diversi come due gocce d`acqua - Rivista Rocca
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65 ANNO periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia Rocca 15 ottobre 2006 4 6 10 11 13 e 2,00 sommario Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi 14 La Terza Via di Blair L’altra Cina Come nasce una donna Scuola: Questione insegnanti Risparmio energetico: La nuova casa NUMERO 20 Dove va la medicina Eutanasia: Di chi è la mia vita? Discussione aperta: Ricerca di un diverso modello di sviluppo Il caso e il Progetto intelligente 16 18 21 22 25 26 29 37 15 ottobre 2006 38 41 diversi come due gocce d’acqua TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE Nuovo-1 2-3 ISSN 0391 – 108X 20 42 45 04/10/2006, 16.27 Ci scrivono i lettori Anna Portoghese Primi Piani Attualità Valentina Balit Notizie dalla scienza Vignette Il meglio della quindicina 47 48 51 Raniero La Valle Resistenza e pace Il riscatto del servo 52 Maurizio Salvi Gran Bretagna La Terza Via di Blair 54 Filippo Gentiloni Eutanasia Di chi è la mia vita? 56 Aldo Eduardo Carra Proposte in discussione Un diverso modello di sviluppo 57 Romolo Menighetti Oltre la cronaca L’altra Cina 58 Pietro Greco Risparmio energetico La nuova casa 58 Oliviero Motta Terre di vetro Come dio comanda 59 Fiorella Farinelli Scuola Questione insegnanti 59 Elena Besozzi La comunicazione nella coppia Diversi come due gocce d’acqua Il maschile e il femminile alla prova 60 Romolo Menighetti Parole chiave Stato sociale 60 Giannino Piana Etica scienza società Dove va la medicina? 61 62 Stefano Cazzato Lezione spezzata Prof? Rosella De Leonibus Cose da grandi Come nasce una donna/1 Giuseppe Moscati Maestri del nostro tempo Martha Nussbaum Intelligenza delle emozioni e creatività delle relazioni 63 Vincenzo Andraous Sbarre e dintorni Catene invisibili Lilia Sebastiani Il concreto dello spirito Ancora una parola su Verona Enrico Peyretti Fatti e segni L’ora bella e l’ora triste Arturo Paoli Cercate ancora Logos come amore Carlo Molari Teologia Il caso e il Progetto intelligente Adriana Zarri Controcorrente Ascoltare la vita Giacomo Gambetti Cinema Ci vuole poco… Joe Petrosino Roberto Carusi Teatro L’agrodolce milanesità Renzo Salvi Rf&Tv Ulisse Mariano Apa Arte Nunzio Michele De Luca Fotografia Vienna 1861-1913 Alberto Pellegrino Musica Capossela Giovanni Ruggeri Siti Internet Società (non) informatica Libri Carlo Timio Rocca schede Paesi in primo piano Giordania Nello Giostra Fraternità ➨ l’articolo SCUOLA Fiorella Farinelli E gli insegnanti? Per cinque anni, quelli della gestione Moratti, se ne è discusso poco e male: perché l’attenzione è stata a lungo concentrata sulle scelte di riordino del sistema educativo e perché bruciavano ancora, a destra come a sinistra, le dure contrarietà della categoria all’idea stessa di valutabilità del lavoro docente che avevano bruscamente affossato il dicastero Berlinguer. Poi, negli ultimi tempi, il tema prevalente è stato quello del precariato: simbolo, certo, di un accesso assai agro alla professione e di mortificanti condizioni di lavoro, ma insufficiente per la sua parzialità ad affrontare la complessità della «questione insegnante». Che ora invece sta tornando alla ribalta, puntuale come il rimorso, e con l’autorevolezza dell’ultimo rapporto Ocse, ricco di analisi comparate sui sistemi educativi dei 30 paesi più sviluppati e, in questo quadro, anche di dati aggiornati sugli insegnanti italiani. Colpisce, intanto, che quasi la metà (49,8%) abbia più di 50 anni (4% i sessantenni), mentre solo un’esigua minoranza del 2% (contro il 12% della media Ocse) ne ha meno di 30. la carica dei cinquantenni ROCCA 15 OTTOBRE 2006 Che cosa significa? Le cause principali le conosciamo, e sono nella straordinaria avarizia con cui negli anni si è aperta la strada a concorsi ordinari cui potessero partecipare anche i laureati più giovani (mentre la parte del leone l’hanno fatta le periodiche immissioni in ruolo dei precari «storici» che, come dice il nome, non possono essere delle fasce più giovani): il che indica, se ce ne fosse ancora bisogno, che una criticità, altrettanto «storica», sta nel non aver risolto insieme ai nodi della formazione iniziale e del reclutamento anche vecchie rigidità dell’organizzazione e dell’orario di lavoro che riproducono inevitabilmente precariato. Ma questo significa anche – come insinuano numerosi commentatori – che un’età media così alta sia di per sé un fattore di negatività per la qualità della scuola italiana? Niente affatto, e comunque non necessariamente, dal momento che può essere, al contrario, l’indice di un corpo professionale con lunga esperienza e capace quindi di misurarsi con la problematicità dell’insegnare e dell’apprendere: ma a condizione, s’intende, che la formazione continua ci sia, sia seria e di qualità, produca risultati accertabili, assicuri sia aggiornamento che approfondimento, non sia affidata solo al volontariato professionale dei singoli. E sia ancorata a una valutazione oggettiva e scientifica dei risultati degli istituti scolastici. Al momento non è così, e deve farci pensare non solo il fatto, per esempio, che nella scuola italiana ci siano al momento solo 13 computer ogni 100 studenti (contro i 30 e più di altri paesi), ma anche che alla grande familiarità con le nuove tecnologie degli studenti si contrapponga un loro modestissimo impatto sulla didattica: uno scarto che sicuramente non rafforza la motivazione dei ragazzi e che li conferma, invece, nell’idea di un’inguaribile distanza tra la scuola e la vita, tra i saperi scolastici e la modernità. stipendi e carriera Ma gli insegnanti italiani non sono solo più anziani, e forse anche meno curati nella loro qualificazione professionale, della media Ocse. Sono anche meno e peggio retribuiti, e questo dato è tra quelli che, insieme con il lungo calvario del precariato, alimentano maggiormente disagio e mortificazione, sebbene in Italia sia l’intero lavoro dipendente ad essere caratterizzato da un consistente svantaggio retributivo rispetto ad altri paesi, anche della 26 Nuovo-1 sola area europea. In questo caso, lo scarto rispetto alla media Ocse è pari al 15% sull’intero percorso lavorativo, ma quello che colpisce di più è che la differenza tra stipendi iniziali e stipendi a fine carriera sia solo del 25%, e che lo sviluppo retributivo sia comunque basato solo sull’anzianità: non sul merito, dunque, non sull’impegno e sulla qualità professionale, non sulla densità e sulla ricchezza dell’esperienza. Un egualitarismo che dovrebbe favorire il lavoro in team (ma è davvero così?) e che però rischia di rendere poco attraente il lavoro docente: non è un caso che nel Nord ci sia da sempre scarsità di insegnanti di quelle materie scientifiche e tecnologiche che possono essere apprezzate e richieste da altri mercati del lavoro e che sia molto frequente la fuga verso altri lidi di laureati che nella scuola si sentono sottovalutati. Ora, è vero che la categoria – o meglio le sue associazioni di rappresentanza sindacale e professionale – si è spesso opposta a proposte di diversificazione delle funzioni e di ancoraggio della carriera a criteri diversi da quello, deprimente ma rassicurante, dell’anzianità; ma è anche probabile che quando di qui a pochi anni ci sarà un forte ricambio generazionale a seguito dei prossimi pensionamenti di vecchiaia e di anzianità, si faranno strada esigenze diverse. Non solo. Nel tempo è venuto crescendo – anche a seguito dell’autonomia scolastica – un settore di insegnanti che spende il suo impegno professionale in modo nuovo, sia sul piano strettamente didattico che su altri versanti delle attività delle scuole: e questo settore, il più innovativo e il più prezioso per la scuola, rischia ogni giorno crisi di disaffezione e di disimpegno pro27 26-27 04/10/2006, 16.27 ROCCA 15 OTTOBRE 2006 questione insegnanti SCUOLA prio perché le remunerazioni aggiuntive, che pure sono previste, sono di tale modestia economica da rasentare l’offensivo; e proprio perché non esistono, in sostanza, prospettive effettive di carriera se non uscendo dall’insegnamento. i dati Ocse-Pisa ROCCA 15 OTTOBRE 2006 Non sono pochi, dunque, né facili da risolvere i nodi che riguardano la condizione docente. Tanto più che dagli stessi risultati delle indagini internazionali affiorano discrasie o contraddizioni che, se non analizzate nelle loro cause, rischiano di portare fuori strada e, comunque, di non favorire interventi efficaci. Ocse, per esempio, ci dice che, sebbene la spesa per l’istruzione sul Pil sia in Italia inferiore a quella di altri paesi avanzati, questo riguarda il post-secondario (cioè l’università) e non la scuola materna, primaria, secondaria dove siamo invece allineati con i paesi che investono di più; che il costo medio annuale per studente non è affatto inferiore alla media, ed è anzi superiore rispetto ad altre realtà; che le classi sono mediamente meno affollate; che il tempo scuola degli studenti è più esteso che altrove. Come si spiegano allora le modestissime performances dei nostri quindicenni in italiano, matematica, scienze? E perché, analizzando i risultati di Ocse-Pisa, emergono in alcune aree territoriali risultati allineati ai paesi più avanzati e, viceversa, in altre aree territoriali risultati che ci accomunano ai paesi più arretrati? La tentazione, in cui cadono numerosi commentatori, è di buttare la colpa essenzialmente sugli insegnanti: che sarebbero troppi, troppo poco qualificati e, soprattutto, che lavorerebbero di meno perché il loro orario annuale risulta essere inferiore a quello degli insegnanti di altri paesi i cui sistemi educativi non escludono tanti ragazzi come da noi (dove è solo l’81% la percentuale dei giovani che si diplomano) e in cui i risultati dell’apprendimento sono migliori. Chi conosce la scuola sa che il quadro che emerge da questo tipo di analisi è per più aspetti non fedele alla realtà. L’orario annuale degli insegnanti, per esempio, appare inferiore perché le attività connesse con il lavoro didattico di aula sono solo parzialmente formalizzate, cosa che costituisce un vantaggio per i meno impegnati ma penalizza la parte, molto ampia, di insegnanti che invece lo sono. Le differenze territoriali sono anche il segno di diversificatissime politiche delle Regioni e delle Autonomie Locali che han- LA COMUNICAZIONE NELLA COPPIA no ormai ruoli molto importanti nell’assicurare un buon funzionamento delle istituzioni scolastiche. Il numero degli alunni per classe – quando si guardi solo ai valori medi – nasconde non solo inefficienze nel dimensionamento e nell’accorpamento degli istituti ma anche specificità del nostro sistema (come l’integrazione dei disabili, che facciamo solo noi, e l’insegnamento della religione) e del nostro territorio, in buona parte montano. Il tempo scuola molto ampio è dato anche dall’assurdità di orari settimanali pesantissimi ed obsoleti nell’istruzione professionale, che impone agli studenti un numero eccessivo di discipline, e così via. Un contesto difficile e complesso, su cui pesa anche una quantità davvero abnorme di adempimenti burocratici affidati agli insegnanti invece che alle strutture amministrative, che falsa la realtà effettiva del mondo della scuola e rischia di dare una lettura semplificata del lavoro docente e dei problemi da risolvere. E che non tiene conto dello stress e del disorientamento prodotto negli ultimi dieci anni da riforme annunciate e poi interrotte, da dispositivi avviati e poi lasciati cadere. la scommessa Non sono sensate, dunque, le analisi economiciste che hanno tanto successo sui media, e tanto meno le proposte che affidano a tagli indiscriminati la riqualificazione del sistema. La scuola – quella stessa che oggi è il presidio più importante per l’integrazione sociale e professionale degli immigrati e a cui vengono affidati compiti strategici per la costruzione della cittadinanza e per la formazione al lavoro – è un sistema complesso, in cui coesistono inerzie ed innovazioni, piatta routine ed esperienze didattiche avanzatissime. Risolvere questo problema innalzando la qualità media del sistema e diffondendo l’innovazione organizzativa e didattica in ogni ambito territoriale è la vera scommessa: che passa in larga misura attraverso politiche organizzative e politiche del personale più serie e più continuative che in passato, e attraverso investimenti mirati più a sostenere, sviluppare, riconoscere anche economicamente la qualità professionale degli insegnanti che ad incrementare il loro numero anche quando gli studenti diminuiscono. Gli insegnanti migliori lo sanno da tempo, ma troppo spesso e troppo a lungo sono rimasti da soli. Fiorella Farinelli diversi come due gocce d’acqua il maschile e il femminile alla prova Elena Besozzi H a ancora senso parlare oggi di maschile e femminile come di attributi chiari e predefiniti per ciascun soggetto che viene al mondo? Profonde trasformazioni hanno toccato infatti – e intaccato – il tradizionale modo di intendere e di realizzare l’essere uomo o donna all’interno della società, ma, ancora più evidente, appare il progressivo sganciamento della realizzazione di sé nell’ottica di un’appartenenza di natura, biologicamente data, come il sesso. Nascere maschio o femmina non definisce più di fatto un percorso declinato secondo i canoni culturali del maschile e del femminile. 28 Nuovo-1 29 28-29 04/10/2006, 16.27