Mini De Tomaso: la piccola pantera che non sconfisse lo scorpione

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Mini De Tomaso: la piccola pantera che non sconfisse lo scorpione
Mini De Tomaso: la piccola pantera
che non sconfisse lo scorpione
Era la nemica giurata dell’Autobianchi A112 Abarth, ma riuscì solo in minima parte a scalfirne il
successo nonostante i nomi prestigiosi che l’avevano ideata. Costruita a Milano,
come la rivale, perse nettamente il “derby della Madonnina”.
Storia ed evoluzione di un ormai raro modello di nicchia.
di Marco Chiari
La Mini De
Tomaso di 3/4
posteriore:
i fascioni
trasmettono
un'immagine
da sportiva;
il frontale
caratterizzato
dallo spoiler
comprendente
i fendinebbia;
particolare
della targa oro
rilasciata
all'esemplare
del servizio.
D
ici “Innocenti” e pensi subito alla Lambretta, oppure
alla copia della Mini inglese, perché si voglia o no questi sono gli stereotipi della ormai scomparsa casa automobilistica di Lambrate; se invece dici “De Tomaso”, il
pensiero corre subito alla leggendaria “Pantera”, la granturismo modenese che osò sfidare la triade
Ferrari - Maserati - Lamborghini. E
se abbiniamo i due marchi, tutti gli
appassionati di auto degli anni ’70
avranno già capito di che macchina parliamo: ci riferiamo alla Mini
De Tomaso che debuttò nel 1976
nel segmento inaugurato anni pri-
ma dalla Mini Cooper (ma
non dimentichiamoci delle
italiche Abarth e Giannini su
base Fiat) e consolidatosi appunto negli anni ’70 con la
prorompente avanzata della
A112 Abarth.
Facciamo un passo indietro;
qualche anno prima alla Innocenti dovettero porsi il non facile problema di rimpiazzare la
Mini Minor con un modello più
attuale e più confacente alla
mutate esigenze del mercato.
Benché l’utilitaria italo-inglese
avesse ancora un buon numero
di estimatori, era impensabile
cercare di arginare una concorrenza sempre più agguerrita, che faceva del portellone posteriore
un’arma micidiale: non solo Autobianchi ma anche Fiat 127, Renault
5, Peugeot 104 e altre ancora offrivano, nonostante il loro carattere
utilitario, una funzionalità sconosciuta alla Mini, il cui progetto, ri-
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cordiamo, risaliva agli anni ’50.
Per lo sviluppo del nuovo modello
ci si affidò nientemeno che a Bertone, sicuramente uno dei carrozzieri più qualificati e in voga, che
propose alla Innocenti una moderna linea spigolosa ispirata a quella
di un prototipo di coupé a quattro
posti su base Fiat 128 presentato
dallo stesso Bertone al salone di
Torino del 1969. Il tetto era caratterizzato da un piccolo rialzo nella
parte posteriore, molto personale
la coda che sfoggiava i paraurti in
due pezzi separati con la targa al
centro, soluzione già adottata dal
carrozziere torinese sulle Fiat 850
spider e X1/9; frontale più sempli-
ce, dotato di fari rettangolari come
la quasi totalità delle auto del periodo. Ed è così’ che nacquero le
“Mini 90” e le “Mini 120”.
Non si può certo dire che gli uomini del marketing Innocenti avessero dimostrato grande fantasia nel
battesimo del nuovo modello ma,
staccarsi troppo dal nome “mini”
probabilmente spaventava; i numeri 90 e 120 si riferivano alla cilindrata dei due propulsori proposti
(rispettivamente da 998 cc erogante 49 CV e 1.275 cc da 65 CV).
La 90 era disponibile in due allestimenti, normale e SL, mentre la versione con cilindrata maggiore veniva offerta soltanto nella versione
SL che faceva sfoggio di un allestimento più curato e di un certo numero di cromature, assenti invece
sulla 90 normale le cui finiture
esterne erano caratterizzate dal
colore nero, una scelta sicuramente azzeccata e all’avanguardia visto che nel giro di pochi anni tutti i
costruttori vi si uniformarono.
Nel novembre 1974, la vettura fu
presentata al pubblico nonostante
l’azienda fosse vittima di un pesante travaglio societario. Già da
tempo la famiglia Innocenti aveva
ceduto le quote del proprio impero, l’industria siderurgica che produceva i famosi tubi Innocenti (come vengono chiamati ancora oggi) era finita nell’orbita IRI, mentre
il settore auto era stato ceduto alla
La linea di
British Leyland, la quale, già alle
Bertone
prese con notevoli grattacapi al
all'epoca era
proprio interno e in forte difficoltà
davvero
nel gestire una situazione sindaca- all'avanguardia;
particolare
le tutt’altro che facile, era alla ricerca di un nuovo acquirente (che tro- della fanaleria
posteriore; la
verà in Alejandro De Tomaso) per
mascherina a
chiudere quanto prima la propria
nido d'ape
presenza produttiva in Italia e sbaricorda la
razzarsi del problema.
De Tomaso
La nuova Mini era effettivamente "Longchamp".
una vettura moderna e interessante; logicamente a trazione anteriore, lunga tre metri e tredici centimetri, tre porte e quattro posti; ovviamente quelli posteriori erano
angusti e anche il vano bagagli era
poco più che simbolico. Ma la possibilità di ribaltare il divano posteriore era a quei tempi una formidabile arma commerciale; ricordiamo a tal proposito che la Fiat 127
nacque a due porte e, poco dopo,
fu proposta anche la versione con
portellone (molto probabilmente
a Torino avevano paura della Renault 5!) che attirò buona parte deN. 12 - 2010 -
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La strumentazione
completa
come si
conviene ad
una vera
sportiva;
il posto guida
in cui spicca il
volante molto
inclinato; la
selleria della
"De Tomaso"
disponeva di
un esclusivo
rivestimento
zigrinato.
gli ordini, mentre le versioni a due porte continuarono ad essere preferite da chi intendeva
adottare l’impianto a
gas.
Meccanicamente, sotto
una cornice del tutto
nuova si celavano i vecchi motori Leyland; anche per le sospensioni
nulla di nuovo, tant’è che
il principale limite della
nuova Mini era lo scarso
comfort dovuto a sospensioni rigide come
un sasso, che fra le altre
cose non aiutavano la
stabilità specialmente
sui fondi sconnessi. E neanche la silenziosità veniva in soccorso. I motori
erano abbastanza ruvidi
e sappiamo tutti bene
che sulle utilitarie dei primi anni ’70 l’insonorizzazione era un pro forma o
poco più.
Nonostante questi difetti, presto le strade italiane si popolarono della nuova utilitaria e la
maggior parte delle preferenze si
indirizzò sulla 90, in quanto la brillante 120 possedeva un aspetto
troppo lezioso per piacere agli
sportivi.
De Tomaso, che nel frattempo in
collaborazione con l’ente statale
GEPI aveva rilevato l’Innocenti (la
Leyland-Innocenti SpA venne messa in liquidazione e fu costituita la
Nuova Innocenti SpA), volle astutamente sfruttare il proprio nome
per creare una versione veramente
sportiva: un nome come De Tomaso su una piccola vettura, nelle intenzioni dell’azienda avrebbe costituito un plus non indifferente,
un po’ come avveniva con lo scorpione dell’Abarth sulla A112.
La rivalità con quest’ultima era
particolarmente sentita; a De Tomaso non andava giù il fatto che la
nuova Mini non riuscisse ad imporsi sull’Autobianchi progettata
molti anni prima. Certo che un po’
di obiettività avrebbe dovuto far
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comprendere che le qualità stradali della A112 erano ben altra cosa, ma l’italo-argentino, si sa, non
era un personaggio facile e avendo perso la sfida con il modello
normale, rilanciò puntando su
quello sportivo. In fin dei conti il
motore a disposizione era quello
della Mini Cooper e l’assetto rigido
ben si prestava ad una meccanica
più potente; si trattava solo di “incattivire” un po’ l’estetica per trasmettere una maggiore grinta, forse pensando di fare breccia negli
abarthisti duri e puri, i quali rimproveravano alla A112 una immagine un po’ troppo raffinata e poco
sportiva, specie dopo l’eliminazione del cofano nero. Infine, la maggiore cilindrata (1.300 cc per 71 cavalli) avrebbe dovuto aiutare a renderla più appetibile rispetto alla
concorrente.
Non andò proprio così e sebbene
la Mini De Tomaso avesse un suo
pubblico e si dimostrasse davvero
brillante, non scalzò mai la rivale
che nel frattempo aveva provvi-
denzialmente elevato la propria
potenza da 58 a 70 cavalli e si faceva forte di un’immagine costruita
su numerosi successi sportivi, oltre
che su una maggiore comodità e
su una tenuta di strada davvero da
altro pianeta. Ancora oggi la supremazia perdura e lo si osserva
dalle quotazioni: le A112 Abarth
spuntano sovente cifre più elevate
di quelle delle Mini De Tomaso e
sono ricercatissime, nonostante la
maggiore diffusione.
La carrozzeria della Mini De Tomaso fu quindi dotata di una calandra
il cui disegno, a nido d’ape, riprendeva quello della coupé De Tomaso Longchamp, e da un fascione
anteriore in plastica nera dotato di
spoiler che incorporava una coppia di fari fendinebbia gialli; anche
in coda comparve un unico paraurti in resina di colore nero, che
discendeva assotigliandosi in corrispondenza della targa, e comprendeva anche le luci retronebbia. Una fascia paracolpi laterale,
con codolini ai passaruota, cerchi
sportivi e una presa d’aria
sul cofano, completavano
il quadro. La potenza venne portata a 71 cavalli a
6.100 giri; la velocità massima si attestò sui 160 km
orari mentre il consumo
medio (9,1 litri per 100
km) non era proprio contenuto; gli interni furono
migliorati adeguando la
strumentazione, ora più
completa, e la selleria che
sfoggiava un tessuto specifico. Della De Tomaso
venne realizzata anche la
versione Special, meglio
rifinita e più accessoriata
Nel frattempo le condizioni del mercato si fanno
sempre più difficili: le piccole sportive tirano sempre di più, ma il numero di
concorrenti aumenta in
modo esponenziale. Nel
1978 la Fiat lancia la 127
Sport, che condivide la
meccanica con la A112
ma ha una maggiore vocazione familiare; dalla Francia
piovono le versioni pepate della
Peugeot 104 (abbastanza nervosa
e difficile da domare, nonostante
un’immagine signorile e rassicurante), della Citroen Visa e della Renault 5, la quale, dopo la TS, ha lanciato la 5 Alpine dal 1980 disponibile anche in versione sovralimentata; dal Regno Unito arriva la Austin Metro MG che di fatto condivide buona parte degli organi meccanici con la De Tomaso. I tedeschi
non stanno a guardare e le Ford
Fiesta XR2, le Volkswagen Polo
Coupè e le Opel Corsa GT, che oltretutto sono di progettazione più
recente, valicano le Alpi e scendono in Italia.
All’estero le cose vanno ancora
peggio: oltre alla debolezza della
rete commerciale e dell’immagine
Innocenti contrapposta alla forza
dei marchi locali, si assiste allo
sbarco in forze dei giapponesi che
occupano senza pietà ogni possibile nicchia di mercato, specialmente in quei paesi privi di un’in-
dustria automobilistica locale.
De Tomaso decide allora di “giocare il carico da undici”. Nel 1982 rinnova tutta la gamma Mini intervenendo su calandra, fari, paraurti e
interni per conferire un aspetto
più attuale senza modificare gli
stampi della carrozzeria; la vettura
ora si chiama “Innocenti 3 cilindri”
in quanto le novità più interessanti
sono sotto al cofano: l’industriale
italo-argentino si è infatti alleato
con i giapponesi della Daihatsu
per la fornitura della meccanica,
costituita da un propulsore a tre cilindri da 993 cc, che la casa nipponica da tempo adotta con successo sulle proprie utilitarie. Singolare
la campagna pubblicitaria adottata: da un’immagine di quattro ci-
lindri, uno veniva depennato con una x rossa e lo slogan recitava: “un quarto di
problemi in meno”; oppure
l’immagine di quattro
sceicchi, dove anche qui
un cilindro veniva eliminato sempre da una x rossa
con la didascalia “un quarto di benzina in meno”.
L’operazione generò un
discreto rilancio della
vettura, che comunque
si trovò a sostenere un
confronto impari con
auto molto più giovani
spesso offerte ad un
prezzo più competitivo.
Nel corso degli anni, la
gamma sarà poi completata dalle
versioni automatica, Diesel, 500 e
650 (queste ultime a due cilindri)
per cercare di sfruttare ogni possibile sbocco di mercato. Si trattava
ora di ricreare anche la versione
sportiva e la cosa non fu difficile,
perché nel magazzino motori della
Daihatsu lo stesso propulsore esisteva anche in versione turbocompressa da 72 cavalli. E nell’ottobre
1983 debuttò la “Innocenti Turbo
De Tomaso”. La presenza del turbocompressore IHI permise di assorbire agevolmente il calo di cilindrata, aumentando la velocità
massima fino a 165 km/h, a fronte
di un netto miglioramento nei
consumi di carburante (7,4 litri/100
km); le modifiche estetiche si concentrarono sulla calandra a maglie
di forma quadrata, mentre in coda
fra i due fanali a sviluppo orizzontale comparve una fascia rifrangente recante la scritta “turbo”.
La presenza di una turbina su un
motore di cilindrata inferiore al litro, soluzione tipicamente giapponese, la rese unica nel panorama
delle auto costruite in Europa. Nel
giugno del 1988 furono apportate
altre modifiche, ma alle soglie degli anni ’90, l’estetica si mostrava
assai datata; fu il canto del cigno in
quanto la vettura, ormai superata,
restò a listino fino al 1990 raccogliendo un numero sempre minore di preferenze.
L’assenza di modelli totalmente
nuovi portò l’Innocenti (che dal
1984 divenne di proprietà del solo
De Tomaso che ne curò la fusione
con la Maserati) verso un inesorabile declino.
Nel 1990 le varie evoluzioni della
Mini (990 e Small) non riescono
più a dare ossigeno alla Casa di
Lambrate che viene assorbita dalla
Fiat; con il marchio Innocenti viene
distribuita la Koral, prodotta in Jugoslavia dalla Zastava, su base
meccanica della vecchia Fiat 127, e
successivamente il marchio viene
utilizzato per la Elba (nient’altro
che una Fiat Duna Weekend) e per
la “Mille”, un remake della Uno dopo che questa era uscita dal listino
Fiat; e nel 1997 il nome scompare
definitivamente senza lasciare
grossi rimpianti.
Oggi una “Mini 90” in buone condizioni è quasi introvabile; meno difficile, invece, reperire una De Tomaso, come lo splendido esemplare del 1982 oggetto del nostro reportage. Infatti, la caratterizzazione marcatamente sportiva di questa versione ha indotto ad ipotizzare un futuro da storica e ha consentito la conservazione di un
maggior numero di esemplari.
La reperibilità dei ricambi non è
sempre facile, soprattutto per certi
particolari; esiste comunque una
nota azienda specializzata nei ricambi della Innocenti mentre, per
alcune componenti meccanici, ci
si può rivolgere oltremanica data
la derivazione dalle Mini inglesi
per le quali il materiale abbonda.
Ricordiamo che anche la Mini De
Tomaso, come la maggior parte
delle vetture economiche, non è
consigliata agli speculatori; un restauro radicale non è infatti mai
conveniente se svolto a scopo di
Il motore di
origine
Leyland;
il cerchione
sportivo con il
logo innocenti
e, a fianco,
la targhetta
"Bertone;
il tappo del
serbatoio
privo di
sportello.
lucro. D’altro genere le motivazioni affettive, collezionistiche o storiche; e se si ha la fortuna di scovare
un esemplare in buono stato che
necessita solo di qualche piccolo
intervento, ecco che merita di essere considerato. É una macchina
che si presta per le gare di regolarità e per raduni, e non disdegna i
lunghi trasferimenti, a patto di
avere una schiena resistente e un
udito non troppo sensibile. 
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