ETIOPIA IL “ PAESE DELLA PACE PIU` ALTA” La terra dei grandi

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ETIOPIA IL “ PAESE DELLA PACE PIU` ALTA” La terra dei grandi
ETIOPIA IL “ PAESE DELLA PACE PIU’ ALTA”
La terra dei grandi maratoneti Abebe Bikila e Haile Gebrselassie
La mia esperienza
Quando sono arrivata in Etiopia, la prima cosa che mi sono detta è “ sono ritornata in Africa, nell’Africa che
avevo conosciuto nel 1987. All’epoca arrivai nella repubblica Centroafricana e l’impatto con questo mondo
africano fu veramente forte. L’incontro con quell’Africa era l’incontro con le tradizioni, con la povertà, con le
case, le malattie, i colori, i profumi o gli odori, l’incontro con i bambini, il loro sorriso e i loro canti, ed era
l’incontro con le tribù di pigmei che vivevano nella foresta. Quell’Africa si annidò nel mio cuore e rimase li per
anni e anni. Sono ritornata varie volte in Africa visitando la parte sud con le sue grandi savane, i deserti, le
praterie, i grandi parchi, il delta dell’Okavango. Avevo conosciuto l’Africa degli animali e le emozioni che lo
spettacolo della natura ti offre. Ma è un’Africa tanto bella quanto diversa da quella che avevo conosciuto
tanti anni prima. Quella era l’Africa che mi aveva istruita e resa meno presuntuosa e che mi aveva fatto
capire che siamo tutti creature di un ‘unico Dio, qualunque sia il nostro credo. Io e loro, io e i pigmei, io
bianca loro neri.
Ma ora ero in Etiopia!
Un po’ di storia
Nell'Iliade e nell'Odissea i greci chiamavano Αἰθιοπία (Etiopia) le terre abitate dagli Αἰθίοψ (Etiopi), cioè gli
uomini “dal viso lucido”, mentre lo storico Erodoto utilizzava il nome Etiopia per riferirsi a tutte le terre a sud
dell'Egitto.
Le fonti etiopi invece fanno derivare il nome dal termine Ityopp'is che designava il popolo figlio di Cush, figlio
di Ham, il fondatore della città di Haksum (e tutto questo è confermato nei loro testi sacri). Una terza teoria
farebbe derivare il nome dall'espressione nella lingua dei “faraoni neri” del Sudan: et (~ verità o
pace) op (alto o superiore) bia (paese o terra): traducibile come “paese della pace più alta”.
In epoca coloniale questa nazione era nota come Abissinia (erroneamente ci si riferisce all'intera Etiopia con
questo nome) nome derivante dalla popolazione degli abissini; che a loro volta prendono nome dall'antico
clan egemone degli Habashat, che secondo i loro miti migrò qui partendo dall'Arabia.
E’ uno dei paesi più antichi del mondo, l’unico in Africa indipendente da millenni. La prima dinastia dsts al
1000 a. C. con l’imperatore Menelik I, ma i resti di Lucy, Australopitecus Afarensis, rinvenuti vicino ad Harar
e conservati nel Museo Nazionale di Addis Abeba, risalgono a circa 3.2 milioni di anni fa. Questa terra era
già nota agli Egiziani 25 secoli prima di Cristo.
Nel I secolo a.C , con il regno di Aksum, si usò ufficialmente il nome i Ethiopia; nel 316 d.C. due fratelli
siriani, Frumenzio ed Edesio, diffondono il cristianesimo bizantino nel Paese: Fumenzio viene nominato
vescovo della Chiesa etiope. Axum diventa una potenza in Africa Orientale, la prima a battere moneta con il
simbolo della croce, e la sua egemonia si estende su Eritrea, parte della Somalia, Sudan, Gibuti , Yemen,
Egitto e Arabia meridionali. Il suo declino avviene verso il IX secolo dall’invasione della regina Gudit ( Gudit
o Yodit probabilmente ebrea). La dinastia salomonica viene ristabilita alla fine del 1200, i Re dei Re, e dura
fino al 1400 consolidando la stretta alleanza con il potere religioso. Per un apio di secoli i re etiopi si
spostarono in giganteschi campi tendati per tenere il territorio sotto controllo.
Dopo alterne vicende, nel 1872 arriva un principe tirgrini che si fa incoronare come Yohannes IV, ma in
questo periodo acquisisce potere Menelik, principe dello Shewa. Nel frattempo gli inglesi concedono il porto
di Massaua agli italiani che da qui partono alla conquista dell’Eritrea. Il re Yohannes muore in battaglia,
Menelik II viene proclamato imperatore. I rapporti con gli italiani nascono male: le due versioni italiana e
aramaica dell’accordo di Uccialli del 1889 differiscono a svantaggio degli Etiopi. La situazione precipita e
dopo un paio di episodi sfortunati l’esercito italiano viene ufficialmente sconfitto ad Adua e la pace fiene
firmata nell’ottobre 1896 e l’Eritrea rimane agli italiani. Alla morte di Menelik nel 1913, sale al trono la figlia
Zauditu affiancata da un consiglio del quale fa parte il Ras Tafari. Alla morte dell’imperatrice nel 1930 Ras
Tafari è riconosciuto imperatore con il nome di HaileSelassie, nel 1935 lItalia invade l’Etiopia e l’imperatore si
ritira inesilio a Londra.
L’occupazione italiana finisce nel 1941 e Haile Selassie torna. Nel 1974un colpo di stato militare depone il
Negus, che morirà un anno dopo. Il potere viene assunto dal Derg, di indirizzo socialista, poi dalla fazione di
estrema sinistra con Menghistu. Con il crollo del comunismo nel 1991, l’Eritrrea torna indipendente e nel
1995 nasce la Repubblica Federale popolare di Etiopia; nel 2000 ad algeri è stata siglata la pace con l’Eritrea.
1° giorno Addis Abeba – Bahr Dar
Dopo aver preso l’aereo ad Addis Abeba siamo atterrati dopo circa un’ora di volo a Bahar Dar e la mia
prima impressione mentre con il pullmino raggiungevo il lago Tana, fu che stavo viaggiando lungo un
“paesaggio biblico”. Arrivati al lago Tana in barca iniziamo la nostra escursione alla scoperta delle
meraviglie di questo lago. Lungo le rive del lago e nelle sue isolette sorgono monasteri e chiese del periodo
tra il XIII e XVIII secolo, costruiti dai re cristiani per proteggersi dalla minaccia islamica e che tutt’ora
conservano manoscritti e tesori di arte sacra. Ura Kidane Mehret è forse la chiesa più bella di tutta l’area.
E’ un grande tukul con il tetto conico di paglia. Le mura interne sono decorate da affreschi. All’interno c’è il
Makdas, luogo sacro inaccessibile dell’Arca dell’Alleanza. Nel piccolo museo il sacerdote custode ci fa
ammirare antichi manoscritti, croci tipiche, antiche corone e bibbie miniate con copertina in pelle.
Camminando lungo il sentiero che dalla chiesa riporta alla barca siamo circondati dai bambini che ci vogliono
vendere piccole icone rappresentative della chiesa e altri souvenir. Le donne in riva al lago lavano la
biancheria, altre riempiono le taniche d’acqua, altre discutono animatamente tenendo i bimbi sulla schiena.
Ripartiamo con la barca per raggiungere l’altra riva del lago e il nostro hotel. il cielo ci regala un tramonto sul
lago davvero spettacolare.
2° giorno Bahr Dar - Gondar
Ripartiamo con il nostro pulmino per raggiungere le cascate del Nilo Azzurro. Da Bahr Dar passiamo
attraverso villaggi e campi in fase di aratura prima dell’arrivo della piccola stagione delle piogge.
Incontriamo molte persone che si spostano a piedi uomini e donne avvolti nel loro tipico scialle bianco. Le
donne sempre cariche con orci in testa, bambini o borse sulle spalle, ed in fine i bambini con la loro divisa
scolastica e che molto spesso alzano la mano per salutarti. Asini con carretti trasportano i carichi più pesanti
e nei campi l’aratro a chiodo è trainato dai buoi. Tutti camminano, camminano per lunghi percorsi, per tanti
chilometri. Arrivati alla meta prefissata scendiamo e ci incamminiamo tra asini, carretti, uomini, donne e
bambini che ti chiedono una penna per scrivere e percorriamo il sentiero che ci porta al villaggio e poi
raggiungiamo le cascate. Il villaggio che attraversiamo è composto da piccoli tukul, con capanne sempre ben
curate. All’esterno di una di queste una donna sta cucinando la lingera, un curioso pane spugnoso e un po’
acido che si avvolge attorno alla carne e alle verdure. Noi siamo incuriositi nel vedere questa piccola arte di
fare il pane e la signora generosamente ne prepara un po’ di più per farcelo assaggiare.
Proseguiamo il nostro percorso lungo il sentiero del villaggio, dove incontriamo sempre tanti bambini e tanti
di loro hanno un piccolo flauto in mano. Vediamo poi un bambino intento ad impastare del terreno e a farne
piccoli dischi. No, non è terreno, è sterco che viene poi messo ad essiccare e serve per alimentare il fuoco. Il
bimbo non vuole farsi fotografare ed io non ho mai visto tanta dignità nel fare quel tipo di lavoro.
Continuiamo a camminare e mi chiedo perché questi bambini hanno un piccolo flauto in legno fatto in modo
molto artigianale in mano. Poi lo vedo, è li sopra il ramo più grosso dell’albero e sta suonando. E’ un
bambino e sta suonando una melodia e mi spiegano che suona il flauto per richiamare le sue caprette. La
sua famiglia gli ha affidato delle caprette da portare al pascolo e per radunarle le richiama con suonando il
suo flauto.
Ancora una decina di metri e svoltato l’angolo vediamo le cascate o meglio la cascata. La cascata del Nilo
Azzurro, che si unisce al grande fiume dopo circa 800 km, vicino a Karthoum, ha un salto di cira 50 metri
ed è seconda soltanto alle Cascate Vittoria.
Vicino a me c’è Kalkidan una bambina di circa 10 o 11 anni bellissima e chiaccherona. Vuole assolutamente
vendermi uno scialle che ha fatto la sua mamma. Vuole toccare i miei capelli e ci passa la mano sopra per
sentirne il liscio e vedre meglio il colore questo biondo con mechès. Mi chiede poi dove sono i miei bambini e
dov’è mio marito, e com’è la mia casa, e se compero o no questo scialle che ha fatto la sua mamma e se
vado a salutare la sua mamma nella sua casa. Rientrando al villaggio dopo aver scattato qualche foto alla
cascata, sono andata nella sua casa, un tukul tutto in ordine ed ho salutato la sua mamma dandole la mano
destra e porgendo la sinistra sopra l’avambraccio destra. E’ un modo di salutare tipico di molti paesi africani,
nel quale si fa capire alla persona che ti sta difronte che vai in pace e che nella mano sinistra non nascondi
nessuna arma o coltello. L’avevo imparato tanti anni fa in Centrafrica. Alla fine compero lo scialle tessuto
dalla mamma di Kalkidan. La bambina mi aveva sfinita con la sua parlantina ma alla fine ci siamo
abbracciate, l’avevo fatta felice per quell’acquisto.
Ripartiamo con il nostro pullmino delle meraviglie ed arriviamo a Gondar.
3° giorno Gondar
Questa incredibile città medievale africana, fondata dal re Fasiladas nel 1635 d.C., fiu capitale d’Etiopia per
ben 250 anni. Situata su di una collina ai piedi delle Montagne del Simien ad un’altitudine di 2.200 metri ,
deve la sua importanza alla strategica posizione che le permise di resistere più volte gli assedi dei musulmani
ed il suo sviluppo le consentì indipendenza ed autonomia dalle ingerenze esterne. E’ famosa per i suoi
castelli, gli unici in tutta l’Africa. Qui troviamo anche i bagni dove si rinnovano i voti del battesimo durante il
Timkat (Epifania). Visitiamo il Recinto Imperiale che sorge nel cuore della città moderna, oggi anche sede
universitaria. Questo complesso ospita 6 castelli e numerose altre piccole strutture. Il castello più importante
è quello costruito dall’imperatore Fasilidas nel 1640 e successivamente ristrutturato dall’UNESCO.
4° giorno Gondar - Lalibela
Si riparte e dopo un’ora di volo da Gondar si risale con il pullmino sull’altipiano a 2.700 metri, attraverso
campi, villaggi , acacie africane, euforbie a candelabro. E la gente cammina! Asinelli , carretti, bambini in
divisa, sempre in piccoli gruppi. La chiamano la Gerusalemme d’Etiopia: nel 1200 la Terra Santa era in mano
ai musulmani, e i cristiani d’Africa decisero di costruire una città santa con 12 chiese scavate nella roccia;
aprirono cunicoli, canyon nella montagna e nel fiume, il Giordano. La leggenda dice che furono i templari
fuggiti da Gerusalemme a contribuire atutto ciò, ora fanno parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
La città prese il nome di Lalibela dal famoso re della dinastia Zagwe. Giù per gli scalini e sentieri scavati nella
roccia comincia la visita delle chiese, ma dopo due giorni sugli altipiani si è acquisito un certo allenamento.
Entrando bisogna togliersi le scarpe – c’è sempre qualcuno a sovrintendere alla file di calzature.
All’interno delle chiese le pareti sono ricoperte di di affreschi di varie epoche, all’esterno son o circondate da
un cortile ed i sacerdoti vestono abiti bianchi liturgici con in mano le loro croci rituali. Rispettati da tutti,
dispensano benedizioni e i fedeli baciano la croce di Lalibela. Chiedo anch’io una benedizione ed il sacerdote
pone la croce sulla mi a testa che subito dopo bacio. Sono sempre molto sorridenti e quando posano per le
foto si mettono gli occhiali da sole per non essere abbagliati dai flash specialmente se sono all’interno delle
chiese, molto buie. I sacerdoti più anziani guidano nella formazione e nei primi riti i giovani diaconi, che
sono soprattutto orfani, cresciuti ed educati dalla chiesa e che vivono insieme nei tukul vicino alla chiesa. I
preti della Chiesa etiope possono sposarsi, non però i monaci, che conducono una vita di meditazione.
La chiesa di San Giorgio è separata dalle altre, e forse è la più affascinante: ha la forma della croce di San
Giorgio e finché non si arriva sul ciglio della profonda trincea è quasi invisibile. Il villaggio pullula di vita, i
diaconi leggono i testi sacri in un tukul seguiti da un sacerdote, i bambini tornano da scuola con la divisa
rossa.
Nel pomeriggio dopo aver visitato la chiesa decidiamo di prendere un caffè e decidiamo allora di entrare in
uno dei localini del posto. E’ un tukul grande e quadrato riparato dalla strada da una palizzata, al suo interno
sulle pareti ci sono pelli e teli colorati. Una panca di legno corre lungo il muro, tavolini bassi e sedie
artigianali completano l’arredamento di questo rustico locale. La giovane figlia di casa prepara il caffè con un
rito antico di secoli e denso di significati: i chicchi vengono tostati sul fuoco mentre l’aroma si espande nell’
ambiente. I chicchi vengono poi pestati nel mortaio e coperti da acqua bollente; questa bevanda calda e
schiumosa ci viene poi servita tre volte, la prima tazza sarà intensa e saporosa, man mano che si aggiunge
l’acqua sempre più delicata. Nell’attesa tra una chiacchera e l’altra si beve il Tej ovvero idromiele una
bevanda a base di luppolo e miele. Che bel pomeriggio!!!
5° giorno Lalibela – Dire Dawa - Harar
Questa mattina ci alziamo molto presto per raggiungere l’aeroporto ed imbarcarci nel volo che da Lalibela ci
porta a Dire Dawa, via Addis Abeba. Dire Dawa è la città industriale a Est della capitale ed è stata fondata
nel 1902 con la costruzione della ferrovia Addis Abeba-Gibouti. Da qui procediamo in pullmino verso Harar e
l’atmosfera è completamente diversa: a 1885 metri sulla sponda est della valle del Rift, tutta bianca, e
impenetrabile fino al secolo scorso, Harar è la città fortificata islamica, la quarta Città santa dell’Islam, con le
sue 82 moschee, e la cattedrale cristiana del Salvatore.
La prima tappa serale che facciamo è per incontrare l’uomo delle iene, così chiamato perché per mestiere
raccoglie avanzi di carne dà da mangiare alle iene …. di taglia piuttosto grossa. Si dice che misteriose erbe
magiche proteggano l’uomo che, in sprezzo al pericolo, porge con la bocca il bastoncino con la carne alle
belve. Spettacolo insolito !!!
La città è un grande centro commerciale per il chat o qat, detta anche erba della felicità per il suo effetto
leggermente narcotico: quella di Harar è la migliore, viene esportata in tutto il Paese e in Yemen, ma deve
essere consumato entro 24 ore dal raccolto; di notte il qat viene portato al mercato con carovane di
cammelli e cavalli, da qui prosegue per la costa su camion che viaggiano a velocità folle.
Ras Makonen, padre di Haile Selaisse era governatore di Harar: la casa del governatore è una delle attrazioni
della città, così come la casa dove visse Rimbaud, poeta maledetto francese, che ad Harar diventò mercante
di armi e di schiavi.
6° giorno Dire Dawa - Addis Abeba
Ripartiamo in volo da Dire Dawa verso la capitale ormai immersi nella cultura locale. Passiamo un po’ di
tempo per lo shopping etnico, croci d’argento e nickel, icone dipinte in stile etiope, cesti di legno intagliati,
collane e tessuti tpici e i bellissimi teli della maison Susanne. Per la serata, in un locale, scopriamo danze e
mucica tipica che merita. Poi si riparte, tristi di lasciare quella terra autentica e si rientra in Italia ansiosi di
raccontare tutto ciò.
Di Lorella Biasio