Apri - Il Bagliore
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Anno IV Numero 7 ______________________________________________________________________ _______________________________________________________________ Periodico mensile dell’oratorio S. Tarcisio – Carnate (MI) 2 Editoriale Di casa in casa La Benedizione Natalizia alle famiglie Con l’inizio dell’Avvento si rinnova sulle strade del nostro paese e nelle nostre case il “segno” di Dio che “viene a visitare il suo popolo”. E’ il segno del sacerdote che, in nome di Cristo, passa tra le famiglie per invocare la benedizione del Signore. Ma qual è il senso della visita alle famiglie in occasione del Natale? 1.La Benedizione di Dio La Benedizione di Natale è la benedizione di Dio che, attraverso la mediazione del sacerdote, giunge nel cuore della nostra famiglia e delle nostre case. Nel sacerdote che viene è il Signore che viene. Le parole non sono sue ma quelle di Cristo. Il sacerdote viene a portare la Benedizione del Signore. E’ una benedizione per tutta la famiglia, che rimane vera nella misura in cui mantiene le sue radici in questo dono di Dio per noi. 2.Il gesto della fede La benedizione natalizia non è un gesto magico o scaramantico! Non è un rimedio contro il “malocchio” o tante altre assurdità in cui noi tanto spesso crediamo. E’ un gesto di fede. Accogliere la benedizione del Natale è credere nella presenza di Dio nella nostra vita e nella vita delle nostre famiglie. Dio non ci lascia mai soli. Nemmeno di fronte alle prove e alle difficoltà dell’esistenza. La benedizione è il segno più grande di “Dio con noi”. Accogliere la Benedizione di Dio significa rinnovare, nella fede e nella preghiera, la certezza di sapersi ogni giorno nelle mani di Dio, nella sua fedeltà, nel suo cuore. 3.L’amore di Dio in mezzo a noi La benedizione natalizia esprime l’amore e l’affetto di Dio verso ogni famiglia. Il nostro Cardinale Arcivescovo ci invita nel prossimo triennio, a riflettere sulla famiglia come realtà in cui si rinnova, in un modo del tutto particolare, l’amore di Dio. La benedizione di Natale è il segno dell’amore di Dio in mezzo alle nostre famiglie. Questo gesto di fede e di preghiera ci ricorda che la famiglia non è un prodotto della nostra cultura o della nostra società occidentale ma frutto del cuore di Dio, del disegno di Dio. In questo spirito ci prepariamo a vivere il Natale di Cristo. Buon Natale a tutti. Don Gianluca Comunicazione Censura o pluralismo? 3 E’ di qualche settimana fa il dibattito riguardante la pubblicazione in Internet, su Google.video, del filmato di un ragazzo autistico sottoposto a soprusi all’istituto superiore di Torino. I rappresentanti di Google sono stati subito accusati di concorso in diffamazione aggravata, e sono fioccate le argomentazioni di opinionisti che sollevavano il problema di una Rete che trasporta messaggi sempre più fuori controllo. Il caso è emblematico di un problema che da qualche anno ci troviamo di fronte e con il quale ci scontreremo sempre di più in futuro. Stiamo parlando della diffusione di qualunque tipo di materiale sul Web senza che nessun organismo possa controllare l’accessibilità ad un determinato pubblico o la validità dei contenuti. In effetti il problema non è da poco. Siamo in un’era in cui le tv nazionali mettono un bollino verde, giallo o rosso a seconda dei contenuti più o meno forti di un film, in cui la diffusione degli argomenti trattati nei giornali, nelle televisioni, nelle radio, è sempre controllata da un direttore, da una commissione, o da qualcuno che si prende poi la responsabilità di ciò che trasmette. In questo contesto un mezzo come la Rete, che non è controllato da nessuno, può diventare davvero un rebus per chi vuole garantire che i contenuti siano veicolati sotto determinate regole etiche o di altro genere. La questione del video sul bullismo dà luogo a due problemi. Il primo riguarda il fenomeno della criminalità giovanile: il fatto che Google sia stata accusata non ha senso in riferimento a questo, perché è solo un modo per spostare la questione fondamentale da un’altra parte. Non dobbiamo prendercela con la Rete, e cioè con il dito che la indica. Bisogna semmai pensare ai genitori, o al contesto sociale in cui i ragazzi vivono. Dovremmo essere grati ad un mezzo potente come Internet che permette di portare a galla questi problemi; i quali peraltro non saranno mai risolti mettendogli il bavaglio. Il secondo riguarda la diffusione dei contenuti. Il pluralismo e la circolazione delle idee è sempre un pregio per una società perché permette di riflettere sul bene e sul male di ciò che avviene; ciò su cui dovremmo concentrarci è l’educazione che noi come persone possiamo trasmettere a chi usufruisce di questi mass-media. La società, grandi e piccoli, deve imparare a selezionare con criticismo i contenuti e fare in modo che la Rete diventi un mezzo comune ed utile come lo sono stati a loro tempo i giornali, le radio e le televisioni. Un mezzo che forse ora ci spaventa un po’, ma del quale riusciremo ad apprezzare i pregi solo col tempo. Sul Web c’è tutto ormai. Tutto, niente escluso. E’ lo specchio della nostra realtà. Della realtà mondiale. Qualunque cosa noi vogliamo sapere, fare, imparare, in Rete lo possiamo trovare. Che questa cosa avvenga a 10 metri da casa nostra o all’altro angolo del pianeta. Non fa differenza. La Rete andrà a pescarla e la porterà dritta davanti ai nostri occhi, in qualche secondo e a costo zero. Internet è come una gigantesca comunità. Con una differenza sostanziale rispetto a qualunque comunità mai esistita. Non c’è legge. Questo è un difetto. O un pregio. Dipende da noi. Sta di fatto che forse la Rete ci permette di raggiungere un’utopia che l’umanità ha sempre sognato. L’uguaglianza. Il potere nella storia dei secoli ha sempre impedito che ci fosse uguaglianza tra gli uomini. In Internet il potere non c’è. Non può esistere. Niente ci è imposto. La Rete è un mondo virtuale che può contenere ogni cosa. Forse con la Rete avremo davvero la possibilità di valorizzare quelli che sono gli aspetti più semplici ma importanti della nostra vita, e di annichilire tutto quel marasma di potere e interessi oligarchici che rendono il nostro mondo così pieno di assurdità. 4 Storie d’Italia Napoli come Beirut. Questa similitudine con la capitale libanese l’avevo sentita più volte in riferimento alla Palermo degli anni ’80-’90, quando la violenza e la ferocia mafiose rendevano il capoluogo siciliano un vero e proprio campo di battaglia con tanto di centinaia di morti ammazzati. Il paragone in questione si riferisce espressamente alla guerra civile che ebbe inizio in Libano nel 1975 e che vide schierarsi da una parte i musulmani libanesi e dall’altra la fazione della Falange, a maggioranza cristiana. In seguito a violenti combattimenti durati fino al 1990, la capitale del Libano, Beirut, fu divisa, da est a ovest, dalla cosiddetta "linea verde", che separava la zona nord, cristiana, da quella sud, musulmana. Ed infatti anche a Palermo ci fu una sorta di guerra civile che vide coinvolti mafiosi, civili e talvolta lo Stato, con conseguenze nefande. Ora credo, con grande tristezza, che questo paragone tocchi alla città di Napoli. Un’altra città che come Palermo è da anni toccata dalla criminalità organizzata e che negli ultimi giorni sta dando veramente il peggio di sé con brutali omicidi di Camorra, di gelosia e di pura follia. La situazione nel capoluogo campano si è fatta a tal punto preoccupante da mobilitare politici da ogni fronte, parlamentari e la popolazione (soprattutto i giovani della città). Si è addirittura ipotizzato l’intervento dell’esercito. Quello che però dà maggiormente fastidio, almeno dal mio punto di vista, risiede nel fatto che questo forte interessamento della gente e dell’opinione pubblica non persiste nel tempo ma si fa vivo solo nei momenti di forte emergenza. Quello che invece credo sia giusto, e non vale solo per la “questione napoletana”, è dimostrare una costante attenzione alle zone a rischio, senza mai abbassare la guardia, perché l’emergenza è perenne e le organizzazioni criminali, in particolare quelle mafiose, non fanno che attendere i silenzi e l’omertà che le rinforzano e rendono le loro azioni impunite. Per nostra fortuna in Italia esistono delle “voci” che si fanno sentire costantemente, laddove ce ne è bisogno; ci sono certo, ma sono sempre troppo poche perché possano riuscire, almeno in parte, ad eliminare questa “mancanza del senso dello Stato”. Una di queste voci è senza dubbio l’associazione Libera presieduta da Don Luigi Ciotti che da undici anni si propone di coordinare l’impegno della società civile contro tutte le mafie presenti sul territorio nazionale, promuovendo la “cultura alla legalità” in particolare tra i giovani e dando sostegno diretto a realtà dove la penetrazione mafiosa è molto intensa. Libera è un’associazione CONTRO tutte le mafie, CONTRO la corruzione politica ed è nata innanzitutto PER costruire percorsi di libertà, cittadinanza, informazione, legalità, giustizia, solidarietà. Storie d’Italia 5 Ma ritorniamo al problema di Napoli. La città partenopea ha visto nell’ultimo anno circa 80 omicidi di stampo camorristico, 17 dei quali sono avvenuti negli ultimi mesi (ottobre-novembre). Una scia di sangue che non vuole fermarsi, anzi, sembra voglia diventare ancora più lunga, in particolare nei quartieri più a rischio di Napoli, il cui controllo è spartito tra i vari clan mafiosi. I più tristemente famosi sono i quartieri di Scampìa, Secondigliano, Forcella, il Rione Sanità, Poggioreale (dove, si guardi il caso, è presente il Palazzo di Giustizia). Questi quartieri raggiungono un livello di degrado ai limiti del possibile, dovuto senza dubbio ad una marcata povertà materiale e sociale, che è via via aumentata a causa della presenza massiccia della criminalità organizzata che controlla buona parte del lavoro in nero, del racket e del traffico di droga. I dati numerici che si sentono sono poi la conferma di questa grave situazione. Le persone affiliate ai 66 clan della Camorra sono ben 6500, mentre i cosiddetti “fiancheggiatori” sono in numero molto più elevato, circa 50 mila. Gli omicidi a cui prima ho accennato sono per la maggior parte legati a questioni di Camorra. Le faide che ne conseguono hanno come “mandanti” principali la gelosia, il controllo di una determinata zona d’influenza, il mancato rispetto da parte di una persona nei confronti del capo-clan della zona, il controllo di appalti, l’usura… Sono omicidi che non colpiscono solo pregiudicati o mafiosi, ma talvolta, anzi troppo spesso, anche persone innocenti ed oneste la cui unica colpa è stata quella di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Uomini, donne, bambini che hanno perso la vita a causa di chi non conosce la convivenza civile. Non c’è che da rimanere indignati di fronte a tutti questi avvenimenti. Questo sentimento è condiviso anche da chi, agendo all’interno di questa realtà, cerca non senza difficoltà di migliorare la situazione attuale. È il caso di Don Luigi Mérola, 33 anni, reggente della chiesa di San Giorgio ai Mannesi nel cuore di Forcella, che mai ha avuto paura di sfidare i criminali e tutt’oggi, con i due angeli della scorta, che da circa due anni lo accompagnano ovunque, porta avanti la sua lotta alla criminalità con un’arma importante: la Parola. Parlando dell’importanza delle parole, vorrei terminare questo articolo con uno slogan che è stato protagonista nel mese di novembre di una manifestazione a livello giovanile nei quartieri di Napoli: “Contro la Camorra, non molliamo” (vedi immagine). Speriamo in bene… Bea 6 Curiosità “Con che fa rima Orione?…” La stagione invernale è cominciata e con essa il cielo notturno presenta una delle sue costellazioni più belle e affascinanti: Orione. La localizzazione di questa costellazione è molto semplice sia per la grande luminosità delle sue stelle sia per la loro caratteristica posizione: tre astri ravvicinati uno dietro l’altro, formanti la così detta cintura di Orione, e quattro astri più distanti che compongono, con le prime, due trapezi, uno simmetrico all’altro. Dal punto di vista scientifico questa costellazione presenta corpi celesti molto interessanti. La stella in alto a sinistra, denominata Betelgeuse, è una supergigante rossa di circonferenza più grande dell’orbita di Venere (se fosse messa al posto del sole, i suoi strati più esterni sfiorerebbero la Terra). Questa stella si distingue dalle altre, formanti questa costellazione, perché è la più anziana. Durante notti particolarmente limpide o grazie all’aiuto di un telescopio si può vedere la cosiddetta nebulosa di Orione, che ci appare come una nebbiolina colorata. Le nebulose sono, infatti, formate da polveri che riflettono la luce proveniente dalla stelle vicine. Questa affascinante costellazione è stata associata a una delle storie più belle della mitologia greca. Secondo il mito, Orione era un bellissimo cacciatore che durante una battuta di caccia incontrò sette bellissime sorelle, le Pleiadi. Preso da un attacco di indecisione, si innamorò di tutte e sette e incominciò a seguirle per terra e per mare e ad importunarle. Queste povere fanciulle, stanche di fuggire continuamente, chiesero aiuto a Giove il quale, per salvarle, le pose in cielo a formare la costellazione omonima. Ma nel frattempo si consumava un’altra piccola tragedia: Orione era convinto di essere talmente bravo come cacciatore da riuscire ad uccidere qualunque animale della Terra. Venendo a conoscenza della sua convinzione, Diana, dea della Caccia, decise di punire la sua arroganza creando un piccolo animale, lo scorpione, che avrebbe ucciso il grande cacciatore. Orione, infatti, fu punto dal piccolo artropode e morì a causa del veleno. Dopo la morte finì in cielo proprio dietro alle amate Pleiadi. Queste, spaventate dalla presenza del cacciatore, si rivolsero nuovamente a Giove che decise di proteggerle con un Toro. Ma Giove non si dimenticò neanche dello Scorpione che decise di posizionare il più lontano possibile da Orione. Infatti quando vediamo lo Scorpione non vediamo Orione e viceversa. Le due costellazioni, però, continuano a sfidarsi attraverso la luminosità delle loro stelle: a Betelgeuse lo Scorpione contrappone un’altra supergigante rossa: Antares. Robi Curiosità 7 GRASSI PENSIERI Dovunque siamo nel mondo, è praticamente certo che prima o poi ci imbatteremo in lei: la scintillante “M” gialla, logo della catena di fast food più diffusa al mondo, Mc Donald’s®. La storia dell’icona della “cultura” e del capitalismo americani iniziò in California negli anni ’50, quando Richard McDonald decise di inventare un sistema per permettere alle persone di mangiare in modo rapido ed economico senza dovere neanche scendere dalle loro auto. Ed ecco che nacque il fast food. La società presto si allargò fino ad arrivare alle enormi dimensioni di oggi: i suoi ristoranti possono essere trovati in ben 96 Paesi di tutto il mondo! Ma McDonald’s® è stato molto di più che una fortunatissima intuizione commerciale: ha praticamente cambiato la concezione di pasto. Prima dell’avvento del fast food l’unica opzione se si voleva mangiare fuori casa era il ristorante, dove occorreva un certo tempo prima che venisse servito ciò che veniva ordinato e dove il pasto era un momento di condivisione. Ora, dovendo aspettare solo pochi secondi per ottenere il menù scelto, si ha sempre meno l’occasione di parlare con gli altri. Questo aspetto si è sicuramente aggiunto a tutti gli altri che hanno contribuito a creare l’atteggiamento sospettoso nei confronti degli ”sconosciuti” che è tipico della nostra società. McDonald’s® ha avuto anche conseguenze più visibili sul piano pratico: ci ha abituato a cibi di scarsissima qualità, che è ovviamente diretta conseguenza dei bassi costi dei prodotti. Si calcola che ogni giorno 32 milioni di persone ingurgitino le 560 kcal di un Big Mac©, per non parlare delle 700 kcal della versione con doppio formaggio di un sandwich detto “Double quarter pounder” (che “sfortunatamente” è disponibile solo negli Stati Uniti) o delle 400 kcal contenute in una porzione da 10 crocchette di pollo. Le alternative che a prima vista sembrerebbero più “dietetiche” in realtà differiscono poco dai prodotti in cima alla classifica: il contenuto calorico medio di un’insalata è di quasi 200 kcal, e le sorprese non sono ancora finite, perché ANCHE l’insalata contiene zucchero! E’ stato calcolato che un bicchiere di Coca Cola Super Size (cioè un gallone di bevanda) contenga l’equivalente di ben 48 cucchiai di zucchero. A questo punto ci chiederemo perché tutti continuiamo a mangiare al fast food. La risposta è semplice: non sappiamo esattamente cosa sia quello che mangiamo ma conosciamo il suo sapore. E, accontentandoci di essere certi che un panino mangiato a Londra sarà esattamente uguale ad uno di Nuova Delhi, diventiamo ogni giorno sempre più grassi. Noe 8 Giochi 1 2 3 4 9 5 6 7 10 13 14 11 15 8 12 16 17 18 20 21 19 22 23 24 25 29 30 26 27 32 28 31 33 ORIZZONTALI 1-Una musa, 9-Acido ribonucleico, 10-Dispari nel Louvre, 11-Nome di donna, 13-Una caratteristica di Dio, 17-Popolo del Sahara, 18-Bordo del vestito, 20-Tipo di farina, 21-Una mossa degli scacchi, 23-Aste allo specchio, 24-Un Pokémon, 26-Un ramo della matematica, 27-Caserta, 28Dispari in nome, 29-Indossa la corona, 30-Torino senza tono, 32-Omaggio primaverile, 33-Ilaria in famiglia VERTICALI 1-Provincia calabrese, 2-Detto di evento ripetuto ogni dodici mesi, 3-Quella merinos è pregiata, 4-Immagine irreale, 5-Mettere in inglese, 6-Epoche geologiche, 7-Raduni, incontri, 8-Bari sulle auto, 12-Preposizione articolata, 14-Arrabbiate, alterate, 15-Costituiscono la folla, 16-Nuocere per il poeta, 19-Dodici sul quadrante, 22-Strumenti a corde, 23-Re greco che diede il nome ad un mare, 25-Conte inglese, 27-Il cloro del chimico, 31-Le vocali della vita. Andrea Mondo quiz 9 Dopo qualche mese di assenza, ritorna il nostro amico Martino con uno dei suoi intriganti enigmi… I BISCOTTINI NEI SACCHETTI Isacco ha 127 biscottini da dividere in un certo numero di sacchetti. Quando lo zio gli chiederà una quantità precisa di biscottini, compresa tra 1 e 127, lui dovrà dargliela senza aprire i sacchetti ma semplicemente con una combinazione di questi. Qual è il numero minimo di sacchetti che Isacco deve usare per accontentare lo zio fornendogli ogni possibile quantità di biscottini tra 1 e 127? Inviate le vostre risposte entro e non oltre il 25 dicembre alla nostra casella e-mail [email protected]. Claudio e Martino 10 Curiosità È solo un gioco C’è un nuovo gioco multimediale in circolazione; in realtà è antico, vecchio come il mondo, ma lo riperfezionano ogni anno. Sembra esserci una gran competizione per accaparrarsene la versione più aggiornata. Nessuno vuole rimanere indietro, è chiaro. La moda è la moda, non essere considerati “superati” è importantissimo; presto, datemi subito il nuovo modello!! Preoccupante. Questo gioco, come ogni altro, ha un nome: si chiama Violenza. Da un po’ di tempo rifletto sui videogiochi che circolano in commercio ultimamente. Lo scopo di ognuno di essi – con rarissime eccezioni – è uccidere, distruggere, spargere sangue in generale. Il nemico varia, naturalmente: ma che si tratti di alieni, di zombie, di lupi mannari, di criminali organizzati o meno, il trattamento è lo stesso. No, in effetti occorre operare un’altra distinzione: lo scopo del trattamento è lo stesso, i metodi sono svariati: spade, asce, pistole, mitragliatrici, bombe, incantesimi, calci rotanti ed ogni genere di arti marziali… la lista si allunga di continuo, come anche le identità che si possono assumere: ninja, poliziotti, supereroi, vendicatori, conquistatori assetati di potere, et cetera. D’accordo, lo ammetto. Dopo una giornata di scuola particolarmente avvilente, od una discussione con “quella persona così insopportabile”, dedicarsi a falciare brutalmente gli arti di qualche mostro può far sentire meglio. Ed è piuttosto normale sentirsi gratificati per aver appena completato un livello particolarmente difficile, anche se i vostri genitori penseranno di aver allevato degli idioti quando vi sentiranno gridare: “Evvai! Ho attraversato le Paludi Appestate e trovato il Cristallo delle Tenebre, ora posso vedere il filmato bonus e ottenere munizioni infinite!”. Tuttavia ci sono vari livelli di crudezza (in alcuni giochi, quando si vibra un colpo con la spada, si vede chiaramente in quanti pezzi si divide la parte tagliata, con annessa fontana di sangue) e vari gradi di “giocodipendenza”. Un conto è usare i videogames come passatempo per un’oretta. Ma ci sono ragazzi – e quel che è peggio, bambini – che trascorrono interi pomeriggi bloccati davanti agli schermi compiendo massacri virtuali, senza la supervisione dei genitori. Curiosità 11 Alcune persone rimangono così affascinate da questi giochi che addirittura li antepongono ai sani svaghi all’aria aperta, con gli amici. Inoltre è già successo che il giocatore si immedesimasse troppo nell’azione del roleplay, e capita tanto più spesso quanto più è giovane chi regge il joystick… i bambini, si sa, sono influenzabili. Basta pensare a quello che, qualche anno fa, convinto di essere un Pokémon e di saper volare, si buttò giù dal balcone. È ovvio: i personaggi dei videogiochi, come quelli dei film (anch’essi sempre più violenti… e la stessa cosa purtroppo accade nei cartoni animati) non si fanno mai male davvero. Se muoiono, si può ricominciare da una partita salvata. Se invece a morire sono dei personaggi minori… beh, poco male. Si vede che se lo meritavano, si meritavano la violenza loro inflitta. Cosa succederà quando i piccoli apprendisti killer cominceranno ad identificarsi anche coi videogiochi più violenti, come il recentissimo “Rule of Rose”, in cui una comunità di bambini malvagi in pieno stile “Signore delle Mosche” si diverte a fare cose orribili, come rinchiudere una ragazzina viva in una bara? Di certo dei giovani e innocenti fanciulli non si divertirebbero MAI torturando qualcuno! …Sbagliato. Sta già succedendo. È questo il nuovo gioco di cui parlavo all’inizio: si svolge nell’ambiente ingannevolmente tranquillo di una scuola superiore in Piemonte. I protagonisti sono dei ragazzini che si divertono. Si divertono. È il “come”, ciò su cui bisognerebbe soffermarsi. Derisioni, scherzi umilianti e percosse. E, naturalmente, c’era anche un bersaglio. Solo che in questo caso il “nemico” è semplicemente una vittima inerme: un ragazzo autistico, che non aveva fatto niente di male a nessuno. Per il semplice fatto che era lì, che era come era, è diventato oggetto di questi “giochi” che rivoltano lo stomaco. Sulla lavagna, il simbolo delle SS. Ah, com’è bello imparare dagli errori della Storia. Naturalmente c’era anche un bonus: un filmato girato col cellulare per testimoniare quell’impresa gloriosa e degna di nota: picchiare un ragazzo, anzi un bambino, che non poteva difendersi. Quel che è peggio, è presumibile che l’increscioso episodio non resterà isolato; questi ragazzi quasi certamente non riceveranno una punizione adeguata, e non si renderanno mai conto autonomamente della gravità del loro gesto: dopotutto, ehi, è solo un gioco! E allora, passiamo al livello successivo: stupri, aggressioni, omicidi… c’è l’imbarazzo della scelta, e le munizioni sono sempre infinite. Violenza. Soltanto un gioco. Ambra 12 Musica Domenica 19 novembre, ore 20.45. Al Teatro Smeraldo di Milano torna in scena La Febbre del Sabato Sera, il musical ambientato a Brooklyn nei mitici anni settanta che si svolge principalmente in una discoteca. Tony Manero è l’idolo delle ragazze e dai sui amici viene considerato l’eroe. Lui lavora in un negozio di vernici, ma ha la grande passione per la danza e infatti passa il sabato sera, la giornata più frizzante della settimana, in discoteca con i suoi amici. Come tutti i sabati Tony con i Baroni (questo è il nome della compagnia di amici) si reca in discoteca all’Odissey. Qui la serata è accompagnata dalla calda voce di Dj Monty, il quale annuncia che a distanza di due settimane vi sarebbe stata una gara di ballo: il Disco Dance Contest. Durante la serata in discoteca Tony nota una ragazza molto brava a ballare (e oltretutto molto carina) con cui gli piacerebbe partecipare. Quella sera, però, è presente anche Annette, una ragazza del gruppo dei Baroni che è follemente innamorata di Tony, la quale decide di chiedergli di gareggiare in coppia con lei: ovviamente il tutto per cercare di conquistarlo. Nei giorni seguenti, Tony decide di utilizzare la palestra di dj Monty per le prove di ballo. Mentre si allena con Annette nota che nella sala accanto prova Stephanie Mangano: la stessa ragazza che aveva visto il sabato precedente in discoteca. Tony decide allora di gareggiare con lei scaricando così Annette. Giunti alla serata della gara si presentano molte coppie, ma solo una di queste riuscirà a primeggiare. Alla fine restano in gara una coppia portoricana e Tony con Stephanie, i quali risultano alla fine essere i vincitori della gara. Purtroppo, però, Tony si accorge che dj Monty aveva truccato la sfida per fare in modo che lui risultasse il vincitore, e per correttezza cede il premio ai portoricani i quali avevano effettivamente ballato meglio di lui. Questo è un musical molto bello e affascinate, con un finale sorprendente. Le musiche sono dei Bee Gees in pieno stile anni ’70. Di questo gruppo ricordiamo la celebre canzone “Stayin’Alive”, che è presente nella colonna sonora dello spettacolo. Vi consiglio di andare a vederlo, anche per il coinvolgimento creato dagli attori. Quindi non mi resta che augurarvi buona visione!!!! ♫sam♫ Sport 13 UNA SCHIACCIATA DOPO L’ALTRA In questi giorni in Giappone di palloni gialli e blu se ne vedono tanti; si stanno infatti svolgendo i campionati del mondo maschili di pallavolo, quelli femminili si sono invece gia conclusi e hanno visto la vittoria della Russia e il quarto posto della nostra nazionale. Per quanto riguarda le gare tuttora in corsa, gli azzurri si stanno dimostrando veramente all’altezza di questo campionato del mondo: dopo il successo dello scorso anno agli Europei c’è tanta voglia di combattere e vincere punto dopo punto, partita dopo partita. Lo sa bene Gian Paolo Montali, l’allenatore della nazionale che ha saputo costruire una grande squadra che dentro di sé contiene dei grandi campioni del Volley; per citarne alcuni spiccano i nomi di Cisolla, Fei, Vermiglio e Mastrangelo. Loro sono i più famosi ma a questi nomi se ne dovrebbero aggiungere altri; infatti, se provate a vedere una partita, ciò che colpisce maggiormente l’attenzione è tutta la squadra che gioca insieme: ascoltando la telecronaca i giocatori vengono tutti nominati almeno una volta e durante la partita lo spirito di squadra è al massimo. Forse ciò è anche merito della pallavolo in sé. È uno sport che si insinua nel dna e dal quale non si guarisce più; questa frase l’ho trovata su uno dei numerosi siti dedicati al volley e, secondo me, ne rende molto bene l’idea. La pallavolo inoltre sa regalare emozioni uniche e permette di abbinare la forza pura all’intelligenza (è importante avere un buon allenamento ma anche una buon schema di gioco). Non dimentichiamo poi che questo sport è indistintamente praticato sia al maschile che al femminile e trova continuità tutto l’anno; nel periodo di pausa estivo, infatti, si trasforma in beach volley, pieno di divertimento e spettacolo. In Italia questo sport è ormai divenuto molto popolare ed apprezzato, e lo dimostra il fatto che il pubblico è in costante aumento negli anni. Inoltre, le vittorie della nazionale, hanno dato un grande impulso all’intero movimento, grazie soprattutto agli anni ‘90 che sono stati indubbiamente un grande salto di qualità rispetto al periodo precedente, in cui la pallavolo era un fenomeno circoscritto a qualche regione come l’Emilia Romagna, la Toscana, il Veneto, la Sicilia e poco più Oggi questo sport è maturo, ma ha ancora ampi margini di miglioramento davanti a sé. E questo sviluppo può avvenire soltanto con un maggiore interesse da parte dei giovani che vogliono intraprendere uno sport e dai più grandi a lasciarsi conquistare dalla passione per la pallavolo. Davide 14 Attualità MODA E MALATTIA Tutte le volte che leggo notizie del genere sto male: mi si stringe lo stomaco, mi lacrimano gli occhi e una rabbia indomabile mi prende. Lo so, non dovrei agire così, dovrei essere più razionale, più calma, anche perché con l’impeto e la forza non si ottiene nulla; ma è più forte di me. Sarà perché ci sono passata, sarà perché so cosa si prova, in ogni caso non appena sento di una ragazza morta a causa dell’anoressia non riesco più a controllarmi. Ana Carolina Reston Macan, Carol per tutti, modella di 21 anni, è morta il 15 Novembre scorso stroncata dall’anoressia. Era alta 1,74 e pesava meno di 40 chili. Ormai ridotta a pelle ossa, attaccata alle flebo in un letto, Carol si riteneva troppo grassa per poter sfilare sulle passerelle; ed è così che ha iniziato la sua battaglia con la bilancia, o meglio con la morte. Battaglia che ha perso, dopo aver ammesso, sottovoce, di aver un’immagine distorta di sé e del proprio corpo. La notizia della sua morte ha sconvolto tutto il Brasile, un Paese da anni nel grande circuito mondiale della moda, e dove l’anoressia fa notizia quanto la fame. Al tg è apparsa la madre che con voce struggente gridava “State più vicino ai vostri figli, vi scongiuro”. La morte di Carol si aggiunge alle tante che negli ultimi mesi hanno fatto notizia e che hanno spinto la ministro Giovanna Melandri a vietare sulle passerelle romane la taglia 38. Ma quello che mi chiedo io è: basta veramente vietare la taglia 38 sulle passerelle per fermare il fenomeno dell’anoressia? O forse dietro a questo si nasconde qualcosa di più? La causa di questo male è veramente la società e i suoi modelli impossibili o c’è anche qualcos’altro? L’anoressia consiste in una estrema e intenzionale perdita di peso, che in taluni casi può condurre anche alla morte. È un disturbo alimentare sorto alla fine del XIX secolo che interessa quasi esclusivamente soggetti femminili tra i 12 e i 25 anni circa. Pur rifiutando il cibo e pur esercitando nei suoi confronti forme esagerate di controllo, i soggetti anoressici vi dedicano molta attenzione, parlandone in continuazione e preparandolo con impegno per altre persone. Hanno un’immagine corporea distorta, all’insegna dell’ideale sociale della magrezza; pur essendo particolarmente magri, continuano a percepirsi grassi. Per questa ragione sono propensi a praticare l’esercizio fisico in modo compulsivo. Attualità 15 Sicuramente il contesto culturale e i suoi modelli hanno un peso importante; diciamo che sono il pretesto per lo scoppio della malattia. Non a caso nei Paesi del terzo mondo l’anoressia è un fenomeno inesistente. Spesso le anoressiche diventano tali dopo aver seguito una dieta o in seguito a un periodo di forte digiuno causato da una malattia. Si instaura a questo punto un circolo vizioso che interessa sia la mente che il fisico: meno mangio, più forte mi sento e meglio sto. Dal punto di vista mentale le anoressiche si sentono forti e superiori perché, a differenza degli altri, riescono a vivere anche non mangiando; dal punto di vista fisico, invece, dopo un lungo periodo di digiuno, si instaurano automaticamente dei processi ormonali votati per la sopravvivenza che creano un senso di forza e resistenza. Naturalmente questo può durare un po’ di mesi, non di più. E allora cosa spinge le anoressiche ad andare avanti, anche anni, senza voler riconoscere la loro malattia? Spesso alla base dell’anoressia si osservano imponenti giochi disfunzionali nella famiglia di appartenenza, che riguardano l’amore e il sentirsi amate. L’anoressia traduce un bisogno di amore e di affetto. È quello che Freud chiama il tornaconto secondario della malattia: il malato ha un vantaggio a essere tale da parte di chi lo circonda, perché sollecita l’attenzione dei suoi parenti e dei suoi amici e li obbliga a stargli vicino. Ora, la madre di Carol aveva ragione a fare quell’appello in televisione, bisogna stare più vicino ai propri figli, sia che siano malati, sia che siano sani. Ma nel caso dell’anoressia (come di molte altre malattie psichiche) spesso questo non basta. Bisogna avere il coraggio in certe situazioni di imporsi, di prendere il toro per le corna. Le anoressiche da sole non ce la fanno a riconoscere di essere malate, è più forte di loro. Bisogna veramente aspettare che siano sul punto di morte per fare loro capire questo? I genitori di oggi, purtroppo, tendono sempre di più ad adottare metodi soft nell’educazione dei propri figli e gli permettono quasi sempre di fare quello che vogliono. La maggior parte delle persone è convinta che per crescere bene un figlio e per farlo diventare al più presto indipendente bisogna permettergli di fare i propri errori. Io sono perfettamente d’accordo, ma ci sono alcune situazioni estreme in cui questo non è possibile, e l’anoressia è una di queste. Bisogna avere il coraggio di imporsi, di prendere la propria figlia e portarla in un centro specializzato nella cura di questa malattia. Vedrete che poi vi ringrazierà. Vale 16 APPUNTAMENTI DI DICEMBRE DATA Mar 5 Gio 7 Mar 12 Gio 14 Ven 15 Mar 19 Gio 21 Ven 22 ORA ADOLESCENTI 21.00 18.30 21.00 21.00 18.30 Incontro formativo 21.00 21.00 18.30 Incontro formativo GIOVANISSIMI Incontro formativo GIOVANI Incontro formativo Incontro formativo Incontro formativo Incontro formativo Incontro formativo PER TUTTI - Dal venerdì 15 a venerdì 22, tutti i giorni tranne sabato e domenica, alle ore 16.45 in chiesa parrocchiale, si svolgerà la Novena di Natale. - Sabato 16, a partire dalle 15, i giovani dell’oratorio passeranno a portare i consueti auguri di Natale agli anziani e ai malati della parrocchia. - Sabato 16, alle ore 21.00, in chiesa parrocchiale si terrà un concerto di campanari. - Domenica 17 si svolgerà il ritiro di avvento del gruppo Giovani. - Domenica 31 si svolgerà in oratorio la ormai tradizionale “Festa della Comunità”. Soluzione del cruciverba dello scorso numero: H A L L O W E E N E V A N G E L I S R I O M E S O A S I K E M E T T O R M E N T O R I U N D O R E N N E M O I L A O M T A O C V I N I T A C A O A G A L A P P I L E O R T O L T A R E ATTENZIONE:Il prossimo numero de “Il Bagliore” verrà distribuito Domenica 14 gennaio. La redazione Per commenti e osservazioni scrivete alla casella e-mail de “Il Bagliore”: [email protected]