Mini impianti a carico immediato in regione estetica

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Mini impianti a carico immediato in regione estetica
10 Case Report
Anno V n. 2 - Maggio 2011
Italian Edition
Mini impianti a carico immediato in regione estetica
G.M. Nardi*, A. Bizzarro**, F. Scarano Catanzaro***, C. Denisi***, F.R. Grassi****
*Ricercatore Dipartimento di scienze odontostomatologiche e maxillo-facciali - direttore: Prof. A. Polimeni
**Libero Professionista Lecce
***Unità operativa di Odontoiatria dell’Università di Bari - direttore: G. Favia
****Prof. Ordinario di Malattie Odontostomatologiche - Università degli Studi di Bari
Abstract
In seguito alla perdita di elementi dentali, non prontamente
sostituiti, è frequente riscontrare una riduzione degli spazi
edentuli, a causa della migrazione dei denti contigui. Nei casi
in cui i pazienti non vogliano
sottoporsi a trattamento ortodontico per ripristinare lo spazio
perso, così anche in trattamenti
ortodontici per agenesie dentali
che terminano con insufficienti
volumi della cresta alveolare,
è possibile ricorrere ai miniimpianti, evitando in questo
modo le procedure di rigenerazione ossea.
Il ricorso ad impianti di diametro minore rispetto a quelli standard consente, inoltre,
di preservare più osso nel sito
implantare, sia in senso vestibolo linguale che palatale,
interdentale consentendo la formazione di un’adeguata papilla. Dalla letteratura però non
esiste un’attenta analisi della
precicibilità a lungo termine
del trattamento implantare eseguito con impianti di diametro
ridotto (Figg. 1, 2).
Background
Nei casi in cui la perdita di
spazio in arcata non consenta
all’odontoiatra il posizionamento di impianti di dimensioni
standard, un’adeguata soluzione
è il ricorso ai mini impianti.
Gli impianti di diametro ridotto (SDIs) sono quelli che presentano un diametro compreso tra i
2,75 e i 3,3 mm. I mini impianti
dentali (MDIs) sono più piccoli
rispetto agli SDIs, con un diametro compreso tra 1,8 mm e
2,4 mm. Il loro utilizzo è stato
approvato dalla Food and Drug
Administration(1).
I mini impianti sono comunemente usati in aree che presentano dimensioni crestali
ridotte o quando lo spazio protesico è limitato. Ciò si realizza
più spesso nella regione anteriore del mascellare superiore (a
causa dell’alta incidenza di agenesie), in zona canina-premolare
e anche a livello mandibolare.
Inoltre, tutte le situazioni che
richiederebbero procedure di
aumento osseo prima dell’inserzione di impianti di dimensioni standard, possono spingere
all’utilizzo di mini impianti,
così da evitare la chirurgia preimplantare.
Non esiste ancora, però, un’attenta analisi del successo a lungo termine di questo tipo di
impianti(2).
Vigano presenta uno studio
retrospettivo di 5 anni su 52
mini-impianti posizionati per
la sostituzione di singoli elementi dentari. La percentuale
di sopravvivenza totale degli
impianti è stata del 94,2%. I
risultati dello studio di Vigano
suggeriscono che i mini-impianti per la riabilitazione di mono-
edentulie possono rappresentare
un trattamento alternativo di
successo nella risoluzione di problemi estetici e funzionali(2).
Shatkin et al. posizionarono
2514 MDIs in 513 pazienti. Il
follow-up è stato in media di 2,9
anni. 1278 impianti sostenevano
protesi fisse, 1236 invece, protesi rimovibili, con distribuzione
pressoché equa tra mandibola
e mascella. La sopravvivenza
complessiva degli impianti è
stata del 94,2%. I fallimenti si
sono avuti in pazienti fumatori
o che presentavano osso di scarsa qualità(1).
Nello studio di Stuart et al.
viene riportata una percentuale di sopravvivenza del 100%
dopo 1-5 anni dal carico per 48
impianti di diametro ristretto
posizionati in 27 pazienti(3).
Uno studio retrospettivo di 7
anni presenta i risultati di 192
impianti di diametro ridotto
(tra i 2,9 e i 3,25 mm) posizionati in 165 pazienti.
La percentuale di successo è
stata del 95,3%. Gli autori concludono che con gli impianti di
diametro ridotto le percentuali
di successo sono simili a quelle
ottenute con impianti di dimensioni standard, per cui il loro
utilizzo può essere tranquillamente previsto principalmente
in quei casi in cui si hanno problematiche di spazio(4).
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Si sono presentati alla nostra
attenzione due pazienti con problematiche di spazio differenti.
Il primo (sesso maschile, di
anni 52), affetto da parodontopatia cronica (Figg. 3, 4), presentava vistosi splintaggi parziali e
necessitava, tra gli interventi
più urgenti, di essere sottopo-
Fig. 3 - Foto iniziale pre-trattamento (grave parodontopatia).
Figg. 1, 2 - Immagini esemplificative.
Fig. 4 - Opt iniziale.
sto all’avulsione dei 4 incisivi
inferiori. Dall’anamnesi non si
evidenziavano fattori di rischio
sistemici.
Dopo le sedute di igiene orale e di motivazione, in seguito
all’esame obiettivo e parodontale ed allo studio radiografico del
caso, al paziente è stato proposto
il protocollo di implantologia
post-estrattiva a carico immediato. Ottenuto il consenso
informato, si è proceduto all’intervento, prevedendo la profilassi antibiotica.
Previa anestesia locale con
vasocostrittore, sono stati estratti nel modo più atraumatico
possibile i tre incisivi inferiori
parodontalmente compromessi
(del quarto incisivo rimaneva
solo la corona splintata ai denti
contigui).
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Gli alveoli chirurgici sono stati preparati con le frese specifiche della sistematica implantare
(Fig. 5) e in virtù degli spessori
esigui crestali, si è optato per
impianti di dimensioni 3 x 13
mm (Figg. 6, 7). Sono state posizionate due fixture implantari
in posizione 32 e 42 e si è proceduto alla sutura (Fig. 8). Dal
momento che la stabilità primaria degli impianti lo consentiva,
gli impianti sono stati immediatamente caricati entro le 24 ore
dall’intervento con un provvisorio di 4 elementi (Fig. 9).
Le suture sono state rimosse
dopo sette giorni senza rimuovere il provvisorio. Il decorso
operatorio è stato privo di complicanze. Oltre alla terapia antibiotica e antidolorifica, è stato
prescritto l’utilizzo di collutorio
a base di clorexidina 0,2 % 2
volte al dì per 15 giorni.
Al paziente sono state date
istruzioni al fine di evitare carichi eccessivi durante la masticazione. Trascorsi 90 giorni
dall’intervento è stata rimossa
la protesi immediata e rilevata
un’impronta con polivinilsilossano monofasico per la realizzazione del manufatto protesico
definitivo (Figg. 10, 11).
Il paziente è stato inserito in
un corretto protocollo di mantenimento. Foto controllo a 3 anni
(Figg. 12, 13).
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Fig. 5 - Preparazione sito implantare con frese da 2mm.
Fig. 6 - Inserimento impianto one-piece.
LA PREVENZIONE
contro virus, batteri, spore e funghi.
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La paziente, di sesso femminile e di anni 22, si presentava
alla nostra attenzione alla fine
di un trattamento ortodontico
effettuato in altro studio con
insufficiente spazio fra le radici
del 21 e 23 di appena 3 mm, per
incompleto movimento ortodontico degli elementi interessati (Figg. 14, 15).
Questo anche per le richieste
di brevità della terapia che la
paziente richiedeva. Dall’anamnesi non si evidenziavano fattori
di rischio sistemici.
Dopo le consuete sedute di
igiene orale e motivazione, e
dopo un attento esame obiettivo
e radiologico, è stato proposto
un protocollo di implantologia
a carico immediato con posizionamento di un mini-impianto
dentale di diametro 2.4 mm e
lunghezza 13 mm.
Ottenuto il consenso informato, si è proceduto all’intervento, previa profilassi antibiotica,
con anestesia loco-regionale con
vasocostrittore. Si è elevato un
lembo a spessore totale senza
incisione di svincolo, con incisione intrasulculare nei denti
adiacenti, evitando così inutili
inestetismi post-chirurgici.
Perforata la corticale con fresa a lancia (Fig. 16), abbiamo
proceduto, come detto, all’inserimento di un impianto 2.4
di diametro, e relativa RX di
controllo (Figg. 17, 18). Notare
il perfetto inserimento del corpo implantare con rispetto delle
rispettive lamine dure dei denti
adiacenti.
Prima di eseguire la sutura,
verificata la perfetta stabilità
primaria, è stato posizionato un
abutment in Teflon per l’esecuzione di provvisorio in resina con carico immediato (Fig.
19). Il lembo è stato posizionato
coronalmente con sutura a punti staccati 4,0.
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Fig. 7 - Posizionamento degli impianti nei siti post-estrattivi.
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Fig. 8 - Punti di sutura dopo preparazione dell’abutment.
Fig. 9 - Prova del provvisorio in situ.
Fig. 11 - Protesi definitiva.
Fig. 12 - Controllo a 3 anni.
Fig. 10 - Radiografia di controllo a protesizzazione definitiva
avvenuta.
Fig. 13 - Controllo radiografico a 3 anni.
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l’impronta monofasica in polivinilsilossano con utilizzo di cucchiaio
individuale. Realizzando quindi,
manufatto protesico in oro-ceramica. La paziente è stata inserita in un
protocollo di mantenimento (Figg.
21-24). Il protocollo e la procedura
chirurgica sono sovrapponibili a
quelli della chirurgia implantare
classica, ma la difficoltà del caso è
quella di riuscire a gestire in modo
ottimale il ridotto spazio a disposizione dell’operatore per il corretto
posizionamento della fixture.
Anche in questo caso è stato applicato il protocollo di carico immediato, data la buona stabilità primaria
del mini-impianto.
Fig. 14 - Rx preoperatoria.
È stata prescritta terapia antibiotica e antidolorifica e colluttorio a
base di clorexidina 0.20% 2 volte al
dì per 15 giorni (Fig. 20).
La paziente è stata istruita all’igiene orale e le sono state date istruzioni per evitare carichi masticatori
eccessivi.
Le suture sono state rimosse dopo
7 giorni, senza rimuovere il provvisorio. Il decorso post operatorio è
stato privo di complicanze.
Trascorsi 90 giorni, aspettando la
maturazione dei tessuti molli gengivali, che si sono rimodellati intorno al provvisorio, è stata rilevata
Fig. 15 - Foto intraorale preoperatoria.
Fig. 16 - Valutazione della dimensione mesio-distale della cresta
ossea.
Conclusione
Il ricorso ai mini-impianti in caso
di spazi limitati, rappresenta un’ottima soluzione estetica, oltre che funzionale. Il ripristino dell’ampiezza
orizzontale attorno ad un impianto
richiede una distanza minima di 1,5
mm tra la superficie dell’impianto
e il dente vicino per permettere di
mantenere osso interprossimale adeguato. Impianti di diametro standard
di 4 mm o più, perciò, richiedono una
distanza da mesiale a distale di almeno 7 mm fra i due denti per inserire
un impianto e mantenere le corrette
distanze restaurative.
Fig. 17 - Impianto inserito.
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Ossean: l’unica superficie frattale nanostrutturata bioattiva
La superficie Ossean è studiata per ottimizzare il processo
d’integrazione ospite-impianto
migliorando la risposta biomeccanica. La sua caratteristica
peculiare risiede nel possedere
aspetto analogo a vari livelli
d’ingrandimento fino alla nanostruttura. In parole semplici, la
natura frattale della topografia
di superficie richiama l’esempio della “matrioska” (Fig. 1),
che possiede le medesime caratteristiche esterne pur avendo
dimensioni differenti. L’accelerazione e il miglioramento del
processo di guarigione ossea
sono garantiti dalla superficie
più adeguata per ciascuna zona
implantare. Infatti la superficie, oltre il livello nanometrico,
offre una topografia pressoché
ideale per l’adesione fibrinica.
A livello micrometrico la conformazione favorisce l’alloggiamento delle piastrine. A minor
ingrandimento si notano nicchie in grado d’incoraggiare la
crescita osteoblastica.
Osservando la superficie Ossean ai massimi ingrandimenti
col microscopio elettronico a
scansione (200000X), non si evidenziano particelle sovrapposte
alla superficie implantare. Tuttavia, dall’analisi spettrografica risulta chiara la presenza di
molecole fosfato calciche (circa
1000 volte più piccole delle nano
particelle). Esse sono incorporate
nello strato di ossido di Titanio
come impregnazione molecolare
a livelli che superano la dimensione nanometrica (Fig. 2). Tali
molecole presentano un energia di legame molto maggiore
rispetto alle grandi molecole
tradizionali di fosfato di calcio.
Oltre ad offrire l’evidente vantaggio di una maggiore stabilità
sulla superficie implantare, il
fosfato di calcio, conserva le sue
classiche proprietà biologiche
(Fig. 3).
Fig. 1
Fig. 2
Ossean A4.indd 1
Fig. 3
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Fig. 18 - RX di controllo.
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Inoltre, gli impianti di diametro standard richiedono almeno 2 mm di osso
vestibolare all’impianto per evitare il
riassorbimento osseo ed il ritiro gengivale, che richiedono poi una maggiore
dimensione apico-coronale della corona.
Il restauro dell’impianto in questi casi
richiede una corona implantare artificialmente lunga, che causa compromissione estetica(3).
Il rispetto delle giuste distanze tra
dente ed impianto consente la corretta
rigenerazione della papilla interdentale.
Vari studi cercano di valutare quanto
sia predicibile il ricorso ai mini-impianti. Alcuni test biomeccanici mostrano
aumenti statisticamente significativi del
torque di rimozione all’aumentare del
diametro implantare(5).
In altri studi emerge come la forza ultima di rimozione sia correlata fortemente
alla lunghezza dell’impianto piuttosto
che al diametro(6).
In ogni caso il reale significato clinico
dei test sulla forza di rimozione è controverso.
Per quanto concerne, invece, la resistenza alla fatica di ridotti o mini-impianti,
questa dipende dall’impianto stesso e
dalle proprietà dell’osso e comunque sono
ancora scarsi gli studi a riguardo(8).
Il ricorso ai mini-impianti consente di
preservare più osso nel sito implantare
sia nell’area vestibolare che interdentale.
Gli impianti di diametro minore
rispetto a quelli standard rappresentano
un’opzione implantare in pazienti con
agenesie congenite degli incisivi, spazio
interdentale ridotto, incisivi decidui ritenuti che vengono persi, mancanza di uno
o due incisivi mandibolari ecc.(3).
L’utilizzo dei mini-impianti consente
di ottenere ottimi risultati estetici, con
il vantaggio di ridurre i tempi e i costi,
evitando eventuali procedure ortodontiche o di rigenerazione ossea prima del
trattamento implantare.
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Fig. 19 - Inserimento abutment in teflon per provvisorio.
Fig. 20 - Posizionamento del provvisorio.
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Oral Maxillofac Implants. 2008 Jan-Feb;23(1):99-104.
Fig. 21 - Controllo RX a 1 anno.
Figg. 23, 24 - Controllo dopo 3 anni dal posizionamento dell’impianto.
Fig. 22 - Controllo RX a 3 anni.