi post-marketing richiesti, l’industria
farmaceutica non solo induce in errore medici, farmacisti e cittadini, ma impedisce l’immediata identificazione delle vere novità terapeutiche. Questo
comportamento è in contrasto con quanto previsto
dalla Dichiarazione di Helsinki del 2000 la cui clausola n. 16 prevede che “il disegno di tutti gli studi sia
reso pubblico” e la n. 26 recita “sia gli studi positivi
che negativi devono essere pubblicati o resi comunque accessibili a tutti”.
b) Le agenzie regolatorie mantengono un eccessivo
riserbo sul loro iter decisionale e non trasmettono
con sufficiente tempestività le informazioni importanti a medici, farmacisti e cittadini; questo è dovuto
in parte ad un’interpretazione restrittiva delle esigenze di riservatezza.
c) Molti ostacoli si frappongono alla pubblicazione e
alla divulgazione delle informazioni sui nuovi farmaci.
È dimostrato che la clausola della segretezza, che
vieta ai ricercatori di pubblicare i risultati degli studi
senza l’approvazione degli sponsor, è un ostacolo sulla
strada di un’informazione corretta e rappresenta una
fonte di errori sistematici di pubblicazione.
In molti casi, la sussistenza di chi produce informazione e di chi si occupa di formazione continua dei medi-
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EDITORIALE
ci dipende da introiti provenienti dalla pubblicità. Anche
questo è un ostacolo ad una informazione oggettiva.
Le associazioni professionali spesso non hanno
alcun interesse a destinare risorse sufficienti alla produzione di un’informazione veramente indipendente.
I giornalisti che scrivono sulla stampa non professionale e le agenzie di stampa spesso supportano le strategie di marketing dell’industria sia perché ricevono
informazioni “di parte” sia perché mancano di indipendenza.
Il divieto della pubblicità diretta ai consumatori è di
fatto scomparso; spesso la pubblicità viene mascherata
sotto forma di campagne di sensibilizzazione nei confronti delle malattie e i cittadini ricevono informazioni
fuorvianti.
I gruppi di pazienti rappresentano sempre di più una
risorsa di informazioni sui farmaci e sui trattamenti;
spesso però dimostrano di non essere abbastanza forti
ed è preoccupante la loro dipendenza dai finanziamenti dell’industria farmaceutica.
5. Proposte
5.1. Per identificare le vere novità terapeutiche
che forniscano un quadro chiaro del profilo di sicurezza, comprese le interazioni e la sicurezza in gruppi
di popolazione a rischio (come gli anziani, i bambini,
le donne in gravidanza e i pazienti con insufficienza
renale);
• studi randomizzati controllati di ampie dimensioni e a
lungo termine, che abbiano come end point principale la mortalità complessiva, per valutare la sicurezza
di interventi di tipo profilattico, come ad esempio la
terapia con farmaci antipertensivi e ipocolesterolemizzanti.
Il rapporto beneficio/rischio di un determinato trattamento deve essere rivalutato almeno ogni cinque anni
in funzione della disponibilità di nuovi dati.
5.1.3. Convenienza
Prima di commercializzare un medicinale, dovrebbero essere effettuati studi per verificare se esso sia
semplice da impiegare nel regime prescritto, e studi che
dimostrino che i pazienti comprendono e sono in grado
di utilizzare le informazioni allegate. La legislazione
farmaceutica dovrà al più presto prevedere questi
requisiti.
5.1.1. Efficacia
5.2. Per i politici e i legislatori
L’efficacia di un nuovo trattamento deve essere valutata in termini di mortalità complessiva, nei casi in cui
sia rilevante, di morbidità e di qualità di vita dal punto
di vista del paziente. I trattamenti destinati a patologie
croniche richiedono studi a lungo termine. Laddove sia
già disponibile un trattamento validato, sono necessari
studi comparativi per valutare la superiorità del nuovo
trattamento. Questi requisiti si allineano all’ultima versione della Dichiarazione di Helsinki (Ottobre 2000) la
quale prevede che “I benefici, i rischi, i costi e l’efficacia di ogni nuovo metodo di trattamento devono essere
confrontati con quelli del miglior trattamento profilattico, diagnostico e terapeutico disponibile al momento” (Sezione C, clausola 29).
5.1.2. Sicurezza
Un miglior profilo di effetti indesiderati, rispetto alle
opzioni disponibili, può fare di un nuovo trattamento
una reale novità terapeutica a condizione che siano stati
presi in considerazione dati di farmacovigilanza a
breve, medio e lungo termine. Dal momento della
prima commercializzazione di un prodotto, devono
essere rese pubbliche tutte le informazioni sulla sua
sicurezza (compresi i dati di farmacovigilanza). Perché
un nuovo trattamento sia considerato una vera novità
terapeutica sulla base della sua migliore tollerabilità,
sono necessari molti anni di monitoraggio attivo.
Si richiedono pertanto:
• studi di farmacovigilanza ben impostati, come studi
caso-controllo e studi di coorte di ampie dimensioni,
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a) I legislatori devono ricordarsi che le loro responsabilità sono fondamentalmente nei confronti della
salute pubblica. Ad esempio, referente per l’Agenzia
Europea per la Valutazione dei Medicinali (EMEA)
nell’ambito della Commissione Europea non può
essere la Direzione Generale per l’Industria (come è
attualmente, NdR), ma la Direzione Generale per la
Tutela della Salute e dei Consumatori.
b) I responsabili della politica sanitaria devono adoperarsi per migliorare la legislazione a favore dell’accesso alle informazioni importanti in possesso delle
agenzie regolatorie; queste ultime dovranno, inoltre,
rendere disponibili i registri degli studi clinici loro
sottoposti al momento della richiesta di approvazione
dei farmaci. Sul registro dovranno essere riportati
tutti gli studi, completati o meno, ed i loro protocolli.
c) Le decisioni delle agenzie regolatorie devono essere
rafforzate nominando, nei posti chiave della loro
organizzazione, persone indipendenti in rappresentanza di cittadini e operatori sanitari.
d) Tutte le agenzie regolatorie devono redigere un rapporto annuale sulle modalità di applicazione dei
rispettivi indirizzi in materia di conflitto di interessi.
e) Le agenzie regolatorie devono rendere pubblici i
risultati degli studi comparativi cosicché i medici, i
farmacisti e i cittadini possano distinguere i trattamenti utili dalle false novità.
f) Se una ditta farmaceutica ritira la richiesta di registrazione per un determinato farmaco da un’agenzia
di uno Stato della CE che ha sollevato qualche obiezione, la comunità internazionale ne deve essere
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EDITORIALE
informata. La ditta stessa deve esplicitamente dichiararlo in qualsiasi altra richiesta di approvazione che
sottoporrà ad agenzie di altri Stati della CE.
g) Le implicazioni per la salute pubblica delle nuove
terapie non andranno solamente valutate ai fini registrativi, ma dovranno essere esplicitamente riportate anche nel foglietto illustrativo approvato dalle
agenzie regolatorie.
h) Le agenzie regolatorie devono adoperarsi per
migliorare la sorveglianza post-marketing sui nuovi
farmaci.
5.3. Per i governi e le organizzazioni internazionali
Le organizzazioni internazionali e i governi devono
destinare parte delle risorse disponibili per l’assistenza
sanitaria e la ricerca alla realizzazione di studi su ampia
scala che rispondano a problemi di salute pubblica (sia
per terapie farmacologiche che non). Le priorità per
studi di questo tipo andranno individuate in base alle
proposte avanzate da medici, farmacisti e cittadini. In
particolare devono essere adeguatamente finanziati con
denaro pubblico quegli studi che l’industria farmaceutica non ha alcun interesse a realizzare, come ad esempio studi su farmaci non brevettabili, su trattamenti non
farmacologici, studi di confronto fra più farmaci, ricerche sul trattamento di malattie poco interessanti dal
punto di vista commerciale e, infine, studi su farmaci
orfani o malattie ormai dimenticate. Il finanziamento
pubblico deve essere mantenuto per parecchi anni ed
essere di entità tale da consentire di raggiungere un
buon equilibrio fra la ricerca pubblica e quella dell’industria.
5.4. Per i medici, i farmacisti e i cittadini
a) A livello nazionale e internazionale spetta a medici,
farmacisti e organizzazioni di pazienti identificare le
aree che devono essere oggetto di ricerca per condizioni o malattie che necessitano di progressi terapeutici.
b) I pazienti devono essere coinvolti nell’impostazione
degli studi clinici, in particolare nella scelta dei cri-
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
teri di valutazione, delle misure di esito (ad esempio
la qualità della vita, gli oneri dell’assistenza) e delle
informazioni per i pazienti che vengono arruolati.
Nei protocolli degli studi vanno specificate le modalità con cui comunicare ai pazienti i progressi degli
studi stessi.
c) Medici e farmacisti devono essere in grado di confrontare i nuovi trattamenti con quelli già esistenti,
così da poter identificare in modo affidabile le vere
novità terapeutiche. Con adeguati programmi di
formazione, devono imparare ad utilizzare gli strumenti essenziali della medicina basata sull’evidenza (soprattutto le rassegne sistematiche, i livelli
dell’evidenza, gli end point e gli esiti rilevanti) e
ad avere dimestichezza con concetti quali il rapporto beneficio/rischio e costo/beneficio. Nel prescrivere o dispensare ad un paziente un nuovo trattamento, devono possedere tutte le informazioni
per illustrargli vantaggi e svantaggi rispetto a trattamenti già consolidati così che il paziente possa
scegliere consapevolmente e sapere che ogni effetto inatteso o indesiderato deve essere segnalato.
d) Occorre promuovere estesamente l’utilizzo di fonti
di informazioni comparative indipendenti sui farmaci. La formazione di base e l’aggiornamento continuo dei medici devono essere indipendenti dall’industria farmaceutica.
e) I comitati etici non devono approvare studi che non
attestino per iscritto che tutti i risultati saranno resi
pubblici non appena venga autorizzata la commercializzazione del farmaco.
f) I medici e i farmacisti devono farsi carico della
responsabilità di fornire agli organismi ufficiali e ai
mezzi di comunicazione informazioni corrette e
imparziali, ammettendo apertamente i limiti della
propria conoscenza.
g) I giornalisti, i comitati editoriali e gli editori vanno
incoraggiati a verificare le loro fonti sentendo il
parere di esperti informati e imparziali, per evitare di
divenire promotori inconsapevoli di campagne commerciali su temi sanitari. Questo è un problema
oltremodo attuale data la pressione esercitata dall’industria per la sospensione del divieto sulla pubblicità sui farmaci etici rivolta ai consumatori.▲
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EDITORIALE
BOX 1
La Società Internazionale dei Bollettini Indipendenti di Informazione sui Farmaci (ISDB) è stata fondata nel
1986 con il supporto dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS. Gli obiettivi dell’ISDB sono:
• aiutare i bollettini già esistenti a raggiungere i livelli professionali più elevati;
• sostenere lo sviluppo di nuovi bollettini;
• individuare bollettini d’informazione sui farmaci non ancora appartenenti all’ISDB e stabilire rapporti con
loro;
• incoraggiare i bollettini aderenti a fungere da supporto agli operatori sanitari affinché possano comunicare più
efficacemente con i pazienti e con i cittadini in generale;
• collaborare alla produzione dei prontuari e con gli operatori dei centri d’informazione sui farmaci;
• sensibilizzare le autorità regolatorie per far sì che il loro obiettivo principale sia quello di agire nell’interesse
dei cittadini.
I principali requisiti per diventare membri dell’ISDB sono l’indipendenza editoriale ed economica e la
qualità dell’informazione.
Per aiutare i bollettini indipendenti d’informazione sui farmaci a raggiungere elevati standard professionali,
l’ISDB organizza seminari nel corso dei quali gli editori dei bollettini pubblicati da più lungo tempo possano condividere la loro esperienza con quelli che iniziano la loro attività. Incontri di questi tipo sono stati realizzati in Algeria, Ungheria, Italia, Giappone, Filippine, Olanda e Spagna. Inoltre, al fine di promuovere la nascita di nuovi bollettini d’informazione sui farmaci, i membri dell’ISDB ospitano editori che stanno dando vita a nuovi bollettini in
modo d’aiutarli ad acquisire esperienza. L’ISDB pubblica una Newsletter, distribuita gratuitamente a tutti i soci e
simpatizzanti, per informarli sugli standard di qualità necessari per produrre articoli e informazione sui temi d’attualità e sulle attività in corso, oltre che per facilitare lo scambio di comunicazione fra i bollettini membri.
Attraverso gli incontri, i seminari e la Newsletter, l’ISDB si propone inoltre di stimolare e agevolare il dibattito sulle
fonti d’informazione da utilizzare, sulla struttura organizzativa, su come aiutare gli operatori sanitari a comunicare in
modo più efficace con i pazienti e i cittadini in generale, e altro. Per affrontare temi di salute pubblica e di informazione sui farmaci, l’ISDB ha allacciato rapporti con molte importanti organizzazioni che hanno membri coinvolti in varie
attività e campagne. Temi di particolare interesse sono: l’accesso all’informazione sui farmaci, compreso l’accesso ai
dati non pubblicati in possesso delle agenzie regolatorie, l’identificazione dei farmaci veramente innovativi, l’impatto
di una promozione non corretta sui farmaci, l’opposizione alla pubblicità sui farmaci etici diretta ai pazienti.
Altre attività dell’ISDB includono lo scambio d’informazioni sui nuovi farmaci, sugli effetti indesiderati, sull’attività normativa e di promozione dei farmaci.
Membri italiani dell’ISDB sono:
Dialogo sui Farmaci (http://www.dialogosuifarmaci.org/ - E-mail: [email protected]);
Focus (http://www.sfm.univr.it/focus.htm - E-mail: [email protected]);
Informazioni sui Farmaci (http://www.fcr.re.it/ - E-mail: [email protected]);
Ricerca & Pratica (E-mail: [email protected]).
Attualmente, presidente dell’ISDB è il francese Christophe Kopp (Tel. 33 1 47708606; Fax: 33 1 47705204; E-mail: [email protected]); segretario generale è Maria Font (Tel. 045 591705; Fax: 045 8075607; E-mail
[email protected]).
Il sito dell’ISDB è il seguente: http://www.isdbweb.org
BOX 2
Il prezzo dei farmaci
Sia nei paesi in via di sviluppo che altrove, la possibilità di accedere a terapie realmente innovative dipende dalle
risorse economiche di cui si dispone e dalla qualità dei sistemi di erogazione dei farmaci. Anche una vera novità
terapeutica ha scarso valore in termini di salute pubblica se le persone che potrebbero beneficiarne non possono
permettersela.
Il supposto aumento dei costi per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci è il pretesto che da lungo tempo è
addotto a giustificazione della richiesta di prezzi di vendita sempre più alti. In realtà il prezzo di un farmaco è determinato non solo dai costi sostenuti per la ricerca e lo sviluppo o dal fatto che si tratti di un vero progresso terapeutico (come testimoniano gli alti prezzi concessi per farmaci me-too), ma anche dai costi sempre più alti sostenuti per l’attività promozionale.
È di fondamentale importanza che le aziende farmaceutiche assicurino la trasparenza dei costi sostenuti per la
ricerca e lo sviluppo dei farmaci e dei prezzi fissati nei vari paesi; inoltre, non si deve cedere alla pressione esercitata per ottenere a livello internazionale il prezzo massimo che i paesi ricchi possono permettersi di pagare. Il
prezzo dei farmaci è l’ostacolo principale perché l’efficacia evidenziata dagli studi clinici si trasformi in un reale
progresso terapeutico di cui possano beneficiare pazienti e cittadini di tutto il mondo.
214
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
DALLA LETTERATURA
AGGIORNAMENTI
Informazioni sulla trombosi venosa del viaggiatore
Tra le persone che viaggiano vi è una crescente preoccupazione per la possibile correlazione tra trombosi venosa e
voli in aereo. Tale patologia, nota anche come Economy Class Sindrome o sindrome da classe economica, può colpire i passeggeri che restano seduti per molte ore in posizione scomoda, come talora avviene nei voli intercontinentali, specialmente se portatori di fattori di rischio che la favoriscono. In realtà, la trombosi venosa può manifestarsi
anche in altre forme di viaggio, per cui più corretta è la definizione “trombosi del viaggiatore”. I medici devono
conoscere i fattori di rischio di questa condizione, da discutere con i propri assistiti nel caso intendano iniziare un
viaggio di lunga percorrenza. L’efficacia dell’acido acetilsalicilico o dell’eparina a basso peso molecolare nella profilassi della trombosi venosa in gruppi di soggetti a medio o ad alto rischio non è, al momento, accertata in modo
definitivo. È invece opportuno consigliare a quanti affrontano lunghi viaggi, specie se con fattori di rischio di embolia venosa, alcune misure di prevenzione, tra le quali particolarmente importanti sono: compiere frequenti esercizi
fisici degli arti inferiori, camminare (se possibile), mantenere un’adeguata idratazione, ridurre al minimo l’assunzione di alcool ed evitare l’uso di sedativi.
Esiste un rischio di embolia dopo un viaggio
di lunga durata?
In quest’ultimo decennio, sono stati segnalati almeno
200 casi di trombosi venosa profonda e di embolia polmonare dopo un viaggio (comunemente sono noti come
embolia venosa) (1). L’incidenza di trombosi venosa
profonda nella popolazione generale è di circa 1-2 casi
per 1000 soggetti/anno (1-3) e tende a crescere con l’età
(4). In aggiunta, fino al 20% della popolazione totale può
presentare una certa tendenza ad un aumento del processo di coagulazione (2); ne consegue che certe persone
sono a rischio di sviluppare una trombosi venosa profonda in coincidenza di un viaggio o appena questo si è concluso. In uno studio recente (5) è stato evidenziato un
progressivo e significativo aumento del rischio di embolia polmonare in rapporto alla durata del volo aereo. L’incidenza di embolia è risultata di 5 casi per milione in chi
viaggia per oltre 10.000 km senza scalo; di 1,5 casi per
milione nei passeggeri con percorrenza superiore a 5000
km; 0,01 casi per milione tra i viaggiatori su distanze
minori. Si segnalano anche alcune serie di casi (1) e due
studi di caso-controllo (6,7) che suggeriscono una correlazione tra viaggio e maggior rischio di embolia venosa,
mentre un’indagine prospettica caso-controllo (8) non ha
evidenziato l’esistenza di tale rapporto.
Malgrado la scarsità dei dati che impedisce di calcolare la reale incidenza dell’embolia venosa dopo un
viaggio in aereo, o dopo un viaggio di qualsiasi genere,
è stato stimato che l’apporto aggiuntivo dei viaggi di
lunga percorrenza a questa patologia sia compreso tra 0
- 0,4 per 1000 soggetti/anno (2). Assumendo il valore
medio di 0,2, significa che, per ogni milione di individui
che compiono nel corso di un anno un viaggio di lunga
durata, possono manifestarsi 200 casi di embolia venosa dovuti ai rischi del viaggio (2) da aggiungersi all’incidenza prevista nella popolazione generale di 1500 casi
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
di embolia. È probabile che l’incidenza sia più elevata in
soggetti che presentano fattori di rischio tromboembolici e minore in coloro che non li presentano.
Trombosi del viaggiatore o sindrome della classe
economica?
L’immobilità di chi sta a lungo seduto è stata per
prima riconosciuta come fattore di rischio per lo sviluppo di trombosi venosa profonda nei rifugi aerei
durante la seconda guerra mondiale (9). Homans nel
1954 ha riportato 5 casi di trombosi venosa profonda da
immobilità prolungata, suggerendo che una stasi venosa indotta dalla mancata attivazione dei muscoli delle
gambe per lunghi periodi, e quindi il venir meno dell’effetto pompa provocato dalle contrazioni muscolari
sui vasi sanguigni - come può avvenire in viaggi aerei,
in auto, ma anche in seguito a partecipazione a spettacoli, a lunghe sedute di lavoro, ecc. - è in grado di provocare, imprevedibilmente, una trombosi nelle vene
profonde delle gambe (10).
Molti ritengono che la definizione di sindrome da classe economica non sia corretta, mentre più appropriata
appare la dizione “trombosi del viaggiatore” (2). Molte
delle segnalazioni pubblicate riguardano infatti casi di
trombosi osservati tra passeggeri della business o prima
classe, o fruitori di altre forme di viaggio (6,11,12).
Non è chiaro se esistano particolari fattori specifici
del viaggio in aereo - quali cambiamenti di fuso orario
e di condizioni stagionali, qualità dell’aria e disidratazione – che, rispetto ad altre forme di viaggio, possono
incrementare il rischio di trombosi del viaggiatore (1).
In base ad uno studio (13) su volontari sani maschi è
stato evidenziato che l’ipossia ipobarica può essere un
fattore che favorisce la coagulazione. Le varie modali-
215
AGGIORNAMENTI
tà di esecuzione di viaggi di lunga percorrenza mostrano chiaramente che esistono alcuni fattori ambientali
predisponenti simili, quali l’immobilità e la sua durata,
lo star seduti in posizione rannicchiata, e probabilmente l’assunzione di alcool e di farmaci sedativi. Finché
non saranno disponibili documentazioni epidemiologiche più precise, i viaggiatori dovrebbero essere informati dei rischi di trombosi connessi con viaggi che
comportano lunghi periodi di immobilità.
Fattori di rischio pre-esistenti, non dipendenti
dal viaggio, che possono contribuire alla trombosi
venosa profonda
Da una revisione (1) dei dati relativi a 223 casi di
trombosi del viaggiatore, pubblicati nel 2000, è emerso
che la maggior parte dei soggetti ha presentato sintomi
di trombosi venosa profonda entro quattro giorni dall’esecuzione del viaggio (alcuni durante il viaggio stesso), anche se, occasionalmente, la diagnosi è stata fatta
quattro settimane dopo. Almeno un fattore di rischio di
trombosi era presente nel 75-80% dei casi, anche se la
maggior parte degli studi non aveva previsto indagini di
trombofilia. Al contrario, uno studio caso-controllo (6)
ha evidenziato che le trombosi venose erano più spesso
di natura idiopatica e solo il 25% dei casi era associato
a fattori di rischio.
Finché non saranno disponibili documentazioni probanti sulla patogenesi della trombosi del viaggiatore e
dati derivati da studi epidemiologici, i fattori di rischio
di tale condizione devono essere considerati uguali a
quelli della trombosi che si manifesta in altre circostanze. L’elenco di seguito riportato è derivato da studi sulla
trombosi venosa profonda in pazienti chirurgici (2).
• Età > 40 anni
• Gravidanza
• Patologia maligna precedente o attuale
• Disordini ematici che tendono a favorire i processi
coagulativi
• Alterazione ereditaria o acquisita dei meccanismi
di coagulazione del sangue
• Alcuni tipi di malattia o insufficienza cardiovascolare
• Storia personale o familiare di trombosi venosa
profonda
• Chirurgia maggiore o lesioni recenti, specialmente
degli arti inferiori o dell’addome
• Terapia ormonale estrogenica, compresa la contraccezione orale
• Immobilizzazione per un giorno o più
• Deplezione di liquidi organici che aumentano la
viscosità del sangue
Possono esistere rischi aggiuntivi in soggetti con
vene varicose, obesità e nei fumatori (1,14). L’insorgenza di embolia può richiedere la presenza di questi
fattori di rischio (1,3).
216
Raccomandazioni preventive minimali: idratazione
e mobilizzazione adeguate
Le raccomandazioni per la profilassi della trombosi del viaggiatore si basano su valutazioni teoriche
piuttosto che su documentazioni epidemiologiche. È
tuttavia consigliabile che quanti compiono viaggi prolungati eseguano frequentemente esercizi fisici degli
arti inferiori, mantengano un’adeguata idratazione,
riducano al minimo l’assunzione di alcool ed evitino
il ricorso a sedativi.
La Tabella 1 offre ulteriori raccomandazioni.
In seguito a una certa pubblicità, molti viaggiatori
prendono ora acido acetilsalicilico a basso dosaggio
prima e durante i viaggi, anche se non sono ancora
disponibili dati di efficacia su questo tipo di trattamento. Va inoltre sempre tenuto presente che il beneficio dell’acido acetilsalicilico nella profilassi della
trombosi deve essere soppesato con i rischi dei suoi
effetti avversi, come il sanguinamento gastrointestinale (14).
Due studi recenti hanno valutato l’efficacia delle
calze elastiche a compressione nella prevenzione della
trombosi venosa profonda asintomatica dopo un viaggio aereo di lunga percorrenza.
Scurr et al. (16) hanno condotto uno studio randomizzato controllato su 231 passeggeri tra 56 e 68 anni
(media 62 anni, 61% donne), senza precedenti tromboembolici, che avevano volato in classe economica. I
risultati hanno evidenziato che in 12 partecipanti allo
studio che non avevano indossato calze a compressione (116 soggetti) era insorta trombosi venosa profonda
asintomatica; nessun caso di trombosi venosa profonda è stato invece riscontrato tra i 115 viaggiatori che
portavano le calze. In 4 soggetti di quest’ultimo gruppo è stata però osservata tromboflebite superficiale.
Lo studio LONFLIT (17) ha tra l’altro previsto
un’indagine controllata randomizzata sull’efficacia
delle calze elastiche a compressione nella prevenzione della trombosi venosa profonda in persone a basso
rischio. Anche questa ricerca ha evidenziato che nel
gruppo di soggetti che indossavano le calze la frequenza di trombosi era significativamente più bassa.
In base ai risultati di un’indagine recente, prevista dal
LONFLIT, la trombosi venosa profonda in soggetti ad alto
rischio per anamnesi di cardiopatia o di ictus, patologie
potenzialmente fatali in cui i coaguli originano principalmente nelle gambe, può essere prevenuta mediante una
singola dose di eparina a basso peso molecolare (enoxaparina, nello studio) (18).
È tuttavia necessario disporre di ulteriori conoscenze e documentazioni sull’incidenza reale della trombosi venosa profonda che può manifestarsi in seguito a
tutti i tipi di viaggio di lunga durata e sul significato clinico della trombosi venosa asintomatica. A questo fine,
sono attualmente in corso alcuni studi di particolare
rilevanza, quali lo NZATT (New Zealand Air Travellers’ Thrombosis study).
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
Tabella 1. Raccomandazioni ai viaggiatori per la profilassi dell’embolia venosa (1,2)
Categorie di rischio
Fattori di rischio
Profilassi
Nessuno
Avvertire i passeggeri di:
• indossare abiti e scarpe comodi
• compiere frequenti esercizi fisici
degli arti inferiori
• non accavallare a lungo le gambe
• camminare con regolarità se possibile
• bere molta acqua o altri liquidi
• ridurre al minimo l’assunzione di
alcool
• evitare l’uso di sedativi
Basso rischio
Oltre 40 anni; obesità; infiammazione attiva; policitemia; chirurgia
minore recente (da non più di tre
giorni)
Come sopra, e in più considerare
l’uso di collant di supporto o calze
lunghe non elastiche
Rischio moderato
Vene varicose; insufficienza cardiaca (non controllata); infarto del miocardio recente; ormono-terapia
(compreso CO e TOS); gravidanza/post-parto; paralisi arti inferiori;
trauma recente arti inferiori (da non
meno di sei settimane); storia di
tromboembolia
Come sopra e in più considerare
acido acetilsalicilico a basse dosi
(se non controindicato) e calze a
compressione graduata
Alto rischio
Precedenti episodi trombotici;
trombofilia nota; chirugia maggiore recente (da non più di sei settimane); malattia cardiovascolare;
accidente cerebrovascolare recente; neoplasia maligna
Discutere la possibilità di evitare o
rimandare il viaggio. Se non è possibile, intervenire come sopra e considerare l’opportunità di utilizzare
eparina a basso peso molecolare
Alcune compagnie aeree consegnano ora ai viaggiatori, assieme al biglietto, opuscoli con informazioni e consigli sanitari, che sono riportati anche nei
siti Internet delle stesse compagnie (19-21). Informazioni sulla trombosi venosa profonda sono inoltre
fornite durante il volo mediante video e canali audio,
e sono contenuti in riviste a disposizione dei viaggiatori in volo.
Tra i consigli sanitari da dare a chi si accinge a
compiere un viaggio, e che riguardano condizioni
patologiche che potrebbero insorgere (ad esempio,
malaria, gastroenterite, ecc.), i medici dovrebbero
includere anche una serie di informazioni su sintomi e pericoli dell’embolia venosa e sulle modalità
per prevenirla. I medici hanno un ruolo importante nel valutare l’opportunità di una profilassi attiBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
va e nel raccomandare le strategie di prevenzione
dell’embolia (v. Tabella 1). Ciò va attuato dopo
un’attenta valutazione dei fattori di rischio che i
soggetti presentano mentre si apprestano ad iniziare un viaggio di lunga percorrenza. Questo intervento riveste particolare importanza in pazienti
con altre condizioni di morbidità (ad esempio,
malattia polmonare cronica, diabete, otite media),
che possono essere sfavorevolmente influenzate
dal viaggio.▲
Bibliografia
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Menopausa e terapia ormonale sostitutiva
Premessa
1.1. Disturbi della menopausa
L’età media di inizio della menopausa è intorno ai 51
anni, per cui le donne vivono circa un terzo della loro
vita nella fase post-menopausale, che, con l’aumentare dell’età, si accompagna spesso a malattie croniche,
tra cui quelle cardiovascolari e l’osteoporosi. La terapia ormonale sostitutiva (TOS), una volta prescritta
soprattutto per la risoluzione dei disturbi della menopausa, è stata sempre più considerata una strategia possibile per prevenire o ritardare alcune di queste malattie croniche (1).
Le raccomandazioni all’impiego estensivo della TOS,
pressanti soprattutto nel mondo anglosassone nonché
da parte dei mass media, contrastano in modo considerevole con la scarsezza o l’incompletezza delle conoscenze attualmente disponibili relativamente ai suoi
possibili benefici e danni.
La prescrizione della TOS in post-menopausa richiede innanzitutto l’analisi approfondita, da parte del
medico, dei benefici attesi e dei potenziali rischi sulla
base della documentazione attualmente disponibile:
tutto ciò va effettuato in rapporto alle condizioni cliniche di ogni singola donna, per accertare se essa presenti un’indicazione per iniziare il trattamento, e nel rispetto delle sue particolari preferenze.
La decisione di ricorrere alla TOS di breve durata (< 5
anni) per trattare i disturbi della menopausa dipende dal
grado di fastidio e disagio che producono e dalla disponibilità della donna a tollerare gli effetti collaterali della
terapia (v. Box 2).
1. I benefici dimostrati della TOS
I risultati di studi osservazionali e randomizzati hanno
dimostrato che l’uso della TOS elimina o riduce i disturbi tipici della menopausa ed aumenta la densità
minerale ossea.
218
1.1.1. Sintomi vasomotori: vampate di calore, sudorazione
Le vampate di calore, accompagnate di solito da sudori freddi, possono rappresentare una condizione non
accettata da una buona percentuale di donne in caso di
comparsa frequente, specialmente durante la notte, con
conseguente insonnia e affaticamento. Questi disturbi
possono essere favoriti da fattori quali stress, alcool,
caffeina, fumo, bevande calde, ecc., e tendono generalmente a regredire in modo spontaneo, ma possono
persistere anche per anni.
Esiste la dimostrazione, derivata da studi clinici randomizzati, che la terapia con estrogeni o estrogeni più
progestinici, ciclica o continuativa, è efficace nel controllo di questi disturbi vasomotori, mentre non lo è nel
trattamento specifico di altri sintomi vasomotori, quali
cefalea e capogiri. Sintomi di lieve-moderata entità
possono essere ridotti da modificazioni dell’alimentazione e dello stile di vita, quali riduzione del fumo e del
consumo di alcool e caffè, aumento dell’attività fisica,
ecc.
Chi non desidera utilizzare la TOS ricorre talora a
terapie alternative (prodotti derivati dalla soia o da altri
fitoterapici, vitamina E, complesso B, ecc.), ma i pochi
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
studi effettuati hanno dimostrato effetti di modesta entità sui sintomi menopausali.
dell’osteoporosi e delle fratture osteoporotiche sono i
bifosfonati alendronato e risedronato (5,6) e l’apporto
supplementare di calcio e di vitamina D.
1.1.2. Sintomi urogenitali
I disturbi urogenitali correlati alla menopausa comprendono numerosi sintomi quali: bruciore, prurito,
secchezza vulvovaginale, dispareunia, incontinenza,
aumetata frequenza di infezioni del tratto urinario. Per
tali sintomi è dimostrata l’efficacia degli estrogeni, che
risultano utili tanto per somministrazione vaginale che
per via orale o transdermica.
Una terapia estrogenica intravaginale per 6-8 mesi
può ridurre la ricorrenza di infezioni del tratto urinario
in donne particolarmente suscettibili a tale patologia,
mentre per via orale gli estrogeni sono poco efficaci. Il
ricorso a gel lubrificanti sterili idrofili può risultare di
utilità, specie per la dispareunia, mentre gli esercizi di
Kegel del diaframma pelvico e l’allenamento della
vescica possono aiutare a ridurre l’incontinenza.
1.2. Osteoporosi
Gli estrogeni inibiscono la perdita di massa ossea che
si osserva nella maggior parte delle donne dopo la
menopausa. In base ai risultati di studi osservazionali, è
stata dimostrata una correlazione fra il loro impiego e la
riduzione del rischio di osteoporosi all’anca e al polso
e di fratture vertebrali (2), ma non è stato ancora completato alcuno studio randomizzato di ampie dimensioni che abbia valutato gli esiti clinici della TOS sulle
fratture osteoporotiche.
Per conseguire una buona prevenzione delle fratture, la TOS dovrebbe presumibilmente essere iniziata
entro 5 anni dall’inizio della menopausa e continuata
in modo indefinito; ma ciò è in conflitto con la dimostrazione di un progressivo aumentato rischio di cancro al seno per durate di terapia superiori ai 5 anni (v.
2.1.). È richiesta una durata minima di terapia di 7
anni per conferire un certo beneficio alle donne di 75
anni e più (3), quando il rischio di frattura è maggiore.
Per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi, la
TOS è utilizzata a dosi orali o transdermiche standard;
sino ad oggi non sono stati pubblicati studi clinici randomizzati che abbiano studiato gli effetti di bassi
dosaggi di estrogeni con la frattura come esito principale.
Il raloxifene, un modulatore selettivo dei recettori degli
estrogeni dotato di effetto estrogenico a livello di osso e
fegato ed antiestrogenico su seno ed utero, è in grado di
determinare un aumento della massa minerale ossea
riducendo le fratture vertebrali, ma non quelle dell’anca
(4). Non è necessario ricorrere ai progestinici quando si
utilizza raloxifene, in quanto non determina iperplasia
endometriale. Tra gli effetti secondari di questo farmaco
si segnalano le vampate di calore e crampi agli arti.
Alternativi alla TOS nella prevenzione e trattamento
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
2. I rischi documentati della TOS
2.1. Cancro dell’endometrio
Più di 30 studi osservazionali hanno dimostrato che
l’impiego a lungo termine di soli estrogeni, non in
combinazione con progestinici, determina aumento
del rischio di cancro endometriale di un fattore da 8 a
10 (eccesso di 46 casi per 10.000 donne che hanno
utilizzato solo estrogeni per almeno 10 anni). I dati
osservazionali sono stati confermati dallo studio randomizzato Postmenopausal Estrogen/Progestin
Interventions Trial (PEPI Trial), in cui si è osservata
iperplasia endometriale, una lesione precancerosa,
nel 24% delle donne assegnate al gruppo trattato con
estrogeno senza progestinico per tre anni, rispetto
all’1% osservato in donne assegnate al gruppo placebo (7).
L’aggiunta di un progestinico, che contrasta gli effetti
dell’estrogeno sull’endometrio, elimina tale rischio,
tanto che la TOS di combinazione è raccomandata in
donne con un utero intatto, ma aumenta considerevolmente nel contempo il rischio di cancro al seno (estrogeni + progestinici a 5 anni: OR = 1,24; IC 95%:
1,07÷1,45; solo estrogeni a 5 anni: OR = 1,06; IC 95%:
0,97÷1,15) (8).
Regimi combinati continuativi di TOS offrono maggior protezione sull’endometrio rispetto a regimi
sequenziali (che richiedono 10 giorni o più di progestinico). Donne sottoposte a isterectomia possono essere
trattate con TOS di soli estrogeni quando indicato. Il
raloxifene non aumenta il rischio di cancro endometriale.
2.2. Trombosi venosa
Studi osservazionali indicano che gli estrogeni
nella post-menopausa aumentano il rischio di tromboembolia venosa profonda di un fattore da 2 a 3,5. I
risultati dello studio randomizzato Heart and Estrogen/Progestin Replacement Study (HERS) sono in linea
con i dati degli studi osservazionali, evidenziando che
il rischio di eventi tromboembolici risulta aumentato di
un fattore di 2,7 nelle donne assegnate alla terapia
estro-progestinica (9).
2.3. Cardiopatia coronarica: prevenzione secondaria
Il successo della TOS in post-menopausa è in gran
parte dovuto ai suoi ipotizzati effetti cardioprotettivi:
più di 40 studi osservazionali, condotti nei passati
219
AGGIORNAMENTI
trent’anni, hanno nel loro insieme suggerito che le
donne trattate con estrogeni presentavano un rischio
di cardiopatia coronarica inferiore del 35-50% rispetto a quelle che non ne assumevano (10,11). Studi randomizzati eseguiti in donne con preesistente cardiopatia coronarica non hanno invece confermato i benefici cardiovascolari della TOS riportati negli studi
osservazionali.
Nello studio HERS, il primo randomizzato di prevenzione secondaria progettato per valutare l’effetto della
TOS (combinazione estro-progestinica) sul rischio di
eventi cardiovascolari, l’entità complessiva di decessi
per cause coronariche e di infarti non fatali tra 2.763
donne con documentata coronaropatia, è risultata simile
nei gruppi TOS e placebo (12). Oltre a ciò, si è osservato un preoccupante incremento (circa il 50%) del rischio
di eventi associati a coronaropatia nel corso del primo
anno di conduzione dello studio fra donne sottoposte a
TOS, compensato nel periodo successivo da riduzione
del rischio. Questo profilo può derivare da un’accelerazione iniziale della quota di eventi in donne suscettibili,
mentre la restante popolazione è a più basso rischio.
Nello studio controllato vs placebo Estrogen Replacement and Atherosclerosis Trial, né gli estrogeni da soli
né in combinazione con un progestinico si sono dimostrati in grado di influenzare la progressione dell’aterosclerosi coronarica determinata angiograficamente
(13).
Anche i dati preliminari del Papworth HormoneReplacement Therapy Atherosclerosis Study, che
valuta l’estradiolo transdermico da solo o in associazione a noretindrone, non hanno evidenziato
alcun beneficio cardiovascolare con la TOS e, addirittura, un leggero aumento delle quote di eventi cardiovascolari nel corso dei due primi anni dello studio (14).
In definitiva, sulla base di dati derivanti da studi
clinici randomizzati, la TOS non sembra ridurre il
rischio di eventi cardiovascolari in donne con coronaropatia accertata ed anzi, nei primi tempi di
trattamento, si osserva un incremento di eventi (v.
Box 1).
BOX 1
Riassunto delle raccomandazioni (*) dell’American Heart Association sulla TOS nella prevenzione secondaria
e primaria della cardiopatia coronaria (15) (v. anche BIF 2001;4-5:170)
Prevenzione secondaria
• La TOS non dovrebbe essere iniziata per la prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari;
• la decisione di continuare o interrompere una TOS in donne con malattia cardiovascolare già in trattamento da
lungo tempo dovrebbe tener conto dei benefici e rischi non coronarici provati e della preferenza delle pazienti;
• se una donna sviluppa un evento cardiovascolare o è immobilizzata per un lungo periodo mentre è sottoposta a
TOS, è prudente prendere in considerazione l’interruzione del trattamento o considerare la profilassi della trombosi venosa, finché è ospedalizzata, per minimizzare il rischio tromboembolico associato con l’immobilizzazione. La ripresa della TOS dovrebbe basarsi su una valutazione dei benefici e rischi non coronarici provati e della
scelta della paziente.
Prevenzione primaria
• Le raccomandazioni cliniche per la prevenzione primaria richiedono ulteriori risultati di ricerche cliniche randomizzate in corso;
• non ci sono prove sufficienti per suggerire che una TOS dovrebbe essere iniziata con il solo scopo di prevenire
patologie cardiovascolari;
• l’inizio o la continuazione di una TOS dovrebbero tener conto dei benefici e dei rischi non coronarici dimostrati, dei possibili benefici e rischi coronarici e della preferenza della donna.
(*) I dati disponibili all’origine delle raccomandazioni cliniche si basano prevalentemente su dosi standard di formulazioni orali di estrogeni coniugati/medrossiprogesterone acetato. I dati a disposizione non sono sufficienti per determinare se preparazioni, vie di somministrazioni o dosi differenti, o progestinici differenti, abbiano un effetto più favorevole o sfavorevole sugli end point clinici della malattia coronarica (15).
220
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
3. I probabili rischi della TOS
3.1. Cancro della mammella
Una TOS a breve termine (< 5 anni) può essere attuata, se le indicazioni sono appropriate, senza apprezzabile incremento di cancro della mammella (16). Al contrario, il rischio di cancro al seno aumenta progressivamente in donne che fanno uso di estrogeni per cinque
anni o più. Per 1.000 donne che iniziano la TOS a 50
anni, l’eccesso della neoplasia è di 2 dopo 5 anni di trattamento, 6 dopo 10 anni e 12 dopo 15 anni. L’aumentato rischio scompare dopo 5 anni dall’interruzione della
TOS.
Dati recenti suggeriscono che la terapia di combinazione estrogeno più progestinico può aumentare il
rischio di cancro al seno più del trattamento con soli
estrogeni (8,17).
Nota. Studi che hanno simulato l’uso prolungato su
larga scala della TOS per via orale in prevenzione
primaria cardiovascolare, in diverse popolazioni,
indicano che in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, il bilancio
tra morti prevenibili e morti dovute alla terapia (da
tumore mammario) può risultare sfavorevole (20).
3.2. Calcoli della colecisti
Alcuni grandi studi osservazionali hanno evidenziato
che il rischio di calcolosi o di colecistectomia aumenta
di un fattore 2-3 in donne post-menopausali in trattamento con estrogeni. Nello studio HERS, il rischio di
calcoli della colecisti è risultato più elevato del 38% fra
le donne randomizzate alla TOS estro-progestinica
rispetto a quelle trattate con placebo (12).
4. L’area grigia della TOS
4.1. Cardiopatia coronarica: prevenzione primaria
Esiste al momento un’insufficiente documentazione
su benefici e danni della TOS nella prevenzione primaria della cardiopatia coronarica in donne in menopausa
o post-menopausa (v. Box 1), così come nella prevenzione della cardiopatia coronarica dopo menopausa
chirurgica, e non esiste evidenza di qualsiasi beneficio
in donne con menopausa precoce naturale.
Una meta-analisi di 22 studi, in genere di breve durata, che ha valutato altri effetti della TOS, ha mostrato
accessoriamente un aumento non significativo del
rischio di eventi cardiovascolari in donne assegnate per
randomizzazione alla terapia ormonale (18). Anche
un’analisi ad interim dello studio randomizzato in
corso Women’s Health Initiative ha evidenziato un leggero aumento significativo del numero di infarti, ictus
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
e di eventi tromboembolici durante i primi uno-due
anni nelle donne del gruppo TOS rispetto a quelle del
gruppo placebo (19). Uno studio che ha simulato l’uso
prolungato di TOS orale su larga scala in diverse popolazioni europee e nord-americane, inclusa quella italiana, indica uno sfavorevole sbilanciamento dei rischi di
mortalità per tumore mammario rispetto all’ipotetico
vantaggio coronarico (20).
4.2. Cancro colorettale
Studi osservazionali suggeriscono che la TOS riduce i
rischi di cancro colorettale. Meta-analisi di questi studi
hanno condotto a risultati contradditori, andando da
una riduzione del rischio di cancro del 33%, statisticamente significativa (21), a un insignificante 8% di riduzione (22).
Sono necessari studi clinici randomizzati appositamente disegnati per questo end point.
4.3. Cancro ovarico
Studi epidemiologici hanno prodotto risultati conflittuali in merito al rischio di cancro ovario correlato a
TOS. Al momento, non esistono dati sufficientemente
attendibili relativamente ad una TOS estro-progestinica
e, nonostante l’accumulo di dati consistenti, non è stato
raggiunto un consenso sulla TOS a base di soli estrogeni (al momento non è possibile distinguere tra un effetto avverso relativamente piccolo sull’incidenza di cancro ovarico e nessun effetto) (23).
4.4. Disfunzione cognitiva
Anche se alcuni studi osservazionali hanno inizialmente suggerito che l’insorgenza di disfunzioni cognitive o
della malattia di Alzheimer potesse essere inferiore in
donne che assumevano estrogeni dopo la menopausa,
studi osservazionali più recenti non sono riusciti a supportare tale ipotesi (24), mentre uno studio clinico randomizzato non ha dimostrato alcun beneficio dell’estrogenoterapia quale trattamento della malattia di Alzheimer
lieve-moderata (25). Lo studio Women’s Health Initiative
Study of Cognitive Aging, attualmente in corso, sta valutando il ruolo degli estrogeni nella prevenzione della perdita di memoria e del declino cognitivo.
4.5. Disturbi psicologici
Sintomi osservati durante il periodo menopausale
includono depressione, cambiamenti di umore, irritabilità, incapacità di concentrarsi e riduzione della libido.
Anche se studi osservazionali hanno evidenziato un
certo miglioramento con la TOS, i risultati di studi controllati randomizzati con TOS (26) o raloxifene (27)
sono apparsi non probanti.
221
AGGIORNAMENTI
La TOS non è un trattamento efficace della perdita di libido in donne post-menopausali. L’aggiunta di androgeni a
basse dosi a una TOS può essere di qualche utilità in donne
in menopausa, soprattutto se prematura o chirurgica, che
soffrono di una caduta di libido. La sicurezza di tale trattamento continuativo oltre i due anni non è stata stabilita.
4.6. Ictus
I dati iniziali del Nurses’ Health Study non hanno evidenziato una correlazione significativa fra TOS ed
ictus, mentre nel follow-up più recente dello studio (16)
è emerso un aumento significativo del rischio (RR=1,5)
di ictus per TOS estroprogestinica e con i più alti dosaggi degli estrogeni.
5. Le prospettive future
Benefici e rischi della TOS sono tuttora oggetto di studio e dovrebbero essere chiariti in modo definitivo da due
grandi studi randomizzati, attualmente in fase di attuazione su popolazioni particolarmente numerose: Women’s
Health Initiative (risultati conclusivi previsti nel 2005) e
Women’s International Study of Long Duration Oestrogen after Menopause (risultati attesi nel 2012).
6. Conclusioni: gli elementi più importanti da ricordare
➣ La prescrizione della TOS in post-menopausa richiede innanzi tutto l’analisi approfondita, da parte del
medico, dei benefici attesi e dei potenziali rischi sulla
base della documentazione attualmente disponibile:
tutto ciò va effettuato in rapporto alle condizioni cliniche di ogni singola donna, per accertare se essa presenta un’indicazione per iniziare il trattamento.
➣ È essenziale che il medico discuta di benefici e rischi
della TOS con la donna, dando risalto alla mancanza di
certezze su molti di essi: la decisione se iniziare o meno
il trattamento dovrebbe essere informata e condivisa.
➣ Le due indicazioni che possono giustificare l’inizio di una
TOS sono il trattamento dei disturbi della menopausa, qualora provochino uno stato di disagio grave (terapia a breve
termine, < 5 anni), e la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi in donne particolarmente a rischio di frattura
(terapia a lungo termine, > 5 anni, ma pericolosa perché
aumenta il rischio di cancro al seno per tale durata).
➣ I possibili effetti collaterali a breve termine e le controindicazioni della TOS sono riportati rispettivamente nei Box 2 e 3.▲
BOX 2
Principali effetti collaterali a breve termine della TOS
• Gonfiore e dolore mammario
• Ricomparsa delle mestruazioni
• Sanguinamenti anomali
• Cefalea
• Aumento di peso
• Nausea
• Ritenzione idrica
• Irritabilità, depressione
Nota : quando si valutano gli effetti indesiderati della TOS, è importante determinare se essi sono provocati dall’estrogeno o dal progestinico.
Così, nausea e sanguinamento sono attribuiti agli estrogeni, irritabilità e depressione ai progestinici, iperestesia mammaria e cefalea a entrambi.
222
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
BOX 3
Controindicazioni della TOS
ASSOLUTE
• Sanguinamento vaginale non diagnosticato
• Cardiopatia coronarica
• Patologia attiva o cronica del fegato
• Storia di neoplasia mammaria o endometriale
• Trombosi vascolare recente
• Rifiuto della donna informata
RELATIVE
Bibliografia
• Ipertrigliceridemia severa
• Storia di malattie di tipo tromboembolico
• Storia familiare di cancro mammario
• Calcoli della colecisti
• Leiomioma uterino
• Disordini convulsivi
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223
AGGIORNAMENTI
Aggiornamento sui COX-2 inibitori
(in base ai dati della Food and Drug Administration)
vano nei documenti della FDA sono riportati nella
Tabella 1; una sintesi dei dati della FDA e delle altre
evidenze principali ad oggi disponibili è riportata nel
testo.
Gli inibitori selettivi della ciclo-ossigenasi 2 (COX-2
inibitori) hanno un ampio e crescente successo commerciale, dovuto al minor rischio ad essi attribuito di
eventi avversi gastrointestinali rispetto ai farmaci antiinfiammatori non steroidei non selettivi (FANS). I
risultati delle sperimentazioni a sostegno di questo vantaggio (rispettivamente: CLASS per il celecoxib (1),
VIGOR per il rofecoxib (2)) sono stati largamente pubblicizzati fra i medici e il grande pubblico. Assai poco
note sono invece le vivaci polemiche relative al rapporto costo/beneficio di questi farmaci, in parte differenti
per celecoxib e rofecoxib (3,4).
Alla fine dello scorso anno la Food and Drug Administration degli Stati Uniti (FDA) ha pubblicato nel suo
sito internet una revisione completa degli studi CLASS
e VIGOR (5-7), giungendo a deduzioni differenti da
quelle ricavabili dalle pubblicazioni delle sperimentazioni dei due COX-2 inibitori (v. anche BIF 2/2001 (8)
e 4-5/2001 (9)). I dati quantitativi principali che si tro-
Studio CLASS del celecoxib
La prima osservazione è che ci sono notevoli discrepanze fra il protocollo delle due sperimentazioni presentate
insieme nello studio (una contro ibuprofen, l’altra contro
diclofenac) e i dati pubblicati su JAMA (1). Come specificato nell’ editoriale del BMJ già citato (3), le discrepanze
riguardano “il disegno, gli end point, la durata e l’analisi”
delle sperimentazioni, cioè tutto. La riserva più seria è che
i dati pubblicati su JAMA si riferiscono solo ai primi 6 mesi
di due sperimentazioni il cui disegno prevedeva una durata rispettivamente di 12 mesi (contro diclofenac) e di 15
mesi (contro ibuprofen); la lunga durata aveva l’obiettivo
Tabella 1. Pazienti con uno o più eventi avversi gravi - dati FDA, ripresi da Therapeutics Letter (15)
Studio CLASS*
Esito
Celecoxib
%
Altri
FANS
%
RR
IC 95%
ARR
ARI
%
Studio VIGOR
NNT
NNH
9 mesi
Rofecoxib
%
Naprosene
RR
%
IC 95%
ARR NNT
ARI NNH
% 9 mesi
Mortalità
0,48
1,12
0,43 0,58-2,14
NS
NS
0,54
0,37
1,46
0,76-2,81
NS
NS
Complicanze
di ulcere
0,50
0,83
0,60 0,46-1,5
NS
NS
0,40
0,92
0,43
0,24-0,78
0,52
192
Altri eventi
avversi gravi
5,8
4,8
1,22
1,01-1,47 1,00
100
8,4
6,5
1,28
1,10-1,50
1,9
53
Totale eventi
avversi gravi
6,8
5,8
1,17
0,99-1,39
NS
9,3
7,8
1,21
1,04-1,40
1,5
67
NS
*Poiché i due studi che ponevano a confronto celecoxib con ibuprofene e diclofenac sono di differente durata e i dati della FDA forniscono solo i risultati combinati del celecoxib, gli studi non possono essere riportati separatamente.
NS = non statisticamente significativo
RR = Rischio Relativo
IC = Intervallo di Confidenza
ARR = Riduzione Rischio Assoluto
NNT = Number Needed to Treat (numero di pazienti da trattare per prevenire un evento)
ARI = Aumento Rischio Assoluto
NNH = Number Needed to Harm (numero di pazienti da trattare per provocare un danno)
224
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
di valutare il rischio di eventi avversi tardivi, inizialmente
asintomatici. La revisione della FDA dimostra che l’incidenza di eventi avversi non è differente fra celecoxib e i due
FANS non selettivi, se la valutazione è basata sull’intera
durata delle sperimentazioni, come era d’obbligo secondo
il disegno della sperimentazione. Ed è paradossale che, nel
lavoro su JAMA, gli autori riportino come base della valutazione favorevole al celecoxib la proiezione a un anno dei
risultati a 6 mesi, non citando i dati reali osservati a un anno
che azzerano tale valutazione favorevole. Gli autori dello
studio hanno avanzato l’ipotesi che dopo il 6° mese di sperimentazione un maggior numero di pazienti potevano aver
abbandonato il trattamento con FANS (drop out), riducendo il numero di quelli a rischio. Quest’ipotesi però non
regge, perché l’incidenza di abbandoni non era diversa per
FANS e celecoxib (3).
Studio VIGOR del rofecoxib
La durata dello studio VIGOR pubblicato sul N Engl
J Med (2) e i dati sugli eventi gastrointestinali sono gli
stessi che si ritrovano nel sito internet della FDA (7),
anche se il rapporto della FDA è più completo e fornisce una visione globale dei dati sugli eventi avversi
gravi. Le conclusioni della FDA possono essere così
sintetizzate.
1. Lo sponsor ha dimostrato una riduzione statisticamente significativa di perforazioni, ulcere peptiche
associate a sintomi ed emorragie gastrointestinali
(PUBs) nei pazienti trattati con rofecoxib rispetto a
quelli trattati con naprossene.
2. Questo risultato non si trasferisce in un miglior profilo globale di sicurezza, che deve costituire la base
della valutazione di sicurezza dei farmaci. Come
riportato nella Tabella 1, gli eventi avversi gravi
(SAEs) non gastrointestinali sono più frequenti nei
pazienti trattati con rofecoxib che in quelli trattati
con naprossene mentre non è differente fra i due farmaci il numero di morti.
3. Nei pazienti trattati con rofecoxib è doppia l’incidenza di eventi trombotici cardiovascolari (ETCV)
(1,67% rispetto a 0,7%, soprattutto per quanto
riguarda gli infarti del miocardio), ed è più alta l’incidenza di insufficienza cardiaca e di altri eventi
avversi cardiovascolari. Queste differenze sono statisticamente significative.
Secondo il giudizio espresso nel documento della
FDA, nello studio VIGOR il potenziale vantaggio di
riduzione del rischio di PUBs è bilanciato dall’aumento del rischio di ETCV.
4. Lo sponsor raccomanda di associare al rofecoxib l’aspirina nei soggetti a rischio trombotico cardiovascolare. Tuttavia, punti notevoli sono:
a. se il rischio cardiovascolare potenzialmente associato a rofecoxib sarà prevenuto dall’aspirina; e,
b. se l’aggiunta dell’aspirina potrà ridurre o annullare il vantaggio gastrointestinale del rofecoxib rispetto
al naprossene.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
5. Nonostante la riduzione del rischio di PUBs del
rofecoxib rispetto al naprossene nello studio VIGOR, il
rischio di SAEs gastrointestinali rimane un problema
anche per il rofecoxib: dal maggio 1999 all’ottobre 2000,
il sistema di farmacovigilanza post-marketing della FDA
ha ricevuto 37 segnalazioni di morti dovute a complicanze gastrointestinali da assunzione di rofecoxib.
L’aumento di incidenza degli eventi trombotici cardiovascolari associati ai COX-2 inibitori rispetto ai
FANS è stato ripreso ed analizzato nello studio di
Mukherjee et al. (4) che concludono come segue: nello
studio VIGOR, l’incidenza di ETCV associati al rofecoxib è pari a 2,38 (IC 1,39-4,00) rispetto al naprossene; nello studio CLASS l’incidenza di ETCV associati
con celecoxib, diclofenac e ibuprofene non è differente. Tuttavia, riprendendo i dati di una recente meta-analisi sulla prevenzione primaria di ETCV, Mukherjee et
al. osservano un aumento significativo degli ETCV
associati sia all’uno che all’altro dei COX-2 inibitori
rispetto a placebo. È naturalmente difficile valutare
quest’ultimo dato, derivante da un confronto fra studi
del tutto diversi.
L’aumento di incidenza degli ETCV associati al
rofecoxib rispetto al naprossene è interpretato in due
modi diversi, peraltro non mutuamente esclusivi.
a. Potrebbe essere dovuto non ad un aumento del
rischio connesso a rofecoxib, ma a una riduzione del
rischio, associata all’effetto antiaggregante similaspirina, del naprossene. È questa la conclusione di
tre studi caso-controllo (due dei quali ad opera o con
la sponsorizzazione della Merck, produttrice del
rofecoxib) pubblicati nel numero di maggio 2002 di
Arch Intern Med (10-12).
b. Potrebbe essere dovuto all’effetto dei COX-2 inibitori sull’equilibrio di sostanze dell’organismo rispettivamente pro-trombotiche (tromboxano A2, TxA2) e
anti-trombotiche (prostaciclina, PGI2). Quest’equilibrio potrebbe essere spostato a favore del TxA2 dalla
inibizione della COX-2, e particolarmente dal rofecoxib, che è più selettivo. Questa tesi è rafforzata da
uno studio sperimentale su topini, nei quali i COX-2
inibitori (ma non i FANS non selettivi) inibiscono la
formazione di PGI2, ma non bloccano, e addirittura
possono incrementare, la formazione di TxA2. Tale
studio è stato pubblicato nell’aprile 2002 su Science
con un commento del premio Nobel JR Vane (13,14).
Conclusioni
• In base ai dati FDA, nello studio CLASS la riduzione
di PUBs associata a celecoxib rispetto a diclofenac e
ibuprofene si riferisce ai dati a 6 mesi, in violazione
del disegno delle due sperimentazioni che poneva
come end point la valutazione alla fine del trattamento, cioè al 12° e al 15° mese, rispettivamente, per i due
FANS. I dati a 12 e 15 mesi dimostrano che l’incidenza di eventi avversi gastrointestinali da celecoxib non
è inferiore a quella da FANS non selettivi.
225
AGGIORNAMENTI
• In base ai dati FDA, nello studio VIGOR, la riduzione del rischio di PUBs associata al rofecoxib rispetto
al naprossene è controbilanciata da un aumento statisticamente significativo del rischio di ETCV, oggetto
di interpretazioni diverse.
• Globalmente, gli inibitori selettivi della COX-2 non
presentano un profilo di rischio migliore (ridotta incidenza di eventi avversi gravi) rispetto ai FANS non
selettivi.
• Le versioni pubblicate degli studi CLASS e VIGOR
(1,2) hanno focalizzato l’interesse sugli eventi
gastrointestinali, mancando di riportare in modo completo gli altri eventi avversi gravi.
• Il CLASS e il VIGOR sono sperimentazioni che hanno
come end point primario la valutazione della sicurezza, non dell’efficacia, dei farmaci in studio. Le revisioni effettuate dalla FDA e gli altri studi citati dimostrano che anche negli studi di questo tipo - e ancora di
più nelle sperimentazioni mirate all’efficacia (16,17) la pubblicazione sulle riviste scientifiche riporta i dati
sugli eventi avversi dei farmaci in maniera incompleta
e di difficile comprensione. Come nelle raccomandazioni del Federal Register USA (18) e nell’interesse
della sicurezza dei farmaci, gli studi dovrebbero pubblicare in maniera dettagliata e comprensibile i tipi e
l’incidenza di tutti gli eventi avversi.
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BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
Le ulcere cutanee croniche
Paola Di Giulio, Università degli studi di Torino, per il gruppo PARI (Percorsi Assistenziali e Ricerca Infermieristica),
Istituto Mario Negri di Milano
Le lesioni croniche
Non esiste una definizione precisa di lesione cronica: si
intende in genere per lesione cronica una lesione che non
guarisce e non progredisce attraverso le fasi della guarigione: infiammazione, proliferazione, rimodellamento.
Le lesioni croniche sono rappresentate dalle ulcere ischemiche, dalle ulcere diabetiche, da quelle venose, dalle
lesioni da decubito che non riepitelizzano (1).
L’entità del fenomeno è importante, sia per il numero
di pazienti coinvolti che per i tempi e le risorse necessari per il trattamento del problema. Le ulcere sono
debilitanti, dolorose e riducono la qualità di vita del
paziente. Si stima che nel Regno Unito i ricoveri per
ulcerazioni di un piede diabetico siano circa 24.000 (2);
lo stesso problema è la causa più comune di ospedalizzazione per i pazienti diabetici americani (3).
L’incidenza annuale di ulcere del piede nella popolazione diabetica è di 2,5-10,7% (4). Si ritiene che in Italia circa il 30% di chi soffre di diabete da almeno 10 anni
abbia una forma di neuropatia diabetica: il 15% dei
pazienti diabetici ospedalizzati ha ulcere distali (5). Le
ulcere degli arti inferiori colpiscono circa l’1% degli
adulti ed il 3,6% delle persone con più di 65 anni (6). In
un campione di 1.560 pazienti con ischemia cronica critica degli arti inferiori, il 61% aveva sia dolore che ulcera (7). Se a questi pazienti si aggiungono anche quelli
con lesioni da decubito, la popolazione più colpita è rappresentata dagli ultrasettantenni: l’incidenza delle lesioni da decubito nei soggetti ospedalizzati di tutte le età
varia dal 4 al 9% ed aumenta del 10-25% negli anziani
(8-10). Sono a maggior rischio anche i pazienti diabetici ed ipertesi, per i danni al microcircolo, e anche l’incontinenza rappresenta un fattore di rischio.
Si incontrano pazienti con ulcere croniche sia tra i
pazienti ricoverati che assistiti a domicilio: il problema
riguarda quindi sia gli specialisti che i medici di base,
sia gli infermieri ospedalieri che di distretto.
Le lesioni croniche rappresentano un costo importante per il sistema sanitario nazionale (medicazioni, visite a domicilio). Il costo di gestione delle ulcere degli
arti inferiori si aggira, nel solo Regno Unito, intorno ai
400 milioni di sterline all’anno (6). Queste lesioni
costituiscono un impegno ed una sfida costante per gli
operatori sanitari, sia per il trattamento (resistono infatti alle nuove tipologie di medicazioni e presidi) che per
la ricerca. Insorgono generalmente in popolazioni particolari: pazienti anziani e con numerose comorbidità
(diabete, ictus, ipertensione). L’unica eccezione sono
forse i pazienti con danni neurologici post-traumatici,
che generalmente sono giovani.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
La presenza di corpi estranei, macerazione tissutale,
ischemia ed infezione, età, malnutrizione, diabete e
malattie renali ostacolano la guarigione delle lesioni:
non sempre, purtroppo, è possibile correggere questi
fattori. In questo articolo sarà esaminato prevalentemente il trattamento topico delle lesioni. Si rimanda
alla bibliografia per il trattamento delle patologie o dei
problemi che hanno provocato le ulcere.
Alcune note sulla fisiopatologia delle lesioni croniche
Il rimodellamento degli esiti cicatriziali richiede mesi
o anni. La guarigione di una lesione è un fenomeno
complesso che coinvolge numerosi fattori, non tutti
facilmente modificabili. Comprendere le modalità di
guarigione di una lesione dà alcuni elementi per capire
quali sono i principali fattori e meccanismi coinvolti e,
soprattutto, cosa differenzia la guarigione di una lesione acuta da quella di una lesione cronica.
La guarigione di una lesione viene artificialmente
suddivisa in tre fasi: infiammazione, proliferazione e
rimodellamento.
Le lesioni croniche hanno livelli ridotti di fattori di
crescita piastrinici, derivati dai fibroblasti, epidermici,
e fattori di trasformazione rispetto alle lesioni acute
(11). Questi fattori favoriscono il passaggio dalla fase
di infiammazione a quella successiva.
L’essudato di una lesione sana contiene enzimi e fattori
di crescita che favoriscono la riepitelizzazione e forniscono il fattore di crescita necessario in tutte le fasi della riparazione. Nelle lesioni che guariscono per prima intenzione, la produzione di essudato dura al massimo 48 ore.
Nelle lesioni croniche la presenza di essudato è costante ed
è una risposta ai processi di infiammazione o infezione.
La produzione di tessuto di granulazione e la contrazione dei tessuti circostanti è fondamentale per la guarigione dell’ulcera.
Nelle lesioni croniche sono state riscontrate anomalie
della metalliproteinasi (una famiglia di 14 enzimi, con
attività proteolitica, responsabili della degradazione
della matrice cellulare ai bordi dell’ulcera) con eccesso
di degradazione del tessuto extracellulare ed una minore risposta dei fibroblasti alle stimolazioni dei fattori di
crescita (senescenza cellulare) (11).
Nelle lesioni croniche, inoltre, la fibrosi ed il tessuto
cicatriziale provocato da ripetuti traumi e riparazioni
crea margini più induriti e può ostacolare la migrazione
delle cellule epiteliali (12).
Il tessuto perilesionale diventa distrofico, l’irrorazione insufficiente, il letto della ferita è pieno di materiale
fibroso che funge da pabulum per batteri che diventano
sempre più resistenti (13).
227
AGGIORNAMENTI
Come valutare le lesioni croniche
La valutazione di una lesione comprende molti aspetti: una singola caratteristica non fornisce i dati necessari per definire l’eziologia della lesione, l’adeguatezza
del trattamento o il monitoraggio della sua evoluzione.
In genere i testi consigliano di valutare la sede della
lesione, la profondità, lo stadio, le condizioni dei margini, la presenza di fistole, le caratteristiche del tessuto
necrotico, dell’essudato, i tessuti circostanti, e quando
la lesione guarisce, le caratteristiche del tessuto di granulazione e della riepitelizzazione. Si pensa che il dolore possa essere un fattore importante nella guarigione,
ed è uno degli aspetti trascurati sia nella valutazione
che nel trattamento delle lesioni da decubito e delle
lesioni croniche in genere (14). Sembra possa avere un
ruolo nella guarigione mediando la vasocostrizione ad
aumentando la perfusione tissutale (15). L’assenza di
dolore suggerisce un’eziologia neuropatica.
Quello che nessun testo dice, e che non è chiaro, è quali
sono le caratteristiche da valutare su base continua per
orientare il piano di assistenza e monitorare la guarigione. Una buona valutazione dell’ulcera prevede comunque che vengano raccolti dati per capire da quanto
tempo è presente l’ulcera, e se si tratta del primo episodio o di un problema ricorrente. Le valutazioni successive dovrebbero essere settimanali per rilevare un’eventuale progressione e per valutare la profondità dell’ulcera, la presenza di tessuto di granulazione ed infezioni, e
le dimensioni; la valutazione non si deve limitare alla
sola ulcera, bensì estendersi anche al paziente.
Le indicazioni per il trattamento
I capisaldi per il trattamento delle lesioni, sia acute
che croniche, rimangono sostanzialmente i seguenti:
a) la manovra più importante per la prevenzione, in
particolare per le lesioni da decubito, continua ad essere il mantenimento della pressione a livelli ottimali;
b) è importante alleviare la compressione sull’ulcera e
quindi posizionare il paziente su superfici di appoggio
morbide (16);
c) il trattamento delle lesioni si deve incentrare su:
• gestione globale del paziente (valutazione delle condizioni fisiche, psicologiche e stato nutrizionale);
• riposizionamento del paziente e uso di superfici di
supporto;
• gestione della lesione, con rimozione del tessuto
necrotico (debridement). Se compaiono escare o si
forma tessuto necrotico la lesione va sbrigliata. Le
escare possono essere rimosse con la toilette chirurgica o con medicazioni a base di idrocolloidi, assorbenti osmotici e capillari. Va rispettata e protetta la
cute sana circostante;
• detersione della lesione con soluzione salina, evitando l’uso di antisettici;
• gestione della colonizzazione batterica e delle infezioni;
228
• applicazione di medicazioni che mantengano la
lesione detersa e l’ambiente umido, ma la cute circostante asciutta.
Vengono di seguito presentate alcune indicazioni riferite in particolare alla gestione delle lesioni croniche.
Gestione della lesione e rimozione del tessuto necrotico
La detersione del letto dell’ulcera è uno dei fattori
principali per la guarigione delle lesioni sia acute che
croniche. Il debridement infatti riduce il carico batterico della lesione ed accelera la riepitelizzazione che
viene inibita dalla presenza di tessuto necrotico. Il letto
della lesione si può pulire con metodi meccanici quali
l’applicazione di garze umide che vengono lasciate
asciugare sulla lesione e poi rimosse. Anche se molto
citato sui testi, questo metodo è scomodo, richiede
tempo e, soprattutto, danneggia anche il tessuto sano. Il
principio da tenere sempre presente è quello di rispettare il più possibile la lesione, pertanto la toilette chirurgica va eseguita solo in presenza di abbondante tessuto
necrotico e cellulite; nelle altre situazioni è preferibile
utilizzare metodi meno traumatici, quali l’applicazione
di enzimi (proteolitici, fibrinolitici e collagenasi), che
agiscono in modo specifico su fibrina e collagene.
Quando vengono utilizzati tali enzimi, la lesione deve
essere umida perché l’umidità ne aumenta l’efficacia.
Gli enzimi vanno applicati solo sulla lesione e non sulla
cute sana o sul tessuto in via di granulazione, in quanto
agiscono sia sui tessuti necrotici che sani (17). Dopo
l’applicazione la lesione va coperta con una medicazione per tenere in sede il prodotto. Collagenasi (ad esempio il Noruxol) e fibrinolisina (Elase) sono un esempio
di questo tipo di prodotti. Il debridement della lesione
può essere anche autolitico, cioè ottenuto con gli enzimi prodotti a livello cutaneo. In ambiente umido i fagociti e gli enzimi proteolitici presenti sulla lesione
“liquefano” letteralmente il tessuto morto (17) che
viene poi eliminato dai macrofagi. Le medicazioni topiche di cui si parlerà più avanti, ad esempio gli idrogel,
gli idrocolloidi, le schiume e gli alginati hanno anche
questo effetto. Uno dei possibili problemi provocato da
questo tipo di debridement è la macerazione del tessuto sano.
Non tutte le lesioni hanno bisogno di debridement, ad
esempio si può lasciare in sede un’escara sul tallone
(18), se l’escara aderisce alla cute sottostante e se non
c’è infiammazione o drenaggio. Anche la presenza di
insufficienza arteriosa può essere una controindicazione alla toilette chirurgica per problemi nella guarigione
delle lesioni che questa può creare a causa di una scarsa irrorazione dell’area.
Uso di antisettici
Le lesioni croniche non devono essere necessariamente sterili per guarire: spesso queste lesioni hanno
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
un’alta carica batterica (>105) senza presentare segni
di infezione. Anche per le lesioni croniche vale
comunque la regola generale secondo cui in presenza
di una carica batterica >105 microrganismi, la guarigione è ritardata. L’uso di disinfettanti va riservato
alle fasi iniziali di trattamento o in presenza di lesioni
che risultano chiaramente infette o contaminate. L’impiego degli antibiotici topici è sempre un tema di discussione a causa dell’insorgenza di ceppi batterici
resistenti. Anche i disinfettanti considerati più innocui
provocano infatti alterazioni delle condizioni della
lesione: l’acqua ossigenata, ad esempio, distrugge il
50% delle cellule in fase di riepitelizzazione; il Betadine (anche diluito) distrugge il 10% delle cellule in
fase di riepitelizzazione; i disinfettanti a base di
alcool, essiccando la superficie cutanea, ostacolano la
riepitelizzazione (18). I disinfettanti non vanno pertanto usati di routine, ma si deve valutarne l’opportunità di uso rispetto alla sede della lesione ed alle sue
condizioni (ad esempio una lesione sacrale con un
paziente incontinente va disinfettata, ma non necessariamente una lesione trocanterica). I prodotti a base di
iodio e clorexidina hanno comunque un’efficacia elevata senza creare problemi di resistenza.
Le lesioni croniche che non guariscono ed hanno scarso tessuto di granulazione possono indicare un’infezione silente dovuta ad un’alta carica batterica, anche se la
lesione sembra pulita (19).
La scelta del tipo di medicazione (20)
È ormai riconosciuto che un ambiente umido aumenta la
velocità di guarigione anche nelle lesioni croniche (21). Le
medicazioni occlusive, che garantiscono un ambiente
umido (ad esempio a base di idrocolloidi) non si sono
dimostrate così efficaci come sulle lesioni non croniche
(22). Esistono sul mercato numerosi prodotti ma pochi
sono stati sottoposti a valutazioni controllate, pertanto non
tutte le indicazioni fornite derivano da studi controllati.
Tutte le medicazioni riportate (si citano solo quelle
principali) favoriscono la guarigione in ambiente
umido e tra i diversi preparati non sono state dimostrate differenze in termini di efficacia (23).
Pertanto la scelta va fatta tenendo conto delle caratteristiche della lesione, della facilità di uso e, naturalmente,
dei costi. Le principali caratteristiche delle medicazioni
e le indicazioni all’uso sono riportate nella Tabella 1.
Tabella 1. I diversi tipi di medicazione a confronto
Alginati
Schiume
Idrocolloidi
Idrogel
Irofibre
Assorbente
Antibatterico
Debridement
Emostatico
Analgesico
+++
++
++
+
++
++
++
+
+
+++
+++
+
+++
+++
+++
+++
+
Efficacia sui diversi tipi di ulcere
Fibrina
Necrosi
Essudato abbond.
Essudato lieve
Granulazione
Dolore
+++
+++
+++
-
++
+
+++
+++
++
++
+++
+++
+++
+++
++
+++
+++
+
+++
+++
++
+++
+++
-
Effetti avversi
Aderisce alla lesione asciutta
Rischio di odori
Lesioni epidermiche alla rimozione
Perdite
++
+
-
++
+
-
++
+
+
-
++
-
ulcera
no se essuda
molto ess. 3
poco ess. 1-2
margine >2 cm
solo alcuni tipi
1-3
margine >2 cm
no
1-3
ulcera
si
da 2 a 7
margine
si
1-3
Modalità di applicazione
Sede >2 cm
Necessità di medic. secondaria
Frequenza di cambi (alla settimana)
Modificato da Drugs 1998 (20).
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
229
AGGIORNAMENTI
Film semipermeabili
Schiume
Sono medicazioni costituite da un sottile strato di
poliuretano ricoperto da una pellicola permeabile al
vapore ma non ai liquidi ed ai batteri. Vengono utilizzate per proteggere la lesione o come medicazioni
secondarie. Se la lesione essuda, questo tipo di medicazione si distacca facilmente.
Le schiume hanno un effetto simile a quello degli
idrocolloidi anche se sono più assorbenti e più facili da
usare. Non si liquefano sulla lesione (come gli idrocolloidi) e non sono adatte per le lesioni che essudano
molto. I margini adesivi possono provocare irritazione
e disepitelizzazione quando la medicazione viene
rimossa.
Idrocolloidi
Esistono sul mercato diversi tipi di medicazioni a
base di idrocolloidi, alcune completamente occlusive,
altre no. Gli idrocolloidi mantengono un ambiente
umido e facilitano la guarigione della lesione. È preferibile non utilizzarli sulle lesioni infette, perché possono favorire la proliferazione dei microrganismi, né
sulle ulcere ischemiche (vanno preferiti gli idrogel)
(24), sulle ulcere diabetiche necrotiche, a meno che
non siano superficiali (20), e sulle lesioni con abbondante essudato, per evitare la macerazione della cute.
Gli idrocolloidi rimangono in sede anche fino a 5-7
giorni e vanno sostituiti quando la medicazione è satura di essudato.
Idrogel
Questi prodotti hanno una struttura che assorbendo
liquidi perde di viscosità e riesce a mantenere un
ambiente umido. Gli idrogel non sono occlusivi, idratano l’ulcera (avendo pertanto un effetto analgesico) e
possono essere utilizzati per il debridement autolitico,
su tessuto necrotico e fibrina. La capacità di assorbimento è limitata e possono pertanto essere utilizzati su
lesioni a scarsa essudazione.
Alcune note specifiche
Le ulcere diabetiche
Non ci sono indicazioni precise per il trattamento
delle ulcere diabetiche. Una buona assistenza si basa
sull’educazione sanitaria del paziente, che comprende
consigli su come osservare il piede, sull’indossare calzature protettive, sui metodi per eseguire l’igiene, ecc.,
e sui principi generali per la gestione delle lesioni croniche.
L’unico intervento di sicura e documentata efficacia è
lo screening regolare e l’essere seguiti da un ambulatorio dove i pazienti vengono sottoposti a screening per i
deficit dei polsi pedidi ed inviati, in presenza di problemi, a centri specializzati. Nello studio di Mason et al. il
centro, oltre ad insegnare ai pazienti come avere cura
del piede, forniva anche calzature protettive (25). Lo
studio era però di piccole dimensioni e non tale da raccomandare questo trattamento. L’assistenza del centro
si è rivelata utile soprattutto per i pazienti con ulcera
plantare.
Le ulcere venose
Idrofibre
Combinano l’azione degli idrogel e degli alginati, evitando pertanto il rischio di macerazione. A contatto dell’essudato si trasformano in gel.
Alginati
Gli alginati vanno utilizzati solo per le lesioni che
essudano. Quando l’essudato viene a contatto con
questa medicazione avviene uno scambio tra gli ioni
sodio dell’essudato e gli ioni calcio dell’alginato,
formandosi un gel idrofilo e biodegradabile (21).
Quando usati sulle lesioni asciutte, gli alginati possono aderire al letto della ferita e provocare irritazione. La medicazione va cambiata quando impregnata di essudato o dopo 7 giorni: se alla rimozione
è asciutta, per evitare traumatismi alla lesione, la
medicazione va rimossa bagnandola con soluzione
fisiologica (21).
230
Per le ulcere venose continua ad essere vivo il dibattito sui trattamenti. In generale non è stata documentata
l’efficacia di alcun tipo di trattamento topico, salvo le
indicazioni generali sull’ambiente umido.
Sono di documentata efficacia le fasciature elastocompressive, mentre non ci sono dati sufficienti per valutare l’efficacia relativa delle diverse tecniche di fasciatura
(elastiche, anelastiche, bende multistrato) e la somministrazione di pentossifillina orale. Non esistono invece
indicazioni a favore della sulodexide, dei flavonoidi,
dell’aspirina e dei supplementi orali di zinco (27).
I nuovi tipi di medicazione
Tra i prodotti dei quali si sta studiando l’applicazione va citato il derma umano in coltura anche in
combinazione con biopolimeri (colture di fibroblasti, colture di cellule epidermiche autologhe o allogeniche). I risultati sono promettenti anche se le
principali indicazioni sono ancora riservate ai
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
Bibliografia
pazienti ustionati (11,13). Le medicazioni con biomateriali vengono assorbite dal letto della ferita e si
ipotizza possano essere efficaci sulle ulcere croniche, alterando il profilo delle citochine a livello della
ferita (11). I fattori di crescita attraggono le cellule a
livello della lesione e possono stimolare la proliferazione cellulare, favorire l’angiogenesi o la sintesi e
la distruzione della matrice cellulare. L’unico prodotto che ha mostrato una qualche efficacia (nelle
ulcere diabetiche non infette) è il becaplermin (22),
del quale è stato documentato anche il rapporto
costo-efficacia (28). Sia il derma umano in coltura
che i fattori di crescita topici, pur cominciando a
dare qualche risultato interessante, non sono ancora
disponibili su larga scala e sono anche costosi. Inoltre il follow up dei pazienti trattati con fattori di crescita è stato troppo breve per poterne valutare l’effetto a lungo termine (5).
Per gli altri trattamenti GCSF (Granulocyte Colony Stimulating Factor), fattori di crescita per i fibroblasti e per
l’epidermide, gli studi danno risultati interessanti ma non
sufficienti da raccomandarne l’uso, sia per i costi del prodotto che per le modalità di uso (ad esempio i fattori di
crescita vanno applicati in sequenza, ad intervalli, combinando più fattori, con trattamenti individualizzati in
base al comportamento della lesione) (11).
I supplementi nutrizionali, l’elettroterapia, gli
ultrasuoni, la laserterapia a bassa emissione sono
elencati tra i trattamenti di utilità non determinata
(22).▲
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AGGIORNAMENTI
Il metilfenidato nella terapia del disturbo da deficit di
attenzione con iperattività nell’età evolutiva
Classificazione – Sebbene ci sia un consenso nella
comunità scientifica nel definire il Disturbo da Deficit
di Attenzione con Iperattività (ADHD, dall’inglese
Attention- Deficit-Hyperactivity Disorder) nel bambino
come una sindrome caratterizzata dalla triade: iperattività, impulsività e deficit di attenzione-concentrazione,
ampia diversità c’è invece nel valutare la gravità dei
sintomi e nel giudicare la rilevanza clinica delle loro
molteplici manifestazioni. Due sono i criteri diagnostici oggi utilizzati per inquadrare e valutare i sintomi
associati all’ADHD: l’ICD-10 (sistema diagnostico
proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) e
il DSM-IV (proposto dall’American Medical Association). Il primo presenta criteri più restrittivi del secondo, e consente quindi di identificare un numero minore
di bambini: quelli con ADHD di maggior gravità.
Seguendo un’impostazione fondamentalmente gerarchica l’ICD-10 tende infatti ad escludere diagnosi multiple; così, ad es., applicando il DSM-IV, un bambino
potrebbe essere diagnosticato con ADHD e disturbo
della condotta, mentre applicando l’ICD-10 gli verrebbe diagnosticato solo il disturbo di condotta. Ed ancora: per la diagnosi di disturbo ipercinetico, l’ICD-10
prevede la presenza sia di inattenzione che di iperattività e impulsività. Quindi bambini con ADHD con deficit prevalentemente dell’attenzione o di tipo iperattivo/impulsivo vengono considerati sub-clinici secondo
l’ICD-10. Alla scelta del sistema diagnostico da utilizzare, che è condizionata anche da attitudini scientificoculturali (ad es., in Europa si preferisce il primo, negli
USA il secondo), conseguono quindi differenze consistenti nell’iter complessivo diagnostico-terapeutico a
cui il bambino può essere sottoposto.
Eziologia – Numerosi sono i potenziali fattori eziologici associati all’ADHD e tra questi, quelli genetici,
perinatali, psicosociali, ambientali, dietetici, strutturali,
cerebrali e neurobiologici. È per questi ultimi, tuttavia,
che sono disponibili oggi maggiori evidenze circa un
loro ruolo nel caratterizzare le manifestazioni cliniche
dell’ADHD. In particolare, a livello della corteccia
frontale e dei nuclei della base, le cui funzioni sono
modulate da dopamina, noradrenalina e serotonina, in
pazienti con ADHD sono state dimostrate anomalie
strutturali e funzionali del sistema dopaminergico. Il
ruolo della dopamina supporta infatti le manifestazioni
di scarsa attenzione e iperattività, come la serotonina
l’impulsività, e un eccesso di noradrenalina le manife-
232
stazioni di aggressività. Esistono infatti numerose evidenze secondo cui farmaci in grado di modulare i sistemi dopaminergico e noradrenergico sono in grado di
migliorare iperattività, impulsività e attenzione. Non
esiste invece alcuna evidenza di efficacia clinica sui
sintomi dell’ADHD dei farmaci che bloccano il reuptake della serotonina (SSRI).
Prevalenza – Sebbene l’ADHD sia ritenuto, a livello
internazionale, uno dei più frequenti problemi comportamentali dell’età evolutiva, le stime della prevalenza
variano considerevolmente (1-24%) a seconda del contesto geografico e sociale, dell’età e del sesso della
popolazione osservata, dei criteri diagnostici utilizzati
e dall’esperienza degli operatori (come esempio del
“puzzle” si vedano le Tabelle 1 e 2).
Indipendentemente dall’età di insorgenza dell’ADHD, anche presunta, il bambino arriva all’osservazione dello specialista solo in età scolare: sono proprio gli insegnanti che segnalano l’anomalo comportamento dell’alunno nel contesto scolastico. A casa e
nelle relazioni famigliari invece le difficoltà risultano
meno evidenti, anche se non scompaiono del tutto. I
sintomi sono quindi facilmente influenzati dall’ambiente in cui il bambino si trova.
L’ADHD è più frequente nei maschi che nelle femmine (rapporto 5-9/1).
A tutt’oggi in Italia sono stati condotti tre studi epidemiologici formali che, utilizzando un questionario sottoposto ad insegnanti di scuola elementare, hanno evidenziato una prevalenza di ADHD nella popolazione
scolastica del 4%. Tuttavia, questi studi soffrono di
numerosi limiti metodologici (ad es. sono esclusivi
delle regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna;
sono distribuiti in un arco temporale di sette anni; solo
alcune centinaia di bambini sono stati coinvolti, e solo
di alcune classi d’età; i criteri diagnostici utilizzati
sono differenti; ecc.) che rendono i risultati inutilizzabili per qualunque inferenza o generalizzazione.
Diagnosi – Non disponendo di misurazioni biologiche per l’ADHD, la diagnosi è basata su criteri clinici
di valutazione dei sintomi comportamentali. Essendo
questi ultimi una pletora (le difficoltà diagnostico-differenziali sono numerose, così come differenti possono essere le valutazioni dei singoli operatori), sono
stati stilati appositi protocolli diagnostici che prevedono, oltre alla visita medica e neurologica, all’esame
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
psichico e alla valutazione delle capacità cognitive e di
apprendimento del bambino, anche un’intervista strutturata ai genitori e agli insegnanti, ed eventualmente
anche ad altri adulti con cui il bambino ha rapporti
relazionali prolungati. In tale contesto, risulta quindi
essenziale l’esperienza dell’operatore che si prende
cura di un bambino con sospetto ADHD, proprio a partire dall’inquadramento diagnostico, che necessita di
più di un incontro per essere correttamente effettuato.
Nell’ambito del SSN, sono i servizi (o U.O.) locali di
Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva che, in concerto
con i servizi scolastici e sociali e con i pediatri di
famiglia, dovrebbero essere i referenti per la gestione
del bambino con (sospetto) ADHD e della sua famiglia. Per quanto concerne il ruolo del pediatra di
famiglia, i risultati di un recente studio, a cui hanno
partecipato 56 pediatri dell’ASL di Torino, hanno evidenziato una disomogenea percezione, e conseguente
comportamento gestionale, dei disturbi del comportamento tra i propri assistiti, con una scarsa attitudine
a gestire autonomamente i casi giunti alla loro attenzione.
Terapia – Due sono le modalità terapeutiche per
l’ADHD: farmacologica, con psicostimolanti; comportamentale, con vari interventi psicosociali. Anche per
quanto concerne gli approcci terapeutici vi sono differenze tra Europa e USA. In Europa, dove la prescrizione è più ristretta anche per normative regolatorie, le
linee-guida prevedono inizialmente interventi psicosociali (modifiche comportamentali, terapia cognitiva,
terapia di famiglia, ecc.). Negli USA invece prevale sin
dall’inizio l’indicazione per il trattamento farmacologico. In entrambi gli approcci risulta tuttavia ampia la
variabilità per quanto concerne la durata della terapia,
l’osservazione, il tasso di efficacia e i criteri utilizzati
per la sua stima, ecc.
Il metilfenidato, uno psicostimolante che aumenta il
rilascio e il reuptake della dopamina, rappresenta oggi
il farmaco di scelta per l’ADHD.
Farmacocinetica-farmacodinamica - Nei bambini,
il picco delle concentrazioni ematiche è raggiunto
dopo circa 2 ore dalla somministrazione orale, con una
durata di azione di 1-4 ore e una emivita di 2-3 ore. La
relazione dose/risposta del farmaco è molto variabile,
ed è associata alla fase di incremento dei livelli ematici del farmaco, così che il dosaggio deve essere individualizzato. Nei paesi in cui il farmaco è in commercio,
è disponibile in compresse da 5-10-20 mg; negli USA
anche in capsule a rilascio lento da 20 mg. In considerazione del profilo cinetico e dinamico è necessario
somministrare più dosi giornaliere. In genere si inizia
con un dosaggio di 5 mg per due volte al giorno, che
può essere poi incrementato fino a 60 mg/die in 2-3
somministrazioni. Alla sospensione, alcuni bambini
possono mostrare un effetto rebound con esacerbazioBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
ne dei disturbi comportamentali. Tale effetto può essere prevenuto con uno schema terapeutico che preveda
un dosaggio maggiore al mattino seguito da dosi inferiori durante la giornata, o usando formulazioni a rilascio controllato.
Efficacia clinica - I risultati di studi clinici controllati hanno evidenziato che la somministrazione del
metilfenidato è efficace in circa il 70% dei bambini
con ADHD. La comparsa dell’effetto del farmaco è
rapida; a volte è possibile notare miglioramenti già
dal primo giorno di somministrazione. Una settimana
di trattamento è in genere sufficiente per ottenere
benefici valutabili anche in ambito scolastico:
aumento dell’attenzione, della capacità di portare a
termine i compiti assegnati e dell’organizzazione
della scrittura, oltre ad una riduzione dell’impulsività, della distrazione e delle interazioni interpersonali
conflittuali. Negli studi finora condotti è stato notato
che la stessa dose di metilfenidato può tuttavia produrre nei diversi bambini con ADHD cambiamenti in
positivo, in negativo o nulli, in base al metodo di
valutazione usato. Questo paradosso evidenzia l’eterogeneità delle misure finora utilizzate nelle sperimentazioni cliniche, che vanno da una soggettiva percezione di miglioramento da parte dei genitori, a
valutazioni cliniche ambulatoriali, fino all’analisi del
rendimento scolastico del bambino. Bisogna inoltre
considerare che circa il 20-30% dei bambini con
ADHD non risponde al metilfenidato. Questi bambini risponderebbero invece al trattamento con amfetamina. I fattori che sembrano limitare l’efficacia del
farmaco sono: la predominanza di ansia e depressione nel quadro sintomatologico (sintomi che nei bambini con ADHD il metilfenidato migliora), la concomitanza di lesioni organiche e neuroevolutive, e la
presenza di condizioni socioeconomiche ed ambientali sfavorevoli. Tutti questi elementi riconducono
anche alla difficoltà ed eterogeneità della definizione
diagnostica di questa sindrome. Mentre l’efficacia
nel breve periodo è ben documentata, pochi sono stati
finora gli studi che hanno analizzato gli effetti a
lungo termine del metilfenidato. I risultati ottenuti
sono piuttosto scoraggianti in quanto non hanno evidenziato nei pazienti trattati un miglior inserimento
sociale o il raggiungimento di più alti livelli di scolarità rispetto ai controlli. Ne consegue che le evidenze
a tutt’oggi disponibili supportano l’uso del farmaco
solo per un periodo di breve durata e nell’ambito di
una terapia non solo farmacologica.
Effetti indesiderati ed interazioni - Un’attenta valutazione degli effetti indesiderati richiede la separazione di questi ultimi dai sintomi propri della sindrome,
che in molti casi sono sovrapponibili. I più comuni
effetti avversi del metilfenidato sono: diminuzione
dell’appetito, perdita di peso e dolore addominale.
233
AGGIORNAMENTI
Meno comuni sono: cefalea, irritabilità, insonnia,
ansia e propensione al pianto. Rare, seppur documentate, sono la neutropenia e l’eosinofilia. A causa di
questi effetti collaterali è stato suggerito che nelle
visite di follow-up ai bambini con ADHD venga monitorato il peso corporeo. I bambini più piccoli (<6 anni)
ed i pazienti con ritardo mentale sembrano essere più
a rischio d’insorgenza di eventi avversi. Il metilfenidato può interferire con l’effetto dei farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale (sedativi, anticonvulsivanti ed antidepressivi). Richiede inoltre cautela
l’uso concomitante di decongestionanti nasali che
contengono stimolanti (quali la pseudoefedrina), poiché l’effetto additivo può dar luogo a tachicardia e
palpitazioni.
Recentemente, il britannico NICE (National Institute
for Clinical Exellence) ha raccomandato l’uso del
metilfenidato nelle forme gravi di ADHD, nell’ambito
di un programma terapeutico che comprenda anche
interventi sociali, psicologici e comportamentali. Nelle
condizioni in cui programmi psicoeducativi specifici
non fossero disponibili, è previsto il ricorso al trattamento con metilfenidato che è attualmente la terapia
farmacologica più efficace per l’ADHD. La stessa istituzione ha inoltre ribadito che l’ADHD va gestito da
neuropsichiatri infantili o da pediatri con provata esperienza nella gestione dei disturbi comportamentali ed in
stretta collaborazione con i genitori e gli insegnanti del
bambino.
Prognosi - Per quanto concerne l’evoluzione clinica
della sindrome, sebbene questa tenda a ridursi al crescere dell’età, evidenze circa la persistenza e le carat-
234
teristiche delle sue manifestazioni sono quanto mai
deficitarie in considerazione dell’esiguità degli studi di
follow-up sinora condotti. Così, le segnalazioni americane e inglesi che indicano nell’ADHD un fattore di
rischio per una patologia psichiatrica o per un comportamento sociale nell’età adulta necessitano di ulteriori
validazioni, anche in contesti sociali ed assistenziali
differenti.
Considerazioni conclusive
Le conoscenze disponibili sulla epidemiologia clinico-assistenziale (e perciò anche sul ruolo complessivo
dei trattamenti farmacologici) dell'ADHD sono tuttora
controverse, per il sommarsi delle tante aree di incertezza sopra discusse. Due strategie complementari
devono essere attivate, in una logica di stretta collaborazione tra i diversi attori (responsabili istituzionali,
specialisti, pediatri di libera scelta, famiglie, scuole):
a) una campagna di informazione capace di rendere
tutti coscienti che il problema dell'ADHD è un'area
non di facili soluzioni farmacologiche, ma di ricerca
collettiva, culturale e sanitaria;
b) un programma di sorveglianza (epidemiologica, non
solo farmacologica) che permetta di accompagnare
l'attivazione dei percorsi assistenziali che saranno
adottati per l'ADHD con una raccolta ben programmata di dati essenziali, indispensabili per garantire
che questo capitolo così poco esplorato (specialmente in Italia) coincida effettivamente con la migliore
fruizione dei diritti di cura dei portatori di bisogni, e
non semplicemente con l'ampliamento di prestazioni
sanitarie.▲
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
Tabella 1. Frequenza di ADHD/HKD (hyperkinetic disorder).
Swanson JM et al. Attention-deficit hyperactivity disorder and hyperkinetic disorder.
Lancet 1998;351:429-33.
Diagnosi comportamentale (scale di valutazione, intervista non medica, bassa soglia)
Autore
Satin et al. 1985
Shekim et al. 1985
Shaywitz 1987
Velez et al. 1989
Bhatia et al. 1991
Taylor et al. 1991
Baumgardner 1995
Wolraich et al. 1996
Criteri
DSM-III ADD/H
DSM-III ADD/H
DSM-III ADD/H
DSM-III-R ADHD
DSM-III ADD/H
DSM-III ADD/H
DSM-IV ADHD
DSM-IV ADHD
Nazione
Età (anni)
US
US (MO)
US (CT)
US (NY)
India
UK (Londra)
Germania
US (TN)
6-9
9
10
9-12
3-12
6-8
5-11
5-11
Sesso
M
M/F
M/F
M/F
M/F
M
M/F
M/F
Frequenza
24%
12%
23%
17%
11%
17%
18%
11%
Diagnosi psichiatrica DSM (anche forme “semplici”, co-morbidità ammessa)
Autore
Satin et al. 1985
Anderson et al. 1987
Offord et al. 1987
Bird 1988
Taylor et al. 1991
Leung et al. 1996
Criteri
DSM-III ADD/H
DSM-III ADD
DSM-III ADD/H
DSM-III ADD/H
DSM-III ADD/H
DSM-III R ADHD
Nazione
Età (anni)
US
Nuova Zelanda
Canada
Puerto Rico
UK
Hong Kong
6-9
11
4-16
4-16
6-8
7
Sesso
M
M/F
M/F
M/F
M
M
Frequenza
8%
7%
6%
9%
5%
9%
Diagnosi psichiatrica ICD-9 (criteri stringenti, co-morbidità non ammessa)
Autore
Gillberg 1983
Esser 1990
Esser 1990
Taylor et al. 1991
Leung et al. 1996
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
Criteri
ICD-9
ICD-9
ICD-9
ICD-9
ICD-9
HKD
HKD
HKD
HKD
HKD
Nazione
Svezia
Germania
Germania
UK
Hong Kong
Età (anni)
5-12
8
13
7
7
Sesso
M
M/F
M/F
M
M
Frequenza
2%
4%
2%
2%
1%
235
AGGIORNAMENTI
Tabella 2. Prevalenza dell’ADHD. Elia J et al. Treatment of Attention-Deficit-Hyperactivity Disorder.
NEJM 1999;340:780-8.
Studio
Campione
e dimensioni
Età
% di
prevalenza
dell’ADHD
Rapporto
maschi/femmine
Condizione coesistente
ODD
o CD
Anni
11
%
Problemi
scolastici
47
24,6
15
Non
disp.
37,5
22
4
Non
disp.
Più del 50% di bambini con
ODD presentava anche ADHD
Età 411:39,
Età 1216: 46
Non
disp.
Non
disp.
Non
disp.
Tra i bambini di 4-11 anni, la
prevalenza di ADHD
senza disturbi coesistenti era doppia
rispetto a CD, mentre tra i ragazzi di
12-16 anni CD senza disturbi coesistenti era due volte più frequente di
ADHD. La percentuale di maschi
affetti da CD era maggiore di quella
delle femmine.
Solo maschi
45
Non
disp.
Non
disp.
56
3
2:1
23
1
3,6
Non
disp.
13,1
8,9
6
2:1
2:1
1:1
50
23
15,6
Non
disp.
Non disp.
21
17-27
17-27
Non
disp.
33-42
22-42
22-42
Non
disp.
Non
disp.
Non
disp.
Non
disp.
Non
disp.
23
75
4,2
1,6
5,1:1
Popolazione generale
non selezionata (Nuova
Zelanda, n = 792)
Bird et al.
Indagine Territoriale
(Porto Rico,
n = 843)
4-16
9,5 Più maschi che femmine soffrivano di
ADHD
Szatmari et al.
(3)
Indagine territoriale
urbana e rurale (Canada, n = 2674)
4-16
6,1
2,7:1
Taylor et al.
Campione scolastico
(Newham Borough,
Londra
n = 3215)
6-8
1,7
Fergusson et al.
(5)
Coorte di nascita
(Nuova Zelanda,
n = 1000)
15
Cohen et al.
Campione territoriale
(Stato di New York)
n = 544
n =508
n =446
10-13
4-16
17-20
McConaughy,
Achenbach
Popolazione generale
(campione nazionale
statunitense vs campioni clinici, n = 2705)
4-18 Popolazione generale:
6-7
Popolazione clinica:
29-41
Baunagærtel et
al.
Indagine scolastica,
urbana e rurale (Germania,
n = 1077)
5-12 Criteri del
DSM-III e
del DSMIII R, 9,6
Criteri del
DSM IV,17,8
6,7
Sottotipo HI, 5:1
Sottotipo AD, 2:1
Shaffer et al.
Bambini selezionati a
random (Stati Uniti,
n = 8258)
9-17
4,9
Non disp.
Wolraich et al.
(10)
Alunni di scuola elementare (Tennessee,
n = 8258)
5-10 Criteri del
DSM III-R,
7,3
Criteri del
DSM-IV,
11,4 Sottotipo HI, 5,4
Sottotipo
AD, 2,4
Sottotipo
misto, 3,6
Non disp.
6-10
Non disp.
Campione scolastico
(Minnesota, n = 7231)
Depressione
Per cento
Anderson et al.
(1)
August et al.
Ansia
4,4
50
7
Non
disp.
80
23
ODD,
12
CD,4
Non Non furono riscontrati casi di
disp. depressione maggiore. La distimia si presentava prevalentemente nei bambini con disturbi
comportamentali multipli.
Note: ADHD, indipendentemente dal sottotipo, si verificava con maggiore frequenza tra i maschi e tra i bambini più piccoli e tra i bambini presi in esame in ambiente clinico. Studi territoriali indicano che il disturbo opposizionale e disturbi della condotta sono i principali disturbi coesistenti con maggiore prevalenza tra i bambini più grandi e in quelli con il sottotipo di ADHD di tipo prevalentememnte iperattivo-impulsivo. Problemi scolastici si presentavano per lo più con il sottotipo con deficit di attenzione. ODD denota disturbo opposizionale, CD disturbo della condotta, Non disp. Informazione non disponibile, DSM Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, DSM
III, la terza edizione del DSM, DSM III-R la terza edizione rivista del DSM-III, la DSM-IV la quarta edizione del DSM, HI, sottotipo prevalentemente impulsivo – iperattivo, AD, sottotipo prevalentemente con deficit di attenzione.
236
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
DALLA LETTERATURA
Temi di rilevante interesse dibattuti nel 2001
Ogni anno gli Editori di Journal Watch scelgono gli argomenti che ritengono più significativi in campo medico nell’anno
appena trascorso, in base alla rilevanza che tali argomenti rappresentano per le cure primarie, al fatto che costituiscono
elementi basilari per la medicina e all’interesse sollevato tra l’opinione pubblica. In generale, i vari argomenti emergono
da una serie di pubblicazioni sullo stesso tema, anche se talvolta un singolo studio può apparire già di per sé degno di grande attenzione. Journal Watch è una rivista quindicinale, pubblicata dalla Massachussets Medical Society (la stessa che pubblica The New England Journal of Medicine ed AIDS Clinical Care), progettata per aiutare i medici ad aggiornarsi sui
principali progressi della ricerca clinica. La rivista riporta infatti, con regolarità e tempestività, sintesi di studi clinici
apparsi nelle principali riviste mediche, aggiungendo alla fine di ognuno il commento di un esperto.
Nel corso dell’ultimo periodo del
2001, una malattia infettiva è venuta prepotentemente alla ribalta negli
Stati Uniti, destando vivissime
preoccupazioni, allorché, nell’arco
di due mesi, circa due dozzine di
persone dell’East Cost hanno sviluppato antrace cutaneo o polmonare. Casi di antrace polmonare non
venivano segnalati negli Stati Uniti
da oltre 20 anni e gli ultimi apparsi
sono stati, per la maggior parte,
ricondotti all’invio intenzionale di
posta contenente spore batteriche.
Da parte dei Centers for Disease
Control (CDC) sono state aggiornate, in alcuni casi con qualche contraddizione, le indicazioni sulla
malattia, con descrizione dei casi e
raccomandazioni sulle modalità di
profilassi e di terapia.
Una revisione dei primi dieci casi
di antrace polmonare ha evidenziato un tempo medio di incubazione
di quattro giorni (quando si è potuto determinare); i sintomi iniziali
erano aspecifici: febbre, sudorazione, brividi e tosse non produttiva;
raramente si è manifestata rinorrea
(diversamente dalla sua presenza in
molti pazienti con influenza incipiente) (1), mentre erano comuni
dispnea e nausea o vomito.
All’RX del torace sono stati osservati allargamento del mediastino in
7 pazienti su 10, effusione pleurica
in 8 ed infiltrati polmonari in 7 (in
contrasto con ciò che tradizionalmente si riteneva, e cioè che la
malattia polmonare non provocasse
infiltrati). Il tasso di mortalità tra i
pazienti con antrace polmonare è
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
stato del 40%; nessun paziente con
forma cutanea è deceduto (2).
I test di sensibilità hanno evidenziato che i pazienti erano uniformemente sensibili a penicilline, chinoloni, doxiciclina, rifampicina e clindamicina, ma non alle cefalosporine
o al trimetoprim-sulfametossazolo.
Da parte dei CDC è stato suggerito
di trattare l’antrace con combinazioni di ciprofloxacina o doxiciclina e
uno o due tra gli altri farmaci attivi.
Poiché il Bacillus anthracis contiene
geni che codificano ß-lattamasi
inducibili, le penicilline non dovrebbero essere prese in seria considerazione per il trattamento. Per la profilassi dopo esposizione certa, è stato
raccomandato un trattamento di 60
giorni a base di ciprofloxacina o di
doxicilina. Data la bassa carica batterica dopo esposizione subclinica,
gli esperti affermano che anche le
penicilline, se necessario, possono
essere utilizzate a scopo profilattico.
La ciprofloxacina è stata preferita
per la profilassi in gravidanza (3-6).
Anche dopo che la minaccia dell’antrace si è ridotta, il Paese è rimasto del
tutto consapevole della potenziale
minaccia di malattie infettive, in particolare della possibilità che il vaiolo possa
diventare la prossima arma biologica.
Bibliografia
1. Antrace
1. Considerations for distinguishing
influenza-like illness from inhalational anthrax. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2001;50:984-6.
2. Jernigan JA et al. Bioterrorismrelated inhalational anthrax: the
first 10 cases reported in the United
States.
Emerg
Infect
Dis
2001;7:933-44.
3.
4.
5.
6.
Update: Investigation of anthrax
associated with intentional exposure
and interim public health guidelines,
October 2001. MMWR Morb Mortal
Wkly Rep. 2001;50:889-93.
Recognition of illness associated
with the intentional release of a biologic agent. MMWR Morb Mortal
Wkly Rep 2001;50:893-7.
Update: Investigation of bioterrorism-related anthrax and interim guidelines for exposure management
and antimicrobial therapy, October
2001. MMWR Morb Mortal Wkly
Rep 2001;50:909-19.
Updated recommendations for antimicrobial
prophylaxis
among
asymptomatic pregnant women after
exposure to Bacillus anthracis.
MMWR Morb Mortal Wkly Rep
2001;50:960.
2. Progressi nel campo della sindrome da risposta infiammatoria
sistemica e della sepsi
Gli sforzi per migliorare gli esiti a
favore di pazienti con sepsi o con
sindrome da risposta infiammatoria
sistemica (SIRS) sono risultati in
gran parte deludenti. Nell’anno
appena trascorso, abbiamo imparato che alcuni interventi ampiamente
utilizzati servono a ben poco, ma
che esistono anche alcune strategie
promettenti.
Vediamo innanzitutto gli interventi inutili. Ai pazienti con SIRS e disfunzione renale precoce è di frequente somministrata dopamina a
basse dosi, che dovrebbe servire a
prevenire un’insufficienza renale
conclamata. In uno studio randomizzato, 328 pazienti con SIRS e
iniziale disfunzione renale sono
237
DALLA LETTERATURA
238
insulina per endovena (così da mantenere la glicemia tra 80 e 110
mg/dL) oppure al trattamento convenzionale (l’infusione di insulina
veniva iniziata qualora la glicemia
fosse superiore a 215 mg/dL). La
mortalità intra-ospedaliera è risultata significativamente più bassa nel
gruppo sottoposto a terapia insulinica intensiva (7,2% vs 10,9%); tale
differenza è stata attribuita a una
minore mortalità da insufficienza
organica multipla con infezione
accertata.
Questi tre ultimi interventi non
sono certo soluzioni magiche e la
loro applicazione alla pratica clinica
sarà sicuramente problematica perché le popolazioni indagate erano
particolarmente selezionate. Tuttavia, queste ricerche rappresentano
contributi importanti. Per quanto
concerne la dopamina, un editorialista ha concluso affermando che “è
tempo di smettere di impiegarla a
scopo preventivo: non vi è giustificazione di usare la “dose renale” di
dopamina nel paziente in condizioni
particolarmente critiche”.
Bibliografia
stati suddivisi in due gruppi, uno
trattato con basse dosi di dopamina,
l’altro con placebo (1,2). Il gruppo
dopamina non ha mostrato di presentare condizioni migliori del
gruppo placebo in termini di picco
di concentrazione serica di creatinina (outcome primario), di necessità
di trattamento sostitutivo, di diuresi
oraria, di durata di ricovero in unità
di cura intensiva, di mortalità (43%
dopamina - 40% placebo) e di altri
outcome secondari.
Ora una nota più ottimistica. In
uno studio randomizzato, 1.690
pazienti con grave sepsi sono stati
sottoposti a un’infusione per 4 giorni di proteina C attivata ricombinante oppure di placebo (3). Lo studio era stato progettato in quanto i
livelli di proteina C attivata, che è
dotata di proprietà antitrombotiche
ed antinfiammatorie, appaiono
ridotti nei pazienti con sepsi. A 28
giorni, la mortalità si è dimostrata
significativamente più bassa nel
gruppo dei trattati con proteina C
(24,7% vs 30,8%), anche se la terapia con tale sostanza era associata a
una più alta incidenza di grave sanguinamento (3,5% vs 2%). La proteina C attivata ricombinante è stata
recentemente autorizzata al commercio da parte della FDA.
In un altro studio randomizzato, è
stata valutata una terapia tempestivamente mirata su 263 pazienti
ricoverati per SIRS in un reparto di
pronto soccorso (4). Metà dei
pazienti fu trattata già nel pronto
soccorso secondo un protocollo che
prevedeva l’impiego di liquidi specifici e di farmaci vasoattivi al fine
di raggiungere gli obiettivi emodinamici specifici misurabili; l’altra
metà fu sottoposta al trattamento
standard. La terapia precocemente
instaurata nel reparto di pronto soccorso è stata associata ad una mortalità intra-ospedaliera significativamente più bassa (31% vs 47%).
Da ultimo, un risultato sorprendente è emerso da uno studio randomizzato su 1.548 pazienti ricoverati in una unità di terapia intensiva
chirurgica, la maggior parte dei
quali sottoposti a intervento cardiaco (5). Anche se i pazienti erano per
la gran parte non diabetici, furono
sottoposti a somministrazione di
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3. Nel GERD, meglio la chirurgia o
la terapia medica?
Giudicando dalla voluminosa letteratura prodotta sulla malattia da
reflusso gastroesofageo (GERD) e
dalla pubblicità onnipresente sui farmaci acido-soppressori, sembrerebbe di essere nel cuore di un’epidemia
di tale patologia. Nel 2001, i risulta-
ti di uno studio a lungo termine che
ha confrontato l’intervento di fundoplicatio in aperto secondo la tecnica
di Nissen con la terapia medica
hanno attirato una notevole attenzione (1). Alla fine degli anni ‘80, ricercatori americani avevano randomizzato 247 pazienti con GERD complicato da sottoporre a terapia medica o chirurgica. In media 10 anni
dopo, la maggioranza dei pazienti
ancora viventi era disponibile ad un
follow-up. Anche se la sintomatologia riportata è apparsa minore nel
gruppo chirurgico rispetto a quello
medicalmente trattato, il 62% dei
pazienti sottoposti ad intervento
operatorio utilizzava ancora regolarmente farmaci antireflusso (rispetto
al 92% dei pazienti non chirurgici).
Inoltre, il 16% dei pazienti chirurgici aveva subito un secondo intervento antireflusso, e il 14% era stato
trattato per stenosi. In confronto, il
10% dei pazienti sottoposti a terapia
medica aveva subito una fundoplicatio e l’8% era stato trattato per stenosi. Inaspettatamente, la mortalità è
risultata significativamente più alta
nel gruppo sottoposto a chirurgia
rispetto a quello trattato medicalmente (40% vs 28%); il motivo di
questo eccesso di mortalità non è
chiaro, e nessun decesso è stato
direttamente correlato alla chirurgia.
Un editorialista (non un chirurgo,
ma un gastroenterologo) ha concluso che “i dogmi basilari delle argomentazioni a favore della chirurgia
– persistenza della patologia, prevenzione del cancro, liberazione
dall’utilizzo di farmaci antisecretori – sono stati tutti messi in discussione” da questo studio (2).
Il panorama della terapia del
GERD è cambiato dal tempo in cui
questo studio è iniziato più d’una
decina di anni fa. Dal punto di vista
della terapia medica, molti pazienti
hanno abbandonato gli anti-H2 a
favore degli inibitori della pompa
protonica, più potenti dei precedenti.
Dal lato chirurgico, la fundoplicatio
laparoscopica sta guadagnando in
popolarità. Tuttavia, anche se le procedure laparoscopiche riducono le
degenze in ospedale, non si dimostrano più efficaci dell’intervento in
aperto nell’alleviare i sintomi della
GERD. Non esiste quindi motivo
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
DALLA LETTERATURA
Bibliografia
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4. Carcinoma gastrico ed Helicobacter pylori: relazione confermata
Nel commentare una ricerca sulla
possibile correlazione fra H pylori e
carcinoma gastrico, un editorialista
ha concluso affermando che, se i
risultati di studi recenti verranno
confermati, i medici potrebbero
giungere a considerare tale organismo come qualcosa di analogo al
tabacco quale agente cancerogeno.
Questa conclusione si basa, in
parte, sui risultati di uno studio di
coorte prospettico su 1.526 pazienti
giapponesi con ulcera gastrica o
duodenale, iperplasia gastrica, dispepsia non ulcerosa, seguiti, in
media, per 7,8 anni (1,2). Nel
momento dell’arruolamento, 1.246
pazienti presentavano infezione da
H pylori, confermata mediante
risposta positiva attuata per via istologica, sierologica, o con i test dell’ureasi. Nessun paziente H pylori
negativo ha sviluppato cancro
gastrico, osservato invece nel 2,9%
dei pazienti H pylori positivi. Nessun caso di cancro gastrico è insorto nei 275 pazienti con ulcere duodenali o nei 253 pazienti con infezioni da H pylori sottoposti a terapia di eradicazione. Il follow-up è
risultato più breve nei pazienti sottoposti a trattamento eradicante
(media, 4,8 anni).
Questi risultati indicano chiaramente che l’infezione da H pylori è
un fattore di rischio significativo di
cancro gastrico in una popolazione
ad alto rischio per tale forma neoplastica. Ma, anche se gli editorialisti sono corretti, e l’H pylori “non è
un buon organismo, dopo tutto”,
non è del tutto chiaro quale debba
essere la risposta clinica appropriata. I dati sull’eradicazione derivati
da questo studio osservazionale non
sono sufficienti per dimostrarne il
beneficio. Riuscirà l’eradicazione a
ridurre l’incidenza delle neoplasie
gastriche, in particolare nelle popolazioni con bassa prevalenza di tale
patologia? I risultati di altri studi
hanno suggerito che l’H pylori
potrebbe proteggere nei confronti
del reflusso e del cancro esofageo:
la sua eradicazione non potrebbe
ridurre l’incidenza di una neoplasia
aumentando quella di un’altra?
L’infezione da H pylori in pazienti
con ulcere duodenali non ha conferito rischi di cancro gastrico - perché no? L’ infezione da H pylori è
spesso asintomatica, anche se i
pazienti in questo studio di coorte
erano sintomatici: lo screening per
H pylori dovrebbe essere condotto
in una popolazione generale?
I risultati di questo singolo studio
di coorte hanno confermato la correlazione tra H pylori e tumore
gastrico. Ulteriori indagini sono
necessarie per determinare come
questa informazione potrebbe trovare applicazione nella cura del
paziente.
Bibliografia
fortemente convincente per ritenere
che un confronto di lunga durata fra
le attuali terapie mediche e chirurgiche potrebbe concludersi a favore
della chirurgia. Tra l’altro, le riserve
dell’editorialista sul fatto che l’intervento chirurgico prevenga il tumore
esofageo sono sostenute da un
nuovo studio svedese di lunga durata e basato sulla popolazione (3).
Infine, ulteriori approcci alla
GERD sono all’orizzonte. Almeno
tre tipi di trattamenti endoscopici –
energia di radiofrequenza alla giunzione gastroesofagea (4), suturazione endoscopica (5) e impianto di
microsfere di plexiglas a livello submucosale (6) - sono stati descritti
recentemente in studi di breve durata non controllati. Queste procedure
non dovrebbero tuttavia essere
prese in considerazione fino a che
non si avranno dati attendibili sulla
loro efficacia e sicurezza a lungo
termine.
1. Uemura N et al. Helicobacter
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5. La Preventive Services Task
Force degli Stati Uniti (USPSTF*)
lancia una nuova serie di lineeguida di prevenzione
Gli standard delle cure mediche
sono sempre più influenzati dalle
cosiddette “linee-guida della pratica clinica”. Negli Stati Uniti, su iniziativa di singoli organismi - organizzazioni professionali, specialisti,
gruppi promotori, società di assicurazioni ed enti governativi – vengono pubblicate linee-guida; non deve
pertanto sorprendere se alcune sono
in conflitto con altre.
L’USPSTF ha cominciato a riunirsi negli anni ‘80 per elaborare lineeguida di medicina preventiva a partire da una prospettiva di imparzialità, basata su prove documentali.
Nel 1989 e nel 1996, tale organismo
ha pubblicato la prima e la seconda
edizione della sua Guide to Clinical
Preventive Services.
Nel 2001, è stata annunciata la
comparsa della terza edizione del
libro. Questa volta, tuttavia,
* L’U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF) è un organismo costituito negli Stati Uniti dal Public Health Service con il compito di formulare raccomandazioni per gli operatori sanitari sull’uso appropriato degli interventi di prevenzione.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
239
DALLA LETTERATURA
1
pazienti; i clinici americani dovrebbero prestare più attenzione alle sue
raccomandazioni. Le raccomandazioni di tale organismo sono gratuitamente accessibili nel sito Internet
http://www.ahrq.gov/clinic/uspstfix. htm#review. Le linee-guida su
lipidi, clamidia, vaginosi batterica e
cancro della pelle sono state anche
pubblicate in un supplemento del
numero di aprile 2001 dell’ American Journal of Preventive Medicine, mentre un articolo di fondo sulla
capacità uditiva del neonato è comparso sul numero di JAMA di ottobre 2001 (2).
Bibliografia
l’USPSTF sta pubblicando singole
linee-guida, mano a mano che ciascuna è completata da gruppi di
esperti. Finora, sono comparse cinque nuove linee-guida, che riguardano lo screening dei disordini lipidici, l’infezione da clamidia, la
vaginosi batterica in gravidanza, il
cancro della pelle, la capacità uditiva nei neonati.
Dal momento che l’USPSTF è, in
un certo senso, più “neutrale” delle
società di specialisti e di organizzazioni di patrocinio, le sue lineeguida talora riflettono un approccio
meno aggressivo allo screening
rispetto ad altri gruppi. Le nuove
linee-guida per lo screening lipidico illustrano questo aspetto.
L’USPSTF raccomanda che lo
screening sistematico dei lipidi
negli adulti abbia inizio, negli
uomini, a 35 anni e, nelle donne, a
45 anni (uno screening più anticipato è suggerito in caso di soggetti
con fattori di rischio coronarico).
Oltre a ciò, il gruppo di esperti raccomanda che lo screening sistematico debba includere il colesterolo
totale ed il colesterolo HDL, ma
non i trigliceridi.
Il National Cholesterol Education Program (NCEP), che è l’organo di riferimento delle lineeguida sul colesterolo più ampiamente citate, raccomanda invece
lo screening sistematico con un
profilo lipidico completo a digiuno (trigliceridi compresi), a partire dai 20 anni. Anche il NCEP nel
2001 ha provveduto ad aggiornare le proprie linee-guida sul colesterolo (1).
I critici possono sostenere che
l’USPSTF, esigendo documentazioni qualitative estremamente probanti, può non approvare alcuni
interventi che hanno senso sul
piano intuitivo. Tuttavia, le persone
razionali spesso non sono d’accordo su che cosa è sensato sul piano
intuitivo.
L’USPSTF fornisce un modello
importante per indirizzare tempo e
risorse su quegli interventi che è
molto probabile siano di utilità per i
1. Executive Summary of The Third
Report of The National Cholesterol
Education Program (NCEP) Expert
Panel on Detection, Evaluation,
And Treatment of High Blood Cholesterol In Adults (Adult Treatment
Panel III). JAMA 2001;285:248697.
2. Thompson DC et al. Universal newborn hearing screening: summary of
evidence. JAMA 2001;286:2000-10.
6. Antibiotici per infezioni acute
delle vie respiratorie superiori:
nuove linee-guida
L’eccessivo ricorso agli antibiotici nel trattamento delle infezioni
respiratorie contribuisce all’aumento dell’incidenza di resistenze
batteriche. Anche se solo il 17%
(o meno) delle faringiti degli
adulti è causato da streptococchi
β-emolitici del gruppo A, un’indagine nazionale1 ha evidenziato
che al 73% degli adulti con mal di
gola erano prescritti antibiotici
(1). Un altro studio ha documentato un eccessivo impiego di antibiotici di seconda scelta, costosi,
per la sinusite (2).
Nel corso del 2001, da parte dei
Centers for Disease Control (CDC)
è stato riunito un comitato di esperti per produrre linee-guida pratiche,
basate su documentazioni probanti,
per l’impiego degli antibiotici nelle
infezioni acute delle vie respiratorie
superiori - tra cui sinusite, faringite
e bronchite - in adulti precedentemente in buona salute (3). Esse
sono finalizzate a ridurre l’uso non
appropriato degli antibiotici.
Le linee-guida rimarcano che le
infezioni superiori acute non specifiche delle vie respiratorie si presentano con sintomi rinofaringei e
respiratori, ma non con caratteristiche marcate localizzate (4). Neppure la purulenza da narici e gola conferma l’infezione batterica. Le
linee-guida si pronunciano contro
l’uso di antibiotici per questi sintomi (5).
Analogamente, per la bronchite
acuta non complicata o la tosse acuta,
le linee-guida raccomandano di evitare il ricorso agli antibiotici una
volta che sia stata esclusa la polmonite (6). In caso di sinusite batterica
di grado lieve-moderato, gli antibiotici dovrebbero essere evitati a meno
che i sintomi persistano almeno per
una settimana e comprendano secrezione nasale purulenta, dolore maxillare, dolore o indolenzimento dentale (7). Soltanto in tali casi, si dovrebbe ricorrere ad antibiotici quali amoxicillina, doxiciclina e trimetoprimsulfametossazolo.
Le linee-guida raccomandano di
utilizzare penicillina o eritromicina
per la faringite soltanto quando
siano raggiunti almeno tre dei quattro criteri clinici di verifica: febbre,
essudati, adenopatia cervicale anteriore molle, assenza di tosse. Una
raccomandazione alternativa è di
trattare sempre i pazienti che
rispondono a tutti e quattro i criteri
quando i test rapidi dell’antigene
sono positivi (8).
Questa nuove linee-guida, che
limitano il ricorso agli antibiotici, si
fondano sulle prove di efficacia e
possono aiutare i clinici ad identificare i pazienti che non trarranno
giovamento dagli antibiotici. Se
seguite, dovrebbero determinare
poche prescrizioni inadeguate di
antibiotici per le infezioni respiratorie acute, contribuendo agli sforzi
di rallentare l’estensione delle resistenze batteriche.
Riferita agli Stati Uniti
240
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
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7. Aspirina nella prevenzione primaria
Il beneficio dell’aspirina nei
pazienti con malattia coronaria sintomatica è bene documentato, mentre il suo effetto come misura preventiva primaria nella pratica generale risulta meno chiaro. Uno studio
italiano ha fornito forse la migliore
dimostrazione che l’aspirina ha un
ruolo nella prevenzione primaria
(1). Questo studio ha arruolato circa
4.500 pazienti (età ≥ 50 anni), quasi
interamente reclutati nella medicina
generale, senza dati storici di eventi cardiovascolari avversi ma con
uno o più tra i seguenti fattori di
rischio: ipertensione; ipercolesterolemia; diabete; obesità; età > 65
anni; storia familiare di infarto del
miocardio prima di 55 anni. I
pazienti sono stati trattati con aspirina gastroprotetta (100 mg al giorBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
no) o non trattati. A un follow-up
medio di 3,6 anni, il gruppo aspirina presentava un rischio significativamente più basso di morte cardiovascolare (0,8% vs 1,4%) e un
rischio, anch’esso più basso, di un
end point combinato di vari eventi
cardiovascolari mortali e non mortali (6,3% vs 8,2%). I pazienti del
gruppo aspirina hanno presentato
una percentuale maggiore di sanguinamenti (1,1% vs 0,3%) ma nessun eccesso di rischio di ictus emorragico o di sanguinamento fatale.
È essenziale una maggiore documentazione sul rischio di sanguinamento prima che l’aspirina possa
essere usata su larga scala nella prevenzione primaria. Una meta-analisi del rischio emorragico gastrointestinale con l’uso di aspirina nel
lungo periodo, che ha incluso quasi
66.000 pazienti, ha dimostrato un
aumento significativo di sanguinamento gastrointestinale tra i pazienti trattati con il farmaco rispetto a
coloro che hanno assunto placebo
(2,5% vs 1,4%) (2). Non esisteva un
rapporto fra emorragia gastrointestinale e dose di aspirina; l’utilizzo
di dosi più basse (160 mg al giorno
o meno) o di formulazioni a rilascio
modificato non ha ridotto il rischio
di sanguinamento.
I risultati di un nuovo studio si
sono mostrati interessanti suggerendo che l’infezione da H pylori
può predisporre a danno gastroduodenale quanti utilizzano aspirina a
basse dosi (3); un altro studio ha
fornito la dimostrazione indicativa
(ma non conclusiva) che l’eradicazione di H pylori riduce il rischio di
sanguinamento
gastrointestinale
indotto da aspirina (4).
Attualmente sembrano esistere
sufficienti dimostrazioni per suggerire l’uso dell’aspirina a basse dosi
nella prevenzione primaria di eventi cardiovascolari in adulti con uno
o più fattori di rischio. Tuttavia,
tenuto conto del rischio emorragico, è ancora importante valutare
beneficio e rischio in ogni singolo
paziente prima di suggerire la terapia a base di aspirina.
Bibliografia
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DALLA LETTERATURA
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8. Trattamento conservativo vs
trattamento invasivo dell’angina
instabile o dell’infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST
In numerosi studi clinici, il trattamento invasivo sistematico dell’angina instabile o dell’infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST è stato confrontato con
una strategia più conservativa. In
generale, i risultati non sono riusciti
a dimostrare che le strategie invasive sono in grado di fornire un beneficio netto. Tuttavia, i risultati dello
studio TACTICS-TIMI 18, pubblicato nel 2001, forniscono nuove
dimostrazioni a sostegno di approcci invasivi, in particolare in pazienti
ad alto rischio (1). In questo studio,
2.220 pazienti sono stati trattati con
aspirina, eparina ed inibitori della
glicoproteina IIb/IIIa e sono stati
ripartiti a random ad un trattamento
invasivo precoce (cateterizzazione
entro 48 ore) o ad un intervento più
conservativo
(cateterizzazione
riservata a pazienti con prova da
sforzo positiva o con altra evidenza
obiettiva di sola ischemia). A 6
mesi, l’end point primario combinato: mortalità, infarto non fatale e
nuova ospedalizzazione, si era verificato con una frequenza significativamente minore nel gruppo della
strategia invasiva (15,9% vs
19,4%). I pazienti con i livelli elevati di troponina T alla presentazione
241
DALLA LETTERATURA
Bibliografia
hanno tratto il maggiore beneficio
dalla strategia invasiva (2).
Un altro studio su una popolazione simile di pazienti è stato il
CURE, in cui più di 12.000 soggetti con sindrome coronarica acuta
senza elevazione del segmento ST
sono stati ripartiti, con scelta
casuale, a trattamento con aspirina
più clopidogrel o aspirina più placebo (3). Durante un periodo
medio di trattamento di 9 mesi,
l’aggiunta di clopidogrel ha determinato riduzioni significative della
mortalità cardiovascolare, di infarto miocardico non fatale e di ictus
(9,3% vs 11,4%), con in primis la
riduzione del rischio di infarto. Per
altro verso, si è notato un aumentato rischio di sanguinamento importante nel gruppo clopidogrel (3,7%
vs 2,7%). Va sottolineato che la
maggior parte dei pazienti del
CURE non sono stati sottoposti a
strategia invasiva precoce né trattati con inibitori di GPIIb/IIIa.
I risultati dello studio TACTICSTIMI 18 rafforzano una strategia
invasiva precoce in associazione ad
inibitori di GPIIb/IIIa in molti
pazienti con angina instabile o
infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST, in particolare nei pazienti con livelli di troponina T elevati. Questa indagine differisce da studi precedentemente condotti (che non avevano dimostrato
alcun beneficio con l’angiografia
sistematica) nel fatto che sono stati
usati inibitori di GPIIb/IIIa e contemporaneamente tecniche di stent.
Lo studio CURE suggerisce che a
più lungo termine il trattamento con
clopidogrel più aspirina può ridurre
l’incidenza di eventi ischemici. Tuttavia, il ruolo esatto della terapia
con clopidogrel, in particolare unitamente a un approccio invasivo
precoce e ad inibitori di GPIIb/IIIa,
resta da definire. Il potenziale effetto di questi nuovi risultati sulle
linee-guida attuali è stato riassunto
in un recente articolo di Lancet (4).
242
1. Cannon CP et al. Comparison of
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9. Promesse e sfide delle cellule
staminali
Le cellule staminali possono
differenziarsi in cellule di molti
tessuti diversi tra loro e riprodursi. Quelle embrionali presentano la maggiore plasticità e la
più elevata capacità auto-riproduttiva; esse sono state per la
prima volta isolate dai topi venti
anni fa e dagli esseri umani tre
anni fa. Per un certo tempo, le
cellule staminali dell’adulto
sono state utilizzate di routine
nel trapianto del midollo osseo;
cellule staminali cutanee sono
impiegate per trapianti in
pazienti ustionati.
Nel 2001, i risultati di alcuni studi
hanno indicato che la potenzialità
delle cellule staminali embrionali e
dell’adulto potrebbe essere più
grande di quanto immaginato. Ad
esempio, cellule staminali embrionali di topi sono state indotte a
transformarsi in cellule pancreatiche endocrine, che hanno formato
isole e migliorato la glicemia (1).
La polemica è esplosa quando il
pubblico è venuto a conoscenza di
questo campo poco noto. Le cellule staminali possono essere isolate
da embrioni – tipicamente da
embrioni prodotti in cliniche per
la fertilità ma non impiantati; gli
avversari dell’aborto si oppongono in modo sdegnoso a tale uso di
tessuto fetale. Per ampliare la controversia, è stato inoltre evidenziato che cellule staminali adulte esistono anche in tessuti diversi da
sangue e cute e sono dotate di plasticità molto più grande di quanto
in precedenza pensato. Almeno
nei topi, cellule staminali adulte
del muscolo o del sangue possono
svilupparsi nell’uno o nell’altro
tessuto; cellule staminali adulte
del cervello possono differenziarsi
non solo in cellule neurali, ma
anche muscolari, ematiche, intestinali, epatiche e cardiache; cellule staminali adulte del sangue possono differenziarsi in cellule cerebrali; e cellule staminali adulte del
midollo osseo possono svilupparsi
in cellule miocardiche funzionanti
che riparano infarti del miocardio
(2,3). Questa potenzialità inaspettata delle cellule staminali dell’adulto ha ulteriormente riacceso le
polemiche contro la ricerca sulle
cellule staminali embrionali.
Al momento attuale, i risultati più
interessanti della ricerca su cellule
staminali provengono da studi sui
topi; molti esperti sono scettici
circa la trasferibilità di tali risultati
agli esseri umani. Nonostante la
sorprendente potenzialità delle cellule staminali dell’adulto, la maggior parte degli esperti dubita che
esse potranno avere le garanzie e la
plasticità delle cellule staminali
embrionali. Malgrado parecchie
nazioni sviluppate abbiano approvato l’uso di fondi pubblici per la
ricerca sulle cellule staminali
embrionali, il presidente George W.
Bush ha emesso un’ordinanza che
vieta il contributo governativo per
la creazione di nuove linee di cellule staminali embrionali e per la sperimentazione con qualsiasi linea
allestita con fondi privati dopo il 9
agosto 2001. Ciò ritarderà notevolmente la ricerca sulle cellule staminali, anche se continua il dibattito
se un tale ritardo sia utile o dannoso. Un gruppo di esperti della
National Academy of Sciences ha
successivamente sollecitato il
governo statunitense a costituire
fondi per la creazione di nuove
linee di cellule staminali, ma con il
governo occupato con la guerra e il
terrorismo, sembra improbabile che
il Congresso possa capovolgere la
politica del presidente nel breve
periodo.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
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and improves cardiac function. Nat
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3. Orlic D et al. Bone marrow cells
regenerate infarcted myocardium.
Nature 2001;410:701-5.
10. Dati conclusivi sulle origini
molecolari del morbo di Alzheimer e di Parkinson
Una forma di amiloide-ß peptide
(Aß), denominata Aß42, sembra
essere la causa della neurodegenerazione nell’Alzheimer (1). In
parecchi studi condotti durante il
1999 e il 2000 è stato utilizzato il
peptide Aß42 o l’anti-Aß42 per
immunizzare topi geneticamente
predisposti a iperprodurre Aß42.
Questa immunizzazione si è dimostrata in grado di proteggere topi
giovani dallo sviluppo di placche
senili caratteristiche della malattia
di Alzheimer e addirittura di risolvere le placche nei topi più vecchi
(2,3). In nessuno di questi studi, tuttavia, i ricercatori hanno indagato il
funzionamento mentale dei topi
immunizzati. Nel corso del 2000,
tre gruppi di studiosi hanno evidenziato che i difetti nell’apprendimento in questi topi si riducevano notevolmente con l’immunizzazione
Aß42 (4-6).
Anche nel 2001, due gruppi di ricercatori hanno evidenziato che l’Aß42
aumenta la produzione di una seconda proteina – proteina tau – trovata in
alterazioni microscopiche caratteristiche denominate grovigli neurofibrillari di Alzheimer; anche la proteina tau causa neurodegenerazione
(7,8). Pertanto, la molecola all’inter-
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
no delle placche senili dell’Alzheimer, Aß42, e la molecola all’interno
dei grovigli neurofibrillari, proteina
tau, agiscono sinergicamente causando neurodegenerazione.
Infine, sono state raccolte ulteriori
dimostrazioni che un’altra molecola
ben nota, il colesterolo, svolge un
suo ruolo nella malattia di Alzheimer. In base ai risultati di alcuni
studi del 2000 si era visto che soggetti trattati con statine presentavano
una più bassa incidenza di Alzheimer (9); durante il 2001, alcuni
gruppi di ricerca hanno trovato che il
colesterolo stimola i neuroni a produrre una maggiore quantità di Aß42
a causa del suo effetto su enzimi
(secretasi) che sintetizzano l’Aß
(10,11).
Gli effetti avversi di livelli elevati
di colesterolo totale, e i benefici
manifesti delle statine, probabilmente sono collegati ad un’altra
molecola incriminata nell’Alzheimer, l’apolipoproteina E4 veicolante colesterolo (12).
Una teoria sull’origine molecolare
del morbo di Parkinson ha avuto un
forte supporto sperimentale nell’anno appena trascorso (13). Una molecola prodotta nei neuroni nigrostriatali ricchi di dopamina, α-sinucleina
(α-Sp22), diventa tossica per quei
neuroni quando non viene degradata.
Le due molecole responsabili della
degradazioni dell’α-Sp22 sono parkina e ubiquitina. È davvero interessante che difetti dei geni che codificano ognuna di queste proteine α-Sp22, parkina, ubiquitina – sono
state riscontrate in famiglie con Parkinson ereditario.
In definitiva, il 2001 ha prodotto
nuove informazioni molecolari
assai importanti sulle cause dell’Alzheimer e del Parkinson,
informazioni che offrono ovviamente numerosi elementi per indirizzare la terapia.▲
Bibliografia
Bibliografia
DALLA LETTERATURA
1.
Geula C et al. Aging renders the
brain vulnerable to amyloid
beta-protein neurotoxicity. Nat
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the PDAPP mouse. Nature
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pathology in a mouse model of
Alzheimer disease. Nat Med
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related to age and ß-amyloid plaques in a mouse model of Alzheimer’s
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disease. Nature 2000;40:982-5.
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243
DALLA LETTERATURA
Sicurezza del vaccino antinfluenzale inattivato in adulti
e bambini affetti da asma
The Safety of inactivated influenza vaccine in adults and children with asthma.
The American Lung Association Asthma Clinical Research Centers. N Engl J Med 2001;345:1529-36.
L’epidemia influenzale è causa di notevole morbidità,
in particolare tra bambini ed adulti affetti da malattie croniche come l’asma. L’infezione da virus influenzali
rende i soggetti asmatici più suscettibili a broncocostrizione, induce esacerbazione dell’asma e provoca anche
un prolungato declino della funzionalità polmonare.
L’influenza è causa frequente di ospedalizzazione di
bambini asmatici.
La vaccinazione è in grado di prevenire l’influenza e
le sue complicanze nel 70-90% delle persone e di
ridurre la morbidità nei soggetti asmatici, per cui è fortemente raccomandata in chi è affetto da tale patologia.
Nonostante ciò, si stima che circa il 90% dei pazienti
asmatici non si sottoponga a vaccinazione antinfluenzale, probabilmente per il timore, suscitato da alcuni
studi, che essa possa provocare un aggravamento dell’asma.
Per studiare la sicurezza del vaccino antinfluenzale
inattivato trivalente, del tipo split-virus, in adulti e
bambini affetti da asma, è stato condotto uno studio
crossover, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco
e controllato verso placebo, su 2.032 pazienti affetti da
asma (età: 3-64 anni). Nei soggetti asmatici sono state
eseguite due iniezioni, una di vaccino e una di placebo,
con una sequenza determinata in modo casuale e con un
intervallo medio tra le due iniezioni di 22 giorni. Ogni
giorno, durante le due settimane successive a ciascuna
iniezione, i pazienti hanno registrato il flusso espiratorio massimo, i sintomi ritenuti correlati all’iniezione,
l’uso di farmaci antiasmatici, le visite mediche non programmate dovute a insorgenza di crisi asmatiche e le
assenze per asma da scuola o dal lavoro.
244
L’end point primario era costituito dall’aggravamento
dell’asma nelle due settimane successive alle iniezioni,
definita come riduzione del 30% o più del flusso espiratorio massimo, o in base a una visita urgente per la
cura dell’asma, o ad una intensificazione dell’uso di
farmaci antiasmatici.
Complessivamente, hanno completato lo studio 1.240
adulti e 712 bambini.
Nei 14 giorni successivi alla vaccinazione antinfluenzale e all’iniezione di placebo, la frequenza di aggravamento dell’asma è risultata simile (rispettivamente:
28,8% e 27,7%; differenza assoluta: 1,1%; IC 95%:
1,4÷3,6%). Il tasso di aggravamento è risultato simile
nei sottogruppi definiti in base all’età, alla razza e al
sesso, alla gravità dell’asma e ad altri fattori di comorbidità (obesità, fumo, ecc.). Tra i sintomi ritenuti associati all’iniezione, solo i dolori diffusi in varie parti del
corpo sono risultati più frequenti dopo l’iniezione del
vaccino che dopo l’iniezione di placebo (25,1% rispetto al 20,8%; p<0,00l).
Commento. I risultati di questo studio, anche se condotto nel corso di una singola stagione influenzale e
abbia utilizzato una sola preparazione di vaccino inattivato (che spesso cambia di anno in anno), dimostrano
che la vaccinazione è sicura negli adulti e nei bambini
affetti da asma, compresi quelli con forma grave, soprattutto perché in questo gruppo di pazienti appaiono evidenti i benefici della prevenzione delle infezioni respiratorie. Considerando la morbidità dell’influenza e l’efficacia e la sicurezza del vaccino, tutte le persone affette da asma dovrebbero essere vaccinate ogni anno.▲
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
DALLA LETTERATURA
Infestazione da pediculus capitis: confronto tra un trattamento con un solo farmaco e un intervento combinato
Head lice infestation: single drug versus combination therapy with one percent permethrin and trimethoprim/sulfamethoxazole.
Hipolito RB et al. Pediatrics 2001;107:E30.
1
2
alla visita dopo 2 settimane era ancora evidente la
presenza di infestazione, il regime originale era
ripetuto.
Alla prima visita di controllo, i successi sono stati
del 79,5% tra i bambini trattati con crema di permetrina 1%; dell’83% tra quelli sottoposti a somministrazione orale di cotrimossazolo; del 95% nel gruppo di
trattamento combinato, locale (permetrina) ed orale
(cotrimossazolo). Alla visita della quarta settimana, i
successi registrati negli stessi tre gruppi sono stati
rispettivamente del 72%, 78% e 92,5%. Non sono
insorti effetti indesiderati rilevanti, anche se tre bambini hanno dovuto interrompere il trattamento a causa
dell’insorgenza di rash correlato a cotrimossazolo.
Commento. Le reinfestazioni dopo trattamento della
pediculosi sono frequenti. Per la maggior parte sono
dovute a fallimenti del trattamento, anche se alcune
sono conseguenti a nuove infestazioni. È stato pure
dimostrato che i pidocchi possono diventare resistenti a
prodotti comunemente impiegati nel trattare l’infestazione, ma siccome il loro turnover generazionale è
molto più lento di quello dei batteri, l’insorgenza della
farmaco-resistenza è rara. Lo studio di Hipolito et al. ha
dimostrato che l’associazione di permetrina per via
topica e cotrimossazolo per via orale è una cura efficace dell’infestazione da Pedicuculus capitis, più attiva
della sola permetrina. Ad essa tuttavia conviene ricorrere qualora altri trattamenti si siano dimostrati inefficaci o si sospetti una pediculosi particolarmente resistente. La possibilità di effetti indesiderati del cotrimossazolo (dovuti soprattutto alla presenza del sulfamidico) sconsiglia di considerare l’associazione di
prima scelta. Il cotrimossazolo agisce distruggendo la
flora intestinale del pidocchio attraverso il sangue succhiato dall’ospite. La permetrina agisce invece paralizzando i muscoli respiratori dell’insetto.▲
Bibliografia
La pediculosi (Pedicuculus capitis) è un’evenienza
abbastanza comune in ambiente scolastico e, nonostante sia stato spiegato che essa non è sinonimo di mancanza di igiene o di trascuratezza, crea negli insegnanti
e, soprattutto nei genitori, quantomeno fastidio ed
imbarazzo. In Italia è stato osservato un incremento del
numero di casi di pediculosi, con focolai epidemici
nelle comunità scolastiche. Il numero di casi riportati,
che sottostima di molto il numero reale, è passato da
3.449 nel 1990 a 4.907 (in 1.009 focolai) nel 1999 (1).
La pediculosi è causata da un piccolissimo parassita,
lungo 2-3 mm, che vive esclusivamente sulla testa dell’uomo e si nutre del suo sangue. La femmina deposita
ogni giorno 8-10 uova (lendini), che si fissano saldamente ai capelli per mezzo di una sostanza collosa. Da
queste, nel giro di circa 20 giorni, nasceranno i parassiti adulti. Al di fuori del proprio ambiente, cioè la testa
dell’uomo, il pidocchio sopravvive solo 1 o 2 giorni (1).
L’applicazione sul capo (in modo tale da coprire completamente i capelli) di crema liquida a base di permetrina1 costituisce, di norma, il trattamento di scelta della
pediculosi, anche perché tale sostanza presenta un
effetto residuo di lunga durata, utile per uccidere i
pidocchi allo stadio di ninfe. Tuttavia, la recente segnalazione di un crescente sviluppo di resistenza alla permetrina ed ad altri prodotti antipediculosi ha indotto a
ricercare nuove strategie di intervento.
Lo studio di Hipolito et al. è stato eseguito al fine
di valutare l’efficacia di trattamenti antipediculosi
con un singolo prodotto rispetto ad una associazione di due prodotti. 115 bambini, di età compresa tra
2 e 13 anni, sono stati assegnati per randomizzazione a tre gruppi: 39 sono stati trattati con crema di
permetrina 1%, due applicazioni per 10 minuti a
distanza di una settimana l’una dall’altra; 36 sono
stati sottoposti a terapia orale con trimetoprim/sulfametossazolo (cotrimossazolo)2, 10 mg/kg/die in
due dosi al giorno per 10 giorni; in 40 è stato eseguito il trattamento di combinazione: applicazione
di crema all’1% di permetrina e trattamento orale
con cotrimossazolo. I controlli dei bambini sono
stati eseguiti dopo 2 e 4 settimane e il successo del
trattamento era stato definito come assenza di
pidocchi adulti o di ninfe o di uova (lendini). Se
1. Pediculosi. Bollettino Epidemiologico Nazionale - BEN Notiziario ISS - Vol.14 - n. 5 Maggio 2001:12-27.
NIX®
ABACIN®, BACTRIM®, CHEMITRIM®, EUSAPRIM®, GANTRIM®
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
245
DALLA LETTERATURA
I soggetti sottoposti a studi di trattamenti farmacologici
della depressione sono rappresentativi dei pazienti che
poi si incontrano nella pratica clinica?
Are subjects in pharmacological treatment trials of depression representative of patients in routine clinical practice?
Zimmerman M et al. Am J Psych 2002;159:469-73.
Anche se gli antidepressivi sono ampiamente prescritti ed utilizzati, i metodi impiegati per valutare la loro
efficacia differiscono da ciò che avviene nel trattamento della depressione nella normale pratica clinica. I
rigorosi criteri di inclusione/esclusione seguiti nella
selezione dei soggetti partecipanti agli studi di efficacia
limitano la possibilità di generalizzare i risultati che si
raggiungono, proprio perché è inclusa solo una sottopopolazione di pazienti depressi e, nel contempo, sono
esclusi quanti presentano condizioni di co-morbidità
psichiatrica o insufficiente gravità dei sintomi depressivi. Purtroppo, questo approccio trascura quasi nove
pazienti su dieci sottoposti ad antidepressivi in contesti
al di fuori dell’ambiente psichiatrico.
Gli autori dello studio hanno preso in considerazione i criteri di inclusione/esclusione utilizzati negli
studi di efficacia di trattamento sulla depressione,
pubblicati dal 1994 al 1998 in cinque riviste. Successivamente hanno valutato la percentuale di pazienti
depressi incontrati nella pratica clinica routinaria che
sarebbero stati eleggibili per tali studi. I risultati
hanno evidenziato che, su 346 pazienti tra i 18-65
anni, seguiti ambulatorialmente presso il Rhode
Island Hospital Department of Psychiatry, solo il
15% avrebbe raggiunto i criteri di inclusione previsti.
Circa due terzi dei pazienti sarebbero stati esclusi a
causa dei cinque criteri comuni usati in almeno tre
quarti degli studi di efficacia: storia di episodi maniacali, caratteristiche psicotiche, valori bassi della scala
HRSD (Hamilton Rating Scale for Depression), storia
di abuso di droga o di alcool, rischio di suicidio. Se si
aggiungono altri criteri di esclusione, quali co-morbidità da disturbi d’ansia o da disturbi di Asse I, è escluso più dell’85% dei pazienti.
246
Secondo gli autori della ricerca, i medici dovrebbero tenere in debita considerazione i limiti degli studi
di efficacia degli antidepressivi, in quanto probabilmente in essi non è riflessa la maggioranza dei loro
pazienti. “Dal momento che gli studi sono attualmente condotti per valutare l’effetto dei farmaci rispetto
al placebo, si deve tener presente che percentuali elevate di individui fortemente sensibili al placebo o che
presentano risposte di scarsa entità ai farmaci sono
escluse dalla ricerca. L’inserimento negli studi di
pazienti con una gamma più vasta di sintomi permetterebbe di conoscere se specifici sottogruppi di
pazienti rispondono o meno al trattamento farmacologico”.
Commento. Il problema sollevato non è di poco conto
e riguarda una popolazione di pazienti studiati per una
serie di problemi clinici, che non corrispondono, o corrispondono solo parzialmente, a quelli che poi si incontrano nella pratica clinica reale. Da una parte esistono
ragioni metodologiche, che esigono campioni di soggetti il più omogenei possibili, dall’altra si deve tener
conto della trasferibilità e della riproducibilità dei risultati raggiunti. Ma se la documentazione che si ottiene
negli studi controllati è lontana dalla realtà clinica, che
senso ha poi prescrivere trattamenti non correttamente
testati?
Probabilmente tale incongruenza può essere notevolmente ridotta dalla ricerca in medicina di base, in cui
risulta più facile l’adeguamento dei protocolli di studio
alla realtà (e non viceversa) ed è superata la rigidità e la
lontananza di tanti studi sperimentali dal mondo clinico con cui il medico interagisce nella pratica professionale di ogni giorno.▲
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
FARMACOVIGILANZA
FARMACOVIGILANZA
Principali problematiche di farmacovigilanza del 2001
Informazioni dettagliate su molti dei temi sottoelencati si possono trovare nel sito del Ministero della Salute: www.sanita.it/farmaci
HYPERICUM PERFORATUM
Sono stati modificati gli stampati delle specialità medicinali contenenti contraccettivi orali, ciclosporina, digossina, teofillina, warfarin, acenocumarolo, carbamazepina, fenobarbitale, fenitoina, inibitori della ricaptazione della
serotonina (SSRI, dall’inglese Selective Serotonin Reuptake Inhibitors),
nefazodone, trazodone e triptani, inserendo il rischio di possibili interazioni
con preparazioni a base di Hypericum perforatum.
RETINOIDI
Armonizzazione degli stampati delle specialità medicinali contenenti retinoidi per somministrazione topica per quanto riguarda il potenziale rischio
di gravi alterazioni fetali, anche quando tali farmaci sono assunti per via
locale nel corso della gravidanza.
NITRATI ORGANICI
Armonizzazione degli stampati riguardo al rischio di potenziamento della
risposta ipotensiva quando i nitrati organici vengono co-somministrati con
sildenafil.
CONTRACCETTIVI ORALI
COMBINATI DI TERZA
GENERAZIONE
Dear doctor letter e dear woman letter sui risultati emersi dalla valutazione
da parte del Comitato Europeo per le specialità medicinali (CPMP, dall’inglese Committee for Proprietary Medicinal Products) del rischio di tromboembolia venosa derivante dall’uso dei contraccettivi orali combinati contenenti come progestinico desogestrel o gestodene.
EPOETINA ALFA
Dall’esperienza post-marketing in pazienti con insufficienza renale cronica,
la maggior parte dei quali in trattamento con la specialità medicinale Eprex®
o con altre eritropoietine, sono emersi casi molto rari di aplasia specifica
della serie rossa (eritroblastopenia).
INFLIXIMAB
È stata evidenziata l’insorgenza di casi di tubercolosi in pazienti in trattamento con tale farmaco. Ciò potrebbe dipendere da un effetto del farmaco
sul sistema immunitario che predispone alle infezioni.
STAVUDINA
In pazienti affetti da HIV e in trattamento con stavudina si sono manifestati
casi di debolezza muscolare rapidamente progressiva del tutto simile alla
sindrome di Guillain Barré.
BUPROPIONE
Rischio di convulsioni, modifica del dosaggio iniziale e interazioni con farmaci in grado di abbassare la soglia convulsiva.
TOPIRAMATO
Sono stati segnalati casi di una sindrome oculare, caratterizzata da miopia
acuta e glaucoma secondario ad angolo chiuso.
CERIVASTATINA
Sospensione delle specialità medicinali a base di cerivastatina a seguito di
numerosi casi di rabdomiolisi, specialmente in associazione con gemfibrozil.
STATINE
Rivalutazione del rapporto rischio/beneficio e nota informativa sul corretto
uso.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
247
FARMACOVIGILANZA
CISAPRIDE
Sospensione dell’autorizzazione all’immissione in commercio delle specialità medicinali a base di cisapride per le problematiche relative al prolungamento del tratto QT.
LEFLUNOMIDE
Sono stati riportati casi di epatite e di insufficienza epatica in pazienti che
assumevano il farmaco, specialmente se associato ad altri farmaci epatotossici.
SSRI: attenzione alle interazioni, alle condizioni di comorbidità e alle dosi eccessive
Who develops severe or fatal adverse drug reactions to selective serotonin reuptake inhibitors?
Dalfen AK, Stewart DE. Can J Psychiatry 2001;46:258-63.
diuretico, sintomi extrapiramidali gravi e complicazioni emorragiche (5-10).
Ma tali eventi avversi gravi o letali dovuti agli SSRI
con quale frequenza si presentano, quali pazienti ne
sono colpiti, che ruolo svolgono l’età, il sesso, le interazioni con altri farmaci ed eventuali assunzioni
intenzionali di dosaggi elevati? L’analisi delle reazioni avverse da SSRI segnalate al Centro di Farmacovigilanza del Canada (Health Products and Food
Branch, HPFB) tra il 1986 e il 1996 tenta di rispondere a tali quesiti.
Nel corso del decennio, sono state archiviate circa
1.300 segnalazioni di reazioni avverse correlate agli
SSRI. Gli autori dello studio hanno escluso dall’analisi
i rapporti chiaramente incompleti e quelli in cui non
erano specificati sesso ed età, valutando in definitiva
1.011 eventi. Di essi, 301 (27,1%) si riferivano ad
uomini e 710 (63,9%) a donne. Duecentonovantacinque reazioni avverse segnalate erano gravi, 87 letali.
La Tabella 1 riporta il numero totale di decessi, di
decessi per overdose intenzionale, e di reazioni avverse gravi (per ogni causa), ripartite in base al sesso.
La documentazione attualmente disponibile e i risultati raggiunti non consentono distinzioni, in termini
di efficacia, fra le diverse classi di farmaci antidepressivi e fra i principi attivi di una stessa classe. Tuttavia, anche se generalmente gli inibitori selettivi del
reuptake della serotonina o SSRI (fluoxetina, paroxetina, sertralina, fluvoxamina, venlafaxina, citalopram) non sono ritenuti più efficaci nel trattamento
della depressione dei vecchi triciclici, rappresentano
di fatto la terapia preferenziale di molti pazienti perché, si sostiene, provocano un minor numero di effetti collaterali, e tali effetti sono transitori, più controllabili e tollerati. Le reazioni avverse più frequenti
degli SSRI, di entità lieve-moderata, comprendono
nausea, anoressia, diarrea, insonnia, nervosismo,
stato d’ansia, agitazione, diminuzione più o meno
protratta della libido, ritenzione urinaria (1-4). Anche
se rare, esistono peraltro in letteratura segnalazioni
di reazioni avverse gravi (necessitanti di ospedalizzazione) o letali da SSRI, quali la sindrome serotoninergica, aritmie cardiache, angina instabile, la sindrome da inappropriata secrezione di ormone anti-
Tabella 1. Decessi e reazioni gravi correlate agli SSRI ripartiti in base al sesso
Reazioni avverse gravi
Decessi totali
Decessi per overdose intenzionale
Donne
Uomini
185 (62,7%)
55 (63,2%)
47 (72,3%)
110 (37,3%)
32 (36,8%)
18 (27,7%)
Come si può osservare, i decessi per ogni causa sono
stati 87, di cui 55 riferiti a donne e 32 a uomini. Tuttavia va segnalato che, anche se le percentuali di decessi
e di reazioni avverse gravi appaiono più frequenti nelle
donne (63% in entrambi i casi), rispecchiano di fatto la
248
Totale
295
87
65
differenza prescrittiva degli SSRI, molto più elevata
nelle donne (64% secondo i dati IMS) (11).
Non sono state evidenziate differenze significative nel
tipo o nell’incidenza di reazioni avverse tra i quattro
SSRI considerati nello studio: fluoxetina, paroxetina,
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
FARMACOVIGILANZA
drome maligna da neurolettici (3 casi); cause respiratorie (1 caso di asma, 1 di alveolite fibrotica idiopatica, 1
di embolia polmonare); cause cardiache (2 casi: 1 di
insufficienza cardiaca congestizia e 1 di insufficienza
coronarica); aneurisma cerebrale, coagulazione intravascolare disseminata, vasculite che ha provocato complicazioni renali (1 caso ciascuno). Sono stati infine
segnalati 6 suicidi, 1 omicidio, 5 decessi accidentali o
da cause imprecisate.
Sono state evidenziate 129 reazioni avverse di tipo
cardiovascolare. La Tabella 2 riporta 71 disturbi pressori, 38 casi di aritmie e 20 casi di dolore toracico o di
angina.
sertralina e fluvoxamina.
Delle 79 segnalazioni di overdose intenzionali, 65
(82,3%) sono risultate mortali e 14 (17,7%) hanno provocato gravi reazioni avverse. I principali farmaci
assunti contemporaneamente dai pazienti deceduti in
overdose da SSRI erano: benzodiazepine (27 casi), triciclici (22), alcool (11), analgesici narcotici (11), difenidramina (10), MAO-inibitori (8), paracetamolo (6),
acido acetilsalicilico (5), litio (3), beta-bloccanti (3) e
clorpromazina (3).
L’analisi ha evidenziato anche 23 decessi per motivazioni diverse dall’assunzione intenzionale di un’overdose di SSRI. Tra le cause sono state rilevate: la sin-
Tabella 2. Reazioni avverse cardiovascolari da SSRI ripartite in base al sesso
Uomini
Totale
52 (73,2%)
27 (71,1%)
9 (45,0%)
88 (68,2%)
19 (26,8%)
11 (28,9%)
11 (55,0%)
41 (31,8%)
71 (55,0%)
38 (29,5%)
20 (15,5%)
129 (100%)
Rispetto ai pazienti con reazioni di entità lieve-moderata, le reazioni gravi o fatali sono risultate significativamente più probabili in coloro che assumevano un
SSRI insieme ad altri farmaci, o ad alcool (P ≤ 0,001).
È stato anche notato un aumento di probabilità in
pazienti che prendevano contemporaneamente un farmaco inibitore del citocromo P450.
In conclusione, anche se gli SSRI sono farmaci relativamente sicuri e molto prescritti, possono occasionalmente
provocare gravi reazioni avverse, talora addirittura letali.
Nello studio riportato, tali eventi sono stati osservati
soprattutto in pazienti (in particolare donne) che hanno
assunto SSRI in overdose. La seconda causa più frequente di eventi gravi o letali è rappresentata dall’assunzione
contemporanea di due o più farmaci (di solito un altro inibitore dell’enzima CYP-450) o di alcool.
Gli autori della ricerca invitano pertanto i medici a
seguire con particolare attenzione i pazienti in trattamento con SSRI che presentano condizioni di co-morbidità, specialmente se di tipo cardiovascolare, o che
assumono contemporaneamente altri farmaci, in particolare se metabolizzati dal sistema citocromo P450.
Conviene inoltre consigliare ai pazienti di consultare il
proprio medico prima di assumere farmaci di autoprescrizione o altri nuovi farmaci o nel caso dovessero
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
manifestarsi tachicardia, palpitazioni, stordimento,
vomito e diarrea. Particolare attenzione va riservata ai
pazienti con storia di abuso di alcool.▲
Bibliografia
Perturbazioni pressorie
Aritmie
Dolore toracico o angina
Totale
Donne
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syncope in two patients. J Clin Psychiatry 1990;51:385–6.
9. Feder R. Bradycardia and syncope induced by fluoxetine.
J Clin Psychiatry 1991;52:139.
10. De Abajo FJ et al. Association between selective serotonin
reuptake inhibitors and upper gastrointestinal bleeding:
population based case-control study. BMJ 1999;319:1106-9.
11. Stewart DE. Are there special considerations in the prescription of serotonin reuptake inhibitors for women? Can
J Psychiatry 1998;43:900–4.
249
FARMACOVIGILANZA
Coxib e anticoagulanti orali: attenzione alle interazioni
250
rato per le prime due settimane. L’INR deve essere
altresì testato se la dose di uno dei due farmaci viene
modificata.
Particolare attenzione va riservata in caso di
pazienti anziani, o in trattamento con più farmaci o
con malattie multiple. Se l’INR aumenta, è possibile continuare con la terapia antinfiammatoria
riducendo la dose dell’anticoagulante (4,5), oppure deve essere sospeso il farmaco antinfiammatorio
per prevenire il possibile evento emorragico.
L’INR va ricontrollato dopo ogni eventuale riduzione della dose dell’anticoagulante orale o in caso
di sospensione della terapia con un FANS tradizionale o con un coxib.▲
Bibliografia
L’associazione tra anticoagulanti orali ed acido acetilsalicilico (ASA e suoi derivati) od altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) tradizionali può
determinare aumento del rischio di sanguinamento a
causa di un’azione sulla funzione piastrinica e di un’azione di danneggiamento della mucosa gastrica. Quando è possibile, tale associazione va evitata.
Alcuni FANS possono anche provocare un aumento del
rapporto normalizzato internazionale (INR, dall’inglese International Normalized Ratio) in pazienti ben stabilizzati con warfarin (Coumadin®) o con acenocumarolo (Sintrom®). È questo il caso del fenilbutazone e
derivati. Per la maggior parte degli altri FANS non è
bene documentata un’interazione in grado di influenzare l’INR. Esistono tuttavia in letteratura segnalazioni di
aumento dell’INR osservato quando un FANS è stato
associato a un trattamento con warfarin. In qualche
caso è insorta emorragia (1,2).
Anche gli inibitori selettivi della COX-2 o coxib – celecoxib (Artilog®, Celebrex®, Solexa®) e rofecoxib
(Arofexx®, Coxxil®, Vioxx®) – possono interagire
con gli anticoagulanti orali aumentando l’INR e ponendo il paziente a rischio di un evento emorragico. Numerose segnalazioni ai centri di farmacovigilanza dei vari
paesi hanno evidenziato tale interazione potenzialmente pericolosa (3-9).
In conclusione, è prudente evitare l’associazione di
anticoagulanti orali e FANS tradizionali per il pericolo
di aumento del rischio emorragico. I coxib non rappresentano un’eccezione. Se un FANS tradizionale o celecoxib-rofecoxib sono considerati necessari per un
paziente in terapia con un anticoagulante orale, l’INR
deve essere controllato dopo qualche giorno dall’introduzione dell’antinfiammatorio e strettamente monito-
1. Analgesics and NSAIDs. In: “Martindale The Complete
Drug Reference” 32nd ed. The Pharmaceutical Press, London 1999:966.
2. Anticoagulants + non-steroidal antiinflammatory drugs
(NSAIDs). In: Stockley IH “Drug interactions”. 5th ed.
The Pharmaceutical Press, London 1999:249-51.
3. Interaction of celecoxib and warfarin. Aust Adv Drug
Reactions Bull 2001;20:2.
4. O’Donnell DC, Hooper JS. Increased international normalized ratio in a patient taking warfarin and celecoxib. J
Pharmacy Technology 2001;17:3-5.
5. Haase KK et al. Potential interaction between celecoxib
and warfarin. Ann Pharmacotherapy 2000;34:666-7.
6. Medsafe Editorial Team. Interaction between COX-2 inhibitors and Warfarin. September 2001. http://www.medsafe.govt.nz/Profs/PUarticles/cox2warf.htm
7. Rofecoxib-Vioxx®. In “Phisicians’ Desk Reference”.
Medical Economics Company. Montvale 2001:2049-53.
8. Schwartz JI et al. The effect of rofecoxib on the pharmacodynamics and pharmacokinetics of warfarin. Clin Pharmacol Ther 2000;68:626-36.
9. Rofecoxib interaction with warfarine. WHO Pharmaceutical Newsletter 2000;(2):16.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
FARMACOVIGILANZA
Coxib e meningite asettica
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
no informazioni assai scarse o nulle per valutarne la
causalità” (1).
I pazienti in trattamento con rofecoxib descritti in
Archives (1) erano di età compresa tra 16 e 67 anni.
La meningite asettica, infiammazione delle meningi
cerebrale e spinale, è generalmente meno grave della
meningite batterica e si manifesta con cefalea, rigidità
nucale, dolore agli occhi, febbre e brividi.
Secondo un portavoce della ditta che produce il rofecoxib, dal momento della sua registrazione negli USA
(maggio 1999) si sono avute 52 milioni di prescrizioni
di Vioxx®, e i casi riportati di meningite asettica rappresentano una minuscola frazione di pazienti che “non
prova che il farmaco sia la causa dell’evento avverso”.
Il Comitato di Redazione del BIF ha ritenuto opportuno portare all’attenzione dei lettori anche questo possibile effetto indesiderato dei coxib che, per quanto
assai raro, deve essere rapportato all’altissimo numero
di prescrizioni di tali farmaci che si osserva attualmente nel nostro Paese.▲
Bibliografia
Secondo quanto riportato in un articolo di Archives
of Internal Medicine di fine marzo 2002 (1), la revisione e l’analisi delle reazioni avverse dei coxib,
inviate alla Food and Drug Administration (FDA)
degli Stati Uniti, indicano che l’impiego di questi farmaci può associarsi ad insorgenza di meningite asettica, un effetto collaterale che, per quanto raro, è particolarmente grave.
A partire dal maggio 1999, quando il farmaco è stato
registrato negli USA, al febbraio 2001, sono pervenute
alla FDA sette segnalazioni di meningite asettica in
altrettanti pazienti in trattamento con rofecoxib, anche
se in due casi mancava una sufficiente documentazione
per accertare con sicurezza le possibili cause. Secondo
il primo autore del rapporto pubblicato su Archives (1),
che fa parte del Center for Drug Evaluation and
Research della FDA, dopo il febbraio 2001 sono stati
segnalati altri cinque casi di meningite asettica da rofecoxib, che tuttavia non sono stati valutati nel dettaglio.
Nessuno dei pazienti con meningite asettica, una condizione che ha reso necessaria l’ospedalizzazione, è
deceduto.
L’articolo di Archives (1) sottolinea che altri farmaci
antinfiammatori non steroidei, tra cui ibuprofene e
naprossene, sono stati correlati a rari casi di meningite.
Lo stesso celecoxib è stato associato a sei casi di
meningite, anche se le segnalazioni inviate “conteneva-
1. Bonnel RA et al. Aseptic meningitis associated with rofecoxib. Arch Intern Med 2002;162:713-5.
251
DALLA RICERCA
SPERIMENTAZIONE
ALLA PRATICA CLINICA
Questa rubrica intende portare all’attenzione dei lettori alcuni studi clinici apparsi in letteratura, particolarmente rilevanti per il riflesso che possono avere nella pratica della medicina. La presentazione
degli studi è in forma sintetica e tiene conto anche delle obiezioni, critiche e rilievi che spesso fanno
seguito alla loro pubblicazione.
Nell’ipertensione con ipertrofia ventricolare sinistra il losartan è migliore dell’atenololo?
I risultati dello studio LIFE
Titolo
Riduzione di mortalità e morbidità cardiovascolare con losartan in pazienti ipertesi: uno studio randomizzato contro atenololo (LIFE).
(Titolo originale: Cardiovascular morbidity and
mortality in the Losartan Intervention For Endpoint reduction (LIFE) in hypertension study: a
randomised trial against atenolol).
Autori
Dahlöf B, Devereux RB, Kjeldsen SE, Julius S,
Beevers G, Faire U, Fyhrquist F, Ibsen H, Kristiansson K, Lederballe-Pedersen O, Lindholm LH,
Nieminen MS, Omvik P, Oparil S, Wedel H; The
LIFE Study Group.
Capo della ricerca è il prof. Dahlöf, Sahlgrenska
University Hospital/Ostra, Göteborg, Svezia.
Rivista
Lancet 2002;359:995-1003.
Sponsor
Merck Sharp & Dohme (MSD)
I dati dello studio sono in un database della
MSD. L’azienda farmaceutica ha assistito il comitato organizzatore dello studio che ha avuto libero
accesso a tutti i dati. Il comitato è stato libero di
interpretare i dati e di scrivere la relazione; il risultato è stato convalidato in modo indipendente dallo
statistico del comitato organizzatore.
Un dipendente della MSD è elencato tra i membri del comitato organizzatore (senza diritto di
voto) ed è uno degli autori dello studio. L’analisi
dei dati è di un dipendente della Merck Research
Laboratories.
252
Problema clinico sollevato
La riduzione della pressione arteriosa con ß-bloccanti o
diuretici è attualmente considerata l’intervento più
appropriato per la prevenzione del danno cardiovascolare nei soggetti ipertesi. L’ipertrofia ventricolare sinistra, uno dei danni d’organo provocati dall’ipertensione, è un forte indicatore del rischio di morbidità e mortalità cardiovascolare. Tale rischio è nettamente superiore nei pazienti con ipertensione ed ipertrofia secondaria del miocardio rispetto a quello degli ipertesi senza
ipertrofia. L’interesse clinico è di stabilire se gli antagonisti selettivi dell’angiotensina II sono in grado di
migliorare l’ipertrofia ventricolare sinistra mediante la
riduzione della pressione arteriosa, riducendo, di conseguenza, la morbidità e mortalità cardiovascolare.
Obiettivo dello studio
Valutare qual è l’effetto del losartan rispetto all’atenololo su morbidità e mortalità cardiovascolare in
pazienti ipertesi con ipertrofia ventricolare sinistra
confermata all’ECG.
Disegno dello studio
Multicentrico, controllato, randomizzato, doppio
cieco, con finto placebo, a due gruppi paralleli.
Popolazione studiata
9.193 pazienti arruolati in 946 centri di Danimarca,
Finlandia, Islanda, Irlanda, Norvegia, Svezia, Regno
Unito e Stati Uniti.
Criteri di inclusione
Maschi o femmine di età compresa tra 55 ed 80 anni,
con ipertensione in precedenza trattata o non trattata,
pressione arteriosa diastolica in posizione seduta di 95BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA
115 mmHg alla visita di screening e dopo 1 e 2 settimane di trattamento in singolo cieco con placebo, e/o
pressione arteriosa sistolica in posizione seduta di 160200 mmHg alla visita di screening e dopo 1 e 2 settimane di trattamento in singolo cieco con placebo, ed
inoltre ipertrofia ventricolare sinistra accertata (fino a
30 giorni prima della visita di screening) con ECG standard a 12 derivazioni secondo criteri predefiniti, e confermata presso un laboratorio ECG centralizzato prima
della randomizzazione.
Principali criteri di esclusione
Ipertensione secondaria nota di qualsiasi eziologia;
anamnesi di ictus o di infarto del miocardio nei precedenti sei mesi; angina pectoris richiedente un trattamento con un β-bloccante o un calcio-antagonista; presenza di insufficienza cardiaca o di una frazione di eiezione del ventricolo sinistro del 40% o meno; qualsiasi
condizione necessitante, secondo il medico curante, di
trattamento con losartan (o con altro antagonista del
recettore dell’angiotensina II), con atenololo (o con
altro β-bloccante), con idroclorotiazide, con ACE-inibitori; aumento della pressione arteriosa diastolica
>115 mmHg o della pressione arteriosa sistolica >200
mmHg durante il periodo con placebo; storia di patologie renali o epatiche con grave compromissione funzionale (creatinina sierica >160µmol/l ); paziente
mono-rene o con trapianto renale; stenosi aortica significativa nota (gradiente medio Doppler documentato
>20 mmHg); grave patologia in grado di provocare un
sostanziale deterioramento delle condizioni di salute
del paziente nel corso dei successivi 4-6 anni; scarsa
aderenza alla terapia al termine del periodo di placebo;
ipersensibilità o controindicazioni note a losartan, atenololo, idroclorotiazide.
Trattamento
Il protocollo dello studio LIFE comprende una fase
iniziale in singolo cieco di 2 settimane con placebo per
la determinazione della pressione arteriosa al basale.
Dopo randomizzazione, il trattamento inizia con la
somministrazione singola giornaliera di losartan (50
mg) più atenololo-placebo, o di atenololo (50 mg) più
losartan-placebo. L’obiettivo della terapia è rappresentato dal raggiungimento di una pressione arteriosa
<140/90 mmHg. Se tale obiettivo non è raggiunto, è
prevista la rivalutazione del trattamento dopo 2, 4 e 6
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
mesi con queste modificazioni della terapia iniziale:
dopo due mesi, aggiunta di 12,5 mg idroclorotiazide al
farmaco in studio; dopo altri due mesi, raddoppio del
dosaggio del losartan o dell’atenololo (100 mg/die per
entrambi); dopo altri due mesi, a discrezione dei medici curanti, aggiunta di altri farmaci antipertensivi
oppure raddoppio della dose di idroclorotiazide (25
mg/die), con l’esclusione di altri antagonisti del recettore dell’angiotensina II, di altri beta-bloccanti, o di
ACE-inibitori.
Va segnalato che il trattamento anti-ipertensivo è stato
limitato alla monoterapia con losartan (50 o 100 mg) in
11 pazienti su 100 e a quella con atenololo (50 o 100
mg) in 12 pazienti su 100. Nel gruppo losartan, la dose
è stata raddoppiata nel 50% dei partecipanti, nel gruppo atenololo nel 43% (2).
Durata dello studio
Dopo randomizzazione, i pazienti sono stati seguiti
per almeno 4 anni e finché non si è verificato un evento dell’end point primario in 1.040 soggetti. Il followup medio è stato di 4,8 anni.
Eventi misurati
Primario: incidenza combinata di morbidità e mortalità cardiovascolare in pazienti con ipertensione
documentata ed ipertrofia ventricolare sinistra documentata all’ECG dopo terapia a lungo termine
(>4 anni) con losartan versus atenololo.
La morbidità cardiovascolare è definita come un
infarto miocardico acuto non fatale clinicamente evidente o un ictus non fatale. Per mortalità cardiovascolare si intende il decesso attribuibile a cause cardiovascolari, compresi, ma che non si limitano a: morte cardiaca improvvisa, infarto miocardico, ictus o insufficienza cardiaca progressiva.
Secondari: confronto dell’effetto di losartan versus
atenololo su: mortalità cardiovascolare; mortalità per
tutte le cause; ospedalizzazioni per angina o insufficienza cardiaca; regressione di ipertrofia ventricolare sinistra
documentata all’ECG; relazione fra regressione di ipertrofia ventricolare sinistra documentata all’ECG e morbidità e mortalità cardiovascolare; incidenza di infarto
miocardico silente, determinata dall’esame dei tracciati
ECG seriati annualmente; infarto miocardico fatale e
non fatale; ictus fatale e non fatale; incidenza delle procedure di rivascolarizzazione coronarica o periferica.
253
DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA
i gruppi), di mortalità cardiovascolare (4% losartan,
5% atenololo), di mortalità per tutte le cause (8%
losartan, 9% atenololo) non differisce in modo significativo.
• Diabete mellito di nuova insorgenza è stato diagnosticato meno di frequente nel gruppo losartan rispetto al
gruppo atenololo (6% vs 8%; NNT/anno = 227).
• Gli altri end point secondari non differiscono significativamente.
• In un sottogruppo predefinito di pazienti con diabete
mellito (1.195 soggetti), l’end point primario è risultato del 23% nel gruppo atenololo rispetto al 18% nel
gruppo losartan [RR = 0,76 (IC 95%: 0,58÷0,98);
p=0,031; NNT/anno = 69](3).
Principali risultati
Sono riportati nella Tabella 1, ripresa con modifiche
da Lancet (2).
Dalla Tabella 1 si osserva quanto segue:
• Infarto del miocardio o ictus o decesso per cause cardiovascolari (outcome primario combinato) si sono
manifestati in 508 soggeti (11%) del gruppo losartan
(4.605 pazienti) e in 588 soggetti (13%) del gruppo
atenololo (4.588 pazienti). La differenza è significativa (NNT/anno = 244).
• Il risultato favorevole nel gruppo losartan è principalmente originato da una riduzione significativa dell’incidenza dell’ictus (5% vs 7%; NNT/anno = 270).
• L’incidenza di infarto del miocardio (4% in entrambi
Tabella 1. I risultati dello studio LIFE
Losartan
N=4605
Atenololo
N=4588
RR aggiustato*
(IC 95%)
p
508
(11%)
588
(13%)
0,87 (0,77÷0,98)
0,021
Mortalità cardiovascolare
204
(4%)
234
(5%)
0,89 (0,73÷1,07)
0,206
Infarto del miocardio
198
(4%)
188
(4%)
1,07 (0,88÷1,31)
0,491
Ictus
232
(5%)
309
(7%)
0,75 (0,63÷0,89)
0,001
Mortalità totale
383
(8%)
431
(9%)
0,90 (0,78÷1,03)
0,128
Diabete mellito di nuova insorgenza**
241
(6%)
319
(8%)
0,75 (0,63÷0,88)
0,001
160
(3%)
141
(3%)
1,16 (0,92÷1,45)
0,212
Insufficienza cardiaca
153
(3%)
161
(4%)
0,97 (0,78÷1,21)
0,765
Rivascolarizzazione
261
(6%)
284
(6%)
0,94 (0,79÷1,11)
0,441
9
(0,2%)
5
(0,1%)
1,91 (0,64÷5,72)
0,250
End point primario
Pazienti ospedalizzati per:
Angina pectoris
Rianimazione arresto cardiaco
* Sulla base del punteggio del rischio secondo lo studio Framingham e dell’ipertrofia ventricolare sinistra al basale.
** In pazienti non diabetici alla randomizzazione (losartan, n=4019; atenololo, n=3979).
254
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA
In tali pazienti, oltre a ciò, differiscono tra loro in
modo significativo la mortalità cardiovascolare (6%
losartan vs 10% atenololo; NNT/anno = 122), la mortalità per ogni causa (11% losartan vs 17% atenololo;
NNT/anno = 68) e l’ospedalizzazione per insufficienza
cardiaca (5% losartan vs 9% atenololo; NNT/anno =
112) (3).
Effetti sulla pressione arteriosa e sull’ipertrofia
ventricolare
L’obiettivo di una riduzione della pressione arteriosa
sistolica a 140/90 mmHg o meno è stato raggiunto nel
49% dei pazienti trattati con losartan e nel 46% dei
pazienti trattati con atenololo. La variazione media
pressoria è stata di 30,2 mmHg nel gruppo losartan e di
29,1 mmHg, con una differenza di 1,1 mmHg a favore
del losartan (p = 0,017). La variazione media della
pressione arteriosa diastolica è risultata di 16,6 mmHg
nel gruppo losartan e di 16,8 mmHg nel gruppo atenololo (p: non significativo); le pressioni arteriose medie
rilevate all’ultima visita sono risultate rispettivamente
144,1/81,3 mmHg nel gruppo losartan e 145,4/80,9
mmHg nel gruppo atenolo (p: non significativo).
I dati non evidenziano in modo chiaro se entrambi i
gruppi hanno raggiunto valori pressori comparabili.
Nel gruppo losartan, la dose è stata raddoppiata nel
50% dei partecipanti, nel gruppo atenololo nel 43% (2).
Le misurazioni sono state effettuate a valle, immediatamente prima della somministrazione della successiva
dose (2,4). La presentazione grafica sembra indicare
valori di pressione sistolica costantemente più bassi nel
gruppo losartan. La pressione sistolica risulta significativamente inferiore nel gruppo losartan rispetto al grup-
po atenololo dall’inizio dello studio fino alla sua valutazione finale (2). Non viene riportato nessun valore
pressorio durante il tempo di azione effettivo di entrambi i farmaci. Gli effetti avversi orientano a valori pressori più bassi nel gruppo losartan: reazioni ipotensive si
sono manifestate più spesso nei trattati con l’inibitore
selettivo dell’angiotensina II (2,3).
Un diverso controllo della pressione nei due gruppi di
trattamento può riflettere un diverso grado di attenzione.
Questa interpretazione può essere suggerita anche dal
pur modesto sbilanciamento tra i due gruppi per quanto
riguarda i trattamenti antipertensivi associati a quelli
sperimentali: la percentuale di pazienti nei quali si è
fatto ricorso al trattamento con altri farmaci antipertensivi è stata pari al 26% nel gruppo losartan e al 22% nel
gruppo atenololo. La differenza è minima, ma non trascurabile, considerato il minimo vantaggio clinico attribuito al losartan.
I risultati dello studio LIFE mostrano una maggior
regressione dell'ipertrofia ventricolare sinistra dopo più
di quattro anni di trattamento con losartan rispetto all'atenololo.
Eventi avversi
I principali effetti indesiderati sono riportati in
Tabella 2.
Il losartan è risultato meglio tollerato. Tra gli eventi
indesiderati predefiniti, il losartan è stato associato ad
una incidenza significativamente inferiore di bradicardia, estremità fredde e disturbi sessuali. L’ipotensione è
stata più comune con il losartan che con l’atenololo.
Non sono state osservate differenze significative per le
incidenze di angioedema e tosse tra i due gruppi.
Tabella 2. Principali eventi avversi osservati nello studio LIFE
Predefiniti
Losartan
Atenololo
p
Angioedema
Bradicardia
Tosse
Ipotensione
Estremità fredde
Disturbi sessuali
6 (0,1%)
66 (1%)
133 (3%)
121 (3%)
178 (4%)
164 (4%)
11 (0,2%)
391 (9%)
113 (2%)
75 (2%)
269 (6%)
214 (5%)
0,237
<0,0001
0,220
0,001
<0,0001
0,009
213 (5%)
239 (5%)
691 (15%)
568 (12%)
519 (11%)
457 (10%)
539 (12%)
293 (6%)
300 (7%)
802 (17%)
477 (10%)
463 (10%)
648 (14%)
637 (14%)
0,0002
0,007
0,001
0,004
0,068
<0,0001
0,002
Altri (non predefiniti)*
Albuminuria
Iperglicemia
Astenia/fatica
Mal di schiena
Dolore al torace
Dispnea
Edema arti inferiori
* Incidenza > 5% in uno dei gruppi di trattamento e differenza >1% tra gruppi di trattamento
Da Lancet, modificato (2).
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
255
DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA
Conclusioni
• Lo studio LIFE è uno studio di ampie dimensioni, di
lungo termine, con misurazione di end point clinici
forti nel trattamento dell’ipertensione, che ha posto a
confronto due farmaci antipertensivi con differente
meccanismo d’azione (solo) in gruppi di pazienti ad
alto rischio cardiovascolare (segni di ipertrofia ventricolare sinistra all’ECG).
• Dopo un trattamento medio di 4,8 anni, l’incidenza di
ictus è risultata del 5% nel gruppo losartan e del 7%
nel gruppo atenololo; l’incidenza di infarto del miocardio e della mortalità (cardiovascolare e per tutte le
cause) non differisce in modo significativo tra i due
trattamenti.
• Per quanto concerne l’evento primario indagato
dallo studio (incidenza combinata di morbidità e
mortalità cardiovascolare), il risultato favorevole
nel gruppo losartan (incidenza 11%) rispetto al
gruppo atenololo (13%) è principalmente da ascrivere ad una riduzione significativa dell’incidenza
dell’ictus (in un quadro di sostanziale pari sopravvivenza e safety coronarica).
• Al quesito di particolare importanza: “il losartan
presenta uno specifico vantaggio cardioprotettivo
sull’atenololo, indipendente dall’effetto sulla
pressione arteriosa?” – non si può dare risposta in
base ai risultati presentati. Le differenze nell’aggiustamento dei dosaggi e gli eventi avversi ipotensivi portano a presumere un controllo più efficace della pressione arteriosa nel gruppo losartan.
• Nel sottogruppo predefinito di pazienti con diabete, l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca,
256
la mortalità cardiovascolare e la mortalità totale si
sono dimostrate significativamente inferiori nel
gruppo losartan rispetto al gruppo atenololo.
• Solo in 11 pazienti su 100 il trattamento anti-ipertensivo è stato limitato alla monoterapia con
losartan (50 o 100 mg) e in 12 pazienti su 100 a
quella con atenololo (50 o 100 mg). Ciò sta a
significare che in un trial di confronto tra losartan
e atenololo le variabili in gioco sono molte altre.
La randomizzazione può molto, distribuendo tali
variabili in maniera equanime tra i due gruppi.
Ma, a fronte di vantaggi clinici non rilevanti,
quanto gioca la somma algebrica di un’infinità di
sbilanciamenti – anche se di per sé non significativi - tra i due gruppi di trattamento? Come si distribuiscono tra i due gruppi variabili non riportate nel lavoro di Lancet, seppure importanti, quali
durata dello stato ipertensivo alla randomizzazione, precedente trattamento dell’ipertensione e sua
efficacia, ecc.? Per risolvere qualsiasi dubbio in
proposito sarebbe utile un’analisi multivariata,
che prendesse in considerazione una serie di
variabili più estesa rispetto alle due variabili controllate nell’adjusted analysis presentata nel
report dello studio.
• Desta perplessità che i dati dello studio siano in un
database della Merck Sharp & Dohme, che un
dipendente della stessa azienda compaia tra gli
autori della ricerca e che un altro sia stato responsabile dell’analisi dei dati dello studio.▲
Bibliografia
Le interruzioni conseguenti ad eventi indesiderati
sono state significativamente meno frequenti nei
pazienti trattati con losartan rispetto a quelli che assumevano atenololo.
Lo studio LIFE conferma i dubbi sul presunto effetto protettivo del losartan sul rene. La creatinina serica
aumenta nel corso dello studio, non differendo significativamente sia nel gruppo totale che nel sottogruppo
dei pazienti diabetici (2,3).
1. MacMahon S et al. Electrocardiographic left ventricular
hypertrophy and effects of antihypertensive drug therapy in
hypertensive participants in the Multiple Risk Factor Intervention Trial. Am J Cardiol 1989;63:202-10.
2. Dahlöf B et al. Cardiovascular morbidity and mortality
in the Losartan Intervention For Endpoint reduction
(LIFE) in hypertension study: a randomised trial against
atenolol. Lancet 2002;359:995-1003.
3. Lindholm LH et al. Cardiovascular morbidity and mortality
in patients with diabetes in the Losartan Intervention For
Endpoint reduction in hypertension study (LIFE): a randomised trial against atenolol. Lancet 2002;359:1004-10.
4. Dahlöf B et al. The Losartan Intervention For Endpoint
reduction (LIFE) in hypertension study rationale, design,
and methods. The LIFE Study Group. Am J Hypertens
1997;10:705-13.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
EDITORIALE
ABC
DEGLI STUDI CLINICI
Come viene riportata l’importanza clinica dei
risultati degli studi?
Analisi di alcune sperimentazioni controllate e randomizzate
How well is the clinical importance of study results reported? An assessment of randomized controlled trials.
Chan KBY et al. CMAJ 2001;165:1197-1202.
PARTE PRIMA
Riassunto
Contesto
L’interpretazione dei risultati delle sperimentazioni
controllate e randomizzate (RCTs, dall’inglese randomized controlled trials) è basata sulla significatività
statistica piuttosto che sull’importanza clinica. Il nostro
obiettivo è stato valutare la qualità del modo in cui vengono riportati i fattori connessi all’importanza clinica
in un campione di RCT pubblicati.
Metodi
In un campione random di 27 (su un totale di 266) RCT
pubblicati in cinque delle maggiori pubblicazioni medico-scientifiche nel corso di un anno, quattro revisori indipendenti hanno analizzato i fattori considerati importanti
per l’interpretazione dell’importanza clinica dei risultati
degli studi: identificazione di un esito primario chiaramente definito; modalità con cui è riportata la differenza
attesa tra gruppi usata per il calcolo della numerosità del
campione (valore delta), e se tale differenza era basata
sulla minima differenza di intervento clinicamente
importante; significatività statistica dei risultati, presentazione di intervalli di confidenza pertinenti; interpretazione dell’importanza clinica dei risultati secondo gli autori.
Risultati
Ventidue dei 27 (81%) articoli riportavano esplicitamente un singolo esito primario. Dei 20 articoli che prevedevano un calcolo della numerosità del campione, 18
(90%) riportavano un valore delta. Due dei 18 (11%)
articoli affermavano esplicitamente che il valore delta
era scelto in modo da riflettere la minima differenza di
intervento clinicamente importante. Per quanto riguarda
gli esiti primari, gli intervalli di confidenza per le stime
dell’efficacia degli interventi erano riportati in 11 dei 27
(41%) studi. I risultati dello studio erano interpretati dal
punto di vista dell’importanza clinica in 20 articoli su 27
(74%). Di questi 20 articoli, 5 (25%) fornivano una giustificazione dell’interpretazione clinica dei risultati.
Interpretazione
Gli Autori di RCT pubblicati sulle maggiori riviste di
medicina generale e di medicina interna non sempre
forniscono la loro interpretazione dell’importanza clinica dei risultati, e spesso non danno informazioni sufficienti a consentire ai lettori di elaborare una propria
interpretazione.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
L’interpretazione dei risultati degli RCT è concentrata sulla loro significatività statistica piuttosto che
sull’importanza clinica. Per esempio, la recente revisione dei CONSORT (“Consolidated Standards Of
Reporting Trials”: una serie di raccomandazioni largamente seguite e finalizzate a migliorare la qualità delle
pubblicazioni degli RCT) non raccomanda specificamente che gli autori discutano l’importanza clinica dei
loro risultati (1). La mancanza di attenzione all’importanza clinica dei risultati degli RCT ha condotto a errori e discordanze nella loro interpretazione, e alla tendenza a considerare equivalenti significatività statistica
e importanza clinica. In un certo numero di circostanze,
risultati statisticamente significativi possono essere clinicamente non importanti e, viceversa, risultati statisticamente non significativi non escludono la possibilità
di effetti clinicamente importanti (2,3).
La differenza minima clinicamente importante
(MCID, dall’inglese minimal clinically important difference) fra una terapia sperimentale e la rispettiva terapia
di controllo è definita come quella differenza che sarebbe
sufficiente a giustificare un cambiamento nelle decisioni
terapeutiche, tenendo anche conto del rischio di eventi
avversi, inconvenienti e costi (4). La MCID è un concetto chiave sia nel disegno che nell’interpretazione dei
risultati degli RCT. Nel disegno, infatti, la numerosità del
campione (sample size) del trial dovrebbe riflettere la
MCID che si vuole evidenziare fra il trattamento in sperimentazione e quello di controllo (valore delta). Nell’interpretazione, il raggiungimento o meno di una MCID è
il criterio principale di cui tener conto per la prospettiva
di applicare i risultati del trial alle decisioni terapeutiche.
Ad esempio, in soggetti senza precedenti di infarto
miocardico (MI, dall’inglese Myocardial Infarction) o
ictus, il regolare impiego di aspirina riduce l’incidenza di
MI da 0,70 a 0,50 per cento e per anno (riduzione di
rischio: assoluta di 0,20%, relativa di circa il 25%), ma
questo vantaggio potrebbe essere controbilanciato da un
concomitante aumento di incidenza di ictus da 0,30 a
0,32 per cento e per anno (aumento di rischio: assoluto di
0,02%, relativo di circa il 10%), e di emorragia gastrointestinale da 1 a 2 per cento e per anno (5). Dopo avere
valutato vantaggi e svantaggi dell’uso dell’aspirina in
questo contesto, un autorevole panel di esperti non ne ha
raccomandato l’uso, giudicando che la sua efficacia nel
prevenire l’MI non era sufficiente a superare l’aumento
257
ABC DEGLI STUDI CLINICI
di incidenza di ictus e di emorragia gastrointestinale.
Cioè, in questo contesto l’efficacia dell’aspirina non era
sufficiente a raggiungere o a superare la MCID.
zabili: 1° livello, nessun articolo; 2° livello, 1 articolo; 3° livello, 4 articoli; 4° livello, 15 articoli.
Commento
L’articolo di Chan et al. riprende un problema che
periodicamente (ma non troppo spesso) riappare nella
stampa medica: l’importanza clinica dei vantaggi terapeutici “statisticamente significativi” evidenziati nelle
sperimentazioni cliniche. La prima parte dell’articolo,
di maggior interesse generale, è stata qui tradotta integralmente; della seconda parte sono sintetizzati i punti
principali, e l’interpretazione conclusiva. La tesi generale dell’articolo, pienamente condivisa da questo commento, è che significatività statistica e rilevanza clinica
non sempre coincidono, che risultati “statisticamente
significativi” possono essere clinicamente non importanti e che, viceversa, effetti terapeutici “statisticamente non significativi” possono veicolare il messaggio di
una terapia clinicamente utile. Il testo dell’articolo
espone fra l’altro una modalità per mettere a confronto
la MCID di una terapia valutata in una sperimentazione con il risultato della sperimentazione (espresso
come differenza fra la risposta al trattamento sperimentale e quella al trattamento di controllo, con relativo
intervallo di confidenza). La modalità riportata nell’articolo è qui illustrata in tre schemi (v. Figura 1); da
notare che in tutti e tre gli schemi i risultati degli RCT
sono “statisticamente significativi”.
PARTE SECONDA
Lo studio ha randomizzato il 10% dei 266 RCT pubblicati tra il 1 dicembre 1998 e il 1 novembre 1999 da
cinque riviste di medicina generale con il massimo
impact factor (Annals of Internal Medicine, British
Medical Journal, Journal of the American Medical
Association, The Lancet, New England Journal of Medicine). La traduzione è integrale per quello che riguarda
il riassunto (v. sopra) e per la prima parte dell’articolo,
molto importante per il suo carattere generale. Il resto
dell’articolo, piuttosto tecnico e molto lungo, si conclude con i risultati dell’analisi, in parte riportati nel riassunto. Alcune precisazioni e altre osservazioni di particolare interesse sono sintetizzate nel testo seguente.
• La MCID era esplicitamente citata come base della
definizione della numerosità del campione solo
nell’11% degli articoli analizzabili.
• L’importanza clinica dei risultati era menzionata nel
74% degli articoli; solo nel 50% di essi era oggetto di
una discussione esplicita.
• La giustificazione addotta per la definizione della
MCID era particolarmente carente: su 4 livelli di validità della giustificazione (decrescenti da 1 a 4) la giustificazione era così distribuita nei 20 articoli analizFigura 1. Posizione di MCID e intervallo di confidenza
A.
B.
C.
*
*
*
A. La MCID (*) è posta a destra del limite inferiore dell’intervallo di confidenza della differenza fra risultato del trattamento sperimentale e di controllo: è
probabile che il risultato del trial sia clinicamente
importante.
B. La MCID (*) è posta a sinistra del limite superiore
dell’intervallo di confidenza della differenza fra
risultato del trattamento sperimentale e di controllo:
è probabile che il risultato del trial non sia clinicamente importante.
C. La MCID (*) è all’interno dell’intervallo di confidenza della differenza fra risultato del trattamento
258
sperimentale e di controllo: l’importanza clinica del
risultato del trial è dubbia.
Si è già osservato che il problema dell’interpretazione dei risultati degli RCT dal punto di vista della rilevanza clinica non è nuovo (6,7) e lo stesso termine di
MCID era stato introdotto nel 1989 (4). Un contributo
che facilita (ma non è sufficiente a consentire) l’interpretazione clinica dei risultati degli RCT è fornito dall’intervallo di confidenza (8), di uso crescente a integrazione o al posto del valore di p, e incluso nelle raccomandazioni di CONSORT (1).▲
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
ABC DEGLI STUDI CLINICI
BOX 1
Alcune considerazioni correlate all’uso dell’intervallo di confidenza
Le Figure 2 e 3, da (8) mod., illustrano come l’uso dell’intervallo di confidenza (IC) fornisce informazioni clinicamente rilevanti non ricavabili dal valore di p. Nella Figura 2 sono esaminati tre risultati di RCT, statisticamente
significativi (p < 0,05), come indica anche il fatto che i rispettivi IC non attraversano la linea di equivalenza. Gli
intervalli di confidenza forniscono però altre informazioni. Nello studio A, l’IC ristretto indica che il risultato è
riproducibile (e quindi attendibile); l’effetto terapeutico è però modesto (l’IC si estende fino in prossimità della
linea di equivalenza). Nello studio B, l’IC è ampio e si estende fino in prossimità della linea di equivalenza: l’effetto terapeutico potrebbe essere modesto o notevole, l’informazione è poco riproducibile. Nello studio C, l’IC
ristretto garantisce la riproducibilità del risultato, e la distanza dalla linea di equivalenza indica un effetto terapeutico notevole (e quindi clinicamente rilevante).
Figura 2. Nei tre studi, p < 0,05, risultato “statisticamente significativo”.
Per le informazioni ulteriori fornite da IC, v. testo.
A.
B.
C.
Nella Figura 3 sono esaminati due risultati di RCT, statisticamente non significativi (p > 0,05, IC che attraversa
la linea di equivalenza). I tre RCT forniscono però risultati che non sono sovrapponibili. Nel primo studio (A) il
trattamento sperimentale e quello di controllo hanno un risultato sovrapponibile (che cade sulla linea di equivalenza), e l’ IC è ristretto, indicando che il risultato è riproducibile. Nel secondo studio (B), l’IC ampio indica una
scarsa riproducibilità del risultato; inoltre, la parte maggiore dell’IC è a sinistra della linea di equivalenza, non si
può escludere che il trattamento sperimentale sia efficace, sono necessari altri studi.
Figura 3. Nei due studi, p > 0,05, risultato “statisticamente non significativo”.
Per le informazioni ulteriori fornite da IC, v. testo.
A.
B.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
259
ABC DEGLI STUDI CLINICI
BOX 2
In conclusione:
➣ La rilevanza clinica dei risultati degli RCT dipende criticamente dalla qualità degli end point: è ovvio infatti
che modificazioni in senso favorevole di un end point surrogato possono non essere clinicamente rilevanti,
anche se statisticamente significative, se non corrispondono a un reale vantaggio clinico.
➣ Molte sperimentazioni recenti e attuali includono migliaia (e anche decine di migliaia) di pazienti (megatrial).
Lo scopo è quello di reliably detect or refute moderate but still worthwhile treatment effects (9); esempi di
“effetti terapeutici moderati ma ancora clinicamente rilevanti (worthwhile)” evidenziati da megatrials sono
quelli dell’aspirina nei pazienti con sospetto infarto del miocardio, del tamoxifene come terapia adiuvante nel
carcinoma della mammella, ed altri (9). D’altra parte, la dimensione dei megatrial può rendere “statisticamente significativi” effetti terapeutici assai modesti, di dubbia o anche nulla rilevanza clinica. Guardare alla riduzione assoluta anziché a quella relativa del rischio può fornire un punto di vista più conservativo (e clinicamente
più appropriato) dell’efficacia dei trattamenti.
➣ L’articolo di Chan et al. introduce il bilancio tra efficacia ed eventi avversi dei trattamenti come criterio di valutazione della MCID, e sulla stessa linea si pongono altri studi sopra citati (4,7). Va tenuto presente però che assai
spesso gli RCT non riescono a identificare (o a riportare) eventi avversi dei trattamenti in sperimentazione, che
si evidenziano poi con l’estensione post-marketing a popolazioni assai più numerose di pazienti non selezionati, con conseguente, e non raro, ritiro dei farmaci in questione (10-14). Sembra dunque evidente che, per una
reale valutazione della MCID, gli RCT non sono sufficienti ed è anche necessaria la ricerca di segnalazioni di
eventi avversi, rilevati post-marketing.
Bibliografia
➣ L’interpretazione dei risultati degli RCT rigidamente focalizzata su parametri statistici è stata criticata come un
esempio di statistical reductionism, che tende a sovrapporsi e a prevalere rispetto alle valutazioni in termini di
beneficio clinico (15). Il vantaggio dell’interpretazione dei risultati degli RCT basata su parametri statistici è
che questi sono matematicamente calcolabili, quantitativi, riproducibili e (forse illusoriamente) obiettivi, mentre il concetto di MCID è intrinsecamente dipendente dal giudizio del medico e pertanto largamente soggettivo. È tuttavia necessario tener presente che i risultati statistici degli RCT riguardano il paziente medio affetto
da una malattia e definito da precisi criteri di inclusione ed esclusione; che all’interno di un RCT si trovano
pazienti che per le loro caratteristiche di base possono avvantaggiarsi molto, poco, o per nulla di un trattamento statisticamente efficace; che trattamenti statisticamente efficaci possono non ripetersi se l’IC è ampio e si
estende fino in prossimità della linea di equivalenza, o se cambiano le caratteristiche dei pazienti in un altro
RCT. Queste considerazioni, e altre non sviluppate per brevità, suggeriscono che la medicina attuale deve fare
un maggior uso di “Clinical Judgement” (16) nell’interpretazione e applicazione degli RCT e, più in generale,
della ricerca clinica e deve cercare di migliorare la misurabilità e riproducibilità degli indici (sintomi, segni,
qualità di vita) che del clinical judgement sono le componenti (17-20).
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BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
AGGIORNAMENTI
ATTIVITÀ
REGOLATORIE
Il prezzo dei farmaci in Italia
Classificazione dei medicinali ai fini della rimborsabilità
Il sistema che regola i prezzi dei farmaci in Italia
deriva da una stratificazione di norme avvenuta tra il
1994 e oggi. Allo stato attuale possiamo individuare
almeno quattro differenti tipologie di prezzi, corrispondenti a categorie di farmaci chiaramente individuate
nella legge.
All’origine del sistema dei prezzi italiano va posta la
classificazione in “fasce di rimborsabilità” dei farmaci
disposta dalla legge 537/93 (GU 28/12/93): in questa
norma viene stabilita la suddivisione, tuttora vigente,
tra farmaci totalmente rimborsati al paziente dal Servizio Sanitario Nazionale (detti “di classe A”, o “H” se
totalmente rimborsati ma disponibili solo a livello
ospedaliero), farmaci parzialmente rimborsati (“di classe B”) e farmaci totalmente a carico del paziente (“di
classe C”). Questa suddivisione tra farmaci rimborsati
e non, pur se modificata dalle recenti disposizioni che
hanno profondamente rivisto la classe B, è tuttora
vigente: al di là dell’ovvio impatto sul paziente, la classificazione dei farmaci ha un’implicazione (già delineata in questa norma) circa il sistema di fissazione del
prezzo, che prevede un prezzo massimo fissato per
legge soltanto per i farmaci rimborsati totalmente o parzialmente dal Servizio Sanitario Nazionale.
La ripartizione dei farmaci tra le diverse classi di
rimborsabilità è governata dalla Commissione Unica
del Farmaco, organo consultivo del Ministero della
Salute composto da esperti clinici e farmacologi designati dal Ministro e dalle Regioni: la classificazione
segue criteri generali che considerano tanto le necessità di sanità pubblica quanto il controllo della spesa farmaceutica.
Il prezzo dei medicinali non rimborsati
I farmaci a carico del paziente vengono venduti a
prezzo libero, in base ai principi fissati dalla normativa
europea: un’imposizione di vincoli su prodotti soggetti
a libero mercato si configurerebbe come un ostacolo
alla libera circolazione delle merci nell’Unione Europea, traducendosi in una violazione del Trattato di
Roma. Tuttavia, la legge 27 dicembre 1997 n. 449, art.
36, comma 12, pur non modificando lo status di prodotto soggetto a libero mercato del farmaco non mutuabile, ha posto comunque dei termini precisi sui cambiamenti di prezzo, stabilendo che questi possano intervenire “...esclusivamente a decorrere dalla comunicazioBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
ne degli stessi al Ministero della Sanità e al CIPE e con
frequenza annuale”: i cambiamenti di prezzo dei farmaci in classe C sono stati cioè limitati e sottoposti a un
monitoraggio che ha in questi anni effettivamente ridotto il loro impatto sui pazienti.
Il prezzo dei medicinali a carico del SSN
Nella normativa intervenuta dal 1994 a oggi sono
stati stabiliti i criteri di definizione del tetto di legge
imposto ai prezzi dei farmaci rimborsati: ogni produttore può fissare il prezzo dei propri farmaci liberamente, rimanendo dentro la soglia fissata dalla legge, pena
l’intervento sanzionatorio del CIPE (l’organo di sorveglianza del Ministero dell’Economia) e della CUF.
Il prezzo massimo applicabile per i farmaci mutuabili è pari:
• al “Prezzo Medio Europeo” (PME) per i farmaci autorizzati a livello nazionale;
• a un prezzo contrattato per i farmaci autorizzati a
livello nazionale per cui non sia possibile l’applicazione del PME;
• a un prezzo contrattato con una commissione che
coinvolge Ministeri e Regioni, sulla base di valutazioni cliniche ed economiche, per i farmaci “innovativi”, autorizzati a livello europeo.
Il Prezzo Medio Europeo
Il “Prezzo Medio Europeo” (PME) viene determinato secondo criteri definiti con propria delibera dal
CIPE, organo del Ministero dell’Economia: attualmente deriva in sostanza dalla media dei prezzi delle confezioni più vendute nei paesi UE aventi stesso principio
attivo e via di somministrazione. La più recente delibera CIPE sui criteri di calcolo del PME (Del. CIPE
26/2/98, G.U. 17/4/98) ha comportato il ricalcolo dei
tetti per tutti i farmaci rimborsati già in commercio:
l’allineamento dei prezzi al nuovo PME è stato disposto in sei fasi annuali per i prezzi inferiori e in un’unica soluzione per quelli superiori. L’ultima tranche di
adeguamento al PME intervenuta a oggi per i farmaci
che avevano un prezzo inferiore, la quarta di sei, era
prevista per luglio 2001, ma è stata differita per decreto a gennaio 2002: in questo modo, l’aumento di questi
farmaci rimborsati si è sovrapposto a quello indotto dal
passaggio all’Euro per i farmaci non rimborsati, determinando l’incremento della spesa evidenziato in gennaio dalla stampa.
261
ATTIVITÀ REGOLATORIE
Laddove il PME non sia calcolabile per problemi
tecnici (quali l’assenza di confezioni paragonabili in un
numero sufficiente di paesi UE), o la sua applicazione
risulti non remunerativa per l’azienda produttrice, configurando la possibilità di carenza di mercato per farmaci considerati necessari, la normativa prevede la
possibilità di accesso a una procedura di contrattazione
con una commissione interministeriale (tra i dicasteri
della Salute e dell’Economia), secondo criteri comunque coerenti con quelli di calcolo del PME.
I medicinali a prezzo negoziato
I farmaci rimborsati autorizzati attraverso procedure
europee (“centralizzate”, ovvero presentate dai produttori a livello UE, o di “Mutuo riconoscimento”, ovvero
presentate, prendendo a riferimento un’autorizzazione
già esistente in un paese UE, a tutti gli altri Stati membri) hanno un tetto fissato per contrattazione secondo i
criteri stabiliti dalla Del. CIPE 30/1/97, (G.U.
13/5/97) : il Gruppo di lavoro che si occupa della contrattazione comprende esperti di farmacoeconomia, clinici e rappresentanti dei Ministeri interessati (Salute,
Economia, Industria) e delle Regioni, e riceve mandato
circa i margini di negoziazione per i farmaci sottoposti
a valutazione dalla Commissione Unica del Farmaco,
cui sottopone poi per approvazione gli accordi raggiunti con le ditte.
La recente normativa sui farmaci fuori brevetto
e generici (DL 347 del 18/9/01, convertito in
L 405/2001), pur non modificando il quadro di
riferimento per il calcolo dei prezzi massimi dei
farmaci mutuabili, ha introdotto due importanti
innovazioni: un principio di concorrenza sul prezzo tra farmaci uguali, e un decentramento della
responsabilità di controllo a livello regionale. Il
Ministero della Salute ha diffuso un elenco di confezioni che non godono più di tutela brevettuale,
raggruppate secondo tipologie uguali: le Regioni
hanno verificato per ogni tipologia di confezione
quale fosse quella più economica presente sul proprio mercato, limitando a questo livello il tetto di
rimborso per quella tipologia. Praticamente, ogni
Regione ha emesso per le tipologie di farmaci
fuori brevetto una propria lista di prezzi massimi
di rimborso da parte del SSN, senza ledere il diritto dei produttori a praticare un prezzo superiore,
conforme alle leggi sui prezzi sopra illustrate.▲
I medicinali orfani
I medicinali cosiddetti “orfani” sono quei prodotti
finalizzati al trattamento di malattie rare, economicamente poco o affatto remunerativi alle abituali condizioni di commercializzazione. Per tal motivo le aziende sono poco interessate alla loro ricerca e sviluppo.
Com’è noto, il processo che va dall’individuazione
di un nuovo principio attivo per una determinata patologia fino alla sua commercializzazione è lungo (in
media dieci anni), costoso (milioni di euro) e talora
rischioso (tra molte molecole testate, solo poche raggiungono il mercato). Un medicinale potenzialmente
utile per trattare una condizione, anche se rara, e che
quindi risponde a un bisogno di sanità pubblica, può
avere un mercato non appetibile e insufficiente perché
siano ripagate le spese della sua ricerca e sviluppo.
È altrettanto noto che una serie di malattie, oltre
5.000, colpisce un numero relativamente ridotto di persone, e l’industria farmaceutica è riluttante a sviluppare
medicinali per il loro trattamento. Al giorno d’oggi, le
attività di ricerca e sviluppo in campo farmaceutico
sono molto impegnative, così che le probabilità che
un’azienda si assuma l’onere di sviluppare un medicinale, ottenere l’autorizzazione per il suo impiego e commercializzarlo sono praticamente nulle se tale prodotto
è destinato ad essere fornito a pochi pazienti che ne
hanno bisogno. D’altra parte è inaccettabile che ad alcuni individui venga negata la possibilità di beneficiare del
262
progresso medico semplicemente perché l’affezione di
cui soffrono colpisce soltanto un numero ridotto di persone. Per questo motivo, l’Unione Europea ha preso
provvedimenti specifici ed ha previsto adeguati incentivi affinché le aziende farmaceutiche siano motivate a
sviluppare nuovi medicinali o ad indagare nuove indicazioni per farmaci esistenti. Il concetto di medicinale
orfano va infatti al di là delle malattie rare, comprendendo anche indicazioni orfane, nel senso che un prodotto può essere stato studiato per il trattamento di una
patologia frequente, e per essa può essere utilizzato, ma
non è stato sviluppato per un’altra indicazione più rara.
Di fatto, possono presentarsi tre casi che identificano come farmaci orfani:
1. Prodotti destinati a malattie rare. Sono finalizzati alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia di una affezione che comporta una minaccia per la vita o la debilitazione cronica e che colpisce in Europa meno di 5 individui ogni 10.000, ovvero uno su 2.000. In Europa tali patologie dovrebbero riguardare 25-30 milioni di persone.
2. Prodotti ritirati dal mercato per ragioni economiche o farmacologiche. A titolo esemplificativo, si
cita il caso della talidomide, un farmaco utilizzato quarant’anni fa come ipnotico e sedativo, specie in gravidanza, e che, a causa della sua potente attività teratogeBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
ATTIVITÀ REGOLATORIE
na (migliaia di bambini colpiti da focomelia e da altre
deformità), fu sospeso dal mercato. Di questo farmaco
è stata ora dimostrata l’efficacia nel trattamento di condizioni quali l’eritema nodoso lepromatoso, il mieloma
multiplo refrattario alla chemioterapia, il LES (dall’inglese Lower Esophageal Sphincter), tutte patologie per
le quali non esiste alcun trattamento soddisfacente. La
Legge 648/96 (v. BIF 2000;4:43-4), che prevede l’istituzione di un elenco di medicinali erogabili a carico del
SSN nel caso in cui non esista una valida alternativa
terapeutica, è stata formulata per rispondere anche a
queste possibili situazioni.
3. Prodotti non sviluppati, sia perché frutto di un
processo di ricerca non brevettabile, sia perché riguardano prodotti importanti ma che non possono essere
acquistati per mancanza di fondi (ad es. farmaci orfani
per patologie del terzo mondo).
L’Europa, rispetto ad altri paesi (Stati Uniti, Giappone), ha tardato ad adottare una politica unificata in
materia di farmaci orfani, soprattutto a causa della dispersione delle competenze in materia sanitaria tra i vari
stati membri. A partire dal 1995, con il nuovo sistema
di autorizzazione al commercio comunitario dei medicinali valido per tutti i paesi dell’Unione, è iniziata una
politica più omogenea e produttiva che ha visto promulgata una normativa unificata. Il regolamento (CE)
N. 141/2000 del Parlamento e del Consiglio d’Europa
sui medicinali orfani è stato adottato il 16 dicembre
1999 ed è entrato in vigore il 27 aprile 2000.
Largamente ispirato dalle norme in vigore negli Stati
Uniti, l’obiettivo principale del regolamento dell’Unione
Europea è di stimolare ed incentivare l’industria farmaceutica e biotecnologica a promuovere la ricerca, lo sviluppo e la disponibilità sul mercato dei farmaci orfani.
Così, un medicinale riconosciuto con la qualifica di orfano gode di una esclusiva decennale sulla commercializzazione, il che significa essenzialmente che né la Comunità né uno Stato membro possono rilasciare, in un
secondo momento, l’autorizzazione a commercializzare
un medicinale analogo con le stesse indicazioni terapeutiche. Tale privilegio può essere messo in discussione
qualora il farmaco non soddisfi più i criteri sulla base dei
quali aveva ottenuto la particolare qualifica o se il prezzo richiesto risulti eccessivamente elevato. L’esclusiva
non preclude l’immissione in commercio di un secondo
medicinale qualora risulti più sicuro, più efficace o
comunque clinicamente superiore a quello già in uso.
La ricerca e lo sviluppo dei medicinali orfani possono usufruire, inoltre, di altri incentivi di tipo tecnico,
scientifico ed economico, resi disponibili dalla Comunità Europea e da alcuni Stati membri a favore soprattutto
delle piccole e medie aziende farmaceutiche. Tra questi,
l’assistenza da parte dell’Agenzia Europea di Valutazione dei Medicinali (EMEA) nella formulazione del protocollo, la riduzione delle tasse per tutte le attività connesse alla procedura centralizzata per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio, la priorità di
accesso ai fondi di ricerca dell’Unione Europea.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
Il regolamento prevede infine un Comitato per i
medicinali orfani (COMP), a cui spetta la responsabilità di svolgere gli esami scientifici che portano a designare come orfano un medicinale. La designazione da
parte del COMP implica l’eleggibilità del farmaco ad
ottenere 10 anni di esclusività del mercato per quella
particolare indicazione solo nel caso in cui il CPMP
(dall’inglese Committee for Proprietary Medicinal
Products), organo tecnico-scientifico dell’EMEA, dia
la sua approvazione.
Nel suo ultimo rapporto annuale, l’EMEA ha evidenziato che, nel 2001, le domande di assegnazione
della qualifica di medicinale orfano hanno superato di
un 15% le previsioni iniziali e che i medicinali con tale
designazione hanno rappresentato il 20% delle nuove
domande di autorizzazione al commercio. Tutto ciò sta
a dimostrare il crescente interesse delle aziende per
quest’area farmaceutica.
Nel 2001, il COMP ha dato parere positivo per il
riconoscimento di medicinali orfani a 62 prodotti
(rispetto a 26 dell’anno precedente), mentre 29 domande di designazione sono state sospese (3 nel 2000) in
quanto gli sponsor non sono stati in grado di giustificare con completezza le loro richieste.
Nelle pagine seguenti sono riportati, in ordine alfabetico,
i prodotti designati con la qualifica di medicinali orfani dal
COMP. L’elenco è aggiornato a marzo 2002 ed è disponibile nel sito dell’EMEA http://pharmacos.eudra.org/F2/register/orphreg.htm.
Tra i prodotti che hanno avuto la designazione da parte
del COMP di medicinali orfani, quelli che sino ad oggi
sono stati giudicati positivamente da parte del CPMP ed
autorizzati al commercio nei Paesi della CE sono:
Algasidasi alfa (Replagal® - TKT Europe): è indicato come terapia enzimatica sostitutiva a lungo termine in pazienti con diagnosi confermata di malattia di
Fabry. Tale patologia è caratterizzata da un deficit di agalattosidasi, un’idrolasi che catalizza l’idrolisi dei glicosfingolipidi, in particolare del globotriaosilceramide
(GL-3). La riduzione o l’assenza di attività di tale enzima provoca l’accumulo di GL-3 nelle cellule, con conseguente danno alla maggior parte degli organi: cuore,
sistema nervoso, reni.
Algasidasi beta (Fabrazyme® – Genzime): è indicato come terapia enzimatica sostitutiva a lungo termine
in pazienti con diagnosi confermata di malattia di
Fabry. Tale patologia è caratterizzata da un deficit di agalattosidasi, un’idrolasi che catalizza l’idrolisi dei glicosfingolipidi, in particolare del globotriaosilceramide
(Gb-3). La riduzione o l’assenza di attività di tale enzima provoca l’accumulo di Gb-3 nelle cellule, con conseguente danno alla maggior parte degli organi: cuore,
sistema nervoso, reni.
Arsenico triossido (Trisenox® – Cell Therapeutics):
trova indicazione nell’induzione di remissione e consolidamento in pazienti adulti affetti da leucemia promielocitica acuta recidivante o refrattaria, caratterizzata
dalla presenza di traslocazione cromosomica t (15;17)
e/o dalla presenza del gene Leucemia Pro-Mielociti-
263
ATTIVITÀ REGOLATORIE
ca/Acido-Retinoico-Recettore-alfa (PML/RAR-alpha).
Devono essere stati attuati in precedenza un trattamento
con un retinoide e la chemioterapia AML-M3.
Bosentan (Tracleer® - Actelion): trova indicazione
nel trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare
primaria o secondaria a sclerodermia; agisce come
antagonista sui recettori dell’endotelina (ETA – ETB),
un potente vasocostrittore.
PRODOTTO
Abetimus sodio
N-Acetilgalattosamina-4-solfatasi
Acido 4-(3,5-bis-(idrossifenil)1,2,4)triazol-1-il)-benzoico
di terapia chelante
Acido N-carbamil–L–glutamico
Acido 1,3-propandisolfonico, sale disodico
Algasidasi alfa
Algasidasi beta
Anagrelide cloridrato
Antagonista recettore GM-CSF
Anticorpo monoclonale chimerico cG250 IgG
Anticorpo monoclonale chimerico cG250 IgG
per uso con 131I
Anticorpo monoclonale umanizzato anti-HM1.24
Anticorpo monoclonale umano ricombinante per hsp90
Anticorpo monoclonale umano specifico per
Transforming Growth Factor ß1
Anticorpo monoclonale umano specifico per
Transforming Growth Factor ß 2
Antitripsina-alfa-1 umana
ricombinante (uso respiratorio)
Apomorfina (uso oromucosale)
Arsenico triossido
Arsenico triossido
Arsenico triossido
Arsenico triossido
Azacitidina
Beclometasone 17,21-dipropionato (uso orale)
(reazione da trapianto)
Beraprost sodico
Betaina anidra
Bosentan
264
Imatinib (Glivec® - Novartis): è indicato nel trattamento della leucemia mieloide cronica (positiva per il
cromosoma Filadelfia - bcr-abl) in fase cronica dopo
fallimento della terapia con interferone alfa, o in fase
accelerata o in crisi blastica. Più di recente è stato anche
approvato per la terapia dei tumori stromali gastrointestinali con metastasi (GIST).▲
DESIGNAZIONE TRATTAMENTO
Trattamento nefrite lupica
Trattamento mucopolisaccaridosi, tipo VI (MPS VI o
sindrome di Maroteaux-Lamy)
Trattamento sovraccarico cronico di ferro necessitante
Trattamento deficit di N–acetilglutamato sintetasi
(NAGS)
Trattamento amiloidosi secondaria sistemica
Trattamento malattia di Fabry
Trattamento malattia di Fabry
Trattamento trombocitemia essenziale
Trattamento leucemia mielomonocitica giovanile
Trattamento carcinoma cellule renali
Trattamento carcinoma cellule renali
Trattamento mieloma multiplo
Trattamento infezioni fungine invasive
Trattamento sclerosi sistemica
Prevenzione cicatrizzazione canale di deflusso creato
con procedura chirurgica nel glaucoma
Trattamento enfisema secondario a deficit congenito di
antitripsina-alfa-1
Trattamento periodi off del morbo di Parkinson non
rispondenti ad altro trattamento orale
Trattamento mieloma multiplo
Trattamento sindromi mielodisplastiche
Trattamento leucemia promielocitica
Trattamento leucemia promielocitica acuta
Trattamento sindromi mielodisplastiche
Trattamento reazione “graft versus host” intestinale
Trattamento ipertensione arteriosa polmonare e ipertensione polmonare cronica tromboembolica
Trattamento omocistinuria
Trattamento ipertensione arteriosa polmonare primaria
e secondaria a sclerodermia
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
ATTIVITÀ REGOLATORIE
Busulfan (uso endovenoso)
Trattamento condizionante prima del trapianto di cellule staminali ematopoietiche
1,5-(Butilimino)-1,5-dideossi, D-glucitolo
Trattamento morbo di Gaucher
Carmustina
Trattamento glioma
Celecoxib
Trattamento poliposi adenomatosa familiare
8-Ciclopentil-1,3-dipropilxantina
Trattamento fibrosi cistica
Cladribina (uso sottocute)
Trattamento linfoma non-Hodking indolente
2-Cloro-9-[2-deossi-2-fluoro-ß-D
-arabinofuranosil]adenina
Trattamento leucemia linfoblastica acuta
Colistimetato sodico
Trattamento infezione polmonare da Pseudomonas
aeruginosa (colonizzazione compresa) nella fibrosi
cistica
C1-inibitore umano ricombinante
Trattamento angioedema da deficit di C1-inibitore
Denileukin diftitox
Trattamento linfoma cutaneo a cellule T
Desossiribosio fosforotioato
(5’-tct-ccc-agc-gtg-cgc-cat-3’)
Trattamento leucemia linfocitica cronica
Desossiribosio fosforotioato
(5’-tct-ccc-agc-gtg-cgc-cat-3’)
Trattamento mieloma multiplo
Dexrazoxan
Trattamento stravasi di antracicline
Ecteinascidin 743
Trattamento sarcoma dei tessuti molli
Eflornitina cloridrato
Trattamento poliposi adenomatosa familiare (FAP)
Eicosopentaenoato di etile
Trattamento corea di Huntington
Epotilone B
Trattamento cancro ovarico
Fenilefrina cloridrato
Trattamento anastomosi ileo puch anale correlate a
incontinenza fecale
Fluorouracile
Trattamento glioblastoma
Fomepizolo
Trattamento avvelenamento da metanolo
Fumagillina
Trattamento diarrea associata ad infezione intestinale
da Microsporidia
Gemtuzumab ozogamicin
Trattamento leucemia mieloide acuta
Gene timidin-kinasi (HSV-tk)
dell’Herpes virus simplex adenovirus-mediato
Trattamento glioma di alto grado con susseguente uso
di ganciclovir sodico
α-Glucosidasi acida umana ricombinante
Trattamento malattia da accumulo di glicogeno tipo II
(malattia di Pompe)
Gusperimus triidrocloruro
Trattamento granulomatosi di Wegener
Halofuginone bromidrato
Trattamento sclerosi sistemica
Human Milk Fat Globule 1 / Human
Milk Fat Globule 1-S-p
-isotiocianatobenzil
-dietilenetriaminopentaacetico acido per
uso con 90Ittrio
Trattamento cancro ovarico
Ibuprofene
Trattamento pervietà del dotto arterioso
Ibuprofene
Trattamento pervietà del dotto arterioso in prematuri
con meno di 34 settimane di gestazione
Idebenone
Trattamento atassia di Friedreich
Iduronato-2-solfatasi
Trattamento mucopolisaccaridosi tipo II (sindrome di
Hunter)
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
265
ATTIVITÀ REGOLATORIE
Iloprost
Imatinib mesilato
Imatinib mesilato
Inolimomab
Laronidasi
Levodopa - Carbidopa (uso gastroenterale)
L-Lisina-N-acetil-L-cisteinato
Lusupultide
Nitisinone
Nitisinone
Oligodeossinucleotide antisenso
fosforotioato specifico per TGF- ß2
Pegvisomant
Peptide glucagone-like umano ricombinante [gly2]
Pemetrexed disodico
Porfimer sodico (per uso con terapia fotodinamica)
Proteina di fusione anticorpo monoclonale
umanizzato anti-KSA e interleukina-2-umana
α-Proteinasi inibitore umano (uso respiratorio)
Ramoplanin
Ranpirnase
Repertaxin sale di L-lisina
Ribavirina
Ribavirina
Seocalcitolo
Sfingomielinasi acida umana ricombinante
Sinapultide, dipalmitoilfosfatidilcolina,
palmitoiloleoil-fosfatidilglicerolo
Sinapultide, dipalmitoilfosfatidilcolina,
palmitoiloleoil-fosfatidilglicerolo e acido palmitico
Somatropina
Surfattante polmonare porcino
266
Trattamento ipertensione polmonare primaria. Trattamento delle seguenti forme di ipertensione polmonare
secondaria conseguente a: malattia del tessuto connettivo; assunzione di farmaci; ipertensione porto-polmonare; ipertensione polmonare associata a malattia cardiaca congenita.
Trattamento ipertensione polmonare cronica tromboembolica
Trattamento leucemia mieloide cronica
Trattamento tumori stromali gastrointestimali maligni
(GIST)
Trattamento reazione ''graft versus host'' (reazione da
trapianto)
Trattamento mucopolisaccaridosi tipo I
Tattamento morbo di Parkinson idiopatico avanzato
con gravi fluttuazioni motorie e non rispondente al trattamento orale
Trattamento fibrosi cistica
Trattamento sindrome da distress respiratorio acuto
Trattamento alcaptonuria
Trattamento tirosinemia tipo 1
Trattamento glioma di grado elevato
Trattamento acromegalia
Trattamento sindrome da intestino corto
Trattamento mesotelioma maligno
Trattamento displasia di grado elevato nell’esofago di
Barrett
Trattamento carcinoma cellule renali
Trattamento enfisema secondario a deficit congenito di
antitripsina -alfa 1
Prevenzione infezioni invasive da enterococchi vancomicino-resistenti (VRE) in pazienti colonizzati a
rischio
Trattamento mesotelioma maligno
Prevenzione funzionalità tardiva del graft nel trapianto
d’organo
Trattamento infezione da adenovirus in pazienti immunocompromessi
Trattamento febbre emorragica con sindrome renale
Trattamento carcinoma epatocellulare
Trattamento malattia di Niemann-Pick tipo B
Trattamento sindrome da aspirazione di meconio
Trattamento danno polmonare acuto
Trattamento sindrome da deperimento (wasting sindrome) da AIDS
Trattamento danno polmonare acuto
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
ATTIVITÀ REGOLATORIE
Stiripentolo
Trattamento epilessia mioclonica grave nell’infanzia
Talidomide
Trattamento mieloma multiplo
Talidomide
Trattamento reazione ''graft versus host'' (reazione da
trapianto)
Talidomide
Trattamento eritema nodoso lepromatoso (ENL) o
delle reazioni lepromatose tipo II
Trasferrina umana coniugata alla
tossina difterica mutante
Trattamento glioma
Vaccino ottovalente coniugato
Pseudomonas aeruginosa O-polisaccari-tossina A
Prevenzione infezioni da P. aeruginosa nella fibrosi
cistica
Vettore contenente gcc DNA retrovirale
Trattamento immunodeficienza grave combinata o
SCID-X1 (Severe Combine ImmunoDeficiency)
Xaliproden cloridrato
Trattamento sclerosi laterale amiotrofica
Ziconotide (uso intraspinale)
Trattamento dolore cronico necessitante di analgesia
intraspinale
Zinco acetato diidrato
Trattamento morbo di Wilson
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
267
COME PRESCRIVERE
NOTIZIE
DALLA DIREZIONE GENERALE
Sperimentazione clinica dei medicinali: l’Osservatorio
Nazionale produce il primo Rapporto
Il Ministero della Salute – Direzione Generale della
Valutazione dei Medicinali e della Farmacovigilanza, sulla
base dei dati raccolti attraverso i registri informatizzati dei
comitati etici, dei centri privati, delle sperimentazioni cliniche (che di fatto costituiscono l’Osservatorio Nazionale
sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali - OsSC), ha
recentemente pubblicato il I Rapporto Nazionale.
L’OsSC è un progetto istituzionale ideato contestualmente ai decreti di decentramento degli atti
amministrativi che hanno permesso l’autorizzazione
delle sperimentazioni cliniche alle autorità locali, allo
scopo di favorire l’armonizzazione delle procedure
autorizzative, garantire la sorveglianza epidemiologica sul territorio e fornire un quadro culturale di riferimento per tutti gli operatori coinvolti nella ricerca clinica farmacologica.
Il supporto informativo dell’OsSC è costituito da
registri informatizzati, predisposti in modo da essere
compilati e consultati via Internet da Ministero della
Salute, Comitati etici locali, Sponsor (aziende farmaceutiche, enti di ricerca, associazioni scientifiche, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, aziende
ospedaliere e aziende sanitarie locali), Assessorati alla
Sanità di Regioni e Province autonome.
L’accesso ai dati delle sperimentazioni cliniche è
regolato dal Ministero della Salute tramite rilascio di
password, mentre molte informazioni di carattere generale, tra cui i dati dei Comitati etici accreditati, i rapporti
periodici prodotti dall’OsSC, la normativa italiana ed
internazionale di riferimento sono di libera consultazione sul sito internet (http://oss-sper-clin.sanita.it).
Il I Rapporto Nazionale traccia un quadro della ricerca clinica italiana, riferito al periodo 01/01/00–30/06/01,
evidenziandone gli aspetti principali: dalla distribuzione
regionale dei Comitati etici all’elenco delle strutture private accreditate alla sperimentazione, dalla descrizione
dei centri clinici e degli Sponsor coinvolti all’analisi
delle tipologie di farmaci impiegati nelle sperimentazioni pre- e post-registrative.
Sfogliando il Rapporto, si possono fare diverse considerazioni.
Innanzitutto, si osserva come l’attività di ricerca si
concentri solo in alcune regioni del territorio: fra le
prime Lombardia (21,6% degli studi), Emilia Romagna
(10,8%), Toscana (8,9%) e Lazio (7,6%).
Analogamente, la maggior parte delle sperimentazioni dipende da pochi centri coordinatori: i primi 25 Comitati etici autorizzano, come coordinatori, il 70% degli
studi clinici. La distribuzione regionale dei Comitati etici
risulta anche concentrata, come si evince dalla Tabella 1.
Tabella 1. Comitati etici accreditati dal Ministero della Salute per Regione di appartenenza
Numero CE totali: 265
Regione
Lombardia
Lazio
Sicilia
Veneto
Campania
Puglia
Emilia-Romagna
Marche
Toscana
Calabria
Liguria
Sardegna
Friuli-Venezia Giulia
Abruzzo
Basilicata
Molise
Trentino-Alto Adige
Piemonte *
Umbria *
Valle d'Aosta
Totale
Nr. CE
%
% cumulativa
53
28
25
22
20
17
16
13
13
11
11
10
9
6
4
2
2
1
1
1
265
20,0
10,6
9,4
8,3
7,6
6,4
6,0
4,9
4,9
4,2
4,2
3,8
3,4
2,3
1,5
0,8
0,8
0,4
0,4
0,4
100,0
20,0
30,6
40,0
48,3
55,9
62,3
68,3
73,2
78,1
82,3
86,4
90,2
93,6
95,9
97,4
98,1
98,9
99,3
99,6
100,0
* opera centralmente il Comitato etico regionale.
268
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE
Il Rapporto descrive la tipologia della sperimentazione clinica italiana (Tabella 2): prevalentemente di
fase III (58,9%), multicentrica nell’ 83% dei casi e
orientata in ambito internazionale (54%).
Tabella 2. Sperimentazioni per fase
Sperimentazioni totali: 789
Tipologia
Nr. sperim.
Fase III
Fase II
Fase IV
Bioequiv./Biodisp.
Fase I *
Totale
%
465
235
60
21
8
789
58,9
29,8
7.6
2,7
1,0
100,0
* inserite dal Ministero della Salute sulla base delle autorizzazioni rilasciate.
Un dato di rilievo riguarda l’incremento di sperimentazioni di fase II: si passa infatti dal 27,1% del
2000 al 34,2% del primo semestre 2001 (Figura 1).
Poche, però, rimangono ancora le sperimentazioni
di fase I (1,0%), segno di una scarsa presenza dell’Italia nel momento innovativo della ricerca: i pros-
simi Rapporti potrebbero evidenziare un cambiamento del trend, dopo la recente emanazione del
DPR 439 del 21 settembre 2001, che semplifica le
procedure autorizzative delle sperimentazioni di
fase I e ne adegua i contenuti alla mutata realtà del
mondo scientifico.
Figura 1. Percentuali di sperimentazioni per fase e anno
70,0
63,8
60,0
2000
50,8
I sem. 2001
50,0
40,0
%
34,2
30,0
27,1
20,0
10,5
10,0
5,9
3,4
2,2
1,0
Per quanto riguarda le categorie terapeutiche
oggetto di sperimentazione, l’analisi dei dati (Tabella
3) mette in luce come la maggior parte delle sperimentazioni indaghi il campo di applicazione dei far-
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
Fase I
Bioeq/Biodis
Fase IV
Fase II
Fase III
0,0
maci antineoplastici e immunomodulatori (27,9%)
seguiti dai farmaci per il sistema nervoso (12,7%) e
dagli antimicrobici generali per uso sistemico
(12,3%).
269
NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE
Tabella 3. Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP)
Sperimentazioni totali: 781 di cui 756 (96,8%) con ATC del farmaco in studio specificato
Gruppo anatomico principale (GAP)
L
N
J
C
A
G
M
B
V
R
S
H
D
P
Antineoplastici ed immunomodulatori
Sistema nervoso
Antimicrobici generali per uso sistemico
Sistema cardiovascolare
App. gastrointestinale e metabolismo
Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali
Sistema muscolo-scheletrico
Sangue ed organi emopoietici
Vari
Sistema respiratorio
Organi di senso
Prep. ormonali sistemici esclusi gli ormoni sessuali
Dermatologici
Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti
Totale
In linea con il panorama internazionale (Figura 2),
anche in Italia la sponsorizzazione degli studi clinici
viene esercitata prevalentemente dall’Industria farmaceutica (83,7%) che ricopre un ruolo di primo
piano nella proposizione e nel finanziamento delle
Nr. sperim.
%
211
96
93
61
57
48
47
44
31
29
17
14
7
1
756
27,9
12,7
12,3
8,1
7,5
6,4
6,2
5,8
4,1
3,8
2,3
1,9
0,9
0,1
100,0
sperimentazioni cliniche. Quindi enti no profit
(aziende ospedaliere, aziende sanitarie locali, istituti
di ricovero e cura a carattere scientifico, associazioni
scientifiche) completano il quadro delle sponsorizzazioni (16,3%).
Figura 2. Sperimentazioni per tipo di Sponsor
Altro*
1,3%
Università
1,8%
Ass. Scient.
4,2%
Az. farmaceutica
83,7%
IRCCS
4,5%
ASL/Az. Osp.
4,5%
* Enti di ricerca, Enti governativi, Fondazioni, altro
Analizzando in dettaglio (Tabella 4), si evidenzia
come le aziende farmaceutiche distribuiscano la loro
ricerca su alcuni gruppi terapeutici strategici quali antineoplastici ed immunomodulatori (20,8%), farmaci per
270
il sistema nervoso (13,9%) ed antimicrobici generali
per uso sistemico (12,8%), mentre gli enti no profit
focalizzano la loro attenzione sulla sola categoria degli
antineoplastici (64,8%).
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE
Tabella 4. Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP). Confronto azienda farmaceutica/sponsor no profit
Sperimentazioni totali: 781 di cui 756 (96,8%) con ATC del farmaco in studio specificato
Gruppo anatomico principale (GAP)
L
N
J
C
A
G
M
B
R
V
S
H
D
P
Antineoplastici ed immunomodulatori
Sistema nervoso
Antimicrobici generali per uso sistemico
Sistema cardiovascolare
Apparato gastrointestinale e metabolismo
Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali
Sistema muscolo-scheletrico
Sangue ed organi emopoietici
Sistema respiratorio
Vari
Organi di senso
Preparati ormonali sistemici escl. gli ormoni sessuali
Dermatologici
Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti
Totale
Il Rapporto e i successivi aggiornamenti periodici
sono pubblicamente consultabili sul sito dell’OsSC
(http://oss-sper-clin.sanita.it) e costituiscono una
prima iniziativa istituzionale per consentire un uso
intensivo e trasparente dei dati inerenti le sperimentazioni cliniche da parte di tutti i soggetti coinvolti.
L’OsSC, oltre ad avere un proprio valore intrinseco,
ha il merito di aver intuito e anticipato le istanze della
comunità scientifica e delle istituzioni internazionali
sulla necessità di registrare e rendere pubblici i contenuti e i risultati dei trial clinici: le disposizioni della
Direttiva Europea 2001/20/CE del 4 aprile 2001 - che
dovranno essere recepite ed attuate dagli Stati Membri
entro il 01/05/2004 – prevedono l’istituzione di una
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
Azienda farmaceutica
Nr. sperim.
%
132
88
81
57
54
47
46
40
29
23
17
12
7
1
634
20,8
13,9
12,8
9,0
8,5
7,4
7,3
6,3
4,6
3,6
2,7
1,9
1,1
0,2
100,0
No profit
Nr. sperim.
79
8
12
4
3
1
1
4
0
8
0
2
0
0
122
%
64,8
6,6
9,8
3,3
2,5
0,8
0,8
3,3
0,0
6,6
0,0
1,6
0,0
0,0
100,0
Banca dati europea sulle sperimentazioni cliniche con
trasmissione telematica delle informazioni richieste.
L’Italia, grazie all’esperienza maturata con l’OsSC, è
entrata a far parte del gruppo di coordinamento (insieme all’EMEA ed alla Spagna) per la progettazione e la
realizzazione di questo sistema europeo di raccolta e
gestione dei dati degli studi clinici condotti in Europa.
La proiezione dell’OsSC in un contesto internazionale
implica la messa a fuoco di alcune problematiche
emerse durante la fase pilota di utilizzo dell’OsSC e la
loro risoluzione in tempi rapidi: in primis, l’integrazione fra il sistema di raccolta dati delle sperimentazioni e la rete di farmacovigilanza per la segnalazione
degli eventi avversi in corso di sperimentazione.▲
271
NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE
Emendamenti alle norme che regolano il funzionamento
dell’EMEA
Lettera ai Parlamentari Europei da parte di alcuni componenti del CPMP
Il Parlamento Europeo discuterà tra non molto alcuni emendamenti proposti dalla Commissione Europea
alla vigente legislazione che regola il funzionamento dell’EMEA (European Medicines Evaluation Agency),
l’agenzia europea per l’autorizzazione al commercio dei farmaci sottoposti a registrazione centralizzata.
Approfittando dell’occasione, nove membri - tra cui i due italiani - dell’attuale Comitato per le Specialità
Medicinali (CPMP, dall’inglese Committee for Proprietary Medicinal Products), organismo tecnico dell’EMEA deputato alla valutazione scientifica dei farmaci, hanno inviato una lettera a tutti i parlamentari
europei, in cui avanzano alcune perplessità, suggeriscono al Parlamento sostanziali interventi e propongono
alcune modifiche delle norme che riguardano l’attività istituzionale dell’agenzia, al fine di renderla più funzionale e rispondente ai bisogni di salute pubblica. La lettera è di seguito riportata.
Oggetto: proposta di revisione della legislazione farmaceutica europea
Onorevoli Parlamentari Europei,
Siamo al corrente che il Parlamento Europeo esaminerà tra non molto una nuova proposta di legislazione
riguardante l’EMEA. Vorremmo a tal proposito proporre
i nostri commenti e suggerimenti sulla nuova proposta di
legge al fine di renderla più rispondente alle esigenze
della sanità pubblica. Per assicurare il raggiungimento di
questo importante obiettivo, proponiamo le seguenti considerazioni:
1. Collocazione politica
L’EMEA è attualmente posta sotto la giurisdizione
della Direzione Generale dell’Industria. Ciò non è ideale dal punto di vista della salute pubblica e implica indirettamente che considerazioni politiche e industriali
sullo sviluppo e sulla produzione dei medicinali possano
essere ritenute più importanti del loro impatto sulla salute e sui consumatori. In linea con i suoi obiettivi dichiarati, l’EMEA dovrebbe essere posta sotto la giurisdizione della Direzione della Sanità Pubblica della Commissione Europea.
2. Composizione del Consiglio di Amministrazione
dell’EMEA
Contrariamente a quanto proposto nella nuova legislazione, il Consiglio di Amministrazione dell’EMEA
non dovrebbe includere rappresentanti dell’industria
farmaceutica, poiché è inevitabile che ciò porti l’EMEA
ad essere più rispondente ai bisogni dell’industria a
spese delle esigenze di salute pubblica.
272
3. Composizione del Comitato per le Specialità Medicinali (CPMP)
La nuova legislazione prevede un solo rappresentante per
nazione, anziché due, nel comitato per le Specialità Medicinali dell’EMEA. Si ritiene tuttavia che ogni stato dell’Unione dovrebbe nominare per il CPMP un esperto indipendente ed un rappresentante della propria agenzia regolatoria nazionale, in modo che sia il punto di vista scientifico
sia quello regolatorio siano adeguatamente rappresentati.
4. Finanziamento dell’EMEA
I contributi finanziari dell’EMEA provengono essenzialmente da due fonti: la Comunità Europea e le industrie
farmaceutiche, che pagano per la valutazione dei dossier
farmacologici. Il contributo delle industrie per l’anno
2000 ha rappresentato il 70% del totale. Questo rapporto
dovrebbe essere modificato al fine di aumentare il livello
d’indipendenza dell’EMEA dall’industria farmaceutica.
Ancor più importante è però il bisogno di incrementare il
contributo della Comunità, in modo da permettere
all’EMEA di migliorare le proprie attività in materia di
farmacovigilanza, di controllo degli studi clinici e di
monitoraggio dei farmaci. L’EMEA ha dimensioni ancora
molto inferiori a quelle della FDA americana, nonostante
copra quasi il doppio della popolazione degli USA.
5. Mutuo Riconoscimento
La procedura decentralizzata non permette una disponibilità uniforme dei nuovi farmaci nell’Unione
Europea, in quanto consente esiti differenti di una stessa procedura nei diversi Stati. È nell’interesse della
salute pubblica che tutti i nuovi farmaci innovativi
siano valutati attraverso la procedura centralizzata.
6. Studi comparativi
Per la maggior parte delle patologie, i medici hanno già a
disposizione un’ampia scelta di prodotti da prescrivere. PerBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE
tanto, si otterrebbero maggiori vantaggi per la salute pubblica se si considerasse il valore dei nuovi farmaci rispetto a
quelli già in commercio (sia in termini di efficacia che di
sicurezza), basandosi su solide evidenze scientifiche.
Al momento, i nuovi farmaci possono essere valutati
per la loro intrinseca qualità, efficacia e sicurezza, senza
doverli confrontare con prodotti già sul mercato. In quei
pochi casi in cui sono effettuati studi comparativi, l’industria farmaceutica solitamente si accontenta di dimostrare l’equivalenza o la non inferiorità terapeutica dei
nuovi farmaci rispetto a quelli già disponibili. Ne consegue un alto grado d’incertezza sui meriti effettivi del farmaco studiato. Se la legislazione non cambierà, rimarrà
la possibilità che i nuovi farmaci approvati in Europa
siano magari efficaci e sicuri per sé, anche se in realtà
meno efficaci e/o sicuri delle alternative già sul mercato.
Pertanto, la nuova legislazione dovrebbe prevedere che,
ove possibile, gli studi clinici siano eseguiti confrontando il farmaco in esame con il farmaco di riferimento al
fine si stabilirne il beneficio relativo, così come contemplato nella dichiarazione di Helsinki. La valutazione del
beneficio relativo dovrebbe diventare il criterio cui riferirsi in sede di approvazione dei nuovi farmaci.
7. Rinnovo delle autorizzazioni
Secondo la proposta di legge, le autorizzazioni per
l’introduzione al commercio dei nuovi farmaci avranno
una validità illimitata, in contrasto con l’attuale rinnovo richiesto ogni cinque anni. Ciò precluderà definitivamente la possibilità di rivalutare il rapporto
rischio/beneficio dei farmaci in commercio, il cui ruolo
terapeutico potrebbe essere mutato, se nel frattempo
farmaci migliori fossero stati introdotti sul mercato o
nuove conoscenze cliniche fossero state acquisite.
8. Trasparenza delle attività dell’EMEA
Durante i suoi anni di attività, la trasparenza dell’EMEA è senza dubbio migliorata, soprattutto con
l’acquisizione di nuove regole sul conflitto d’interesse e con la pubblicazione delle decisioni adottate sul
proprio sito Internet e attraverso i comunicati stampa.
Tuttavia, vi è spazio per ulteriori miglioramenti, nell’interesse della salute pubblica.
a) I dossier farmacologici non dovrebbero più essere
interamente riservati. Si riconosce la necessità di
mantenere la piena riservatezza su alcuni aspetti
della produzione dei farmaci. Tuttavia, il fatto stesso
che un dossier sia oggetto di valutazione da parte
dell’EMEA dovrebbe essere reso noto, e i dati preclinici e clinici in esso contenuti (fatto salvo il rispetto della privacy) dovrebbero essere resi accessibili.
Ciò consentirebbe un dibattito più ampio con tutte le
parti interessate (medici, pazienti e associazioni professionali) sui benefici dei nuovi farmaci, a tutto
vantaggio della salute pubblica.
b) Tutti i pareri finali del CPMP, siano essi positivi o
negativi, dovrebbero essere prontamente resi pubblici. Al momento, la divulgazione dei pareri è tempoBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
raneamente sospesa per due settimane, per dare il
tempo alle ditte farmaceutiche di appellarsi. Tuttavia, non vi è alcuna ragione per cui le aziende non
possano opporre appello pubblicamente.
c) Anche le informazioni sui dossier ritirati dovrebbero
essere rese disponibili. Per evitare una pubblicità
negativa al prodotto e all’azienda, in genere le industrie farmaceutiche preferiscono ritirare i propri dossier prima che il CPMP raggiunga la sua decisione
finale, se prevedono una valutazione negativa. Tuttavia, l’opinione pubblica dovrebbe essere informata
almeno del nome del medicinale in questione, del suo
principio attivo, delle indicazioni terapeutiche e delle
ragioni alla base del parere negativo del CPMP, in
quanto la conoscenza di eventuali aspetti critici dei
nuovi farmaci aiuterebbe a garantire il loro corretto
uso quando raggiungeranno il mercato. Oltretutto, è
di ovvia preoccupazione per la salute pubblica che
questi medicinali possano essere ugualmente prescritti in alcuni Stati dell’Unione nell’ambito di programmi “compassionevoli”, senza che né il medico
né il paziente abbiano avuto accesso ai risultati della
valutazione del CPMP alla base del ritiro del dossier.
d) Un altro importante elemento di trasparenza riguarda le considerazioni della minoranza. L’EPAR,
(European Public Assessment Report – il documento finale che riporta le valutazioni del nuovo farmaco una volta che ne è autorizzata la commercializzazione) riporta se il prodotto è stato approvato per
maggioranza o per consenso dei membri del CPMP,
ma non accenna alle obiezioni sollevate dalla minoranza ed il loro punto di vista. Queste informazioni
dovrebbero invece essere riportate nell’EPAR e nelle
conclusioni dell’Opinion del CPMP, a beneficio dei
medici che prescriveranno il farmaco.
e) Nella nuova legislazione, si propone che sia permessa
la diffusione pubblica di informazioni riguardanti i
farmaci. Tre patologie croniche (asma, diabete e
AIDS) sono state scelte per un periodo pilota di cinque
anni. Ciò comporterebbe una pressione inadeguata sui
pazienti e gli stessi medici, già bersaglio di un’intensa
attività promozionale da parte dell’industria farmaceutica. A garanzia dei consumatori, si suggerisce di
affidare solo alle autorità sanitarie nazionali la divulgazione di un’informazione bilanciata e indipendente.
9. Tempistica delle valutazioni
Vi è tuttora una forte sproporzione tra il tempo concesso al CPMP per la valutazione dei nuovi farmaci e
quello offerto alle ditte farmaceutiche nel corso delle
procedure di autorizzazione. Le ditte possono ritardare
e rallentare le procedure, fermarne l’orologio o ritirare
il dossier in qualsiasi momento, mentre il CPMP è
costretto ad operare in tempi molto stretti, anche nel
caso in cui nuovi dati presentati a procedura iniziata
richiederebbero in realtà un’attenta valutazione nell’interesse della salute pubblica. Nessuna di queste regole
è modificata nella nuova legislazione. Anzi, i tempi cui
273
NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE
il CPMP deve sottostare sono ulteriormente ristretti, il
che si ripercuoterà negativamente sulla qualità stessa
delle valutazioni.
Ci auguriamo che i commenti qui riportati offrano un
contributo costruttivo al dibattito sulla nuova legislazione, nell’interesse e a protezione della salute pubblica dell’Unione Europea. Desideriamo offrire il nostro
pieno supporto e disponibilità nel caso Voi abbiate biso-
274
gno di ulteriori chiarimenti o desideriate approfondire
queste cruciali tematiche.
Si fa presente che le considerazioni e i punti di vista
presentati in questa lettera dai suoi firmatari non devono essere considerati come opinioni dell’EMEA, del
CPMP o di singole autorità sanitarie nazionali.▲
Distinti saluti
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
EDITORIALE
FARMACOUTILIZZAZIONE
Il mercato farmaceutico mondiale nel 2001
Come nelle edizioni degli anni scorsi, si riportano in questa rubrica del BIF i dati di vendita dei farmaci sul mercato
mondiale. L’analisi, basata sui dati dell’IMS Health (http://www.imshealth.com), società che effettua indagini di mercato a livello internazionale, mostra il valore complessivo delle vendite dei farmaci nel 2001 e consente di evidenziarne le variazioni rispetto all’anno precedente sia sui singoli mercati principali, sia in relazione alle diverse categorie terapeutiche. Interessante appare anche il confronto del consumo dei farmaci in Italia con quello di altri Paesi.
L’IMS Health riferisce che, nel 2001, le vendite di
farmaci sul mercato mondiale hanno fatto registrare un
incremento del 12%, determinando una spesa di 255
miliardi di dollari.
L’analisi prende in esame le vendite delle farmacie
aperte al pubblico dei 12 principali mercati a livello
mondiale1 (v. Tabella 1) e mette in luce che il Nord
America è l’area con i più elevati tassi di crescita
(+17%), seguito da Australia e Nuova Zelanda (+12%)
ed Europa (+10%).
Relativamente all’Europa, i primi cinque mercati2,
considerati globalmente, determinano una spesa di
circa 53,8 miliardi di dollari: la Germania rimane il
primo mercato europeo, seguita, nell’ordine, da Francia, Italia e Regno Unito.
L’Italia è il terzo mercato in Europa e il quinto a
livello mondiale, con vendite per 9,6 miliardi di dollari
e un incremento delle stesse del 13% rispetto al 2000.
Tale incremento, il più alto in Europa, è risultato quindi superiore a quello medio europeo che, nel periodo di
riferimento, è stato del 10%.
Le vendite del Giappone sono state stimate in oltre
47 miliardi di dollari, con un incremento del 4%; va
sottolineato però che questo dato comprende, a differenza degli altri Paesi oggetto dell’indagine, sia le
vendite delle farmacie sia quelle effettuate dagli
ospedali.
Anche Australia e Nuova Zelanda fanno registrare
una crescita significativa rispetto al 2000 (+12%), mentre l’America del Sud (Messico, Brasile e Argentina)
subisce nel complesso una diminuzione delle vendite
del 4%: il notevole incremento del mercato messicano
(+14%) si scontra, infatti, con le forti riduzioni nelle
vendite di Brasile (-20%) e Argentina (-7%).
Tabella 1. Vendite dei primi 12 mercati farmaceutici nel 2001
Paese
Nord America
USA
Canada
Europa (2)
Germania
Francia
Italia
Regno Unito
Spagna
Giappone (3)
America Latina (4)
Messico
Brasile
Argentina
Australia/NuovaZelanda
Totale
Vendite 2001
(miliardi di dollari)
Incremento % 2001 vs
2000 (1)
138,258
132,080
6,178
58,812
15,317
13,768
9,608
9,435
5,684
47,517
12,904
5,575
4,149
3,180
2,874
255,365
17
17
17
10
10
7
13
11
11
4
-4
14
-20
-7
12
12
L’incremento è calcolato a tasso costante, in modo da neutralizzare gli effetti dei tassi di cambio variabili. (2) Vendite dei primi cinque mercati: Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna. (3) Incluse le vendite delle farmacie ospedaliere. (4) Vendite relative ai tre principali mercati: Messico, Brasile, Argentina.
(1)
1
2
Per il Giappone sono considerate anche le vendite attraverso le farmacie degli ospedali.
Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
275
FARMACOUTILIZZAZIONE
Le principali classi terapeutiche
Considerando le sedici classi terapeutiche più vendute a livello mondiale (v. Tabella 2), si osserva che i
farmaci a maggiore incidenza di spesa sono quelli per
il sistema cardiovascolare (quasi 50 miliardi di dollari), seguiti dai farmaci per il sistema nervoso centrale (oltre 43 miliardi di dollari) e da quelli per l’appa-
rato gastrointestinale e il metabolismo (39 miliardi di
dollari).
Il maggior incremento nelle vendite sul mercato mondiale è stato registrato dai farmaci per il sistema nervoso
centrale (+17%), seguiti da sangue e organi emopoietici e
dai farmaci per il sistema muscolo-scheletrico (entrambi
+15%) e, al terzo posto, dai farmaci per il sistema respiratorio e dai citostatici (+14% per entrambe le classi).
Tabella 2. Primi 12 mercati farmaceutici - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 2001
Classe terapeutica
1 Sistema cardiovascolare
2 Sistema nervoso centrale
3 Apparato gastrointestinale e metabolismo
4 Sistema respiratorio
5 Antinfettivi
6 Muscolo-scheletrici
7 Sistema genito-urinario
8 Citostatici
9 Dermatologici
10 Sangue e organi emopoietici
11 Organi di senso
12 Agenti diagnostici
13 Ormoni
14 Vari
15 Soluzioni per uso ospedaliero
16 Antiparassitari
Vendite 2001
(miliardi di dollari)
Incremento %
2001 vs 2000 (*)
49,968
43,060
39,037
24,142
22,903
15,664
14,680
10,218
8,351
7,816
5,259
4,492
4,024
3,507
1,855
386
10
17
11
14
6
15
11
14
5
15
9
9
8
5
-2
-3
(*) L’incremento è calcolato a tasso costante.
Analizzando le vendite delle diverse classi terapeutiche sui mercati farmaceutici dei vari Paesi, si osserva
che sul mercato nord-americano, i medicinali maggiormente venduti sono quelli per il sistema nervoso
centrale, seguiti da sangue ed organi emopoietici, le cui
vendite, rispetto al 2000, sono aumentate rispettivamente del 20% e 28%. Quest’ultimo incremento è in
assoluto il più alto fatto registrare in quest’area geografica.
Anche in Europa, sangue ed organi emopoietici, pur
collocandosi solo al decimo posto nelle vendite, sono la
classe terapeutica con il più alto tasso di crescita
(+23%); tra le prime cinque categorie terapeutiche,
invece, il maggiore incremento sul mercato europeo è
presentato dai farmaci per il sistema nervoso centrale
(+13%).
Relativamente al mercato giapponese, il maggior
tasso di incremento nelle vendite si rileva per i farmaci
del sistema nervoso centrale (+11%), che rappresentano la seconda classe terapeutica per incidenza di spesa,
preceduta solo dai cardiovascolari.
Analizzando in particolare il mercato italiano, le
principali classi terapeutiche in ordine decrescente di
spesa sono riportate nella Tabella 3, che evidenzia
276
anche l’incidenza percentuale delle varie classi sul totale della spesa per farmaci in Italia, e la variazione percentuale rispetto all’anno 2000.
La classe a maggiore incidenza di spesa risulta, come
nel biennio precedente, quella dei cardiovascolari
(24%), seguita dai farmaci per l’apparato gastrointestinale e il metabolismo (14%) da quelli per il sistema
nervoso centrale (12%) e dagli antinfettivi (11%).
Rispetto allo scorso anno si osserva, quindi, un minore
peso dei farmaci antinfettivi che, nel 2000, rappresentavano il 12% del mercato italiano a pari merito con
quelli per il sistema nervoso centrale.
Anche in Italia, come in Europa e nel Nord America, la classe terapeutica con il maggior incremento di
spesa è costituita da sangue ed organi emopoietici
(+23%), che rappresentano, tuttavia, solo il 4% del
mercato totale. Un notevole incremento è stato rilevato anche nelle vendite degli agenti diagnostici
(+22%); tale dato, comunque, non appare molto significativo nel contesto globale, dato che questa classe
terapeutica rappresenta soltanto l’1% delle vendite
totali di farmaci in Italia.
Tra le categorie terapeutiche a maggiore incidenza di
spesa, gli incrementi più elevati sono stati quelli dei farBIF Nov-Dic 2001 - N. 6
FARMACOUTILIZZAZIONE
maci per il sistema muscolo-scheletrico (+20%), seguiti dai farmaci per il sistema nervoso centrale (+18%),
da quelli per il sistema respiratorio (+17%), dai cardiovascolari e dai farmaci per il sistema genito-urinario
(entrambi +13%).
La Tabella 3 riporta anche la posizione occupata da
ciascuna classe terapeutica nella graduatoria delle vendite sul mercato europeo e negli Stati Uniti.
Come si può osservare, il mercato italiano rispecchia
sostanzialmente quello europeo e, sebbene nel confronto con gli USA si notino alcune discrepanze, va sottolineato che queste si sono attenuate rispetto all’anno precedente (v. BIF 2001;2:86-8): il caso più significativo è
rappresentato dai farmaci per il sistema nervoso centrale che si trovano al terzo posto nelle vendite italiane e
al primo in quelle degli Stati Uniti.▲
Tabella 3. Mercato italiano - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 2001
Classe terapeutica
Vendite 2001
(milioni di dollari) Incidenza
%
1 Sistema cardiovascolare
2 Apparato gastrointestinale e metabolismo
3 Sistema nervoso centrale
4 Antinfettivi
5 Sistema respiratorio
6 Sistema muscolo-scheletrico
7 Sistema genito-urinario
8 Sangue e organi emopoietici
9 Citostatici
10 Dermatologici
11 Organi di senso
12 Ormoni
13 Agenti diagnostici
14 Vari
15 Soluzioni per uso ospedaliero
16 Antiparassitari
Totale
2.317
1.372
1.173
1.019
844
597
583
429
414
302
211
166
130
30
15
6
9.608
24
14
12
11
9
6
6
4
4
3
2
2
1
0
0
0
Increm. %
2001 vs 2000 In Europa
(*)
(**)
13
12
18
2
17
20
13
23
7
9
14
7
22
9
7
4
(1)
(3)
(2)
(5)
(4)
(7)
(6)
(8)
(10)
(9)
(11)
(12)
(13)
(14)
(15)
(16)
In USA
(2)
(3)
(1)
(5)
(4)
(7)
(6)
(10)
(8)
(9)
(11)
(13)
(12)
(14)
(15)
(16)
(*) L’incremento è calcolato a tasso costante.
(**) Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
277
Comunicazioni e osservazioni al Bollettino dovranno essere inoltrate presso:
Redazione Bollettino di Informazione sui Farmaci
Direzione Generale della Valutazione dei Medicinali e della Farmacovigilanza
Ministero della Salute
Viale della Civiltà Romana, 7
00144 Roma
Fax 06 59943117
Le comunicazioni relative a variazioni di indirizzo, dovranno riportare nome, cognome e nuovo indirizzo del
destinatario, ed essere preferibilmente accompagnate dall’etichetta allegata ad una delle copie ricevute, in cui
figurano codice, nome, cognome e vecchio indirizzo del destinatario stesso.
Sono giunte in Redazione molte richieste d’informazioni sulla I edizione italiana di Clinical Evidence.
Notiamo, con piacere, che tale pubblicazione ha suscitato notevole interesse tra i medici italiani ed
in particolare tra i lettori del BIF, molti dei quali sarebbero interessati a riceverne una copia. A tal proposito, si precisa quanto segue:
La realizzazione di un’edizione italiana di Clinical Evidence è un’iniziativa fortemente voluta dal
Ministero della Salute per soddisfare il bisogno di aggiornamento continuo dei professionisti del settore e per facilitare l’accesso a informazioni attendibili sull’efficacia degli interventi medici. Tuttavia, questa I edizione si può considerare una “edizione lancio”, quasi in via sperimentale, per valutare, su un campione di lettori, l’accettabilità e l’impatto di un volume di questo tipo sull’attività quotidiana del medico. Pertanto, la prima fase di questo ambizioso progetto, prevede la pubblicazione
soltanto di circa 50.000 copie da distribuire, attraverso le Regioni, ad un campione di medici di base,
infermieri, medici specialisti ospedalieri e docenti universitari. È già in programma la pubblicazione del I aggiornamento dell’edizione italiana di Clinical Evidence che dovrebbe essere ultimato entro
la fine del 2002, e che, dopo una valutazione accurata dei risultati raggiunti, si auspica possa avere
una diffusione più capillare magari attraverso l’ausilio di Internet.
La Redazione del BIF
278
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
SCHEDA DI SEGNALAZIONE DI SOSPETTA REAZIONE AVVERSA
(Da compilarsi a cura del medico o farmacista)
N.B. È OBBLIGATORIA SOLTANTO LA COMPILAZIONE DEI SEGUENTI CAMPI: 2; 4; 7; 8; 12; 22;
N.B. È OBBLIGATORIA SOLTANTO LA COMPILAZIONE DEI SEGUENTI CAMPI: 2; 4; 7; 8; 12; 22
1
INIZIALI DEL PAZIENTE
2
3
7
DESCRIZIONE DELLE REAZIONI ED EVENTUALE DIAGNOSI*
ETÀ
4
SESSO
DATA D’INSORGENZA DELLA REAZIONE
5
6
ORIGINE ETNICA
8
CODICE MINISTERO
SANITÀ:
GRAVITÀ DELLA REAZIONE
MORTE
■
HA PROVOCATO O HA PROLUNGATO
L’OSPEDALIZZAZIONE
■
HA PROVOCATO INVALIDITÀ GRAVE O
■
PERMANENTE
HA MESSO IN PERICOLO LA VITA DEL
PAZIENTE
10
9
ESITO:
RISOLTA
* NOTA: SE IL SEGNALATORE È UN FARMACISTA, RIPORTI SOLTANTO LA DESCRIZIONE DELLA REAZIONE AVVERSA, SE È UN MEDICO ANCHE
L’EVENTUALE DIAGNOSI.
■
■
RISOLTA CON POSTUMI
PERSISTENTE
■
ESAMI STRUMENTALI E/O DI LABORATORIO RILEVANTI
■
MORTE:
11
DOVUTA ALLA REAZIONE AVVERSA
SPECIFICARE SE LA REAZIONE È PREVISTA NEL FOGLIO ILLUSTRATIVO
■
IL FARMACO POTREBBE AVER
SI
■
NO
■
CONTRIBUITO
■
NON DOVUTA AL FARMACO
COMMENTI SULLA RELAZIONE TRA FARMACO E REAZIONE
SCONOSCIUTO
■
■
INFORMAZIONI SUL FARMACO
12
13
FARMACO (I) SOSPETTO (I)
LA REAZIONE È MIGLIORATA DOPO LA
SOSPENSIONE DEL FARMACO?
(NOME SPECIALITÀ MEDICINALE (*)
A)
SI
■
NO
■
B)
C)
* NEL CASO DI PRODOTTI BIOLOGICI INDICARE IL NUMERO DEL LOTTO
14
15
DOSAGGIO
IN VIA DI SOMMINISTRAZIONE
GIORNALIERO (I)
16
DURATA DELLA TERAPIA
DAL
A)
A)
A)
B)
B)
B)
C)
C)
C)
18
INDICAZIONI PER CUI IL FARMACO È STATO USATO
19
FARMACO (I) CONCOMITANTE (I) E DATA (E) DI SOMMINISTRAZIONE
20
CONDIZIONI CONCOMITANTI E PREDISPONENTI
17
AL
RIPRESA DEL FARMACO
SI
■
SI
■
NO
■
RICOMPARSA DEI SINTOMI
21
NO
■
LA SCHEDA È STATA INVIATA ALLA:
AZIENDA PROD.
DIR SANITARIA
■
■
MINISTERO DELLA SANITÀ
USL
■
■
INFORMAZIONI SUL SEGNALATORE
22
FONTE:
MEDICO DI BASE
✄
SPECIALISTA
■
FARMACISTA ■
ALTRO ■
OSPEDALIERO
■
■
23
NORME ED INDIRIZZO DEL MEDICO O FARMACISTA - N.UMERO ISCRIZIONE
ORDINE PROFESSIONALE - PROVINCIA
24
DATA DI COMPILAZIONE
25
26
CODICE USL
27
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6
FIRMA
FIRMA
RESPONSABILE
279
INFORMAZIONI SULLA DITTA FARMACEUTICA
NOME E INDIRIZZO
FONTE DELLA SEGNALAZIONE
STUDIO CLINICO
LETTERATURA
PERSONALE SANITARIO
NUMERO DI REGISTRO
DATA IN CUI LA SEGNALAZIONE
È PERVENUTA ALL’IMPRESA
TIPO DI RAPPORTO:
INIZIALE
SEGUITO DI ALTRO RAPPORTO
DATA DI QUESTO RAPPORTO
Note sulla compilazione della scheda di segnalazione
• Il campo N. 6 (codice Ministero della Sanità)
non va compilato dal sanitario che segnala,
ma dall’Ufficio competente del Ministero
della Sanità.
• Per ciò che attiene il campo N. 7, la descrizione della reazione deve essere il più ampia possibile e non limitarsi a pochi termini, cioè la
descrizione dell’evento avverso dovrebbe, per
quanto possibile, non coincidere con la diagnosi.
• Il campo N. 8 è stato inserito come obbligatorio in quanto, dato che da alcune segnalazioni
originano poi interventi incisivi per la salute
pubblica, è di fondamentale importanza conoscere il livello di gravità della reazione stessa.
Ovviamente, se la segnalazione si riferisce a
reazioni non gravi il segnalatore può scegliere se scrivere non grave o non applicabile,
sbarrare l’intero campo, o semplicemente
lasciarlo in bianco.
• Il campo N. 11 è anch’esso importantissimo,
in quanto la menzione o meno della reazione avversa nel foglio illustrativo, e di conseguenza nella scheda tecnica permette al
Ministero della Sanità di classificare tale
reazione come inaspettata o meno. Ciò è
280
particolarmente utile nel caso vada avviata
una procedura d’urgenza di variazione degli
stampati. Sempre in questo stesso campo è
riportata la richiesta di commenti sulla possibile relazione tra l’assunzione del farmaco
e l’insorgenza della reazione avversa. In
questo caso è opportuno rispondere dopo
aver compiuto opportune verifiche (consultazione degli stampati e di testi scientifici,
follow up, esami di laboratorio).
• Il campo N. 21 serve soprattutto ad evitare le
duplicazioni in caso la scheda sia stata spedita a più destinatari (Azienda USL, Industria
Farmaceutica, etc.).
• Il campo N. 27 va firmato dal responsabile del
servizio farmacovigilanza della USL dopo
che questi ha controllato la congruità della
segnalazione stessa. In caso la segnalazione
risultasse mancante di elementi importanti, è
auspicabile che il responsabile suddetto si
adoperi per acquisirne il più possibile.
• Per quanto riguarda il retro della scheda si fa
presente che esso va compilato dall’Azienda
titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in
Commercio, e non da chi riporta né dalla
USL.
BIF Nov-Dic 2001 - N. 6