dimmi come vesti e ti dirò chi sei Europa derive populiste la vendetta
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69 ANNO periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia e 2.50 21 1 novembre 2010 Rocca 4 6 10 sommario Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi 11 13 14 17 dimmi come vesti e ti dirò chi sei violenza alle donne la crisi del maschio un volontariato inedito TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X Europa derive populiste la vendetta afghana Cile dalla solidarietà alla vita il mito del quoziente familiare 2010 la fuga nella rete rischio ambientale tra catastrofismo e negazione Chiesa la notte del cattolicesimo italiano 18 21 22 24 27 28 1 novembre 2010 31 32 35 21 38 40 Ci scrivono i lettori 43 Anna Portoghese Primi Piani Attualità Giovanni Sabato Notizie dalla scienza 45 Vignette Il meglio della quindicina 50 Raniero La Valle Resistenza e pace La vendetta afghana 52 Maurizio Salvi Europa Derive populiste 54 Romolo Menighetti Oltre la cronaca Cile, dalla solidarietà la vita 56 Roberta Carlini Economia italiana Il mito del quoziente familiare 57 Tonio Dell’Olio Camineiro Calendario per Putin 58 Giancarlo Ferrero Aggressione alle istituzioni Un attentato allo Stato democratico 58 Ritanna Armeni Violenza alle donne La crisi del maschio 59 Oliviero Motta Terre di vetro Tutti i dettagli in cronaca 59 Fiorella Farinelli L’italiano agli stranieri Un volontariato inedito 60 Stefano Cazzato Lezione spezzata Al-unni 60 Pietro Greco Le paure del secolo Rischio ambientale tra catastrofismo e negazione Giuseppe O. Longo 2010 Fuga nella rete Claudio Cagnazzo Società C’era una volta la periferia Marco Gallizioli Moda Dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei 61 62 63 Giuseppe Moscati Maestri del nostro tempo André Glucksmann Il totem del pensiero militante Giancarlo Zizola Chiesa La notte del cattolicesimo italiano Arturo Paoli Amorizzare il mondo Dal cuore di Gesù al cuore dell’uomo Carlo Molari Teologia Un nomade nostalgico del deserto Rosanna Virgili Introduzione alla lettura della Bibbia Leggere interpretare rileggere Filippo Gentiloni Vizi & virtù Giacomo Gambetti Cinema Il mondo che scoppia Draquila, il mondo che trema Roberto Carusi Teatro Salmodìa in jazz Renzo Salvi Rf&Tv Chi l’ha visto? Mariano Apa Arte Paladino Michele De Luca Mostre Sguardi sulle donne Ernesto Luzi Spettacoli Festival delle Nazioni Giovanni Ruggeri Siti Internet Google o Facebook? Libri Carlo Timio Rocca Schede Paesi in primo piano Finlandia Luigina Morsolin Fraternità Perù: un mestiere da imparare ➨ l’articolo la crisi del maschio ROCCA 1 NOVEMBRE 2010 Ritanna Armeni i capita spesso di venire invitata a dibattiti sulla violenza alle donne. E che mi si chiedano articoli sugli episodi di cronaca che di quelle violenze danno conto. L’ultimo caso, quello che riguarda Sarah Scalzi, una ragazza di quindici anni uccisa dallo zio perché non aveva accettato le sue avances. Per una femminista, per una donna che per anni si è occupata delle condizioni del proprio sesso, intervenire e spiegare è un dovere. Insistere sulla condanna degli atti di violenza, cercare, insieme alle altre, le soluzioni adeguate è un obbligo. Eppure... Eppure da qualche tempo sono dominata da una certa riluttanza ad affrontare questi argomenti. E anche – lo confesso – da una sorta di irritazione. Perché – mi chiedo – le donne devono essere inchiodate a questo ruolo di vittime? Perché devono compiangere e compiangersi? Perché tocca a loro approfondire, cercare soluzioni contro una violenza che viene perpetrata sul loro corpo? A quale vittima di un crimine si chiede di spiegare le ragioni, le motivazioni che hanno spinto il criminale ad agire? Lo so, lo stupro, la violenza nei confronti delle donne non sono delitti uguali ad altri. Riguardano una sfera complessa e controversa come il rapporto fra i sessi. Ed è per questo che le donne per anni hanno cercato di capire se stesse e gli uomini, di indagare sulla loro sessualità, sui loro comportamenti e sulla sessualità nei comportamenti maschili. Per questo hanno spiegato, hanno lavorato per cambiare e, in parte, ci sono anche riuscite. Hanno modificato per esempio una legislazione che fino a qualche anno fa in Italia non interveniva sullo stupratore. Ma fino a quando devono farlo? Non è stato ormai detto tutto? Continuare a parlare in quanto vittime non può alla fine rivelarsi negativo e controproducente? Non può ricon- M fermarle in un ruolo di subalternità sia pure intelligente, di vittima sia pure capace di spiegare? il non detto maschile cellenza nella socieà. I dati parlano chiaro: sono i paesi nordici, quelli in cui le donne hanno conquistato un posto importante nella società, ad avere il triste record della violenza. Stieg Larsson con il suo «Uomini che odiano le donne» lo racconta bene. Sono gli strati sociali più alti quelli in cui si esercita. In un film egiziano «Donne del Cairo», una giovane famosa, intelligente e affascinante giornalista subisce la violenza del suo uomo – anch’esso giornalista – perché colpevole di aver oscurato e messo in difficoltà la sua carriera. Ho capito che l’attenzione va spostata sugli uomini. Che degli uomini si deve parlare e – soprattutto – che loro devono parlare. Loro, i soggetti della violenza, sono rimasti sempre silenziosi. Non hanno indagato o hanno indagato poco su se stessi. Certo non tutti gli uomini sono uguali. Molti di loro hanno acquisito nuove consapevolezze e, se interrogati, in molti esprimono l’indignazione e la solidarietà per le vittime. Certo, le leggi contro la violenza sono state volute e approvate anche da loro. Ma non si può sfuggire alla sensazione che il non detto maschile sia ancora molto ampio e profondo. Che persino le attestazioni di solidarietà e l’indignazione siano un modo per sfuggire al problema che si pone all’identità e alla sessualità degli uomini Solo apparentemente un segno di attenzione. Più probabilmente un’altra forma di rimozione. Tocca allora di nuovo a noi donne. Ma, questa volta, non per parlare di noi, ma per parlare di loro. Per capire, ad esempio, che cosa spinge oggi un uomo ad un atto che pare retaggio atavico di un altro mondo e che pare avere poco a che fare con una modernità in cui uomini e donne hanno modificato il loro ruolo. Lo stupro e la violenza evocano condizioni di arretratezza, uomini non civilizzati, donne ridotte a puri oggetti. Condizioni insomma molto lontane da quelle dei paesi occidentali e avanzati. Pure lo stupro e la violenza continuano ad esserci. Gli uomini continuano ad esercitarla con pervicacia. Sebbene siano civili e formalmente accettino l’emancipazione femminile. E le donne continuano a subirla anche se vanno a scuola, lavorano e occupano posti di ec- rivoluzione lunga, profonda e spesso silenziosa Scopriamo così che una differenza con il passato c’è, ed è considerevole. Un tempo, lo stupro e la violenza erano una conferma, una delle tante azioni maschili che rafforzavano una subalternità delle donne in tutti gli ambiti della vita sociale. In un sistema fortemente patriarcale la donna era uno strumento della natura, del tutto a disposizione del maschio predatore, da tenere sotto controllo perché il mondo potesse continuare a seguire la legge del padre. Le donne non studiavano, non lavoravano, erano delegate alla cura della famiglia e dei figli. Oggetti della procreazione o del piacere erano sottomesse ai voleri maschili. Questo periodo anche nella storia degli avanzati paesi occidentali non è così lontano. La maggior parte delle donne italiane ne ha memoria. Il patriarcato – si sa – è stato messo fortemente in discussione dal femminismo e dalle lotte femminili nel Novecento. L’emancipazione, la nuova soggettività 24 un’identità che non c’è più Ha scritto Elisabetta Rasy che lo stupro «non è un incidente nel cammino in cui si incrociano il maschile e il femminile, un atto irrazionale, una deviazione del desiderio, l’espressione illogica di un arcaismo, ma una precisa modalità di negazione. In essa l’essenziale non è solo la violenza ma la mancanza di parola condivisa, la mancanza cioè di un discorso che introduca l’atto sessuale in un ordine simbolico umano. La mancanza di un patto, sia pure solo stipulato in nome del desiderio. Lo stupro toglie la parola e prospera dove non c’è parola, o dove le parole delle donne non hanno riconoscimento. L’obiettivo non è il sesso, ma il disconoscimento o l’annientamento dell’alterità dell’altro – cioè dell’altra – e dunque della ragione e delle ragioni dell’altro – cioè dell’altra – attraverso l’annichilimento della sua voce». Se lo stupro in un sistema patriarcale era un rito di affermazione della identità e della sessualità maschile, era la voce maschile alta e potente che impediva ad altre 25 . ROCCA 1 NOVEMBRE 2010 VIOLENZAALLE DONNE femminile, non lo hanno distrutto ma lo hanno ridimensionato, lo hanno minato alle radici. C’è stata una rivoluzione lunga, silenziosa in gran parte, ma profonda che ha cambiato le donne, ha cambiato il mondo e ha messo l’uomo di fronte ad una realtà completamente diversa. Oggi le leggi maschili non sono più così forti, stabili, sicure. Hanno perduto quella oggettività assoluta che le rendeva invulnerabili. E l’uomo non è più sicuro di sé e del suo mondo. Di conseguenza non è più sicuro della sua identità che su quel mondo e su quelle leggi si fondava e della sua sessualità che è tanta parte della identità. L’identità maschile – come hanno ripetuto fino allo sfinimento le donne – si fondava e si fonda su una sessualità che prevede la violenza e la sopraffazione. Che non sa immaginarsi senza il dominio sull’altro sesso, senza il possesso del corpo della donna. Oggi le più profonde sicurezze maschili, proprio perché fondate sul possesso del corpo femminile e sul silenzio sociale delle donne, sono in crisi. Oggi le donne hanno ruolo e parola. Sono soggetti sociali. Che a loro volta propongono identità e sessualità. E che hanno una consapevolezza grande del proprio corpo, della propria sessualità e dei propri ruoli. In questo nuovo mondo lo stupro la violenza sono diventati un tentativo di negare tutto questo, di respingerlo, di ricondurlo almeno simbolicamente nel vecchio ordine, nell’antico equilibrio. catastrofe del modello maschile ROCCA 1 NOVEMBRE 2010 Le donne debbono esserne spaventate? Non credo. Debbono esserne consapevoli. Per non ricadere anzi rifiutare un ruolo di vittime che riconferma una subalternità e rassicura gli uomini. Perché nel dichiararsi vittime le donne riconfermano un ruolo antico che rassicura tutti. Quelli che fanno violenza e anche quelli che si indignano e vorrebbero svolgere un ruolo di protezione. Pensiamoci bene. In ogni caso sia con la violenza sia con la protezione sono gli uomini che intervengono, determinano, decidono. È la loro voce quella che si sente – alta e chiara – nel mondo. È il loro ordine che viene riproposto, quello in cui le donne o si stuprano o si proteggono. Ma di quanto e come le cose sono cambiate dovrebbero acquistarne consapevolezza anche gli uomini. Oggi sono insicuri, non capiscono, non riescono più ad orientarsi in un mondo che non è di loro esclusivo possesso, un mondo che non va pro26 prio più come vorrebbero. Anche perché – riflettiamo un attimo – non è solo il rapporto con l’altro sesso che non funziona più, ma l’intero sistema da loro fondato. Guardiamo, per esempio, solo un momento, alla situazione economica, alla grande crisi finanziaria del pianeta. I volti di quella crisi sono esclusivamente maschili. Sono loro che hanno costruito il disastro. Certo nessuno lo dice, ma c’è un intero mondo che non regge più, che si avvita su se stesso, che non risolve i problemi, che constata ogni giorno di non avere gli strumenti giusti. E questo mondo è innegabilmente maschile. I maschi – amici e nemici del sistema – sono apparsi inconsapevolmente, ma incrollabilmente uniti nella difesa di se stessi come l’unico sesso che può decidere le sorti del mondo e che può permettersi ogni errore perché, comunque, insostituibile. La catastrofe del modello maschile a molti e molte appare come quella provocata dai terremoti o dai grandi uragani. Inevitabile perché naturale. Ma anche queste sicurezze sia pure in modo non esplicito cominciano a crollare: forse tutti questi guai, questo collasso del sistema, questa incapacità di tenere insieme i pezzi del nostro vivere civile dipende anche dal fatto che il comando è in mano quasi esclusivamente agli uomini. I loro modelli non reggono più, non sono più in grado di governare il pianeta. Forse si è esaurita una fase della storia dell’umanità ed è necessario iniziarne un’altra. Ed è chiaro che la legge non può più essere esclusivamente quella del padre. come uscire dalla rimozione Ma oggi gli uomini non sono in grado di porsi queste domande. Come non sono in grado di porsi domande sulla loro sessualità, sul rapporto con le donne. Ancora una volta preferiscono la rimozione, preferiscono allontanare da sé il problema. È proprio l’inconsapevolezza maschile la difficoltà reale del nostro tempo. Fare emergere la questione maschile dalla rimozione non significa, ovviamente, risolverla. Nominarla non porta automaticamente ad una piena presa di coscienza e ad un dibattito indolore. La fine della rimozione genera inevitabilmente un conflitto e cancella un vecchio equilibrio. Ma il conflitto per quanto doloroso è comunque produttore di nuove idee, comporta scelte, suggerisce comportamenti diversi. Per questo non bisogna averne paura. TERRE DI VETRO tutti i dettagli in cronaca Oliviero Motta erlusconi salvato dai Finiani» è il titolo di prima pagina che apre la serie di otto pagine dedicate al voto di fiducia: Maroni prevede che le urne saranno a marzo, nasce il partito dei transfughi antiUdc, Fini fa il partito, Bersani attacca e scalda i Democratici, Salerno-Reggio nel 2013 e il compleanno più amaro del Cavaliere. Poi, da pagina 12 si parla di emergenza sanità e rifiuti, Al Qaeda, varie dagli esteri, Adro e i soli padani. Segue infine la cronaca, con la scomparsa della povera ragazza di Avetrano e i pastori che portano le pecore sotto il ministero dell’agricoltura. È proprio qui, a pagina 22, che fa capolino la notizia: trentasette righe su una colonnina in fondo al foglio. Come dire: l’ultimo spazio a disposizione. Titolo: «Via libera alla legge su dislessia e disgrafia». Per arrivare a notare la notizia ci vuole uno di quei giorni un po’ particolari, dove le scadenze del lavoro lasciano fiato e puoi sfogliare con attenzione fino a lì. Magari un lungo viaggio in metrò. Eppure il fatto è di quelli importanti, perché riguarda un problema ormai molto presente nella vita della scuola e delle nostre famiglie. Le statistiche ci dicono infatti che la dislessia coinvolge quasi il 5% della popolazione scolastica delle scuole primarie e medie: mica poco. La dislessia è un disturbo dell’apprendimento e la sua principale manifestazione consiste nella difficoltà a leggere e scrivere in modo corretto e fluente; il bambino dislessico non può farlo in maniera automatica e ci riesce solo impegnando al massimo le sue capacita e le sue energie; perciò si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro, rischia di non imparare. Se questo problema non viene identificato nei primi anni di scuola, le conseguenze possono risultare anche gravi. Se in- B fatti il bambino dislessico è sottoposto a un metodo d’apprendimento usuale, egli riuscirà solo con un grande dispendio di energie e concentrazione a ottenere risultati che per i suoi compagni e per i suoi maestri sono quasi banali. I problemi maggiori nascono quando i bambini dislessici non vengono compresi, poiché spesso passano per pigri o addirittura per stupidi. Questo li porta spesso a perdere la propria autostima, a forme di depressione o ansia, fino a rigettare in toto il mondo della scuola. Ecco allora l’importanza del sì pronunciato dal Parlamento. Fino ad oggi le scuole non erano vincolate ad intervenire anche se un alunno manifestava questi problemi: tutto era praticamente sulle spalle dei genitori. Adesso la scuola diventa parte integrante della diagnosi e della cura. La legge prevede una didattica personalizzata e l’uso di strumenti compensativi (personal computer, calcolatore); inoltre i genitori di alunni dislessici potranno usufruire di permessi e di orari di lavoro flessibili ed è prevista una specifica formazione per i docenti. Insomma un passo in avanti concreto nella modernizzazione della nostra scuola e del nostro Paese. Un piccolo/grande salto di civiltà che… va a finire a pagina 22. Sappiamo da tempo che i media ci offrono ogni giorno una realtà costruita, la quale influenza in modo importante la nostra lettura della realtà. Secondo il mio giornale la politica sarebbe quella roba delle prime otto pagine e una legge sulla dislessia occuperebbe nel mondo lo stesso spazio – e per di più in cronaca – dedicato alla cravatta di Fini. Un caso? Può darsi. Ma rimane il sospetto che la disgrafia e la dislessia centrino un po’ anche con ciò che si scrive e si legge sulla stampa. Scrittura corretta e lettura automatica. Meno male che la nuova legge c’è. Ritanna Armeni 27 ROCCA 1 NOVEMBRE 2010 VIOLENZA ALLE DONNE voci di dire confermando che la voce nel mondo era solo la sua oggi è diventato – o vorrebbe diventare – uno strumento di conferma – disperata, confusa, anche se ancora pericolosissima di una identità che non c’è più, di una legge del padre che non è più riconosciuta. Non è più una voce, ma un urlo che cerca di sopraffare altre voci, quelle femminili, che oggi sono più alte, più autorevoli e, malgrado tutto, stanno cambiando il mondo. E allora – tocca ancora una volta alle donne chiederselo – che cosa sono diventati gli uomini in questo mondo che non è più soltanto loro. Che cosa indica questa violenza che si perpetua sul corpo delle donne, ma che contrariamente che nel passato pare determinata non dalla forza, ma dalla paura, dalla perdita di identità? Essa – paradossalmente – rivela la grande fragilità del maschile, la crisi di un ruolo. E quindi – inevitabilmente – il conseguente scombussolamento del rapporto fra i sessi che si poggiava – per millenni si è poggiato – su ruoli sessuali e sociali bene definiti: l’uomo dominatore fino alla violenza, la donna sottomessa fino al sacrificio, la sessualità maschile prevaricatrice, quella femminile inesistente, il corpo maschile penetrante, quello della donna accogliente, senza condizioni. Se questi pilastri crollano – e sono crollati – è un modello di convivenza fra i sessi che viene meno, è l’ordine simbolico del pianeta umano che cade e gli uomini sono i primi ad essere sommersi dalle macerie.