le operazioni di finanza strutturata

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le operazioni di finanza strutturata
CONSULTING FINANZIARIA
LE OPERAZIONI DI
FINANZA STRUTTURATA
ASPETTI CIVILISTICI E TRIBUTARI
1 PRINCIPI GENERALI DI FINANZA STRUTTURATA.
Le operazioni di Finanza Strutturata (securitization) apparse nei mercati internazionali hanno assunto diverse forme in funzione della tipologia di crediti o di attivi oggetto di cartolarizzazione; tali operazioni sono state inoltre modificate nel corso degli anni per meglio rispondere alle esigenze degli investitori. È tuttavia possibile descrivere una struttura elementare che chiarifichi sinteticamente il processo di emissione di titoli ABS. Come osservato, tale processo si sostanzia nella conversione di crediti o di attività finanziarie, di diverso genere, in strumenti cartolari e, più propriamente, in valori mobiliari negoziabili e quindi liquidabili su un apposito mercato secondario. La securitization si presenta dunque come una tecnica finanziaria mediante la quale i flussi di cassa derivanti da impieghi creditizi, mutui o classi di attivo predeterminate, vengono selezionati ed aggregati al fine di costituire un supporto a garanzia di titoli di debito emessi sul mercato dei capitali. La struttura tipica dell’operazione può essere rappresentata in 3 fasi essenziali: A) Individuazione da parte dell’originator del pool di assets con caratteristiche omogenee che si intende smobilizzare dal bilancio. In questa fase l’originator è comunque assistito da un advisor, solitamente una banca d’investimento, con il cui aiuto viene predisposto un primo studio di fattibilità dell’operazione. B).Cessione (con formula del conferimento ramo ex art. 2435 cc) (ex artt 176 e segg cc.) del pool di assets selezionato (ramo di azienda), con una formula pro soluto, da parte dell’orignator una società esterna ed indipendente (Fondo di FTCPE) attraverso una (SPV) appositamente costituita e che quindi presenta nel suo attivo unicamente gli attivi “ceduti” (conferiti per il tramite del conferimento di ramo di azienda) dall’originator. La caratteristica principale dello special purpose vehicle è quella di essere una bankruptcy remote company, ovvero una società con oggetto sociale limitato, non soggetta proprio per la sua struttura al rischio di fallimento e sganciata giuridicamente anche dalle vicende economiche dell’originator. Lo SPV è un intermediario fondamentale nel processo di cartolarizzazione, rappresentando il collegamento tra l’originator ed il mercato dei capitali sul quale vengono emesse le ABS; C). Emissione e collocamento, da parte dello SPV, sul mercato degli ABS, al fine di finanziare l’acquisto (se la cartolarizzazione è un processo portato sino alla fine)/monetizzazione (se la struttura della cartolarizzazione è condotta “pro tempore” al fine di consentire che il pool di attivi -­‐ramo di azienda-­‐ venga ad essere oggetto di “pegno” per la monetizzazione). Tali titoli vengono collocati da una investment bank. I titoli possono essere emessi dallo SPV (o in aumento di capitale della medesima post conferimento dell’originator, o sono titoli di debito -­‐-­‐covered bond-­‐; in altri casi, essi rappresentano quote di debito atti finanziare l’acquisto degli attivi smobilizzati dalla cedente. Il rischio sopportato dai sottoscrittori delle ASSET BACKED SECURITIES è in prima istanza collegabile alla capacità del portafoglio dei crediti, selezionato e ceduto, di Pag. 2 generare flussi di cassa nella misura e nei tempi necessari al rimborso del capitale e degli interessi accessori. Ricapitolando, una operazione di FINANZA STRUTTURATA si connota per 3 distinte caratteristiche: 1) messa in pool di attività (sia esistenti sul mercato: ad esempio azioni espressive di “ramo di azienda”, sia create sinteticamente ) 2) dissociazione del rischio creditizio del pool di attività dal rischio creditizio del titolare delle stesse (originator), solitamente mediante trasferimento delle attività (ramo di azienda) ad una società (SPV) ad hoc , società veicolo; 3) frazionamento in tranche delle passività/titoli emessi a fronte dell’apporto del ramo di azienda (pool di assets) nella SPV. Il compito del frazionamento attiene alla Merchant Bank. Pertanto appare evidente che la dissociazione del rischio creditizio apporta benefici analoghi a quelli offerti dal credito garantito , con i vantaggi addizionali che i flussi di reddito provenienti dalle attività trasferite (ramo di azienda) sono in genere più prevedibili di quelli della impresa a “monte”. In altri termini, si otterrebbe, con tale dissociazione del rischio, una segmentazione del mercato (a seconda dei rating) che può rendere conveniente per gli emittenti di titoli strutturati la creazione di nuove attività con profili di rischio adatti alle esigenze di particolari clienti_finanziatori_investitori. 2 IL RAMO DI AZIENDA ED IL CONFERIMENTO NELLA SPV
Al fine di meglio individuare quali siano i presupposti necessari per la configurabilità di una siffatta operazione, è opportuno svolgere alcune precisazioni sulla disciplina di riferimento e sugli istituti giuridici coinvolti. Innanzitutto, giova precisare che secondo quanto espressamente disposto dall’art. 2555 c.c. “l'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa”. Come chiarito anche da autorevole dottrina (GIUSEPPE AULETTA, voce “azienda” in Enc. Treccani, Milano, 1991), ai fini della configurabilità dell’azienda sono quindi necessari tre requisiti, e precisamente “a) l’esistenza di un quid (complesso) composto da una pluralità di elementi; b) l’unificazione degli elementi in conseguenza della destinazione (all’esercizio dell’impresa); c) l’individuazione di elementi attraverso la qualificazione di ‘beni’ e l’indicazione della operazione ‘organizzazione’ che fa acquistare al bene la qualità di elemento dell‘azienda”. L’azienda, come sopra definita, può quindi articolarsi al suo interno in ulteriori comparti organizzati di beni, definiti per l’appunto “rami”. Tale espressione individua pertanto una pluralità di elementi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un'attività economica organizzata, sia essa essenziale o accessoria, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, che sia idoneo ad acquisire autonomia funzionale a seguito di un’eventuale trasferimento (cfr., tra le tante, Cass. civ. 10.09.2013 n. 20728, Cass. civ. 10.09.2013 n. 20729 , nonché Corte di Giustizia, 24 gennaio 2002, C-­‐51/00 Temco). Con espresso riguardo al momento di identificazione del ramo d’azienda si rileva che secondo un primo orientamento, maggioritario in giurisprudenza, è necessario non solo che i beni/rapporti ceduti rappresentino “un’unitaria entità economica”, Pag. 3 ma è altresì necessario che la realtà produttiva ceduta sia stata creata dall’imprenditore e abbia assunto autonomia funzionale in epoca antecedente rispetto all’operazione di cessione. Più precisamente, detta giurisprudenza, partendo dalla qualificazione in termini di ramo d'azienda di “ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità”, ritiene che una siffatta impostazione presupponga necessariamente “una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata "ad hoc" in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito” (tra le tante, cfr. Cass. Civ. 10.09.2013 n. 20728. In senso conforme, anche, Cass. Civ. 08.04.2011 n. 8066; Cass. Civ. 30.12.2003 n. 19842; Cass. Civ. 6.4.2006 n. 8017 e Cass. Civ. 6.4.2006 n. 8017 e Cass. Civ. 30.12.2003 n. 19842). Secondo altro orientamento, invece, ai fini della configurabilità della cessione di ramo d’azienda sarebbe sufficiente che l’attività ceduta sia dotata di una propria specifica autonomia funzionale, non essendo di contro necessario che la stessa sia preesistente all’operazione. In altri termini, secondo detta corrente di pensiero, posto che l’autonomia funzionale del ramo può essere verificata solo al momento della cessione, essa potrebbe comunque ritenersi configurata anche laddove all’atto della cessione detta condizione risulti ancora meramente potenziale (così, ex multis, Trib. Milano 07.03.2007 n. 1231 e Trib. Padova 05.02.2007 n. 1079). Per quel che concerne, invece, la disciplina specificamente applicabile alla cessione del ramo d’azienda, si rileva che – analogamente a quanto avviene per l’azienda tout court – la stessa sarà regolata dagli artt. 2556 ss. c.c.. Dette norme sono infatti applicabili ogniqualvolta “si abbia sostituzione di un imprenditore ad un altro nell’esercizio dell’impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse espressamente previsto” (Cass. Civ. 05.02.2000 n. 1294). Tra le principali peculiarità della disciplina civilistica in tema di “cessione”/conferimento del ramo d’azienda si sottolinea che tutta la normativa è improntata a preservare l’unità economica del complesso di elementi ceduti e, dunque, a scongiurare il rischio che il trasferimento parziale degli stessi pregiudichi indefettibilmente la funzione economica per cui erano stati riuniti, conseguentemente rendendo il complesso ceduto inidoneo alla prosecuzione dell’attività a cui l’azienda era strumentale. In tal senso, depone chiaramente il disposto dell’art. 2558 c.c. che, proprio per preservare l’unitarietà funzionale dei beni appartenenti al ramo o all’azienda precisa che, anche laddove le parti nulla dispongano, il trasferimento del ramo comporta l’automatico passaggio in capo al cessionario tutti beni e i rapporti aziendali interessati dal fenomeno traslativo, ivi compresa la clientela. Quanto detto è ulteriormente confermato dall’art. 2112 c.c. Detta norma, introdotta dal legislatore per regolamentare i rapporti di lavoro in caso di trasferimento dell’azienda o di un suo singolo ramo, sancisce espressamente la continuazione dell’originario rapporto di lavoro con il cessionario dell’azienda, fatti salvi tutti i diritti ed i crediti già maturati dal lavoratore in ragione dello stesso. Si tratta di una Pag. 4 ipotesi di successione legale del contratto di lavoro subordinato introdotta dal legislatore al fine di meglio tutelare il lavoratore evitando che lo stesso possa in ipotesi essere licenziato per il semplice fatto che l'azienda cui era impiegato sia stata ceduta. (Trib. Milano 30.03.2002; Cass. Civ. 30.07.2004 n. 14670). La disciplina in esame garantisce peraltro al lavoratore ceduto la continuità del rapporto di lavoro, ivi compresa l’anzianità di servizio e la posizione previdenziale. Suscettibili di cambiamenti, anche in senso peggiorativo, saranno invece le condizioni e le modalità della prestazione lavorativa giacché legale al CCNL specificamente applicabile al cessionario. L’anzidetta non necessarietà del consenso dei dipendenti ai fini del perfezionamento del trasferimento non esclude comunque che, ogniqualvolta nell’azienda siano impiegati più di 15 dipendenti, prima di attuare il trasferimento d’azienda, l’impresa cedente e quella cessionaria siano tenute ad avviare una preventiva procedura di informazione e consultazione con i sindacati (art. 47 L. 428/90). Per quel che concerne lo specifico campo d’applicazione dell’art. 2112 c.c., si precisa che per espressa dizione normativa, quanto disposto dalla norma in esame non trova applicazione nelle ipotesi contemplate dall’art. 47 c. 5 L. 428/90, ossia laddove “il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, (…) salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore”. Per il conferimento d’azienda era infatti possibile l’opzione fra due regimi: quello a valori fiscalmente riconosciuti (o “realizzativo”) previsto dall’art. 175 T.U.I.R. e quello con differenti valori a fini civili e fiscali (o “in doppia sospensione” o “neutrale”) normato dall’art. 176 T.U.I.R. Con la legge Finanziaria 2008, per le operazioni di conferimento d’azienda effettuate a partire dal 1 gennaio 2008, l’unica forma di conferimento d’azienda ammessa è quella prevista dall’art. 176 T.U.I.R. (conferimento bisospensivo), mentre l’art. 175 T.U.I.R. è stato modificato regolando i soli “conferimenti di partecipazioni di controllo e collegamento”. In estrema sintesi, si prevede che da un’operazione di conferimento non possano emergere, in ogni caso, plusvalenze imponibili per il soggetto che esegue il conferimento, così come perentoriamente disposto dal primo comma dell’art. 176 del T.U.I.R, il quale recita che “I conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali, non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze…”, e così come chiaramente riportato anche nella C.M. 25 settembre 2008, n. 57/E, paragrafo 3.1 in cui si ribadisce che “L’articolo 176 del Tuir disciplina il regime fiscale dei conferimenti d’azienda prevedendo, per le operazioni effettuate a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, un regime “obbligatorio” di neutralità fiscale…” . Pag. 5 In altri termini, la plusvalenza che dovesse a questi derivare dalla differenza tra il valore di carico dell’azienda e il valore delle partecipazioni ricevute in cambio del conferimento non assume valenza ai fini tributari. 2.1 CONFERIMENTI DI AZIENDA - REGIME A VALORI FISCALMENTE RICONOSCIUTI (O “REALIZZATIVO”) - ART. 175 T.U.I.R.
(REGIME IN ESSERE FINO AL 31.12.2007)
In tale regime, in vigore fino al 31.12.2007, la conferitaria recepiva nella propria contabilità i valori “correnti” di perizia, mentre la conferente iscriveva una partecipazione nella conferitaria pari al valore (corrente) netto del complesso apportato. Per la conferente si finiva con l’avere l’emersione delle plusvalenze (plusvalenze realizzate) con la conseguente tassazione. Utilizzando tale modalità si attuava il “riconoscimento” fiscale dei valori civilisticamente iscritti nella conferente (valore della partecipazione) e nella conferitaria (valore dei beni conferiti). Era possibile, all’interno di tale regime, seguire due vie: quella della tassazione delle plusvalenze secondo le modalità previste nel T.U.I.R. (art. 54/917) oppure quella dell’applicazione dell’imposta sostitutiva del 19% (art. 3 del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358). 2.2 CONFERIMENTI – REGIME, ATTUALMENTE IN VIGORE, CON
DIFFERENTI VALORI A FINI CIVILI E FISCALI (O “IN DOPPIA
SOSPENSIONE” O “NEUTRALE”) – ART. 176 T.U.I.R.
Il comma 2 dell’art. 176 T.U.I.R. è stato modificato, sempre dalla Finanziaria 2008, prevedendo la possibilità che il conferente o il conferitario siano soggetti non residenti purché “il conferimento abbia a oggetto aziende situate nel territorio dello Stato”. Inoltre, rispetto al passato, non è più richiesto il requisito del possesso, almeno triennale, dell’azienda oggetto di conferimento. Con questo regime concesso ai conferimenti di aziende e di rami aziendali (e non ai conferimenti di partecipazioni) il legislatore opta per il tenere distinti i valori di conferimento civili e fiscali. A fini civili si finisce con il recepire i valori correnti (di perizia), mentre a fini fiscali vengono riconosciuti i precedenti valori (valori storici). Pertanto il conferente assume in carico, a fini fiscali, la partecipazione nella conferitaria all’ultimo “valore fiscalmente riconosciuto dall’azienda conferita” (avremo pertanto un valore fiscale della partecipazione e un valore civile della stessa, quest’ultimo generalmente più alto), mentre la conferitaria subentra nella posizione che il conferente aveva rispetto ai suoi beni; la differenza fra valore civilistico e valore fiscale deve risultare da apposito prospetto di riconciliazione, da allegare alla dichiarazione dei redditi nel quale risulteranno “i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti”. Pag. 6 “Il predetto prospetto va allegato alle dichiarazioni dei redditi successive al conferimento fintanto che sussistano divergenze tra valori contabili e valori fiscalmente riconosciuti” (C.M. 320/E del 19 dicembre 1997). L’applicazione dell’imposta sostitutiva ai conferimenti d’azienda “in doppia sospensione” di cui all’art. 176 T.U.I.R. Sempre la Finanziaria 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244) ha inserito, all’art. 176 T.U.I.R., il comma 2-­‐ter che introduce la possibilità, per la conferitaria, di pagare un’imposta sostitutiva “liberando” fiscalmente i maggiori valori evidenziati in bilancio. In definitiva la conferitaria, invece della neutralità fiscale, può optare “nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio nel corso del quale è stata posta in essere l’operazione o, al più tardi, in quella del periodo d’imposta successivo” per l’applicazione, totale o parziale, di un’imposta sostitutiva sui maggiori valori attribuiti in bilancio, rispetto a quelli contabili della conferente. I maggiori valori che possono essere affrancati con imposta sostitutiva sono però solo i seguenti elementi relativi all’azienda ricevuta: − immobilizzazioni materiali; − immobilizzazioni immateriali. È bene precisare che deve trattarsi di azienda o ramo aziendale e non di singoli beni (Cfr. C.M. 25 settembre 2008, n. 57/E, par. 1). L’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, delle società e dell’IRAP è prevista con tre differenti aliquote: − 12% sui maggiori valori ricompresi nel limite dei 5 milioni di euro; − 14% sulla parte dei maggiori valori che eccede i 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro; − 16% sulla parte dei maggiori valori che eccedono i 10 milioni di euro. Con l’introduzione dell’imposta sostitutiva si ritorna, sotto certi aspetti, alla situazione fiscale ante 2004 che prevedeva un’imposta sostitutiva del 19% (D.Lgs. 358/97). La normativa in vigore dal 2008 si differenzia però per due importanti aspetti. Il primo, come evidenziato nella relazione illustrativa, riguarda il fatto che l’imposta sostitutiva è volta ad ottenere il riconoscimento fiscale dei valori civilistici e non a tramutare la natura dell’operazione da neutrale in realizzativa e, in quest’ottica, il legislatore ha concesso la possibilità di optare per il regime dell’imposta sostitutiva solo per la società conferitaria (e alle società beneficiarie nella fusione e scissione) mentre non avrà alcun effetto in capo ai soggetti che hanno effettuato l’operazione (conferente, società che riceve le partecipazioni in cambio nelle fusioni e scissioni). L’altro aspetto riguarda i beni che si possono affrancare con imposta sostitutiva: sono solo le immobilizzazioni materiali e immateriali. Ne restano pertanto esclusi, ad esempio, le partecipazioni e il magazzino. Conseguentemente con il conferimento con affrancamento si finirà per mantenere una certa asimmetria fra valori civili e fiscali. Viene comunque richiesta l’applicazione per “categorie omogenee di immobilizzazioni” (D.M. 25 luglio 2008). Il succitato decreto distingue poi le modalità di aggregazione: − per gli immobili le categorie omogenee sono le seguenti: a) aree fabbricabili aventi medesima destinazione urbanistica; Pag. 7 b) aree non fabbricabili; c) fabbricati strumentali ai sensi dell’art. 43, comma 2, primo periodo, del T.U.I.R.; d) fabbricati strumentali ai sensi dell’art. 43, comma 2, secondo periodo, del citato T.U.I.R.; e) fabbricati di cui all’art. 90 del T.U.I.R.; − per i beni mobili «inclusi, gli impianti e i macchinari ancorché infissi al suolo», questi “sono raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento”; − per le immobilizzazioni immateriali, incluso l’avviamento, l’imposta sostitutiva può essere applicata, anche distintamente, per ciascuna di esse (ad esempio se nell’azienda conferita sono presenti più brevetti, è possibile applicare l’imposta sostitutiva su uno solo di detti brevetti). La decisione di non affrancare l’intera plusvalenza è stata giustificata, nella relazione al Disegno di Legge, “nella volontà di evitare arbitraggi consistenti nel sottoporre a imposizione i conferimenti nei periodi in cui sono utilizzabili perdite fiscali”, ovvero al fine di non permettere che la base imponibile su cui applicare la sostitutiva venga individuata quale differenza tra plusvalori e minusvalori creati ad hoc e quindi incerti dal punto di vista fiscale e civile. 2.3 NORME ANTIELUSIONE
Il terzo comma dell’art. 176 afferma che il conferimento in sospensione di valori (ovverosia con differenti valori civili e fiscali) o soggetto ad imposizione sostitutiva e la successiva cessione della partecipazione ricevuta “per usufruire dell’esenzione di cui all’articolo 87” (plusvalenze esenti su partecipazioni immobilizzate) “o di quella di cui agli articoli 58” e 68, comma 3 (plusvalenze tassate al 49,72% per società di persone e imprenditori individuali), non costituisce operazione elusiva ai sensi dell’art. 37-­‐bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. La Relazione allo schema di decreto legislativo si esprime molto chiaramente sull’argomento: è esclusa l’applicabilità dell’articolo 37-­‐bis del D.P.R. 600/73 ai conferimenti in sospensione qualora il conferente alieni la partecipazione ricevuta in cambio dell’azienda conferita in condizioni di esenzione totale o parziale. In pratica, le plusvalenze sul trasferimento d’azienda vengono tramutate in plusvalenze da cessione di partecipazione con relativa monetizzazione in esenzione fiscale dei plusvalori sospesi sull’azienda conferita. In sostanza, conformemente al nuovo criterio della partecipation exemption, la cessione delle partecipazioni non è imponibile per il cedente, ma non attribuisce costi al cessionario. Resta comunque fermo che nel caso di esenzione totale, il beneficio persiste solo laddove la plusvalenza permanga in capo alla società. In definitiva, a fronte delle modifiche intervenute in materia di cessioni e conferimenti d’azienda, la rinuncia alla tassazione delle operazioni di trasferimento del reddito è attuata quando le stesse non comportino una modifica dei valori fiscalmente riconosciuti tale da influire successivamente nella determinazione dell’imponibile del reddito prodotto, restando dunque sempre consentita al contribuente una scelta diversa. Semplificando, infatti, il contribuente società di capitali potrà decidere se: − operare nell’ambito dell’esenzione, conferendo l’azienda in neutralità e successivamente cedendo la partecipazione usufruendo della partecipation Pag. 8 exemption, senza dare in questo caso al proprio acquirente valori fiscalmente riconosciuti (art. 178, c. 3); − operare in regime di imponibilità, vendendo l’azienda e facendo concorrere la plusvalenza alla formazione del reddito imponibile, dando al proprio acquirente valori fiscalmente riconosciuti. In entrambi i casi si può concludere che il sistema è strutturato in modo tale da evitare i salti d’imposta che si genererebbero per effetto della discontinuità nei valori fiscalmente riconosciuti. In tema del cosiddetto “abuso del diritto” si è pronunciata la Corte di Cassazione (sentenze a sezioni unite 23 dicembre 2008, n. 30055, 390056 e 30057) secondo la quale sussiste abuso anche ai fini delle imposte dirette. La sentenza, sempre della Cassazione (n. 10257 del 2008), ha poi stabilito che l’onere probatorio, in un’operazione formalmente corretta, ma in realtà abusiva, spetta all’Amministrazione finanziaria, mentre la successiva sentenza 1372/2011 della Suprema Corte ha stabilito che l’applicazione del principio dell’abuso del diritto deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare un giusto equilibrio fra pianificazione fiscale aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, specialmente in presenza di attività d’impresa. Sulla scia di quest’ultima interpretazione si pone la decisione della Commissione tributaria provinciale di Brescia (sentenza n. 14/07/11, depositata il 18 febbraio 2011) secondo la quale la cessione di quote, preceduta da un aumento di capitale sociale con conferimento di rami d’azienda, in luogo della più onerosa cessione di azienda, non è abuso del diritto se il contribuente prova le legittime ragioni dell’operazione. In controtendenza si pone invece la decisione della Commissione tributaria regionale della Lombardia (sentenza n. 36 del 3 marzo 2011) secondo la quale un conferimento di un’azienda a favore di una società di recente costituzione e la cessione, lo stesso giorno, delle quote ricevute in cambio ad un cessionario che è lo stesso soggetto che ha costituito la società conferitaria, rappresenta un insieme di atti tali da poter applicare il principio del divieto di abuso del diritto e rendere l’atto tassabile con l’imposta proporzionale di registro, come nelle cessioni d’azienda (art. 20 D.P.R. 131/1986). Vi sono quindi due “scuole di pensiero” in tema di conferimenti di aziende e successiva cessione delle partecipazioni e, pertanto, appare difficile preventivare l’onere fiscale di siffatte operazioni. 2.4 CONSEGUENZE DEL CONFERIMENTO CON DIFFERENTI
VALORI CIVILI E FISCALI
Il quarto comma dell’art. 176 detta alcune regole in presenza dei conferimenti attuati ai sensi dell’articolo stesso. In particolare le aziende acquisite a seguito dei conferimenti in esame «si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente»: è un’importante novità rispetto al passato (si pensi, in precedenza, ad esempio, alla necessità di ripartire fra conferente e conferitaria il processo di ammortamento dei beni apportati). Pag. 9 Viene poi precisato che le partecipazioni ricevute a seguito del conferimento “in sospensione” dalla conferente o quelle ricevute a seguito di operazioni in regime di neutralità fiscale di cui all’art. 178 (operazioni straordinarie fra società di Stati membri dell’U.E. diversi) si considerano immobilizzazioni finanziarie nel bilancio della società conferente o in quella che ha effettuato lo scambio di partecipazioni. In definitiva, i commi 3 e 4 dell’art. 176 T.U.I.R. attribuiscono alla partecipazione ricevuta a seguito del conferimento l’anzianità` di possesso e l’iscrizione nelle immobilizzazioni finanziarie sin da quando il conferente possedeva l’azienda oggetto di apporto, cosi che la cessione della partecipazione − sussistendo gli altri due requisiti di operatività e di non collocazione in “paradiso fiscale” − può avvenire in regime di esenzione, con la declaratoria legale di non elusività dell’operazione. 2.5 CONFERIMENTI DI AZIENDA E IRAP
La plusvalenza emergente dal conferimento, nei “conferimenti a valori fiscalmente riconosciuti” (tassazione ordinaria), non è componente di reddito che entra a far parte dell’imponibile IRAP, in quanto componente straordinario. A maggior ragione non ha influssi sull’imponibile IRAP il conferimento attuato a valori storici o con differenti valori civici e fiscali, così come chiaramente ribadito anche nella C.M. 26 maggio 2009, n. 27/E in cui si afferma che “…la cessione d’azienda (al pari del conferimento), infatti, è un’operazione che genera sempre componenti straordinarie che non concorrono alla formazione della base imponibile Irap”. 2.6 IMPOSTE INDIRETTE – IVA
Non e` prevista alcuna tassazione in quanto l’operazione di scorporo non rientra nell’ambito di questa imposta dato che il conferimento non e` considerato cessione di beni (art. 2, terzo comma, lett. b), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). Con le modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 313, il conferimento di azienda o di ramo aziendale e` escluso dall’applicazione dell’imposta, mentre e` soggetto ad IVA il conferimento di singoli beni (si veda in tal senso la circolare Min. Fin. n. 328/E del 24 dicembre 1997). In definitiva i conferimenti vengono equiparati alle cessioni: se hanno per oggetto un’azienda od un ramo aziendale non sono soggetti ad IVA (ma ad imposta fissa di registro); se invece hanno per oggetto singoli beni, scontano l’IVA. 2.7 IMPOSTE INDIRETTE – IMPOSTA DI REGISTRO
L’art. 10 della legge Finanziaria per il 2000 (L. 23 dicembre 1999, n. 488) ha profondamente innovato le disposizioni in materia di conferimenti in società stabilendo, al posto dell’aliquota proporzionale di registro, la tassazione in misura fissa. Questa previsione si applica sia ai conferimenti in denaro e quindi ai cosiddetti “aumenti di capitale a pagamento”, sia a qualsiasi altro conferimento di beni (crediti, marchi, brevetti, know how, ecc.) eccetto i beni immobili, nonché ai conferimenti d’azienda o rami aziendali. Pag. 10 2.8 IMPOSTE INDIRETTE – IMPOSTE IPOTECARIE E CATASTALI
Se il conferimento ha per oggetto un’azienda o un ramo aziendale trovano applicazione, nella misura fissa, le imposte ipotecarie e catastali (artt. 10 e 4 della tariffa allegata al D.Lgs. n. 347/90). Nel caso in cui il conferimento abbia ad oggetto altri beni, le imposte ipotecarie e catastali si applicano in misura proporzionale, del 2% e dell’1% qualora l’atto di conferimento non sia soggetto ad IVA, mentre si applicano le imposte in misura fissa qualora il conferimento integri una cessione imponibile IVA. Pag. 11