Un`adeguata ermeneutica conciliare

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VATICANO II
Un’adeguata
ermeneutica
conciliare
A
Il card. Angelo Scola
nel 50° anniversario
d e l l ’a p e r t u ra d e l Vat i c a n o I I
Lo scorso 3 ottobre, il card. Scola ha tenuto la prolusione d’apertura – intitolata Dagli albori all’apertura del Concilio.
Note per una lettura del Vaticano II – al
Convegno internazionale «Il concilio
ecumenico Vaticano II alla luce degli archivi dei padri conciliari», promosso (dal
3 al 5 ottobre) dal Pontificio comitato di
scienze storiche in collaborazione col
Centro studi e ricerche «Concilio Vaticano II» della Pontificia università lateranense. «Nel rispetto della mia competenza», scrive l’arcivescovo di Milano, il
contributo «intende soffermarsi su tre
nodi ermeneutici emergenti dai principali
fatti e documenti del periodo di cui il Congresso si occupa»: il rapporto tra l’elemento teologico e quello storico, e di conseguenza la definizione del «soggetto»
dell’ermeneutica conciliare; la questione dell’«indole pastorale del Vaticano II»;
e l’intreccio tra «evento» e «corpus dottrinale». L’intenzione dichiarata, «offrire
qualche pista per un’adeguata ermeneutica conciliare necessaria per comprendere il processo di recezione», trova
nell’idea di riforma nella continuità,
proposta da Benedetto XVI, la categoria
che sembra «più conveniente per leggere la natura dell’evento conciliare e per
un’adeguata ermeneutica del suo corpus
nell’ottica della pastoralità».
Stampa da supporto digitale in nostro possesso. Titolazione redazionale.
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vvicinarsi oggi al Concilio
Un concilio ecumenico, nel quale il Collegio dei vescovi
esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale,1
domanda una lettura compiuta in cui l’elemento teologico
e l’elemento storico, sempre necessariamente intrecciati,
concorrano a spiegarne tutta la portata per la Chiesa e la
sua missione.2 In questo senso un concilio è sempre un
evento, connotato da precisi dati storici, attraverso il quale
il «soggetto Chiesa» si esprime in vario modo e secondo
varie forme, ma soprattutto attraverso un corpus di insegnamenti. Non a caso Dei Verbum 8 descrive questo soggetto in azione con le seguenti parole: «Nella sua dottrina,
nella sua vita e nel suo culto la Chiesa perpetua e trasmette
a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa
crede» (EV 1/882).3 Pertanto, il concilio ecumenico costituisce un’occasione eccezionale nella vita del «soggetto
Chiesa». Convocati dal papa e sotto la sua presidenza i vescovi, nel concilio ecumenico, «sono per tutta la Chiesa dottori e giudici della fede e della morale» (LG 25; EV 1/345).
Nel concilio, infatti, la Chiesa si trova autenticamente rappresentata: «I singoli vescovi rappresentano la propria
Chiesa, e tutti insieme col papa la Chiesa intera, nel vincolo della pace, dell’amore e dell’unità» (LG 23; EV 1/338).4
La Chiesa, autenticamente rappresentata nel concilio
ecumenico, è un soggetto vivente. Non è quindi possibile
avvicinarsi ai primi passi del Vaticano II – Dagli albori all’apertura del Concilio – prescindendo dalla sua recezione.
Al di là dell’importanza di una considerazione accurata
degli avvenimenti del periodo compreso tra l’annuncio del
Concilio, il 25 gennaio 1959,5 e il messaggio al mondo del
20 ottobre 1962,6 affinché la loro rilevanza ecclesiale
emerga è necessario che essi siano colti a partire dal presente. In quest’ottica è indubbio che la fase attuale di recezione del Vaticano II è segnata dall’ormai celebre discorso
di Benedetto XVI alla curia romana del 22 dicembre 2005.
In esso il papa invitava a ripensare il nesso tra ermeneutica
e recezione del Concilio.7
Cominciamo con identificare sinteticamente la sequenza di tali avvenimenti.8
Nella fase antepreparatoria, il 17 maggio 1959, viene isti-
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tuita la Commissione antepreparatoria,9 presieduta dal cardinale Domenico Tardini,10 il quale nel mese successivo invierà la lettera di consultazione ai futuri padri conciliari.11
Il 15 luglio successivo, il papa comunica al segretario di
stato che il concilio si chiamerà «Vaticano II».12 La registrazione e la schedatura delle risposte dei vescovi, dei superiori generali, delle università e dei dicasteri romani alla
richiesta del segretario di stato sarà il compito fondamentale
di questa fase.13 Dal 24 al 31 gennaio 1960, viene celebrato
il Sinodo romano.14
La fase preparatoria si apre con il motu proprio Superno
Dei nutu, del 5 giugno 1960, che istituisce le commissioni
preparatorie e il Segretariato per l’unità dei cristiani.15 Le
commissioni iniziano e svolgono il loro lavoro mentre si verificano alcuni fatti significativi dal punto di vista ecclesiale
– la pubblicazione dell’enciclica Mater et Magistra il 15 maggio 1961,16 del monitum Biblicarum disciplinarum studio da
parte del Sant’Uffizio, il 20 giugno 1961,17 e della costituzione apostolica Veterum Sapientia sulla scelta di mantenere
il latino sia nell’insegnamento ecclesiastico sia nella liturgia,
del 22 febbraio 1962 –18 e dal punto di vista sociale: il 13
agosto 1961 inizia la costruzione del muro di Berlino.
Il compito di guidare tali lavori preparatori è affidato alla
Commissione centrale preparatoria che celebra, fra il 1961
e il 1962, sette sessioni.19 Il 25 dicembre 1961, Giovanni
XXIII pubblica la costituzione apostolica Humanae salutis
e indice il concilio Vaticano II.20 Poco dopo, il 2 febbraio
1962, ne fissa l’inizio per l’11 ottobre 1962.21 Infine, rientrano nella fase iniziale dei lavori conciliari la pubblicazione, il 6 agosto 1962, dell’Ordo concilii oecumenici Vaticani
secundi celebrandi,22 e il radiomessaggio dell’11 settembre,23
che precedono l’apertura solenne dell’assise conciliare e l’allocuzione Gaudet mater Ecclesia.24
Il presente contributo, nel rispetto della mia competenza,
intende soffermarsi su tre nodi ermeneutici emergenti dai
principali fatti e documenti del periodo di cui questo congresso si occupa. L’intenzione è quella di offrire qualche
pista per un’adeguata ermeneutica conciliare necessaria per
1
Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. Lumen gentium (LG)
sulla Chiesa, n. 22s; EV 1/336-341; Codice di diritto canonico cann. 336341. Rimane, inoltre, di importante lettura la relazione dottrinale Elapso
oecumenico concilio, sulla collegialità dei vescovi nella Chiesa, dell’Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi del 1969, cf. EV 3/1653-1682.
2
In proposito cf. F.S. VENUTO, La recezione del concilio Vaticano II nel
dibattito storiografico dal 1965 al 1985, «Studia Taurinensia» 34, Effatà,
Cantalupa 2011; M. TAGLIAFERRI, «La recezione del concilio Vaticano
II: il recente dibattito tra teologia e storia», in Rivista di teologia dell’evangelizzazione 10(2006) 20, 401-427.
3
I documenti conciliari sono citati sempre seguendo l’edizione seguente: CONCILIO VATICANO II, Costituzioni, decreti, dichiarazioni. Testo
ufficiale e traduzione italiana, LEV, Città del Vaticano 1998.
4
Infatti com’è noto «l’origine sacramentale della dimensione personale del ministero episcopale conferisce al vescovo una capacità di rappresentazione radicalmente diversa rispetto all’istituto della rappresentazione, tipico delle esperienze giuridiche laiche. (…) La capacità
rappresentativa del ministero ordinato, da cui deriva la sinodalità, non è
perciò di natura sociologica, bensì sacramentale ed ecclesiologica, poiché
presuppone il possesso individuale del sacramento dell’ordine da parte di
ogni vescovo. È in forza del sacramento dell’ordine che il vescovo rappresenta la propria Chiesa particolare in seno a quella universale e quest’ultima in seno a quella particolare» (E. CORECCO, «Sinodalità e partecipazione nell’esercizio della “potestas sacra”», in ID., Ius et communio, t. II,
Piemme, Casale Monferrato 1997, 109-129, qui 113). Non è, quindi, teologicamente pertinente affermare che il Vaticano II fu «un’assemblea, tuttavia, la cui rappresentatività era mortificata dal fatto di essere quasi esclusivamente composta da chierici e con l’assenza dell’universo femminile»
(G. ALBERIGO, Transizione epocale. Studi sul concilio Vaticano II, Il Mulino,
Bologna 2009, 800).
5
Cf. Primus oecumenici concilii nuntius, in Acta et Documenta concilio oecumenico Vaticano II apparando. Series I (antepraeparatoria) (AD Series I), I, 3-6.
6
Il testo approvato in Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici
Vaticani Secundi, Typis Pol. Vaticanis 1970-1980, in AS I 1, 254-256.
7
Cf. BENEDETTO XVI, Discorso alla curia romana per la presentazione degli auguri natalizi, 22.12.2005, in AAS 98 (2006), 40-53, in particolare 45-52; Regno-doc. 1,2006,5ss. Su questo discorso si veda G.
ROUTHIER, «Sull’interpretazione del Vaticano II. L’ermeneutica della riforma, compito per la teologia» I e II, in Rivista del clero italiano 92 (2011),
744-759 e 827-841. Inoltre cf. A. SCOLA, «Credo Ecclesiam», in Communio. Rivista internazionale di teologia e cultura (2010) 226, 10-13. Un commento generale ai testi del Vaticano II nella prospettiva indicata dal papa
in M.L. LAMB, M. LEVERING, Vatican II. Renewal within Tradition, University Press, Oxford 2008. Questo volume è particolarmente valorizzato
da A. MARCHETTO, Il concilio ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica, LEV, Città del Vaticano 2012, 269-288.
8
A questo scopo resta prezioso il contributo di Giovanni Caprile: G.
CAPRILE, Il concilio Vaticano II. Annunzio e preparazione I. Parte 1: 19591960 e Parte 2: 1961-1962, La Civiltà cattolica, Roma 1966. Inoltre R.
AUBERT, «La preparazione», in M. GUASCO, E. GUERRIERO, F. TRANIELLO
(a cura di), Storia della Chiesa, vol. 25/1, La Chiesa del Vaticano II (19581978), San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, 129-157; R. AUBERT, C. SOETENS, «La preparazione e l’apertura del Concilio», in J.-M. MAYEUR (a
cura di), Storia del cristianesimo, vol. 13, Crisi e rinnovamento dal 1958 ai
giorni nostri, Borla – Città nuova, Roma 2002, 29-37; G. ALBERIGO (dir.),
Storia del concilio Vaticano II, vol. 1, Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’annuncio e la preparazione, Peeters – Il Mulino, Leuven – Bologna 1995, con contributi di G. Alberigo, E. Fouilloux, J. Komonchak, J.
Oscar Beozzo e K. Witstadt. Inoltre si veda la recensione critica a questo
primo volume della Storia del Concilio in A. MARCHETTO, Il concilio ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, LEV, Città del Vaticano
2005, 93-102. Infine cf. P. CHENAUX, Il concilio Vaticano II, Carocci, Roma
2012, 43-50; G. SALE, «L’annuncio e la preparazione del concilio Vaticano II», in La Civiltà cattolica 163(2012) II, 531-544.
9
Cf. AD Series I, I, 22-23.
10
Cf. C.F. CASULA, «Tardini e la preparazione del Concilio», in G.
GALEAZZI (a cura di), Come si è giunti al concilio Vaticano II, Massimo,
Milano 1988, 172-195.
11
Cf. AD Series I, II, 1, X-XI.
12
Cf. CAPRILE, Il concilio Vaticano II, Parte 1, 169. Altri autori parlano del 14 luglio, cf. G. ALBERIGO, «L’annuncio del Concilio», in ID. (dir.),
Storia del Concilio Vaticano II. 1, 66-70. Pubblicamente il papa comunicò
la denominazione del Concilio nell’allocuzione del 7 dicembre 1959, cf.
AD Series I, I, 60-61.
13
Tali risposte possono essere consultate: le risposte dei vescovi e prelati in AD Series I, II/1-8; quelle delle Congregazioni romane in AD Series
I, III, e quelle delle Università ecclesiastiche e cattoliche in AD Series I,
IV/1,1-2 e 2. Frutto del lavoro di schedatura e sintesi è l’Analyticus conspectus consiliorum et votorum quae ab episcopis et praelatis data sunt, in AD
Series I, Appendix voluminis II, pars 1 et 2. Sulle risposte pervenute e il lavoro per la realizzazione dell’Analyticus e il suo risultato cf. A. MELLONI,
«Per un approccio storico-critico ai “consilia et vota” della fase antepreparatoria del Vaticano II», in Rivista di storia e letteratura religiosa
26(1990), 556-576; E. FOUILLOUX, «La fase antepreparatoria (19591960)», in ALBERIGO (dir.), Storia del concilio Vaticano II. 1, 105-124.
14
Cf. CAPRILE, Il concilio Vaticano II, Parte 1, 339-358; M. MANZO,
Papa Giovanni vescovo a Roma: sinodo e pastorale diocesana nell’episcopato romano di Roncalli, San Paolo, Cinisello Balsamo 1991.
15
Cf. AD Series I, I, 93-99.
16
Cf. AAS 53 (1961), 401-464; EE 7/222-481.
17
Cf. AAS 53 (1961), 507.
18
Cf. AAS 54 (1962), 129-135.
19
Ecco le date delle sette sessioni: 12-20 giugno e 7-17 novembre
1961; 15-23 gennaio, 19-27 febbraio, 26 marzo - 3 aprile, 3-12 maggio e
12-19 giugno 1962. Gli atti di tale sedute in AD Series II, II/1-4.
20
Cf. AD Series II, I, 132-143; EV 1/1*-23*.
21
Cf. motu proprio Consilium in AD Series II, I, 160-161; EV 1/24*.
22
Cf. motu proprio Appropinquante Concilio, in AD Series II, I,
306-325.
23
Cf. AD Series II, I, 348-355; EV 1/25*.
24
Cf. AS I/1, 166-175; EV 1/26*-69*.
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comprendere il processo di recezione. Per comodità li anticipo: la considerazione dei precedenti teologici e ecclesiali
del Vaticano II e dell’iniziativa di Giovanni XXIII ci introdurrà nella questione del rapporto tra l’elemento teologico
e l’elemento storico e, conseguentemente, in quella del «soggetto» adeguato dell’ermeneutica conciliare. In secondo
luogo, a partire dalle indicazioni offerte da papa Roncalli,
affronteremo la questione dell’indole pastorale del Vaticano
II. Infine, considerando gli inizi dei lavori e la vicenda degli
schemi approntati dalle diverse commissioni preparatorie,
proporrò qualche nota sull’intreccio evento-corpus dottrinale.
1.
Il soggetto dell’ermeneutica conciliare
Tra i due Concili
Non è agevole presentare un quadro sintetico dei decenni che intercorrono tra l’interruzione del Vaticano I e
l’annuncio di un nuovo concilio ecumenico. La difficoltà deriva dalla molteplicità e complessità delle questioni in gioco
nei pontificati che si sono succeduti. A titolo di esempio possiamo citare alcuni elementi: il peso della questione sociale
negli anni del pontificato di Leone XIII,25 l’inizio delle riforme e la crisi modernista in quelli di san Pio X,26 la tragedia della prima guerra mondiale con Benedetto XV,27 la
soluzione della questione romana con Pio XI28 e, infine, il
complesso e ricco pontificato di Pio XII, tuttora oggetto di
disparate valutazioni.29
Per quanto riguarda l’oggetto del nostro contributo è
possibile individuare due elementi particolarmente significativi. Entrambi si presentano sotto la forma del paradosso.
In primo luogo, occorre fare riferimento al contesto ecclesiale e socio-culturale della prima metà del Novecento.
In esso troviamo, da una parte, una situazione problematica della Chiesa nei confronti del «mondo»: mi riferisco
al noto confronto con la modernità e alle difficoltà cui esso
ha condotto. Lo storico Martina così descrive questa situazione: «Si avvertiva da molti l’urgenza di adeguare la
Chiesa a una situazione per molti aspetti nuova che si era
sviluppata abbastanza rapidamente negli ultimi decenni e
di farla uscire da quella severa chiusura, da quella diffidenza
verso il mondo moderno, da quella lentezza nel cammino,
da quella ritrosia a ogni dialogo veramente aperto e comprensivo, che aveva caratterizzato molte pagine della storia
della Chiesa dopo la repressione del modernismo, efficace
e senz’altro positiva per un verso, unilaterale e negativa per
l’altro».30 Occorre evitare subito interpretazioni fuorvianti
delle radici di tale urgenza. Essa non nacque dalla smania
della Chiesa di rincorrere il mondo moderno, o per dirlo in
altri termini, dal tentativo di «adeguarsi allo spirito del
mondo». Si deve oggettivamente riconoscere che quell’urgenza di apertura al mondo fu anzitutto un’urgenza missionaria. Questa lettura permette, tra l’altro, di cogliere il
legame oggettivo che vincola la percezione critica che Pio
XII ebbe della fine del suo pontificato e l’iniziativa del beato
Giovanni XXIII.31
A questa situazione problematica, fa da contrappunto
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– ecco il paradosso – la presenza di notevoli segni di rinnovamento nella vita della Chiesa e nella riflessione teologica. Ne elenchiamo i principali. Innanzitutto, il dinamismo
missionario che caratterizzò la vita e l’azione della Chiesa
dalla seconda metà dell’Ottocento trovando nella Santa
Sede un efficace sostegno.32 Segue poi nel tempo e si
estende fino all’immediato preconcilio, il fiorire dell’apostolato dei laici – si pensi all’Azione cattolica o ai movimenti
di spiritualità matrimoniale in Francia – e il conseguente
sviluppo della «teologia del laicato».33 Questi segni nuovi
nella vita ecclesiale sono accompagnati e, nello stesso
tempo, favoriti dai cosiddetti movimenti liturgico,34 patristico,35 biblico,36 ecumenico37 e catechistico,38 nonché dal
rinnovamento teologico.39 A questo proposito si avverte
oggi, con più insistenza che in passato, la necessità di studiare il legame effettivo di tali movimenti con il Vaticano
II e la sua preparazione,40 mettendo in maggiore evidenza
il fatto che un concilio è in se stesso un momento privilegiato di recezione della vita della Chiesa e, anche per questo, di traditio.41
Riprendere il Vaticano I?
Il primo elemento significativo, dunque, è la coesistenza
di una situazione problematica e il fermento di nuove correnti e realtà che man mano si fanno spazio nella vita della
Chiesa. Questo paradosso rende ragione dell’urgenza di
cambiamento scaturita da una presa di coscienza di una
mancanza di incidenza missionaria nei confronti del mondo
moderno.
Il secondo elemento riguarda l’interrogativo sui tentativi precedenti a quello di Roncalli di riprendere il concilio
Vaticano I e l’eventuale loro influsso sull’iniziativa di Giovanni XXIII.
È importante sottolineare che, dalla fine del Vaticano I,
permase nella coscienza ecclesiale l’idea di riprendere il concilio per completarne i lavori.42 Sono ben noti i tentativi di
Pio XI e di Pio XII di riprendere il Vaticano I: «Era un problema che ciascun papa trasmetteva al successore».43
Nell’enciclica Ubi arcano, del 23 dicembre 1922, Pio XI
espresse con chiarezza il proposito di riprendere il Vaticano
I44 e, a questo fine, chiese di studiare quanto era rimasto inevaso a motivo della sua interruzione forzata. Fece inviare a
cardinali e vescovi una lettera del segretario di stato domandando il loro parere sulla ripresa del concilio.45 Tuttavia l’iniziativa di papa Ratti non fu condotta in porto a
motivo sia della complessità del dibattito intorno all’eventuale concilio sia, soprattutto, a causa della questione romana ancora aperta.46
Ciò nonostante l’idea della ripresa del Vaticano I non
fu del tutto abbandonata. Infatti, dopo il tentativo fallito
di Pio XI, anche papa Pacelli ne considerò la possibilità, affidando la questione al Sant’Uffizio. Una commissione ristretta iniziò a lavorare su questa ipotesi il 15 marzo 1948.
Successivamente, nel febbraio 1949, venne istituita la
Commissione centrale o Commissione speciale preparatoria, e nominati presidente il nunzio in Italia, s.e. Borgongini Duca, e segretario il gesuita Pierre Charles,
professore di teologia dogmatica a Lovanio. Due dati sono
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rilevanti nel lavoro della Commissione: la convinzione che
la mera ripresa del Vaticano I non giustificava la convocazione di un nuovo concilio e le divergenze in merito all’impostazione e all’organizzazione del concilio stesso. Di
fatto, il 4 gennaio 1951, il papa dispose l’abbandono del
progetto.47 Le difficoltà oggettive legate al numero di vescovi da convocare e alle divergenze citate, insieme al disegno pacelliano di internazionalizzazione del collegio
cardinalizio e della curia nonché di un magistero universale molto capillare, condussero a tale decisione.48
Eppure, ecco l’altra faccia della medaglia, questi tenta-
tivi, che finirono sempre per arenarsi, possono essere considerati «“precedenti”, per intenderci, solo in ordine di tempo,
essendo ben noto che l’idea del Concilio maturò, in Giovanni XXIII, per ben altre vie, né può ricollegarsi direttamente ai propositi del suo predecessore».49 Infatti, appare
chiaro che la pura ripresa del Vaticano I non poteva di per
sé sola giustificare l’indizione di un nuovo concilio. Una
mera ripresa – come la stessa commissione preparatoria ai
tempi di Pio XII fece presente – non sarebbe stata in grado
di rispondere alle sollecitazioni storiche che lo Spirito stava
offrendo alla Chiesa.50
25
Cf. R. AUBERT, «Leone XIII: tradizione e progresso», in E. GUERRIERO, A. ZAMBARBIERI (a cura di), Storia della Chiesa, vol. 22/1, La Chiesa
35
L’esempio classico di questo ressourcement dello studio dei padri è la
collana Sources chrétiennes. In proposito cf. E. FOUILLOUX, La collection «Sources chrétiennes». Éditer les Pères de l’Église au XX e siècle, Cerf, Paris 1995.
36
Protagonista indiscusso del rinnovamento degli studi biblici in ambito cattolico fu il p. Lagrange, cf. B. MONTAGNES, Marie-Joseph Lagrange,
un biblista al servizio della Chiesa, Edizioni studio domenicano, Bologna
2007. Inoltre cf. P. GRELOT, Il rinnovamento biblico nel ventesimo secolo.
Memorie di un protagonista, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996.
37
Sulle origini e lo sviluppo del movimento ecumenico rimane un
punto di riferimento M.-J. LE GUILLOU, Mission et unité: les exigences de
la communion, «Unam sanctam» 33-34, Cerf, Paris 1960. Inoltre cf. G.
CERETI, A. FILIPPI, L. SARTORI (a cura di), Dizionario del movimento ecumenico, EDB, Bologna 1994. Sul periodo immediatamente precedente al
Concilio cf. M. VELATI, Una difficile transizione: il cattolicesimo tra unionismo ed ecumenismo (1952-1964), Il Mulino, Bologna 1996.
38
Cf. M. COKE, Le mouvement catéchétique de Jules Ferry à Vatican II,
Centurion, Paris 1988.
39
Ci riferiamo, ovviamente, alla galassia di autori e opere che normalmente vengono considerati sotto la denominazione, invero troppo
vaga, di nouvelle théologie. Tale nome proviene proprio da coloro che a
questo rinnovamento si opposero. Possiamo citare come emblematici di
questo rinnovamento teologico due luoghi: Le Saulchoir per i domenicani
e Fourvière per i gesuiti. I nomi sono noti: M.-D. Chenu, Y. Congar, H.
de Lubac, J. Daniélou, H. Bouillard, J. Mouroux, H.U. von Balthasar, K.
Rahner… Tra i loro oppositori occorre citare R. Garrigou-Lagrange e M.
Labourdette. In proposito cf. G. COFFELE, «Storia della teologia», in G.
CANOBBIO, P. CODA (a cura di), La teologia del XX secolo. Un bilancio, vol.
1, Prospettive storiche, Città nuova, Roma 2003, 291-299; A. DONI, «La
riscoperta delle fonti», in R. FISICHELLA (a cura di), Storia della teologia,
vol. 3, Da Vitus Pichler a Henri de Lubac, EDB, Bologna 1996, 443-474.
40
In questo senso è di grande interesse la recente pubblicazione G.
ROUTHIER, P.J. ROY, K. SCHELKENS (dir.), La théologie catholique entre intransigeance et renouveau. La réception des mouvements préconciliares à Vatican II, «Bibliothèque de la Revue d’histoire ecclésiastique» 95, Brepols,
Turnhout 2011.
41
Cf. G. ROUTHIER, «La recezione nell’attuale dibattito teologico»,
in H. LEGRAND, J. MANZANARES, A. GARCÍA Y GARCÍA, Recezione e comunione tra le Chiese. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca 8-14
aprile 1996, EDB, Bologna 1998, 29-55, in particolare 53.
42
«L’idea del concilio resta latente nel Novecento. È talvolta associata all’unionismo o a sogni ecumenici» (A. RICCARDI, «Il papa all’origine
del Concilio», in Concilio Vaticano II. Ricerche e documenti 4(2004), 2540, qui 26).
43
Ivi, 30. Inoltre cf. A. VON TEUFFENBACH, «L’annuncio del Concilio cinquant’anni fa», in Alpha Omega 12(2009) 3, 399-446, in particolare
412-419.
44
Cf. AAS 14 (1922), 675-700, qui 692.
45
Cf. CAPRILE, «Pio XI e la ripresa del concilio Vaticano», in ID., Il
concilio Vaticano II. Annunzio e preparazione. Parte 1, 3-14.
46
Cf. RICCARDI, «Il papa all’origine del Concilio», 31.
47
Cf. CAPRILE, «Un nuovo progetto di concilio al tempo di Pio
XII», in ID., Il concilio Vaticano II. Annunzio e preparazione. Parte 1,
15-35.
48
Cf. A. RICCARDI, «Preparare il Concilio: papa e curia alla vigilia del
Vaticano II», in Le Deuxième Concile du Vatican (1959-1965), Collection
de l’École française de Rome 113, École Française de Rome, Rome 1989,
181-205, qui 181-184.
49
CAPRILE, Il concilio Vaticano II. Annunzio e preparazione. Parte 1, 3.
50
In questo senso non sbagliano quanti si rifiutano di ridurre il Vaticano II a puro concilio ecclesiologico, tendenza che non tiene sufficientemente in conto che l’ultimo concilio non volle semplicemente completare
i lavori sul De Ecclesia non adempiuti nel Vaticano I.
e la società industriale (1878-1922), San Paolo, Cinisello Balsamo 1990,
61-106.
26
Cf. R. AUBERT, «Pio X tra restaurazione e riforma», ivi, 107-154.
27
Cf. A. MONTICONE, «Il pontificato di Benedetto XV», ivi,
155-200.
28
Cf. D. VENERUSO, «Il pontificato di Pio XI», in GUASCO, GUERRIERO, F. TRANIELLO (a cura di), Storia della Chiesa, vol. 23, I cattolici nel
mondo contemporaneo (1922-1958), San Paolo, Cinisello Balsamo 1991,
29-63.
29
La bibliografia sul pontificato di Pio XII è sterminata. Una presentazione sintetica del periodo pacelliano in P. CHENAUX (a cura di), L’eredità del magistero di Pio XII, Lateran University Press – Gregorian &
Biblical Press, Roma 2010, con contributi di T. Bertone, G. Ravasi, A.
Riccardi, U. Vanni, L. Zak, J. Joblin, D.E. Viganò, W. Henn, B. Gherardini, G. Ferraro, C. Militello, M.P. Gallagher, P. Chenaux, R. Gerardi e F.
Coccopalmerio. Inoltre cf. F. TRANIELLO, «Pio XII, la seconda guerra
mondiale e l’ordine postbellico», in GUASCO, GUERRIERO, TRANIELLO (a
cura di), Storia della Chiesa, vol. 23, 65-103; A. RICCARDI, «Pio XII. Un
decennio difficile (1948-1958)», ivi, 104-127; P. SCOPPOLA, «Gli orientamento di Pio XI e Pio XII sui problemi della società contemporanea»,
ivi, 129-159.
30
G. MARTINA, «Il contesto storico in cui è nata l’idea di un nuovo
concilio ecumenico», in R. LATOURELLE (a cura di), Vaticano II. Bilancio
e prospettive venticinque anni dopo 1962-1987, Cittadella, Assisi 1987, t.
1, 27-82, qui 28. Martina cita tre elementi che hanno favorito decisamente
il rapidissimo cambiamento sociale in questo periodo: l’ascesa del Terzo
mondo con la fine del colonialismo, una fortissima industrializzazione in
Occidente, e l’incidenza sul costume e gli stili di vita proposti dalla televisione (cf. ivi, 29-37). Inoltre cf. G. CAMPANINI, «Il contesto storico-culturale del concilio Vaticano II», in GALEAZZI (a cura di), Come si è giunti al
concilio Vaticano II, 84-110.
31
È stato, infatti, messo in rilievo come Pio XII abbia avuto il senso
della crisi che attraversava la Chiesa e la necessità di un appello più deciso
alla missione. Cf. A. Riccardi, «Nel cuore dei grandi cambiamenti del Novecento. Il pontificato di Pio XII e la sua eredità», in CHENAUX (a cura di),
L’eredità del magistero di Pio XII, 53- 69, in particolare 68.
32
Cf. J. METZLER, «La Santa Sede e le missioni», in ID. (a cura di),
Storia della Chiesa, vol. 24, Dalle missioni alle Chiese locali, San Paolo, Cinisello Balsamo 1990, 21-119; J. GADILLE, J.-F. ZORN, «Il progetto missionario», in J. GADILLE, J.-M. MAYEUR, Storia del cristianesimo, vol. 11,
Liberalismo, industrializzazione, espansione europea (1830-1914), Borla –
Città Nuova, Roma 2003, 133-161; J. GADILLE, J.-F. ZORN, «Le missioni
cristiane in Africa, Asia, Australasia e Oceania», ivi, 877-971.
33
Sulla teologia del laicato mi permetto rinviare a A. SCOLA, «La
teologia del laicato alla luce dell’ecclesiologia di comunione: l’identità del
fedele laico», in Marcianum 5(2009) 1, 11-30. Resta di grande utilità A.
SCOLA, C. GIULIODORI, G. MARENGO, P.A. DE PROOST, G. WAGNER (a
cura di), Il laicato. Rassegna bibliografica in lingua italiana, tedesca e francese. In appendice complementi di bibliografia in lingua spagnola e inglese,
LEV, Città del Vaticano 1987.
34
Non possiamo ora soffermarci a offrire una riflessione sulla pertinenza del termine «movimento». Per un primo tentativo – non privo di
certe generalizzazioni – di definizione di questi movimenti e una descrizione sintetica della loro cronologia, geografia e sociologia cf. E. FOUILLOUX, «I movimenti di riforma nel pensiero cattolico dal XIX al XX
secolo», in Cristianesimo nella storia 24(2003), 659-676. Inoltre cf. CHENAUX, Il concilio Vaticano II, 21-32. Sul movimento liturgico cf. O. ROUSSEAU, Storia del movimento liturgico, Paoline, Roma 1961; B. BOTTE, Le
mouvement liturgique. Témoignage et souvenirs, Desclée de Brouwer, Paris
1973 (trad. it. Effatà, Cantalupa 2009).
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A tali nuove sollecitazioni rispose il beato Giovanni
XXIII. Gli studiosi hanno messo in rilievo alcuni elementi
che potrebbero aiutare a comprendere come si fece strada
l’idea del concilio nell’animo di Roncalli: gli anni passati
come giovane segretario del vescovo di Bergamo, Radini
Tedeschi, che gli permisero di conoscere l’uso del sinodo
come strumento pastorale; i suoi studi storici, soprattutto
quelli relativi all’applicazione della riforma tridentina da
parte di san Carlo Borromeo (con la pubblicazione degli
Atti della visita apostolica del santo a Bergamo nel 1575);
le figure e le proposte di presuli come Bonomelli e Celso
Costantini; le frequentazioni degli ambienti ortodossi in
qualità di rappresentante della Santa Sede; i tentativi dei
suoi predecessori…51
Nell’esercizio del ministero petrino
Eppure, nella celebre allocuzione Gaudet mater Ecclesia dell’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII descrisse l’origine del Concilio con queste parole: «Quanto all’origine
e alla causa del grande avvenimento per il quale ci è piaciuto adunarvi, è sufficiente riportare ancora una volta la
testimonianza, certamente umile, ma che noi possiamo
attestare come sperimentata: la prima volta che abbiamo
concepito questo Concilio nella mente quasi all’improvviso, e in seguito l’abbiamo comunicato con parole semplici davanti al sacro Collegio dei padri cardinali in quel
fausto 25 gennaio 1959, festa della conversione di san
Paolo, nella sua patriarcale basilica sulla via Ostiense. Gli
animi degli astanti furono subito repentinamente commossi, come se brillasse un raggio di luce soprannaturale,
e tutti lo trasparirono soavemente sul volto e negli occhi.
Nello stesso tempo si accese in tutto il mondo un enorme
interesse, e tutti gli uomini cominciarono a attendere con
impazienza la celebrazione del Concilio».52
Il modo in cui si giunse all’annunzio del 25 gennaio 1959
è stato oggetto di diverse pubblicazioni.53 È necessario, tuttavia, soffermarsi a considerare la natura dell’ispirazione
giovannea del Concilio. Occorre abbandonare vecchi stereotipi, ormai superati: è passato il tempo in cui si parlava
del «mistero Roncalli» per esprimere la difficoltà di spiegare
come un uomo profondamente legato alla tradizione abbia
potuto indire un concilio come il Vaticano II.54 Infatti, oggi
è agevolmente possibile riconoscere la grandezza spirituale
di questo papa che presentò il Concilio come qualcosa di
«improvviso» non perché, come abbiamo detto, non ci fossero elementi nella sua storia personale e nei decenni precedenti al suo pontificato per poter pensare a un concilio,
bensì perché l’annuncio e la convocazione di quello che sarebbe stato il Vaticano II, furono la risposta personale che il
successore di Pietro diede allo Spirito nell’esercizio del suo singolare ministero.55 Non si può, infatti, che essere d’accordo
con chi parla dell’ispirazione di Roncalli come di «un pensiero, evidentemente già riflettuto e di cui ha anche parlato
a altri, che – in un certo momento – egli sente come accettato, supportato o anche “illuminato” da Dio».56
A questa responsabilità personale nell’esercizio del ministero petrino da parte di Giovanni XXIII si connette il
novum che, nel solco della traditio catholica, caratterizza il
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Vaticano II.57 Dalla considerazione sintetica dei precedenti
ecclesiali e teologici del concilio Vaticano II e dell’iniziativa
di Giovanni XXIII che abbiamo voluto offrire, emerge un
elemento fondamentale per un’adeguata comprensione del
Concilio. Tutti gli avvenimenti precedenti, compresi i fattori di rinnovamento, non sono in grado di spiegare esaurientemente l’iniziativa del papa. È impossibile coglierla
senza un’adeguata ermeneutica della storia. Essa implica
riconoscere che la storia della Chiesa ha per sua natura
uno statuto teologico: la storia della Chiesa, descrivendo il
pellegrinare del popolo di Dio attraverso i secoli verso la
patria celeste, ha come protagonista il Padre che chiama gli
uomini, in Gesù Cristo e per la potenza dello Spirito, a esserne co-agonisti. Una strada che finisca, lo si voglia o
meno, per estromettere dall’elaborazione della storia della
Chiesa il dialogo tra la libertà di Dio e la libertà degli uomini semplicemente non risulta percorribile. La storia proprio in quanto storia mette in gioco questo incontro di
libertà e, in ultima analisi, la fede stessa.
Su questa base, numerose controversie ermeneutiche che
vedono storici e teologi accusarsi reciprocamente di letture
riduttive o ideologiche, dovrebbero essere lasciate definitivamente da parte. Ovviamente, non è compito facile e necessita
di grande acribia. Un aiuto ci può essere offerto dall’analogia
con ciò che sta avvenendo nell’ambito degli studi biblici. Nell’esortazione apostolica Verbum Domini, Benedetto XVI indica alcuni evidenti rischi che minacciano l’interpretazione
delle Scritture quando metodologicamente si cede al dualismo tra i due livelli, quello storico-critico e quello teologico:
la riduzione della Scrittura a un testo solo del passato, l’elaborazione di un’ermeneutica secolarizzata, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il divino non appare nella
storia umana, e la conseguente estensione del dubbio sui misteri fondamentali del cristianesimo e sul loro valore storico.58
Il «sogget to» adeguato
Mi sembra che queste considerazioni possano illuminare
il necessario compito di ermeneutica adeguata al concilio Vaticano II. Lo prova il fatto che il criterio fondamentale per
l’esegesi biblica proposto dal papa è applicabile all’ermeneutica conciliare: «Il luogo originario dell’interpretazione
scritturistica è la vita della Chiesa. Questa affermazione
non indica il riferimento ecclesiale come un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel
tempo».59 Sembra plausibile leggere quest’affermazione in
rapporto alla proposta del papa circa «l’“ermeneutica della
riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che
cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo
stesso, unico soggetto del popolo di Dio in cammino».60
Quanto fin qui detto indica con chiarezza quale sia il
soggetto adeguato di un’ermeneutica conciliare. La lettura
conciliare, sia per lo storico sia per il teologo, non può scaturire, in ultima istanza, che dal «soggetto Chiesa». Solo in
esso trova la sua unità. Attraverso il «soggetto Chiesa», infatti, l’unità, per sua natura, è posta e garantita all’origine e
non cercata come il convergere di strade autonome. Ovvia-
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mente, quando si parla di «soggetto Chiesa» – ma questo
dovrebbe essere un dato acquisito proprio grazie all’insegnamento conciliare – lo si intende secondo tutta la ricchezza della communio che è nello stesso tempo communio
christifidelium, communio hierarchica e communio Ecclesiarum, quella communio che vive secondo «il vero principio
teologico della varietà e della pluriformità nell’unità».61
2.
L’indole pastorale del Concilio
Genesi e affermazione
di un concet to dibat tuto
Il frutto della risposta di Giovanni XXIII alla sollecitazione dello Spirito per il bene della Chiesa e della sua missione, fu la proposta di un concilio ecumenico le cui finalità e
caratteristiche, anche se non sempre tra loro omogenee (aggiornamento, unità dei cristiani e della famiglia umana, attenzione ai segni dei tempi, indole pastorale del magistero,
51
Cf. RICCARDI, «Il papa all’origine del Concilio», 23-36; TEUFFEN«L’annuncio del Concilio cinquant’anni fa», 420-425. Inoltre cf.
L.F. CAPOVILLA, «Il concilio ecumenico Vaticano II: la decisione di Giovanni XXIII. Precedenti storici e motivazioni personali», in GALEAZZI (a
cura di), Come si è giunti al Concilio Vaticano II, 15-60; G. ALBERIGO,
«L’ispirazione di un Concilio ecumenico: le esperienze del cardinale Roncalli», in ID., Transizione epocale, 73-94.
52
Cf. AS I/1, 166-175, qui 160. Testo italiano in CONCILIO VATICANO II, Costituzioni, 1088-1111, qui 1093; EV 1/34*.
53
Cf. TEUFFENBACH, «L’annuncio del Concilio cinquant’anni fa»,
399-446; CAPRILE, «L’annunzio del Concilio», in ID., Il concilio Vaticano
II. Annunzio e preparazione. Parte 1, 46-54; A. MELLONI, «“Questa festiva ricorrenza”. Prodromi e preparazione del discorso di annuncio del
Vaticano II (25 gennaio 1959)», in Rivista di storia e letteratura religiosa
3(1992), 609-643.
54
Cf. E. ROUQUETTE, «Le mystère Roncalli», in Études 108(1963)
318, 4-18.
55
Cf. G. ALBERIGO, Papa Giovanni 1881-1963, EDB, Bologna 2000;
A. MELLONI, Papa Giovanni. Un cristiano e il suo concilio, Einaudi, Torino 2009. A questo proposito vale la pena ricordare che nel 1967 Franz
Michel Willam pubblicò un volume su Roncalli – F.M. WILLAM, Vom jungen Roncalli (1903-1907) zum Papts Johannes XXIII (1958-1963): Eine
Darlegung vom Werden des Aggiornamento-Begriffes 1903-1907 als der Leitidee für das II. Vatikanische Konzil und die Durchführung seiner Beschlüsse; ein aktuelles Buch, F. Rauch, Innsbruck 1967 – molto apprezzato
da Joseph Ratzinger, che in una recensione pubblicata su Theologische
Quartalschrift affermò: «Senza dubbio questo libro può essere definito sin
qui come la pubblicazione di gran lunga più importante per illuminare la
figura di Giovanni XXIII: allo stesso tempo è di fondamentale importanza
per la comprensione del concilio Vaticano II» (P. REISINGER, «Ratzinger
e il cappellano teologo. Un carteggio inedito», in Vita e pensiero 90(2007)
3, 81-85, qui 82).
56
TEUFFENBACH, «L’annuncio del Concilio cinquant’anni fa», 421.
57
«È nella sua spiritualità e nel suo senso concreto della storia che
dobbiamo cercare le radici di quell’origine; è nel suo senso di responsabilità di padre e nella sua umiltà di fratello che va cercata quell’origine»
(RICCARDI, «Il papa all’origine del Concilio», 40).
58
Cf. BENEDETTO XVI, es. ap. postsinodale Verbum Domini sulla parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, 30.9.2012, nn. 29-49,
in particolare n. 35; Regno-doc. 21,2010,660-669.
59
BENEDETTO XVI, Verbum Domini, n. 29; Regno-doc. 21,2010,660.
60
BENEDETTO XVI, Discorso alla curia romana per la presentazione
degli auguri natalizi, in AAS 98 (2006), 46; Regno-doc. 1,2006,7. A questo
proposito cf. G. RICHI ALBERTI, «Recibir el Concilio», in Teología y catequesis (2012) 121, 13-33, in particolare 21-25.
61
ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI,
relazione finale Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute
BACH,
scelta di esporre più chiaramente il valore dell’insegnamento
piuttosto che di condannare…), possono essere sinteticamente enucleate nel termine «pastorale». Infatti, l’indole «pastorale» ha segnato fin dall’origine l’indizione conciliare. Il
termine «pastorale», che connotava da tempo la sensibilità di
Roncalli, diventa esplicito nel suo ministero come patriarca di
Venezia.62 Viene riproposto dal papa in diversi interventi fino
ad arrivare alla celebre Gaudet mater Ecclesia. La letteratura
storico-teologica ha sufficientemente documentato non solo la
lettera di questa considerazione, ma anche il suo significato.63
Limitandoci ad alcuni degli interventi più significativi di
Giovanni XXIII al riguardo, possiamo iniziare citando le
parole con cui la costituzione apostolica Humanae salutis descrive la finalità del Concilio: «Questo si richiede ora alla
Chiesa: di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del
Vangelo nelle vene di quella che è oggi la comunità umana,
che si esalta delle sue conquiste nel campo della tecnica e delle
scienze, ma subisce le conseguenze di un ordine temporale che
taluni hanno tentato di riorganizzare prescindendo da Dio».64
Segue il radiomessaggio dell’11 settembre 1962, un mese
prima dell’apertura del primo periodo del Concilio: «Il
mondo infatti ha bisogno di Cristo: ed è la Chiesa che deve
mundi, 7.12.1985, in EV 9/1779-1818, qui 1801. Non è questa la sede
per soffermarsi sulla cosiddetta ecclesiologia di comunione. Basti ricordare le indicazioni offerte in proposito nella stessa relazione finale dell’Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi del 1985: cf. EV
9/1800-1809.
62
Roncalli interpreta e vive il suo ministero episcopale richiamandosi all’immagine evangelica del buon pastore (cf. Gv 10), come mette in
evidenza scrivendo il 17 maggio 1953, poco dopo l’ingresso solenne in
diocesi, durante gli esercizi spirituali: «Ciò che mi prende è la gravità delle
mie responsabilità di pastore: non sono più di me, ma delle anime dei miei
fedeli». In una comunicazione in occasione del secondo anno del suo episcopato veneziano, il 23 febbraio 1954, pensando alla diocesi e parlando
del suo compito, scrive: «Qui si vive come in famiglia, con rispetto, con sincerità, con evangelica carità. Riprenderò dunque il mio passo. “Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis: il buon pastore dà l’anima sua per
le sue pecorelle”. Questo è tutto per me: il mio proposito, la mia vita»
(A.G. RONCALLI, Scritti e discorsi, vol. 1, a cura di L.F. Capovilla, Paoline,
Roma 1959, 175). D’altra parte, proprio questo chiede a Gesù, buon pastore, nel corso degli esercizi spirituali con l’episcopato triveneto nel maggio 1955: «Per altro il pastor deve essere soprattutto bonus, bonus.
Diversamente senza essere lupus come il mercenarius, rischia, se dormitat,
di divenire inutile e inefficace. O Gesù, bone pastor, che il tuo spirito mi investa tutto: cosicché la mia vita sia, in questi anni ultimi, sacrificio e olocausto per le anime dei miei diletti veneziani» (ID., Il giornale dell’anima:
soliloqui, note e diari spirituali, a cura di A. Melloni, Istituto per le scienze
religiose, Bologna 2003, 292). Queste ultime parole aiutano a comprendere come il suo ripetuto meditare il capitolo decimo di Giovanni corrisponda alla riscoperta continua delle sorgenti più autentiche della sua vita
di vescovo, che proprio nella dimensione pastorale trova il suo autentico
modo d’essere. È questo, dunque, lo stile ispirato dalla figura di Gesù, da
cui è consapevolmente caratterizzato il servizio veneziano. In seguito, nella
prima e terza allocuzione al clero durante il Sinodo del 1957, Roncalli svilupperà ulteriormente la riflessione sul pastore, interpretando il pastor
come pater: la «pastoralità» diventa paternità e questa dice il farsi tutto a
tutti per salvare a ogni costo qualcuno (cf. ID., Scritti e discorsi, vol. 3, 318320 e 349).
63
Cf. G. ALBERIGO, «Giovanni XXIII e il Vaticano II», in G. Alberigo
(a cura di), Papa Giovanni, Laterza, Bari 1987, 211-243, in particolare 215216; J. RATZINGER, Problemi e risultati del concilio Vaticano II, Queriniana,
Brescia 1967, 109-113; G. COLOMBO, «La teologia della Gaudium et spes e
l’esercizio del magistero ecclesiastico», in ID., La ragione teologica, Glossa,
Milano 1995, 265-303, qui 281-284; G. RUGGIERI, «La lotta per la pastoralità della dottrina: la recezione della Gaudet mater Ecclesia nel primo periodo del concilio Vaticano II», in W. WEISS (a cura di), Zeugnis und Dialog,
Echter, Würzburg 1996, 118-137, in particolare 119-123.
64
Cf. AD Series II, I, 132-143, qui 132-133. Testo italiano in CONCILIO VATICANO II, Costituzioni, 1056-1075, qui 1057-1059; EV 1/3*.
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tudi e commenti
portare Cristo al mondo. Il mondo ha i suoi problemi dei
quali cerca talora con angoscia una soluzione (…). Questi
problemi di acutissima gravità stanno da sempre nel cuore
della Chiesa. Perciò essa li ha fatti oggetto di studio attento, e
il concilio ecumenico potrà offrire, con chiaro linguaggio, soluzioni che son postulate dalla dignità dell’uomo e dalla sua
vocazione cristiana».65
Infine è d’obbligo citare quello che è stato considerato l’emblema dell’indole pastorale del Concilio proposta da Giovanni
XXIII, l’allocuzione Gaudet mater Ecclesia.66 Si è evidenziato come il papa, con uno squisito gesto primaziale, più che offrire un ordine del giorno per i lavori del Concilio – sono noti
i commenti anche autorevoli di coloro che ritenevano imprescindibile un programma –67 consegnò una prospettiva o
linea di lavoro. Per quanto riguarda il contenuto dell’allocuzione, «se la prima parte era destinata ai presupposti del Concilio: sperimentata fecondità dell’istituzione conciliare, centralità
del Cristo nel rapporto tra concilio e Chiesa e, infine, contesto storico del nuovo concilio, [la] seconda parte concerneva
più direttamente i contenuti del lavoro conciliare».68 Tra questi contenuti, particolare attenzione è stata dedicata alla caratterizzazione pastorale del magistero, per riproporre la fede
cristiana in modo adeguato al cammino storico della Chiesa
e, quindi, ai tempi in cui essa è chiamata a svolgere la sua missione. Vale la pena citare per esteso questo celeberrimo brano: «Noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro, come se ci preoccupassimo della sola antichità, ma, alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell’opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli. Ma il nostro lavoro non consiste
neppure, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica (…). Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un concilio
ecumenico. Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in
quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole
che risalta soprattutto negli atti dei concili di Trento e Vaticano
I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti
e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa e immutabile, alla quale si deve prestare un
assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è
richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della fede,
cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato
con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione
che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale».69
Uno snodo ermeneutico decisivo
Non è questa l’occasione per compiere una ricerca dettagliata sull’effettiva recezione da parte dei padri conciliari
di questa prospettiva indicata dal papa.70 Tuttavia, occorre
riconoscere che parlare di «concilio pastorale» o «indole pa-
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storale» del concilio implica inoltrarsi in uno dei nodi fondamentali dell’ermeneutica del Vaticano II. Non a caso il
significato del termine «pastorale» e l’opportunità di utilizzarlo fu oggetto di dibattito già lungo i lavori conciliari: basti
ricordare l’emblematica discussione sul carattere pastorale
dello Schema XIII e sul titolo che esso doveva ricevere.71
Cosa si intende per «indole pastorale» del Concilio?
Per descrivere il contenuto di questa espressione possiamo proporre alcuni elementi fondamentali che dovranno
essere convenientemente approfonditi nelle sedi adeguate.
In primo luogo, mi sia permesso di riprendere la proposta d’interpretazione dell’indole pastorale del Concilio, che
ebbi modo di offrire riflettendo sulla recezione della Gaudium
et spes, nel convegno internazionale sul Vaticano II celebratosi a Roma in occasione del grande giubileo del 2000:72 «In
estrema sintesi: – dicevo allora – papa Roncalli, e sulla sua
scia Paolo VI e i padri conciliari, hanno inteso sottolineare
la natura salvifica della Chiesa proprio con l’evidenziarne il
compito pastorale. La Chiesa offre testimonianza della verità che è Gesù Cristo per il fatto di concepirsi essenzialmente
propter homines».73 Quindi col termine «pastorale» ci si riferisce
alla missione storico-salvifica (sacramentale) della Chiesa. Questa prospettiva suppone una considerazione «pastorale» del
Chi della Chiesa, all’interno della quale rientra il tema – decisivo, ma circoscritto – della formulazione pastorale della dottrina. L’«indole pastorale» mostra che «la Chiesa appare come
una realtà essenzialmente eccentrica, definibile solo in base
a una duplice costitutiva relazione: a Cristo e alla sua missione, da una parte, e al mondo verso cui è continuamente
ed essenzialmente inviata, dall’altra».74
Il valore del magistero conciliare
La considerazione «pastorale» della Chiesa, l’identificazione del suo essere essenzialmente «eccentrica», cioè missionaria, conduce a riconoscere che «non c’è annuncio del
Vangelo di Dio senza farsi carico del destinatario».75 Questo farsi carico del destinatario rivela tutta la sua portata nel
rinnovamento della teologia della rivelazione e della fede
sulla scia della costituzione dogmatica Dei Verbum.76 Infatti,
«la rivelazione diventa realtà soltanto e sempre là dove c’è
fede (…). Di conseguenza appartiene, fino a un certo punto,
alla rivelazione anche il soggetto ricevente, senza del quale
essa non esiste».77 Occorrerebbe, a proposito del destinatario della rivelazione, approfondire come la storia chieda
sempre decisione, chieda libertà. Non c’è storia che possa
prescindere dalla decisione del singolo uomo. Ogni censura
fatta alla storia, è condannata a fallire, proprio perché è una
sorta di attentato oggettivo contro la libertà.
Questa comprensione dell’indole pastorale del Concilio,
infine, permette un risultato di primo ordine (anche per il
rapporto con la modernità): «Cristianesimo e storia non
sono più pensati come due fattori estrinseci e tra loro presupposti».78 In forza della «pastoralità» è possibile precisare
il rapporto tra cristianesimo e storia nella prospettiva della
logica sacramentale.79
A partire dall’indole pastorale del Concilio risulta plausibile una lettura unitaria delle quattro costituzioni conciliari, che trova nella costituzione pastorale Gaudium et spes
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la sua espressione emblematica. Secondo tale lettura unitaria le costituzioni Sacrosanctum concilium e Lumen gentium
manifestano l’autocoscienza missionaria della Chiesa, cioè,
la risposta al celebre interrogativo Ecclesia quid dicis de te
ipsa? Una risposta resa possibile dall’insegnamento su rivelazione e fede a opera della costituzione dogmatica Dei Verbum.80 L’essenza pastorale della Chiesa implica che dica a sé
e al mondo chi essa sia e per farlo non può che partire dall’autocomunicazione della Trinità (rivelazione).
Inoltre, è possibile riconoscere continuità tra la prospettiva di un «concilio pastorale» di Giovanni XXIII e l’accento ecclesiologico favorito da Paolo VI.81 In primo luogo,
per la valutazione che lo stesso Montini offrì ai suoi diocesani dell’allocuzione Gaudet mater Ecclesia. Scriveva il 13
ottobre 1962: «Abbiamo visto la Chiesa! E ascoltato! la voce
del papa su tutte, una voce di padre e di profeta, quella di un
maestro amico del mondo. Bisogna, cari confratelli e fedeli,
rileggere il discorso del papa all’apertura del Concilio. È la
chiave per comprendere il resto; è l’invito alla sintonia dei
sentimenti e dei propositi con il Concilio stesso; è la lezione
sul come bisogna oggi guardare il mondo, la vita: “La
Chiesa cattolica – ha detto il papa – innalzando per mezzo
65
CONCILIO VATICANO II, Costituzioni, 1080-1087, qui 1083; EV
1/25*.
66
Cf. G. ALBERIGO, A. MELLONI, «L’allocuzione Gaudet mater Ecclesia di Giovanni XXII (11 ottobre 1962)», in G. ALBERIGO, A. MELLONI,
G. BATTELLI, S. TRINCHESE, Fede tradizione profezia. Studi su Giovanni
XXIII e sul Vaticano II, Paideia, Brescia 1984, 185-283. Osservazioni ridimensionanti in G. MARTINA, «A proposito di studi recenti su Giovanni
XXII», in Rivista di storia della Chiesa in Italia 39(1985)2, 530-532. Inoltre cf. G. SALE, «Gaudet mater Ecclesia. L’allocuzione di apertura del concilio Vaticano II», in La Cività cattolica 163(2012) III, 351-362.
67
Cf. L.-J. SUENENS, «Aux origines du concile Vatican II», in Nouvelle
revue théologique 107(1985) 1, 3-21; «Lettera del cardinale Giovanni Battista Montini al cardinale Amleto Cicognani, segretario di stato (18 ottobre 1962), in Istituto Paolo VI – Notiziario (1983) 8, 11-14.
68
G. ALBERIGO, «Formazione, contenuto e fortuna dell’allocuzione»,
in ALBERIGO, MELLONI, BATTELLI, TRINCHESE, Fede tradizione profezia,
187-222, qui 205.
69
Cf. AS I/1, 166-175, qui 171-172. Testo italiano in CONCILIO VATICANO II, Costituzioni, 1088-1111, qui 1101-1103; EV 1/53*-55*.
70
Ruggieri, per esempio, identifica come momenti salienti di un tentativo di recezione della pastoralità le iniziative del card. Bea e il dibattito
sullo schema de fontibus, cf. RUGGIERI, «La lotta per la pastoralità della
dottrina», 122-134. Inoltre cf. ALBERIGO, «Formazione, contenuto e fortuna dell’allocuzione», 217-222.
71
«Vi era la questione del titolo dello schema: nessuno aveva messo
in dubbio l’opportunità che il documento si rivolgesse ai cristiani e anche
a tutto il genere umano, ma parecchi ritenevano che il titolo di “costituzione pastorale” non fosse adatto; rincrescerebbe, tuttavia, se si dovesse
scegliere un appellativo tale da sminuire il valore del testo, il quale intende
proporre la dottrina che illustra i rapporti tra la Chiesa e il mondo, in
quanto precisamente viene presentata al mondo contemporaneo per illuminare i suoi problemi, ciò che si voleva dire con il termine “pastorale”;
a ogni modo, tali obiezioni sarebbero state attentamente vagliate, e i padri
avrebbero deciso la questione con il voto» (R. TUCCI, «Introduzione storico-dottrinale alla costituzione pastorale Gaudium et spes», in AA. VV., La
costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, LDC, Torino
3
1968, 15-134, qui 107-108).
72
Cf. A. SCOLA, «Gaudium et spes: dialogo e discernimento nella testimonianza della verità», in R. FISICHELLA (a cura di), Il concilio Vaticano
II. Recezione e attualità alla luce del giubileo, San Paolo, Cinisello Balsamo
2000, 82-114. Ora ripreso in A. SCOLA, Chi è la Chiesa? Una chiave antropologica e sacramentale per l’ecclesiologia, «Biblioteca di teologia contemporanea» 130, Queriniana, Brescia 2005, 17-51. Inoltre cf. G.
MARENGO, «Gaudium et spes: la pastoralità alla prova», in P. CHENAUX,
N. BAUQUET (a cura di), Rileggere il Concilio, Lateran University Press,
Roma 2012, 249-293.
73
SCOLA, Chi è la Chiesa?, 40-41.
74
Ivi, 134.
di questo concilio ecumenico la fiaccola della verità religiosa,
vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente,
piena di misericordia e di bontà verso i figli da lei separati…”. Bisogna che questa voce del papa risuoni dentro di
noi e ci educhi a essere cristiani, e sentirci cattolici. Ascoltare».82 In secondo luogo, in forza della ripresa esplicita della
Gaudet mater Ecclesia e della finalità pastorale del Concilio
proposta dallo stesso Paolo VI nel discorso di apertura del
secondo periodo conciliare, il 29 settembre 1963.83
Un testimone privilegiato del nesso intrinseco tra indole
pastorale del Concilio e rinnovamento dell’autocoscienza
della Chiesa, è il cardinale Karol Wojtyla e il suo ministero
a Cracovia. Nella sua opera Alle fonti del rinnovamento il
futuro Giovanni Paolo II coglie acutamente il nesso tra pastoralità, autocoscienza e realizzarsi della Chiesa: il Vaticano
II «conservando il carattere di pastoralità – anzi, proprio a
motivo del suo fine pastorale – ha sviluppato largamente la
dottrina della fede e di conseguenza ha creato le basi per il
suo arricchimento (…). Infatti, prendendo in esame l’insieme del magistero conciliare, ci accorgiamo che i pastori
della Chiesa si prefiggevano non tanto e non soltanto di dare
una risposta all’interrogativo: in che cosa bisogna credere,
75
C. THEOBALD, «Nodi ermeneutici del dibattito sulla storia del Vaticano II», in A. MELLONI, G. RUGGIERI, Chi ha paura del Vaticano II?,
Carocci, Roma 2009, 45-68, qui 56.
76
Cf. P. SEQUERI, Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale,
«Biblioteca di teologia contemporanea» 85, Queriniana, Brescia 1996,
87-118.
77
J. RATZINGER, «Un tentativo circa il concetto di tradizione», in K.
RAHNER, J. RATZINGER, Rivelazione e Tradizione, Morcelliana, Brescia
1970, 37. Inoltre cf. ID., San Bonaventura. La teologia della storia, Nardini,
Firenze 1991, 141-142; A. BERTULETTI, «Giovanni XXIII e il Concilio»,
in G. CARZANIGA, Giovanni XIII e il concilio Vaticano II, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 72-83.
78
SCOLA, Chi è la Chiesa?, 49.
79
Cf. ivi, 51.
80
La centralità della costituzione dogmatica sulla rivelazione e il suo
essere «porta d’accesso» a tutto l’insegnamento conciliare fu già individuata da Marie-Joseph Le Guillou negli schemi proposti per evidenziare
il legame organico di tutto il corpus dottrinale del Vaticano; cf. M.-J. LE
GUILLOU, Il Volto del Risorto, Cantagalli, Siena 2012, 135-136. Sullo stesso
argomento è d’uopo citare la proposta ermeneutica di Christoph Theobald. Oltre all’articolo già citato cf. C. THEOBALD, La recezione del Vaticano
II, vol. 1, Tornare alla sorgente, EDB, Bologna 2011, in particolare 16,
315-316, 509-510, 549-599; ID., «“La Transmission de la Révélation divine”. A propos de la réception du chapitre II de Dei verbum», in P. BORDEYNE, L. VILLEMIN (a cura di), Vatican II et la théologie. Perspectives pour
le XXI siècle, Cerf, Paris 2006, 107-126.
81
Le diversità evidenti che esistono tra Giovanni XXIII e Paolo VI
e i modi della loro presidenza e guida del Concilio, nonché l’accento ecclesiologico impresso da papa Montini ai lavori conciliari – cf. THEOBALD,
«Nodi ermeneutici del dibattito sulla storia del Vaticano II», 59; J.W.
O’MALLEY, Che cosa è successo nel Vaticano II, Vita e pensiero, Milano
2010, 174-175; ALBERIGO, Transizione epocale, 783-788 – non sono in
grado di compromettere la continuità di cui parliamo.
82
G.B. MONTINI, Abbiamo visto la Chiesa! Prima lettera dalla Città del
Vaticano all’arcidiocesi dopo la solenne apertura del concilio ecumenico Vaticano II, in ID., Discorsi e scritti milanesi, vol. 3 (1961-1963), Istituto Paolo
VI, Brescia 1997, 5361-5365, qui 5364-5365.
83
Cf. AS II/1, 183-200. Testo italiano in: CONCILIO VATICANO II,
Costituzioni, 1142-1185; EV 1/133*-201*. Su quest’allocuzione cf. G.
COLOMBO, «I discorsi di Paolo VI in apertura e chiusura dei periodi
conciliari», in Paolo VI e il rapporto Chiesa-mondo al Concilio, Colloquio internazionale di studio, Roma 22-23-24 settembre 1989, «Pubblicazioni dell’Istituto Paolo VI» 12, Istituto Paolo VI – Edizioni
Studium, Brescia – Roma 1991, 246-293; A. MELLONI, «L’inizio del secondo periodo e il grande dibattito ecclesiologico», in G. ALBERIGO
(dir.), Storia del concilio Vaticano II, vol. 3, Il concilio adulto. Settembre
1963 – settembre 1964, Peeters – Il Mulino, Leuven – Bologna 1998,
19-131, qui 52-56.
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quale è il genuino senso di questa o quella verità della fede
o simili, ma cercavano piuttosto di rispondere alla domanda
più complessa: che cosa vuol dire essere credente, essere cattolico, essere membro della Chiesa? Essi si sono adoperati a
dare risposta a questo interrogativo nell’ampio contesto del
mondo di oggi».84 L’azione del card. Wojtyla e il magistero
di Giovanni Paolo II individuano nel singolare principio dell’arricchimento della fede la nota distintiva di questa pastoralità: non si tratta di un principio puramente intellettuale,
ma di una concreta attuazione di forme ecclesiali personali
e comunitarie.85
Per concludere questo secondo passaggio della nostra riflessione, mi preme sottolineare che l’indole pastorale del
Concilio, lungi dal depotenziare la portata del Vaticano II
per la Chiesa e l’importanza del suo insegnamento dottrinale,86 la rafforza. E lo fa proprio perché mostra come dalla
considerazione della missione della Chiesa scaturisca la possibilità di una più adeguata comprensione della stessa rivelazione cristiana. Ecco perché l’indole pastorale del Concilio
ne esalta tutta la portata dottrinale: «Sarebbe assolutamente
sbagliato contrapporre l’intenzione e il modo di esprimersi
pastorale del Concilio al significato dottrinale, esplicitamente formulato e continuamente ribadito, dimenticando
che i suoi testi contengono “un serio appello alla coscienza
del cristiano cattolico” (J. Ratzinger)».87
3.
Evento e corpus dottrinale
Gli albori del Concilio
Nell’esaminare gli albori del lavoro conciliare, con tutta
l’attività di preparazione che lo precedette, dobbiamo in
questa sede, per ovvi motivi, lasciar cadere altre vicende non
prive di complessità,88 e concentrarci su due momenti: gli
interventi dei cardinali Liénart e Frings, quest’ultimo anche
a nome dei cardinali Döpfner e König, del 13 ottobre 1962,
e la considerazione degli schemi, approntati durante la fase
preparatoria, fino al loro arrivo in aula conciliare.
Gli studiosi hanno segnalato l’importanza della richiesta di rinvio della votazione delle commissioni conciliari fatta
dal cardinale Liénart e appoggiata dall’arcivescovo di Colonia.89 Definire questo fatto come «rottura della legalità
conciliare»90 significa prescindere dall’accettazione della
proposta da parte della presidenza. Ed è quindi un abuso
interpretativo. Il rinvio della votazione consentì di comporre
le commissioni conciliari incrementandone sia l’internazionalità sia la pluralità di visioni e di competenza teologica dei
membri. Soprattutto «è necessario considerare come frutto
di questa prima decisione fondamentale del Concilio, il ristabilimento d’una tensione feconda tra periferia e centro,
tra la molteplicità vivente del cattolicesimo rappresentata
dall’episcopato e l’unità la cui garanzia è affidata al primato.
E si deve aggiungere che la tensione tra questi due elementi
non è assolutamente, come qualche osservatore sorpreso ha
deplorato, un andare “in panne”, un doloroso incidente di
percorso, ma questa tensione, e l’arricchimento reciproco
tra l’uno e il molteplice che ne risulta, appartiene di per sé
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all’espressione stessa della vita della Chiesa, essere vivente
che, infatti, ha bisogno di tali tensioni per svilupparsi».91
In secondo luogo, è opportuno offrire qualche precisazione in merito agli schemi preparati per lo svolgimento del
concilio.
Un primo dato che è conveniente sottolineare riguarda
il lavoro della Commissione centrale preparatoria, che vide
la presenza di personalità come Alfrink, Bea, Cicognani,
Döpfner, Frings, König, Larraona, Léger, Liénart, Montini,
Ottaviani, Pizzardo, Ruffini e Siri.92 È, infatti, necessario evidenziare che in quella sede cominciò a farsi spazio, pur timidamente, l’intendimento pastorale proposto da Giovanni
XXIII.93
Un secondo dato riguarda la quantità degli schemi preparati. Si è giunti addirittura a parlare di «miopia ed elefantiasi del lavoro preparatorio»,94 giudizio che dev’essere
adeguatamente corretto. Infatti, già nel 1971 Vincenzo Carbone fornì gli elementi necessari per poter concludere che
«il numero degli schemi fu ridotto a ventidue senza particolari difficoltà».95
In terzo luogo, è opportuno notare che i giudizi sulla
qualità e il tenore degli schemi preparati sono molto discordi
e anche contraddittori. Non manca chi li considera la «quintessenza» di quella che viene chiamata «teologia o corrente
romana», tesa a proporre un concilio dottrinale di preservazione della fede e condanna degli errori moderni.96 All’opposto estremo, soprattutto per quanto riguarda il
materiale preparato dalla commissione teologica,97 troviamo
l’opinione di chi considera, senz’altro con una certa enfasi
polemica, che «sicuramente il periodo preparatorio fu teologicamente più interessante e importante del periodo conciliare».98
Sull’impor tanza degli schemi preparatori
Alla luce dell’uso effettivo degli schemi preparati nel processo di redazione e approvazione dei diversi documenti
conciliari – oggi è riconosciuto, anche da coloro che mantengono pareri contrapposti sul loro valore, che gli schemi
hanno avuto una loro importanza –99 appare più equilibrato
il giudizio sul materiale preparatorio che Joseph Ratzinger
offre in La mia vita: «Come membro della commissione
centrale per la preparazione del Concilio il cardinal Frings
ricevette gli schemi preparatori (“Schemata”), che dovevano
essere presentati ai padri dopo la convocazione dell’assemblea conciliare per essere discussi e approvati. Questi testi
egli me li inviò ora regolarmente, per avere un mio parere
e delle proposte di miglioramento. Ovviamente, su diversi
punti avevo qualcosa da osservare, ma non trovavo nessuna
ragione per rifiutarli del tutto, come poi, durante il Concilio, fu da molti richiesto e, infine, anche ottenuto. Indubbiamente, il rinnovamento biblico e patristico, che aveva
avuto luogo nei decenni precedenti, aveva lasciato solo
poche tracce in questi documenti; essi davano quindi un’impressione di rigidità e di scarsa apertura, di un eccessivo legame con la teologia scolastica, di un pensiero troppo
professorale e poco pastorale; ma si deve riconoscere che
essi erano stati elaborati con cura e solidità di argomentazioni».100
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Un tale giudizio, infatti, permette di meglio comprendere sia il contributo reale dell’attività preparatoria ai lavori
conciliari, sia le ragioni dell’esito degli schemi dopo la loro
presentazione in aula.
Un esempio paradigmatico, anche se di poco esula dal
periodo che stiamo considerando, ci viene offerto dal primo
dibattito sullo schema De Ecclesia, iniziato il 1 dicembre
1962 nella XXXI Congregazione generale. Esso è preceduto dal sintomatico lamento del cardinale Ottaviani sulle
critiche che avrebbe ricevuto lo schema presentato.101 Il dato
significativo, che gli studiosi mettono in evidenza con acribia, è costituito dal fatto che le critiche allo schema non ri-
84
K. WOJTYLA, Alle fonti del rinnovamento. Studio sull’attuazione del
concilio Vaticano II, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, 11-12. Inoltre cf.
Il sinodo pastorale dell’arcidiocesi di Cracovia (1972-1979), LEV, Città del
Vaticano 1985. Sugli interventi di Wojtyla nel Concilio, cf. G. RICHI ALBERTI, Karol Wojtyła: uno stile conciliare, Marcianum Press, Venezia 2012.
85
Cf. WOJTYLA, Alle fonti del rinnovamento, 9-39.
86
Un esempio di opposizione tra «dottrinale» e «pastorale» nei documenti conciliari in B. GHERARDINI, Concilio ecumenico Vaticano II. Un
discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento 2009. In merito cf. G.
RICHI ALBERTI, «A propósito de “la hermenéutica de la continuidad”.
Nota sobre la propuesta de B. Gherardini», in Scripta theologica 42(2010),
59-77.
87
Cf. W. KASPER, «La provocazione permanente del Vaticano II: Per
un’ermeneutica degli enunciati conciliari», in ID., Teologia e Chiesa, «Biblioteca di teologia contemporanea» 60, Queriniana, Brescia 1989, 302312, qui 304.
88
È nota l’ipotesi su «l’esistenza di due itinerari di preparazione, che
erano ispirati da due visioni della storia molto diverse e miravano a immagini di Chiesa alternative o, almeno, divergenti. È vero che questi itinerari hanno avuto un andamento sincrono e spesso è sembrato che si
intersecassero o si unificassero, ma proprio all’apertura del Concilio essi
apparvero in tutta la loro differenza. L’assemblea infatti si trovò davanti un
imponente materiale preparatorio prodotto sotto la direzione della curia
romana, caratterizzato da un’elevata compattezza, che chiedeva piuttosto
adesione e assenso che dibattito e ricerca. L’altro itinerario era quello costituito progressivamente da Giovanni XXIII attraverso uno stillicidio di
interventi pubblici e di riflessioni personali, culminato nel discorso rivolto
ai padri conciliari l’11 ottobre 1962» (ALBERIGO, «Formazione, contenuto
e fortuna dell’allocuzione», 188-189). È l’ipotesi sostanzialmente adoperata come guida nel primo volume – Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’annuncio e la preparazione – della Storia del concilio Vaticano II
diretta da Alberigo, tesa a mettere in evidenza la contrapposizione tra la
curia romana e l’intenzione di Giovanni XXIII. Occorre, tuttavia, rilevare che una tale ipotesi non rende ragione né di quelle che gli stessi fautori ritengono «le ambiguità di papa Giovanni» (cf. J. KOMONCHAK, «La
lotta per la preparazione», in ALBERIGO (dir.), Storia del concilio Vaticano
II, vol. 1, Il cattolicesimo verso una nuova stagione, 177-379, qui 373-379),
né di tutta la preparazione conciliare che fu svolta nelle Chiese locali. A
questo ultimo proposito è ricchissima l’informazione che ci offre Caprile
nell’opera più volte citata.
89
Cf. AS I/1, 207-208; M. LAMBERIGTS, A. GREILER, «Concilium
episcoporum est. The interventions of Liénart and Frings revisited, October 13 1962», in Ephemerides theologicae lovanienses 73(1997), 54-71; A.
RICCARDI, «La tumultuosa apertura dei lavori», in ALBERIGO (dir.), Storia
del concilio Vaticano II, 21-86, in particolare 45-51.
90
Cf. R. DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta,
Lindau 2010, 203-206; B. GHERARDINI, Il Vaticano II. Alle radici d’un
equivoco, Lindau, Torino 2012, 123-152. Il volume di De Mattei è stato oggetto di una rigorosa critica in M. DE SALIS, «Chiesa e teologia nel concilio Vaticano II. Nota su un libro recente», in Lateranum 78(2012),
139-151.
91
Cf. J. RATZINGER, Mon concile Vatican II, Artège, Perpignan
2011, 59.
92
Cf. CAPRILE, Il concilio Vaticano II. Annunzio e preparazione, Parte
I, 195-196; II, 17-19.
93
«Con il tempo, si vanno chiarendo le differenti mentalità e le diverse posizioni, come si nota più chiaramente alla fine dei lavori della commissione centrale. Anche il confronto ha un suo ruolo in questo. Tuttavia
non sono sempre possibili letture schematiche della formazione di gruppi
contrapposti, per l’esistenza d’una certa fluttuazione e di vicendevoli e intersecantisi richiami. Si può individuare la linea di tendenza d’una ricerca
di mediazione, che caratterizza una parte della curia e dei vescovi residenziali. La certezza che la preparazione del Concilio si sarebbe potuta
fare a Roma, interpellando i vescovi e approntando sintesi, viene progressivamente a incrinarsi (…). Tutto non è così meccanicamente pronto,
come si prevedeva» (RICCARDI, «Preparare il Concilio», 204).
94
ALBERIGO, «Formazione, contenuto e fortuna dell’allocuzione», 219.
95
V. CARBONE, «Gli schemi preparatori del concilio ecumenico Vaticano II», in Monitor ecclesiasticus 96(1971) 1, 51-86, qui 72. La precisazione è ripresa da Komonchak che, tuttavia, sfuma la conclusione
affermando: «Comunque questo risultato delle deliberazioni della commissione centrale fu noto solo molto più tardi, così che la costante impressione fu di una grande massa di materiale organizzato in modo
modesto, di qualità molto diseguale» (KOMONCHAK, «La lotta per la preparazione», 322). Il numero di 22 non è, tuttavia, accolto da Wittstad nello
stesso volume, cf. K. WITTSTADT, «Alla vigilia del concilio», in ALBERIGO
(dir.), Storia del concilio Vaticano II, vol. 1, Il cattolicesimo verso una nuova
stagione, 429-517, qui 434).
96
Cf. E. FOUILLOUX, «Théologiens romains et Vatican II (19591962)», in Cristianesimo nella storia 16(1994), 373-394.
97
«Dalle prime nomine la commissione risultava composta prevalentemente da elementi dell’ambiente romano legati in particolare al S. Uffizio e agli orientamenti del pontificato di Pio XII, anche se era significativa la presenza di alcuni teologi d’oltralpe, come Cerfaux, Journet, Philips,
Congar e De Lubac, una presenza che però non stemperava l’immagine
di un commissione piuttosto conservatrice ed eurocentrica» (R. BURIGANA,
«Progetto dogmatico del Vaticano II: la commissione teologica preparatoria (1960-1962)», in G. ALBERIGO, A. MELLONI (a cura di), Verso il concilio Vaticano II (1960-1962). Passaggi e problemi della preparazione conciliare, Marietti, Genova 1993, 141-206, qui 151-152.
98
A. VON TEUFFENBACH, «La commissione teologica preparatoria
del concilio Vaticano II», en Anuario de historia de la Iglesia 21(2012),
219-243, qui 219. L’articolo è di grande interesse per uscire da una considerazione troppo semplificatrice del lavoro della commissione teologica.
Tuttavia, un’affermazione come quella citata rischia di favorire un’interpretazione fuorviante del lavoro conciliare. Di grande utilità è la pubblicazione da parte di questa autrice dei diari conciliari del p. Tromp, cf. ID.,
Konzilstagebuch. Sebastian Tromp SJ mit Erläuterungen und Akten aus der
Arbeit der Theologischen Kommission; II. Vatikanisches Konzil, vol. I/1-2
(1960-1962), PUG, Roma 2006; ID., Sebastian Tromp SJ Konzilstagebuch
mit Erläuterungen und Akten aus der Arbeit der Kommission für Glauben
und Sitten; II. Vatikanisches Konzil, vol. II/1-2 (1962-1963), Bautz, Nordhausen 2011.
99
Su questo dato anche se lo valutano diversamente, infatti, concordano studiosi come Alberigo («Mi sembra emblematico a questo proposito il metodo seguito per il rifacimento dello schema De Ecclesia dal
teologo lovaniense G. Philips, il quale realizzò con grande souplesse
un’abile contaminazione tra la redazione preparatoria e le istanze rinnovatrici»; ALBERIGO, «Formazione, contenuto e fortuna dell’allocuzione,
221) e VON TEUFFENBACH («Sebbene gli schemi che erano stati preparati
furono poi in gran parte eliminati o ridotti dalla commissione coordinatrice – composta da sette cardinali nel gennaio 1963 –, non lo poté essere
invece la feconda discussione che era avvenuta. I documenti dottrinali
del concilio Vaticano II non sarebbero stati possibili senza il lavoro della
commissione teologica preparatoria, allo stesso modo come – senza di
essi – non possono essere compresi correttamente»; VON TEUFFENBACH,
«La commissione teologica preparatoria», 220; e poi «Solo quando le opposte fazioni si trovarono costrette a collaborare tra loro anche quanto era
stato preparato nella commissione teologica iniziò a dare il suo frutto. La
Lumen gentium, la Dei verbum e la Gaudium et spes non sono sorte dal
nulla», ivi, 242).
100
J. RATZINGER, La mia vita, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997,
85-86.
101
Cf. AS I/4, 121. Ruggieri commenta l’episodio come segue: «E
Ottaviani, con amara ironia, nella sua introduzione alla discussione dice
di aspettarsi la solita litania: lo schema non è ecumenico, è scolastico, non
è pastorale, è negativo ecc. Anzi può già fare una “confidenza”: i relatori
parleranno inutilmente “perché la questione è stata già giudicata in anticipo”. Già prima che lo schema fosse distribuito, si preparava infatti lo
schema sostitutivo. “Non mi resta quindi che tacere, perché la Scrittura insegna: dove non c’è ascolto, non sprecare parole» (G. RUGGIERI, «L’abbandono dell’ecclesiologia controversista», in G. ALBERIGO (dir.), Storia
del concilio Vaticano II, vol. 2, La formazione della coscienza conciliare. Ottobre 1962 – settembre 1963, Peeters – Il Mulino, Leuven – Bologna 1996,
309-383, qui 356).
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guardano direttamente i contenuti dottrinali del medesimo,
bensì il loro stile teologico. Gli interventi dei padri conciliari
lasciano trasparire la necessità non solo di accettare la prospettiva di Giovanni XXIII sull’indole pastorale del Concilio, ma anche di assumere gli apporti dei movimenti di
rinnovamento (missionario, catechistico, biblico, patristico,
liturgico…) precedenti al Concilio.102
Già il Philips nel suo commento alla costituzione
Lumen gentium osserva: «Malgrado gli elogi che gli vengono decretati (semplici formule di cortesia, per entrare
in argomento) il testo proposto è oggetto di critiche
aperte. La maggior parte degli oratori riconosce che il
lavoro dottrinale è stato condotto diligentemente; i punti
trattati sono effettivamente della massima attualità e
perseguono obiettivi di un alto insegnamento. Ma
l’esposizione è per lo più troppo astratta e troppo schematica per essere in grado di promuovere un rinnovamento di fede profondo ed efficace. Inoltre, il testo
assomiglia piuttosto a una giustapposizione di punti dottrinali che a un insieme veramente strutturato (…). Si fa
rilevare la differenza tra lo spirito che papa Giovanni
aveva descritto nel suo impressionante discorso inaugurale e il modo in cui è concepito il documento, sia nella
sostanza sia nella forma, dove si stenta a intravedere le
preoccupazioni del papa. Tutti desiderano una esposizione di carattere pastorale; ma non si è d’accordo sui
metodi per arrivarvi».103
Il sogget to Chiesa si disse
L’esito del dibattito sugli schemi approntanti prima dell’apertura del Concilio e, soprattutto, la richiesta di
un’esposizione pastorale della materia da trattare faranno
spazio a un nuovo «modus loquendi determinato, a monte,
dal ritorno alle fonti e, a valle, dai destinatari ai quali ci si
vuol rivolgere».104 Siamo così di fronte al processo di rinnovamento caratteristico del Vaticano II.
Sia la decisione di rinviare la votazione delle commissioni, sia la sorte degli schemi preparatori ci consentono di
identificare un terzo nodo ermeneutico: tra evento e corpus
dottrinale si dà conformità o antinomia?105
È possibile superare tale alternativa? A mio modo di
vedere lo è se vengono assunte fino in fondo sia un’ermeneutica adeguata della storia – primo passaggio della nostra riflessione – sia l’indole pastorale dell’insegnamento
conciliare – secondo passaggio.
Infatti, l’ermeneutica della storia conciliare ci indica
che l’urgenza missionaria (indole pastorale) richiese di rispondere alla domanda: chi è la Chiesa? Tale domanda
trovò nel Concilio (evento), come espressione rappresentativa della Chiesa, la sua risposta: nell’evento del Concilio
il «soggetto Chiesa si disse» (corpus dottrinale). In questo
senso, i documenti conciliari non solo fanno parte integrante dell’evento, ma permettono l’accesso all’evento
stesso nella sua verità. Evento e testi sono semplicemente
indisgiungibili.106 Non c’è antinomia tra evento e corpus dottrinale, ma conformità.
Tuttavia è possibile domandarsi: esiste una sporgenza
dell’evento rispetto ai testi? Esiste. E non deve meravigliare.
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Basta citare l’analogia (senza perdere di vista la maggior
differenza) con la rivelazione: l’autocomunicazione della
Trinità all’uomo e alla famiglia umana sporge rispetto alla
Tradizione e alla sacra Scrittura – che pure è ispirata e canonica – autenticamente interpretate dal magistero, eppure non si ha accesso all’autocomunicazione che Dio ha
voluto far di sé a prescindere dalla rivelazione scritta o trasmessa (cf. Dei Verbum, nn. 7-10; EV 1/880-888). La sporgenza a cui ci stiamo riferendo è irriducibile, perché è
propria del cammino storico della Chiesa. È al suo interno
che si deve leggere l’incidenza del Concilio e il grado della
sua recezione.
L’inadeguatezza dell’opposizione evento-testi ci porta a
riconoscere, ancora una volta, l’inseparabile intreccio tra
l’elemento teologico e quello storico. La storia non può essere ridotta a una somma di fatti bruti tra loro giustapposti. La storia ha un senso perché in essa si attua il destino
dell’uomo. La storia è res gestae, cioè espressione di azioni
significanti. Questo dato emerge con chiarezza proprio
dalla considerazione dell’intenzione generativa dei testi che
narrano la storia. Questi, infatti, non si lasciano spogliare
di tale intenzione in nome di una pretesa oggettività, sotto
pena di cadere in balìa di una ricerca puramente soggettiva. L’esistenza di uno scarto tra l’analisi critica di un testo
e l’intenzione generativa del medesimo va indubbiamente
riconosciuta. Ma è proprio questo scarto a garantire la natura fondativa dell’intenzione generativa del testo, impedendo al lettore o allo scienziato di appropriarsene come
se fosse un suo prodotto. L’intenzione, sempre soggiacente
al racconto storico, è una solida prova di come le circostanze e i rapporti che si danno nella storia provochino la
libertà a prendere posizione, a decidere. Proprio per questa ragione, evento e testi frutto dell’evento chiedono adesione.
Il rapporto indisgiungibile evento-corpus di insegnamenti, che non elude la questione dell’inevitabile e benefica
sporgenza, fa emergere, ancora una volta, attraverso il peso
dell’intenzione generativa, l’insostituibile ruolo del protagonista del Concilio e della recezione: il «soggetto Chiesa».
4.
«La Chiesa prosegue
il suo pellegrinaggio»
La lettura del concilio Vaticano II, anche limitata al
tempo che va dai suoi albori fino all’apertura, impone
un’ermeneutica adeguata della storia. Alla luce della chiave
della pastoralità, questa lettura è resa possibile dalla polarità evento-corpus, mantenuta in indisgiungibile unità dal
«soggetto Chiesa» in cammino nella storia.
Il Vaticano II è stato una tappa singolare e decisiva dell’avanzare della Chiesa lungo la storia, un provvidenziale
«balzo innanzi». Sono molto significative le parole finali di
Lumen gentium 8 che, mentre chiudono il capitolo I sul
mistero della Chiesa, introducono al capitolo II sul popolo
di Dio, mostrando così l’inscindibile unità tra l’origine trinitaria della Chiesa e il suo essere soggetto storico:107 «La
Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni
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del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore finché egli venga (cf. 1Cor
11,26). Dalla potenza del Signore risorto viene corroborata per vincere con pazienza e carità le sue afflizioni e difficoltà interne ed esterne e per svelare al mondo con
fedeltà, anche se in immagine, il mistero di lui, fin quando
alla fine sarà manifestato in piena luce».108
Questo pellegrinaggio non può compiersi senza la dinamica della riforma. Non a caso, prima di concludere il
paragrafo, lo stesso numero 8 di Lumen gentium recita:
«La Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, santa
e insieme sempre bisognosa di purificazione [semper purificanda], è continuamente dedita alla penitenza e al rinnovamento». Nell’ottica di questa formula conciliare si
spiega il ricorso alla categoria di riforma. Essa non può essere adeguatamente compresa da letture costituzionaliste
del corpus del Vaticano II,109 e non è riducibile a cambiamenti puramente istituzionali.110 La riforma è legata all’approfondirsi dell’autocoscienza e della santità ecclesiali
che lo Spirito assicura alla Sposa soprattutto quando questa non rinuncia a proporre in ogni tempo storico, disposta al martirio, l’avvenimento salvifico di Cristo.111
Se «la Chiesa peregrinante verso la meta è chiamata
da Cristo a questa continua riforma» (Unitatis redintegratio, n. 6; EV 1/520s), allora la categoria di riforma,112 che
invera quelle di aggiornamento e di rinnovamento utilizzate
da Giovanni XXIII113 e da Paolo VI,114 supera le false problematiche della continuità e della discontinuità e quelle
della rottura e della persistenza. In quest’ottica ci sembra
si muova il già citato discorso di Benedetto XVI alla curia
romana del 22 dicembre 2005. La categoria di riforma,
quindi, al di là di eventuali comprensioni riduttive del suo
significato, continua a sembrare a me la più conveniente
per leggere la natura dell’evento conciliare e per un’adeguata ermeneutica del suo corpus nell’ottica della pastoralità. La categoria di riforma mette in evidenza il primato
della fede – si vede così il legame tra il concilio Vaticano II
e l’Anno della fede che Benedetto XVI ha voluto esplicitare nel motu proprio Porta fidei – poiché «la fede stessa,
in tutta la sua grandezza e ampiezza, è sempre nuovamente la riforma ecclesiale di cui noi abbiamo bisogno».115
È questa la prospettiva con cui affrontare il processo di
recezione del Vaticano II. Esso è parte integrante dell’essenziale compito missionario della Chiesa, cioè, del suo
porsi nella storia come sacramento universale di salvezza.116
L’indole pastorale, intesa nella sua pienezza che va dall’evento al corpus dottrinale, rappresenta il novum del Vaticano II. I suoi benefici effetti sono già ben visibili nella
storia della Chiesa. Tuttavia la sua recezione, ancora in
atto, continua a esigere dai cristiani una risposta libera e
generosa alla chiamata di Dio che si attesta nella trama
storica di circostanze e di rapporti.
102
Lo mostra accuratamente G. ROUTHIER, «La réception dans le
prémier De Ecclesia des mouvements de renouveau préconciliaire», in
ROUTHIER, ROY, SCHELKENS (dir.), La theologie catholique entre intransigeance et renouveau, 199-211.
103
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero nel concilio Vaticano II, Jaca
Book, Milano 1969, vol. 1, 19-20.
104
ROUTHIER, «La réception dans le prémier De Ecclesia des mouvements de renouveau préconciliaire», 211.
105
A questo proposito è significativo notare che Giovanni Paolo II
non ha dubitato nel qualificare il Vaticano II di «evento». Ad esempio: «Il
Concilio fu un grande evento e, per me, un’indimenticabile esperienza.
Ne tornai molto arricchito» (GIOVANNI PAOLO II, Alzatevi, andiamo!,
Mondadori, Milano 2004, 133).
106
Alberigo ha sfumato il suo pensiero in merito: «La frequente sottolineatura dell’importanza del Vaticano II come evento complessivo e
non solo delle sue decisioni finali può avere suscitato il sospetto di un’intenzione riduttiva dei documenti che il Concilio ha approvato. Sembra
quasi superfluo dissipare tale sospetto. È infatti ovvio che il Vaticano II ha
consegnato alla Chiesa i testi che ha approvato, con le differenti qualificazioni che la stessa assemblea ha loro dato. Tuttavia, proprio la ricostruzione dell’iter conciliare ha messo in evidenza l’importanza dell’esperienza
conciliare per la corretta e piena valorizzazione delle stesse decisioni. L’ermeneutica del Vaticano II non sarebbe soddisfacente se si limitasse all’analisi del testo delle decisioni, con l’eventuale aggiunta di qualche
excursus sul lavoro redazionale. Infatti è la conoscenza dell’evento nella
sua probabilità che offre criteri ermeneutici soddisfacenti per cogliere pienamente il significato del Vaticano II e delle sue decisioni. Immaginare o
temere che riconoscere l’importanza del Vaticano II come evento globale
possa ridurre o mortificare la portata delle decisioni conciliari è paradossale» (ALBERIGO, Transizione epocale, 848).
107
Cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Temi scelti di ecclesiologia, in EV 9/1668-1725, in particolare 1688-1698; G. COLOMBO,
«Il “popolo di Dio” e il “mistero della Chiesa” nell’ecclesiologia postconciliare», in Teologia 10(1985), 97-169.
108
LG 8; EV 1/307. Philips considera la frase finale «forse la più importante di tutto il capitolo: in questo modo la Chiesa rivela veramente il
mistero di Cristo, senza dissipare tutte le ombre, sino a che brilli finalmente la luce piena» (PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero, vol. 1, 117).
109
Cf. P. HÜNERMANN, «Der Text: Werden – Gestalt – Bedeutung.
Eine hermeneutische Reflexion», in P. HÜNERMANN, B.-J. HILBERATH,
Herders Theologischer Kommentar zum Zweiten Vatikanischen Konzil, vol.
5, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2006, 5-101; ID., «Der Text. Eine Ergänzung zur Hermeneutik des II. Vatikanischen Konzils», in Cristianesimo
nella storia 28(2007), 339-358 (trad. it.: «Il “testo”. Un complemento all’ermeneutica del Vaticano II», in MELLONI, RUGGIERI, Chi ha paura del
Vaticano II?, 85-105).
110
«Sono convinto che la causa della debolezza dell’impatto del Vaticano II risieda, anzitutto e essenzialmente, nella mancanza di una coniugazione delle indicazioni dottrinali e spirituali espresse dal Concilio
con un parallelo e coerente rinnovamento istituzionale. Al post-Vaticano
II è mancato sinora l’asse costituito dalla reciproca fecondazione tra le
prospettive e le indicazioni dottrinali e ecclesiologiche e l’aggiornamento
della struttura istituzionale» (ALBERIGO, Transizione epocale, 66). Nello
stesso senso cf. ivi, 547-552; 597; 751.
111
Ciò mette in campo la questione, pure permanente nella vita della
Chiesa, del circolo che sempre s’instaura tra fede e cultura. La fede, per il
fatto stesso che dice all’uomo chi è, diventa cultura, ma a sua volta la cultura, nel suo determinarsi storico, interpreta la fede. È questo lo spazio
dell’inevitabile rischio della libertà a cui lo Spirito in ogni tempo chiama
la Chiesa. Cf. J. RATZINGER, «Cristo, la fede e la sfida delle culture», in
Nuova umanità 16(1994) 6, 95-118.
112
Sulle diverse categorie in uso per riferirsi a questa «chiamata di
Cristo» (aggiornamento, ressourcement, rinnovamento, sviluppo, riforma…), cf. J. O’MALLEY, «Ressourcement e riforma al Vaticano II», in
Concilium 48(2012), 429-439.
113
Sul termine «aggiornamento» come parola tipica del vocabolario
di Roncalli cf. ALBERIGO, Transizione epocale, 530-533.
114
Il riferimento classico è all’allocuzione nella sessione d’inaugurazione del secondo periodo conciliare, cf. AS II/1, 191-193. Testo italiano
in: CONCILIO VATICANO II, Costituzioni, 1163-1167; EV 1/133*ss.
115
J. RATZINGER, La Chiesa. Una compagnia sempre in cammino, Paoline, Cinisello Balsamo 1991, 104.
116
Il fatto che non si possa parlare di recezione se non all’interno dell’orizzonte missionario della Chiesa, non significa ignorare la natura comunque storicamente delimitata del Concilio e della sua recezione, per
quanto questa possa estendersi per un lungo periodo.
Città del Vaticano, Salone San Pio X, 3 ottobre 2012.
ANGELO card. SCOLA,
arcivescovo di Milano
IL REGNO -
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