bollettino d`informazione sui farmaci
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bollettino d`informazione sui farmaci
bollettino d’informazione sui farmaci SPED. IN ABB. POST. ART. 2, COMMA 20/C, LEGGE 662/96 - FILIALE DI ROMA bollettino d’informazione sui farmaci ANNO VIII - N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2001 EDITORIALE 209 Cos’è una vera novità terapeutica Dalla “Dichiarazione dell’ISDB sull’innovazione nel campo dei medicinali” AGGIORNAMENTI 215 Informazioni sulla trombosi venosa del 250 Coxib e anticoagulanti orali: attenzione alle interazioni 251 Coxib e meningite asettica DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA 252 Nell’ipertesione con ipertrofia ventricolare sinistra il losartan è migliore dell’atenololo? viaggiatore 218 Menopausa e terapia ormonale sostitutiva 224 Aggiornamento sui Cox-2 inibitori (in base ai dati della Food and Drug Administration) 227 Le ulcere cutanee croniche 232 Il metilfenidato nella terapia del disturbo I risultati dello studio LIFE ABC DEGLI STUDI CLINICI 257 Come viene riportata l’importanza clinica dei risultati degli studi? Analisi di alcune sperimentazioni controllate e randomizzate da deficit di attenzione con iperattività nell’età evolutiva ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO DALLA LETTERATURA 237 Temi di rilevante interesse dibattuti nel 2001 ATTIVITÀ REGOLATORIE 261 Il prezzo dei farmaci in Italia 262 I medicinali orfani 244 Sicurezza del vaccino antinfluenzale inattivato in adulti e bambini affetti da asma 245 Infestazione da pediculus capitis: confronto tra un trattamento con un solo farmaco e un intervento combinato 246 I soggetti sottoposti a studi di trattamenti farmacologici della depressione sono rappresentativi dei pazienti che poi si incontrano nella pratica clinica? FARMACOVIGILANZA 247 Principali problematiche di NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE 268 Sperimentazione clinica dei medicinali: l’Osservatorio Nazionale produce il primo Rapporto 272 Emendamenti alla norme che regolano il funzionamento dell’EMEA Lettera ai Parlamentari Europei da parte di alcuni componenti del CPMP FARMACOUTILIZZAZIONE 275 Il mercato farmaceutico mondiale nel farmacovigilanza del 2001 248 SSRI: attenzione alle interazioni, alle condizioni di co-morbidità e alle dosi eccessive MINISTERO DELLA SALUTE DIREZIONE GENERALE DELLA VALUTAZIONE DEI MEDICINALI E DELLA FARMACOVIGILANZA 2001 BOLLETTINO D’INFORMAZIONE SUI FARMACI Bimestrale del Ministero della Salute GLOSSARIO http://www.sanita.it/farmaci/bollettino/bollettino.htm Direttore responsabile: Dott. Nello Martini Direttore scientifico: Dott. Luigi Bozzini Comitato scientifico: Prof. Francantonio Bertè Dott. Marco Bobbio Dott. Fausto Bodini Dott.ssa Franca De Lazzari Prof. Albano Del Favero Prof. Nicola Montanaro Prof. Luigi Pagliaro Prof. Paolo Preziosi Prof. Alessandro Rosselli Prof. Alessandro Tagliamonte Dott. Gianni Tognoni Dott.ssa Francesca Tosolini Dott. Massimo Valsecchi Redattore capo: Dott.ssa Emanuela De Jacobis Redazione: Dott. Renato Bertini Malgarini Dott.ssa Gabriella R. A. Adamo Dott.ssa Alessandra Corsetti Dott.ssa Elisabetta Neri Dott.ssa Linda Pierattini EER (Experimental Event Rate) Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo randomizzato al trattamento in sperimentazione. CER (Control Event Rate) Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo di controllo. IC 95% (Intervallo di confidenza 95%) Il concetto di base è che gli studi (RCTs, meta-analisi) informano su un risultato valido per il campione di pazienti preso in esame, e non per l’intera popolazione; l’intervallo di confidenza al 95% può essere definito (con qualche imprecisione) come il range di valori entro cui è contenuto, con una probabilità del 95%, il valore reale, valido per l’intera popolazione di pazienti. Indicatori di riduzione del rischio di eventi sfavorevoli ARR (Absolute Risk Reduction) Riduzione assoluta del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto a quelli di controllo. Corrisponde alla formula: [CER - EER] NNT (Number Needed to Treat) Numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire un evento. Corrisponde alla formula: [1/ARR] arrotondando per eccesso al numero intero. RRR (Relative Risk Reduction) Riduzione relativa del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [CER – EER]/CER OR (Odds Ratio) Rapporto fra la probabilità di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione e la probabilità nei pazienti di controllo. E’ un altro indice di riduzione relativa del rischio di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli, e corrisponde alla formula: [EER / 1 - EER] / [CER / 1 - CER] Eventuali incongruenze cronologiche tra il materiale citato e la data di pubblicazione del BIF sono dovute alla numerazione in arretrato del Bollettino. Fa testo la data di chiusura in tipografia. Questo numero è stato chiuso il 12 giugno 2002. OR è approssimativamente uguale a RRR se il rischio di base nei controlli è basso (<10%); se il rischio di base è alto, OR tende a valori costantemente più lontani dall’unità rispetto a RRR. Per varie ragioni, compresa la scarsa comprensione dei clinici, l’uso di OR dovrebbe essere abbandonato, e difatti OR non è più riportata nel glossario di Best Evidence (BMJ) e di ACP Journal Club (Ann Intern Med). Indicatori di aumento della probabilità di eventi favorevoli ABI (Absolute Benefit Increase) Aumento assoluto del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento sperimentale rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [EER - CER] NNT (Number Needed to Treat) Numero di pazienti da trattare per ottenere un beneficio terapeutico in un paziente. Corrisponde alla formula: [100 / ABI] RBI (Relative Benefit Increase) Aumento relativo del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. RBI corrisponde alla formula: [EER – CER] / CER Indicatori di aumento del rischio di eventi sfavorevoli ARI (Absolute Risk Increase) Aumento assoluto del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento sperimentale rispetto ai controlli. ARI corrisponde alla formula: [EER – CER] NNH (Number Needed to Harm) Numero di pazienti che devono sottoporsi al trattamento perchè si manifesti una reazione avversa. Corrisponde alla formula: [100 / ARI] RRI (Relative Risk Increase) Aumento relativo del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [EER – CER ]/ CER EDITORIALE Cos’è una vera novità terapeutica La Società Internazionale dei Bollettini Indipendenti di Informazione sui Farmaci - ISDB (International Society of Drugs Bulletins) è una rete mondiale di bollettini e riviste di informazione, indipendente dal punto di vista intellettuale ed economico, il cui obiettivo principale è di diffondere informazioni di buona qualità su farmaci e terapie in tutti i paesi del mondo (v. Box 1). Destinatari di queste informazioni sono i medici, i farmacisti e i cittadini. Il 15 e 16 novembre 2001, si è riunito a Parigi un gruppo di lavoro a cui l’ISDB ha affidato il compito di elaborare, per conto della Società stessa, un documento che definisca cosa s’intende per “progresso terapeutico” dal punto di vista dei pazienti. La dichiarazione che segue, di cui sono riportati i passi principali, rappresenta la posizione dell’ISDB. Dalla “Dichiarazione dell’ISDB sull’innovazione nel campo dei medicinali” 1. Scopi e contesto L’innovazione è un problema centrale per tutti coloro che, a vario titolo, si interessano di farmaci: i cittadini, i medici e i farmacisti e chi produce informazioni loro destinate, chi si occupa di politica sanitaria, le autorità regolatorie, i vari sistemi di rimborso dei farmaci e la stessa industria farmaceutica. Fra tutti questi soggetti, sono soprattutto medici e farmacisti ad avere un ruolo chiave nell’accertare il valore reale di un nuovo trattamento farmacologico ed è per questo essenziale che le loro competenze individuali siano supportate da informazioni indipendenti. I pazienti e i cittadini confidano che siano sempre compiute la scelte più appropriate nel loro interesse. Molti bollettini aderenti all’ISDB giudicano in modo molto critico la documentazione disponibile per tutti i farmaci di recente commercializzazione e, nel pubblicarne i profili, cercano di mettere in evidenza se, e in quale misura, questi nuovi trattamenti estendano le opzioni disponibili (sia farmacologiche che non). Complessivamente, solo una piccola percentuale dei farmaci approvati in un anno offre ai pazienti un reale vantaggio rispetto alle opzioni esistenti. La Dichiarazione dell’ISDB mette al primo posto le esigenze dei pazienti e degli operatori sanitari, e si propone di definire “la reale novità terapeutica” in termini di “vantaggio comparativo”. Le esigenze dei pazienti sono intese sia come necessità individuali che come necessità collettive della popolazione. metodo di trattamento di recente commercializzazione; • l’accezione tecnologica che si applica ad ogni innovazione industriale come l’impiego di biotecnologie o l’introduzione di nuovi metodi di rilascio del principio attivo (cerotti, spray, ecc.), o la selezione di un isomero o di un metabolita; • infine l’accezione di reale novità terapeutica, secondo cui un nuovo trattamento è innovativo quando offre al paziente benefici maggiori rispetto alle opzioni precedentemente disponibili. 2. L’innovazione terapeutica Quando si deve valutare se un nuovo trattamento rappresenta una vera novità terapeutica è fondamentale considerarne l’efficacia, la sicurezza e la convenienza (aiutando così i pazienti ad impiegarlo correttamente). Efficacia, sicurezza e convenienza sono fra loro correlate: vanno considerate contemporaneamente e rivalutate con regolarità, mano a mano che emergono nuovi dati. A dire il vero, è essenziale una valutazione continua anche dei vecchi principi attivi, in modo da eliminare farmaci che non hanno più ragione d’essere utilizzati e si possano identificare metodi nuovi e migliori per utilizzare i farmaci già approvati. Una vera novità terapeutica non dovrebbe poi essere giudicata solo in quanto tale, ma deve essere preso in considerazione anche il suo costo (v. Box 2). 2.1. Efficacia Il termine “innovazione” può avere tre diversi significati: • l’accezione commerciale, secondo cui è innovazione ogni farmaco me-too, ogni nuova sostanza, nuova indicazione, nuova formulazione e nuovo BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 L’efficacia descrive in quale misura un farmaco raggiunge l’effetto desiderato. Quando utilizzata come uno dei criteri per valutare se un nuovo farmaco è una vera novità terapeutica, l’efficacia, dapprima determinata nell’ambito 209 EDITORIALE degli studi clinici (efficacy), deve poi essere trasferita e valutata nella pratica clinica quotidiana (effectiveness). Per valutare l’efficacia dei farmaci, il metodo di riferimento comunemente accettato sono gli studi clinici controllati. Spesso, tuttavia, il disegno e l’esecuzione di questi studi non sono adeguati, portando così a conclusioni inattendibili o clinicamente irrilevanti. Destano la massima preoccupazione: a) gli studi che utilizzano per il nuovo farmaco un termine di confronto non corretto perché, oltre ad esporre i pazienti arruolati ad un’assistenza inadeguata, presentano un’elevata probabilità di produrre risultati fuorvianti in favore del nuovo farmaco (il caso estremo, e assolutamente inaccettabile, è rappresentato dagli studi controllati verso placebo nei casi in cui già esiste un trattamento con un rapporto beneficio/rischio favorevole); b) gli studi che utilizzano misure di esito non convincenti, clinicamente irrilevanti o metodologicamente deboli o per i quali vi possa essere il rischio di un’errata interpretazione della significatività statistica (ad esempio end point surrogati e non predefiniti, l’utilizzo di scale e misure non validate clinicamente in quella determinata patologia o in quella popolazione, la combinazione di end point di rilevanza non confrontabile); c) gli studi condotti su popolazioni o in contesti che non rappresentano quelli in cui i nuovi trattamenti dovranno essere applicati; d) gli studi impostati per dimostrare la non inferiorità o l’equivalenza, che sono i più controversi e preoccupanti, e che rappresentano una larga percentuale degli studi clinici sponsorizzati dall’industria, spesso condotti al solo scopo di ottenere la registrazione del farmaco. L’esecuzione di quest’ultimo tipo di studi pone evidenti problemi etici: - i pazienti arruolati sperano, erroneamente, in una cura migliore; - la ricerca non si fonda su reali necessità, ma è attuata nell’ambito di piani di marketing dello sponsor. 2.2. Sicurezza Ciò che interessa maggiormente per autorizzare al commercio un nuovo farmaco sono gli studi di efficacia, mentre è di norma dedicata meno attenzione ai dati relativi alla sua sicurezza. Quest’ultima riguarda sia gli effetti indesiderati che si manifestano con una certa frequenza sia gli effetti avversi rari e gravi. Al momento della registrazione di un nuovo prodotto occorre accogliere con molta prudenza il suo profilo di sicurezza apparentemente accettabile, dal momento che sarà possibile osservare gli effetti indesiderati rari solo quando un elevato numero di pazienti sarà esposto al farmaco. 2.3. Convenienza: come aiutare i pazienti e gli operatori sanitari ad ottimizzare l’impiego dei farmaci Con il termine “convenienza”si intende sia la facilità d’impiego dei farmaci e dei relativi dispositivi che la 210 congruità della confezione. Un trattamento più “conveniente”, perché consente una migliore aderenza ad un determinato schema posologico, può di per sé rappresentare un reale avanzamento terapeutico. Destano invece perplessità affermazioni di “maggiore convenienza” per trattamenti farmacologici che non sono sostenuti da dati significativi. L’aderenza ad una terapia dipende da molti fattori: praticità, per il paziente e per il medico, dello schema di somministrazione; durata del trattamento; condizioni di conservazione (soprattutto nei climi caldi); qualità e sicurezza della confezione, compreso il fatto che vi siano incluse le informazioni per il paziente e quelle relative alla maneggevolezza. Va tuttavia anche considerato che una maggior facilità d’uso può rappresentare un pericolo se aumenta il rischio di effetti indesiderati. 3. Gli ostacoli sulla strada delle reali novità terapeutiche Una “reale novità terapeutica” è un traguardo di cui condividono la responsabilità tutti coloro che operano nel campo della ricerca e dello sviluppo di nuovi farmaci. 3.1. Politici e legislatori La mancanza di trasparenza e di controllo democratico sulle procedure regolatorie e il fatto che i costi sostenuti dalle aziende per la registrazione dei nuovi farmaci rappresentino spesso più del 50% del budget delle agenzie che autorizzano i farmaci al commercio sono due fattori che possono far passare in secondo piano le necessità dei cittadini. Alla stregua di fornitori di servizi, le agenzie regolatorie nazionali e internazionali sono spesso in competizione fra loro per accaparrarsi i compensi per la registrazione dei farmaci. Di conseguenza, alcune agenzie possono mostrarsi meno “rigorose” di altre nei confronti dell’industria. Capita di frequente che l’“efficienza” di un’agenzia regolatoria venga valutata più dal numero e dalla rapidità delle autorizzazioni al commercio che concede che dalla qualità delle decisioni. La qualità è chiaramente inadeguata quando, ad esempio, il legislatore non richiede di effettuare studi post-marketing per farmaci nuovi che, al momento dell’approvazione, non siano stati sufficientemente studiati sotto il profilo dell’efficacia e della sicurezza. Si tratta di un atteggiamento che non può essere accettato neppure per farmaci destinati al trattamento di malattie molto gravi, potenzialmente fatali. L’industria preme sui legislatori per accelerare le procedure di approvazione per esigenze di “armonizzazione” e ciò ostacola il riconoscimento delle reali novità terapeutiche. Anche la qualità e la rilevanza dei dati clinici richiesti per ottenere l’approvazione di un farmaco sono BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 EDITORIALE inappropriate. Per decisione politica, la definizione di “innovazione” si è fatta meno stringente: in Europa la direttiva 87/22 del 1986 del Consiglio della Comunità Economica Europea che prevedeva determinati requisiti perché si potesse parlare di “interesse terapeutico significativo” non è stata mantenuta nella Disposizione del Consiglio 2309/93. è finalizzata ad acquisire quote di mercato per patologie per le quali esistono già trattamenti adeguati. Le aziende farmaceutiche hanno di fatto il monopolio della ricerca; per questa loro condizione di sponsor, si sentono in genere autorizzate a rivendicare il pieno possesso e il controllo dei dati, e tale situazione mette in pericolo l’indipendenza della ricerca clinica (vedi, a tale proposito, quanto riportato in BIF 2001;4-5:145 “Conflitto di interessi in medicina”. NdR) 3.2. Le organizzazioni sanitarie Il finanziamento della ricerca e dello sviluppo dei farmaci da parte delle autorità e delle organizzazioni pubbliche, degli operatori sanitari e dei sistemi assicurativi sanitari è diminuita nel corso degli anni. Ciò significa che gli studi che non interessano le ditte farmaceutiche mancano di finanziamenti adeguati: ad esempio, gli studi sui trattamenti non farmacologici (chirurgia, fisioterapia, medicina alternativa e complementare), gli studi che mettono a confronto più farmaci, gli studi di confronto con farmaci non più coperti da brevetto, gli studi sulla gestione delle condizioni croniche o dei pazienti terminali che sono commercialmente poco attraenti ma rappresentano un onere sanitario significativo e, infine, gli studi che coinvolgono i farmaci orfani e le malattie ormai dimenticate. 3.3. I ricercatori Per la mancanza di finanziamenti pubblici consistenti e per la schiacciante (ed economicamente attraente) pressione di progetti sponsorizzati dall’industria, il mondo accademico non ha più molta influenza nel decidere quali siano le priorità della ricerca perché si arrivi a reali novità terapeutiche. La preferenza è data a studi a breve termine, finalizzati alla pubblicazione anziché alla valutazione delle implicazioni terapeutiche delle molteplici promettenti nuove scoperte della ricerca clinica sperimentale. I vari sistemi sanitari nazionali non si rendono conto che destinare fondi a ricerche che valutino la reale importanza delle presunte innovazioni terapeutiche deve essere considerato un investimento produttivo per l’assistenza che quotidianamente viene prestata ai pazienti. Tranne alcune rare - pur se importanti - eccezioni, i pazienti hanno tuttora un ruolo molto marginale nel promuovere o condurre attivamente o partecipare a studi in aree in cui gli interventi farmacologici si confrontano con strategie di assistenza non farmacologiche. 3.4. L’industria farmaceutica Essendo al momento delegato alla sola industria farmaceutica, il processo innovativo è soprattutto governato da strategie di marketing piuttosto che dalle esigenze dei pazienti. Inoltre, gran parte della ricerca industriale BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 4. Cosa impedisce a medici, farmacisti e comuni cittadini di individuare le vere novità terapeutiche La possibilità di un’informazione corretta sui nuovi interventi terapeutici dipende dalla capacità partecipativa e di condizionare le decisioni di tutte le parti coinvolte: cittadini, medici, farmacisti e quanti si occupano di produrre l’informazione loro destinata, politici, autorità regolatorie, organismi deputati al rimborso dei farmaci, industria farmaceutica. a) L’informazione sui nuovi farmaci proviene soprattutto dalle aziende farmaceutiche, che investono ingenti risorse nell’attività promozionale. La propaganda industriale tende a non fare una chiara distinzione fra introduzione di un nuovo farmaco sul mercato, innovazione tecnologica e vera novità terapeutica, per cui medici, farmacisti e cittadini sono piuttosto impotenti di fronte a tattiche di marketing aggressive e alle esagerazioni degli informatori e delle inserzioni pubblicitarie. Minimizzando o nascondendo risultati che possono contrastare con le strategie di mercato e non realizzando, come spesso accade, gli studi post-marketing richiesti, l’industria farmaceutica non solo induce in errore medici, farmacisti e cittadini, ma impedisce l’immediata identificazione delle vere novità terapeutiche. Questo comportamento è in contrasto con quanto previsto dalla Dichiarazione di Helsinki del 2000 la cui clausola n. 16 prevede che “il disegno di tutti gli studi sia reso pubblico” e la n. 26 recita “sia gli studi positivi che negativi devono essere pubblicati o resi comunque accessibili a tutti”. b) Le agenzie regolatorie mantengono un eccessivo riserbo sul loro iter decisionale e non trasmettono con sufficiente tempestività le informazioni importanti a medici, farmacisti e cittadini; questo è dovuto in parte ad un’interpretazione restrittiva delle esigenze di riservatezza. c) Molti ostacoli si frappongono alla pubblicazione e alla divulgazione delle informazioni sui nuovi farmaci. È dimostrato che la clausola della segretezza, che vieta ai ricercatori di pubblicare i risultati degli studi senza l’approvazione degli sponsor, è un ostacolo sulla strada di un’informazione corretta e rappresenta una fonte di errori sistematici di pubblicazione. In molti casi, la sussistenza di chi produce informazione e di chi si occupa di formazione continua dei medi- 211 EDITORIALE ci dipende da introiti provenienti dalla pubblicità. Anche questo è un ostacolo ad una informazione oggettiva. Le associazioni professionali spesso non hanno alcun interesse a destinare risorse sufficienti alla produzione di un’informazione veramente indipendente. I giornalisti che scrivono sulla stampa non professionale e le agenzie di stampa spesso supportano le strategie di marketing dell’industria sia perché ricevono informazioni “di parte” sia perché mancano di indipendenza. Il divieto della pubblicità diretta ai consumatori è di fatto scomparso; spesso la pubblicità viene mascherata sotto forma di campagne di sensibilizzazione nei confronti delle malattie e i cittadini ricevono informazioni fuorvianti. I gruppi di pazienti rappresentano sempre di più una risorsa di informazioni sui farmaci e sui trattamenti; spesso però dimostrano di non essere abbastanza forti ed è preoccupante la loro dipendenza dai finanziamenti dell’industria farmaceutica. 5. Proposte 5.1. Per identificare le vere novità terapeutiche che forniscano un quadro chiaro del profilo di sicurezza, comprese le interazioni e la sicurezza in gruppi di popolazione a rischio (come gli anziani, i bambini, le donne in gravidanza e i pazienti con insufficienza renale); • studi randomizzati controllati di ampie dimensioni e a lungo termine, che abbiano come end point principale la mortalità complessiva, per valutare la sicurezza di interventi di tipo profilattico, come ad esempio la terapia con farmaci antipertensivi e ipocolesterolemizzanti. Il rapporto beneficio/rischio di un determinato trattamento deve essere rivalutato almeno ogni cinque anni in funzione della disponibilità di nuovi dati. 5.1.3. Convenienza Prima di commercializzare un medicinale, dovrebbero essere effettuati studi per verificare se esso sia semplice da impiegare nel regime prescritto, e studi che dimostrino che i pazienti comprendono e sono in grado di utilizzare le informazioni allegate. La legislazione farmaceutica dovrà al più presto prevedere questi requisiti. 5.1.1. Efficacia 5.2. Per i politici e i legislatori L’efficacia di un nuovo trattamento deve essere valutata in termini di mortalità complessiva, nei casi in cui sia rilevante, di morbidità e di qualità di vita dal punto di vista del paziente. I trattamenti destinati a patologie croniche richiedono studi a lungo termine. Laddove sia già disponibile un trattamento validato, sono necessari studi comparativi per valutare la superiorità del nuovo trattamento. Questi requisiti si allineano all’ultima versione della Dichiarazione di Helsinki (Ottobre 2000) la quale prevede che “I benefici, i rischi, i costi e l’efficacia di ogni nuovo metodo di trattamento devono essere confrontati con quelli del miglior trattamento profilattico, diagnostico e terapeutico disponibile al momento” (Sezione C, clausola 29). 5.1.2. Sicurezza Un miglior profilo di effetti indesiderati, rispetto alle opzioni disponibili, può fare di un nuovo trattamento una reale novità terapeutica a condizione che siano stati presi in considerazione dati di farmacovigilanza a breve, medio e lungo termine. Dal momento della prima commercializzazione di un prodotto, devono essere rese pubbliche tutte le informazioni sulla sua sicurezza (compresi i dati di farmacovigilanza). Perché un nuovo trattamento sia considerato una vera novità terapeutica sulla base della sua migliore tollerabilità, sono necessari molti anni di monitoraggio attivo. Si richiedono pertanto: • studi di farmacovigilanza ben impostati, come studi caso-controllo e studi di coorte di ampie dimensioni, 212 a) I legislatori devono ricordarsi che le loro responsabilità sono fondamentalmente nei confronti della salute pubblica. Ad esempio, referente per l’Agenzia Europea per la Valutazione dei Medicinali (EMEA) nell’ambito della Commissione Europea non può essere la Direzione Generale per l’Industria (come è attualmente, NdR), ma la Direzione Generale per la Tutela della Salute e dei Consumatori. b) I responsabili della politica sanitaria devono adoperarsi per migliorare la legislazione a favore dell’accesso alle informazioni importanti in possesso delle agenzie regolatorie; queste ultime dovranno, inoltre, rendere disponibili i registri degli studi clinici loro sottoposti al momento della richiesta di approvazione dei farmaci. Sul registro dovranno essere riportati tutti gli studi, completati o meno, ed i loro protocolli. c) Le decisioni delle agenzie regolatorie devono essere rafforzate nominando, nei posti chiave della loro organizzazione, persone indipendenti in rappresentanza di cittadini e operatori sanitari. d) Tutte le agenzie regolatorie devono redigere un rapporto annuale sulle modalità di applicazione dei rispettivi indirizzi in materia di conflitto di interessi. e) Le agenzie regolatorie devono rendere pubblici i risultati degli studi comparativi cosicché i medici, i farmacisti e i cittadini possano distinguere i trattamenti utili dalle false novità. f) Se una ditta farmaceutica ritira la richiesta di registrazione per un determinato farmaco da un’agenzia di uno Stato della CE che ha sollevato qualche obiezione, la comunità internazionale ne deve essere BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 EDITORIALE informata. La ditta stessa deve esplicitamente dichiararlo in qualsiasi altra richiesta di approvazione che sottoporrà ad agenzie di altri Stati della CE. g) Le implicazioni per la salute pubblica delle nuove terapie non andranno solamente valutate ai fini registrativi, ma dovranno essere esplicitamente riportate anche nel foglietto illustrativo approvato dalle agenzie regolatorie. h) Le agenzie regolatorie devono adoperarsi per migliorare la sorveglianza post-marketing sui nuovi farmaci. 5.3. Per i governi e le organizzazioni internazionali Le organizzazioni internazionali e i governi devono destinare parte delle risorse disponibili per l’assistenza sanitaria e la ricerca alla realizzazione di studi su ampia scala che rispondano a problemi di salute pubblica (sia per terapie farmacologiche che non). Le priorità per studi di questo tipo andranno individuate in base alle proposte avanzate da medici, farmacisti e cittadini. In particolare devono essere adeguatamente finanziati con denaro pubblico quegli studi che l’industria farmaceutica non ha alcun interesse a realizzare, come ad esempio studi su farmaci non brevettabili, su trattamenti non farmacologici, studi di confronto fra più farmaci, ricerche sul trattamento di malattie poco interessanti dal punto di vista commerciale e, infine, studi su farmaci orfani o malattie ormai dimenticate. Il finanziamento pubblico deve essere mantenuto per parecchi anni ed essere di entità tale da consentire di raggiungere un buon equilibrio fra la ricerca pubblica e quella dell’industria. 5.4. Per i medici, i farmacisti e i cittadini a) A livello nazionale e internazionale spetta a medici, farmacisti e organizzazioni di pazienti identificare le aree che devono essere oggetto di ricerca per condizioni o malattie che necessitano di progressi terapeutici. b) I pazienti devono essere coinvolti nell’impostazione degli studi clinici, in particolare nella scelta dei cri- BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 teri di valutazione, delle misure di esito (ad esempio la qualità della vita, gli oneri dell’assistenza) e delle informazioni per i pazienti che vengono arruolati. Nei protocolli degli studi vanno specificate le modalità con cui comunicare ai pazienti i progressi degli studi stessi. c) Medici e farmacisti devono essere in grado di confrontare i nuovi trattamenti con quelli già esistenti, così da poter identificare in modo affidabile le vere novità terapeutiche. Con adeguati programmi di formazione, devono imparare ad utilizzare gli strumenti essenziali della medicina basata sull’evidenza (soprattutto le rassegne sistematiche, i livelli dell’evidenza, gli end point e gli esiti rilevanti) e ad avere dimestichezza con concetti quali il rapporto beneficio/rischio e costo/beneficio. Nel prescrivere o dispensare ad un paziente un nuovo trattamento, devono possedere tutte le informazioni per illustrargli vantaggi e svantaggi rispetto a trattamenti già consolidati così che il paziente possa scegliere consapevolmente e sapere che ogni effetto inatteso o indesiderato deve essere segnalato. d) Occorre promuovere estesamente l’utilizzo di fonti di informazioni comparative indipendenti sui farmaci. La formazione di base e l’aggiornamento continuo dei medici devono essere indipendenti dall’industria farmaceutica. e) I comitati etici non devono approvare studi che non attestino per iscritto che tutti i risultati saranno resi pubblici non appena venga autorizzata la commercializzazione del farmaco. f) I medici e i farmacisti devono farsi carico della responsabilità di fornire agli organismi ufficiali e ai mezzi di comunicazione informazioni corrette e imparziali, ammettendo apertamente i limiti della propria conoscenza. g) I giornalisti, i comitati editoriali e gli editori vanno incoraggiati a verificare le loro fonti sentendo il parere di esperti informati e imparziali, per evitare di divenire promotori inconsapevoli di campagne commerciali su temi sanitari. Questo è un problema oltremodo attuale data la pressione esercitata dall’industria per la sospensione del divieto sulla pubblicità sui farmaci etici rivolta ai consumatori.▲ 213 EDITORIALE BOX 1 La Società Internazionale dei Bollettini Indipendenti di Informazione sui Farmaci (ISDB) è stata fondata nel 1986 con il supporto dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS. Gli obiettivi dell’ISDB sono: • aiutare i bollettini già esistenti a raggiungere i livelli professionali più elevati; • sostenere lo sviluppo di nuovi bollettini; • individuare bollettini d’informazione sui farmaci non ancora appartenenti all’ISDB e stabilire rapporti con loro; • incoraggiare i bollettini aderenti a fungere da supporto agli operatori sanitari affinché possano comunicare più efficacemente con i pazienti e con i cittadini in generale; • collaborare alla produzione dei prontuari e con gli operatori dei centri d’informazione sui farmaci; • sensibilizzare le autorità regolatorie per far sì che il loro obiettivo principale sia quello di agire nell’interesse dei cittadini. I principali requisiti per diventare membri dell’ISDB sono l’indipendenza editoriale ed economica e la qualità dell’informazione. Per aiutare i bollettini indipendenti d’informazione sui farmaci a raggiungere elevati standard professionali, l’ISDB organizza seminari nel corso dei quali gli editori dei bollettini pubblicati da più lungo tempo possano condividere la loro esperienza con quelli che iniziano la loro attività. Incontri di questi tipo sono stati realizzati in Algeria, Ungheria, Italia, Giappone, Filippine, Olanda e Spagna. Inoltre, al fine di promuovere la nascita di nuovi bollettini d’informazione sui farmaci, i membri dell’ISDB ospitano editori che stanno dando vita a nuovi bollettini in modo d’aiutarli ad acquisire esperienza. L’ISDB pubblica una Newsletter, distribuita gratuitamente a tutti i soci e simpatizzanti, per informarli sugli standard di qualità necessari per produrre articoli e informazione sui temi d’attualità e sulle attività in corso, oltre che per facilitare lo scambio di comunicazione fra i bollettini membri. Attraverso gli incontri, i seminari e la Newsletter, l’ISDB si propone inoltre di stimolare e agevolare il dibattito sulle fonti d’informazione da utilizzare, sulla struttura organizzativa, su come aiutare gli operatori sanitari a comunicare in modo più efficace con i pazienti e i cittadini in generale, e altro. Per affrontare temi di salute pubblica e di informazione sui farmaci, l’ISDB ha allacciato rapporti con molte importanti organizzazioni che hanno membri coinvolti in varie attività e campagne. Temi di particolare interesse sono: l’accesso all’informazione sui farmaci, compreso l’accesso ai dati non pubblicati in possesso delle agenzie regolatorie, l’identificazione dei farmaci veramente innovativi, l’impatto di una promozione non corretta sui farmaci, l’opposizione alla pubblicità sui farmaci etici diretta ai pazienti. Altre attività dell’ISDB includono lo scambio d’informazioni sui nuovi farmaci, sugli effetti indesiderati, sull’attività normativa e di promozione dei farmaci. Membri italiani dell’ISDB sono: Dialogo sui Farmaci (http://www.dialogosuifarmaci.org/ - E-mail: [email protected]); Focus (http://www.sfm.univr.it/focus.htm - E-mail: [email protected]); Informazioni sui Farmaci (http://www.fcr.re.it/ - E-mail: [email protected]); Ricerca & Pratica (E-mail: [email protected]). Attualmente, presidente dell’ISDB è il francese Christophe Kopp (Tel. 33 1 47708606; Fax: 33 1 47705204; E-mail: [email protected]); segretario generale è Maria Font (Tel. 045 591705; Fax: 045 8075607; E-mail [email protected]). Il sito dell’ISDB è il seguente: http://www.isdbweb.org BOX 2 Il prezzo dei farmaci Sia nei paesi in via di sviluppo che altrove, la possibilità di accedere a terapie realmente innovative dipende dalle risorse economiche di cui si dispone e dalla qualità dei sistemi di erogazione dei farmaci. Anche una vera novità terapeutica ha scarso valore in termini di salute pubblica se le persone che potrebbero beneficiarne non possono permettersela. Il supposto aumento dei costi per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci è il pretesto che da lungo tempo è addotto a giustificazione della richiesta di prezzi di vendita sempre più alti. In realtà il prezzo di un farmaco è determinato non solo dai costi sostenuti per la ricerca e lo sviluppo o dal fatto che si tratti di un vero progresso terapeutico (come testimoniano gli alti prezzi concessi per farmaci me-too), ma anche dai costi sempre più alti sostenuti per l’attività promozionale. È di fondamentale importanza che le aziende farmaceutiche assicurino la trasparenza dei costi sostenuti per la ricerca e lo sviluppo dei farmaci e dei prezzi fissati nei vari paesi; inoltre, non si deve cedere alla pressione esercitata per ottenere a livello internazionale il prezzo massimo che i paesi ricchi possono permettersi di pagare. Il prezzo dei farmaci è l’ostacolo principale perché l’efficacia evidenziata dagli studi clinici si trasformi in un reale progresso terapeutico di cui possano beneficiare pazienti e cittadini di tutto il mondo. 214 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 DALLA LETTERATURA AGGIORNAMENTI Informazioni sulla trombosi venosa del viaggiatore Tra le persone che viaggiano vi è una crescente preoccupazione per la possibile correlazione tra trombosi venosa e voli in aereo. Tale patologia, nota anche come Economy Class Sindrome o sindrome da classe economica, può colpire i passeggeri che restano seduti per molte ore in posizione scomoda, come talora avviene nei voli intercontinentali, specialmente se portatori di fattori di rischio che la favoriscono. In realtà, la trombosi venosa può manifestarsi anche in altre forme di viaggio, per cui più corretta è la definizione “trombosi del viaggiatore”. I medici devono conoscere i fattori di rischio di questa condizione, da discutere con i propri assistiti nel caso intendano iniziare un viaggio di lunga percorrenza. L’efficacia dell’acido acetilsalicilico o dell’eparina a basso peso molecolare nella profilassi della trombosi venosa in gruppi di soggetti a medio o ad alto rischio non è, al momento, accertata in modo definitivo. È invece opportuno consigliare a quanti affrontano lunghi viaggi, specie se con fattori di rischio di embolia venosa, alcune misure di prevenzione, tra le quali particolarmente importanti sono: compiere frequenti esercizi fisici degli arti inferiori, camminare (se possibile), mantenere un’adeguata idratazione, ridurre al minimo l’assunzione di alcool ed evitare l’uso di sedativi. Esiste un rischio di embolia dopo un viaggio di lunga durata? In quest’ultimo decennio, sono stati segnalati almeno 200 casi di trombosi venosa profonda e di embolia polmonare dopo un viaggio (comunemente sono noti come embolia venosa) (1). L’incidenza di trombosi venosa profonda nella popolazione generale è di circa 1-2 casi per 1000 soggetti/anno (1-3) e tende a crescere con l’età (4). In aggiunta, fino al 20% della popolazione totale può presentare una certa tendenza ad un aumento del processo di coagulazione (2); ne consegue che certe persone sono a rischio di sviluppare una trombosi venosa profonda in coincidenza di un viaggio o appena questo si è concluso. In uno studio recente (5) è stato evidenziato un progressivo e significativo aumento del rischio di embolia polmonare in rapporto alla durata del volo aereo. L’incidenza di embolia è risultata di 5 casi per milione in chi viaggia per oltre 10.000 km senza scalo; di 1,5 casi per milione nei passeggeri con percorrenza superiore a 5000 km; 0,01 casi per milione tra i viaggiatori su distanze minori. Si segnalano anche alcune serie di casi (1) e due studi di caso-controllo (6,7) che suggeriscono una correlazione tra viaggio e maggior rischio di embolia venosa, mentre un’indagine prospettica caso-controllo (8) non ha evidenziato l’esistenza di tale rapporto. Malgrado la scarsità dei dati che impedisce di calcolare la reale incidenza dell’embolia venosa dopo un viaggio in aereo, o dopo un viaggio di qualsiasi genere, è stato stimato che l’apporto aggiuntivo dei viaggi di lunga percorrenza a questa patologia sia compreso tra 0 - 0,4 per 1000 soggetti/anno (2). Assumendo il valore medio di 0,2, significa che, per ogni milione di individui che compiono nel corso di un anno un viaggio di lunga durata, possono manifestarsi 200 casi di embolia venosa dovuti ai rischi del viaggio (2) da aggiungersi all’incidenza prevista nella popolazione generale di 1500 casi BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 di embolia. È probabile che l’incidenza sia più elevata in soggetti che presentano fattori di rischio tromboembolici e minore in coloro che non li presentano. Trombosi del viaggiatore o sindrome della classe economica? L’immobilità di chi sta a lungo seduto è stata per prima riconosciuta come fattore di rischio per lo sviluppo di trombosi venosa profonda nei rifugi aerei durante la seconda guerra mondiale (9). Homans nel 1954 ha riportato 5 casi di trombosi venosa profonda da immobilità prolungata, suggerendo che una stasi venosa indotta dalla mancata attivazione dei muscoli delle gambe per lunghi periodi, e quindi il venir meno dell’effetto pompa provocato dalle contrazioni muscolari sui vasi sanguigni - come può avvenire in viaggi aerei, in auto, ma anche in seguito a partecipazione a spettacoli, a lunghe sedute di lavoro, ecc. - è in grado di provocare, imprevedibilmente, una trombosi nelle vene profonde delle gambe (10). Molti ritengono che la definizione di sindrome da classe economica non sia corretta, mentre più appropriata appare la dizione “trombosi del viaggiatore” (2). Molte delle segnalazioni pubblicate riguardano infatti casi di trombosi osservati tra passeggeri della business o prima classe, o fruitori di altre forme di viaggio (6,11,12). Non è chiaro se esistano particolari fattori specifici del viaggio in aereo - quali cambiamenti di fuso orario e di condizioni stagionali, qualità dell’aria e disidratazione – che, rispetto ad altre forme di viaggio, possono incrementare il rischio di trombosi del viaggiatore (1). In base ad uno studio (13) su volontari sani maschi è stato evidenziato che l’ipossia ipobarica può essere un fattore che favorisce la coagulazione. Le varie modali- 215 AGGIORNAMENTI tà di esecuzione di viaggi di lunga percorrenza mostrano chiaramente che esistono alcuni fattori ambientali predisponenti simili, quali l’immobilità e la sua durata, lo star seduti in posizione rannicchiata, e probabilmente l’assunzione di alcool e di farmaci sedativi. Finché non saranno disponibili documentazioni epidemiologiche più precise, i viaggiatori dovrebbero essere informati dei rischi di trombosi connessi con viaggi che comportano lunghi periodi di immobilità. Fattori di rischio pre-esistenti, non dipendenti dal viaggio, che possono contribuire alla trombosi venosa profonda Da una revisione (1) dei dati relativi a 223 casi di trombosi del viaggiatore, pubblicati nel 2000, è emerso che la maggior parte dei soggetti ha presentato sintomi di trombosi venosa profonda entro quattro giorni dall’esecuzione del viaggio (alcuni durante il viaggio stesso), anche se, occasionalmente, la diagnosi è stata fatta quattro settimane dopo. Almeno un fattore di rischio di trombosi era presente nel 75-80% dei casi, anche se la maggior parte degli studi non aveva previsto indagini di trombofilia. Al contrario, uno studio caso-controllo (6) ha evidenziato che le trombosi venose erano più spesso di natura idiopatica e solo il 25% dei casi era associato a fattori di rischio. Finché non saranno disponibili documentazioni probanti sulla patogenesi della trombosi del viaggiatore e dati derivati da studi epidemiologici, i fattori di rischio di tale condizione devono essere considerati uguali a quelli della trombosi che si manifesta in altre circostanze. L’elenco di seguito riportato è derivato da studi sulla trombosi venosa profonda in pazienti chirurgici (2). • Età > 40 anni • Gravidanza • Patologia maligna precedente o attuale • Disordini ematici che tendono a favorire i processi coagulativi • Alterazione ereditaria o acquisita dei meccanismi di coagulazione del sangue • Alcuni tipi di malattia o insufficienza cardiovascolare • Storia personale o familiare di trombosi venosa profonda • Chirurgia maggiore o lesioni recenti, specialmente degli arti inferiori o dell’addome • Terapia ormonale estrogenica, compresa la contraccezione orale • Immobilizzazione per un giorno o più • Deplezione di liquidi organici che aumentano la viscosità del sangue Possono esistere rischi aggiuntivi in soggetti con vene varicose, obesità e nei fumatori (1,14). L’insorgenza di embolia può richiedere la presenza di questi fattori di rischio (1,3). 216 Raccomandazioni preventive minimali: idratazione e mobilizzazione adeguate Le raccomandazioni per la profilassi della trombosi del viaggiatore si basano su valutazioni teoriche piuttosto che su documentazioni epidemiologiche. È tuttavia consigliabile che quanti compiono viaggi prolungati eseguano frequentemente esercizi fisici degli arti inferiori, mantengano un’adeguata idratazione, riducano al minimo l’assunzione di alcool ed evitino il ricorso a sedativi. La Tabella 1 offre ulteriori raccomandazioni. In seguito a una certa pubblicità, molti viaggiatori prendono ora acido acetilsalicilico a basso dosaggio prima e durante i viaggi, anche se non sono ancora disponibili dati di efficacia su questo tipo di trattamento. Va inoltre sempre tenuto presente che il beneficio dell’acido acetilsalicilico nella profilassi della trombosi deve essere soppesato con i rischi dei suoi effetti avversi, come il sanguinamento gastrointestinale (14). Due studi recenti hanno valutato l’efficacia delle calze elastiche a compressione nella prevenzione della trombosi venosa profonda asintomatica dopo un viaggio aereo di lunga percorrenza. Scurr et al. (16) hanno condotto uno studio randomizzato controllato su 231 passeggeri tra 56 e 68 anni (media 62 anni, 61% donne), senza precedenti tromboembolici, che avevano volato in classe economica. I risultati hanno evidenziato che in 12 partecipanti allo studio che non avevano indossato calze a compressione (116 soggetti) era insorta trombosi venosa profonda asintomatica; nessun caso di trombosi venosa profonda è stato invece riscontrato tra i 115 viaggiatori che portavano le calze. In 4 soggetti di quest’ultimo gruppo è stata però osservata tromboflebite superficiale. Lo studio LONFLIT (17) ha tra l’altro previsto un’indagine controllata randomizzata sull’efficacia delle calze elastiche a compressione nella prevenzione della trombosi venosa profonda in persone a basso rischio. Anche questa ricerca ha evidenziato che nel gruppo di soggetti che indossavano le calze la frequenza di trombosi era significativamente più bassa. In base ai risultati di un’indagine recente, prevista dal LONFLIT, la trombosi venosa profonda in soggetti ad alto rischio per anamnesi di cardiopatia o di ictus, patologie potenzialmente fatali in cui i coaguli originano principalmente nelle gambe, può essere prevenuta mediante una singola dose di eparina a basso peso molecolare (enoxaparina, nello studio) (18). È tuttavia necessario disporre di ulteriori conoscenze e documentazioni sull’incidenza reale della trombosi venosa profonda che può manifestarsi in seguito a tutti i tipi di viaggio di lunga durata e sul significato clinico della trombosi venosa asintomatica. A questo fine, sono attualmente in corso alcuni studi di particolare rilevanza, quali lo NZATT (New Zealand Air Travellers’ Thrombosis study). BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI Tabella 1. Raccomandazioni ai viaggiatori per la profilassi dell’embolia venosa (1,2) Categorie di rischio Fattori di rischio Profilassi Nessuno Avvertire i passeggeri di: • indossare abiti e scarpe comodi • compiere frequenti esercizi fisici degli arti inferiori • non accavallare a lungo le gambe • camminare con regolarità se possibile • bere molta acqua o altri liquidi • ridurre al minimo l’assunzione di alcool • evitare l’uso di sedativi Basso rischio Oltre 40 anni; obesità; infiammazione attiva; policitemia; chirurgia minore recente (da non più di tre giorni) Come sopra, e in più considerare l’uso di collant di supporto o calze lunghe non elastiche Rischio moderato Vene varicose; insufficienza cardiaca (non controllata); infarto del miocardio recente; ormono-terapia (compreso CO e TOS); gravidanza/post-parto; paralisi arti inferiori; trauma recente arti inferiori (da non meno di sei settimane); storia di tromboembolia Come sopra e in più considerare acido acetilsalicilico a basse dosi (se non controindicato) e calze a compressione graduata Alto rischio Precedenti episodi trombotici; trombofilia nota; chirugia maggiore recente (da non più di sei settimane); malattia cardiovascolare; accidente cerebrovascolare recente; neoplasia maligna Discutere la possibilità di evitare o rimandare il viaggio. Se non è possibile, intervenire come sopra e considerare l’opportunità di utilizzare eparina a basso peso molecolare Alcune compagnie aeree consegnano ora ai viaggiatori, assieme al biglietto, opuscoli con informazioni e consigli sanitari, che sono riportati anche nei siti Internet delle stesse compagnie (19-21). Informazioni sulla trombosi venosa profonda sono inoltre fornite durante il volo mediante video e canali audio, e sono contenuti in riviste a disposizione dei viaggiatori in volo. Tra i consigli sanitari da dare a chi si accinge a compiere un viaggio, e che riguardano condizioni patologiche che potrebbero insorgere (ad esempio, malaria, gastroenterite, ecc.), i medici dovrebbero includere anche una serie di informazioni su sintomi e pericoli dell’embolia venosa e sulle modalità per prevenirla. I medici hanno un ruolo importante nel valutare l’opportunità di una profilassi attiBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 va e nel raccomandare le strategie di prevenzione dell’embolia (v. Tabella 1). Ciò va attuato dopo un’attenta valutazione dei fattori di rischio che i soggetti presentano mentre si apprestano ad iniziare un viaggio di lunga percorrenza. Questo intervento riveste particolare importanza in pazienti con altre condizioni di morbidità (ad esempio, malattia polmonare cronica, diabete, otite media), che possono essere sfavorevolmente influenzate dal viaggio.▲ Bibliografia Informazioni disponibili per i viaggiatori 1. Kesteven PJ. Traveller’s Thrombosis. Thorax 2000;55(Suppl 1):S32-6. 2. House of Lords Select Committee on Science and Technology. Air Travel and Health, Session 1999-2000 Fifth Report, HL Paper 121-I. The Stationery Office, London. http://www.parliament.thestationeryoffice.co.uk/pa/ld199900/ldselect/ldsctech/121/12102. htm 3. Rosendaal FR. Venous thrombosis: a multicausal disease. Lancet 1999;353:1167-73. 217 AGGIORNAMENTI 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Hansson PO et al. Deep vein thrombosis and pulmonary embolism in the general population. Arch Intern Med 1997;157:1665-70. Lapostolle F et al. Severe pulmonary embolism associated with air travel. N Engl J Med 2001:345:779-83. Ferrari E et al. Travel as a risk factor for venous thromboembolic disease: a case-control study. Chest 1999;115:440-4. Samama MM. An epidemiologic study of risk factors for deep vein thrombosis in medical outpatients: the Sirius study. Arch Intern Med 2000;160:3415-20. Kraaijenhagen RA et al. Travel and risk of venous thrombosis. Lancet 2000;356:1492-3. Simpson K. Shelter deaths from pulmonary embolism. Lancet 1940;ii:744. Homans J. Thrombosis of the deep leg veins due to prolonged siting. N Eng J Med 1954;250:148. Symington IS, Stack BHR. Pulmonary thromboembolism after travel. Br J Chest 1977;17:138-40. Milne R. Venous thromboembolism and travel: is there an association? J R Coll Physicians Lond 1992;26:47-9. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. Bendz B et al. Association between acute hypobaric hypoxia and activation of coagulation in human beings. Lancet 2000;356:1657-8. Kesteven PJL, Robinson BJ. Clinical risk factors for venous thrombosis associated with air travel. Aviat Space Environ Med 2001;72(Suppl 2):S125-8. Gallus AS, Baker RI. Economy class syndrome. M J Aust 2001;174:264-5. Scurr JH et al. Frequency and prevention of symptomless deepvein thrombosis in long-haul flights: a randomised trial. Lancet 2001;357:1485-9. Belcaro G et al. Venous thromboembolism from air travel: The LONGFLIT study. Angiology 2001;52:369-74. American Heart Association’s Scientific Sessions 2001. Stockings, heparin found to eliminate “coach class” syndrome. Meeting Report 11/13/2001.http://216.185.112.5/presenter.jhtml?identifier=11996 http://www.britishairways.com/health http://www.qantas.com.au/flights/essentials/healthinflight.html http://www.airnz.co.nz/travel/travelguide/traveltips.jsp Menopausa e terapia ormonale sostitutiva Premessa 1.1. Disturbi della menopausa L’età media di inizio della menopausa è intorno ai 51 anni, per cui le donne vivono circa un terzo della loro vita nella fase post-menopausale, che, con l’aumentare dell’età, si accompagna spesso a malattie croniche, tra cui quelle cardiovascolari e l’osteoporosi. La terapia ormonale sostitutiva (TOS), una volta prescritta soprattutto per la risoluzione dei disturbi della menopausa, è stata sempre più considerata una strategia possibile per prevenire o ritardare alcune di queste malattie croniche (1). Le raccomandazioni all’impiego estensivo della TOS, pressanti soprattutto nel mondo anglosassone nonché da parte dei mass media, contrastano in modo considerevole con la scarsezza o l’incompletezza delle conoscenze attualmente disponibili relativamente ai suoi possibili benefici e danni. La prescrizione della TOS in post-menopausa richiede innanzitutto l’analisi approfondita, da parte del medico, dei benefici attesi e dei potenziali rischi sulla base della documentazione attualmente disponibile: tutto ciò va effettuato in rapporto alle condizioni cliniche di ogni singola donna, per accertare se essa presenti un’indicazione per iniziare il trattamento, e nel rispetto delle sue particolari preferenze. La decisione di ricorrere alla TOS di breve durata (< 5 anni) per trattare i disturbi della menopausa dipende dal grado di fastidio e disagio che producono e dalla disponibilità della donna a tollerare gli effetti collaterali della terapia (v. Box 2). 1. I benefici dimostrati della TOS I risultati di studi osservazionali e randomizzati hanno dimostrato che l’uso della TOS elimina o riduce i disturbi tipici della menopausa ed aumenta la densità minerale ossea. 218 1.1.1. Sintomi vasomotori: vampate di calore, sudorazione Le vampate di calore, accompagnate di solito da sudori freddi, possono rappresentare una condizione non accettata da una buona percentuale di donne in caso di comparsa frequente, specialmente durante la notte, con conseguente insonnia e affaticamento. Questi disturbi possono essere favoriti da fattori quali stress, alcool, caffeina, fumo, bevande calde, ecc., e tendono generalmente a regredire in modo spontaneo, ma possono persistere anche per anni. Esiste la dimostrazione, derivata da studi clinici randomizzati, che la terapia con estrogeni o estrogeni più progestinici, ciclica o continuativa, è efficace nel controllo di questi disturbi vasomotori, mentre non lo è nel trattamento specifico di altri sintomi vasomotori, quali cefalea e capogiri. Sintomi di lieve-moderata entità possono essere ridotti da modificazioni dell’alimentazione e dello stile di vita, quali riduzione del fumo e del consumo di alcool e caffè, aumento dell’attività fisica, ecc. Chi non desidera utilizzare la TOS ricorre talora a terapie alternative (prodotti derivati dalla soia o da altri fitoterapici, vitamina E, complesso B, ecc.), ma i pochi BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI studi effettuati hanno dimostrato effetti di modesta entità sui sintomi menopausali. dell’osteoporosi e delle fratture osteoporotiche sono i bifosfonati alendronato e risedronato (5,6) e l’apporto supplementare di calcio e di vitamina D. 1.1.2. Sintomi urogenitali I disturbi urogenitali correlati alla menopausa comprendono numerosi sintomi quali: bruciore, prurito, secchezza vulvovaginale, dispareunia, incontinenza, aumetata frequenza di infezioni del tratto urinario. Per tali sintomi è dimostrata l’efficacia degli estrogeni, che risultano utili tanto per somministrazione vaginale che per via orale o transdermica. Una terapia estrogenica intravaginale per 6-8 mesi può ridurre la ricorrenza di infezioni del tratto urinario in donne particolarmente suscettibili a tale patologia, mentre per via orale gli estrogeni sono poco efficaci. Il ricorso a gel lubrificanti sterili idrofili può risultare di utilità, specie per la dispareunia, mentre gli esercizi di Kegel del diaframma pelvico e l’allenamento della vescica possono aiutare a ridurre l’incontinenza. 1.2. Osteoporosi Gli estrogeni inibiscono la perdita di massa ossea che si osserva nella maggior parte delle donne dopo la menopausa. In base ai risultati di studi osservazionali, è stata dimostrata una correlazione fra il loro impiego e la riduzione del rischio di osteoporosi all’anca e al polso e di fratture vertebrali (2), ma non è stato ancora completato alcuno studio randomizzato di ampie dimensioni che abbia valutato gli esiti clinici della TOS sulle fratture osteoporotiche. Per conseguire una buona prevenzione delle fratture, la TOS dovrebbe presumibilmente essere iniziata entro 5 anni dall’inizio della menopausa e continuata in modo indefinito; ma ciò è in conflitto con la dimostrazione di un progressivo aumentato rischio di cancro al seno per durate di terapia superiori ai 5 anni (v. 2.1.). È richiesta una durata minima di terapia di 7 anni per conferire un certo beneficio alle donne di 75 anni e più (3), quando il rischio di frattura è maggiore. Per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi, la TOS è utilizzata a dosi orali o transdermiche standard; sino ad oggi non sono stati pubblicati studi clinici randomizzati che abbiano studiato gli effetti di bassi dosaggi di estrogeni con la frattura come esito principale. Il raloxifene, un modulatore selettivo dei recettori degli estrogeni dotato di effetto estrogenico a livello di osso e fegato ed antiestrogenico su seno ed utero, è in grado di determinare un aumento della massa minerale ossea riducendo le fratture vertebrali, ma non quelle dell’anca (4). Non è necessario ricorrere ai progestinici quando si utilizza raloxifene, in quanto non determina iperplasia endometriale. Tra gli effetti secondari di questo farmaco si segnalano le vampate di calore e crampi agli arti. Alternativi alla TOS nella prevenzione e trattamento BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 2. I rischi documentati della TOS 2.1. Cancro dell’endometrio Più di 30 studi osservazionali hanno dimostrato che l’impiego a lungo termine di soli estrogeni, non in combinazione con progestinici, determina aumento del rischio di cancro endometriale di un fattore da 8 a 10 (eccesso di 46 casi per 10.000 donne che hanno utilizzato solo estrogeni per almeno 10 anni). I dati osservazionali sono stati confermati dallo studio randomizzato Postmenopausal Estrogen/Progestin Interventions Trial (PEPI Trial), in cui si è osservata iperplasia endometriale, una lesione precancerosa, nel 24% delle donne assegnate al gruppo trattato con estrogeno senza progestinico per tre anni, rispetto all’1% osservato in donne assegnate al gruppo placebo (7). L’aggiunta di un progestinico, che contrasta gli effetti dell’estrogeno sull’endometrio, elimina tale rischio, tanto che la TOS di combinazione è raccomandata in donne con un utero intatto, ma aumenta considerevolmente nel contempo il rischio di cancro al seno (estrogeni + progestinici a 5 anni: OR = 1,24; IC 95%: 1,07÷1,45; solo estrogeni a 5 anni: OR = 1,06; IC 95%: 0,97÷1,15) (8). Regimi combinati continuativi di TOS offrono maggior protezione sull’endometrio rispetto a regimi sequenziali (che richiedono 10 giorni o più di progestinico). Donne sottoposte a isterectomia possono essere trattate con TOS di soli estrogeni quando indicato. Il raloxifene non aumenta il rischio di cancro endometriale. 2.2. Trombosi venosa Studi osservazionali indicano che gli estrogeni nella post-menopausa aumentano il rischio di tromboembolia venosa profonda di un fattore da 2 a 3,5. I risultati dello studio randomizzato Heart and Estrogen/Progestin Replacement Study (HERS) sono in linea con i dati degli studi osservazionali, evidenziando che il rischio di eventi tromboembolici risulta aumentato di un fattore di 2,7 nelle donne assegnate alla terapia estro-progestinica (9). 2.3. Cardiopatia coronarica: prevenzione secondaria Il successo della TOS in post-menopausa è in gran parte dovuto ai suoi ipotizzati effetti cardioprotettivi: più di 40 studi osservazionali, condotti nei passati 219 AGGIORNAMENTI trent’anni, hanno nel loro insieme suggerito che le donne trattate con estrogeni presentavano un rischio di cardiopatia coronarica inferiore del 35-50% rispetto a quelle che non ne assumevano (10,11). Studi randomizzati eseguiti in donne con preesistente cardiopatia coronarica non hanno invece confermato i benefici cardiovascolari della TOS riportati negli studi osservazionali. Nello studio HERS, il primo randomizzato di prevenzione secondaria progettato per valutare l’effetto della TOS (combinazione estro-progestinica) sul rischio di eventi cardiovascolari, l’entità complessiva di decessi per cause coronariche e di infarti non fatali tra 2.763 donne con documentata coronaropatia, è risultata simile nei gruppi TOS e placebo (12). Oltre a ciò, si è osservato un preoccupante incremento (circa il 50%) del rischio di eventi associati a coronaropatia nel corso del primo anno di conduzione dello studio fra donne sottoposte a TOS, compensato nel periodo successivo da riduzione del rischio. Questo profilo può derivare da un’accelerazione iniziale della quota di eventi in donne suscettibili, mentre la restante popolazione è a più basso rischio. Nello studio controllato vs placebo Estrogen Replacement and Atherosclerosis Trial, né gli estrogeni da soli né in combinazione con un progestinico si sono dimostrati in grado di influenzare la progressione dell’aterosclerosi coronarica determinata angiograficamente (13). Anche i dati preliminari del Papworth HormoneReplacement Therapy Atherosclerosis Study, che valuta l’estradiolo transdermico da solo o in associazione a noretindrone, non hanno evidenziato alcun beneficio cardiovascolare con la TOS e, addirittura, un leggero aumento delle quote di eventi cardiovascolari nel corso dei due primi anni dello studio (14). In definitiva, sulla base di dati derivanti da studi clinici randomizzati, la TOS non sembra ridurre il rischio di eventi cardiovascolari in donne con coronaropatia accertata ed anzi, nei primi tempi di trattamento, si osserva un incremento di eventi (v. Box 1). BOX 1 Riassunto delle raccomandazioni (*) dell’American Heart Association sulla TOS nella prevenzione secondaria e primaria della cardiopatia coronaria (15) (v. anche BIF 2001;4-5:170) Prevenzione secondaria • La TOS non dovrebbe essere iniziata per la prevenzione secondaria di eventi cardiovascolari; • la decisione di continuare o interrompere una TOS in donne con malattia cardiovascolare già in trattamento da lungo tempo dovrebbe tener conto dei benefici e rischi non coronarici provati e della preferenza delle pazienti; • se una donna sviluppa un evento cardiovascolare o è immobilizzata per un lungo periodo mentre è sottoposta a TOS, è prudente prendere in considerazione l’interruzione del trattamento o considerare la profilassi della trombosi venosa, finché è ospedalizzata, per minimizzare il rischio tromboembolico associato con l’immobilizzazione. La ripresa della TOS dovrebbe basarsi su una valutazione dei benefici e rischi non coronarici provati e della scelta della paziente. Prevenzione primaria • Le raccomandazioni cliniche per la prevenzione primaria richiedono ulteriori risultati di ricerche cliniche randomizzate in corso; • non ci sono prove sufficienti per suggerire che una TOS dovrebbe essere iniziata con il solo scopo di prevenire patologie cardiovascolari; • l’inizio o la continuazione di una TOS dovrebbero tener conto dei benefici e dei rischi non coronarici dimostrati, dei possibili benefici e rischi coronarici e della preferenza della donna. (*) I dati disponibili all’origine delle raccomandazioni cliniche si basano prevalentemente su dosi standard di formulazioni orali di estrogeni coniugati/medrossiprogesterone acetato. I dati a disposizione non sono sufficienti per determinare se preparazioni, vie di somministrazioni o dosi differenti, o progestinici differenti, abbiano un effetto più favorevole o sfavorevole sugli end point clinici della malattia coronarica (15). 220 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI 3. I probabili rischi della TOS 3.1. Cancro della mammella Una TOS a breve termine (< 5 anni) può essere attuata, se le indicazioni sono appropriate, senza apprezzabile incremento di cancro della mammella (16). Al contrario, il rischio di cancro al seno aumenta progressivamente in donne che fanno uso di estrogeni per cinque anni o più. Per 1.000 donne che iniziano la TOS a 50 anni, l’eccesso della neoplasia è di 2 dopo 5 anni di trattamento, 6 dopo 10 anni e 12 dopo 15 anni. L’aumentato rischio scompare dopo 5 anni dall’interruzione della TOS. Dati recenti suggeriscono che la terapia di combinazione estrogeno più progestinico può aumentare il rischio di cancro al seno più del trattamento con soli estrogeni (8,17). Nota. Studi che hanno simulato l’uso prolungato su larga scala della TOS per via orale in prevenzione primaria cardiovascolare, in diverse popolazioni, indicano che in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, il bilancio tra morti prevenibili e morti dovute alla terapia (da tumore mammario) può risultare sfavorevole (20). 3.2. Calcoli della colecisti Alcuni grandi studi osservazionali hanno evidenziato che il rischio di calcolosi o di colecistectomia aumenta di un fattore 2-3 in donne post-menopausali in trattamento con estrogeni. Nello studio HERS, il rischio di calcoli della colecisti è risultato più elevato del 38% fra le donne randomizzate alla TOS estro-progestinica rispetto a quelle trattate con placebo (12). 4. L’area grigia della TOS 4.1. Cardiopatia coronarica: prevenzione primaria Esiste al momento un’insufficiente documentazione su benefici e danni della TOS nella prevenzione primaria della cardiopatia coronarica in donne in menopausa o post-menopausa (v. Box 1), così come nella prevenzione della cardiopatia coronarica dopo menopausa chirurgica, e non esiste evidenza di qualsiasi beneficio in donne con menopausa precoce naturale. Una meta-analisi di 22 studi, in genere di breve durata, che ha valutato altri effetti della TOS, ha mostrato accessoriamente un aumento non significativo del rischio di eventi cardiovascolari in donne assegnate per randomizzazione alla terapia ormonale (18). Anche un’analisi ad interim dello studio randomizzato in corso Women’s Health Initiative ha evidenziato un leggero aumento significativo del numero di infarti, ictus BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 e di eventi tromboembolici durante i primi uno-due anni nelle donne del gruppo TOS rispetto a quelle del gruppo placebo (19). Uno studio che ha simulato l’uso prolungato di TOS orale su larga scala in diverse popolazioni europee e nord-americane, inclusa quella italiana, indica uno sfavorevole sbilanciamento dei rischi di mortalità per tumore mammario rispetto all’ipotetico vantaggio coronarico (20). 4.2. Cancro colorettale Studi osservazionali suggeriscono che la TOS riduce i rischi di cancro colorettale. Meta-analisi di questi studi hanno condotto a risultati contradditori, andando da una riduzione del rischio di cancro del 33%, statisticamente significativa (21), a un insignificante 8% di riduzione (22). Sono necessari studi clinici randomizzati appositamente disegnati per questo end point. 4.3. Cancro ovarico Studi epidemiologici hanno prodotto risultati conflittuali in merito al rischio di cancro ovario correlato a TOS. Al momento, non esistono dati sufficientemente attendibili relativamente ad una TOS estro-progestinica e, nonostante l’accumulo di dati consistenti, non è stato raggiunto un consenso sulla TOS a base di soli estrogeni (al momento non è possibile distinguere tra un effetto avverso relativamente piccolo sull’incidenza di cancro ovarico e nessun effetto) (23). 4.4. Disfunzione cognitiva Anche se alcuni studi osservazionali hanno inizialmente suggerito che l’insorgenza di disfunzioni cognitive o della malattia di Alzheimer potesse essere inferiore in donne che assumevano estrogeni dopo la menopausa, studi osservazionali più recenti non sono riusciti a supportare tale ipotesi (24), mentre uno studio clinico randomizzato non ha dimostrato alcun beneficio dell’estrogenoterapia quale trattamento della malattia di Alzheimer lieve-moderata (25). Lo studio Women’s Health Initiative Study of Cognitive Aging, attualmente in corso, sta valutando il ruolo degli estrogeni nella prevenzione della perdita di memoria e del declino cognitivo. 4.5. Disturbi psicologici Sintomi osservati durante il periodo menopausale includono depressione, cambiamenti di umore, irritabilità, incapacità di concentrarsi e riduzione della libido. Anche se studi osservazionali hanno evidenziato un certo miglioramento con la TOS, i risultati di studi controllati randomizzati con TOS (26) o raloxifene (27) sono apparsi non probanti. 221 AGGIORNAMENTI La TOS non è un trattamento efficace della perdita di libido in donne post-menopausali. L’aggiunta di androgeni a basse dosi a una TOS può essere di qualche utilità in donne in menopausa, soprattutto se prematura o chirurgica, che soffrono di una caduta di libido. La sicurezza di tale trattamento continuativo oltre i due anni non è stata stabilita. 4.6. Ictus I dati iniziali del Nurses’ Health Study non hanno evidenziato una correlazione significativa fra TOS ed ictus, mentre nel follow-up più recente dello studio (16) è emerso un aumento significativo del rischio (RR=1,5) di ictus per TOS estroprogestinica e con i più alti dosaggi degli estrogeni. 5. Le prospettive future Benefici e rischi della TOS sono tuttora oggetto di studio e dovrebbero essere chiariti in modo definitivo da due grandi studi randomizzati, attualmente in fase di attuazione su popolazioni particolarmente numerose: Women’s Health Initiative (risultati conclusivi previsti nel 2005) e Women’s International Study of Long Duration Oestrogen after Menopause (risultati attesi nel 2012). 6. Conclusioni: gli elementi più importanti da ricordare ➣ La prescrizione della TOS in post-menopausa richiede innanzi tutto l’analisi approfondita, da parte del medico, dei benefici attesi e dei potenziali rischi sulla base della documentazione attualmente disponibile: tutto ciò va effettuato in rapporto alle condizioni cliniche di ogni singola donna, per accertare se essa presenta un’indicazione per iniziare il trattamento. ➣ È essenziale che il medico discuta di benefici e rischi della TOS con la donna, dando risalto alla mancanza di certezze su molti di essi: la decisione se iniziare o meno il trattamento dovrebbe essere informata e condivisa. ➣ Le due indicazioni che possono giustificare l’inizio di una TOS sono il trattamento dei disturbi della menopausa, qualora provochino uno stato di disagio grave (terapia a breve termine, < 5 anni), e la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi in donne particolarmente a rischio di frattura (terapia a lungo termine, > 5 anni, ma pericolosa perché aumenta il rischio di cancro al seno per tale durata). ➣ I possibili effetti collaterali a breve termine e le controindicazioni della TOS sono riportati rispettivamente nei Box 2 e 3.▲ BOX 2 Principali effetti collaterali a breve termine della TOS • Gonfiore e dolore mammario • Ricomparsa delle mestruazioni • Sanguinamenti anomali • Cefalea • Aumento di peso • Nausea • Ritenzione idrica • Irritabilità, depressione Nota : quando si valutano gli effetti indesiderati della TOS, è importante determinare se essi sono provocati dall’estrogeno o dal progestinico. Così, nausea e sanguinamento sono attribuiti agli estrogeni, irritabilità e depressione ai progestinici, iperestesia mammaria e cefalea a entrambi. 222 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI BOX 3 Controindicazioni della TOS ASSOLUTE • Sanguinamento vaginale non diagnosticato • Cardiopatia coronarica • Patologia attiva o cronica del fegato • Storia di neoplasia mammaria o endometriale • Trombosi vascolare recente • Rifiuto della donna informata RELATIVE Bibliografia • Ipertrigliceridemia severa • Storia di malattie di tipo tromboembolico • Storia familiare di cancro mammario • Calcoli della colecisti • Leiomioma uterino • Disordini convulsivi 1. Manson JE, Martin KA. Clinical practice. Postmenopausal hormone-replacement therapy. N Engl J Med 2001;345:3440. 2. Cauley JA et al. for the Study of Osteoporotic Fractures Research Group. Estrogen replacement therapy and fractures in older women. Ann Intern Med 1995;122:9-16. 3. Felson DT et al. 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Effects of estrogen or estrogen/progestin regimens on heart disease risk factors in postmenopausal women. JAMA 1995;273:199-208. 8. Ross RK et al. Effect of hormone replacement therapy on breast cancer risk: estrogen versus estrogen plus progestin. J Natl Cancer Inst 2000;92:328-32. 9. Grady D et al. Postmenopausal hormone therapy increases risk for venous thromboembolic disease: the Heart and Estrogen/Progestin Replacement Study. Ann Intern Med 2000;132:689-96. 10. Barrett-Connor E, Grady D. Hormone replacement therapy, heart disease, and other considerations. Annu Rev Public Health 1998;19:55-72. 11.Grodstein F et al. A prospective, observational study of postmenopausal hormone therapy and primary prevention of cardiovascular disease. Ann Intern Med 2000;133:933-41. 12. Hulley S et al. for the Heart and Estrogen/Progestin Replacement (HERS) research group. Randomized trial of estrogen plus progestin for secondary prevention of coronary heart disease in postmenopausal women. 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Gli inibitori selettivi della ciclo-ossigenasi 2 (COX-2 inibitori) hanno un ampio e crescente successo commerciale, dovuto al minor rischio ad essi attribuito di eventi avversi gastrointestinali rispetto ai farmaci antiinfiammatori non steroidei non selettivi (FANS). I risultati delle sperimentazioni a sostegno di questo vantaggio (rispettivamente: CLASS per il celecoxib (1), VIGOR per il rofecoxib (2)) sono stati largamente pubblicizzati fra i medici e il grande pubblico. Assai poco note sono invece le vivaci polemiche relative al rapporto costo/beneficio di questi farmaci, in parte differenti per celecoxib e rofecoxib (3,4). Alla fine dello scorso anno la Food and Drug Administration degli Stati Uniti (FDA) ha pubblicato nel suo sito internet una revisione completa degli studi CLASS e VIGOR (5-7), giungendo a deduzioni differenti da quelle ricavabili dalle pubblicazioni delle sperimentazioni dei due COX-2 inibitori (v. anche BIF 2/2001 (8) e 4-5/2001 (9)). I dati quantitativi principali che si tro- Studio CLASS del celecoxib La prima osservazione è che ci sono notevoli discrepanze fra il protocollo delle due sperimentazioni presentate insieme nello studio (una contro ibuprofen, l’altra contro diclofenac) e i dati pubblicati su JAMA (1). Come specificato nell’ editoriale del BMJ già citato (3), le discrepanze riguardano “il disegno, gli end point, la durata e l’analisi” delle sperimentazioni, cioè tutto. La riserva più seria è che i dati pubblicati su JAMA si riferiscono solo ai primi 6 mesi di due sperimentazioni il cui disegno prevedeva una durata rispettivamente di 12 mesi (contro diclofenac) e di 15 mesi (contro ibuprofen); la lunga durata aveva l’obiettivo Tabella 1. Pazienti con uno o più eventi avversi gravi - dati FDA, ripresi da Therapeutics Letter (15) Studio CLASS* Esito Celecoxib % Altri FANS % RR IC 95% ARR ARI % Studio VIGOR NNT NNH 9 mesi Rofecoxib % Naprosene RR % IC 95% ARR NNT ARI NNH % 9 mesi Mortalità 0,48 1,12 0,43 0,58-2,14 NS NS 0,54 0,37 1,46 0,76-2,81 NS NS Complicanze di ulcere 0,50 0,83 0,60 0,46-1,5 NS NS 0,40 0,92 0,43 0,24-0,78 0,52 192 Altri eventi avversi gravi 5,8 4,8 1,22 1,01-1,47 1,00 100 8,4 6,5 1,28 1,10-1,50 1,9 53 Totale eventi avversi gravi 6,8 5,8 1,17 0,99-1,39 NS 9,3 7,8 1,21 1,04-1,40 1,5 67 NS *Poiché i due studi che ponevano a confronto celecoxib con ibuprofene e diclofenac sono di differente durata e i dati della FDA forniscono solo i risultati combinati del celecoxib, gli studi non possono essere riportati separatamente. NS = non statisticamente significativo RR = Rischio Relativo IC = Intervallo di Confidenza ARR = Riduzione Rischio Assoluto NNT = Number Needed to Treat (numero di pazienti da trattare per prevenire un evento) ARI = Aumento Rischio Assoluto NNH = Number Needed to Harm (numero di pazienti da trattare per provocare un danno) 224 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI di valutare il rischio di eventi avversi tardivi, inizialmente asintomatici. La revisione della FDA dimostra che l’incidenza di eventi avversi non è differente fra celecoxib e i due FANS non selettivi, se la valutazione è basata sull’intera durata delle sperimentazioni, come era d’obbligo secondo il disegno della sperimentazione. Ed è paradossale che, nel lavoro su JAMA, gli autori riportino come base della valutazione favorevole al celecoxib la proiezione a un anno dei risultati a 6 mesi, non citando i dati reali osservati a un anno che azzerano tale valutazione favorevole. Gli autori dello studio hanno avanzato l’ipotesi che dopo il 6° mese di sperimentazione un maggior numero di pazienti potevano aver abbandonato il trattamento con FANS (drop out), riducendo il numero di quelli a rischio. Quest’ipotesi però non regge, perché l’incidenza di abbandoni non era diversa per FANS e celecoxib (3). Studio VIGOR del rofecoxib La durata dello studio VIGOR pubblicato sul N Engl J Med (2) e i dati sugli eventi gastrointestinali sono gli stessi che si ritrovano nel sito internet della FDA (7), anche se il rapporto della FDA è più completo e fornisce una visione globale dei dati sugli eventi avversi gravi. Le conclusioni della FDA possono essere così sintetizzate. 1. Lo sponsor ha dimostrato una riduzione statisticamente significativa di perforazioni, ulcere peptiche associate a sintomi ed emorragie gastrointestinali (PUBs) nei pazienti trattati con rofecoxib rispetto a quelli trattati con naprossene. 2. Questo risultato non si trasferisce in un miglior profilo globale di sicurezza, che deve costituire la base della valutazione di sicurezza dei farmaci. Come riportato nella Tabella 1, gli eventi avversi gravi (SAEs) non gastrointestinali sono più frequenti nei pazienti trattati con rofecoxib che in quelli trattati con naprossene mentre non è differente fra i due farmaci il numero di morti. 3. Nei pazienti trattati con rofecoxib è doppia l’incidenza di eventi trombotici cardiovascolari (ETCV) (1,67% rispetto a 0,7%, soprattutto per quanto riguarda gli infarti del miocardio), ed è più alta l’incidenza di insufficienza cardiaca e di altri eventi avversi cardiovascolari. Queste differenze sono statisticamente significative. Secondo il giudizio espresso nel documento della FDA, nello studio VIGOR il potenziale vantaggio di riduzione del rischio di PUBs è bilanciato dall’aumento del rischio di ETCV. 4. Lo sponsor raccomanda di associare al rofecoxib l’aspirina nei soggetti a rischio trombotico cardiovascolare. Tuttavia, punti notevoli sono: a. se il rischio cardiovascolare potenzialmente associato a rofecoxib sarà prevenuto dall’aspirina; e, b. se l’aggiunta dell’aspirina potrà ridurre o annullare il vantaggio gastrointestinale del rofecoxib rispetto al naprossene. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 5. Nonostante la riduzione del rischio di PUBs del rofecoxib rispetto al naprossene nello studio VIGOR, il rischio di SAEs gastrointestinali rimane un problema anche per il rofecoxib: dal maggio 1999 all’ottobre 2000, il sistema di farmacovigilanza post-marketing della FDA ha ricevuto 37 segnalazioni di morti dovute a complicanze gastrointestinali da assunzione di rofecoxib. L’aumento di incidenza degli eventi trombotici cardiovascolari associati ai COX-2 inibitori rispetto ai FANS è stato ripreso ed analizzato nello studio di Mukherjee et al. (4) che concludono come segue: nello studio VIGOR, l’incidenza di ETCV associati al rofecoxib è pari a 2,38 (IC 1,39-4,00) rispetto al naprossene; nello studio CLASS l’incidenza di ETCV associati con celecoxib, diclofenac e ibuprofene non è differente. Tuttavia, riprendendo i dati di una recente meta-analisi sulla prevenzione primaria di ETCV, Mukherjee et al. osservano un aumento significativo degli ETCV associati sia all’uno che all’altro dei COX-2 inibitori rispetto a placebo. È naturalmente difficile valutare quest’ultimo dato, derivante da un confronto fra studi del tutto diversi. L’aumento di incidenza degli ETCV associati al rofecoxib rispetto al naprossene è interpretato in due modi diversi, peraltro non mutuamente esclusivi. a. Potrebbe essere dovuto non ad un aumento del rischio connesso a rofecoxib, ma a una riduzione del rischio, associata all’effetto antiaggregante similaspirina, del naprossene. È questa la conclusione di tre studi caso-controllo (due dei quali ad opera o con la sponsorizzazione della Merck, produttrice del rofecoxib) pubblicati nel numero di maggio 2002 di Arch Intern Med (10-12). b. Potrebbe essere dovuto all’effetto dei COX-2 inibitori sull’equilibrio di sostanze dell’organismo rispettivamente pro-trombotiche (tromboxano A2, TxA2) e anti-trombotiche (prostaciclina, PGI2). Quest’equilibrio potrebbe essere spostato a favore del TxA2 dalla inibizione della COX-2, e particolarmente dal rofecoxib, che è più selettivo. Questa tesi è rafforzata da uno studio sperimentale su topini, nei quali i COX-2 inibitori (ma non i FANS non selettivi) inibiscono la formazione di PGI2, ma non bloccano, e addirittura possono incrementare, la formazione di TxA2. Tale studio è stato pubblicato nell’aprile 2002 su Science con un commento del premio Nobel JR Vane (13,14). Conclusioni • In base ai dati FDA, nello studio CLASS la riduzione di PUBs associata a celecoxib rispetto a diclofenac e ibuprofene si riferisce ai dati a 6 mesi, in violazione del disegno delle due sperimentazioni che poneva come end point la valutazione alla fine del trattamento, cioè al 12° e al 15° mese, rispettivamente, per i due FANS. I dati a 12 e 15 mesi dimostrano che l’incidenza di eventi avversi gastrointestinali da celecoxib non è inferiore a quella da FANS non selettivi. 225 AGGIORNAMENTI • In base ai dati FDA, nello studio VIGOR, la riduzione del rischio di PUBs associata al rofecoxib rispetto al naprossene è controbilanciata da un aumento statisticamente significativo del rischio di ETCV, oggetto di interpretazioni diverse. • Globalmente, gli inibitori selettivi della COX-2 non presentano un profilo di rischio migliore (ridotta incidenza di eventi avversi gravi) rispetto ai FANS non selettivi. • Le versioni pubblicate degli studi CLASS e VIGOR (1,2) hanno focalizzato l’interesse sugli eventi gastrointestinali, mancando di riportare in modo completo gli altri eventi avversi gravi. • Il CLASS e il VIGOR sono sperimentazioni che hanno come end point primario la valutazione della sicurezza, non dell’efficacia, dei farmaci in studio. Le revisioni effettuate dalla FDA e gli altri studi citati dimostrano che anche negli studi di questo tipo - e ancora di più nelle sperimentazioni mirate all’efficacia (16,17) la pubblicazione sulle riviste scientifiche riporta i dati sugli eventi avversi dei farmaci in maniera incompleta e di difficile comprensione. Come nelle raccomandazioni del Federal Register USA (18) e nell’interesse della sicurezza dei farmaci, gli studi dovrebbero pubblicare in maniera dettagliata e comprensibile i tipi e l’incidenza di tutti gli eventi avversi. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Bibliografia 16. 226 1. Silverstein FE et al. Gastrointestinal toxicity with celecoxib vs nonsteroidal anti-inflammatory drugs for osteoarthritis and rheumatoid arthritis: the CLASS study: A randomized controlled trial. Celecoxib Long-term Arthritis Safety Study. JAMA 2000;284:1247-55. 2. Bombardier C et al for the VIGOR Study Group. 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BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI Le ulcere cutanee croniche Paola Di Giulio, Università degli studi di Torino, per il gruppo PARI (Percorsi Assistenziali e Ricerca Infermieristica), Istituto Mario Negri di Milano Le lesioni croniche Non esiste una definizione precisa di lesione cronica: si intende in genere per lesione cronica una lesione che non guarisce e non progredisce attraverso le fasi della guarigione: infiammazione, proliferazione, rimodellamento. Le lesioni croniche sono rappresentate dalle ulcere ischemiche, dalle ulcere diabetiche, da quelle venose, dalle lesioni da decubito che non riepitelizzano (1). L’entità del fenomeno è importante, sia per il numero di pazienti coinvolti che per i tempi e le risorse necessari per il trattamento del problema. Le ulcere sono debilitanti, dolorose e riducono la qualità di vita del paziente. Si stima che nel Regno Unito i ricoveri per ulcerazioni di un piede diabetico siano circa 24.000 (2); lo stesso problema è la causa più comune di ospedalizzazione per i pazienti diabetici americani (3). L’incidenza annuale di ulcere del piede nella popolazione diabetica è di 2,5-10,7% (4). Si ritiene che in Italia circa il 30% di chi soffre di diabete da almeno 10 anni abbia una forma di neuropatia diabetica: il 15% dei pazienti diabetici ospedalizzati ha ulcere distali (5). Le ulcere degli arti inferiori colpiscono circa l’1% degli adulti ed il 3,6% delle persone con più di 65 anni (6). In un campione di 1.560 pazienti con ischemia cronica critica degli arti inferiori, il 61% aveva sia dolore che ulcera (7). Se a questi pazienti si aggiungono anche quelli con lesioni da decubito, la popolazione più colpita è rappresentata dagli ultrasettantenni: l’incidenza delle lesioni da decubito nei soggetti ospedalizzati di tutte le età varia dal 4 al 9% ed aumenta del 10-25% negli anziani (8-10). Sono a maggior rischio anche i pazienti diabetici ed ipertesi, per i danni al microcircolo, e anche l’incontinenza rappresenta un fattore di rischio. Si incontrano pazienti con ulcere croniche sia tra i pazienti ricoverati che assistiti a domicilio: il problema riguarda quindi sia gli specialisti che i medici di base, sia gli infermieri ospedalieri che di distretto. Le lesioni croniche rappresentano un costo importante per il sistema sanitario nazionale (medicazioni, visite a domicilio). Il costo di gestione delle ulcere degli arti inferiori si aggira, nel solo Regno Unito, intorno ai 400 milioni di sterline all’anno (6). Queste lesioni costituiscono un impegno ed una sfida costante per gli operatori sanitari, sia per il trattamento (resistono infatti alle nuove tipologie di medicazioni e presidi) che per la ricerca. Insorgono generalmente in popolazioni particolari: pazienti anziani e con numerose comorbidità (diabete, ictus, ipertensione). L’unica eccezione sono forse i pazienti con danni neurologici post-traumatici, che generalmente sono giovani. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 La presenza di corpi estranei, macerazione tissutale, ischemia ed infezione, età, malnutrizione, diabete e malattie renali ostacolano la guarigione delle lesioni: non sempre, purtroppo, è possibile correggere questi fattori. In questo articolo sarà esaminato prevalentemente il trattamento topico delle lesioni. Si rimanda alla bibliografia per il trattamento delle patologie o dei problemi che hanno provocato le ulcere. Alcune note sulla fisiopatologia delle lesioni croniche Il rimodellamento degli esiti cicatriziali richiede mesi o anni. La guarigione di una lesione è un fenomeno complesso che coinvolge numerosi fattori, non tutti facilmente modificabili. Comprendere le modalità di guarigione di una lesione dà alcuni elementi per capire quali sono i principali fattori e meccanismi coinvolti e, soprattutto, cosa differenzia la guarigione di una lesione acuta da quella di una lesione cronica. La guarigione di una lesione viene artificialmente suddivisa in tre fasi: infiammazione, proliferazione e rimodellamento. Le lesioni croniche hanno livelli ridotti di fattori di crescita piastrinici, derivati dai fibroblasti, epidermici, e fattori di trasformazione rispetto alle lesioni acute (11). Questi fattori favoriscono il passaggio dalla fase di infiammazione a quella successiva. L’essudato di una lesione sana contiene enzimi e fattori di crescita che favoriscono la riepitelizzazione e forniscono il fattore di crescita necessario in tutte le fasi della riparazione. Nelle lesioni che guariscono per prima intenzione, la produzione di essudato dura al massimo 48 ore. Nelle lesioni croniche la presenza di essudato è costante ed è una risposta ai processi di infiammazione o infezione. La produzione di tessuto di granulazione e la contrazione dei tessuti circostanti è fondamentale per la guarigione dell’ulcera. Nelle lesioni croniche sono state riscontrate anomalie della metalliproteinasi (una famiglia di 14 enzimi, con attività proteolitica, responsabili della degradazione della matrice cellulare ai bordi dell’ulcera) con eccesso di degradazione del tessuto extracellulare ed una minore risposta dei fibroblasti alle stimolazioni dei fattori di crescita (senescenza cellulare) (11). Nelle lesioni croniche, inoltre, la fibrosi ed il tessuto cicatriziale provocato da ripetuti traumi e riparazioni crea margini più induriti e può ostacolare la migrazione delle cellule epiteliali (12). Il tessuto perilesionale diventa distrofico, l’irrorazione insufficiente, il letto della ferita è pieno di materiale fibroso che funge da pabulum per batteri che diventano sempre più resistenti (13). 227 AGGIORNAMENTI Come valutare le lesioni croniche La valutazione di una lesione comprende molti aspetti: una singola caratteristica non fornisce i dati necessari per definire l’eziologia della lesione, l’adeguatezza del trattamento o il monitoraggio della sua evoluzione. In genere i testi consigliano di valutare la sede della lesione, la profondità, lo stadio, le condizioni dei margini, la presenza di fistole, le caratteristiche del tessuto necrotico, dell’essudato, i tessuti circostanti, e quando la lesione guarisce, le caratteristiche del tessuto di granulazione e della riepitelizzazione. Si pensa che il dolore possa essere un fattore importante nella guarigione, ed è uno degli aspetti trascurati sia nella valutazione che nel trattamento delle lesioni da decubito e delle lesioni croniche in genere (14). Sembra possa avere un ruolo nella guarigione mediando la vasocostrizione ad aumentando la perfusione tissutale (15). L’assenza di dolore suggerisce un’eziologia neuropatica. Quello che nessun testo dice, e che non è chiaro, è quali sono le caratteristiche da valutare su base continua per orientare il piano di assistenza e monitorare la guarigione. Una buona valutazione dell’ulcera prevede comunque che vengano raccolti dati per capire da quanto tempo è presente l’ulcera, e se si tratta del primo episodio o di un problema ricorrente. Le valutazioni successive dovrebbero essere settimanali per rilevare un’eventuale progressione e per valutare la profondità dell’ulcera, la presenza di tessuto di granulazione ed infezioni, e le dimensioni; la valutazione non si deve limitare alla sola ulcera, bensì estendersi anche al paziente. Le indicazioni per il trattamento I capisaldi per il trattamento delle lesioni, sia acute che croniche, rimangono sostanzialmente i seguenti: a) la manovra più importante per la prevenzione, in particolare per le lesioni da decubito, continua ad essere il mantenimento della pressione a livelli ottimali; b) è importante alleviare la compressione sull’ulcera e quindi posizionare il paziente su superfici di appoggio morbide (16); c) il trattamento delle lesioni si deve incentrare su: • gestione globale del paziente (valutazione delle condizioni fisiche, psicologiche e stato nutrizionale); • riposizionamento del paziente e uso di superfici di supporto; • gestione della lesione, con rimozione del tessuto necrotico (debridement). Se compaiono escare o si forma tessuto necrotico la lesione va sbrigliata. Le escare possono essere rimosse con la toilette chirurgica o con medicazioni a base di idrocolloidi, assorbenti osmotici e capillari. Va rispettata e protetta la cute sana circostante; • detersione della lesione con soluzione salina, evitando l’uso di antisettici; • gestione della colonizzazione batterica e delle infezioni; 228 • applicazione di medicazioni che mantengano la lesione detersa e l’ambiente umido, ma la cute circostante asciutta. Vengono di seguito presentate alcune indicazioni riferite in particolare alla gestione delle lesioni croniche. Gestione della lesione e rimozione del tessuto necrotico La detersione del letto dell’ulcera è uno dei fattori principali per la guarigione delle lesioni sia acute che croniche. Il debridement infatti riduce il carico batterico della lesione ed accelera la riepitelizzazione che viene inibita dalla presenza di tessuto necrotico. Il letto della lesione si può pulire con metodi meccanici quali l’applicazione di garze umide che vengono lasciate asciugare sulla lesione e poi rimosse. Anche se molto citato sui testi, questo metodo è scomodo, richiede tempo e, soprattutto, danneggia anche il tessuto sano. Il principio da tenere sempre presente è quello di rispettare il più possibile la lesione, pertanto la toilette chirurgica va eseguita solo in presenza di abbondante tessuto necrotico e cellulite; nelle altre situazioni è preferibile utilizzare metodi meno traumatici, quali l’applicazione di enzimi (proteolitici, fibrinolitici e collagenasi), che agiscono in modo specifico su fibrina e collagene. Quando vengono utilizzati tali enzimi, la lesione deve essere umida perché l’umidità ne aumenta l’efficacia. Gli enzimi vanno applicati solo sulla lesione e non sulla cute sana o sul tessuto in via di granulazione, in quanto agiscono sia sui tessuti necrotici che sani (17). Dopo l’applicazione la lesione va coperta con una medicazione per tenere in sede il prodotto. Collagenasi (ad esempio il Noruxol) e fibrinolisina (Elase) sono un esempio di questo tipo di prodotti. Il debridement della lesione può essere anche autolitico, cioè ottenuto con gli enzimi prodotti a livello cutaneo. In ambiente umido i fagociti e gli enzimi proteolitici presenti sulla lesione “liquefano” letteralmente il tessuto morto (17) che viene poi eliminato dai macrofagi. Le medicazioni topiche di cui si parlerà più avanti, ad esempio gli idrogel, gli idrocolloidi, le schiume e gli alginati hanno anche questo effetto. Uno dei possibili problemi provocato da questo tipo di debridement è la macerazione del tessuto sano. Non tutte le lesioni hanno bisogno di debridement, ad esempio si può lasciare in sede un’escara sul tallone (18), se l’escara aderisce alla cute sottostante e se non c’è infiammazione o drenaggio. Anche la presenza di insufficienza arteriosa può essere una controindicazione alla toilette chirurgica per problemi nella guarigione delle lesioni che questa può creare a causa di una scarsa irrorazione dell’area. Uso di antisettici Le lesioni croniche non devono essere necessariamente sterili per guarire: spesso queste lesioni hanno BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI un’alta carica batterica (>105) senza presentare segni di infezione. Anche per le lesioni croniche vale comunque la regola generale secondo cui in presenza di una carica batterica >105 microrganismi, la guarigione è ritardata. L’uso di disinfettanti va riservato alle fasi iniziali di trattamento o in presenza di lesioni che risultano chiaramente infette o contaminate. L’impiego degli antibiotici topici è sempre un tema di discussione a causa dell’insorgenza di ceppi batterici resistenti. Anche i disinfettanti considerati più innocui provocano infatti alterazioni delle condizioni della lesione: l’acqua ossigenata, ad esempio, distrugge il 50% delle cellule in fase di riepitelizzazione; il Betadine (anche diluito) distrugge il 10% delle cellule in fase di riepitelizzazione; i disinfettanti a base di alcool, essiccando la superficie cutanea, ostacolano la riepitelizzazione (18). I disinfettanti non vanno pertanto usati di routine, ma si deve valutarne l’opportunità di uso rispetto alla sede della lesione ed alle sue condizioni (ad esempio una lesione sacrale con un paziente incontinente va disinfettata, ma non necessariamente una lesione trocanterica). I prodotti a base di iodio e clorexidina hanno comunque un’efficacia elevata senza creare problemi di resistenza. Le lesioni croniche che non guariscono ed hanno scarso tessuto di granulazione possono indicare un’infezione silente dovuta ad un’alta carica batterica, anche se la lesione sembra pulita (19). La scelta del tipo di medicazione (20) È ormai riconosciuto che un ambiente umido aumenta la velocità di guarigione anche nelle lesioni croniche (21). Le medicazioni occlusive, che garantiscono un ambiente umido (ad esempio a base di idrocolloidi) non si sono dimostrate così efficaci come sulle lesioni non croniche (22). Esistono sul mercato numerosi prodotti ma pochi sono stati sottoposti a valutazioni controllate, pertanto non tutte le indicazioni fornite derivano da studi controllati. Tutte le medicazioni riportate (si citano solo quelle principali) favoriscono la guarigione in ambiente umido e tra i diversi preparati non sono state dimostrate differenze in termini di efficacia (23). Pertanto la scelta va fatta tenendo conto delle caratteristiche della lesione, della facilità di uso e, naturalmente, dei costi. Le principali caratteristiche delle medicazioni e le indicazioni all’uso sono riportate nella Tabella 1. Tabella 1. I diversi tipi di medicazione a confronto Alginati Schiume Idrocolloidi Idrogel Irofibre Assorbente Antibatterico Debridement Emostatico Analgesico +++ ++ ++ + ++ ++ ++ + + +++ +++ + +++ +++ +++ +++ + Efficacia sui diversi tipi di ulcere Fibrina Necrosi Essudato abbond. Essudato lieve Granulazione Dolore +++ +++ +++ - ++ + +++ +++ ++ ++ +++ +++ +++ +++ ++ +++ +++ + +++ +++ ++ +++ +++ - Effetti avversi Aderisce alla lesione asciutta Rischio di odori Lesioni epidermiche alla rimozione Perdite ++ + - ++ + - ++ + + - ++ - ulcera no se essuda molto ess. 3 poco ess. 1-2 margine >2 cm solo alcuni tipi 1-3 margine >2 cm no 1-3 ulcera si da 2 a 7 margine si 1-3 Modalità di applicazione Sede >2 cm Necessità di medic. secondaria Frequenza di cambi (alla settimana) Modificato da Drugs 1998 (20). BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 229 AGGIORNAMENTI Film semipermeabili Schiume Sono medicazioni costituite da un sottile strato di poliuretano ricoperto da una pellicola permeabile al vapore ma non ai liquidi ed ai batteri. Vengono utilizzate per proteggere la lesione o come medicazioni secondarie. Se la lesione essuda, questo tipo di medicazione si distacca facilmente. Le schiume hanno un effetto simile a quello degli idrocolloidi anche se sono più assorbenti e più facili da usare. Non si liquefano sulla lesione (come gli idrocolloidi) e non sono adatte per le lesioni che essudano molto. I margini adesivi possono provocare irritazione e disepitelizzazione quando la medicazione viene rimossa. Idrocolloidi Esistono sul mercato diversi tipi di medicazioni a base di idrocolloidi, alcune completamente occlusive, altre no. Gli idrocolloidi mantengono un ambiente umido e facilitano la guarigione della lesione. È preferibile non utilizzarli sulle lesioni infette, perché possono favorire la proliferazione dei microrganismi, né sulle ulcere ischemiche (vanno preferiti gli idrogel) (24), sulle ulcere diabetiche necrotiche, a meno che non siano superficiali (20), e sulle lesioni con abbondante essudato, per evitare la macerazione della cute. Gli idrocolloidi rimangono in sede anche fino a 5-7 giorni e vanno sostituiti quando la medicazione è satura di essudato. Idrogel Questi prodotti hanno una struttura che assorbendo liquidi perde di viscosità e riesce a mantenere un ambiente umido. Gli idrogel non sono occlusivi, idratano l’ulcera (avendo pertanto un effetto analgesico) e possono essere utilizzati per il debridement autolitico, su tessuto necrotico e fibrina. La capacità di assorbimento è limitata e possono pertanto essere utilizzati su lesioni a scarsa essudazione. Alcune note specifiche Le ulcere diabetiche Non ci sono indicazioni precise per il trattamento delle ulcere diabetiche. Una buona assistenza si basa sull’educazione sanitaria del paziente, che comprende consigli su come osservare il piede, sull’indossare calzature protettive, sui metodi per eseguire l’igiene, ecc., e sui principi generali per la gestione delle lesioni croniche. L’unico intervento di sicura e documentata efficacia è lo screening regolare e l’essere seguiti da un ambulatorio dove i pazienti vengono sottoposti a screening per i deficit dei polsi pedidi ed inviati, in presenza di problemi, a centri specializzati. Nello studio di Mason et al. il centro, oltre ad insegnare ai pazienti come avere cura del piede, forniva anche calzature protettive (25). Lo studio era però di piccole dimensioni e non tale da raccomandare questo trattamento. L’assistenza del centro si è rivelata utile soprattutto per i pazienti con ulcera plantare. Le ulcere venose Idrofibre Combinano l’azione degli idrogel e degli alginati, evitando pertanto il rischio di macerazione. A contatto dell’essudato si trasformano in gel. Alginati Gli alginati vanno utilizzati solo per le lesioni che essudano. Quando l’essudato viene a contatto con questa medicazione avviene uno scambio tra gli ioni sodio dell’essudato e gli ioni calcio dell’alginato, formandosi un gel idrofilo e biodegradabile (21). Quando usati sulle lesioni asciutte, gli alginati possono aderire al letto della ferita e provocare irritazione. La medicazione va cambiata quando impregnata di essudato o dopo 7 giorni: se alla rimozione è asciutta, per evitare traumatismi alla lesione, la medicazione va rimossa bagnandola con soluzione fisiologica (21). 230 Per le ulcere venose continua ad essere vivo il dibattito sui trattamenti. In generale non è stata documentata l’efficacia di alcun tipo di trattamento topico, salvo le indicazioni generali sull’ambiente umido. Sono di documentata efficacia le fasciature elastocompressive, mentre non ci sono dati sufficienti per valutare l’efficacia relativa delle diverse tecniche di fasciatura (elastiche, anelastiche, bende multistrato) e la somministrazione di pentossifillina orale. Non esistono invece indicazioni a favore della sulodexide, dei flavonoidi, dell’aspirina e dei supplementi orali di zinco (27). I nuovi tipi di medicazione Tra i prodotti dei quali si sta studiando l’applicazione va citato il derma umano in coltura anche in combinazione con biopolimeri (colture di fibroblasti, colture di cellule epidermiche autologhe o allogeniche). I risultati sono promettenti anche se le principali indicazioni sono ancora riservate ai BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI Bibliografia pazienti ustionati (11,13). Le medicazioni con biomateriali vengono assorbite dal letto della ferita e si ipotizza possano essere efficaci sulle ulcere croniche, alterando il profilo delle citochine a livello della ferita (11). I fattori di crescita attraggono le cellule a livello della lesione e possono stimolare la proliferazione cellulare, favorire l’angiogenesi o la sintesi e la distruzione della matrice cellulare. L’unico prodotto che ha mostrato una qualche efficacia (nelle ulcere diabetiche non infette) è il becaplermin (22), del quale è stato documentato anche il rapporto costo-efficacia (28). Sia il derma umano in coltura che i fattori di crescita topici, pur cominciando a dare qualche risultato interessante, non sono ancora disponibili su larga scala e sono anche costosi. Inoltre il follow up dei pazienti trattati con fattori di crescita è stato troppo breve per poterne valutare l’effetto a lungo termine (5). Per gli altri trattamenti GCSF (Granulocyte Colony Stimulating Factor), fattori di crescita per i fibroblasti e per l’epidermide, gli studi danno risultati interessanti ma non sufficienti da raccomandarne l’uso, sia per i costi del prodotto che per le modalità di uso (ad esempio i fattori di crescita vanno applicati in sequenza, ad intervalli, combinando più fattori, con trattamenti individualizzati in base al comportamento della lesione) (11). I supplementi nutrizionali, l’elettroterapia, gli ultrasuoni, la laserterapia a bassa emissione sono elencati tra i trattamenti di utilità non determinata (22).▲ 1. 2. 3. 4. 5. 6. Lazarus GS et al. Definition and guidelines for assessment of wounds and evaluation of healing. Arch Dermatol 1994;130:489-93. Currie CJ et al. The epidemiology and costs of inpatient care for the peripheral vascular disease, infection, neuropaty and ulceration in diabetes. Diabetes Care 1998;21:42-8. Reiber GE. 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Due sono i criteri diagnostici oggi utilizzati per inquadrare e valutare i sintomi associati all’ADHD: l’ICD-10 (sistema diagnostico proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) e il DSM-IV (proposto dall’American Medical Association). Il primo presenta criteri più restrittivi del secondo, e consente quindi di identificare un numero minore di bambini: quelli con ADHD di maggior gravità. Seguendo un’impostazione fondamentalmente gerarchica l’ICD-10 tende infatti ad escludere diagnosi multiple; così, ad es., applicando il DSM-IV, un bambino potrebbe essere diagnosticato con ADHD e disturbo della condotta, mentre applicando l’ICD-10 gli verrebbe diagnosticato solo il disturbo di condotta. Ed ancora: per la diagnosi di disturbo ipercinetico, l’ICD-10 prevede la presenza sia di inattenzione che di iperattività e impulsività. Quindi bambini con ADHD con deficit prevalentemente dell’attenzione o di tipo iperattivo/impulsivo vengono considerati sub-clinici secondo l’ICD-10. Alla scelta del sistema diagnostico da utilizzare, che è condizionata anche da attitudini scientificoculturali (ad es., in Europa si preferisce il primo, negli USA il secondo), conseguono quindi differenze consistenti nell’iter complessivo diagnostico-terapeutico a cui il bambino può essere sottoposto. Eziologia – Numerosi sono i potenziali fattori eziologici associati all’ADHD e tra questi, quelli genetici, perinatali, psicosociali, ambientali, dietetici, strutturali, cerebrali e neurobiologici. È per questi ultimi, tuttavia, che sono disponibili oggi maggiori evidenze circa un loro ruolo nel caratterizzare le manifestazioni cliniche dell’ADHD. In particolare, a livello della corteccia frontale e dei nuclei della base, le cui funzioni sono modulate da dopamina, noradrenalina e serotonina, in pazienti con ADHD sono state dimostrate anomalie strutturali e funzionali del sistema dopaminergico. Il ruolo della dopamina supporta infatti le manifestazioni di scarsa attenzione e iperattività, come la serotonina l’impulsività, e un eccesso di noradrenalina le manife- 232 stazioni di aggressività. Esistono infatti numerose evidenze secondo cui farmaci in grado di modulare i sistemi dopaminergico e noradrenergico sono in grado di migliorare iperattività, impulsività e attenzione. Non esiste invece alcuna evidenza di efficacia clinica sui sintomi dell’ADHD dei farmaci che bloccano il reuptake della serotonina (SSRI). Prevalenza – Sebbene l’ADHD sia ritenuto, a livello internazionale, uno dei più frequenti problemi comportamentali dell’età evolutiva, le stime della prevalenza variano considerevolmente (1-24%) a seconda del contesto geografico e sociale, dell’età e del sesso della popolazione osservata, dei criteri diagnostici utilizzati e dall’esperienza degli operatori (come esempio del “puzzle” si vedano le Tabelle 1 e 2). Indipendentemente dall’età di insorgenza dell’ADHD, anche presunta, il bambino arriva all’osservazione dello specialista solo in età scolare: sono proprio gli insegnanti che segnalano l’anomalo comportamento dell’alunno nel contesto scolastico. A casa e nelle relazioni famigliari invece le difficoltà risultano meno evidenti, anche se non scompaiono del tutto. I sintomi sono quindi facilmente influenzati dall’ambiente in cui il bambino si trova. L’ADHD è più frequente nei maschi che nelle femmine (rapporto 5-9/1). A tutt’oggi in Italia sono stati condotti tre studi epidemiologici formali che, utilizzando un questionario sottoposto ad insegnanti di scuola elementare, hanno evidenziato una prevalenza di ADHD nella popolazione scolastica del 4%. Tuttavia, questi studi soffrono di numerosi limiti metodologici (ad es. sono esclusivi delle regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna; sono distribuiti in un arco temporale di sette anni; solo alcune centinaia di bambini sono stati coinvolti, e solo di alcune classi d’età; i criteri diagnostici utilizzati sono differenti; ecc.) che rendono i risultati inutilizzabili per qualunque inferenza o generalizzazione. Diagnosi – Non disponendo di misurazioni biologiche per l’ADHD, la diagnosi è basata su criteri clinici di valutazione dei sintomi comportamentali. Essendo questi ultimi una pletora (le difficoltà diagnostico-differenziali sono numerose, così come differenti possono essere le valutazioni dei singoli operatori), sono stati stilati appositi protocolli diagnostici che prevedono, oltre alla visita medica e neurologica, all’esame BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI psichico e alla valutazione delle capacità cognitive e di apprendimento del bambino, anche un’intervista strutturata ai genitori e agli insegnanti, ed eventualmente anche ad altri adulti con cui il bambino ha rapporti relazionali prolungati. In tale contesto, risulta quindi essenziale l’esperienza dell’operatore che si prende cura di un bambino con sospetto ADHD, proprio a partire dall’inquadramento diagnostico, che necessita di più di un incontro per essere correttamente effettuato. Nell’ambito del SSN, sono i servizi (o U.O.) locali di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva che, in concerto con i servizi scolastici e sociali e con i pediatri di famiglia, dovrebbero essere i referenti per la gestione del bambino con (sospetto) ADHD e della sua famiglia. Per quanto concerne il ruolo del pediatra di famiglia, i risultati di un recente studio, a cui hanno partecipato 56 pediatri dell’ASL di Torino, hanno evidenziato una disomogenea percezione, e conseguente comportamento gestionale, dei disturbi del comportamento tra i propri assistiti, con una scarsa attitudine a gestire autonomamente i casi giunti alla loro attenzione. Terapia – Due sono le modalità terapeutiche per l’ADHD: farmacologica, con psicostimolanti; comportamentale, con vari interventi psicosociali. Anche per quanto concerne gli approcci terapeutici vi sono differenze tra Europa e USA. In Europa, dove la prescrizione è più ristretta anche per normative regolatorie, le linee-guida prevedono inizialmente interventi psicosociali (modifiche comportamentali, terapia cognitiva, terapia di famiglia, ecc.). Negli USA invece prevale sin dall’inizio l’indicazione per il trattamento farmacologico. In entrambi gli approcci risulta tuttavia ampia la variabilità per quanto concerne la durata della terapia, l’osservazione, il tasso di efficacia e i criteri utilizzati per la sua stima, ecc. Il metilfenidato, uno psicostimolante che aumenta il rilascio e il reuptake della dopamina, rappresenta oggi il farmaco di scelta per l’ADHD. Farmacocinetica-farmacodinamica - Nei bambini, il picco delle concentrazioni ematiche è raggiunto dopo circa 2 ore dalla somministrazione orale, con una durata di azione di 1-4 ore e una emivita di 2-3 ore. La relazione dose/risposta del farmaco è molto variabile, ed è associata alla fase di incremento dei livelli ematici del farmaco, così che il dosaggio deve essere individualizzato. Nei paesi in cui il farmaco è in commercio, è disponibile in compresse da 5-10-20 mg; negli USA anche in capsule a rilascio lento da 20 mg. In considerazione del profilo cinetico e dinamico è necessario somministrare più dosi giornaliere. In genere si inizia con un dosaggio di 5 mg per due volte al giorno, che può essere poi incrementato fino a 60 mg/die in 2-3 somministrazioni. Alla sospensione, alcuni bambini possono mostrare un effetto rebound con esacerbazioBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 ne dei disturbi comportamentali. Tale effetto può essere prevenuto con uno schema terapeutico che preveda un dosaggio maggiore al mattino seguito da dosi inferiori durante la giornata, o usando formulazioni a rilascio controllato. Efficacia clinica - I risultati di studi clinici controllati hanno evidenziato che la somministrazione del metilfenidato è efficace in circa il 70% dei bambini con ADHD. La comparsa dell’effetto del farmaco è rapida; a volte è possibile notare miglioramenti già dal primo giorno di somministrazione. Una settimana di trattamento è in genere sufficiente per ottenere benefici valutabili anche in ambito scolastico: aumento dell’attenzione, della capacità di portare a termine i compiti assegnati e dell’organizzazione della scrittura, oltre ad una riduzione dell’impulsività, della distrazione e delle interazioni interpersonali conflittuali. Negli studi finora condotti è stato notato che la stessa dose di metilfenidato può tuttavia produrre nei diversi bambini con ADHD cambiamenti in positivo, in negativo o nulli, in base al metodo di valutazione usato. Questo paradosso evidenzia l’eterogeneità delle misure finora utilizzate nelle sperimentazioni cliniche, che vanno da una soggettiva percezione di miglioramento da parte dei genitori, a valutazioni cliniche ambulatoriali, fino all’analisi del rendimento scolastico del bambino. Bisogna inoltre considerare che circa il 20-30% dei bambini con ADHD non risponde al metilfenidato. Questi bambini risponderebbero invece al trattamento con amfetamina. I fattori che sembrano limitare l’efficacia del farmaco sono: la predominanza di ansia e depressione nel quadro sintomatologico (sintomi che nei bambini con ADHD il metilfenidato migliora), la concomitanza di lesioni organiche e neuroevolutive, e la presenza di condizioni socioeconomiche ed ambientali sfavorevoli. Tutti questi elementi riconducono anche alla difficoltà ed eterogeneità della definizione diagnostica di questa sindrome. Mentre l’efficacia nel breve periodo è ben documentata, pochi sono stati finora gli studi che hanno analizzato gli effetti a lungo termine del metilfenidato. I risultati ottenuti sono piuttosto scoraggianti in quanto non hanno evidenziato nei pazienti trattati un miglior inserimento sociale o il raggiungimento di più alti livelli di scolarità rispetto ai controlli. Ne consegue che le evidenze a tutt’oggi disponibili supportano l’uso del farmaco solo per un periodo di breve durata e nell’ambito di una terapia non solo farmacologica. Effetti indesiderati ed interazioni - Un’attenta valutazione degli effetti indesiderati richiede la separazione di questi ultimi dai sintomi propri della sindrome, che in molti casi sono sovrapponibili. I più comuni effetti avversi del metilfenidato sono: diminuzione dell’appetito, perdita di peso e dolore addominale. 233 AGGIORNAMENTI Meno comuni sono: cefalea, irritabilità, insonnia, ansia e propensione al pianto. Rare, seppur documentate, sono la neutropenia e l’eosinofilia. A causa di questi effetti collaterali è stato suggerito che nelle visite di follow-up ai bambini con ADHD venga monitorato il peso corporeo. I bambini più piccoli (<6 anni) ed i pazienti con ritardo mentale sembrano essere più a rischio d’insorgenza di eventi avversi. Il metilfenidato può interferire con l’effetto dei farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale (sedativi, anticonvulsivanti ed antidepressivi). Richiede inoltre cautela l’uso concomitante di decongestionanti nasali che contengono stimolanti (quali la pseudoefedrina), poiché l’effetto additivo può dar luogo a tachicardia e palpitazioni. Recentemente, il britannico NICE (National Institute for Clinical Exellence) ha raccomandato l’uso del metilfenidato nelle forme gravi di ADHD, nell’ambito di un programma terapeutico che comprenda anche interventi sociali, psicologici e comportamentali. Nelle condizioni in cui programmi psicoeducativi specifici non fossero disponibili, è previsto il ricorso al trattamento con metilfenidato che è attualmente la terapia farmacologica più efficace per l’ADHD. La stessa istituzione ha inoltre ribadito che l’ADHD va gestito da neuropsichiatri infantili o da pediatri con provata esperienza nella gestione dei disturbi comportamentali ed in stretta collaborazione con i genitori e gli insegnanti del bambino. Prognosi - Per quanto concerne l’evoluzione clinica della sindrome, sebbene questa tenda a ridursi al crescere dell’età, evidenze circa la persistenza e le carat- 234 teristiche delle sue manifestazioni sono quanto mai deficitarie in considerazione dell’esiguità degli studi di follow-up sinora condotti. Così, le segnalazioni americane e inglesi che indicano nell’ADHD un fattore di rischio per una patologia psichiatrica o per un comportamento sociale nell’età adulta necessitano di ulteriori validazioni, anche in contesti sociali ed assistenziali differenti. Considerazioni conclusive Le conoscenze disponibili sulla epidemiologia clinico-assistenziale (e perciò anche sul ruolo complessivo dei trattamenti farmacologici) dell'ADHD sono tuttora controverse, per il sommarsi delle tante aree di incertezza sopra discusse. Due strategie complementari devono essere attivate, in una logica di stretta collaborazione tra i diversi attori (responsabili istituzionali, specialisti, pediatri di libera scelta, famiglie, scuole): a) una campagna di informazione capace di rendere tutti coscienti che il problema dell'ADHD è un'area non di facili soluzioni farmacologiche, ma di ricerca collettiva, culturale e sanitaria; b) un programma di sorveglianza (epidemiologica, non solo farmacologica) che permetta di accompagnare l'attivazione dei percorsi assistenziali che saranno adottati per l'ADHD con una raccolta ben programmata di dati essenziali, indispensabili per garantire che questo capitolo così poco esplorato (specialmente in Italia) coincida effettivamente con la migliore fruizione dei diritti di cura dei portatori di bisogni, e non semplicemente con l'ampliamento di prestazioni sanitarie.▲ BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 AGGIORNAMENTI Tabella 1. Frequenza di ADHD/HKD (hyperkinetic disorder). Swanson JM et al. Attention-deficit hyperactivity disorder and hyperkinetic disorder. Lancet 1998;351:429-33. Diagnosi comportamentale (scale di valutazione, intervista non medica, bassa soglia) Autore Satin et al. 1985 Shekim et al. 1985 Shaywitz 1987 Velez et al. 1989 Bhatia et al. 1991 Taylor et al. 1991 Baumgardner 1995 Wolraich et al. 1996 Criteri DSM-III ADD/H DSM-III ADD/H DSM-III ADD/H DSM-III-R ADHD DSM-III ADD/H DSM-III ADD/H DSM-IV ADHD DSM-IV ADHD Nazione Età (anni) US US (MO) US (CT) US (NY) India UK (Londra) Germania US (TN) 6-9 9 10 9-12 3-12 6-8 5-11 5-11 Sesso M M/F M/F M/F M/F M M/F M/F Frequenza 24% 12% 23% 17% 11% 17% 18% 11% Diagnosi psichiatrica DSM (anche forme “semplici”, co-morbidità ammessa) Autore Satin et al. 1985 Anderson et al. 1987 Offord et al. 1987 Bird 1988 Taylor et al. 1991 Leung et al. 1996 Criteri DSM-III ADD/H DSM-III ADD DSM-III ADD/H DSM-III ADD/H DSM-III ADD/H DSM-III R ADHD Nazione Età (anni) US Nuova Zelanda Canada Puerto Rico UK Hong Kong 6-9 11 4-16 4-16 6-8 7 Sesso M M/F M/F M/F M M Frequenza 8% 7% 6% 9% 5% 9% Diagnosi psichiatrica ICD-9 (criteri stringenti, co-morbidità non ammessa) Autore Gillberg 1983 Esser 1990 Esser 1990 Taylor et al. 1991 Leung et al. 1996 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 Criteri ICD-9 ICD-9 ICD-9 ICD-9 ICD-9 HKD HKD HKD HKD HKD Nazione Svezia Germania Germania UK Hong Kong Età (anni) 5-12 8 13 7 7 Sesso M M/F M/F M M Frequenza 2% 4% 2% 2% 1% 235 AGGIORNAMENTI Tabella 2. Prevalenza dell’ADHD. Elia J et al. Treatment of Attention-Deficit-Hyperactivity Disorder. NEJM 1999;340:780-8. Studio Campione e dimensioni Età % di prevalenza dell’ADHD Rapporto maschi/femmine Condizione coesistente ODD o CD Anni 11 % Problemi scolastici 47 24,6 15 Non disp. 37,5 22 4 Non disp. Più del 50% di bambini con ODD presentava anche ADHD Età 411:39, Età 1216: 46 Non disp. Non disp. Non disp. Tra i bambini di 4-11 anni, la prevalenza di ADHD senza disturbi coesistenti era doppia rispetto a CD, mentre tra i ragazzi di 12-16 anni CD senza disturbi coesistenti era due volte più frequente di ADHD. La percentuale di maschi affetti da CD era maggiore di quella delle femmine. Solo maschi 45 Non disp. Non disp. 56 3 2:1 23 1 3,6 Non disp. 13,1 8,9 6 2:1 2:1 1:1 50 23 15,6 Non disp. Non disp. 21 17-27 17-27 Non disp. 33-42 22-42 22-42 Non disp. Non disp. Non disp. Non disp. Non disp. 23 75 4,2 1,6 5,1:1 Popolazione generale non selezionata (Nuova Zelanda, n = 792) Bird et al. Indagine Territoriale (Porto Rico, n = 843) 4-16 9,5 Più maschi che femmine soffrivano di ADHD Szatmari et al. (3) Indagine territoriale urbana e rurale (Canada, n = 2674) 4-16 6,1 2,7:1 Taylor et al. Campione scolastico (Newham Borough, Londra n = 3215) 6-8 1,7 Fergusson et al. (5) Coorte di nascita (Nuova Zelanda, n = 1000) 15 Cohen et al. Campione territoriale (Stato di New York) n = 544 n =508 n =446 10-13 4-16 17-20 McConaughy, Achenbach Popolazione generale (campione nazionale statunitense vs campioni clinici, n = 2705) 4-18 Popolazione generale: 6-7 Popolazione clinica: 29-41 Baunagærtel et al. Indagine scolastica, urbana e rurale (Germania, n = 1077) 5-12 Criteri del DSM-III e del DSMIII R, 9,6 Criteri del DSM IV,17,8 6,7 Sottotipo HI, 5:1 Sottotipo AD, 2:1 Shaffer et al. Bambini selezionati a random (Stati Uniti, n = 8258) 9-17 4,9 Non disp. Wolraich et al. (10) Alunni di scuola elementare (Tennessee, n = 8258) 5-10 Criteri del DSM III-R, 7,3 Criteri del DSM-IV, 11,4 Sottotipo HI, 5,4 Sottotipo AD, 2,4 Sottotipo misto, 3,6 Non disp. 6-10 Non disp. Campione scolastico (Minnesota, n = 7231) Depressione Per cento Anderson et al. (1) August et al. Ansia 4,4 50 7 Non disp. 80 23 ODD, 12 CD,4 Non Non furono riscontrati casi di disp. depressione maggiore. La distimia si presentava prevalentemente nei bambini con disturbi comportamentali multipli. Note: ADHD, indipendentemente dal sottotipo, si verificava con maggiore frequenza tra i maschi e tra i bambini più piccoli e tra i bambini presi in esame in ambiente clinico. Studi territoriali indicano che il disturbo opposizionale e disturbi della condotta sono i principali disturbi coesistenti con maggiore prevalenza tra i bambini più grandi e in quelli con il sottotipo di ADHD di tipo prevalentememnte iperattivo-impulsivo. Problemi scolastici si presentavano per lo più con il sottotipo con deficit di attenzione. ODD denota disturbo opposizionale, CD disturbo della condotta, Non disp. Informazione non disponibile, DSM Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, DSM III, la terza edizione del DSM, DSM III-R la terza edizione rivista del DSM-III, la DSM-IV la quarta edizione del DSM, HI, sottotipo prevalentemente impulsivo – iperattivo, AD, sottotipo prevalentemente con deficit di attenzione. 236 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 DALLA LETTERATURA Temi di rilevante interesse dibattuti nel 2001 Ogni anno gli Editori di Journal Watch scelgono gli argomenti che ritengono più significativi in campo medico nell’anno appena trascorso, in base alla rilevanza che tali argomenti rappresentano per le cure primarie, al fatto che costituiscono elementi basilari per la medicina e all’interesse sollevato tra l’opinione pubblica. In generale, i vari argomenti emergono da una serie di pubblicazioni sullo stesso tema, anche se talvolta un singolo studio può apparire già di per sé degno di grande attenzione. Journal Watch è una rivista quindicinale, pubblicata dalla Massachussets Medical Society (la stessa che pubblica The New England Journal of Medicine ed AIDS Clinical Care), progettata per aiutare i medici ad aggiornarsi sui principali progressi della ricerca clinica. La rivista riporta infatti, con regolarità e tempestività, sintesi di studi clinici apparsi nelle principali riviste mediche, aggiungendo alla fine di ognuno il commento di un esperto. Nel corso dell’ultimo periodo del 2001, una malattia infettiva è venuta prepotentemente alla ribalta negli Stati Uniti, destando vivissime preoccupazioni, allorché, nell’arco di due mesi, circa due dozzine di persone dell’East Cost hanno sviluppato antrace cutaneo o polmonare. Casi di antrace polmonare non venivano segnalati negli Stati Uniti da oltre 20 anni e gli ultimi apparsi sono stati, per la maggior parte, ricondotti all’invio intenzionale di posta contenente spore batteriche. Da parte dei Centers for Disease Control (CDC) sono state aggiornate, in alcuni casi con qualche contraddizione, le indicazioni sulla malattia, con descrizione dei casi e raccomandazioni sulle modalità di profilassi e di terapia. Una revisione dei primi dieci casi di antrace polmonare ha evidenziato un tempo medio di incubazione di quattro giorni (quando si è potuto determinare); i sintomi iniziali erano aspecifici: febbre, sudorazione, brividi e tosse non produttiva; raramente si è manifestata rinorrea (diversamente dalla sua presenza in molti pazienti con influenza incipiente) (1), mentre erano comuni dispnea e nausea o vomito. All’RX del torace sono stati osservati allargamento del mediastino in 7 pazienti su 10, effusione pleurica in 8 ed infiltrati polmonari in 7 (in contrasto con ciò che tradizionalmente si riteneva, e cioè che la malattia polmonare non provocasse infiltrati). Il tasso di mortalità tra i pazienti con antrace polmonare è BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 stato del 40%; nessun paziente con forma cutanea è deceduto (2). I test di sensibilità hanno evidenziato che i pazienti erano uniformemente sensibili a penicilline, chinoloni, doxiciclina, rifampicina e clindamicina, ma non alle cefalosporine o al trimetoprim-sulfametossazolo. Da parte dei CDC è stato suggerito di trattare l’antrace con combinazioni di ciprofloxacina o doxiciclina e uno o due tra gli altri farmaci attivi. Poiché il Bacillus anthracis contiene geni che codificano ß-lattamasi inducibili, le penicilline non dovrebbero essere prese in seria considerazione per il trattamento. Per la profilassi dopo esposizione certa, è stato raccomandato un trattamento di 60 giorni a base di ciprofloxacina o di doxicilina. Data la bassa carica batterica dopo esposizione subclinica, gli esperti affermano che anche le penicilline, se necessario, possono essere utilizzate a scopo profilattico. La ciprofloxacina è stata preferita per la profilassi in gravidanza (3-6). Anche dopo che la minaccia dell’antrace si è ridotta, il Paese è rimasto del tutto consapevole della potenziale minaccia di malattie infettive, in particolare della possibilità che il vaiolo possa diventare la prossima arma biologica. Bibliografia 1. Antrace 1. Considerations for distinguishing influenza-like illness from inhalational anthrax. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2001;50:984-6. 2. Jernigan JA et al. Bioterrorismrelated inhalational anthrax: the first 10 cases reported in the United States. Emerg Infect Dis 2001;7:933-44. 3. 4. 5. 6. Update: Investigation of anthrax associated with intentional exposure and interim public health guidelines, October 2001. MMWR Morb Mortal Wkly Rep. 2001;50:889-93. Recognition of illness associated with the intentional release of a biologic agent. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2001;50:893-7. Update: Investigation of bioterrorism-related anthrax and interim guidelines for exposure management and antimicrobial therapy, October 2001. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2001;50:909-19. Updated recommendations for antimicrobial prophylaxis among asymptomatic pregnant women after exposure to Bacillus anthracis. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2001;50:960. 2. Progressi nel campo della sindrome da risposta infiammatoria sistemica e della sepsi Gli sforzi per migliorare gli esiti a favore di pazienti con sepsi o con sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS) sono risultati in gran parte deludenti. Nell’anno appena trascorso, abbiamo imparato che alcuni interventi ampiamente utilizzati servono a ben poco, ma che esistono anche alcune strategie promettenti. Vediamo innanzitutto gli interventi inutili. Ai pazienti con SIRS e disfunzione renale precoce è di frequente somministrata dopamina a basse dosi, che dovrebbe servire a prevenire un’insufficienza renale conclamata. In uno studio randomizzato, 328 pazienti con SIRS e iniziale disfunzione renale sono 237 DALLA LETTERATURA 238 insulina per endovena (così da mantenere la glicemia tra 80 e 110 mg/dL) oppure al trattamento convenzionale (l’infusione di insulina veniva iniziata qualora la glicemia fosse superiore a 215 mg/dL). La mortalità intra-ospedaliera è risultata significativamente più bassa nel gruppo sottoposto a terapia insulinica intensiva (7,2% vs 10,9%); tale differenza è stata attribuita a una minore mortalità da insufficienza organica multipla con infezione accertata. Questi tre ultimi interventi non sono certo soluzioni magiche e la loro applicazione alla pratica clinica sarà sicuramente problematica perché le popolazioni indagate erano particolarmente selezionate. Tuttavia, queste ricerche rappresentano contributi importanti. Per quanto concerne la dopamina, un editorialista ha concluso affermando che “è tempo di smettere di impiegarla a scopo preventivo: non vi è giustificazione di usare la “dose renale” di dopamina nel paziente in condizioni particolarmente critiche”. Bibliografia stati suddivisi in due gruppi, uno trattato con basse dosi di dopamina, l’altro con placebo (1,2). Il gruppo dopamina non ha mostrato di presentare condizioni migliori del gruppo placebo in termini di picco di concentrazione serica di creatinina (outcome primario), di necessità di trattamento sostitutivo, di diuresi oraria, di durata di ricovero in unità di cura intensiva, di mortalità (43% dopamina - 40% placebo) e di altri outcome secondari. Ora una nota più ottimistica. In uno studio randomizzato, 1.690 pazienti con grave sepsi sono stati sottoposti a un’infusione per 4 giorni di proteina C attivata ricombinante oppure di placebo (3). Lo studio era stato progettato in quanto i livelli di proteina C attivata, che è dotata di proprietà antitrombotiche ed antinfiammatorie, appaiono ridotti nei pazienti con sepsi. A 28 giorni, la mortalità si è dimostrata significativamente più bassa nel gruppo dei trattati con proteina C (24,7% vs 30,8%), anche se la terapia con tale sostanza era associata a una più alta incidenza di grave sanguinamento (3,5% vs 2%). La proteina C attivata ricombinante è stata recentemente autorizzata al commercio da parte della FDA. In un altro studio randomizzato, è stata valutata una terapia tempestivamente mirata su 263 pazienti ricoverati per SIRS in un reparto di pronto soccorso (4). Metà dei pazienti fu trattata già nel pronto soccorso secondo un protocollo che prevedeva l’impiego di liquidi specifici e di farmaci vasoattivi al fine di raggiungere gli obiettivi emodinamici specifici misurabili; l’altra metà fu sottoposta al trattamento standard. La terapia precocemente instaurata nel reparto di pronto soccorso è stata associata ad una mortalità intra-ospedaliera significativamente più bassa (31% vs 47%). Da ultimo, un risultato sorprendente è emerso da uno studio randomizzato su 1.548 pazienti ricoverati in una unità di terapia intensiva chirurgica, la maggior parte dei quali sottoposti a intervento cardiaco (5). Anche se i pazienti erano per la gran parte non diabetici, furono sottoposti a somministrazione di 1. Bellomo R et al. Low-dose dopamine in patients with early renal dysfunction: a placebo-controlled randomised trial. Australian and New Zealand Intensive Care Society (ANZICS) Clinical Trials Group. Lancet 2000;356:2139-43. 2. Galley HF. Renal-dose dopamine: will the message now get through? Lancet 2000;356:2112-3. 3. Bernard GR et al. Efficacy and safety of recombinant human activated protein C for severe sepsis. N Engl J Med 2001;344:699-709. 4. Rivers E et al. Early goal-directed therapy in the treatment of severe sepsis and septic shock. N Engl J Med 2001;345:1368-77. 5. Van den Berghe et al. Intensive insulin therapy in critically ill patients. N Engl J Med 2001;345:1359-67. 3. Nel GERD, meglio la chirurgia o la terapia medica? Giudicando dalla voluminosa letteratura prodotta sulla malattia da reflusso gastroesofageo (GERD) e dalla pubblicità onnipresente sui farmaci acido-soppressori, sembrerebbe di essere nel cuore di un’epidemia di tale patologia. Nel 2001, i risulta- ti di uno studio a lungo termine che ha confrontato l’intervento di fundoplicatio in aperto secondo la tecnica di Nissen con la terapia medica hanno attirato una notevole attenzione (1). Alla fine degli anni ‘80, ricercatori americani avevano randomizzato 247 pazienti con GERD complicato da sottoporre a terapia medica o chirurgica. In media 10 anni dopo, la maggioranza dei pazienti ancora viventi era disponibile ad un follow-up. Anche se la sintomatologia riportata è apparsa minore nel gruppo chirurgico rispetto a quello medicalmente trattato, il 62% dei pazienti sottoposti ad intervento operatorio utilizzava ancora regolarmente farmaci antireflusso (rispetto al 92% dei pazienti non chirurgici). Inoltre, il 16% dei pazienti chirurgici aveva subito un secondo intervento antireflusso, e il 14% era stato trattato per stenosi. In confronto, il 10% dei pazienti sottoposti a terapia medica aveva subito una fundoplicatio e l’8% era stato trattato per stenosi. Inaspettatamente, la mortalità è risultata significativamente più alta nel gruppo sottoposto a chirurgia rispetto a quello trattato medicalmente (40% vs 28%); il motivo di questo eccesso di mortalità non è chiaro, e nessun decesso è stato direttamente correlato alla chirurgia. Un editorialista (non un chirurgo, ma un gastroenterologo) ha concluso che “i dogmi basilari delle argomentazioni a favore della chirurgia – persistenza della patologia, prevenzione del cancro, liberazione dall’utilizzo di farmaci antisecretori – sono stati tutti messi in discussione” da questo studio (2). Il panorama della terapia del GERD è cambiato dal tempo in cui questo studio è iniziato più d’una decina di anni fa. Dal punto di vista della terapia medica, molti pazienti hanno abbandonato gli anti-H2 a favore degli inibitori della pompa protonica, più potenti dei precedenti. Dal lato chirurgico, la fundoplicatio laparoscopica sta guadagnando in popolarità. Tuttavia, anche se le procedure laparoscopiche riducono le degenze in ospedale, non si dimostrano più efficaci dell’intervento in aperto nell’alleviare i sintomi della GERD. Non esiste quindi motivo BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 DALLA LETTERATURA Bibliografia 1. Spechler SJ et al. Long-term outcome of medical and surgical therapies for gastroesophageal reflux disease: follow-up of a randomized controlled trial. JAMA 2001;285:2331-8. 2. Kahrilas PJ. Surgical therapy for reflux disease. JAMA 2001;285:23768. 3. Weimin YE et al. Risk of adenocarcinomas of the esophagus and gastric cardia in patients with gastroesophageal reflux diseases and after antireflux surgery. Gastroenterology 2001;121:128693. 4. Triadafilopoulos G et al. Radiofrequency energy delivery to the gastroesophageal junction for the treatment of GERD. Gastrointest Endosc 2001;53:407-15. 5. Filipi CJ et al. Transoral, flexible endoscopic suturing for treatment of GERD: a multicenter trial. Gastrointest Endosc 2001;53:41622. 6. Feretis C et al. Endoscopic implantation of Plexiglas (PMMA) microspheres for the treatment of GERD. Gastrointest Endosc 2001;53:423-6. 4. Carcinoma gastrico ed Helicobacter pylori: relazione confermata Nel commentare una ricerca sulla possibile correlazione fra H pylori e carcinoma gastrico, un editorialista ha concluso affermando che, se i risultati di studi recenti verranno confermati, i medici potrebbero giungere a considerare tale organismo come qualcosa di analogo al tabacco quale agente cancerogeno. Questa conclusione si basa, in parte, sui risultati di uno studio di coorte prospettico su 1.526 pazienti giapponesi con ulcera gastrica o duodenale, iperplasia gastrica, dispepsia non ulcerosa, seguiti, in media, per 7,8 anni (1,2). Nel momento dell’arruolamento, 1.246 pazienti presentavano infezione da H pylori, confermata mediante risposta positiva attuata per via istologica, sierologica, o con i test dell’ureasi. Nessun paziente H pylori negativo ha sviluppato cancro gastrico, osservato invece nel 2,9% dei pazienti H pylori positivi. Nessun caso di cancro gastrico è insorto nei 275 pazienti con ulcere duodenali o nei 253 pazienti con infezioni da H pylori sottoposti a terapia di eradicazione. Il follow-up è risultato più breve nei pazienti sottoposti a trattamento eradicante (media, 4,8 anni). Questi risultati indicano chiaramente che l’infezione da H pylori è un fattore di rischio significativo di cancro gastrico in una popolazione ad alto rischio per tale forma neoplastica. Ma, anche se gli editorialisti sono corretti, e l’H pylori “non è un buon organismo, dopo tutto”, non è del tutto chiaro quale debba essere la risposta clinica appropriata. I dati sull’eradicazione derivati da questo studio osservazionale non sono sufficienti per dimostrarne il beneficio. Riuscirà l’eradicazione a ridurre l’incidenza delle neoplasie gastriche, in particolare nelle popolazioni con bassa prevalenza di tale patologia? I risultati di altri studi hanno suggerito che l’H pylori potrebbe proteggere nei confronti del reflusso e del cancro esofageo: la sua eradicazione non potrebbe ridurre l’incidenza di una neoplasia aumentando quella di un’altra? L’infezione da H pylori in pazienti con ulcere duodenali non ha conferito rischi di cancro gastrico - perché no? L’ infezione da H pylori è spesso asintomatica, anche se i pazienti in questo studio di coorte erano sintomatici: lo screening per H pylori dovrebbe essere condotto in una popolazione generale? I risultati di questo singolo studio di coorte hanno confermato la correlazione tra H pylori e tumore gastrico. Ulteriori indagini sono necessarie per determinare come questa informazione potrebbe trovare applicazione nella cura del paziente. Bibliografia fortemente convincente per ritenere che un confronto di lunga durata fra le attuali terapie mediche e chirurgiche potrebbe concludersi a favore della chirurgia. Tra l’altro, le riserve dell’editorialista sul fatto che l’intervento chirurgico prevenga il tumore esofageo sono sostenute da un nuovo studio svedese di lunga durata e basato sulla popolazione (3). Infine, ulteriori approcci alla GERD sono all’orizzonte. Almeno tre tipi di trattamenti endoscopici – energia di radiofrequenza alla giunzione gastroesofagea (4), suturazione endoscopica (5) e impianto di microsfere di plexiglas a livello submucosale (6) - sono stati descritti recentemente in studi di breve durata non controllati. Queste procedure non dovrebbero tuttavia essere prese in considerazione fino a che non si avranno dati attendibili sulla loro efficacia e sicurezza a lungo termine. 1. Uemura N et al. Helicobacter pylori infection and the development of gastric cancer. N Engl J Med 2001;345:784-9. 2. Fox JG, Wang TC. Helicobacter pylori - not a good bug after all. N Engl J Med 2001;345:829-32. 5. La Preventive Services Task Force degli Stati Uniti (USPSTF*) lancia una nuova serie di lineeguida di prevenzione Gli standard delle cure mediche sono sempre più influenzati dalle cosiddette “linee-guida della pratica clinica”. Negli Stati Uniti, su iniziativa di singoli organismi - organizzazioni professionali, specialisti, gruppi promotori, società di assicurazioni ed enti governativi – vengono pubblicate linee-guida; non deve pertanto sorprendere se alcune sono in conflitto con altre. L’USPSTF ha cominciato a riunirsi negli anni ‘80 per elaborare lineeguida di medicina preventiva a partire da una prospettiva di imparzialità, basata su prove documentali. Nel 1989 e nel 1996, tale organismo ha pubblicato la prima e la seconda edizione della sua Guide to Clinical Preventive Services. Nel 2001, è stata annunciata la comparsa della terza edizione del libro. Questa volta, tuttavia, * L’U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF) è un organismo costituito negli Stati Uniti dal Public Health Service con il compito di formulare raccomandazioni per gli operatori sanitari sull’uso appropriato degli interventi di prevenzione. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 239 DALLA LETTERATURA 1 pazienti; i clinici americani dovrebbero prestare più attenzione alle sue raccomandazioni. Le raccomandazioni di tale organismo sono gratuitamente accessibili nel sito Internet http://www.ahrq.gov/clinic/uspstfix. htm#review. Le linee-guida su lipidi, clamidia, vaginosi batterica e cancro della pelle sono state anche pubblicate in un supplemento del numero di aprile 2001 dell’ American Journal of Preventive Medicine, mentre un articolo di fondo sulla capacità uditiva del neonato è comparso sul numero di JAMA di ottobre 2001 (2). Bibliografia l’USPSTF sta pubblicando singole linee-guida, mano a mano che ciascuna è completata da gruppi di esperti. Finora, sono comparse cinque nuove linee-guida, che riguardano lo screening dei disordini lipidici, l’infezione da clamidia, la vaginosi batterica in gravidanza, il cancro della pelle, la capacità uditiva nei neonati. Dal momento che l’USPSTF è, in un certo senso, più “neutrale” delle società di specialisti e di organizzazioni di patrocinio, le sue lineeguida talora riflettono un approccio meno aggressivo allo screening rispetto ad altri gruppi. Le nuove linee-guida per lo screening lipidico illustrano questo aspetto. L’USPSTF raccomanda che lo screening sistematico dei lipidi negli adulti abbia inizio, negli uomini, a 35 anni e, nelle donne, a 45 anni (uno screening più anticipato è suggerito in caso di soggetti con fattori di rischio coronarico). Oltre a ciò, il gruppo di esperti raccomanda che lo screening sistematico debba includere il colesterolo totale ed il colesterolo HDL, ma non i trigliceridi. Il National Cholesterol Education Program (NCEP), che è l’organo di riferimento delle lineeguida sul colesterolo più ampiamente citate, raccomanda invece lo screening sistematico con un profilo lipidico completo a digiuno (trigliceridi compresi), a partire dai 20 anni. Anche il NCEP nel 2001 ha provveduto ad aggiornare le proprie linee-guida sul colesterolo (1). I critici possono sostenere che l’USPSTF, esigendo documentazioni qualitative estremamente probanti, può non approvare alcuni interventi che hanno senso sul piano intuitivo. Tuttavia, le persone razionali spesso non sono d’accordo su che cosa è sensato sul piano intuitivo. L’USPSTF fornisce un modello importante per indirizzare tempo e risorse su quegli interventi che è molto probabile siano di utilità per i 1. Executive Summary of The Third Report of The National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, And Treatment of High Blood Cholesterol In Adults (Adult Treatment Panel III). JAMA 2001;285:248697. 2. Thompson DC et al. Universal newborn hearing screening: summary of evidence. JAMA 2001;286:2000-10. 6. Antibiotici per infezioni acute delle vie respiratorie superiori: nuove linee-guida L’eccessivo ricorso agli antibiotici nel trattamento delle infezioni respiratorie contribuisce all’aumento dell’incidenza di resistenze batteriche. Anche se solo il 17% (o meno) delle faringiti degli adulti è causato da streptococchi β-emolitici del gruppo A, un’indagine nazionale1 ha evidenziato che al 73% degli adulti con mal di gola erano prescritti antibiotici (1). Un altro studio ha documentato un eccessivo impiego di antibiotici di seconda scelta, costosi, per la sinusite (2). Nel corso del 2001, da parte dei Centers for Disease Control (CDC) è stato riunito un comitato di esperti per produrre linee-guida pratiche, basate su documentazioni probanti, per l’impiego degli antibiotici nelle infezioni acute delle vie respiratorie superiori - tra cui sinusite, faringite e bronchite - in adulti precedentemente in buona salute (3). Esse sono finalizzate a ridurre l’uso non appropriato degli antibiotici. Le linee-guida rimarcano che le infezioni superiori acute non specifiche delle vie respiratorie si presentano con sintomi rinofaringei e respiratori, ma non con caratteristiche marcate localizzate (4). Neppure la purulenza da narici e gola conferma l’infezione batterica. Le linee-guida si pronunciano contro l’uso di antibiotici per questi sintomi (5). Analogamente, per la bronchite acuta non complicata o la tosse acuta, le linee-guida raccomandano di evitare il ricorso agli antibiotici una volta che sia stata esclusa la polmonite (6). In caso di sinusite batterica di grado lieve-moderato, gli antibiotici dovrebbero essere evitati a meno che i sintomi persistano almeno per una settimana e comprendano secrezione nasale purulenta, dolore maxillare, dolore o indolenzimento dentale (7). Soltanto in tali casi, si dovrebbe ricorrere ad antibiotici quali amoxicillina, doxiciclina e trimetoprimsulfametossazolo. Le linee-guida raccomandano di utilizzare penicillina o eritromicina per la faringite soltanto quando siano raggiunti almeno tre dei quattro criteri clinici di verifica: febbre, essudati, adenopatia cervicale anteriore molle, assenza di tosse. Una raccomandazione alternativa è di trattare sempre i pazienti che rispondono a tutti e quattro i criteri quando i test rapidi dell’antigene sono positivi (8). Questa nuove linee-guida, che limitano il ricorso agli antibiotici, si fondano sulle prove di efficacia e possono aiutare i clinici ad identificare i pazienti che non trarranno giovamento dagli antibiotici. Se seguite, dovrebbero determinare poche prescrizioni inadeguate di antibiotici per le infezioni respiratorie acute, contribuendo agli sforzi di rallentare l’estensione delle resistenze batteriche. Riferita agli Stati Uniti 240 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 1. Linder JA, Stafford RS. Antibiotic treatment of adults with sore throat by community primary care physicians: a national survey, 19891999. JAMA 2001;286:1181-6. 2. Piccirillo JF et al. Impact of firstline vs second-line antibiotics for the treatment of acute uncomplicated sinusitis. JAMA 2001;286:184956. 3. Gonzales R et al. Principles of appropriate antibiotic use for treatment of acute respiratory tract infections in adults: background, specific aims, and methods. Ann Intern Med 2001;134:479-86. 4. Gonzales R et al. Principles of appropriate antibiotic use for treatment of nonspecific upper respiratory tract infections in adults: background. Ann Intern Med 2001;134:490-4. 5. Sonow V. Principles of appropriate antibiotic use for treatment of nonspecific upper respiratory tract infections in adults. Ann Intern Med 2001;134:487-9. 6. Gonzales R et al. Principles of appropriate antibiotic use for treatment of uncomplicated acute bronchitis: background. Ann Intern Med 2001;134:521-9. 7. Hickner JM et al. Principles of appropriate antibiotic use for acute rhinosinusitis in adults: background. Ann Intern Med 2001;134:498-505. 8. Cooper RJ et al. Principles of appropriate antibiotic use for acute pharyngitis in adults: background. Ann Intern Med 2001;134:509-17. 7. Aspirina nella prevenzione primaria Il beneficio dell’aspirina nei pazienti con malattia coronaria sintomatica è bene documentato, mentre il suo effetto come misura preventiva primaria nella pratica generale risulta meno chiaro. Uno studio italiano ha fornito forse la migliore dimostrazione che l’aspirina ha un ruolo nella prevenzione primaria (1). Questo studio ha arruolato circa 4.500 pazienti (età ≥ 50 anni), quasi interamente reclutati nella medicina generale, senza dati storici di eventi cardiovascolari avversi ma con uno o più tra i seguenti fattori di rischio: ipertensione; ipercolesterolemia; diabete; obesità; età > 65 anni; storia familiare di infarto del miocardio prima di 55 anni. I pazienti sono stati trattati con aspirina gastroprotetta (100 mg al giorBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 no) o non trattati. A un follow-up medio di 3,6 anni, il gruppo aspirina presentava un rischio significativamente più basso di morte cardiovascolare (0,8% vs 1,4%) e un rischio, anch’esso più basso, di un end point combinato di vari eventi cardiovascolari mortali e non mortali (6,3% vs 8,2%). I pazienti del gruppo aspirina hanno presentato una percentuale maggiore di sanguinamenti (1,1% vs 0,3%) ma nessun eccesso di rischio di ictus emorragico o di sanguinamento fatale. È essenziale una maggiore documentazione sul rischio di sanguinamento prima che l’aspirina possa essere usata su larga scala nella prevenzione primaria. Una meta-analisi del rischio emorragico gastrointestinale con l’uso di aspirina nel lungo periodo, che ha incluso quasi 66.000 pazienti, ha dimostrato un aumento significativo di sanguinamento gastrointestinale tra i pazienti trattati con il farmaco rispetto a coloro che hanno assunto placebo (2,5% vs 1,4%) (2). Non esisteva un rapporto fra emorragia gastrointestinale e dose di aspirina; l’utilizzo di dosi più basse (160 mg al giorno o meno) o di formulazioni a rilascio modificato non ha ridotto il rischio di sanguinamento. I risultati di un nuovo studio si sono mostrati interessanti suggerendo che l’infezione da H pylori può predisporre a danno gastroduodenale quanti utilizzano aspirina a basse dosi (3); un altro studio ha fornito la dimostrazione indicativa (ma non conclusiva) che l’eradicazione di H pylori riduce il rischio di sanguinamento gastrointestinale indotto da aspirina (4). Attualmente sembrano esistere sufficienti dimostrazioni per suggerire l’uso dell’aspirina a basse dosi nella prevenzione primaria di eventi cardiovascolari in adulti con uno o più fattori di rischio. Tuttavia, tenuto conto del rischio emorragico, è ancora importante valutare beneficio e rischio in ogni singolo paziente prima di suggerire la terapia a base di aspirina. Bibliografia Bibliografia DALLA LETTERATURA 1. Low-dose aspirin and vitamin E in people at cardiovascular risk: a randomised trial in general practice. Collaborative Group of the Primary Prevention Project. Lancet 2001;357:89-95. 2. Derry S, Loke YK. Risk of gastrointestinal haemorrhage with long term use of aspirin: metaanalysis. BMJ 2000;321:1183-7. 3. Feldman M. Role of Helicobacter pylori infection in gastroduodenal injury and gastric prostaglandin synthesis during long term/low dose aspirin therapy: a prospective placebo-controlled, double-blind randomized trial. Am J Gastroenterol 2001;96:1751-7. 4. Preventing recurrent upper gastrointestinal bleeding in patients with Helicobacter pylori infection who are taking low-dose aspirin or naproxen. N Engl J Med 2001;344:967-73. 8. Trattamento conservativo vs trattamento invasivo dell’angina instabile o dell’infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST In numerosi studi clinici, il trattamento invasivo sistematico dell’angina instabile o dell’infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST è stato confrontato con una strategia più conservativa. In generale, i risultati non sono riusciti a dimostrare che le strategie invasive sono in grado di fornire un beneficio netto. Tuttavia, i risultati dello studio TACTICS-TIMI 18, pubblicato nel 2001, forniscono nuove dimostrazioni a sostegno di approcci invasivi, in particolare in pazienti ad alto rischio (1). In questo studio, 2.220 pazienti sono stati trattati con aspirina, eparina ed inibitori della glicoproteina IIb/IIIa e sono stati ripartiti a random ad un trattamento invasivo precoce (cateterizzazione entro 48 ore) o ad un intervento più conservativo (cateterizzazione riservata a pazienti con prova da sforzo positiva o con altra evidenza obiettiva di sola ischemia). A 6 mesi, l’end point primario combinato: mortalità, infarto non fatale e nuova ospedalizzazione, si era verificato con una frequenza significativamente minore nel gruppo della strategia invasiva (15,9% vs 19,4%). I pazienti con i livelli elevati di troponina T alla presentazione 241 DALLA LETTERATURA Bibliografia hanno tratto il maggiore beneficio dalla strategia invasiva (2). Un altro studio su una popolazione simile di pazienti è stato il CURE, in cui più di 12.000 soggetti con sindrome coronarica acuta senza elevazione del segmento ST sono stati ripartiti, con scelta casuale, a trattamento con aspirina più clopidogrel o aspirina più placebo (3). Durante un periodo medio di trattamento di 9 mesi, l’aggiunta di clopidogrel ha determinato riduzioni significative della mortalità cardiovascolare, di infarto miocardico non fatale e di ictus (9,3% vs 11,4%), con in primis la riduzione del rischio di infarto. Per altro verso, si è notato un aumentato rischio di sanguinamento importante nel gruppo clopidogrel (3,7% vs 2,7%). Va sottolineato che la maggior parte dei pazienti del CURE non sono stati sottoposti a strategia invasiva precoce né trattati con inibitori di GPIIb/IIIa. I risultati dello studio TACTICSTIMI 18 rafforzano una strategia invasiva precoce in associazione ad inibitori di GPIIb/IIIa in molti pazienti con angina instabile o infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST, in particolare nei pazienti con livelli di troponina T elevati. Questa indagine differisce da studi precedentemente condotti (che non avevano dimostrato alcun beneficio con l’angiografia sistematica) nel fatto che sono stati usati inibitori di GPIIb/IIIa e contemporaneamente tecniche di stent. Lo studio CURE suggerisce che a più lungo termine il trattamento con clopidogrel più aspirina può ridurre l’incidenza di eventi ischemici. Tuttavia, il ruolo esatto della terapia con clopidogrel, in particolare unitamente a un approccio invasivo precoce e ad inibitori di GPIIb/IIIa, resta da definire. Il potenziale effetto di questi nuovi risultati sulle linee-guida attuali è stato riassunto in un recente articolo di Lancet (4). 242 1. Cannon CP et al. Comparison of early invasive and conservative strategies in patients with unstable coronary syndromes treated with the glycoprotein IIb/IIIa inhibitor tirofiban. N Engl J Med 2001;344:1879-87. 2. Morrow DA et al. Ability of minor elevations of troponins I and T to predict benefit from an early invasive strategy in patients with unstable angina and non-ST elevation myocardial infarction: results from a randomized trial. JAMA 2001;286:2405-12. 3. Yusuf S et al. Effects of clopidogrel in addition to aspirin in patients with acute coronary syndromes without ST-segment elevation. N Engl J Med 2001;345:494-502. 4. Hamm CW et al. Acute coronary syndrome without ST elevation: implementation of new guidelines. Lancet 2001; 358:1533-8. 9. Promesse e sfide delle cellule staminali Le cellule staminali possono differenziarsi in cellule di molti tessuti diversi tra loro e riprodursi. Quelle embrionali presentano la maggiore plasticità e la più elevata capacità auto-riproduttiva; esse sono state per la prima volta isolate dai topi venti anni fa e dagli esseri umani tre anni fa. Per un certo tempo, le cellule staminali dell’adulto sono state utilizzate di routine nel trapianto del midollo osseo; cellule staminali cutanee sono impiegate per trapianti in pazienti ustionati. Nel 2001, i risultati di alcuni studi hanno indicato che la potenzialità delle cellule staminali embrionali e dell’adulto potrebbe essere più grande di quanto immaginato. Ad esempio, cellule staminali embrionali di topi sono state indotte a transformarsi in cellule pancreatiche endocrine, che hanno formato isole e migliorato la glicemia (1). La polemica è esplosa quando il pubblico è venuto a conoscenza di questo campo poco noto. Le cellule staminali possono essere isolate da embrioni – tipicamente da embrioni prodotti in cliniche per la fertilità ma non impiantati; gli avversari dell’aborto si oppongono in modo sdegnoso a tale uso di tessuto fetale. Per ampliare la controversia, è stato inoltre evidenziato che cellule staminali adulte esistono anche in tessuti diversi da sangue e cute e sono dotate di plasticità molto più grande di quanto in precedenza pensato. Almeno nei topi, cellule staminali adulte del muscolo o del sangue possono svilupparsi nell’uno o nell’altro tessuto; cellule staminali adulte del cervello possono differenziarsi non solo in cellule neurali, ma anche muscolari, ematiche, intestinali, epatiche e cardiache; cellule staminali adulte del sangue possono differenziarsi in cellule cerebrali; e cellule staminali adulte del midollo osseo possono svilupparsi in cellule miocardiche funzionanti che riparano infarti del miocardio (2,3). Questa potenzialità inaspettata delle cellule staminali dell’adulto ha ulteriormente riacceso le polemiche contro la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Al momento attuale, i risultati più interessanti della ricerca su cellule staminali provengono da studi sui topi; molti esperti sono scettici circa la trasferibilità di tali risultati agli esseri umani. Nonostante la sorprendente potenzialità delle cellule staminali dell’adulto, la maggior parte degli esperti dubita che esse potranno avere le garanzie e la plasticità delle cellule staminali embrionali. Malgrado parecchie nazioni sviluppate abbiano approvato l’uso di fondi pubblici per la ricerca sulle cellule staminali embrionali, il presidente George W. Bush ha emesso un’ordinanza che vieta il contributo governativo per la creazione di nuove linee di cellule staminali embrionali e per la sperimentazione con qualsiasi linea allestita con fondi privati dopo il 9 agosto 2001. Ciò ritarderà notevolmente la ricerca sulle cellule staminali, anche se continua il dibattito se un tale ritardo sia utile o dannoso. Un gruppo di esperti della National Academy of Sciences ha successivamente sollecitato il governo statunitense a costituire fondi per la creazione di nuove linee di cellule staminali, ma con il governo occupato con la guerra e il terrorismo, sembra improbabile che il Congresso possa capovolgere la politica del presidente nel breve periodo. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 1. Lumelsky N et al. Differentiation of embryonic stem cells to insulin-secreting structures similar to pancreatic islets. Science 2001;292:1389-94. 2. Kocher AA et al. Neovascularization of ischemic myocardium by human bone-marrow-derived angioblasts prevents cardiomyocyte apoptosis, reduces remodeling and improves cardiac function. Nat Med 2001;7:430-6. 3. Orlic D et al. Bone marrow cells regenerate infarcted myocardium. Nature 2001;410:701-5. 10. Dati conclusivi sulle origini molecolari del morbo di Alzheimer e di Parkinson Una forma di amiloide-ß peptide (Aß), denominata Aß42, sembra essere la causa della neurodegenerazione nell’Alzheimer (1). In parecchi studi condotti durante il 1999 e il 2000 è stato utilizzato il peptide Aß42 o l’anti-Aß42 per immunizzare topi geneticamente predisposti a iperprodurre Aß42. Questa immunizzazione si è dimostrata in grado di proteggere topi giovani dallo sviluppo di placche senili caratteristiche della malattia di Alzheimer e addirittura di risolvere le placche nei topi più vecchi (2,3). In nessuno di questi studi, tuttavia, i ricercatori hanno indagato il funzionamento mentale dei topi immunizzati. Nel corso del 2000, tre gruppi di studiosi hanno evidenziato che i difetti nell’apprendimento in questi topi si riducevano notevolmente con l’immunizzazione Aß42 (4-6). Anche nel 2001, due gruppi di ricercatori hanno evidenziato che l’Aß42 aumenta la produzione di una seconda proteina – proteina tau – trovata in alterazioni microscopiche caratteristiche denominate grovigli neurofibrillari di Alzheimer; anche la proteina tau causa neurodegenerazione (7,8). Pertanto, la molecola all’inter- BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 no delle placche senili dell’Alzheimer, Aß42, e la molecola all’interno dei grovigli neurofibrillari, proteina tau, agiscono sinergicamente causando neurodegenerazione. Infine, sono state raccolte ulteriori dimostrazioni che un’altra molecola ben nota, il colesterolo, svolge un suo ruolo nella malattia di Alzheimer. In base ai risultati di alcuni studi del 2000 si era visto che soggetti trattati con statine presentavano una più bassa incidenza di Alzheimer (9); durante il 2001, alcuni gruppi di ricerca hanno trovato che il colesterolo stimola i neuroni a produrre una maggiore quantità di Aß42 a causa del suo effetto su enzimi (secretasi) che sintetizzano l’Aß (10,11). Gli effetti avversi di livelli elevati di colesterolo totale, e i benefici manifesti delle statine, probabilmente sono collegati ad un’altra molecola incriminata nell’Alzheimer, l’apolipoproteina E4 veicolante colesterolo (12). Una teoria sull’origine molecolare del morbo di Parkinson ha avuto un forte supporto sperimentale nell’anno appena trascorso (13). Una molecola prodotta nei neuroni nigrostriatali ricchi di dopamina, α-sinucleina (α-Sp22), diventa tossica per quei neuroni quando non viene degradata. Le due molecole responsabili della degradazioni dell’α-Sp22 sono parkina e ubiquitina. È davvero interessante che difetti dei geni che codificano ognuna di queste proteine α-Sp22, parkina, ubiquitina – sono state riscontrate in famiglie con Parkinson ereditario. In definitiva, il 2001 ha prodotto nuove informazioni molecolari assai importanti sulle cause dell’Alzheimer e del Parkinson, informazioni che offrono ovviamente numerosi elementi per indirizzare la terapia.▲ Bibliografia Bibliografia DALLA LETTERATURA 1. Geula C et al. Aging renders the brain vulnerable to amyloid beta-protein neurotoxicity. Nat Med 1998;4:827-31. 2. Schenk D et al. Immunization with amyloid-ß attenuates Alzheimer-disease-like pathology in the PDAPP mouse. Nature 1999;400:173-7. 3. Bard F et al. Peripherally administered antibodies against amyloid beta-peptide enter the central nervous system and reduce pathology in a mouse model of Alzheimer disease. Nat Med 2000;6:916-9. 4. Chen G et al. A learning deficit related to age and ß-amyloid plaques in a mouse model of Alzheimer’s disease. Nature 2000;408:975-9. 5. Janus C et al. Aß peptide immunization reduces behavioral impairment and plaques in a model of Alzheimer’s disease. Nature 2000;408:979-82 . 6. Morgan D et al. Aß peptide vaccination prevents memory loss in an animal model of Alzheimer’s disease. Nature 2000;40:982-5. 7. Lewis J et al. Enhanced neurofibrillary degeneration in transgenic mice expressing mutant tau and APP. Science 2001;293:148791. 8. Gotz J et al. Formation of neurofibrillary tangles in P301L tau transgenic mice induced by Aß42 fibrils. Science 2001;293:1491-6. 9. Jick H et al. Statins and the risk of dementia. Lancet 2000;356:1627-31. 10. Marx J. Alzheimer’s disease: Bad for the Heart, Bad For the Mind? Science 2001;294:508-9. 11. Vassar R et al. ß-Secretase cleavage of Azheimer’s amyloid precursor protein by the transmembrane aspartic protease. Science 1999;286:735-41. 12. Nathan BP. Differential effects of apolipoprotein E3 and E4 on neuronal growth in vitro. Science 1994;264:850-2. 13. Shimura H et al. Ubiquitination of a New Form of -Synuclein by Parkin from Human Brain: Implications for Parkinson’s Disease. Science 2001;293:263-9. 243 DALLA LETTERATURA Sicurezza del vaccino antinfluenzale inattivato in adulti e bambini affetti da asma The Safety of inactivated influenza vaccine in adults and children with asthma. The American Lung Association Asthma Clinical Research Centers. N Engl J Med 2001;345:1529-36. L’epidemia influenzale è causa di notevole morbidità, in particolare tra bambini ed adulti affetti da malattie croniche come l’asma. L’infezione da virus influenzali rende i soggetti asmatici più suscettibili a broncocostrizione, induce esacerbazione dell’asma e provoca anche un prolungato declino della funzionalità polmonare. L’influenza è causa frequente di ospedalizzazione di bambini asmatici. La vaccinazione è in grado di prevenire l’influenza e le sue complicanze nel 70-90% delle persone e di ridurre la morbidità nei soggetti asmatici, per cui è fortemente raccomandata in chi è affetto da tale patologia. Nonostante ciò, si stima che circa il 90% dei pazienti asmatici non si sottoponga a vaccinazione antinfluenzale, probabilmente per il timore, suscitato da alcuni studi, che essa possa provocare un aggravamento dell’asma. Per studiare la sicurezza del vaccino antinfluenzale inattivato trivalente, del tipo split-virus, in adulti e bambini affetti da asma, è stato condotto uno studio crossover, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e controllato verso placebo, su 2.032 pazienti affetti da asma (età: 3-64 anni). Nei soggetti asmatici sono state eseguite due iniezioni, una di vaccino e una di placebo, con una sequenza determinata in modo casuale e con un intervallo medio tra le due iniezioni di 22 giorni. Ogni giorno, durante le due settimane successive a ciascuna iniezione, i pazienti hanno registrato il flusso espiratorio massimo, i sintomi ritenuti correlati all’iniezione, l’uso di farmaci antiasmatici, le visite mediche non programmate dovute a insorgenza di crisi asmatiche e le assenze per asma da scuola o dal lavoro. 244 L’end point primario era costituito dall’aggravamento dell’asma nelle due settimane successive alle iniezioni, definita come riduzione del 30% o più del flusso espiratorio massimo, o in base a una visita urgente per la cura dell’asma, o ad una intensificazione dell’uso di farmaci antiasmatici. Complessivamente, hanno completato lo studio 1.240 adulti e 712 bambini. Nei 14 giorni successivi alla vaccinazione antinfluenzale e all’iniezione di placebo, la frequenza di aggravamento dell’asma è risultata simile (rispettivamente: 28,8% e 27,7%; differenza assoluta: 1,1%; IC 95%: 1,4÷3,6%). Il tasso di aggravamento è risultato simile nei sottogruppi definiti in base all’età, alla razza e al sesso, alla gravità dell’asma e ad altri fattori di comorbidità (obesità, fumo, ecc.). Tra i sintomi ritenuti associati all’iniezione, solo i dolori diffusi in varie parti del corpo sono risultati più frequenti dopo l’iniezione del vaccino che dopo l’iniezione di placebo (25,1% rispetto al 20,8%; p<0,00l). Commento. I risultati di questo studio, anche se condotto nel corso di una singola stagione influenzale e abbia utilizzato una sola preparazione di vaccino inattivato (che spesso cambia di anno in anno), dimostrano che la vaccinazione è sicura negli adulti e nei bambini affetti da asma, compresi quelli con forma grave, soprattutto perché in questo gruppo di pazienti appaiono evidenti i benefici della prevenzione delle infezioni respiratorie. Considerando la morbidità dell’influenza e l’efficacia e la sicurezza del vaccino, tutte le persone affette da asma dovrebbero essere vaccinate ogni anno.▲ BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 DALLA LETTERATURA Infestazione da pediculus capitis: confronto tra un trattamento con un solo farmaco e un intervento combinato Head lice infestation: single drug versus combination therapy with one percent permethrin and trimethoprim/sulfamethoxazole. Hipolito RB et al. Pediatrics 2001;107:E30. 1 2 alla visita dopo 2 settimane era ancora evidente la presenza di infestazione, il regime originale era ripetuto. Alla prima visita di controllo, i successi sono stati del 79,5% tra i bambini trattati con crema di permetrina 1%; dell’83% tra quelli sottoposti a somministrazione orale di cotrimossazolo; del 95% nel gruppo di trattamento combinato, locale (permetrina) ed orale (cotrimossazolo). Alla visita della quarta settimana, i successi registrati negli stessi tre gruppi sono stati rispettivamente del 72%, 78% e 92,5%. Non sono insorti effetti indesiderati rilevanti, anche se tre bambini hanno dovuto interrompere il trattamento a causa dell’insorgenza di rash correlato a cotrimossazolo. Commento. Le reinfestazioni dopo trattamento della pediculosi sono frequenti. Per la maggior parte sono dovute a fallimenti del trattamento, anche se alcune sono conseguenti a nuove infestazioni. È stato pure dimostrato che i pidocchi possono diventare resistenti a prodotti comunemente impiegati nel trattare l’infestazione, ma siccome il loro turnover generazionale è molto più lento di quello dei batteri, l’insorgenza della farmaco-resistenza è rara. Lo studio di Hipolito et al. ha dimostrato che l’associazione di permetrina per via topica e cotrimossazolo per via orale è una cura efficace dell’infestazione da Pedicuculus capitis, più attiva della sola permetrina. Ad essa tuttavia conviene ricorrere qualora altri trattamenti si siano dimostrati inefficaci o si sospetti una pediculosi particolarmente resistente. La possibilità di effetti indesiderati del cotrimossazolo (dovuti soprattutto alla presenza del sulfamidico) sconsiglia di considerare l’associazione di prima scelta. Il cotrimossazolo agisce distruggendo la flora intestinale del pidocchio attraverso il sangue succhiato dall’ospite. La permetrina agisce invece paralizzando i muscoli respiratori dell’insetto.▲ Bibliografia La pediculosi (Pedicuculus capitis) è un’evenienza abbastanza comune in ambiente scolastico e, nonostante sia stato spiegato che essa non è sinonimo di mancanza di igiene o di trascuratezza, crea negli insegnanti e, soprattutto nei genitori, quantomeno fastidio ed imbarazzo. In Italia è stato osservato un incremento del numero di casi di pediculosi, con focolai epidemici nelle comunità scolastiche. Il numero di casi riportati, che sottostima di molto il numero reale, è passato da 3.449 nel 1990 a 4.907 (in 1.009 focolai) nel 1999 (1). La pediculosi è causata da un piccolissimo parassita, lungo 2-3 mm, che vive esclusivamente sulla testa dell’uomo e si nutre del suo sangue. La femmina deposita ogni giorno 8-10 uova (lendini), che si fissano saldamente ai capelli per mezzo di una sostanza collosa. Da queste, nel giro di circa 20 giorni, nasceranno i parassiti adulti. Al di fuori del proprio ambiente, cioè la testa dell’uomo, il pidocchio sopravvive solo 1 o 2 giorni (1). L’applicazione sul capo (in modo tale da coprire completamente i capelli) di crema liquida a base di permetrina1 costituisce, di norma, il trattamento di scelta della pediculosi, anche perché tale sostanza presenta un effetto residuo di lunga durata, utile per uccidere i pidocchi allo stadio di ninfe. Tuttavia, la recente segnalazione di un crescente sviluppo di resistenza alla permetrina ed ad altri prodotti antipediculosi ha indotto a ricercare nuove strategie di intervento. Lo studio di Hipolito et al. è stato eseguito al fine di valutare l’efficacia di trattamenti antipediculosi con un singolo prodotto rispetto ad una associazione di due prodotti. 115 bambini, di età compresa tra 2 e 13 anni, sono stati assegnati per randomizzazione a tre gruppi: 39 sono stati trattati con crema di permetrina 1%, due applicazioni per 10 minuti a distanza di una settimana l’una dall’altra; 36 sono stati sottoposti a terapia orale con trimetoprim/sulfametossazolo (cotrimossazolo)2, 10 mg/kg/die in due dosi al giorno per 10 giorni; in 40 è stato eseguito il trattamento di combinazione: applicazione di crema all’1% di permetrina e trattamento orale con cotrimossazolo. I controlli dei bambini sono stati eseguiti dopo 2 e 4 settimane e il successo del trattamento era stato definito come assenza di pidocchi adulti o di ninfe o di uova (lendini). Se 1. Pediculosi. Bollettino Epidemiologico Nazionale - BEN Notiziario ISS - Vol.14 - n. 5 Maggio 2001:12-27. NIX® ABACIN®, BACTRIM®, CHEMITRIM®, EUSAPRIM®, GANTRIM® BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 245 DALLA LETTERATURA I soggetti sottoposti a studi di trattamenti farmacologici della depressione sono rappresentativi dei pazienti che poi si incontrano nella pratica clinica? Are subjects in pharmacological treatment trials of depression representative of patients in routine clinical practice? Zimmerman M et al. Am J Psych 2002;159:469-73. Anche se gli antidepressivi sono ampiamente prescritti ed utilizzati, i metodi impiegati per valutare la loro efficacia differiscono da ciò che avviene nel trattamento della depressione nella normale pratica clinica. I rigorosi criteri di inclusione/esclusione seguiti nella selezione dei soggetti partecipanti agli studi di efficacia limitano la possibilità di generalizzare i risultati che si raggiungono, proprio perché è inclusa solo una sottopopolazione di pazienti depressi e, nel contempo, sono esclusi quanti presentano condizioni di co-morbidità psichiatrica o insufficiente gravità dei sintomi depressivi. Purtroppo, questo approccio trascura quasi nove pazienti su dieci sottoposti ad antidepressivi in contesti al di fuori dell’ambiente psichiatrico. Gli autori dello studio hanno preso in considerazione i criteri di inclusione/esclusione utilizzati negli studi di efficacia di trattamento sulla depressione, pubblicati dal 1994 al 1998 in cinque riviste. Successivamente hanno valutato la percentuale di pazienti depressi incontrati nella pratica clinica routinaria che sarebbero stati eleggibili per tali studi. I risultati hanno evidenziato che, su 346 pazienti tra i 18-65 anni, seguiti ambulatorialmente presso il Rhode Island Hospital Department of Psychiatry, solo il 15% avrebbe raggiunto i criteri di inclusione previsti. Circa due terzi dei pazienti sarebbero stati esclusi a causa dei cinque criteri comuni usati in almeno tre quarti degli studi di efficacia: storia di episodi maniacali, caratteristiche psicotiche, valori bassi della scala HRSD (Hamilton Rating Scale for Depression), storia di abuso di droga o di alcool, rischio di suicidio. Se si aggiungono altri criteri di esclusione, quali co-morbidità da disturbi d’ansia o da disturbi di Asse I, è escluso più dell’85% dei pazienti. 246 Secondo gli autori della ricerca, i medici dovrebbero tenere in debita considerazione i limiti degli studi di efficacia degli antidepressivi, in quanto probabilmente in essi non è riflessa la maggioranza dei loro pazienti. “Dal momento che gli studi sono attualmente condotti per valutare l’effetto dei farmaci rispetto al placebo, si deve tener presente che percentuali elevate di individui fortemente sensibili al placebo o che presentano risposte di scarsa entità ai farmaci sono escluse dalla ricerca. L’inserimento negli studi di pazienti con una gamma più vasta di sintomi permetterebbe di conoscere se specifici sottogruppi di pazienti rispondono o meno al trattamento farmacologico”. Commento. Il problema sollevato non è di poco conto e riguarda una popolazione di pazienti studiati per una serie di problemi clinici, che non corrispondono, o corrispondono solo parzialmente, a quelli che poi si incontrano nella pratica clinica reale. Da una parte esistono ragioni metodologiche, che esigono campioni di soggetti il più omogenei possibili, dall’altra si deve tener conto della trasferibilità e della riproducibilità dei risultati raggiunti. Ma se la documentazione che si ottiene negli studi controllati è lontana dalla realtà clinica, che senso ha poi prescrivere trattamenti non correttamente testati? Probabilmente tale incongruenza può essere notevolmente ridotta dalla ricerca in medicina di base, in cui risulta più facile l’adeguamento dei protocolli di studio alla realtà (e non viceversa) ed è superata la rigidità e la lontananza di tanti studi sperimentali dal mondo clinico con cui il medico interagisce nella pratica professionale di ogni giorno.▲ BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 FARMACOVIGILANZA FARMACOVIGILANZA Principali problematiche di farmacovigilanza del 2001 Informazioni dettagliate su molti dei temi sottoelencati si possono trovare nel sito del Ministero della Salute: www.sanita.it/farmaci HYPERICUM PERFORATUM Sono stati modificati gli stampati delle specialità medicinali contenenti contraccettivi orali, ciclosporina, digossina, teofillina, warfarin, acenocumarolo, carbamazepina, fenobarbitale, fenitoina, inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI, dall’inglese Selective Serotonin Reuptake Inhibitors), nefazodone, trazodone e triptani, inserendo il rischio di possibili interazioni con preparazioni a base di Hypericum perforatum. RETINOIDI Armonizzazione degli stampati delle specialità medicinali contenenti retinoidi per somministrazione topica per quanto riguarda il potenziale rischio di gravi alterazioni fetali, anche quando tali farmaci sono assunti per via locale nel corso della gravidanza. NITRATI ORGANICI Armonizzazione degli stampati riguardo al rischio di potenziamento della risposta ipotensiva quando i nitrati organici vengono co-somministrati con sildenafil. CONTRACCETTIVI ORALI COMBINATI DI TERZA GENERAZIONE Dear doctor letter e dear woman letter sui risultati emersi dalla valutazione da parte del Comitato Europeo per le specialità medicinali (CPMP, dall’inglese Committee for Proprietary Medicinal Products) del rischio di tromboembolia venosa derivante dall’uso dei contraccettivi orali combinati contenenti come progestinico desogestrel o gestodene. EPOETINA ALFA Dall’esperienza post-marketing in pazienti con insufficienza renale cronica, la maggior parte dei quali in trattamento con la specialità medicinale Eprex® o con altre eritropoietine, sono emersi casi molto rari di aplasia specifica della serie rossa (eritroblastopenia). INFLIXIMAB È stata evidenziata l’insorgenza di casi di tubercolosi in pazienti in trattamento con tale farmaco. Ciò potrebbe dipendere da un effetto del farmaco sul sistema immunitario che predispone alle infezioni. STAVUDINA In pazienti affetti da HIV e in trattamento con stavudina si sono manifestati casi di debolezza muscolare rapidamente progressiva del tutto simile alla sindrome di Guillain Barré. BUPROPIONE Rischio di convulsioni, modifica del dosaggio iniziale e interazioni con farmaci in grado di abbassare la soglia convulsiva. TOPIRAMATO Sono stati segnalati casi di una sindrome oculare, caratterizzata da miopia acuta e glaucoma secondario ad angolo chiuso. CERIVASTATINA Sospensione delle specialità medicinali a base di cerivastatina a seguito di numerosi casi di rabdomiolisi, specialmente in associazione con gemfibrozil. STATINE Rivalutazione del rapporto rischio/beneficio e nota informativa sul corretto uso. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 247 FARMACOVIGILANZA CISAPRIDE Sospensione dell’autorizzazione all’immissione in commercio delle specialità medicinali a base di cisapride per le problematiche relative al prolungamento del tratto QT. LEFLUNOMIDE Sono stati riportati casi di epatite e di insufficienza epatica in pazienti che assumevano il farmaco, specialmente se associato ad altri farmaci epatotossici. SSRI: attenzione alle interazioni, alle condizioni di comorbidità e alle dosi eccessive Who develops severe or fatal adverse drug reactions to selective serotonin reuptake inhibitors? Dalfen AK, Stewart DE. Can J Psychiatry 2001;46:258-63. diuretico, sintomi extrapiramidali gravi e complicazioni emorragiche (5-10). Ma tali eventi avversi gravi o letali dovuti agli SSRI con quale frequenza si presentano, quali pazienti ne sono colpiti, che ruolo svolgono l’età, il sesso, le interazioni con altri farmaci ed eventuali assunzioni intenzionali di dosaggi elevati? L’analisi delle reazioni avverse da SSRI segnalate al Centro di Farmacovigilanza del Canada (Health Products and Food Branch, HPFB) tra il 1986 e il 1996 tenta di rispondere a tali quesiti. Nel corso del decennio, sono state archiviate circa 1.300 segnalazioni di reazioni avverse correlate agli SSRI. Gli autori dello studio hanno escluso dall’analisi i rapporti chiaramente incompleti e quelli in cui non erano specificati sesso ed età, valutando in definitiva 1.011 eventi. Di essi, 301 (27,1%) si riferivano ad uomini e 710 (63,9%) a donne. Duecentonovantacinque reazioni avverse segnalate erano gravi, 87 letali. La Tabella 1 riporta il numero totale di decessi, di decessi per overdose intenzionale, e di reazioni avverse gravi (per ogni causa), ripartite in base al sesso. La documentazione attualmente disponibile e i risultati raggiunti non consentono distinzioni, in termini di efficacia, fra le diverse classi di farmaci antidepressivi e fra i principi attivi di una stessa classe. Tuttavia, anche se generalmente gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina o SSRI (fluoxetina, paroxetina, sertralina, fluvoxamina, venlafaxina, citalopram) non sono ritenuti più efficaci nel trattamento della depressione dei vecchi triciclici, rappresentano di fatto la terapia preferenziale di molti pazienti perché, si sostiene, provocano un minor numero di effetti collaterali, e tali effetti sono transitori, più controllabili e tollerati. Le reazioni avverse più frequenti degli SSRI, di entità lieve-moderata, comprendono nausea, anoressia, diarrea, insonnia, nervosismo, stato d’ansia, agitazione, diminuzione più o meno protratta della libido, ritenzione urinaria (1-4). Anche se rare, esistono peraltro in letteratura segnalazioni di reazioni avverse gravi (necessitanti di ospedalizzazione) o letali da SSRI, quali la sindrome serotoninergica, aritmie cardiache, angina instabile, la sindrome da inappropriata secrezione di ormone anti- Tabella 1. Decessi e reazioni gravi correlate agli SSRI ripartiti in base al sesso Reazioni avverse gravi Decessi totali Decessi per overdose intenzionale Donne Uomini 185 (62,7%) 55 (63,2%) 47 (72,3%) 110 (37,3%) 32 (36,8%) 18 (27,7%) Come si può osservare, i decessi per ogni causa sono stati 87, di cui 55 riferiti a donne e 32 a uomini. Tuttavia va segnalato che, anche se le percentuali di decessi e di reazioni avverse gravi appaiono più frequenti nelle donne (63% in entrambi i casi), rispecchiano di fatto la 248 Totale 295 87 65 differenza prescrittiva degli SSRI, molto più elevata nelle donne (64% secondo i dati IMS) (11). Non sono state evidenziate differenze significative nel tipo o nell’incidenza di reazioni avverse tra i quattro SSRI considerati nello studio: fluoxetina, paroxetina, BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 FARMACOVIGILANZA drome maligna da neurolettici (3 casi); cause respiratorie (1 caso di asma, 1 di alveolite fibrotica idiopatica, 1 di embolia polmonare); cause cardiache (2 casi: 1 di insufficienza cardiaca congestizia e 1 di insufficienza coronarica); aneurisma cerebrale, coagulazione intravascolare disseminata, vasculite che ha provocato complicazioni renali (1 caso ciascuno). Sono stati infine segnalati 6 suicidi, 1 omicidio, 5 decessi accidentali o da cause imprecisate. Sono state evidenziate 129 reazioni avverse di tipo cardiovascolare. La Tabella 2 riporta 71 disturbi pressori, 38 casi di aritmie e 20 casi di dolore toracico o di angina. sertralina e fluvoxamina. Delle 79 segnalazioni di overdose intenzionali, 65 (82,3%) sono risultate mortali e 14 (17,7%) hanno provocato gravi reazioni avverse. I principali farmaci assunti contemporaneamente dai pazienti deceduti in overdose da SSRI erano: benzodiazepine (27 casi), triciclici (22), alcool (11), analgesici narcotici (11), difenidramina (10), MAO-inibitori (8), paracetamolo (6), acido acetilsalicilico (5), litio (3), beta-bloccanti (3) e clorpromazina (3). L’analisi ha evidenziato anche 23 decessi per motivazioni diverse dall’assunzione intenzionale di un’overdose di SSRI. Tra le cause sono state rilevate: la sin- Tabella 2. Reazioni avverse cardiovascolari da SSRI ripartite in base al sesso Uomini Totale 52 (73,2%) 27 (71,1%) 9 (45,0%) 88 (68,2%) 19 (26,8%) 11 (28,9%) 11 (55,0%) 41 (31,8%) 71 (55,0%) 38 (29,5%) 20 (15,5%) 129 (100%) Rispetto ai pazienti con reazioni di entità lieve-moderata, le reazioni gravi o fatali sono risultate significativamente più probabili in coloro che assumevano un SSRI insieme ad altri farmaci, o ad alcool (P ≤ 0,001). È stato anche notato un aumento di probabilità in pazienti che prendevano contemporaneamente un farmaco inibitore del citocromo P450. In conclusione, anche se gli SSRI sono farmaci relativamente sicuri e molto prescritti, possono occasionalmente provocare gravi reazioni avverse, talora addirittura letali. Nello studio riportato, tali eventi sono stati osservati soprattutto in pazienti (in particolare donne) che hanno assunto SSRI in overdose. La seconda causa più frequente di eventi gravi o letali è rappresentata dall’assunzione contemporanea di due o più farmaci (di solito un altro inibitore dell’enzima CYP-450) o di alcool. Gli autori della ricerca invitano pertanto i medici a seguire con particolare attenzione i pazienti in trattamento con SSRI che presentano condizioni di co-morbidità, specialmente se di tipo cardiovascolare, o che assumono contemporaneamente altri farmaci, in particolare se metabolizzati dal sistema citocromo P450. Conviene inoltre consigliare ai pazienti di consultare il proprio medico prima di assumere farmaci di autoprescrizione o altri nuovi farmaci o nel caso dovessero BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 manifestarsi tachicardia, palpitazioni, stordimento, vomito e diarrea. Particolare attenzione va riservata ai pazienti con storia di abuso di alcool.▲ Bibliografia Perturbazioni pressorie Aritmie Dolore toracico o angina Totale Donne 1. Mourilhe P, Stokes PE. Risks and benefits of selective serotonin reuptake inhibitors in the treatment of depression. Drug Saf 1998;18:57-82. 2. Trindade E et al. Adverse effects associated with selective serotonin reuptake inhibitors and tricyclic antidepressants: a meta-analysis. CMAJ 1998;159:1245-52. 3. Tollefson GD. Antidepressant treatment and side effect considerations. J Clin Psychiatry 1991;52:4-13. 4. Pullack MH et al. Genitourinary and sexual adverse effects of psycotropic medication. J Psychiatry Med 1992;22:305-27. 5. Goldberg RJ. Selective serotonin reuptake inhibitors: infrequent medical adverse effects. Arch Fam Med 1998;7:78-84. 6. Pacher P et al. Review of cardiovascular effects of fluoxetine, a selective serotonin reuptake inhibitor, compared to tricyclic antidepressants. Current Medicinal Chemistry 1998;5:381–90. 7. Sunderji R et al. Unstable angina associated with sertraline. Can J Cardiol 1997;13:849–51. 8. Ellison JM et al. Fluoxetine-induced bradycardia and syncope in two patients. J Clin Psychiatry 1990;51:385–6. 9. Feder R. Bradycardia and syncope induced by fluoxetine. J Clin Psychiatry 1991;52:139. 10. De Abajo FJ et al. Association between selective serotonin reuptake inhibitors and upper gastrointestinal bleeding: population based case-control study. BMJ 1999;319:1106-9. 11. Stewart DE. Are there special considerations in the prescription of serotonin reuptake inhibitors for women? Can J Psychiatry 1998;43:900–4. 249 FARMACOVIGILANZA Coxib e anticoagulanti orali: attenzione alle interazioni 250 rato per le prime due settimane. L’INR deve essere altresì testato se la dose di uno dei due farmaci viene modificata. Particolare attenzione va riservata in caso di pazienti anziani, o in trattamento con più farmaci o con malattie multiple. Se l’INR aumenta, è possibile continuare con la terapia antinfiammatoria riducendo la dose dell’anticoagulante (4,5), oppure deve essere sospeso il farmaco antinfiammatorio per prevenire il possibile evento emorragico. L’INR va ricontrollato dopo ogni eventuale riduzione della dose dell’anticoagulante orale o in caso di sospensione della terapia con un FANS tradizionale o con un coxib.▲ Bibliografia L’associazione tra anticoagulanti orali ed acido acetilsalicilico (ASA e suoi derivati) od altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) tradizionali può determinare aumento del rischio di sanguinamento a causa di un’azione sulla funzione piastrinica e di un’azione di danneggiamento della mucosa gastrica. Quando è possibile, tale associazione va evitata. Alcuni FANS possono anche provocare un aumento del rapporto normalizzato internazionale (INR, dall’inglese International Normalized Ratio) in pazienti ben stabilizzati con warfarin (Coumadin®) o con acenocumarolo (Sintrom®). È questo il caso del fenilbutazone e derivati. Per la maggior parte degli altri FANS non è bene documentata un’interazione in grado di influenzare l’INR. Esistono tuttavia in letteratura segnalazioni di aumento dell’INR osservato quando un FANS è stato associato a un trattamento con warfarin. In qualche caso è insorta emorragia (1,2). Anche gli inibitori selettivi della COX-2 o coxib – celecoxib (Artilog®, Celebrex®, Solexa®) e rofecoxib (Arofexx®, Coxxil®, Vioxx®) – possono interagire con gli anticoagulanti orali aumentando l’INR e ponendo il paziente a rischio di un evento emorragico. Numerose segnalazioni ai centri di farmacovigilanza dei vari paesi hanno evidenziato tale interazione potenzialmente pericolosa (3-9). In conclusione, è prudente evitare l’associazione di anticoagulanti orali e FANS tradizionali per il pericolo di aumento del rischio emorragico. I coxib non rappresentano un’eccezione. Se un FANS tradizionale o celecoxib-rofecoxib sono considerati necessari per un paziente in terapia con un anticoagulante orale, l’INR deve essere controllato dopo qualche giorno dall’introduzione dell’antinfiammatorio e strettamente monito- 1. Analgesics and NSAIDs. In: “Martindale The Complete Drug Reference” 32nd ed. The Pharmaceutical Press, London 1999:966. 2. Anticoagulants + non-steroidal antiinflammatory drugs (NSAIDs). In: Stockley IH “Drug interactions”. 5th ed. The Pharmaceutical Press, London 1999:249-51. 3. Interaction of celecoxib and warfarin. Aust Adv Drug Reactions Bull 2001;20:2. 4. O’Donnell DC, Hooper JS. Increased international normalized ratio in a patient taking warfarin and celecoxib. J Pharmacy Technology 2001;17:3-5. 5. Haase KK et al. Potential interaction between celecoxib and warfarin. Ann Pharmacotherapy 2000;34:666-7. 6. Medsafe Editorial Team. Interaction between COX-2 inhibitors and Warfarin. September 2001. http://www.medsafe.govt.nz/Profs/PUarticles/cox2warf.htm 7. Rofecoxib-Vioxx®. In “Phisicians’ Desk Reference”. Medical Economics Company. Montvale 2001:2049-53. 8. Schwartz JI et al. The effect of rofecoxib on the pharmacodynamics and pharmacokinetics of warfarin. Clin Pharmacol Ther 2000;68:626-36. 9. Rofecoxib interaction with warfarine. WHO Pharmaceutical Newsletter 2000;(2):16. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 FARMACOVIGILANZA Coxib e meningite asettica BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 no informazioni assai scarse o nulle per valutarne la causalità” (1). I pazienti in trattamento con rofecoxib descritti in Archives (1) erano di età compresa tra 16 e 67 anni. La meningite asettica, infiammazione delle meningi cerebrale e spinale, è generalmente meno grave della meningite batterica e si manifesta con cefalea, rigidità nucale, dolore agli occhi, febbre e brividi. Secondo un portavoce della ditta che produce il rofecoxib, dal momento della sua registrazione negli USA (maggio 1999) si sono avute 52 milioni di prescrizioni di Vioxx®, e i casi riportati di meningite asettica rappresentano una minuscola frazione di pazienti che “non prova che il farmaco sia la causa dell’evento avverso”. Il Comitato di Redazione del BIF ha ritenuto opportuno portare all’attenzione dei lettori anche questo possibile effetto indesiderato dei coxib che, per quanto assai raro, deve essere rapportato all’altissimo numero di prescrizioni di tali farmaci che si osserva attualmente nel nostro Paese.▲ Bibliografia Secondo quanto riportato in un articolo di Archives of Internal Medicine di fine marzo 2002 (1), la revisione e l’analisi delle reazioni avverse dei coxib, inviate alla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti, indicano che l’impiego di questi farmaci può associarsi ad insorgenza di meningite asettica, un effetto collaterale che, per quanto raro, è particolarmente grave. A partire dal maggio 1999, quando il farmaco è stato registrato negli USA, al febbraio 2001, sono pervenute alla FDA sette segnalazioni di meningite asettica in altrettanti pazienti in trattamento con rofecoxib, anche se in due casi mancava una sufficiente documentazione per accertare con sicurezza le possibili cause. Secondo il primo autore del rapporto pubblicato su Archives (1), che fa parte del Center for Drug Evaluation and Research della FDA, dopo il febbraio 2001 sono stati segnalati altri cinque casi di meningite asettica da rofecoxib, che tuttavia non sono stati valutati nel dettaglio. Nessuno dei pazienti con meningite asettica, una condizione che ha reso necessaria l’ospedalizzazione, è deceduto. L’articolo di Archives (1) sottolinea che altri farmaci antinfiammatori non steroidei, tra cui ibuprofene e naprossene, sono stati correlati a rari casi di meningite. Lo stesso celecoxib è stato associato a sei casi di meningite, anche se le segnalazioni inviate “conteneva- 1. Bonnel RA et al. Aseptic meningitis associated with rofecoxib. Arch Intern Med 2002;162:713-5. 251 DALLA RICERCA SPERIMENTAZIONE ALLA PRATICA CLINICA Questa rubrica intende portare all’attenzione dei lettori alcuni studi clinici apparsi in letteratura, particolarmente rilevanti per il riflesso che possono avere nella pratica della medicina. La presentazione degli studi è in forma sintetica e tiene conto anche delle obiezioni, critiche e rilievi che spesso fanno seguito alla loro pubblicazione. Nell’ipertensione con ipertrofia ventricolare sinistra il losartan è migliore dell’atenololo? I risultati dello studio LIFE Titolo Riduzione di mortalità e morbidità cardiovascolare con losartan in pazienti ipertesi: uno studio randomizzato contro atenololo (LIFE). (Titolo originale: Cardiovascular morbidity and mortality in the Losartan Intervention For Endpoint reduction (LIFE) in hypertension study: a randomised trial against atenolol). Autori Dahlöf B, Devereux RB, Kjeldsen SE, Julius S, Beevers G, Faire U, Fyhrquist F, Ibsen H, Kristiansson K, Lederballe-Pedersen O, Lindholm LH, Nieminen MS, Omvik P, Oparil S, Wedel H; The LIFE Study Group. Capo della ricerca è il prof. Dahlöf, Sahlgrenska University Hospital/Ostra, Göteborg, Svezia. Rivista Lancet 2002;359:995-1003. Sponsor Merck Sharp & Dohme (MSD) I dati dello studio sono in un database della MSD. L’azienda farmaceutica ha assistito il comitato organizzatore dello studio che ha avuto libero accesso a tutti i dati. Il comitato è stato libero di interpretare i dati e di scrivere la relazione; il risultato è stato convalidato in modo indipendente dallo statistico del comitato organizzatore. Un dipendente della MSD è elencato tra i membri del comitato organizzatore (senza diritto di voto) ed è uno degli autori dello studio. L’analisi dei dati è di un dipendente della Merck Research Laboratories. 252 Problema clinico sollevato La riduzione della pressione arteriosa con ß-bloccanti o diuretici è attualmente considerata l’intervento più appropriato per la prevenzione del danno cardiovascolare nei soggetti ipertesi. L’ipertrofia ventricolare sinistra, uno dei danni d’organo provocati dall’ipertensione, è un forte indicatore del rischio di morbidità e mortalità cardiovascolare. Tale rischio è nettamente superiore nei pazienti con ipertensione ed ipertrofia secondaria del miocardio rispetto a quello degli ipertesi senza ipertrofia. L’interesse clinico è di stabilire se gli antagonisti selettivi dell’angiotensina II sono in grado di migliorare l’ipertrofia ventricolare sinistra mediante la riduzione della pressione arteriosa, riducendo, di conseguenza, la morbidità e mortalità cardiovascolare. Obiettivo dello studio Valutare qual è l’effetto del losartan rispetto all’atenololo su morbidità e mortalità cardiovascolare in pazienti ipertesi con ipertrofia ventricolare sinistra confermata all’ECG. Disegno dello studio Multicentrico, controllato, randomizzato, doppio cieco, con finto placebo, a due gruppi paralleli. Popolazione studiata 9.193 pazienti arruolati in 946 centri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Irlanda, Norvegia, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti. Criteri di inclusione Maschi o femmine di età compresa tra 55 ed 80 anni, con ipertensione in precedenza trattata o non trattata, pressione arteriosa diastolica in posizione seduta di 95BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA 115 mmHg alla visita di screening e dopo 1 e 2 settimane di trattamento in singolo cieco con placebo, e/o pressione arteriosa sistolica in posizione seduta di 160200 mmHg alla visita di screening e dopo 1 e 2 settimane di trattamento in singolo cieco con placebo, ed inoltre ipertrofia ventricolare sinistra accertata (fino a 30 giorni prima della visita di screening) con ECG standard a 12 derivazioni secondo criteri predefiniti, e confermata presso un laboratorio ECG centralizzato prima della randomizzazione. Principali criteri di esclusione Ipertensione secondaria nota di qualsiasi eziologia; anamnesi di ictus o di infarto del miocardio nei precedenti sei mesi; angina pectoris richiedente un trattamento con un β-bloccante o un calcio-antagonista; presenza di insufficienza cardiaca o di una frazione di eiezione del ventricolo sinistro del 40% o meno; qualsiasi condizione necessitante, secondo il medico curante, di trattamento con losartan (o con altro antagonista del recettore dell’angiotensina II), con atenololo (o con altro β-bloccante), con idroclorotiazide, con ACE-inibitori; aumento della pressione arteriosa diastolica >115 mmHg o della pressione arteriosa sistolica >200 mmHg durante il periodo con placebo; storia di patologie renali o epatiche con grave compromissione funzionale (creatinina sierica >160µmol/l ); paziente mono-rene o con trapianto renale; stenosi aortica significativa nota (gradiente medio Doppler documentato >20 mmHg); grave patologia in grado di provocare un sostanziale deterioramento delle condizioni di salute del paziente nel corso dei successivi 4-6 anni; scarsa aderenza alla terapia al termine del periodo di placebo; ipersensibilità o controindicazioni note a losartan, atenololo, idroclorotiazide. Trattamento Il protocollo dello studio LIFE comprende una fase iniziale in singolo cieco di 2 settimane con placebo per la determinazione della pressione arteriosa al basale. Dopo randomizzazione, il trattamento inizia con la somministrazione singola giornaliera di losartan (50 mg) più atenololo-placebo, o di atenololo (50 mg) più losartan-placebo. L’obiettivo della terapia è rappresentato dal raggiungimento di una pressione arteriosa <140/90 mmHg. Se tale obiettivo non è raggiunto, è prevista la rivalutazione del trattamento dopo 2, 4 e 6 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 mesi con queste modificazioni della terapia iniziale: dopo due mesi, aggiunta di 12,5 mg idroclorotiazide al farmaco in studio; dopo altri due mesi, raddoppio del dosaggio del losartan o dell’atenololo (100 mg/die per entrambi); dopo altri due mesi, a discrezione dei medici curanti, aggiunta di altri farmaci antipertensivi oppure raddoppio della dose di idroclorotiazide (25 mg/die), con l’esclusione di altri antagonisti del recettore dell’angiotensina II, di altri beta-bloccanti, o di ACE-inibitori. Va segnalato che il trattamento anti-ipertensivo è stato limitato alla monoterapia con losartan (50 o 100 mg) in 11 pazienti su 100 e a quella con atenololo (50 o 100 mg) in 12 pazienti su 100. Nel gruppo losartan, la dose è stata raddoppiata nel 50% dei partecipanti, nel gruppo atenololo nel 43% (2). Durata dello studio Dopo randomizzazione, i pazienti sono stati seguiti per almeno 4 anni e finché non si è verificato un evento dell’end point primario in 1.040 soggetti. Il followup medio è stato di 4,8 anni. Eventi misurati Primario: incidenza combinata di morbidità e mortalità cardiovascolare in pazienti con ipertensione documentata ed ipertrofia ventricolare sinistra documentata all’ECG dopo terapia a lungo termine (>4 anni) con losartan versus atenololo. La morbidità cardiovascolare è definita come un infarto miocardico acuto non fatale clinicamente evidente o un ictus non fatale. Per mortalità cardiovascolare si intende il decesso attribuibile a cause cardiovascolari, compresi, ma che non si limitano a: morte cardiaca improvvisa, infarto miocardico, ictus o insufficienza cardiaca progressiva. Secondari: confronto dell’effetto di losartan versus atenololo su: mortalità cardiovascolare; mortalità per tutte le cause; ospedalizzazioni per angina o insufficienza cardiaca; regressione di ipertrofia ventricolare sinistra documentata all’ECG; relazione fra regressione di ipertrofia ventricolare sinistra documentata all’ECG e morbidità e mortalità cardiovascolare; incidenza di infarto miocardico silente, determinata dall’esame dei tracciati ECG seriati annualmente; infarto miocardico fatale e non fatale; ictus fatale e non fatale; incidenza delle procedure di rivascolarizzazione coronarica o periferica. 253 DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA i gruppi), di mortalità cardiovascolare (4% losartan, 5% atenololo), di mortalità per tutte le cause (8% losartan, 9% atenololo) non differisce in modo significativo. • Diabete mellito di nuova insorgenza è stato diagnosticato meno di frequente nel gruppo losartan rispetto al gruppo atenololo (6% vs 8%; NNT/anno = 227). • Gli altri end point secondari non differiscono significativamente. • In un sottogruppo predefinito di pazienti con diabete mellito (1.195 soggetti), l’end point primario è risultato del 23% nel gruppo atenololo rispetto al 18% nel gruppo losartan [RR = 0,76 (IC 95%: 0,58÷0,98); p=0,031; NNT/anno = 69](3). Principali risultati Sono riportati nella Tabella 1, ripresa con modifiche da Lancet (2). Dalla Tabella 1 si osserva quanto segue: • Infarto del miocardio o ictus o decesso per cause cardiovascolari (outcome primario combinato) si sono manifestati in 508 soggeti (11%) del gruppo losartan (4.605 pazienti) e in 588 soggetti (13%) del gruppo atenololo (4.588 pazienti). La differenza è significativa (NNT/anno = 244). • Il risultato favorevole nel gruppo losartan è principalmente originato da una riduzione significativa dell’incidenza dell’ictus (5% vs 7%; NNT/anno = 270). • L’incidenza di infarto del miocardio (4% in entrambi Tabella 1. I risultati dello studio LIFE Losartan N=4605 Atenololo N=4588 RR aggiustato* (IC 95%) p 508 (11%) 588 (13%) 0,87 (0,77÷0,98) 0,021 Mortalità cardiovascolare 204 (4%) 234 (5%) 0,89 (0,73÷1,07) 0,206 Infarto del miocardio 198 (4%) 188 (4%) 1,07 (0,88÷1,31) 0,491 Ictus 232 (5%) 309 (7%) 0,75 (0,63÷0,89) 0,001 Mortalità totale 383 (8%) 431 (9%) 0,90 (0,78÷1,03) 0,128 Diabete mellito di nuova insorgenza** 241 (6%) 319 (8%) 0,75 (0,63÷0,88) 0,001 160 (3%) 141 (3%) 1,16 (0,92÷1,45) 0,212 Insufficienza cardiaca 153 (3%) 161 (4%) 0,97 (0,78÷1,21) 0,765 Rivascolarizzazione 261 (6%) 284 (6%) 0,94 (0,79÷1,11) 0,441 9 (0,2%) 5 (0,1%) 1,91 (0,64÷5,72) 0,250 End point primario Pazienti ospedalizzati per: Angina pectoris Rianimazione arresto cardiaco * Sulla base del punteggio del rischio secondo lo studio Framingham e dell’ipertrofia ventricolare sinistra al basale. ** In pazienti non diabetici alla randomizzazione (losartan, n=4019; atenololo, n=3979). 254 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA In tali pazienti, oltre a ciò, differiscono tra loro in modo significativo la mortalità cardiovascolare (6% losartan vs 10% atenololo; NNT/anno = 122), la mortalità per ogni causa (11% losartan vs 17% atenololo; NNT/anno = 68) e l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca (5% losartan vs 9% atenololo; NNT/anno = 112) (3). Effetti sulla pressione arteriosa e sull’ipertrofia ventricolare L’obiettivo di una riduzione della pressione arteriosa sistolica a 140/90 mmHg o meno è stato raggiunto nel 49% dei pazienti trattati con losartan e nel 46% dei pazienti trattati con atenololo. La variazione media pressoria è stata di 30,2 mmHg nel gruppo losartan e di 29,1 mmHg, con una differenza di 1,1 mmHg a favore del losartan (p = 0,017). La variazione media della pressione arteriosa diastolica è risultata di 16,6 mmHg nel gruppo losartan e di 16,8 mmHg nel gruppo atenololo (p: non significativo); le pressioni arteriose medie rilevate all’ultima visita sono risultate rispettivamente 144,1/81,3 mmHg nel gruppo losartan e 145,4/80,9 mmHg nel gruppo atenolo (p: non significativo). I dati non evidenziano in modo chiaro se entrambi i gruppi hanno raggiunto valori pressori comparabili. Nel gruppo losartan, la dose è stata raddoppiata nel 50% dei partecipanti, nel gruppo atenololo nel 43% (2). Le misurazioni sono state effettuate a valle, immediatamente prima della somministrazione della successiva dose (2,4). La presentazione grafica sembra indicare valori di pressione sistolica costantemente più bassi nel gruppo losartan. La pressione sistolica risulta significativamente inferiore nel gruppo losartan rispetto al grup- po atenololo dall’inizio dello studio fino alla sua valutazione finale (2). Non viene riportato nessun valore pressorio durante il tempo di azione effettivo di entrambi i farmaci. Gli effetti avversi orientano a valori pressori più bassi nel gruppo losartan: reazioni ipotensive si sono manifestate più spesso nei trattati con l’inibitore selettivo dell’angiotensina II (2,3). Un diverso controllo della pressione nei due gruppi di trattamento può riflettere un diverso grado di attenzione. Questa interpretazione può essere suggerita anche dal pur modesto sbilanciamento tra i due gruppi per quanto riguarda i trattamenti antipertensivi associati a quelli sperimentali: la percentuale di pazienti nei quali si è fatto ricorso al trattamento con altri farmaci antipertensivi è stata pari al 26% nel gruppo losartan e al 22% nel gruppo atenololo. La differenza è minima, ma non trascurabile, considerato il minimo vantaggio clinico attribuito al losartan. I risultati dello studio LIFE mostrano una maggior regressione dell'ipertrofia ventricolare sinistra dopo più di quattro anni di trattamento con losartan rispetto all'atenololo. Eventi avversi I principali effetti indesiderati sono riportati in Tabella 2. Il losartan è risultato meglio tollerato. Tra gli eventi indesiderati predefiniti, il losartan è stato associato ad una incidenza significativamente inferiore di bradicardia, estremità fredde e disturbi sessuali. L’ipotensione è stata più comune con il losartan che con l’atenololo. Non sono state osservate differenze significative per le incidenze di angioedema e tosse tra i due gruppi. Tabella 2. Principali eventi avversi osservati nello studio LIFE Predefiniti Losartan Atenololo p Angioedema Bradicardia Tosse Ipotensione Estremità fredde Disturbi sessuali 6 (0,1%) 66 (1%) 133 (3%) 121 (3%) 178 (4%) 164 (4%) 11 (0,2%) 391 (9%) 113 (2%) 75 (2%) 269 (6%) 214 (5%) 0,237 <0,0001 0,220 0,001 <0,0001 0,009 213 (5%) 239 (5%) 691 (15%) 568 (12%) 519 (11%) 457 (10%) 539 (12%) 293 (6%) 300 (7%) 802 (17%) 477 (10%) 463 (10%) 648 (14%) 637 (14%) 0,0002 0,007 0,001 0,004 0,068 <0,0001 0,002 Altri (non predefiniti)* Albuminuria Iperglicemia Astenia/fatica Mal di schiena Dolore al torace Dispnea Edema arti inferiori * Incidenza > 5% in uno dei gruppi di trattamento e differenza >1% tra gruppi di trattamento Da Lancet, modificato (2). BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 255 DALLA RICERCA ALLA PRATICA CLINICA Conclusioni • Lo studio LIFE è uno studio di ampie dimensioni, di lungo termine, con misurazione di end point clinici forti nel trattamento dell’ipertensione, che ha posto a confronto due farmaci antipertensivi con differente meccanismo d’azione (solo) in gruppi di pazienti ad alto rischio cardiovascolare (segni di ipertrofia ventricolare sinistra all’ECG). • Dopo un trattamento medio di 4,8 anni, l’incidenza di ictus è risultata del 5% nel gruppo losartan e del 7% nel gruppo atenololo; l’incidenza di infarto del miocardio e della mortalità (cardiovascolare e per tutte le cause) non differisce in modo significativo tra i due trattamenti. • Per quanto concerne l’evento primario indagato dallo studio (incidenza combinata di morbidità e mortalità cardiovascolare), il risultato favorevole nel gruppo losartan (incidenza 11%) rispetto al gruppo atenololo (13%) è principalmente da ascrivere ad una riduzione significativa dell’incidenza dell’ictus (in un quadro di sostanziale pari sopravvivenza e safety coronarica). • Al quesito di particolare importanza: “il losartan presenta uno specifico vantaggio cardioprotettivo sull’atenololo, indipendente dall’effetto sulla pressione arteriosa?” – non si può dare risposta in base ai risultati presentati. Le differenze nell’aggiustamento dei dosaggi e gli eventi avversi ipotensivi portano a presumere un controllo più efficace della pressione arteriosa nel gruppo losartan. • Nel sottogruppo predefinito di pazienti con diabete, l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca, 256 la mortalità cardiovascolare e la mortalità totale si sono dimostrate significativamente inferiori nel gruppo losartan rispetto al gruppo atenololo. • Solo in 11 pazienti su 100 il trattamento anti-ipertensivo è stato limitato alla monoterapia con losartan (50 o 100 mg) e in 12 pazienti su 100 a quella con atenololo (50 o 100 mg). Ciò sta a significare che in un trial di confronto tra losartan e atenololo le variabili in gioco sono molte altre. La randomizzazione può molto, distribuendo tali variabili in maniera equanime tra i due gruppi. Ma, a fronte di vantaggi clinici non rilevanti, quanto gioca la somma algebrica di un’infinità di sbilanciamenti – anche se di per sé non significativi - tra i due gruppi di trattamento? Come si distribuiscono tra i due gruppi variabili non riportate nel lavoro di Lancet, seppure importanti, quali durata dello stato ipertensivo alla randomizzazione, precedente trattamento dell’ipertensione e sua efficacia, ecc.? Per risolvere qualsiasi dubbio in proposito sarebbe utile un’analisi multivariata, che prendesse in considerazione una serie di variabili più estesa rispetto alle due variabili controllate nell’adjusted analysis presentata nel report dello studio. • Desta perplessità che i dati dello studio siano in un database della Merck Sharp & Dohme, che un dipendente della stessa azienda compaia tra gli autori della ricerca e che un altro sia stato responsabile dell’analisi dei dati dello studio.▲ Bibliografia Le interruzioni conseguenti ad eventi indesiderati sono state significativamente meno frequenti nei pazienti trattati con losartan rispetto a quelli che assumevano atenololo. Lo studio LIFE conferma i dubbi sul presunto effetto protettivo del losartan sul rene. La creatinina serica aumenta nel corso dello studio, non differendo significativamente sia nel gruppo totale che nel sottogruppo dei pazienti diabetici (2,3). 1. MacMahon S et al. Electrocardiographic left ventricular hypertrophy and effects of antihypertensive drug therapy in hypertensive participants in the Multiple Risk Factor Intervention Trial. Am J Cardiol 1989;63:202-10. 2. Dahlöf B et al. Cardiovascular morbidity and mortality in the Losartan Intervention For Endpoint reduction (LIFE) in hypertension study: a randomised trial against atenolol. Lancet 2002;359:995-1003. 3. Lindholm LH et al. Cardiovascular morbidity and mortality in patients with diabetes in the Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study (LIFE): a randomised trial against atenolol. Lancet 2002;359:1004-10. 4. Dahlöf B et al. The Losartan Intervention For Endpoint reduction (LIFE) in hypertension study rationale, design, and methods. The LIFE Study Group. Am J Hypertens 1997;10:705-13. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 EDITORIALE ABC DEGLI STUDI CLINICI Come viene riportata l’importanza clinica dei risultati degli studi? Analisi di alcune sperimentazioni controllate e randomizzate How well is the clinical importance of study results reported? An assessment of randomized controlled trials. Chan KBY et al. CMAJ 2001;165:1197-1202. PARTE PRIMA Riassunto Contesto L’interpretazione dei risultati delle sperimentazioni controllate e randomizzate (RCTs, dall’inglese randomized controlled trials) è basata sulla significatività statistica piuttosto che sull’importanza clinica. Il nostro obiettivo è stato valutare la qualità del modo in cui vengono riportati i fattori connessi all’importanza clinica in un campione di RCT pubblicati. Metodi In un campione random di 27 (su un totale di 266) RCT pubblicati in cinque delle maggiori pubblicazioni medico-scientifiche nel corso di un anno, quattro revisori indipendenti hanno analizzato i fattori considerati importanti per l’interpretazione dell’importanza clinica dei risultati degli studi: identificazione di un esito primario chiaramente definito; modalità con cui è riportata la differenza attesa tra gruppi usata per il calcolo della numerosità del campione (valore delta), e se tale differenza era basata sulla minima differenza di intervento clinicamente importante; significatività statistica dei risultati, presentazione di intervalli di confidenza pertinenti; interpretazione dell’importanza clinica dei risultati secondo gli autori. Risultati Ventidue dei 27 (81%) articoli riportavano esplicitamente un singolo esito primario. Dei 20 articoli che prevedevano un calcolo della numerosità del campione, 18 (90%) riportavano un valore delta. Due dei 18 (11%) articoli affermavano esplicitamente che il valore delta era scelto in modo da riflettere la minima differenza di intervento clinicamente importante. Per quanto riguarda gli esiti primari, gli intervalli di confidenza per le stime dell’efficacia degli interventi erano riportati in 11 dei 27 (41%) studi. I risultati dello studio erano interpretati dal punto di vista dell’importanza clinica in 20 articoli su 27 (74%). Di questi 20 articoli, 5 (25%) fornivano una giustificazione dell’interpretazione clinica dei risultati. Interpretazione Gli Autori di RCT pubblicati sulle maggiori riviste di medicina generale e di medicina interna non sempre forniscono la loro interpretazione dell’importanza clinica dei risultati, e spesso non danno informazioni sufficienti a consentire ai lettori di elaborare una propria interpretazione. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 L’interpretazione dei risultati degli RCT è concentrata sulla loro significatività statistica piuttosto che sull’importanza clinica. Per esempio, la recente revisione dei CONSORT (“Consolidated Standards Of Reporting Trials”: una serie di raccomandazioni largamente seguite e finalizzate a migliorare la qualità delle pubblicazioni degli RCT) non raccomanda specificamente che gli autori discutano l’importanza clinica dei loro risultati (1). La mancanza di attenzione all’importanza clinica dei risultati degli RCT ha condotto a errori e discordanze nella loro interpretazione, e alla tendenza a considerare equivalenti significatività statistica e importanza clinica. In un certo numero di circostanze, risultati statisticamente significativi possono essere clinicamente non importanti e, viceversa, risultati statisticamente non significativi non escludono la possibilità di effetti clinicamente importanti (2,3). La differenza minima clinicamente importante (MCID, dall’inglese minimal clinically important difference) fra una terapia sperimentale e la rispettiva terapia di controllo è definita come quella differenza che sarebbe sufficiente a giustificare un cambiamento nelle decisioni terapeutiche, tenendo anche conto del rischio di eventi avversi, inconvenienti e costi (4). La MCID è un concetto chiave sia nel disegno che nell’interpretazione dei risultati degli RCT. Nel disegno, infatti, la numerosità del campione (sample size) del trial dovrebbe riflettere la MCID che si vuole evidenziare fra il trattamento in sperimentazione e quello di controllo (valore delta). Nell’interpretazione, il raggiungimento o meno di una MCID è il criterio principale di cui tener conto per la prospettiva di applicare i risultati del trial alle decisioni terapeutiche. Ad esempio, in soggetti senza precedenti di infarto miocardico (MI, dall’inglese Myocardial Infarction) o ictus, il regolare impiego di aspirina riduce l’incidenza di MI da 0,70 a 0,50 per cento e per anno (riduzione di rischio: assoluta di 0,20%, relativa di circa il 25%), ma questo vantaggio potrebbe essere controbilanciato da un concomitante aumento di incidenza di ictus da 0,30 a 0,32 per cento e per anno (aumento di rischio: assoluto di 0,02%, relativo di circa il 10%), e di emorragia gastrointestinale da 1 a 2 per cento e per anno (5). Dopo avere valutato vantaggi e svantaggi dell’uso dell’aspirina in questo contesto, un autorevole panel di esperti non ne ha raccomandato l’uso, giudicando che la sua efficacia nel prevenire l’MI non era sufficiente a superare l’aumento 257 ABC DEGLI STUDI CLINICI di incidenza di ictus e di emorragia gastrointestinale. Cioè, in questo contesto l’efficacia dell’aspirina non era sufficiente a raggiungere o a superare la MCID. zabili: 1° livello, nessun articolo; 2° livello, 1 articolo; 3° livello, 4 articoli; 4° livello, 15 articoli. Commento L’articolo di Chan et al. riprende un problema che periodicamente (ma non troppo spesso) riappare nella stampa medica: l’importanza clinica dei vantaggi terapeutici “statisticamente significativi” evidenziati nelle sperimentazioni cliniche. La prima parte dell’articolo, di maggior interesse generale, è stata qui tradotta integralmente; della seconda parte sono sintetizzati i punti principali, e l’interpretazione conclusiva. La tesi generale dell’articolo, pienamente condivisa da questo commento, è che significatività statistica e rilevanza clinica non sempre coincidono, che risultati “statisticamente significativi” possono essere clinicamente non importanti e che, viceversa, effetti terapeutici “statisticamente non significativi” possono veicolare il messaggio di una terapia clinicamente utile. Il testo dell’articolo espone fra l’altro una modalità per mettere a confronto la MCID di una terapia valutata in una sperimentazione con il risultato della sperimentazione (espresso come differenza fra la risposta al trattamento sperimentale e quella al trattamento di controllo, con relativo intervallo di confidenza). La modalità riportata nell’articolo è qui illustrata in tre schemi (v. Figura 1); da notare che in tutti e tre gli schemi i risultati degli RCT sono “statisticamente significativi”. PARTE SECONDA Lo studio ha randomizzato il 10% dei 266 RCT pubblicati tra il 1 dicembre 1998 e il 1 novembre 1999 da cinque riviste di medicina generale con il massimo impact factor (Annals of Internal Medicine, British Medical Journal, Journal of the American Medical Association, The Lancet, New England Journal of Medicine). La traduzione è integrale per quello che riguarda il riassunto (v. sopra) e per la prima parte dell’articolo, molto importante per il suo carattere generale. Il resto dell’articolo, piuttosto tecnico e molto lungo, si conclude con i risultati dell’analisi, in parte riportati nel riassunto. Alcune precisazioni e altre osservazioni di particolare interesse sono sintetizzate nel testo seguente. • La MCID era esplicitamente citata come base della definizione della numerosità del campione solo nell’11% degli articoli analizzabili. • L’importanza clinica dei risultati era menzionata nel 74% degli articoli; solo nel 50% di essi era oggetto di una discussione esplicita. • La giustificazione addotta per la definizione della MCID era particolarmente carente: su 4 livelli di validità della giustificazione (decrescenti da 1 a 4) la giustificazione era così distribuita nei 20 articoli analizFigura 1. Posizione di MCID e intervallo di confidenza A. B. C. * * * A. La MCID (*) è posta a destra del limite inferiore dell’intervallo di confidenza della differenza fra risultato del trattamento sperimentale e di controllo: è probabile che il risultato del trial sia clinicamente importante. B. La MCID (*) è posta a sinistra del limite superiore dell’intervallo di confidenza della differenza fra risultato del trattamento sperimentale e di controllo: è probabile che il risultato del trial non sia clinicamente importante. C. La MCID (*) è all’interno dell’intervallo di confidenza della differenza fra risultato del trattamento 258 sperimentale e di controllo: l’importanza clinica del risultato del trial è dubbia. Si è già osservato che il problema dell’interpretazione dei risultati degli RCT dal punto di vista della rilevanza clinica non è nuovo (6,7) e lo stesso termine di MCID era stato introdotto nel 1989 (4). Un contributo che facilita (ma non è sufficiente a consentire) l’interpretazione clinica dei risultati degli RCT è fornito dall’intervallo di confidenza (8), di uso crescente a integrazione o al posto del valore di p, e incluso nelle raccomandazioni di CONSORT (1).▲ BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 ABC DEGLI STUDI CLINICI BOX 1 Alcune considerazioni correlate all’uso dell’intervallo di confidenza Le Figure 2 e 3, da (8) mod., illustrano come l’uso dell’intervallo di confidenza (IC) fornisce informazioni clinicamente rilevanti non ricavabili dal valore di p. Nella Figura 2 sono esaminati tre risultati di RCT, statisticamente significativi (p < 0,05), come indica anche il fatto che i rispettivi IC non attraversano la linea di equivalenza. Gli intervalli di confidenza forniscono però altre informazioni. Nello studio A, l’IC ristretto indica che il risultato è riproducibile (e quindi attendibile); l’effetto terapeutico è però modesto (l’IC si estende fino in prossimità della linea di equivalenza). Nello studio B, l’IC è ampio e si estende fino in prossimità della linea di equivalenza: l’effetto terapeutico potrebbe essere modesto o notevole, l’informazione è poco riproducibile. Nello studio C, l’IC ristretto garantisce la riproducibilità del risultato, e la distanza dalla linea di equivalenza indica un effetto terapeutico notevole (e quindi clinicamente rilevante). Figura 2. Nei tre studi, p < 0,05, risultato “statisticamente significativo”. Per le informazioni ulteriori fornite da IC, v. testo. A. B. C. Nella Figura 3 sono esaminati due risultati di RCT, statisticamente non significativi (p > 0,05, IC che attraversa la linea di equivalenza). I tre RCT forniscono però risultati che non sono sovrapponibili. Nel primo studio (A) il trattamento sperimentale e quello di controllo hanno un risultato sovrapponibile (che cade sulla linea di equivalenza), e l’ IC è ristretto, indicando che il risultato è riproducibile. Nel secondo studio (B), l’IC ampio indica una scarsa riproducibilità del risultato; inoltre, la parte maggiore dell’IC è a sinistra della linea di equivalenza, non si può escludere che il trattamento sperimentale sia efficace, sono necessari altri studi. Figura 3. Nei due studi, p > 0,05, risultato “statisticamente non significativo”. Per le informazioni ulteriori fornite da IC, v. testo. A. B. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 259 ABC DEGLI STUDI CLINICI BOX 2 In conclusione: ➣ La rilevanza clinica dei risultati degli RCT dipende criticamente dalla qualità degli end point: è ovvio infatti che modificazioni in senso favorevole di un end point surrogato possono non essere clinicamente rilevanti, anche se statisticamente significative, se non corrispondono a un reale vantaggio clinico. ➣ Molte sperimentazioni recenti e attuali includono migliaia (e anche decine di migliaia) di pazienti (megatrial). Lo scopo è quello di reliably detect or refute moderate but still worthwhile treatment effects (9); esempi di “effetti terapeutici moderati ma ancora clinicamente rilevanti (worthwhile)” evidenziati da megatrials sono quelli dell’aspirina nei pazienti con sospetto infarto del miocardio, del tamoxifene come terapia adiuvante nel carcinoma della mammella, ed altri (9). D’altra parte, la dimensione dei megatrial può rendere “statisticamente significativi” effetti terapeutici assai modesti, di dubbia o anche nulla rilevanza clinica. Guardare alla riduzione assoluta anziché a quella relativa del rischio può fornire un punto di vista più conservativo (e clinicamente più appropriato) dell’efficacia dei trattamenti. ➣ L’articolo di Chan et al. introduce il bilancio tra efficacia ed eventi avversi dei trattamenti come criterio di valutazione della MCID, e sulla stessa linea si pongono altri studi sopra citati (4,7). Va tenuto presente però che assai spesso gli RCT non riescono a identificare (o a riportare) eventi avversi dei trattamenti in sperimentazione, che si evidenziano poi con l’estensione post-marketing a popolazioni assai più numerose di pazienti non selezionati, con conseguente, e non raro, ritiro dei farmaci in questione (10-14). Sembra dunque evidente che, per una reale valutazione della MCID, gli RCT non sono sufficienti ed è anche necessaria la ricerca di segnalazioni di eventi avversi, rilevati post-marketing. Bibliografia ➣ L’interpretazione dei risultati degli RCT rigidamente focalizzata su parametri statistici è stata criticata come un esempio di statistical reductionism, che tende a sovrapporsi e a prevalere rispetto alle valutazioni in termini di beneficio clinico (15). Il vantaggio dell’interpretazione dei risultati degli RCT basata su parametri statistici è che questi sono matematicamente calcolabili, quantitativi, riproducibili e (forse illusoriamente) obiettivi, mentre il concetto di MCID è intrinsecamente dipendente dal giudizio del medico e pertanto largamente soggettivo. È tuttavia necessario tener presente che i risultati statistici degli RCT riguardano il paziente medio affetto da una malattia e definito da precisi criteri di inclusione ed esclusione; che all’interno di un RCT si trovano pazienti che per le loro caratteristiche di base possono avvantaggiarsi molto, poco, o per nulla di un trattamento statisticamente efficace; che trattamenti statisticamente efficaci possono non ripetersi se l’IC è ampio e si estende fino in prossimità della linea di equivalenza, o se cambiano le caratteristiche dei pazienti in un altro RCT. Queste considerazioni, e altre non sviluppate per brevità, suggeriscono che la medicina attuale deve fare un maggior uso di “Clinical Judgement” (16) nell’interpretazione e applicazione degli RCT e, più in generale, della ricerca clinica e deve cercare di migliorare la misurabilità e riproducibilità degli indici (sintomi, segni, qualità di vita) che del clinical judgement sono le componenti (17-20). 1. Moher D et al. The CONSORT statement: revised recom- 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 260 mendations for improving the quality of reports of parallelgroup randomized trials. Ann Intern Med 2001;134:657-62. Sackett DL et al. Clinical epidemiology: a basic science for clinical medicine. 2nd ed. Boston: Little, Brown and Company, 1991. Greene WL et al. Claims of equivalence in medical research: are they supported by the evidence? Ann Intern Med 2000;132:715-22. Jaeschke R et al. Measurement of health status: ascertaining the minimal clinically important difference. 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All’origine del sistema dei prezzi italiano va posta la classificazione in “fasce di rimborsabilità” dei farmaci disposta dalla legge 537/93 (GU 28/12/93): in questa norma viene stabilita la suddivisione, tuttora vigente, tra farmaci totalmente rimborsati al paziente dal Servizio Sanitario Nazionale (detti “di classe A”, o “H” se totalmente rimborsati ma disponibili solo a livello ospedaliero), farmaci parzialmente rimborsati (“di classe B”) e farmaci totalmente a carico del paziente (“di classe C”). Questa suddivisione tra farmaci rimborsati e non, pur se modificata dalle recenti disposizioni che hanno profondamente rivisto la classe B, è tuttora vigente: al di là dell’ovvio impatto sul paziente, la classificazione dei farmaci ha un’implicazione (già delineata in questa norma) circa il sistema di fissazione del prezzo, che prevede un prezzo massimo fissato per legge soltanto per i farmaci rimborsati totalmente o parzialmente dal Servizio Sanitario Nazionale. La ripartizione dei farmaci tra le diverse classi di rimborsabilità è governata dalla Commissione Unica del Farmaco, organo consultivo del Ministero della Salute composto da esperti clinici e farmacologi designati dal Ministro e dalle Regioni: la classificazione segue criteri generali che considerano tanto le necessità di sanità pubblica quanto il controllo della spesa farmaceutica. Il prezzo dei medicinali non rimborsati I farmaci a carico del paziente vengono venduti a prezzo libero, in base ai principi fissati dalla normativa europea: un’imposizione di vincoli su prodotti soggetti a libero mercato si configurerebbe come un ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’Unione Europea, traducendosi in una violazione del Trattato di Roma. Tuttavia, la legge 27 dicembre 1997 n. 449, art. 36, comma 12, pur non modificando lo status di prodotto soggetto a libero mercato del farmaco non mutuabile, ha posto comunque dei termini precisi sui cambiamenti di prezzo, stabilendo che questi possano intervenire “...esclusivamente a decorrere dalla comunicazioBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 ne degli stessi al Ministero della Sanità e al CIPE e con frequenza annuale”: i cambiamenti di prezzo dei farmaci in classe C sono stati cioè limitati e sottoposti a un monitoraggio che ha in questi anni effettivamente ridotto il loro impatto sui pazienti. Il prezzo dei medicinali a carico del SSN Nella normativa intervenuta dal 1994 a oggi sono stati stabiliti i criteri di definizione del tetto di legge imposto ai prezzi dei farmaci rimborsati: ogni produttore può fissare il prezzo dei propri farmaci liberamente, rimanendo dentro la soglia fissata dalla legge, pena l’intervento sanzionatorio del CIPE (l’organo di sorveglianza del Ministero dell’Economia) e della CUF. Il prezzo massimo applicabile per i farmaci mutuabili è pari: • al “Prezzo Medio Europeo” (PME) per i farmaci autorizzati a livello nazionale; • a un prezzo contrattato per i farmaci autorizzati a livello nazionale per cui non sia possibile l’applicazione del PME; • a un prezzo contrattato con una commissione che coinvolge Ministeri e Regioni, sulla base di valutazioni cliniche ed economiche, per i farmaci “innovativi”, autorizzati a livello europeo. Il Prezzo Medio Europeo Il “Prezzo Medio Europeo” (PME) viene determinato secondo criteri definiti con propria delibera dal CIPE, organo del Ministero dell’Economia: attualmente deriva in sostanza dalla media dei prezzi delle confezioni più vendute nei paesi UE aventi stesso principio attivo e via di somministrazione. La più recente delibera CIPE sui criteri di calcolo del PME (Del. CIPE 26/2/98, G.U. 17/4/98) ha comportato il ricalcolo dei tetti per tutti i farmaci rimborsati già in commercio: l’allineamento dei prezzi al nuovo PME è stato disposto in sei fasi annuali per i prezzi inferiori e in un’unica soluzione per quelli superiori. L’ultima tranche di adeguamento al PME intervenuta a oggi per i farmaci che avevano un prezzo inferiore, la quarta di sei, era prevista per luglio 2001, ma è stata differita per decreto a gennaio 2002: in questo modo, l’aumento di questi farmaci rimborsati si è sovrapposto a quello indotto dal passaggio all’Euro per i farmaci non rimborsati, determinando l’incremento della spesa evidenziato in gennaio dalla stampa. 261 ATTIVITÀ REGOLATORIE Laddove il PME non sia calcolabile per problemi tecnici (quali l’assenza di confezioni paragonabili in un numero sufficiente di paesi UE), o la sua applicazione risulti non remunerativa per l’azienda produttrice, configurando la possibilità di carenza di mercato per farmaci considerati necessari, la normativa prevede la possibilità di accesso a una procedura di contrattazione con una commissione interministeriale (tra i dicasteri della Salute e dell’Economia), secondo criteri comunque coerenti con quelli di calcolo del PME. I medicinali a prezzo negoziato I farmaci rimborsati autorizzati attraverso procedure europee (“centralizzate”, ovvero presentate dai produttori a livello UE, o di “Mutuo riconoscimento”, ovvero presentate, prendendo a riferimento un’autorizzazione già esistente in un paese UE, a tutti gli altri Stati membri) hanno un tetto fissato per contrattazione secondo i criteri stabiliti dalla Del. CIPE 30/1/97, (G.U. 13/5/97) : il Gruppo di lavoro che si occupa della contrattazione comprende esperti di farmacoeconomia, clinici e rappresentanti dei Ministeri interessati (Salute, Economia, Industria) e delle Regioni, e riceve mandato circa i margini di negoziazione per i farmaci sottoposti a valutazione dalla Commissione Unica del Farmaco, cui sottopone poi per approvazione gli accordi raggiunti con le ditte. La recente normativa sui farmaci fuori brevetto e generici (DL 347 del 18/9/01, convertito in L 405/2001), pur non modificando il quadro di riferimento per il calcolo dei prezzi massimi dei farmaci mutuabili, ha introdotto due importanti innovazioni: un principio di concorrenza sul prezzo tra farmaci uguali, e un decentramento della responsabilità di controllo a livello regionale. Il Ministero della Salute ha diffuso un elenco di confezioni che non godono più di tutela brevettuale, raggruppate secondo tipologie uguali: le Regioni hanno verificato per ogni tipologia di confezione quale fosse quella più economica presente sul proprio mercato, limitando a questo livello il tetto di rimborso per quella tipologia. Praticamente, ogni Regione ha emesso per le tipologie di farmaci fuori brevetto una propria lista di prezzi massimi di rimborso da parte del SSN, senza ledere il diritto dei produttori a praticare un prezzo superiore, conforme alle leggi sui prezzi sopra illustrate.▲ I medicinali orfani I medicinali cosiddetti “orfani” sono quei prodotti finalizzati al trattamento di malattie rare, economicamente poco o affatto remunerativi alle abituali condizioni di commercializzazione. Per tal motivo le aziende sono poco interessate alla loro ricerca e sviluppo. Com’è noto, il processo che va dall’individuazione di un nuovo principio attivo per una determinata patologia fino alla sua commercializzazione è lungo (in media dieci anni), costoso (milioni di euro) e talora rischioso (tra molte molecole testate, solo poche raggiungono il mercato). Un medicinale potenzialmente utile per trattare una condizione, anche se rara, e che quindi risponde a un bisogno di sanità pubblica, può avere un mercato non appetibile e insufficiente perché siano ripagate le spese della sua ricerca e sviluppo. È altrettanto noto che una serie di malattie, oltre 5.000, colpisce un numero relativamente ridotto di persone, e l’industria farmaceutica è riluttante a sviluppare medicinali per il loro trattamento. Al giorno d’oggi, le attività di ricerca e sviluppo in campo farmaceutico sono molto impegnative, così che le probabilità che un’azienda si assuma l’onere di sviluppare un medicinale, ottenere l’autorizzazione per il suo impiego e commercializzarlo sono praticamente nulle se tale prodotto è destinato ad essere fornito a pochi pazienti che ne hanno bisogno. D’altra parte è inaccettabile che ad alcuni individui venga negata la possibilità di beneficiare del 262 progresso medico semplicemente perché l’affezione di cui soffrono colpisce soltanto un numero ridotto di persone. Per questo motivo, l’Unione Europea ha preso provvedimenti specifici ed ha previsto adeguati incentivi affinché le aziende farmaceutiche siano motivate a sviluppare nuovi medicinali o ad indagare nuove indicazioni per farmaci esistenti. Il concetto di medicinale orfano va infatti al di là delle malattie rare, comprendendo anche indicazioni orfane, nel senso che un prodotto può essere stato studiato per il trattamento di una patologia frequente, e per essa può essere utilizzato, ma non è stato sviluppato per un’altra indicazione più rara. Di fatto, possono presentarsi tre casi che identificano come farmaci orfani: 1. Prodotti destinati a malattie rare. Sono finalizzati alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia di una affezione che comporta una minaccia per la vita o la debilitazione cronica e che colpisce in Europa meno di 5 individui ogni 10.000, ovvero uno su 2.000. In Europa tali patologie dovrebbero riguardare 25-30 milioni di persone. 2. Prodotti ritirati dal mercato per ragioni economiche o farmacologiche. A titolo esemplificativo, si cita il caso della talidomide, un farmaco utilizzato quarant’anni fa come ipnotico e sedativo, specie in gravidanza, e che, a causa della sua potente attività teratogeBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 ATTIVITÀ REGOLATORIE na (migliaia di bambini colpiti da focomelia e da altre deformità), fu sospeso dal mercato. Di questo farmaco è stata ora dimostrata l’efficacia nel trattamento di condizioni quali l’eritema nodoso lepromatoso, il mieloma multiplo refrattario alla chemioterapia, il LES (dall’inglese Lower Esophageal Sphincter), tutte patologie per le quali non esiste alcun trattamento soddisfacente. La Legge 648/96 (v. BIF 2000;4:43-4), che prevede l’istituzione di un elenco di medicinali erogabili a carico del SSN nel caso in cui non esista una valida alternativa terapeutica, è stata formulata per rispondere anche a queste possibili situazioni. 3. Prodotti non sviluppati, sia perché frutto di un processo di ricerca non brevettabile, sia perché riguardano prodotti importanti ma che non possono essere acquistati per mancanza di fondi (ad es. farmaci orfani per patologie del terzo mondo). L’Europa, rispetto ad altri paesi (Stati Uniti, Giappone), ha tardato ad adottare una politica unificata in materia di farmaci orfani, soprattutto a causa della dispersione delle competenze in materia sanitaria tra i vari stati membri. A partire dal 1995, con il nuovo sistema di autorizzazione al commercio comunitario dei medicinali valido per tutti i paesi dell’Unione, è iniziata una politica più omogenea e produttiva che ha visto promulgata una normativa unificata. Il regolamento (CE) N. 141/2000 del Parlamento e del Consiglio d’Europa sui medicinali orfani è stato adottato il 16 dicembre 1999 ed è entrato in vigore il 27 aprile 2000. Largamente ispirato dalle norme in vigore negli Stati Uniti, l’obiettivo principale del regolamento dell’Unione Europea è di stimolare ed incentivare l’industria farmaceutica e biotecnologica a promuovere la ricerca, lo sviluppo e la disponibilità sul mercato dei farmaci orfani. Così, un medicinale riconosciuto con la qualifica di orfano gode di una esclusiva decennale sulla commercializzazione, il che significa essenzialmente che né la Comunità né uno Stato membro possono rilasciare, in un secondo momento, l’autorizzazione a commercializzare un medicinale analogo con le stesse indicazioni terapeutiche. Tale privilegio può essere messo in discussione qualora il farmaco non soddisfi più i criteri sulla base dei quali aveva ottenuto la particolare qualifica o se il prezzo richiesto risulti eccessivamente elevato. L’esclusiva non preclude l’immissione in commercio di un secondo medicinale qualora risulti più sicuro, più efficace o comunque clinicamente superiore a quello già in uso. La ricerca e lo sviluppo dei medicinali orfani possono usufruire, inoltre, di altri incentivi di tipo tecnico, scientifico ed economico, resi disponibili dalla Comunità Europea e da alcuni Stati membri a favore soprattutto delle piccole e medie aziende farmaceutiche. Tra questi, l’assistenza da parte dell’Agenzia Europea di Valutazione dei Medicinali (EMEA) nella formulazione del protocollo, la riduzione delle tasse per tutte le attività connesse alla procedura centralizzata per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio, la priorità di accesso ai fondi di ricerca dell’Unione Europea. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 Il regolamento prevede infine un Comitato per i medicinali orfani (COMP), a cui spetta la responsabilità di svolgere gli esami scientifici che portano a designare come orfano un medicinale. La designazione da parte del COMP implica l’eleggibilità del farmaco ad ottenere 10 anni di esclusività del mercato per quella particolare indicazione solo nel caso in cui il CPMP (dall’inglese Committee for Proprietary Medicinal Products), organo tecnico-scientifico dell’EMEA, dia la sua approvazione. Nel suo ultimo rapporto annuale, l’EMEA ha evidenziato che, nel 2001, le domande di assegnazione della qualifica di medicinale orfano hanno superato di un 15% le previsioni iniziali e che i medicinali con tale designazione hanno rappresentato il 20% delle nuove domande di autorizzazione al commercio. Tutto ciò sta a dimostrare il crescente interesse delle aziende per quest’area farmaceutica. Nel 2001, il COMP ha dato parere positivo per il riconoscimento di medicinali orfani a 62 prodotti (rispetto a 26 dell’anno precedente), mentre 29 domande di designazione sono state sospese (3 nel 2000) in quanto gli sponsor non sono stati in grado di giustificare con completezza le loro richieste. Nelle pagine seguenti sono riportati, in ordine alfabetico, i prodotti designati con la qualifica di medicinali orfani dal COMP. L’elenco è aggiornato a marzo 2002 ed è disponibile nel sito dell’EMEA http://pharmacos.eudra.org/F2/register/orphreg.htm. Tra i prodotti che hanno avuto la designazione da parte del COMP di medicinali orfani, quelli che sino ad oggi sono stati giudicati positivamente da parte del CPMP ed autorizzati al commercio nei Paesi della CE sono: Algasidasi alfa (Replagal® - TKT Europe): è indicato come terapia enzimatica sostitutiva a lungo termine in pazienti con diagnosi confermata di malattia di Fabry. Tale patologia è caratterizzata da un deficit di agalattosidasi, un’idrolasi che catalizza l’idrolisi dei glicosfingolipidi, in particolare del globotriaosilceramide (GL-3). La riduzione o l’assenza di attività di tale enzima provoca l’accumulo di GL-3 nelle cellule, con conseguente danno alla maggior parte degli organi: cuore, sistema nervoso, reni. Algasidasi beta (Fabrazyme® – Genzime): è indicato come terapia enzimatica sostitutiva a lungo termine in pazienti con diagnosi confermata di malattia di Fabry. Tale patologia è caratterizzata da un deficit di agalattosidasi, un’idrolasi che catalizza l’idrolisi dei glicosfingolipidi, in particolare del globotriaosilceramide (Gb-3). La riduzione o l’assenza di attività di tale enzima provoca l’accumulo di Gb-3 nelle cellule, con conseguente danno alla maggior parte degli organi: cuore, sistema nervoso, reni. Arsenico triossido (Trisenox® – Cell Therapeutics): trova indicazione nell’induzione di remissione e consolidamento in pazienti adulti affetti da leucemia promielocitica acuta recidivante o refrattaria, caratterizzata dalla presenza di traslocazione cromosomica t (15;17) e/o dalla presenza del gene Leucemia Pro-Mielociti- 263 ATTIVITÀ REGOLATORIE ca/Acido-Retinoico-Recettore-alfa (PML/RAR-alpha). Devono essere stati attuati in precedenza un trattamento con un retinoide e la chemioterapia AML-M3. Bosentan (Tracleer® - Actelion): trova indicazione nel trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare primaria o secondaria a sclerodermia; agisce come antagonista sui recettori dell’endotelina (ETA – ETB), un potente vasocostrittore. PRODOTTO Abetimus sodio N-Acetilgalattosamina-4-solfatasi Acido 4-(3,5-bis-(idrossifenil)1,2,4)triazol-1-il)-benzoico di terapia chelante Acido N-carbamil–L–glutamico Acido 1,3-propandisolfonico, sale disodico Algasidasi alfa Algasidasi beta Anagrelide cloridrato Antagonista recettore GM-CSF Anticorpo monoclonale chimerico cG250 IgG Anticorpo monoclonale chimerico cG250 IgG per uso con 131I Anticorpo monoclonale umanizzato anti-HM1.24 Anticorpo monoclonale umano ricombinante per hsp90 Anticorpo monoclonale umano specifico per Transforming Growth Factor ß1 Anticorpo monoclonale umano specifico per Transforming Growth Factor ß 2 Antitripsina-alfa-1 umana ricombinante (uso respiratorio) Apomorfina (uso oromucosale) Arsenico triossido Arsenico triossido Arsenico triossido Arsenico triossido Azacitidina Beclometasone 17,21-dipropionato (uso orale) (reazione da trapianto) Beraprost sodico Betaina anidra Bosentan 264 Imatinib (Glivec® - Novartis): è indicato nel trattamento della leucemia mieloide cronica (positiva per il cromosoma Filadelfia - bcr-abl) in fase cronica dopo fallimento della terapia con interferone alfa, o in fase accelerata o in crisi blastica. Più di recente è stato anche approvato per la terapia dei tumori stromali gastrointestinali con metastasi (GIST).▲ DESIGNAZIONE TRATTAMENTO Trattamento nefrite lupica Trattamento mucopolisaccaridosi, tipo VI (MPS VI o sindrome di Maroteaux-Lamy) Trattamento sovraccarico cronico di ferro necessitante Trattamento deficit di N–acetilglutamato sintetasi (NAGS) Trattamento amiloidosi secondaria sistemica Trattamento malattia di Fabry Trattamento malattia di Fabry Trattamento trombocitemia essenziale Trattamento leucemia mielomonocitica giovanile Trattamento carcinoma cellule renali Trattamento carcinoma cellule renali Trattamento mieloma multiplo Trattamento infezioni fungine invasive Trattamento sclerosi sistemica Prevenzione cicatrizzazione canale di deflusso creato con procedura chirurgica nel glaucoma Trattamento enfisema secondario a deficit congenito di antitripsina-alfa-1 Trattamento periodi off del morbo di Parkinson non rispondenti ad altro trattamento orale Trattamento mieloma multiplo Trattamento sindromi mielodisplastiche Trattamento leucemia promielocitica Trattamento leucemia promielocitica acuta Trattamento sindromi mielodisplastiche Trattamento reazione “graft versus host” intestinale Trattamento ipertensione arteriosa polmonare e ipertensione polmonare cronica tromboembolica Trattamento omocistinuria Trattamento ipertensione arteriosa polmonare primaria e secondaria a sclerodermia BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 ATTIVITÀ REGOLATORIE Busulfan (uso endovenoso) Trattamento condizionante prima del trapianto di cellule staminali ematopoietiche 1,5-(Butilimino)-1,5-dideossi, D-glucitolo Trattamento morbo di Gaucher Carmustina Trattamento glioma Celecoxib Trattamento poliposi adenomatosa familiare 8-Ciclopentil-1,3-dipropilxantina Trattamento fibrosi cistica Cladribina (uso sottocute) Trattamento linfoma non-Hodking indolente 2-Cloro-9-[2-deossi-2-fluoro-ß-D -arabinofuranosil]adenina Trattamento leucemia linfoblastica acuta Colistimetato sodico Trattamento infezione polmonare da Pseudomonas aeruginosa (colonizzazione compresa) nella fibrosi cistica C1-inibitore umano ricombinante Trattamento angioedema da deficit di C1-inibitore Denileukin diftitox Trattamento linfoma cutaneo a cellule T Desossiribosio fosforotioato (5’-tct-ccc-agc-gtg-cgc-cat-3’) Trattamento leucemia linfocitica cronica Desossiribosio fosforotioato (5’-tct-ccc-agc-gtg-cgc-cat-3’) Trattamento mieloma multiplo Dexrazoxan Trattamento stravasi di antracicline Ecteinascidin 743 Trattamento sarcoma dei tessuti molli Eflornitina cloridrato Trattamento poliposi adenomatosa familiare (FAP) Eicosopentaenoato di etile Trattamento corea di Huntington Epotilone B Trattamento cancro ovarico Fenilefrina cloridrato Trattamento anastomosi ileo puch anale correlate a incontinenza fecale Fluorouracile Trattamento glioblastoma Fomepizolo Trattamento avvelenamento da metanolo Fumagillina Trattamento diarrea associata ad infezione intestinale da Microsporidia Gemtuzumab ozogamicin Trattamento leucemia mieloide acuta Gene timidin-kinasi (HSV-tk) dell’Herpes virus simplex adenovirus-mediato Trattamento glioma di alto grado con susseguente uso di ganciclovir sodico α-Glucosidasi acida umana ricombinante Trattamento malattia da accumulo di glicogeno tipo II (malattia di Pompe) Gusperimus triidrocloruro Trattamento granulomatosi di Wegener Halofuginone bromidrato Trattamento sclerosi sistemica Human Milk Fat Globule 1 / Human Milk Fat Globule 1-S-p -isotiocianatobenzil -dietilenetriaminopentaacetico acido per uso con 90Ittrio Trattamento cancro ovarico Ibuprofene Trattamento pervietà del dotto arterioso Ibuprofene Trattamento pervietà del dotto arterioso in prematuri con meno di 34 settimane di gestazione Idebenone Trattamento atassia di Friedreich Iduronato-2-solfatasi Trattamento mucopolisaccaridosi tipo II (sindrome di Hunter) BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 265 ATTIVITÀ REGOLATORIE Iloprost Imatinib mesilato Imatinib mesilato Inolimomab Laronidasi Levodopa - Carbidopa (uso gastroenterale) L-Lisina-N-acetil-L-cisteinato Lusupultide Nitisinone Nitisinone Oligodeossinucleotide antisenso fosforotioato specifico per TGF- ß2 Pegvisomant Peptide glucagone-like umano ricombinante [gly2] Pemetrexed disodico Porfimer sodico (per uso con terapia fotodinamica) Proteina di fusione anticorpo monoclonale umanizzato anti-KSA e interleukina-2-umana α-Proteinasi inibitore umano (uso respiratorio) Ramoplanin Ranpirnase Repertaxin sale di L-lisina Ribavirina Ribavirina Seocalcitolo Sfingomielinasi acida umana ricombinante Sinapultide, dipalmitoilfosfatidilcolina, palmitoiloleoil-fosfatidilglicerolo Sinapultide, dipalmitoilfosfatidilcolina, palmitoiloleoil-fosfatidilglicerolo e acido palmitico Somatropina Surfattante polmonare porcino 266 Trattamento ipertensione polmonare primaria. Trattamento delle seguenti forme di ipertensione polmonare secondaria conseguente a: malattia del tessuto connettivo; assunzione di farmaci; ipertensione porto-polmonare; ipertensione polmonare associata a malattia cardiaca congenita. Trattamento ipertensione polmonare cronica tromboembolica Trattamento leucemia mieloide cronica Trattamento tumori stromali gastrointestimali maligni (GIST) Trattamento reazione ''graft versus host'' (reazione da trapianto) Trattamento mucopolisaccaridosi tipo I Tattamento morbo di Parkinson idiopatico avanzato con gravi fluttuazioni motorie e non rispondente al trattamento orale Trattamento fibrosi cistica Trattamento sindrome da distress respiratorio acuto Trattamento alcaptonuria Trattamento tirosinemia tipo 1 Trattamento glioma di grado elevato Trattamento acromegalia Trattamento sindrome da intestino corto Trattamento mesotelioma maligno Trattamento displasia di grado elevato nell’esofago di Barrett Trattamento carcinoma cellule renali Trattamento enfisema secondario a deficit congenito di antitripsina -alfa 1 Prevenzione infezioni invasive da enterococchi vancomicino-resistenti (VRE) in pazienti colonizzati a rischio Trattamento mesotelioma maligno Prevenzione funzionalità tardiva del graft nel trapianto d’organo Trattamento infezione da adenovirus in pazienti immunocompromessi Trattamento febbre emorragica con sindrome renale Trattamento carcinoma epatocellulare Trattamento malattia di Niemann-Pick tipo B Trattamento sindrome da aspirazione di meconio Trattamento danno polmonare acuto Trattamento sindrome da deperimento (wasting sindrome) da AIDS Trattamento danno polmonare acuto BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 ATTIVITÀ REGOLATORIE Stiripentolo Trattamento epilessia mioclonica grave nell’infanzia Talidomide Trattamento mieloma multiplo Talidomide Trattamento reazione ''graft versus host'' (reazione da trapianto) Talidomide Trattamento eritema nodoso lepromatoso (ENL) o delle reazioni lepromatose tipo II Trasferrina umana coniugata alla tossina difterica mutante Trattamento glioma Vaccino ottovalente coniugato Pseudomonas aeruginosa O-polisaccari-tossina A Prevenzione infezioni da P. aeruginosa nella fibrosi cistica Vettore contenente gcc DNA retrovirale Trattamento immunodeficienza grave combinata o SCID-X1 (Severe Combine ImmunoDeficiency) Xaliproden cloridrato Trattamento sclerosi laterale amiotrofica Ziconotide (uso intraspinale) Trattamento dolore cronico necessitante di analgesia intraspinale Zinco acetato diidrato Trattamento morbo di Wilson BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 267 COME PRESCRIVERE NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE Sperimentazione clinica dei medicinali: l’Osservatorio Nazionale produce il primo Rapporto Il Ministero della Salute – Direzione Generale della Valutazione dei Medicinali e della Farmacovigilanza, sulla base dei dati raccolti attraverso i registri informatizzati dei comitati etici, dei centri privati, delle sperimentazioni cliniche (che di fatto costituiscono l’Osservatorio Nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali - OsSC), ha recentemente pubblicato il I Rapporto Nazionale. L’OsSC è un progetto istituzionale ideato contestualmente ai decreti di decentramento degli atti amministrativi che hanno permesso l’autorizzazione delle sperimentazioni cliniche alle autorità locali, allo scopo di favorire l’armonizzazione delle procedure autorizzative, garantire la sorveglianza epidemiologica sul territorio e fornire un quadro culturale di riferimento per tutti gli operatori coinvolti nella ricerca clinica farmacologica. Il supporto informativo dell’OsSC è costituito da registri informatizzati, predisposti in modo da essere compilati e consultati via Internet da Ministero della Salute, Comitati etici locali, Sponsor (aziende farmaceutiche, enti di ricerca, associazioni scientifiche, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, aziende ospedaliere e aziende sanitarie locali), Assessorati alla Sanità di Regioni e Province autonome. L’accesso ai dati delle sperimentazioni cliniche è regolato dal Ministero della Salute tramite rilascio di password, mentre molte informazioni di carattere generale, tra cui i dati dei Comitati etici accreditati, i rapporti periodici prodotti dall’OsSC, la normativa italiana ed internazionale di riferimento sono di libera consultazione sul sito internet (http://oss-sper-clin.sanita.it). Il I Rapporto Nazionale traccia un quadro della ricerca clinica italiana, riferito al periodo 01/01/00–30/06/01, evidenziandone gli aspetti principali: dalla distribuzione regionale dei Comitati etici all’elenco delle strutture private accreditate alla sperimentazione, dalla descrizione dei centri clinici e degli Sponsor coinvolti all’analisi delle tipologie di farmaci impiegati nelle sperimentazioni pre- e post-registrative. Sfogliando il Rapporto, si possono fare diverse considerazioni. Innanzitutto, si osserva come l’attività di ricerca si concentri solo in alcune regioni del territorio: fra le prime Lombardia (21,6% degli studi), Emilia Romagna (10,8%), Toscana (8,9%) e Lazio (7,6%). Analogamente, la maggior parte delle sperimentazioni dipende da pochi centri coordinatori: i primi 25 Comitati etici autorizzano, come coordinatori, il 70% degli studi clinici. La distribuzione regionale dei Comitati etici risulta anche concentrata, come si evince dalla Tabella 1. Tabella 1. Comitati etici accreditati dal Ministero della Salute per Regione di appartenenza Numero CE totali: 265 Regione Lombardia Lazio Sicilia Veneto Campania Puglia Emilia-Romagna Marche Toscana Calabria Liguria Sardegna Friuli-Venezia Giulia Abruzzo Basilicata Molise Trentino-Alto Adige Piemonte * Umbria * Valle d'Aosta Totale Nr. CE % % cumulativa 53 28 25 22 20 17 16 13 13 11 11 10 9 6 4 2 2 1 1 1 265 20,0 10,6 9,4 8,3 7,6 6,4 6,0 4,9 4,9 4,2 4,2 3,8 3,4 2,3 1,5 0,8 0,8 0,4 0,4 0,4 100,0 20,0 30,6 40,0 48,3 55,9 62,3 68,3 73,2 78,1 82,3 86,4 90,2 93,6 95,9 97,4 98,1 98,9 99,3 99,6 100,0 * opera centralmente il Comitato etico regionale. 268 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE Il Rapporto descrive la tipologia della sperimentazione clinica italiana (Tabella 2): prevalentemente di fase III (58,9%), multicentrica nell’ 83% dei casi e orientata in ambito internazionale (54%). Tabella 2. Sperimentazioni per fase Sperimentazioni totali: 789 Tipologia Nr. sperim. Fase III Fase II Fase IV Bioequiv./Biodisp. Fase I * Totale % 465 235 60 21 8 789 58,9 29,8 7.6 2,7 1,0 100,0 * inserite dal Ministero della Salute sulla base delle autorizzazioni rilasciate. Un dato di rilievo riguarda l’incremento di sperimentazioni di fase II: si passa infatti dal 27,1% del 2000 al 34,2% del primo semestre 2001 (Figura 1). Poche, però, rimangono ancora le sperimentazioni di fase I (1,0%), segno di una scarsa presenza dell’Italia nel momento innovativo della ricerca: i pros- simi Rapporti potrebbero evidenziare un cambiamento del trend, dopo la recente emanazione del DPR 439 del 21 settembre 2001, che semplifica le procedure autorizzative delle sperimentazioni di fase I e ne adegua i contenuti alla mutata realtà del mondo scientifico. Figura 1. Percentuali di sperimentazioni per fase e anno 70,0 63,8 60,0 2000 50,8 I sem. 2001 50,0 40,0 % 34,2 30,0 27,1 20,0 10,5 10,0 5,9 3,4 2,2 1,0 Per quanto riguarda le categorie terapeutiche oggetto di sperimentazione, l’analisi dei dati (Tabella 3) mette in luce come la maggior parte delle sperimentazioni indaghi il campo di applicazione dei far- BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 Fase I Bioeq/Biodis Fase IV Fase II Fase III 0,0 maci antineoplastici e immunomodulatori (27,9%) seguiti dai farmaci per il sistema nervoso (12,7%) e dagli antimicrobici generali per uso sistemico (12,3%). 269 NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE Tabella 3. Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP) Sperimentazioni totali: 781 di cui 756 (96,8%) con ATC del farmaco in studio specificato Gruppo anatomico principale (GAP) L N J C A G M B V R S H D P Antineoplastici ed immunomodulatori Sistema nervoso Antimicrobici generali per uso sistemico Sistema cardiovascolare App. gastrointestinale e metabolismo Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali Sistema muscolo-scheletrico Sangue ed organi emopoietici Vari Sistema respiratorio Organi di senso Prep. ormonali sistemici esclusi gli ormoni sessuali Dermatologici Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti Totale In linea con il panorama internazionale (Figura 2), anche in Italia la sponsorizzazione degli studi clinici viene esercitata prevalentemente dall’Industria farmaceutica (83,7%) che ricopre un ruolo di primo piano nella proposizione e nel finanziamento delle Nr. sperim. % 211 96 93 61 57 48 47 44 31 29 17 14 7 1 756 27,9 12,7 12,3 8,1 7,5 6,4 6,2 5,8 4,1 3,8 2,3 1,9 0,9 0,1 100,0 sperimentazioni cliniche. Quindi enti no profit (aziende ospedaliere, aziende sanitarie locali, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, associazioni scientifiche) completano il quadro delle sponsorizzazioni (16,3%). Figura 2. Sperimentazioni per tipo di Sponsor Altro* 1,3% Università 1,8% Ass. Scient. 4,2% Az. farmaceutica 83,7% IRCCS 4,5% ASL/Az. Osp. 4,5% * Enti di ricerca, Enti governativi, Fondazioni, altro Analizzando in dettaglio (Tabella 4), si evidenzia come le aziende farmaceutiche distribuiscano la loro ricerca su alcuni gruppi terapeutici strategici quali antineoplastici ed immunomodulatori (20,8%), farmaci per 270 il sistema nervoso (13,9%) ed antimicrobici generali per uso sistemico (12,8%), mentre gli enti no profit focalizzano la loro attenzione sulla sola categoria degli antineoplastici (64,8%). BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE Tabella 4. Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP). Confronto azienda farmaceutica/sponsor no profit Sperimentazioni totali: 781 di cui 756 (96,8%) con ATC del farmaco in studio specificato Gruppo anatomico principale (GAP) L N J C A G M B R V S H D P Antineoplastici ed immunomodulatori Sistema nervoso Antimicrobici generali per uso sistemico Sistema cardiovascolare Apparato gastrointestinale e metabolismo Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali Sistema muscolo-scheletrico Sangue ed organi emopoietici Sistema respiratorio Vari Organi di senso Preparati ormonali sistemici escl. gli ormoni sessuali Dermatologici Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti Totale Il Rapporto e i successivi aggiornamenti periodici sono pubblicamente consultabili sul sito dell’OsSC (http://oss-sper-clin.sanita.it) e costituiscono una prima iniziativa istituzionale per consentire un uso intensivo e trasparente dei dati inerenti le sperimentazioni cliniche da parte di tutti i soggetti coinvolti. L’OsSC, oltre ad avere un proprio valore intrinseco, ha il merito di aver intuito e anticipato le istanze della comunità scientifica e delle istituzioni internazionali sulla necessità di registrare e rendere pubblici i contenuti e i risultati dei trial clinici: le disposizioni della Direttiva Europea 2001/20/CE del 4 aprile 2001 - che dovranno essere recepite ed attuate dagli Stati Membri entro il 01/05/2004 – prevedono l’istituzione di una BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 Azienda farmaceutica Nr. sperim. % 132 88 81 57 54 47 46 40 29 23 17 12 7 1 634 20,8 13,9 12,8 9,0 8,5 7,4 7,3 6,3 4,6 3,6 2,7 1,9 1,1 0,2 100,0 No profit Nr. sperim. 79 8 12 4 3 1 1 4 0 8 0 2 0 0 122 % 64,8 6,6 9,8 3,3 2,5 0,8 0,8 3,3 0,0 6,6 0,0 1,6 0,0 0,0 100,0 Banca dati europea sulle sperimentazioni cliniche con trasmissione telematica delle informazioni richieste. L’Italia, grazie all’esperienza maturata con l’OsSC, è entrata a far parte del gruppo di coordinamento (insieme all’EMEA ed alla Spagna) per la progettazione e la realizzazione di questo sistema europeo di raccolta e gestione dei dati degli studi clinici condotti in Europa. La proiezione dell’OsSC in un contesto internazionale implica la messa a fuoco di alcune problematiche emerse durante la fase pilota di utilizzo dell’OsSC e la loro risoluzione in tempi rapidi: in primis, l’integrazione fra il sistema di raccolta dati delle sperimentazioni e la rete di farmacovigilanza per la segnalazione degli eventi avversi in corso di sperimentazione.▲ 271 NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE Emendamenti alle norme che regolano il funzionamento dell’EMEA Lettera ai Parlamentari Europei da parte di alcuni componenti del CPMP Il Parlamento Europeo discuterà tra non molto alcuni emendamenti proposti dalla Commissione Europea alla vigente legislazione che regola il funzionamento dell’EMEA (European Medicines Evaluation Agency), l’agenzia europea per l’autorizzazione al commercio dei farmaci sottoposti a registrazione centralizzata. Approfittando dell’occasione, nove membri - tra cui i due italiani - dell’attuale Comitato per le Specialità Medicinali (CPMP, dall’inglese Committee for Proprietary Medicinal Products), organismo tecnico dell’EMEA deputato alla valutazione scientifica dei farmaci, hanno inviato una lettera a tutti i parlamentari europei, in cui avanzano alcune perplessità, suggeriscono al Parlamento sostanziali interventi e propongono alcune modifiche delle norme che riguardano l’attività istituzionale dell’agenzia, al fine di renderla più funzionale e rispondente ai bisogni di salute pubblica. La lettera è di seguito riportata. Oggetto: proposta di revisione della legislazione farmaceutica europea Onorevoli Parlamentari Europei, Siamo al corrente che il Parlamento Europeo esaminerà tra non molto una nuova proposta di legislazione riguardante l’EMEA. Vorremmo a tal proposito proporre i nostri commenti e suggerimenti sulla nuova proposta di legge al fine di renderla più rispondente alle esigenze della sanità pubblica. Per assicurare il raggiungimento di questo importante obiettivo, proponiamo le seguenti considerazioni: 1. Collocazione politica L’EMEA è attualmente posta sotto la giurisdizione della Direzione Generale dell’Industria. Ciò non è ideale dal punto di vista della salute pubblica e implica indirettamente che considerazioni politiche e industriali sullo sviluppo e sulla produzione dei medicinali possano essere ritenute più importanti del loro impatto sulla salute e sui consumatori. In linea con i suoi obiettivi dichiarati, l’EMEA dovrebbe essere posta sotto la giurisdizione della Direzione della Sanità Pubblica della Commissione Europea. 2. Composizione del Consiglio di Amministrazione dell’EMEA Contrariamente a quanto proposto nella nuova legislazione, il Consiglio di Amministrazione dell’EMEA non dovrebbe includere rappresentanti dell’industria farmaceutica, poiché è inevitabile che ciò porti l’EMEA ad essere più rispondente ai bisogni dell’industria a spese delle esigenze di salute pubblica. 272 3. Composizione del Comitato per le Specialità Medicinali (CPMP) La nuova legislazione prevede un solo rappresentante per nazione, anziché due, nel comitato per le Specialità Medicinali dell’EMEA. Si ritiene tuttavia che ogni stato dell’Unione dovrebbe nominare per il CPMP un esperto indipendente ed un rappresentante della propria agenzia regolatoria nazionale, in modo che sia il punto di vista scientifico sia quello regolatorio siano adeguatamente rappresentati. 4. Finanziamento dell’EMEA I contributi finanziari dell’EMEA provengono essenzialmente da due fonti: la Comunità Europea e le industrie farmaceutiche, che pagano per la valutazione dei dossier farmacologici. Il contributo delle industrie per l’anno 2000 ha rappresentato il 70% del totale. Questo rapporto dovrebbe essere modificato al fine di aumentare il livello d’indipendenza dell’EMEA dall’industria farmaceutica. Ancor più importante è però il bisogno di incrementare il contributo della Comunità, in modo da permettere all’EMEA di migliorare le proprie attività in materia di farmacovigilanza, di controllo degli studi clinici e di monitoraggio dei farmaci. L’EMEA ha dimensioni ancora molto inferiori a quelle della FDA americana, nonostante copra quasi il doppio della popolazione degli USA. 5. Mutuo Riconoscimento La procedura decentralizzata non permette una disponibilità uniforme dei nuovi farmaci nell’Unione Europea, in quanto consente esiti differenti di una stessa procedura nei diversi Stati. È nell’interesse della salute pubblica che tutti i nuovi farmaci innovativi siano valutati attraverso la procedura centralizzata. 6. Studi comparativi Per la maggior parte delle patologie, i medici hanno già a disposizione un’ampia scelta di prodotti da prescrivere. PerBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE tanto, si otterrebbero maggiori vantaggi per la salute pubblica se si considerasse il valore dei nuovi farmaci rispetto a quelli già in commercio (sia in termini di efficacia che di sicurezza), basandosi su solide evidenze scientifiche. Al momento, i nuovi farmaci possono essere valutati per la loro intrinseca qualità, efficacia e sicurezza, senza doverli confrontare con prodotti già sul mercato. In quei pochi casi in cui sono effettuati studi comparativi, l’industria farmaceutica solitamente si accontenta di dimostrare l’equivalenza o la non inferiorità terapeutica dei nuovi farmaci rispetto a quelli già disponibili. Ne consegue un alto grado d’incertezza sui meriti effettivi del farmaco studiato. Se la legislazione non cambierà, rimarrà la possibilità che i nuovi farmaci approvati in Europa siano magari efficaci e sicuri per sé, anche se in realtà meno efficaci e/o sicuri delle alternative già sul mercato. Pertanto, la nuova legislazione dovrebbe prevedere che, ove possibile, gli studi clinici siano eseguiti confrontando il farmaco in esame con il farmaco di riferimento al fine si stabilirne il beneficio relativo, così come contemplato nella dichiarazione di Helsinki. La valutazione del beneficio relativo dovrebbe diventare il criterio cui riferirsi in sede di approvazione dei nuovi farmaci. 7. Rinnovo delle autorizzazioni Secondo la proposta di legge, le autorizzazioni per l’introduzione al commercio dei nuovi farmaci avranno una validità illimitata, in contrasto con l’attuale rinnovo richiesto ogni cinque anni. Ciò precluderà definitivamente la possibilità di rivalutare il rapporto rischio/beneficio dei farmaci in commercio, il cui ruolo terapeutico potrebbe essere mutato, se nel frattempo farmaci migliori fossero stati introdotti sul mercato o nuove conoscenze cliniche fossero state acquisite. 8. Trasparenza delle attività dell’EMEA Durante i suoi anni di attività, la trasparenza dell’EMEA è senza dubbio migliorata, soprattutto con l’acquisizione di nuove regole sul conflitto d’interesse e con la pubblicazione delle decisioni adottate sul proprio sito Internet e attraverso i comunicati stampa. Tuttavia, vi è spazio per ulteriori miglioramenti, nell’interesse della salute pubblica. a) I dossier farmacologici non dovrebbero più essere interamente riservati. Si riconosce la necessità di mantenere la piena riservatezza su alcuni aspetti della produzione dei farmaci. Tuttavia, il fatto stesso che un dossier sia oggetto di valutazione da parte dell’EMEA dovrebbe essere reso noto, e i dati preclinici e clinici in esso contenuti (fatto salvo il rispetto della privacy) dovrebbero essere resi accessibili. Ciò consentirebbe un dibattito più ampio con tutte le parti interessate (medici, pazienti e associazioni professionali) sui benefici dei nuovi farmaci, a tutto vantaggio della salute pubblica. b) Tutti i pareri finali del CPMP, siano essi positivi o negativi, dovrebbero essere prontamente resi pubblici. Al momento, la divulgazione dei pareri è tempoBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 raneamente sospesa per due settimane, per dare il tempo alle ditte farmaceutiche di appellarsi. Tuttavia, non vi è alcuna ragione per cui le aziende non possano opporre appello pubblicamente. c) Anche le informazioni sui dossier ritirati dovrebbero essere rese disponibili. Per evitare una pubblicità negativa al prodotto e all’azienda, in genere le industrie farmaceutiche preferiscono ritirare i propri dossier prima che il CPMP raggiunga la sua decisione finale, se prevedono una valutazione negativa. Tuttavia, l’opinione pubblica dovrebbe essere informata almeno del nome del medicinale in questione, del suo principio attivo, delle indicazioni terapeutiche e delle ragioni alla base del parere negativo del CPMP, in quanto la conoscenza di eventuali aspetti critici dei nuovi farmaci aiuterebbe a garantire il loro corretto uso quando raggiungeranno il mercato. Oltretutto, è di ovvia preoccupazione per la salute pubblica che questi medicinali possano essere ugualmente prescritti in alcuni Stati dell’Unione nell’ambito di programmi “compassionevoli”, senza che né il medico né il paziente abbiano avuto accesso ai risultati della valutazione del CPMP alla base del ritiro del dossier. d) Un altro importante elemento di trasparenza riguarda le considerazioni della minoranza. L’EPAR, (European Public Assessment Report – il documento finale che riporta le valutazioni del nuovo farmaco una volta che ne è autorizzata la commercializzazione) riporta se il prodotto è stato approvato per maggioranza o per consenso dei membri del CPMP, ma non accenna alle obiezioni sollevate dalla minoranza ed il loro punto di vista. Queste informazioni dovrebbero invece essere riportate nell’EPAR e nelle conclusioni dell’Opinion del CPMP, a beneficio dei medici che prescriveranno il farmaco. e) Nella nuova legislazione, si propone che sia permessa la diffusione pubblica di informazioni riguardanti i farmaci. Tre patologie croniche (asma, diabete e AIDS) sono state scelte per un periodo pilota di cinque anni. Ciò comporterebbe una pressione inadeguata sui pazienti e gli stessi medici, già bersaglio di un’intensa attività promozionale da parte dell’industria farmaceutica. A garanzia dei consumatori, si suggerisce di affidare solo alle autorità sanitarie nazionali la divulgazione di un’informazione bilanciata e indipendente. 9. Tempistica delle valutazioni Vi è tuttora una forte sproporzione tra il tempo concesso al CPMP per la valutazione dei nuovi farmaci e quello offerto alle ditte farmaceutiche nel corso delle procedure di autorizzazione. Le ditte possono ritardare e rallentare le procedure, fermarne l’orologio o ritirare il dossier in qualsiasi momento, mentre il CPMP è costretto ad operare in tempi molto stretti, anche nel caso in cui nuovi dati presentati a procedura iniziata richiederebbero in realtà un’attenta valutazione nell’interesse della salute pubblica. Nessuna di queste regole è modificata nella nuova legislazione. Anzi, i tempi cui 273 NOTIZIE DALLA DIREZIONE GENERALE il CPMP deve sottostare sono ulteriormente ristretti, il che si ripercuoterà negativamente sulla qualità stessa delle valutazioni. Ci auguriamo che i commenti qui riportati offrano un contributo costruttivo al dibattito sulla nuova legislazione, nell’interesse e a protezione della salute pubblica dell’Unione Europea. Desideriamo offrire il nostro pieno supporto e disponibilità nel caso Voi abbiate biso- 274 gno di ulteriori chiarimenti o desideriate approfondire queste cruciali tematiche. Si fa presente che le considerazioni e i punti di vista presentati in questa lettera dai suoi firmatari non devono essere considerati come opinioni dell’EMEA, del CPMP o di singole autorità sanitarie nazionali.▲ Distinti saluti BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 EDITORIALE FARMACOUTILIZZAZIONE Il mercato farmaceutico mondiale nel 2001 Come nelle edizioni degli anni scorsi, si riportano in questa rubrica del BIF i dati di vendita dei farmaci sul mercato mondiale. L’analisi, basata sui dati dell’IMS Health (http://www.imshealth.com), società che effettua indagini di mercato a livello internazionale, mostra il valore complessivo delle vendite dei farmaci nel 2001 e consente di evidenziarne le variazioni rispetto all’anno precedente sia sui singoli mercati principali, sia in relazione alle diverse categorie terapeutiche. Interessante appare anche il confronto del consumo dei farmaci in Italia con quello di altri Paesi. L’IMS Health riferisce che, nel 2001, le vendite di farmaci sul mercato mondiale hanno fatto registrare un incremento del 12%, determinando una spesa di 255 miliardi di dollari. L’analisi prende in esame le vendite delle farmacie aperte al pubblico dei 12 principali mercati a livello mondiale1 (v. Tabella 1) e mette in luce che il Nord America è l’area con i più elevati tassi di crescita (+17%), seguito da Australia e Nuova Zelanda (+12%) ed Europa (+10%). Relativamente all’Europa, i primi cinque mercati2, considerati globalmente, determinano una spesa di circa 53,8 miliardi di dollari: la Germania rimane il primo mercato europeo, seguita, nell’ordine, da Francia, Italia e Regno Unito. L’Italia è il terzo mercato in Europa e il quinto a livello mondiale, con vendite per 9,6 miliardi di dollari e un incremento delle stesse del 13% rispetto al 2000. Tale incremento, il più alto in Europa, è risultato quindi superiore a quello medio europeo che, nel periodo di riferimento, è stato del 10%. Le vendite del Giappone sono state stimate in oltre 47 miliardi di dollari, con un incremento del 4%; va sottolineato però che questo dato comprende, a differenza degli altri Paesi oggetto dell’indagine, sia le vendite delle farmacie sia quelle effettuate dagli ospedali. Anche Australia e Nuova Zelanda fanno registrare una crescita significativa rispetto al 2000 (+12%), mentre l’America del Sud (Messico, Brasile e Argentina) subisce nel complesso una diminuzione delle vendite del 4%: il notevole incremento del mercato messicano (+14%) si scontra, infatti, con le forti riduzioni nelle vendite di Brasile (-20%) e Argentina (-7%). Tabella 1. Vendite dei primi 12 mercati farmaceutici nel 2001 Paese Nord America USA Canada Europa (2) Germania Francia Italia Regno Unito Spagna Giappone (3) America Latina (4) Messico Brasile Argentina Australia/NuovaZelanda Totale Vendite 2001 (miliardi di dollari) Incremento % 2001 vs 2000 (1) 138,258 132,080 6,178 58,812 15,317 13,768 9,608 9,435 5,684 47,517 12,904 5,575 4,149 3,180 2,874 255,365 17 17 17 10 10 7 13 11 11 4 -4 14 -20 -7 12 12 L’incremento è calcolato a tasso costante, in modo da neutralizzare gli effetti dei tassi di cambio variabili. (2) Vendite dei primi cinque mercati: Germania, Francia, Italia, Regno Unito e Spagna. (3) Incluse le vendite delle farmacie ospedaliere. (4) Vendite relative ai tre principali mercati: Messico, Brasile, Argentina. (1) 1 2 Per il Giappone sono considerate anche le vendite attraverso le farmacie degli ospedali. Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 275 FARMACOUTILIZZAZIONE Le principali classi terapeutiche Considerando le sedici classi terapeutiche più vendute a livello mondiale (v. Tabella 2), si osserva che i farmaci a maggiore incidenza di spesa sono quelli per il sistema cardiovascolare (quasi 50 miliardi di dollari), seguiti dai farmaci per il sistema nervoso centrale (oltre 43 miliardi di dollari) e da quelli per l’appa- rato gastrointestinale e il metabolismo (39 miliardi di dollari). Il maggior incremento nelle vendite sul mercato mondiale è stato registrato dai farmaci per il sistema nervoso centrale (+17%), seguiti da sangue e organi emopoietici e dai farmaci per il sistema muscolo-scheletrico (entrambi +15%) e, al terzo posto, dai farmaci per il sistema respiratorio e dai citostatici (+14% per entrambe le classi). Tabella 2. Primi 12 mercati farmaceutici - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 2001 Classe terapeutica 1 Sistema cardiovascolare 2 Sistema nervoso centrale 3 Apparato gastrointestinale e metabolismo 4 Sistema respiratorio 5 Antinfettivi 6 Muscolo-scheletrici 7 Sistema genito-urinario 8 Citostatici 9 Dermatologici 10 Sangue e organi emopoietici 11 Organi di senso 12 Agenti diagnostici 13 Ormoni 14 Vari 15 Soluzioni per uso ospedaliero 16 Antiparassitari Vendite 2001 (miliardi di dollari) Incremento % 2001 vs 2000 (*) 49,968 43,060 39,037 24,142 22,903 15,664 14,680 10,218 8,351 7,816 5,259 4,492 4,024 3,507 1,855 386 10 17 11 14 6 15 11 14 5 15 9 9 8 5 -2 -3 (*) L’incremento è calcolato a tasso costante. Analizzando le vendite delle diverse classi terapeutiche sui mercati farmaceutici dei vari Paesi, si osserva che sul mercato nord-americano, i medicinali maggiormente venduti sono quelli per il sistema nervoso centrale, seguiti da sangue ed organi emopoietici, le cui vendite, rispetto al 2000, sono aumentate rispettivamente del 20% e 28%. Quest’ultimo incremento è in assoluto il più alto fatto registrare in quest’area geografica. Anche in Europa, sangue ed organi emopoietici, pur collocandosi solo al decimo posto nelle vendite, sono la classe terapeutica con il più alto tasso di crescita (+23%); tra le prime cinque categorie terapeutiche, invece, il maggiore incremento sul mercato europeo è presentato dai farmaci per il sistema nervoso centrale (+13%). Relativamente al mercato giapponese, il maggior tasso di incremento nelle vendite si rileva per i farmaci del sistema nervoso centrale (+11%), che rappresentano la seconda classe terapeutica per incidenza di spesa, preceduta solo dai cardiovascolari. Analizzando in particolare il mercato italiano, le principali classi terapeutiche in ordine decrescente di spesa sono riportate nella Tabella 3, che evidenzia 276 anche l’incidenza percentuale delle varie classi sul totale della spesa per farmaci in Italia, e la variazione percentuale rispetto all’anno 2000. La classe a maggiore incidenza di spesa risulta, come nel biennio precedente, quella dei cardiovascolari (24%), seguita dai farmaci per l’apparato gastrointestinale e il metabolismo (14%) da quelli per il sistema nervoso centrale (12%) e dagli antinfettivi (11%). Rispetto allo scorso anno si osserva, quindi, un minore peso dei farmaci antinfettivi che, nel 2000, rappresentavano il 12% del mercato italiano a pari merito con quelli per il sistema nervoso centrale. Anche in Italia, come in Europa e nel Nord America, la classe terapeutica con il maggior incremento di spesa è costituita da sangue ed organi emopoietici (+23%), che rappresentano, tuttavia, solo il 4% del mercato totale. Un notevole incremento è stato rilevato anche nelle vendite degli agenti diagnostici (+22%); tale dato, comunque, non appare molto significativo nel contesto globale, dato che questa classe terapeutica rappresenta soltanto l’1% delle vendite totali di farmaci in Italia. Tra le categorie terapeutiche a maggiore incidenza di spesa, gli incrementi più elevati sono stati quelli dei farBIF Nov-Dic 2001 - N. 6 FARMACOUTILIZZAZIONE maci per il sistema muscolo-scheletrico (+20%), seguiti dai farmaci per il sistema nervoso centrale (+18%), da quelli per il sistema respiratorio (+17%), dai cardiovascolari e dai farmaci per il sistema genito-urinario (entrambi +13%). La Tabella 3 riporta anche la posizione occupata da ciascuna classe terapeutica nella graduatoria delle vendite sul mercato europeo e negli Stati Uniti. Come si può osservare, il mercato italiano rispecchia sostanzialmente quello europeo e, sebbene nel confronto con gli USA si notino alcune discrepanze, va sottolineato che queste si sono attenuate rispetto all’anno precedente (v. BIF 2001;2:86-8): il caso più significativo è rappresentato dai farmaci per il sistema nervoso centrale che si trovano al terzo posto nelle vendite italiane e al primo in quelle degli Stati Uniti.▲ Tabella 3. Mercato italiano - Vendite delle principali classi terapeutiche nel 2001 Classe terapeutica Vendite 2001 (milioni di dollari) Incidenza % 1 Sistema cardiovascolare 2 Apparato gastrointestinale e metabolismo 3 Sistema nervoso centrale 4 Antinfettivi 5 Sistema respiratorio 6 Sistema muscolo-scheletrico 7 Sistema genito-urinario 8 Sangue e organi emopoietici 9 Citostatici 10 Dermatologici 11 Organi di senso 12 Ormoni 13 Agenti diagnostici 14 Vari 15 Soluzioni per uso ospedaliero 16 Antiparassitari Totale 2.317 1.372 1.173 1.019 844 597 583 429 414 302 211 166 130 30 15 6 9.608 24 14 12 11 9 6 6 4 4 3 2 2 1 0 0 0 Increm. % 2001 vs 2000 In Europa (*) (**) 13 12 18 2 17 20 13 23 7 9 14 7 22 9 7 4 (1) (3) (2) (5) (4) (7) (6) (8) (10) (9) (11) (12) (13) (14) (15) (16) In USA (2) (3) (1) (5) (4) (7) (6) (10) (8) (9) (11) (13) (12) (14) (15) (16) (*) L’incremento è calcolato a tasso costante. (**) Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 277 Comunicazioni e osservazioni al Bollettino dovranno essere inoltrate presso: Redazione Bollettino di Informazione sui Farmaci Direzione Generale della Valutazione dei Medicinali e della Farmacovigilanza Ministero della Salute Viale della Civiltà Romana, 7 00144 Roma Fax 06 59943117 Le comunicazioni relative a variazioni di indirizzo, dovranno riportare nome, cognome e nuovo indirizzo del destinatario, ed essere preferibilmente accompagnate dall’etichetta allegata ad una delle copie ricevute, in cui figurano codice, nome, cognome e vecchio indirizzo del destinatario stesso. Sono giunte in Redazione molte richieste d’informazioni sulla I edizione italiana di Clinical Evidence. Notiamo, con piacere, che tale pubblicazione ha suscitato notevole interesse tra i medici italiani ed in particolare tra i lettori del BIF, molti dei quali sarebbero interessati a riceverne una copia. A tal proposito, si precisa quanto segue: La realizzazione di un’edizione italiana di Clinical Evidence è un’iniziativa fortemente voluta dal Ministero della Salute per soddisfare il bisogno di aggiornamento continuo dei professionisti del settore e per facilitare l’accesso a informazioni attendibili sull’efficacia degli interventi medici. Tuttavia, questa I edizione si può considerare una “edizione lancio”, quasi in via sperimentale, per valutare, su un campione di lettori, l’accettabilità e l’impatto di un volume di questo tipo sull’attività quotidiana del medico. Pertanto, la prima fase di questo ambizioso progetto, prevede la pubblicazione soltanto di circa 50.000 copie da distribuire, attraverso le Regioni, ad un campione di medici di base, infermieri, medici specialisti ospedalieri e docenti universitari. È già in programma la pubblicazione del I aggiornamento dell’edizione italiana di Clinical Evidence che dovrebbe essere ultimato entro la fine del 2002, e che, dopo una valutazione accurata dei risultati raggiunti, si auspica possa avere una diffusione più capillare magari attraverso l’ausilio di Internet. La Redazione del BIF 278 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 SCHEDA DI SEGNALAZIONE DI SOSPETTA REAZIONE AVVERSA (Da compilarsi a cura del medico o farmacista) N.B. È OBBLIGATORIA SOLTANTO LA COMPILAZIONE DEI SEGUENTI CAMPI: 2; 4; 7; 8; 12; 22; N.B. È OBBLIGATORIA SOLTANTO LA COMPILAZIONE DEI SEGUENTI CAMPI: 2; 4; 7; 8; 12; 22 1 INIZIALI DEL PAZIENTE 2 3 7 DESCRIZIONE DELLE REAZIONI ED EVENTUALE DIAGNOSI* ETÀ 4 SESSO DATA D’INSORGENZA DELLA REAZIONE 5 6 ORIGINE ETNICA 8 CODICE MINISTERO SANITÀ: GRAVITÀ DELLA REAZIONE MORTE ■ HA PROVOCATO O HA PROLUNGATO L’OSPEDALIZZAZIONE ■ HA PROVOCATO INVALIDITÀ GRAVE O ■ PERMANENTE HA MESSO IN PERICOLO LA VITA DEL PAZIENTE 10 9 ESITO: RISOLTA * NOTA: SE IL SEGNALATORE È UN FARMACISTA, RIPORTI SOLTANTO LA DESCRIZIONE DELLA REAZIONE AVVERSA, SE È UN MEDICO ANCHE L’EVENTUALE DIAGNOSI. ■ ■ RISOLTA CON POSTUMI PERSISTENTE ■ ESAMI STRUMENTALI E/O DI LABORATORIO RILEVANTI ■ MORTE: 11 DOVUTA ALLA REAZIONE AVVERSA SPECIFICARE SE LA REAZIONE È PREVISTA NEL FOGLIO ILLUSTRATIVO ■ IL FARMACO POTREBBE AVER SI ■ NO ■ CONTRIBUITO ■ NON DOVUTA AL FARMACO COMMENTI SULLA RELAZIONE TRA FARMACO E REAZIONE SCONOSCIUTO ■ ■ INFORMAZIONI SUL FARMACO 12 13 FARMACO (I) SOSPETTO (I) LA REAZIONE È MIGLIORATA DOPO LA SOSPENSIONE DEL FARMACO? (NOME SPECIALITÀ MEDICINALE (*) A) SI ■ NO ■ B) C) * NEL CASO DI PRODOTTI BIOLOGICI INDICARE IL NUMERO DEL LOTTO 14 15 DOSAGGIO IN VIA DI SOMMINISTRAZIONE GIORNALIERO (I) 16 DURATA DELLA TERAPIA DAL A) A) A) B) B) B) C) C) C) 18 INDICAZIONI PER CUI IL FARMACO È STATO USATO 19 FARMACO (I) CONCOMITANTE (I) E DATA (E) DI SOMMINISTRAZIONE 20 CONDIZIONI CONCOMITANTI E PREDISPONENTI 17 AL RIPRESA DEL FARMACO SI ■ SI ■ NO ■ RICOMPARSA DEI SINTOMI 21 NO ■ LA SCHEDA È STATA INVIATA ALLA: AZIENDA PROD. DIR SANITARIA ■ ■ MINISTERO DELLA SANITÀ USL ■ ■ INFORMAZIONI SUL SEGNALATORE 22 FONTE: MEDICO DI BASE ✄ SPECIALISTA ■ FARMACISTA ■ ALTRO ■ OSPEDALIERO ■ ■ 23 NORME ED INDIRIZZO DEL MEDICO O FARMACISTA - N.UMERO ISCRIZIONE ORDINE PROFESSIONALE - PROVINCIA 24 DATA DI COMPILAZIONE 25 26 CODICE USL 27 BIF Nov-Dic 2001 - N. 6 FIRMA FIRMA RESPONSABILE 279 INFORMAZIONI SULLA DITTA FARMACEUTICA NOME E INDIRIZZO FONTE DELLA SEGNALAZIONE STUDIO CLINICO LETTERATURA PERSONALE SANITARIO NUMERO DI REGISTRO DATA IN CUI LA SEGNALAZIONE È PERVENUTA ALL’IMPRESA TIPO DI RAPPORTO: INIZIALE SEGUITO DI ALTRO RAPPORTO DATA DI QUESTO RAPPORTO Note sulla compilazione della scheda di segnalazione • Il campo N. 6 (codice Ministero della Sanità) non va compilato dal sanitario che segnala, ma dall’Ufficio competente del Ministero della Sanità. • Per ciò che attiene il campo N. 7, la descrizione della reazione deve essere il più ampia possibile e non limitarsi a pochi termini, cioè la descrizione dell’evento avverso dovrebbe, per quanto possibile, non coincidere con la diagnosi. • Il campo N. 8 è stato inserito come obbligatorio in quanto, dato che da alcune segnalazioni originano poi interventi incisivi per la salute pubblica, è di fondamentale importanza conoscere il livello di gravità della reazione stessa. Ovviamente, se la segnalazione si riferisce a reazioni non gravi il segnalatore può scegliere se scrivere non grave o non applicabile, sbarrare l’intero campo, o semplicemente lasciarlo in bianco. • Il campo N. 11 è anch’esso importantissimo, in quanto la menzione o meno della reazione avversa nel foglio illustrativo, e di conseguenza nella scheda tecnica permette al Ministero della Sanità di classificare tale reazione come inaspettata o meno. Ciò è 280 particolarmente utile nel caso vada avviata una procedura d’urgenza di variazione degli stampati. Sempre in questo stesso campo è riportata la richiesta di commenti sulla possibile relazione tra l’assunzione del farmaco e l’insorgenza della reazione avversa. In questo caso è opportuno rispondere dopo aver compiuto opportune verifiche (consultazione degli stampati e di testi scientifici, follow up, esami di laboratorio). • Il campo N. 21 serve soprattutto ad evitare le duplicazioni in caso la scheda sia stata spedita a più destinatari (Azienda USL, Industria Farmaceutica, etc.). • Il campo N. 27 va firmato dal responsabile del servizio farmacovigilanza della USL dopo che questi ha controllato la congruità della segnalazione stessa. In caso la segnalazione risultasse mancante di elementi importanti, è auspicabile che il responsabile suddetto si adoperi per acquisirne il più possibile. • Per quanto riguarda il retro della scheda si fa presente che esso va compilato dall’Azienda titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio, e non da chi riporta né dalla USL. BIF Nov-Dic 2001 - N. 6