robert mapplethorpe - rrose sélavy editore
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robert mapplethorpe - rrose sélavy editore
nien te di con testa bile {robert mapplethorpe} Nell’autoritratto del 1980, Robert Mapplethorpe ti guarda dritto negli occhi. Incorniciato in un quadrato perfetto – il formato favorito per i suoi scatti – il mezzobusto ritratto è quello di un giovane uomo bianco, di 34 anni, piuttosto glabro ed efebico nella muscolatura del petto appena accennata. È truccato, non da donna, ma come si truccano le donne degli anni ’80: sopracciglia naturali, ombretto denso che copre le palpebre, mascara che allunga e ripiega le ciglia, rossetto lucido, gloss come si diceva allora. Anche la pettinatura connota l’epoca, unisex, la stessa del John Travolta della Febbre del sabato sera o di Jane Fonda versione aerobica. Se non fosse già stato usato, il titolo di questa fotografia avrebbe potuto essere “Portrait of Rrose Sélavy” nell’accezione intesa da Duchamp – ritratto da Man Ray nel 1924 in abiti femminili – di “Eros c’est la vie”, perché l’eros è inscindibile dalla vita e dall’opera di Mapplethorpe. Nato nel 1946 in una famiglia cattolica irlandese medio-borghese naturalizzata americana, il giovane Robert, malgrado si senta attratto dalle riviste porno per gay, lotterà a lungo contro l’accettazione della propria radicale omosessualità che gli si rovescerà addosso come il crollo di una diga alla fine degli anni Sessanta. Sono, quelli fra il ’63 e il ’69, anni particolari per gli Stati Uniti: il Vietnam, le rivolte studentesche, la Beat generation, i Figli dei fiori, i movimenti di liberazione delle donne e degli omosessuali... Fenomeni che cambieranno rapidamente e irreversibilmente la società. Appresa questa “scomoda” condizione, Mapplethorpe decide di farne il soggetto della propria ricerca artistica. La sua prima mostra fotografica del 1973 fa 36 | Rrose. scandalo. Esposte polaroid che ritraggono se stesso e gli amici che frequenta, in pose sadomaso, in atti sessuali estremi, crude, esplicite, impietose. La sottocultura omosessuale newyorkese è lì rappresentata nella sua potente, oscena e dolorosa trasgressività. Sono scatti difficili da guardare, scuotono dentro, turbano profondamente anche perché riescono, nostro malgrado, ad eccitare. L’America si vergogna di queste immagini che mandano in frantumi il suo perbenismo e scatenano la sua sessuofobia. È questo, a mio avviso, il momento più interessante dell’intera opera di Mapplethorpe. Per la prima volta, soggetti e azioni solitamente protagonisti del mondo della pornografia, attraverso l’occhio del grande fotografo, si trasformano in pose di un realismo crudo e scioccante, ma di assoluta perfezione tecnica e compositiva. Vita e arte si fondono filtrate dai linguaggi delle avanguardie artistiche dell’epoca, ottenendo opere che rappresentano e rappresenteranno per sempre un particolare universo in un periodo storico tormentato e complesso. Quando guardo gli scatti indiscutibilmente belli degli anni ’80, non riesco ad impedirmi di pensare che in questo congelare pulsioni, azioni ed emozioni erotiche, spostandole sul piano della ricerca di perfezione, Mapplethorpe intraprenda anche un percorso di “purificazione” – che affonda le radici nella severa educazione cattolica ricevuta – quasi volesse riscattare col linguaggio della classicità e della bellezza le trasgressioni estreme rappresentate nelle prime opere. I nudi maschili “michelangioleschi”, il corpo scultoreo di Lisa Lyon, i fiori allusivi, i ritratti delle “celebrities” del più trasgressivo tra gli artisti figurativi oggi sono icone americane appese nei salotti buoni di mezzo mondo e hanno ottenuto il consenso generale, quello che appaga trasgressori e perbenisti, omo ed etero, sotto il grande cappello dell’arte non contestabile: “Spesso l’arte contemporanea mi mette in crisi perché la trovo imperfetta. (...) Nelle mie fotografie migliori non c’è niente di contestabile. (...) È quello che cerco di ottenere”. La seconda esposizione “The X portfolio” del 1978, tra osanna e censure, lo rende celebre. Ma i nuovi scatti, per quanto “forti”, sono già cambiati, si sono già indirizzati in quel percorso di ricerca della perfezione formale che sembra ossessionare il fotografo. La trasgressione estrema – almeno sul terreno della fotografia, non della biografia – sembra essersi placata. Uso le parole del fotografo Adriano Altamira: “L’operazione che sta dietro al mondo figurativo e all’imagerie di Robert Mapplethorpe è piuttosto trasparente: trasporre soggetti omoerotici nel territorio eletto e squisitamente formale della classicità, usare la natura morta come un genere allusivo, e infine fare del nudo – indifferentemente maschile o femminile – una forma di studio botanico”. Quando guardo gli scatti indiscutibilmente belli degli anni ’80, non riesco a non vederci anche linguaggi già sperimentati e percorsi, già battuti da altri grandi maestri della fotografia prima di lui. Ma forse questo è il prezzo che si paga quando il genio si coniuga col successo e il professionismo.# di Elisa Savi Ovadia © Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission. Rrose. | 37