Convenzione Europea del Paesaggio

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Convenzione Europea del Paesaggio
Issn: 2036-3109
LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO
DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% NE/TN - anno VII - numero 17 - agosto 2015 - € 10,00
CONTIENE I.P.
17
In questo numero:
Quindici anni dopo la
Convenzione
Europea del
Paesaggio
2000-2015
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Urbani
LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO
DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA
17
Sentieri Urbani
rivista quadrimestrale della Sezione Trentino
dell'Istituto Nazionale di Urbanistica
rivista scientifica riconosciuta dall'Anvur, l'Agenzia per la
Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca
anno VII - numero 17 - agosto 2015
registrazione presso il Tribunale di Trento
n. 1376 del 10.12.2008 - Issn 2036-3109
numero monografico
“Quindici anni dopo la
Convenzione Europea del Paesaggio 2000-2015”
a cura di Angioletta Voghera e Bruno Zanon
comitato scientifico
Andrea Brighenti, Federica Corrado, Giuseppe de Luca,
Corrado Diamantini, Viviana Ferrario, Carlo Gasparrini,
Raffaele Mauro, Ezio Micelli, Pierluigi Morello,
Camilla Perrone, Paolo Pileri, Michelangelo Savino,
Francesco Sbetti, Maurizio Tira, Andrea Torricelli,
Silvia Viviani, Angioletta Voghera
[email protected]
direttore
Alessandro Franceschini
[email protected]
redazione
Elisa Coletti, Pietro Degiampietro,
Mario Gasperi, Davide Geneletti, Margherita Meneghetti,
Francesco Palazzo, Giuliana Spagnolo,
Giovanna Ulrici, Bruno Zanon
[email protected]
fotografia e sito web
Luca Chistè - [email protected]
hanno collaborato a questo numero
Angela Barbanente, Rose Marie Callà, Benedetta Castiglioni,
Marco De Vecchi, Franco Farinelli, Viviana Ferrario,
Peter Morello, Gilles Novarina, Adriano Oggiano,
Riccardo Santolini, Angioletta Voghera
progetto grafico
Progetto & Immagine s.r.l. - Trento
concessionaria di pubblicità
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via Filippo Serafini, 10 - 38122 Trento
0461.238913
06 Editoriale
di Bruno Zanon
08 Intervista a Claude Raffestin
A cura di Angioletta Voghera
12 PRIMA PARTE: LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
14 Quindici anni dalla Convenzione Europea del Paesaggio
di Angioletta Voghera
18
La capriola del paesaggio
di Franco Farinelli
22
Quando il Paesaggio si dissolve nell'ecologia
di Gilles Novarina
28
Educare al paesaggio. Educare attraverso il paesaggio
di Benedetta Castiglioni
32
Il ruolo delle attività antropiche
nel costruire/distruggere biodiversità
di Riccardo Santolini
38
A cosa serve il paesaggio?
Riflessioni ed esempi in area alpina
di Viviana Ferrario
44 SECONDA PARTE: ESPERIENZE E STRUMENTI
46
Il Piano paesaggistico della Regione Puglia
di Angela Barbanente
54
Pianificazione paesaggistica in provincia di Bolzano
di Peter Morello e Adriano Oggiano
62
Osservare e governare le trasformazioni del paesaggio agrario
di Marco De Vecchi
68
Studiare la percezione del paesaggio
ai fini della pianificazione: Il caso del PTC
della Comunità Rotaliana-Königsberg
di Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini
© Tutti i Diritti sono riservati
prezzo di copertina e abbonamenti
Una copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25
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I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono alla redazione
sono presi in considerazione se coerenti con la struttura dei numeri e
sono sottoposti al giudizio di lettori indipendenti.
contatti
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editore
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Istituto Nazionale di Urbanistica
Sezione Trentino
Via Oss Mazzurana, 54 - 38122 Trento
74 La recensione
di Bruno Zanon
76 La biblioteca dell'urbanista
E D I T O R I A L E
Il paesaggio, il nostro
ambiente di vita
A quindici anni dalla Convenzione Europea del Paesaggio
(CEP), trattato promosso dal Consiglio d'Europa e
sottoscritto da 38 paesi, è giunto il momento di fare un primo
bilancio e di individuare quali sono i punti di forza e quali le
criticità. Non si tratta, ovviamente, di sostituirsi a un
organismo di livello internazionale ma di riflettere su quanto il
nuovo approccio della CEP e le indicazioni che da essa
provengono si sono potuti tradurre in azioni concrete a scala
locale.
I contributi qui raccolti intendono tracciare, almeno in parte,
questo percorso: individuare i tratti peculiari della CEP, sia
relativamente a quelli che costituiscono dei veri e propri punti
di svolta, sia riguardo alle ambiguità di una definizione che,
essendo comprensiva, rischia di essere vaga, per poi
approfondire alcuni dei temi emergenti e descrivere delle
esperienze significative.
Sicuramente la Convenzione costituisce una profonda
innovazione (o una “capriola”, come afferma Franco Farinelli),
proponendo una definizione che sottolinea il ruolo delle
popolazioni che percepiscono, definiscono e vivono il
paesaggio. L'esigenza principale dei proponenti era
certamente quella di integrare tradizioni diverse: quella dei
paesi centro e nord-europei, che intendono per paesaggio
soprattutto le aree naturali, e quella dei paesi mediterranei,
che apprezzano in particolare il paesaggio antropico. Ma
questo richiede di distinguere il paesaggio, in quanto
rappresentazione della realtà, dal territorio, dallo spazio e
dall'ambiente, come ricorda Franco Farinelli. Inoltre, il
riconoscimento dei valori in gioco va fatto tramite gli occhi
della collettività, con tutti i problemi bene espressi da Claude
Raffestin. L'abbandono di una definizione “sostantiva” (riferita
a spazi, luoghi, condizioni) a favore di una definizione
“metodologica” (per riconoscere i valori del paesaggio
bisogna cogliere come esso è percepito) richiede
l'elaborazione di metodi e strumenti che ancora sembrano in
divenire e che fanno riferimento a professionalità diverse.
6
I compiti sono quindi cambiati. Dalla tutela come protezione
(l'approccio della tradizione italiana che, pur meritorio,
sconta dei problemi, come sottolineato da Angioletta
Voghera) si deve passare a una tutela attiva, a una
consapevole costruzione del paesaggio. E questo riguarda
pertanto non solo strumenti e settori specifici (la
pianificazione paesaggistica e territoriale) ma coinvolge tutti
i settori che intervengono materialmente sullo spazio
naturale e antropico e richiede nuove azioni di
coinvolgimento della popolazione, attività di ascolto e di
educazione. Trattare il paesaggio dopo la CEP significa agire
sempre meno in una logica di applicazione di prescrizioni
normative e di semplice controllo a favore di modalità
flessibili e creative, con una varietà di strumenti e di azioni.
Angioletta Voghera ricorda che si tratti di una “soft law”, che
richiede azioni di coordinamento e di metodi di governance.
Lo snodo, è ancora Franco Farinelli a rilevarlo, è politico.
Le sfide che si profilano sono quindi impegnative, ma il
momento appare favorevole, in quanto il riconoscimento del
ruolo del paesaggio è intervenuto in una fase che ha colto
anche altri temi, con esso strettamente intrecciati: il valore
della biodiversità (anche di quella prodotta dall'uomo), il
riconoscimento del ruolo di molte aree esterne ai “santuari
della natura”, l'approccio “reticolare” alle aree protette,
l'assegnazione di valore a molti manufatti e luoghi
trasformati dall'uomo e, più in generale, al paesaggio
antropico.
Altro tema di assoluta attualità è il legame suoloproduzione di cibo-paesaggio. Rischiamo infatti di
dimenticarci che l'umanità vive grazie alla capacità di
utilizzare i prodotti della terra, e che questo richiede di
tutelare il suolo fertile e di tenere ben vivo il legame funzionale, ma anche simbolico e valoriale - tra terra,
attività agricole, paesaggio. L'uomo, dalla rivoluzione
neolitica in poi, ha prodotto – contemporaneamente suolo, biodiversità, cibo, paesaggio. E nei diversi paesaggi
prodotti le comunità hanno riconosciuto il proprio ambiente
di vita, stabilendo con esso forti legami di identità e di
responsabilità.
Per contro, nuove trasformazioni - di segno opposto stanno intervenendo sul paesaggio: l'abbandono di molti
spazi agricoli e la loro rinaturalizzazione, l'estensione delle
aree urbanizzate (spesso senza crescita demografica ed
economica), la costruzione di nuove infrastrutture (che
creano barriere e frammentano l'ecosistema o
punteggiano luoghi sensibili), la collocazione di tecnologie
per la produzione di energia da fonti alternative. Di qui
l'esigenza di porre fine al “consumo di suolo” e di
intervenire sulle aree urbanizzate, di includere nei piani
territoriali l'ambiente costruito dall'uomo e lo spazio
naturale, di intrecciare le strategie di tutela e del recupero
con quelle per nuove modalità di sviluppo.
Servono, infine, nuove competenze e nuove
professionalità. Pur dovendo apprezzare il “successo” del
tema del paesaggio, che ha sostituito l'attenzione nei
confronti dell'opera di architettura, del disegno urbano, del
recupero dei centri storici, la complessità delle questioni
richiede competenze che ancora non sono bene
consolidate e che, soprattutto, non sono riconosciute.
Riprendere il filo del ragionamento è quanto ci si propone
con questo numero di Sentieri Urbani, offrendo una varietà
di contributi che lanciano uno sguardo critico e forniscono
stimoli particolarmente acuti (Claude Raffestin, Franco
Farinelli, Claude Novarina), tracciano il quadro di
avanzamento dell'attuazione della Convenzione in Italia e
in Europa (Angioletta Voghera), ripercorrono il senso del
paesaggio (Viviana Ferrario), individuano il ruolo
dell'educazione al e con il paesaggio (Benedetta
Castiglioni), chiariscono le connessioni tra paesaggio,
biodiversità ed ecosistema (Riccardo Santolini), analizzano
alcune esperienze relative a un piano paesaggistico ormai
consolidato, quello della Regione Puglia (Angela
Barbanente), a un osservatorio del paesaggio (Marco De
Vecchi), alla individuazione delle modalità della percezione
paesaggistici per la pianificazione territoriale (Rose Marie
Callà e Alessandro Franceschini), a sistemi consolidati – ma
in evoluzione - di governo del paesaggio (Adriano Oggiano
e Peter Morello). Non è un caso che le esperienze descritte
riguardano solo in parte strumenti normativi (piani), a
favore di una varietà di azioni culturali, di analisi, di
coinvolgimento della popolazione.
Bruno Zanon
7
I N T E R V I S T A
PAESAGGIO,
PERCEZIONE,
SAPERE ESPERTO
Un'intervista a Claude Raffestin
a cura di Angioletta Voghera
Claude Raffestin è Professore Emerito di Geografia nell'Università di Ginevra
8
“Ottima l'idea della Convenzione, ma non il suo contenuto e
le sue definizioni. È un testo importante, ma che dovrebbe
definire meglio i concetti proposti. Il maggior suo difetto è che
sia stata scritta prevalentemente da giuristi. I giuristi hanno
idee chiare, ma usano in questo caso concetti mal definiti”
Il paesaggio pare essere oggetto in molti paesi di
una vasta attività conoscitiva e regolativa che lo
pone al centro della scena. Le pare che questo possa
essere uno dei meriti principali ascrivibili alla
Convenzione?
Penso che la CEP possa essere importante come presa
di coscienza del paesaggio e della necessità di fare
attenzione alla sua evoluzione. Una critica alla convenzione è relativa alla definizione di paesaggio, che provoca, anche negli ambienti universitari, riflessioni generali e generiche. Il paesaggio è, secondo la CEP, “una
determinata parte di territorio, come percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall'interazione tra
fattori naturali ed antropici”. Quale parte di territorio?
E che cosa significa? Questa parte di territorio può cambiare con gli osservatori, a seconda di chi percepisce il
territorio, e questo porta a far prevalentemente riferimento ad una dimensione puramente “visiva”. Inoltre
questa definizione tenta di recuperare concetti relativi
al rapporto tra natura e cultura, ma in modo impreciso.
Quindi ottima l'idea della Convenzione, ma non il suo
contenuto e le sue definizioni. È un testo importante,
ma che dovrebbe definire meglio i concetti proposti.
Oggi la CEP è riferimento anche per paesi che, come
la Giordania, non hanno nessuna concezione di paesaggio, neanche dal punto di vista linguistico.
L'idea di avere una Convenzione globale forse
dev'essere ripensata perché non è possibile proporre
un concetto universale di paesaggio. Faccio un esempio; i cinesi hanno due ideogrammi per il paesaggio: il
primo combina montagna e acqua, il secondo vento e
luce. Il paesaggio analizzato nel sistema culturale e linguistico di ogni popolazione può portare a produrre
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riflessioni interessanti dal punto di vista teorico.
La Convenzione ha fissato principi, valori, indicato
possibili strade per guidare l'azione di tutela, pianificazione e gestione in diversi paesi. La CEP propone
una visione comune, che può essere "omologativa"
rispetto al significato del paesaggio nelle culture
locali. Qual è la sua opinione in merito?
Il problema dei valori del paesaggio “locali” è da
affrontarsi in modo molto delicato. Per spiegarmi al
meglio farò un esempio: venticinque anni fa i francesi
promossero una campagna di fotografia del paesaggio
con risultati molto interessanti. Purtroppo le popolazioni non riconobbero il loro paesaggio. Per questo
motivo continuo a dire che la CEP è un'ottima idea,
ma che dovrebbe specificare meglio i valori e i concetti
culturali e operativi che vuole promuovere. Cosa si
intende con gestione del paesaggio? Cosa si intende
con pianificazione del paesaggio? Il maggior difetto
della CEP è che sia stata scritta prevalentemente da
giuristi. I giuristi hanno idee chiare, ma usano in questo
caso concetti mal definiti.
Paesaggio e percezione: il paesaggio nella CEP è il
territorio come percepito dalle popolazioni nel suo
libro “Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio” metteva in luce il ruolo dei viaggiatori che
talvolta percepiscono il paesaggio prima degli stessi
abitanti. Ci può spiegare la sua posizione in merito?
E' una buona domanda, ma faccio una prima osservazione: noi come individui abbiamo naturalmente una
percezione delle cose derivata dal sistema fisiologico/visuale e biologico. Quando si parla di “percezione
collettiva”, come nella CEP, che cosa si intende richia-
“L'urbanista o il geografo, se si rifanno alla cultura del proprio
settore disciplinare, vedono il paesaggio secondo una propria
ottica interpretativa. Se hanno una cultura molto ampia che spazia
nella letteratura, nell'arte possono rappresentare il paesaggio in
maniera più efficace, secondo una visione più ricca, più completa,
superando le visioni settoriali”
mare? La collettività ha occhi? Ha un sistema biologico? La collettività è fisiologicamente costruita per vedere le cose come il singolo uomo? No certamente, ma
non significa che non esista una percezione “collettiva”.
Faccio un esempio classico: quando Humboldt si recò a
Philadelphia nel 1804 fu invitato dalla American Philosophical Society dove il segretario gli disse: “Sig. Humboldt, lei parte con l'America in tasca”. Humboldt aveva
infatti disegnato e descritto il paesaggio americano. Vi
spiego quindi come una percezione individuale possa
diventare “collettiva” con un aneddoto. Ero a Madrid
nel Museo della regina Sofia con mia moglie e da lontano vidi un quadro che pensavo fosse di Humboldt.
Arrivando vicino mi accorsi che era di Edward Church,
pittore americano che non conoscevo. Tramite ricerche
scoprii che Church lesse il “Kosmos” di Humboldt e studiò i suoi disegni, cominciando a vedere l'America
attraverso i suoi occhi. In questo senso esiste una visione collettiva. Non è una percezione, ma una visione collettiva. Anche noi vediamo il Lago Maggiore con i
nostri occhi, ma anche attraverso gli occhi degli scrittori che amiamo.
Quindi qual è per Lei esattamente la differenza tra
visione collettiva e percezione collettiva?
La percezione collettiva non esiste per le ragioni che ho
spiegato, ma esiste una visione collettiva, ovvero una
percezione individuale comunicata agli altri. Una visione collettiva che alcuni chiamano “percezione collettiva”. Questo è un passaggio molto importante e vi faccio un esempio in proposito: due anni fa ero a Bodrum
sulla costa dell'Anatolia. Bodrum è la vecchia Alicarnasso che visitai accompagnandomi con il libro di Erodoto
e cercando di leggerla attraverso i suoi occhi. Naturalmente la vidi con i miei occhi, ma ricercai lo sguardo di
Erodoto sulla città moderna. Erodoto ha trasmesso ai
suoi lettori una percezione.
Quando un piano paesaggistico elabora carte di rap10
presentazione del paesaggio propone
un'interpretazione che permane nel tempo, contribuendo a costruire l'apparato normativo e progettuale. Mi chiedo, quando si passa da una interpretazione di tipo culturale, come quella di Humboldt o
quella di Erodoto, a una lettura per la definizione di
indirizzi e norme, qual è l'approccio che si deve adottare?
È una domanda molto interessante, non facile. Prima
di tutto ritengo che l'esperto non esista ma esistono
persone che conoscendo bene un territorio e i suoi paesaggi, sono portatori di conoscenze tecniche. Quando
gli esperti pretendono di indicare quali tipi di paesaggi
occorra conservare, proteggere o valorizzare non si rendono conto di quanto la loro decisione sia il risultato di
un accumulo di conoscenze del passato, mediate da
diversi autori. In questo senso non esiste un esperto, o
meglio esiste se e solo se è capace di dire “vi propongo
di agire così perché sono influenzato da…”. Un esperto
deve saper esplicitare le fonti, la propria posizione culturale. Se non lo fa esplicitamente, sta agendo in modo
scorretto. Sembra un po' eccessivo parlare così
dell'esperto, ma rimango della mia idea. L'esperto
sarebbe accettabile come tale se fosse assolutamente
cosciente di tutte le conoscenze accumulate e che
entrano nei suoi ragionamenti, ma non è mai così.
L'esperto dipende sul piano tecnico e sul piano generale dalle sue capacità e dalla sua cultura. È influenzato
da categorie concettuali, da un accumulo di conoscenze e di informazioni. L'urbanista o il geografo, se si
rifanno alla cultura del proprio settore disciplinare,
vedono il paesaggio secondo una propria ottica interpretativa. Se hanno una cultura molto ampia che spazia nella letteratura, nell'arte possono rappresentare il
paesaggio in maniera più efficace, secondo una visione
più ricca, più completa, superando le visioni settoriali.
L'esperto dev'essere una persona di cultura ampia, che
si sia occupato direttamente di pianificazione paesaggistica e che dichiari sempre le fonti culturali non disci-
I N T E R V I S T A
“Quando dico che il paesaggio è distrutto intendo che non
soltanto la visione è distrutta, ma la vegetazione, l'idrologia,
l'ecologia sono distrutte. Importante è conservare le relazioni
all'interno di un sistema naturale, non solo la morfologia nel
suo aspetto visuale”
plinari cui fa riferimento.
Cosa pensa delle recenti esperienze di pianificazione
paesaggistica che sperimentano campagne di coinvolgimento della popolazione (osservatori, mappe di
comunità, ecc.). Queste esperienze di laboratorio
locale possono contribuire all'interpretazione e al
progetto di paesaggio?
Ottimo organizzare una comunità per testare la loro
conoscenza e le loro aspirazioni per il territorio e il paesaggio. Ho fatto in Svizzera diversi piani regolatori e
abbiamo sempre consultato la popolazione in una o
due riunioni nei comuni. Mi sono reso conto in queste
occasioni che alcune delle mie idee sul territorio non
erano corrette perché gli abitanti avevano un'altra esperienza del loro spazio di vita. Utile anche per far accettare meglio le decisioni, a legittimare il piano e a rendere più facile la gestione e la sua adozione, calibrando gli
errori dell'esperto. Alcuni di questi problemi sono emersi nella lettura dei miei libri da parte di esperti di diverse
discipline, come in “Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio”, troppo complicato perché presuppone conoscenze necessarie per mettere in relazione
territorio e paesaggio. Ma in generale i miei libri non
son ben capiti.
Come si può evitare il rischio di “consacrare” il paesaggio che lei evidenzia in alcuni saggi di commento
alla CEP? Oppure il rischio è di guardare solo alla
dimensione materiale del paesaggio?
Penso che per evitare questo rischio si debba ritornare
alle diverse sorgenti di informazione su questo paesaggio: letteraria, pittorica, cinematografica. Il cinema è
molto importante per il paesaggio e rimprovero ai registi di non indicare precisamente dove si è girato un
film. Sarebbe molto importante saperlo, sarebbe un
arricchimento per il paesaggio ed eviterebbe errori o
interpretazioni sbagliate del paesaggio (es. alcune
immagini pubblicitarie del FAI). Utile pensare al famo11
so pittore Fernand Leger che ha scritto un piccolo libro
che dimostra che era necessario trovare l'inaspettato
nel paesaggio, che non è una distruzione del paesaggio. Importante è l'immateriale, la dimensione fisica
del paesaggio può scomparire in un altro momento.
Non ha senso “consacrare” il paesaggio.
Forse non ha senso guardare alla dimensione
dell'oggi, dando eccessivo peso alla tutela, alla “consacrazione” / conservazione dell'esistente, perché il
paesaggio è in divenire? E' la dimensione in divenire
che dovrebbe essere al centro dell'attenzione del
piano.
Faccio un esempio di “distruzione del paesaggio”. C'è
un territorio francese al di là del confine fra Ginevra e
l'alta Savoia, una montagna che si chiama Salève, in
parte distrutta da scavi assolutamente inaccettabili.
Avevo l'abitudine, quando avevo tra i 15 e i 18 anni, di
andare a piedi sul Salève. Oggi non posso più perché
tutto è stato distrutto dalle cave. E' come una ferita in
questa montagna, molto famosa sul piano scientifico
perché Horace-Bénédict de Saussure aveva fatto le
sue prime osservazioni sulla geologia nel Salève. Purtroppo la CEP non può far nulla per questi problemi.
Più utile guardare ai termini cinesi: montagna, acqua,
vento e luce eccetera; non devi per forza tutelarli ma
gestirli in modo dinamico. Quando dico che il paesaggio è distrutto intendo che non soltanto la visione è
distrutta, ma la vegetazione, l'idrologia, l'ecologia
sono distrutte. Importante è conservare le relazioni
all'interno di un sistema naturale, non solo la morfologia nel suo aspetto visuale. I piani paesaggistici guardano al sistema di relazioni tra gli elementi del paesaggio. È anche vero che ci sono ricerche che in questo momento guardano prevalentemente al paesaggio nella dimensione visuale, la morfologia in relazione
alla forma dell'ambiente culturale e ai singoli beni.
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Fotografia di L. Chistè
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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
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1
LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
Quindici anni dalla
Convenzione Europea
del Paesaggio
di Angioletta Voghera *
* Angioletta Voghera, Professore
associato in urbanistica – Dist, Politecnico
di Torino, Coordinatore Commissione
Ambiente e Paesaggio - INU
A quindici anni dall'approvazione della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP, Firenze,
2000), la valorizzazione del patrimonio paesaggistico diffuso è obiettivo di politiche, piani e
progetti che, talvolta, coinvolgono anche le
popolazioni nell'interpretazione dei valori paesaggistici e nella definizione di obiettivi di qualità e di scenari di trasformazione.
Il paesaggio è diventato, da semplice oggetto
di studio, a terreno di confronto per la cultura
del territorio reclamando risposte nuove a
domande in parte antiche e mettendo in
discussione concezioni consolidate nei più
diversi ambiti disciplinari. In questa prospettiva
molte sono le politiche e le pratiche sviluppate
dal 2000 tra i paesi che hanno aderito alla Convenzione e che convergono nel riconoscimento
di principi e valori universali del paesaggio
come fondamento dell'identità delle popolazioni, ma anche nel rilancio della tutela “attiva”
come interazione tra protezione, pianificazione
e gestione dell'intero territorio e dell'attenzione
per la qualità paesaggistica delle politiche di settore (Gambino, 2007; 2015).
L'applicazione in corso della CEP sul territorio è
espressione, pur nella diversità di approccio e di
risultato nei singoli paesi, di una crescita di consapevolezza sociale dei valori del paesaggio e
del correlato impegno ai diversi livelli ammini-
14
strativi per valorizzarlo e progettarlo. Ha generato, inoltre, un processo di “europeizzazione”
delle politiche paesaggistiche. Tale processo è
rintracciabile nel recepimento top-down delle
indicazioni europee, con conseguente elaborazione di nuove normative o politiche a scala
nazionale (Knill e Lehmkuhl, 1999), o nell'influenza bottom up degli stati per la definizione di
strategie sovranazionali (Börzel e Risse 2000).
La CEP costituisce infatti un open method of
coordination (Bulmer e Radaelli, 2004) che propone agli stati membri del Consiglio d'Europa
un modello di governance per la costruzione di
quadri normativi e per l'azione, proponendo
principi e un approccio comune; è una soft law,
ad adesione “volontaria” per gli stati, definita
attraverso un lungo processo di discussione e
scambio di esperienze (Prieur, 2004). Essa sta
orientando l'attività di ricerca e le pratiche, ispirando definizioni concettuali e modalità di azione, con una portata forse maggiore di quanto si
poteva originariamente immaginare.
Con il supporto della continua attività di discussione e di condivisione (convegni del Consiglio
d'Europa, coinvolgimento delle università, con
UNISCAPE e della società civile, con CIVILSCAPE) la CEP è stata prevalentemente applicata a macchia di leopardo per aree geografiche, livelli o settori amministrativi, temi e campi
di azione (politiche e pratiche di progettazione
e gestione del territorio, sensibilizzazione, formazione; Scazzosi, 2011; Castiglioni, 2012).
Infatti l'adesione alla CEP, anche nei paesi che
hanno una lunga tradizione legislativa e operativa sul paesaggio (Gran Bretagna, Germania,
Francia, Austria), non può derivare da azioni
impositive ma necessita di un processo complesso di maturazione democratica che coinvolge molteplici strumenti legislativi, progettuali e operativi.
Le buone pratiche sono oggi lo strumento diffuso a livello europeo per supportare il processo
di innovazione istituzionale e guidare, con una
specifica attenzione agli aspetti paesaggistici, il
progetto del territorio cercando di coinvolgere
e responsabilizzare gli attori locali nel processo
di valutazione dei valori legati ai luoghi (art. 6
della CEP) e contestualmente di far interagire,
in una politica di collaborazione e di integrazione verticale e orizzontale, le azioni.
L'Unione Europea (UE) appare ancora lontana
dalla possibilità di istituire una politica specifica
corredata da indirizzi e finanziamenti, ma dal
1993 con la Carta del paesaggio mediterraneo¹,
il paesaggio è tra i temi fondativi dell'identità
territoriale. In questa direzione va lo Schema di
sviluppo dello spazio Europeo (CE, 1999) che
rileva l'importanza dei paesaggi europei e dei
territori sensibili (aree urbane e rurali, montagne, coste e isole, eurocorridoi, bacini fluviali e
valli alluvionali, aree di riconversione, regioni di
frontiera), da gestirsi attraverso politiche integrate. Il documento territoriale europeo riconosce inoltre la necessità di avviare politiche di
cooperazione interregionale e transfrontaliera.
In accordo con le Strategie del Consiglio di
Lisbona e di Gothenburg innova la concezione
di paesaggio in UE, riconoscendone l'importanza per la lo sviluppo, la coesione, la competitività e la vivibilità dei territori.
Il paesaggio entra nei principi comunitari e nelle
politiche territoriali europee (trasporti, ambiente, città, energia, agricoltura, coesione, …), ma
è ancora prevalentemente considerato in termini di effetti e impatti. Restano quindi aperte
le riflessioni sui molti paesaggi di importanza
comunitaria che necessitano di strategie transnazionali, oltre che sulla gestione delle trasformazioni determinate dalle politiche.
Nei paesi si rintracciano alcune innovazioni che
pongono il paesaggio al centro del governo del
territorio, come opportunità per lo sviluppo nel
15
quadro della sostenibilità e della resilienza; si
possono in proposito ricordare le strategie e le
politiche d'area vasta che delineano scenari di
trasformazione dei paesaggi, legittimati attraverso processi di valutazione sociale delle scelte
(come l'Agenda Landschap in Olanda, le
Landscape guidelines in Gran Bretagna). Inoltre
alcune indicazioni della CEP trovano riferimento
in piani paesaggistici d'area vasta (in Italia, Germania, Austria, Spagna,...) e/o locali (in Olanda,
Germania, Gran Bretagna,...) e in strategie e/o
piani di governo del territorio e di settore (come
quelli per lo sviluppo dell'agricol-tura, delle infrastrutture di mobilità, delle reti energetiche o
quelli per la gestione delle acque. In proposito si
vedano i contratti di fiume in Italia, Francia, Belgio o le Trame verte et bleue per la valorizzazione
ecologica dei paesaggi in Francia).
Emerge un'articolata azione di pianificazione
per il paesaggio che risente dei diversi modelli
culturali e legislativi degli stati (Voghera, 2011) e
che esprime l'attenzione istituzionale e sociale
per valorizzare, recuperare e creare paesaggi
(CEP, art.1). Si tratta di un'attività di pianificazione che coinvolge attori pubblici e privati a diverse scale di governo, integrando azioni strategiche d'area vasta con il progetto d'architettura,
ponendo attenzione ai valori naturali, ecologici,
idrologici, culturali e sociali (CEMAT, 2007). La
CEP indirizza a un quadro articolato di azioni
finalizzato a rafforzare la qualità delle risorse irriproducibili (acqua, aria, suolo, ecosistemi), a
ripristinare i valori identitari, oltre che ad innovare il territorio dal punto di vista ambientale e
sociale, anche con le nuove tecnologie.
Sostenibilità, attenzione al paesaggio nel governo del territorio e partecipazione sono le parole
chiave con cui si confronta nei diversi paesi la pianificazione in accordo con la CEP.
Di grande interesse sono le pratiche di partecipazione delle popolazioni al progetto che, attraverso tecniche diverse, consentono di costruire
un ampio consenso sugli obiettivi, oltre che di
responsabilizzare gli attori pubblici e privati. Un
esempio interessante è il Village Design Statement inglese, strumento volontario a scala locale sperimentato in ambiti rurali, che colpisce la
dimensione degli insediamenti, degli spazi aperti come quella del dettaglio architettonico e
urbano. E' un metodo per il progetto (Bishop,
1994; Rose, 1994; Owen, 1995) perché definisce
un processo per agire con successo sul paesaggio locale (Owen, 1999), a partire dalla valuta-
zione comunitaria dei caratteri dei luoghi.
Attraverso il coinvolgimento locale si costruiscono conoscenze, linee guida e abachi per
disegnare il futuro del paesaggio naturale e
rurale, degli spazi d'aggregazione e dei servizi
pubblici, del costruito, delle strade e
dell'arredo urbano.
In taluni casi questo ruolo di conoscenza delle
aspirazioni locali, indirizzo di politiche e progetti a diversi livelli amministrativi, di monitoraggio nel tempo dell'azione è assolto dagli
Osservatori che afferiscono a due tipologie:
bottom-up, che esprimono il contributo diretto
della società civile alla gestione del paesaggio,
e top-down, istituiti dalle pubbliche amministrazioni. In Italia ritroviamo osservatori nazionali come previsto e/o regionali istituiti (in Lombardia, Provincia di Trento, Veneto, Emilia
Romagna, Toscana, Marche, Molise, Abruzzo,
Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna), ma
anche molti osservatori locali (si veda
l’Osservatorio del paesaggio astigiano). Quelli
locali nascono spesso da azioni volontarie “dal
basso”, cercando di coinvolgere popolazioni e
operatori economici nelle scelte come nella
realizzazione delle azioni di valorizzazione.
L'approccio verso l'azione per il paesaggio è
diverso nei singoli paesi. In ambito nord europeo (Gran Bretagna, Olanda, Germania, …) è
fortemente ancorato alla tradizione di pianificazione e di progetto che si fonda sulla responsabilizzazione degli attori istituzionali e sociali
e su pratiche consolidate di concertazione di
strategie e interventi. Di rilievo è anche
l'attenzione per gli impatti di politiche e progetti, valutati nel loro sviluppo attraverso metodologie consolidate, affinate negli anni attraverso le esperienze sul campo di tecnici e di
amministratori pubblici (ad es. GLAM evaluation, Landscape appreciation in Olanda).
In questi paesi le pratiche progettuali così
costruite alle diverse scale territoriali mettono
in stretta relazione la qualità del paesaggio con
lo sviluppo locale, puntando alla riqualificazione della natura, del mosaico agrario, del patrimonio storico-culturale, degli insediamenti,
delle infrastrutture, di fiumi e canali, come
occasione per la crescita anche economica, per
la fruizione turistica e il tempo libero (ne è
esempio l'Agenda Landschap olandese, 2008).
Il paesaggio è oggetto di intervento pubblico,
con l'investi-mento di cospicue risorse derivate
direttamente dalla tassazione (Landschap Task
Force olandese) e indirettamente dalle misure
di compensazione e mitigazione previste dai
piani locali per i progetti di trasformazione e di
sviluppo urbanistico (in Germania). E' inoltre un
importante mezzo per guidare il progetto del
territorio verso modelli di governo sostenibili,
orientati alla competitività e alla qualità.
Anche in Italia, con il Codice (2004, s.m.i.) si è
aperta una nuova stagione della pianificazione
paesaggistica che si caratterizza per il proliferare di molte innovazioni sul piano conoscitivo e
regolativo: revisione o elaborazione di piani territoriali paesistici o paesaggistici (Calabria, Campania, Basilicata, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Provincia di Trento, Umbria, Veneto); redazione di Atlanti regionali dei paesaggi come strumento di interpretazione e, talvolta, di indirizzo e valutazione
degli effetti paesaggistici dei progetti; osservatori del paesaggio regionali o locali; commissioni comunali o intercomunali del paesaggio.
Innovazioni queste definite sulla base anche di
leggi regionali applicative del Codice.
Il paesaggio è al centro del progetto di territorio, ma in Italia rimangono da risolvere alcune
criticità legate al difficile passaggio dagli scenari di valorizzazione individuati dai contenuti propositivi dei piani alle indicazioni normative che
guidano il progetto, che troppo spesso si limitano a identificare le condizioni di compatibilità
degli interventi (Peano, 2011). Accanto alle criticità operative si riconoscono alcuni limiti legati
allo stesso Codice che resta lontano dalla Convenzione in quanto ancora separa i beni culturali da quelli paesaggistici, in continuità con la
tradizione italiana sancita dalle leggi del 1939, e
divide le competenze della tutela e della valorizzazione da concordarsi attraverso Intese tra
Stato e regioni (Abruzzo, Friuli Venezia Giulia,
Toscana, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia) che si dimostrano difficili da praticare e incerte negli esiti.
Il Codice trascura inoltre un'importante innovazione introdotta dalla Convenzione, intrinseca
alla stessa definizione di paesaggio, relativa al
coinvolgimento delle popolazioni nelle decisioni e nell'attuazione, ignorando il significato
anche economico riconosciuto al paesaggio e
alle sue potenzialità nel produrre sviluppo e
occupazione. Dà invece rilievo alla tutela e alla
pianificazione paesaggistica, senza fornire indicazioni per la gestione. Inoltre resta debole il
rapporto tra governo del territorio e pianifica-
16
zione paesaggistica, nonostante i riferimenti
introdotti nel Codice del 2008 alla limitazione al
consumo di suolo e alle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio degli insediamenti in funzione
della loro compatibilità con i valori paesaggistici.
Sono ancora da rafforzare: l'integrazione del
paesaggio nelle politiche e nella pianificazione
territoriale e di settore, la partecipazione delle
popolazioni, l'identificazione di soggetti pubblici
e privati responsabili della gestione e
dell'attuazione, oltre che di appropriate risorse
finanziarie.
Tuttavia si riconosce una maggiore attenzione
nell'attuale stagione della pianificazione paesaggistica all'integrazione tra dimensione regolativa e di progetto, intrecciando interessi, attori
e strumenti diversi della trasformazione territoriale. Interessanti a riguardo sono la Carta del
paesaggio e la Carta della sensibilità paesaggistica nei piani comunali lombardi e la ricerca, in
molti piani per il paesaggio, di una maggiore
attenzione per la dimensione strategica e progettuale (anche attraverso strumenti di supporto metodologico come ad es. la piattaforma
“Criteri e indirizzi per la tutela del paesaggio”
della Provincia di Bolzano), che chiama in causa
i possibili attori e introduce strumenti operativi
diversi (progetti strategici, integrati, …).
La definizione in alcune regioni di progetti e programmi integrati con approccio strategico, a
regia regionale, di accordi di copianificazione o
di intese verticali e orizzontali, ha infatti un ruolo chiave nel passaggio all'operatività.
In particolare la co-pianificazione, introdotta ad
esempio in Puglia dalla formazione del piano,
attraverso tavoli di concertazione tra enti pubblici, ed aperta all'interazione con la società civile, consente di costruire azioni e progetti trasversali.
Inoltre ispirati a modelli internazionali più consolidati, si stanno diffondendo molti strumenti
di indirizzo (linee guida, abachi, manuali, buone
pratiche) e si sperimentano parternariati tra pubblico e privato, oltre che progetti territoriali e
paesaggistici strategici (come in Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Piemonte, Puglia)².
Le molte linee guida inoltre – articolate in
manuali, abachi, regolamenti - definiscono criteri e metodologie per l'inserimento, la valutazione e il progetto accompagnando la realizzazione delle indicazioni della pianificazione territoriale e paesaggistica, oltre che promuovendo-
ne l'integrazione con quella di settore (per es.
le linee guida per la realizzazione degli impianti
per le energie rinnovabili).
Inoltre certamente ispirate alla Convenzione e
alle sperimentazioni di altri paesi -come
l'Olanda, la Gran Bretagna, la Germania,
l'Austria- si costruiscono politiche e interventi
basati su un processo interpretativo affidato
alla popolazione, che assegna un ruolo attivo
agli attori locali nella gestione del proprio
ambiente di vita.
Anche in Italia si sperimentano pratiche di
inclusione degli attori locali. In Puglia si è dato
largo spazio ad esperimenti “per la produzione
sociale del piano”, attraverso l'istituzione di
una struttura di governance e partecipazione
finalizzata a promuovere la progettualità sociale nella valorizzazione dei beni identitari (Magnaghi, 2011). Il processo partecipato è stato
supportato nel tempo attraverso eventi temporalmente localizzati (conferenze d'area, premio
paesaggio) ed altri di lungo periodo finalizzati a
raccogliere descrizioni, problemi, progetti (mappe di comunità, sito web interattivo, forum,
osservatorio regionale del paesaggio, ecomusei, parco agricolo multifunzionale, contratti di
fiume).
Su questa strada sono oggi molte le sperimentazioni in altre regioni, legate spesso agli osservatori del paesaggio, volte a cercare di accompagnare il processo attuativo delle azioni della
pianificazione paesaggistica.
Note
1. La carta è stata siglata dalle Regioni Andalusia,
Languedoc-Roussillon, Toscana e dalla Provincia di
Siena.
2. Consolidati in Emilia Romagna i progetti strategici (art.
32, Norme del Piano Territoriale Paesistico) erano volti al
recupero di aree compromesse, degradate e
caratterizzate da contesti identitari, alla gestione
integrata e alla valorizzazione fruitiva di ambienti fluviali,
alla conservazione e integrazione delle preesistenze
archeologiche e paleontologiche e del passato
industriale, alla riqualificazione delle colonie marine e del
territorio costiero, oltre che delle aree agricole di frangia
urbana e del paesaggio rurale storico (campagna-parco).
In Liguria i “progetti di sistema”, strumenti gestionali per
lo sviluppo basato su pratiche concertative di territorio
(Progetto Aurelia, Parco costiero del Ponente) trovano
riferimento anche nella disciplina dei PTCP.
In Piemonte il piano paesaggistico introduce i “progetti
strategici integrati” di regia regionale, che coinvolgono
nell'azione paesaggistica e responsabilizzano soggetti
diversi (pubblici e privati). Se ne individuano diverse
tipologie: i “progetti localizzati” a scala sovracomunale
che per l'attuazione coinvolgono comunità e enti locali, i
“programmi di rete” quali attività locali con supporto
provinciale e regionale; le “politiche per le azioni diffuse”
di scala regionale o sovra-regionale, basate su accordi
intersettoriali.
In Veneto i progetti strategici regionali e i Piani d'Area
dovrebbero contribuire alla specificazione del PTRC,
attuando le indicazioni del piano, mediante accordo di
programma e fornendo risposte progettuali locali per i
sistemi territoriali più rilevanti.
Anche in Puglia si introducono progetti territoriali per il
paesaggio regionale (rete ecologica, il sistema
infrastrutturale per la mobilità dolce, la valorizzazione
integrata dei paesaggi costieri, il patto città-campagna),
basati su processi di co-pianificazione e co-progettazione
in partnership pubblico-privata, per supportare la
produzione sociale di paesaggio, responsabilizzando gli
attori e verificando l'applicabilità locale di indirizzi,
direttive, prescrizioni (progetti Territoriali per il paesaggio
regionale, progetti Integrati di paesaggio a scala locale,
premio paesaggio, buone pratiche).
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1
LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
La capriola
del paesaggio
di Franco Farinelli *
* Franco Farinelli è professore ordinario
di Geografia presso l'Università di Bologna
Vale oggi per il paesaggio esattamente quello
che, giusto un secolo fa, stando alle Parole nel
vuoto di Adolf Loos valeva (e ancora vale) per la
città: non si ha idea della quantità di veleno che
abili pubblicazioni riversano sull'argomento, in
maniera da impedire ogni presa di coscienza. Inutile fare nomi, servirebbe soltanto a distrarsi e a
perdere di vista i termini della questione. Anzi al
contrario: l'assenza di termini, vale a dire, alla lettera, di limiti. Il paesaggio cioè è questione illimitata, la sua esistenza pone il problema di come
possa darsi un insieme che sia allo stesso tempo
visibile ma privo di confini e perciò non misurabile, e proprio per questo implica una difficoltà di
oltremodo difficile soluzione: la questione della
totalità. Il che vale intanto a distinguere il paesaggio stesso da tutti gli altri modelli (territorio,
spazio) riferibili alla faccia della Terra, al contrario
per natura delimitati, con i quali disinvoltamente
e sbrigativamente si tende da qualche tempo a
farlo coincidere. Sull'oggettiva attuale necessità
della loro coincidenza si tornerà tra un momento. Ma se non si ha cura di separare fin dall'inizio
il concetto di paesaggio da quello di spazio e territorio anche tale necessità diverrà incomprensibile. Paesaggio, territorio, spazio non sono insiemi di cose, ma modi di rappresentarsele. Nel linguaggio di Frege, dunque del fondatore della filosofia analitica contemporanea: essi non corri-
18
spondono al significato della Terra (che è la Terra
stessa: il significato è la cosa) ma ai suoi sensi,
alle differenti, specifiche maniere con cui la Terra
si presenta, si dà. E ognuna di tali maniere
dipende da una particolare intenzione, da una
diversa forma di collettiva volontà storicamente
determinata, obbedisce ad uno sguardo che
afferma un altro progetto rispetto all'esistente.
La mappa è il dispositivo della traduzione (e della trasformazione) del mondo nei termini della
geometria classica, dello spazio. Al contrario il
paesaggio corrisponde a tutto quello che sfugge
a tale presa, a tale pretesa: a tutto ciò che del
mondo la mappa non riesce ad afferrare e ridurre a sé, vale a dire ad esprimere sotto il profilo
della separazione tra soggetto ed oggetto, mettendo tra loro distanza. Al riguardo si deve essere ancora più taglienti: soltanto il diaframma
costituito dalla mappa consente la distinzione
tra soggetto ed oggetto; al contrario il modello
di paesaggio si fonda proprio sull'impossibilità di
tale separazione, di tale distacco, sull'inesistenza
di qualsiasi intervallo tra i due termini essenziali
del processo conoscitivo. Se facciamo fatica a
rendercene conto è soltanto perché l'epistemologia attende ancora in maniera compiuta
qualcosa di affine a ciò che nel campo della percezione visiva è stata, ancora negli anni Ottanta
del secolo passato, la svolta “ecologica” di J.J.
Gibson: il riconoscimento dell'impossibilità di
cogliere informazioni relative al mondo visivo
senza postulare un soggetto in locomozione
nell'ambiente, dove l'ambiente corrisponde, nel
caso specifico, alla Terra intera e la durata della
locomozione all'intera storia dell'umanità; il riconoscimento insomma che non vi è nessuna differenza tra la storia delle esplorazioni (chiamiamole ancora così per il momento) e la storia della conoscenza. Il tentativo di tenere insieme
questa con quella dura nemmeno mezzo secolo, investe al massimo soltanto la prima metà
dell'Otto-cento, e si chiude di fatto con il passaggio dal “pubblico culturalmente critico al
pubblico consumatore di cultura”, per dirla
secondo il giovane Habermas, con la fine del
progetto dell'Erdkunde: di una conoscenza della
Terra che fosse critica e politicamente orientata
in senso civile, vale a dire in grado di trasformare il sapere borghese da sapere esteticoletterario in sapere scientifico, in grado non più
soltanto di descrivere il mondo ma di controllarlo e modificarlo. E' in tal modo e all'interno di
tale strategia che il concetto di paesaggio, di origine pittorica e letteraria, entra a far parte
dell'analisi scientifica, per merito di Alexander
von Humboldt, il principale rappresentante,
insieme con Carl Ritter, dell'Erdkunde. Nel
secondo volume della sua principale opera, il
Cosmos, apparso a Berlino nel 1847, egli traccia
la storia delle attitudini che hanno governato,
dalle origini, la visione del mondo da parte
dell'umanità: “mezzi d'incitamento allo studio
della Natura”, come egli li chiama, tra cui spiccano la coltivazione delle piante esotiche, la
descrizione poetica intesa come “il riflesso del
mondo esterno sulla forza dì immaginazione”,
e la pittura paesaggistica. E tutta la ricostruzione ruota appunto intorno al valore strategico
rivestito dal modello di paesaggio.
Al riguardo, Humboldt distingue tre stadi della
conoscenza, tre tappe della relazione conoscitiva tra l'uomo e il suo ambiente, valide non soltanto sotto il profilo della filogenesi, della storia
della stirpe umana nel suo complesso, ma
anche sotto quello dell'ontogenesi, della storia
del singolo individuo. Il primo stadio è quello della suggestione (Eindruck) che sorge nell'animo
umano come manifestazione originaria, come
sentimento primigenio al cospetto della grandiosità e della bellezza della natura. La sua forma conoscitiva è appunto quella del paesaggio,
che corrisponde al mondo inteso come
un'armonica totalità di tipo esteticosentimentale cui ogni analisi razionale è (ancora)
estranea, e che dunque riguarda soltanto la
facoltà psichica del soggetto. Eindruck è una
parola composta, semplice soltanto in apparenza. “Druck” significa propriamente impressione,
e vale anche per quella dei caratteri tipografici
sul bianco foglio di carta. Per Humboldt essa
invece investe la sensibilità del soggetto che
guarda: il foglio bianco è la sua anima, e i lineamenti del paesaggio sono i caratteri che vi si
stampano. Ma uguale importanza riveste l'altra
metà del termine, il prefisso “Ein”. Esso significa
“uno”, ma ha in realtà una duplice funzione. Per
un verso si riferisce alla singolarità, all'individualità del soggetto che guarda, e guardando
avvia il processo della conoscenza. Allo stesso
tempo, esso segnala l'attitudine del soggetto a
ridurre ad unità il cumulo delle impressioni, in
maniera tale che fin dall'inizio, e seppure soltanto sul piano estetico e dell'impressione, l'ambito
conoscitivo si configuri come una totalità, come
un tutto predisposto alla rivelazione dell'ordine
“nascosto sotto la pelle dei fenomeni”, di cui il
soggetto stesso è indissolubilmente parte.
Sarà compito dello stadio successivo, quello
dell'Einsicht, cioè dell'esame, disarticolare la totalità sentimentale ed avviarne la traduzione in termini scientifici. Nel vocabolo Ein-sicht, infatti, il
prefisso, che in apparenza è identico, significa il
contrario di quel che esprime nell'Ein-druck.
“Sicht” vuol dire qui vista, sguardo strettamente
connesso all'elaborazione riflessiva, al pensiero
razionale. E l'unicità espressa dal prefisso riguarda non il soggetto ma l'oggetto, si riferisce alla
concentrazione del pensiero su di un unico elemento tra quelli presenti, sottoforma di totalità,
all'intima impressione di partenza. Nello stadio
intermedio, che è quello dell'analisi scientifica,
non vi è più né paesaggio (sentimento, impressione estetica) né di conseguenza totalità, ma
soltanto la fredda e razionale dissezione delle
singole componenti, rispetto alle quali il soggetto prende la propria distanza.
L'eclissi della totalità è però temporanea, riguarda soltanto il secondo dei livelli di conoscenza.
Essa viene completamente ristabilita nel terzo
ed ultimo stadio, quello che Humboldt identifica
con il concetto di Zusammenhang, appunto di
totalità costituita dallo stare insieme (“zusammen”) in un rapporto di mutua interdipendenza
di tutti gli elementi in precedenza analizzati. Si
tratta della sintesi, del punto d'arrivo, del termi-
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ne ultimo del procedimento conoscitivo. Al suo
interno, in virtù della mediazione costituita
dall'esame analitico, la totalità originaria viene trasformata e ripristinata, non più sul piano estetico
e dell'impressione sentimentale ma su quello
scientifico. Lo sviluppo di ogni conoscenza altro
non è, per Humboldt, che la traduzione in termini
finalmente scientifici di un'impressione aurorale,
quella espressa appunto dal paesaggio, che non
è assolutamente scientifica, ma senza la quale
tutta la scienza sarebbe impossibile.
Nel linguaggio della scienza odierna lo Zusammenhang di Humboldt corrisponde alla complessità, anzi alla complessità globale. Ed è indubbio
che quando si farà davvero la storia del pensiero
globale, cioè della globalità, a Humboldt spetterà, da parte occidentale, un posto di assoluto
rilievo. Ma intanto è decisivo tenere a mente che
con Humboldt il paesaggio entra a far parte dei
modelli conoscitivi dell'Occidente soltanto sulla
base di un vero e proprio processo di politicizzazione del dato estetico, funzionale al passaggio
dall'assetto aristocratico-feudale a quello borghese del quadro europeo. Ed è urgente ricordare adesso tutto questo perché oggi avviene esattamente l'opposto: dalla humboltiana politicizzazione del dato estetico si è passati, nei confronti
dell'ambiente e della sua analisi e gestione,
all'estetizzazione del politico, con il conseguente
rovesciamento dell'impostazione ottocentesca e
la diretta ed immediata riduzione dell'ambiente
al paesaggio stesso (cioè alla forma del prescientifico modello adoperato all'inizio per tentare di
afferrare la complessità del mondo). Prova ne sia
il senso della Convenzione Europea del Paesaggio adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 19 luglio del 2000 e da anni legge
anche da noi: il cui esplicito e dichiarato intento
consiste appunto nella trasformazione del territorio e dell'ambiente in paesaggio, inteso non più
come uno stadio del procedimento conoscitivo
ma come concretissimo ambito per l'applicazione di politiche di salvaguardia, riqualificazione,
gestione e progettazione all'interno dei singoli
stati. Il problema al riguardo consiste nel fatto
che l'idea di paesaggio si fonda sul concetto di
equilibrio, di armonia, sulla pacifica coesistenza
degli elementi e sulla coerenza dei loro rapporti.
Al contrario oggi l'ambiente è sottoposto a pratiche sempre più squilibranti, violente e distruttive,
che si traducono in effetti disastrosi. Sicché:
come pensare, in termini di paesaggio, il collasso,
la crisi, i disastri ambientali?
gio, il mondo della Rete è un mondo per eccellenza antikantiano, al cui interno cioè tempo e
spazio non importano quasi più nulla, hanno
quasi completamente smesso ogni loro funzione costitutiva. In sintesi: fin qui, o quasi, il modello della mente è stato la mappa, struttura limitata ma aperta, e tutta la modernità ha percepito
e costruito il mondo a sua immagine e somiglianza, vale a dire spazialmente. Ma oggi la globalizzazione, attraverso il micidiale veicolo che è
la Rete, costringe a riconoscere che il mondo
non è una mappa ma una sfera, un globo
appunto, la cui struttura, irriducibile a quella della mappa, è al contrario chiusa ma illimitata: il
che significa anzitutto non soltanto che tra soggetto ed oggetto non vi è più distanza se non differenza, ma che ogni percezione del mondo è,
proprio e soltanto come quella del paesaggio,
concreta e consapevole immagine del “sensibile-infinito” come diceva Humboldt, del carattere cioè fatalmente incompleto di quel che vediamo, strutturalmente incompiuto di quel che sappiamo, programmaticamente partigiano (anche
quando teso alla totalità ) di quel che facciamo.
Ai tempi di Humboldt la dunstige Ferne, la “nebulosa lontananza” che faceva oscillare
l'orizzonte dei paesaggi, e che tanto affascinava
anche Goethe, era spia prima d'altro del mondo
che restava da scoprire, ma anche dell'incertezza delle vicende politiche tedesche, sospese
tra riforme e rivoluzione. Oggi essa rimanda invece direttamente alla condizione sferica della forma del mondo, alla natura globale del suo funzionamento, che non sopporta più né la logica
spaziale né l'angustia e la definizione connesse
all'immagine cartografica.
Chi o che cosa ci impedisce a questo punto di
pensare che il prossimo modello con cui ci rappresenteremo la mente sarà quello del paesaggio? Chi o che cosa ci impedisce a questo punto
di pensare, perciò, che il prossimo modello con
cui ci rappresenteremo la logica scientifica sarà il
lavoro dell'artista, da sempre rivolto nella stessa
direzione cui oggi punta il funzionamento del
mondo: a mantenere aderente, se proprio tra
essi deve esservi divario, il soggetto all'oggetto e
viceversa?
20
Fotografia di L. Chistè
Proprio nel tentare una risposta a tale domanda
è forse possibile scorgere nell'appena descritta
capriola del paesaggio (da forma immateriale a
materialissima collezione di cose) un significato
implicito e assolutamente riposto, in grado di
ricondurre il concetto alle sue origini, al punto di
partenza, e allo stesso tempo di illuminare in
maniera inedita il rapporto tra mente e paesaggio stesso. Aveva ragione Gregory Bateson:
l'ecologia è qualcosa che riguarda prima di tutto
la nostra mente, i modelli di pensiero con cui
tentiamo di volta in volta di venire a patti con la
realtà. Cosa facciamo quando moltiplichiamo
due numeri molto alti? Per mezzo di carta e
matita riduciamo un problema complesso ad
una serie di problemi più semplici, e troviamo la
soluzione attraverso una serie interrelata di iterativi completamenti del modello, e attraverso
la memoria dei risultati parziali che la carta consente. Si tratta forse della prima forma di manipolazione simbolica di cui siamo stati capaci, e
in essa l'ambiente esterno diventa una estensione fondamentale per la nostra mente. Perciò l' intelligenza artificiale classica, basata sulla
semplice distinzione tra il simbolo e la regola,
ha commesso un errore fondamentale: ha
ridotto al semplice profilo cognitivo del cervello
il complesso costituito dal profilo cognitivo
dell'agente e dall'ambiente circostante. Ma
negli ultimi anni le cose sono cambiate, al punto che non si sa più dove la mente finisca e dove
comincia il mondo. Così si parla di “mente estesa”, come fanno ad esempio Andy Clark e
David Chalmers : in cui evidentemente riesce
davvero difficile, se non in termini strumentali,
distinguere tra le funzioni mentali dell'uomo e
quelle della “macchina delle macchine”, del
dispositivo cartografico da cui tutte le macchine
hanno avuto origine, ma anche di tutto ciò che
costituisce il complesso di elementi che chiamiamo sinteticamente “ambiente”. Questo perché nel 1969 è nata la Rete e, come ha spiegato
Manuel Castells, quando diciamo “Rete” indichiamo un aggregato al cui interno è impossibile distinguere tra la macchina (l'hardware),
l'intelligenza che essa incorpora (il software), e
gli uomini e le donne addetti al loro funzionamento. Basta soltanto aggiungere che, proprio
come il primo stadio humboldtiano della conoscenza, la forma di percezione che la Rete
implica non comporta di conseguenza la distinzione cioè la distanza tra soggetto ed oggetto,
proprio perché, esattamente come il paesag-
21
1
LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
Quando il paesaggio
si dissolve nell'ecologia
di Gilles Novarina *
* Gilles Novarina - Professore all'Istituto
di Urbanistica di Grenoble (Università
Pierre Mendès France), ricercatore al
laboratorio PACTE Territoires
La Convenzione europea del paesaggio è stata
approvata dal Consiglio d'Europa il 19 luglio 2000
a Firenze. In Francia è entrata in vigore il 1o luglio
2006 con la ratifica da parte del Parlamento. La
visione del paesaggio contenuta nella Convenzione rappresenta una rottura sia con la dottrina del
Ministero della cultura sia con quella del Ministero
dell'ambiente, che provvedono entrambi alla tutela dei siti protetti. Eppure, secondo i responsabili
politici e amministrativi a livello centrale,
l'implementazione della Convenzione non doveva tradursi nell'elaborazione di una nuova legislazione. Di conseguenza, il Ministero dell'ecologia
ha promosso studi e ricerche per la conoscenza
dei paesaggi piuttosto che per lo sviluppo di una
pianificazione paesaggistica vincolante. Nel 2010,
dopo l'organizzazione di un ampio processo di
concertazione al livello nazionale (Grenelle de
l'environnement - dal nome della sede del Ministero dell'ecologia, dello sviluppo sostenibile e
dell'energia, dove ha avuto il primo incontro), la
legge Engagement National pour l'Environnement
(Impegno nazionale per l'ambiente) ha istituito
un nuovo strumento di protezione e valorizzazione della biodiversità, la Trame verte et bleue (Trama verde e blu). I concetti dell'ecologia del paesaggio, ripresi nei contenuti della legge, si stanno
imponendo progressivamente ai tecnici e ai politici responsabili della pianificazione territoriale a
22
livello regionale o locale.
Un nuovo “slancio” per le politiche paesaggistiche?
Un documento del Ministero dell'ecologia e dello
sviluppo sostenibile del 2007¹ pone l'accento sulla
nuova definizione del paesaggio proposta dalla
Convenzione, che sottolinea la sua ”utilità sociale”: “il paesaggio è ovunque un elemento importante della vita delle popolazioni, nelle aree urbane e
nelle campagne, nei territori degradati come nelle
zone considerate eccezionali come in quelle della
vita quotidiana… costituisce un elemento chiave
del benessere individuale e sociale”². Nella prefazione dello stesso documento, la ministra Nelly
Olin aggiunge che la Convenzione non deve condurre a nuove leggi, perché le disposizioni legislative e regolamentari francesi sono, su questo
tema, complete, trovando riferimento in cinque
Codici (ambiente, urbanistica, rurale, foreste,
patrimonio). La Convenzione europea del paesaggio favorisce quindi una messa in coerenza
delle diverse politiche settoriali (sviluppo economico e sociale, pianificazione territoriale, cultura,
ambiente…), che devono essere implementate
tenendo conto dei paesaggi.
La Francia ha, in effetti, adottato nel 1993 una legge che introduce nella legislazione nuovi strumenti in materia di protezione e valorizzazione
dei paesaggi:
·- creazione delle Directives de protection et de mise
en valeur des paysages (Direttive di protezione e
valorizzazione dei paesaggi);
·- obbligo per i Parchi naturali regionali di elaborazione di una Charte paysagère (Carta del paesaggio);
- trasformazione delle Zone de protection du patrimoine architectural et urbain (Zone di protezione
del patrimonio architettonico e urbano) in Zone de
protection du patrimoine architecturale et urbain et
des paysages (Zone di protezione del patrimonio
architettonico, urbano e dei paesaggi),
·- approvazione del volet paysager (parte paesaggistica) del Plan local d'urbanisme (Piano regolatore) e del permesso di costruire.
Tale legge anticipa parte del contenuto della Convenzione europea dei paesaggio. Rende obbligatoria la considerazione dell'impatto sul paesaggio
delle costruzioni quando si esaminano le concessioni edilizie. Istituisce per la prima volta nella legislazione francese un nuovo strumento che assume la funzione di piano paesistico, la Directive de
protection et de mise en valeur des paysages, che è
di competenza dello Stato e ha l'obiettivo di definire indirizzi e principi di protezione delle “strutture paesistiche” nei territori che presentano un interesse straordinario dal punto di vista paesistico. I
piani territoriali (Schémas de cohérence territoriale),
come i piani regolatori (Plans locaux d'urbanisme)
devono essere adeguati al contenuto delle Direttive.
L'istituzione della Direttive da un lato s'iscrive nella
vecchia tradizione francese della protezione dei
soli paesaggi straordinari (i paesaggi detti remarquables), da un altro tali direttive introducono
un'innovazione, con la volontà di prendere in conto le strutture paesistiche piuttosto che i soli
monumenti naturali. Il bilancio dell'attuazione della legge del 1993 appare, a più di vent'anni, insoddisfacente:
- due Direttive sono state approvate, la prima nel
2007 sul massiccio delle Alpilles a nord
dell'agglomerazione di Aix-en-Provence, la seconda nel 2008 sul Mont-Salève a sud dell'agglomerazione di Ginevra;
- una terza Direttiva, proposta nel 1997 relativamente alle visuali della cattedrale di Chartes, è
sempre in corso di elaborazione, mentre una quarta (Côtes de la Meuse), dopo essere stata proposta
è stata accantonata.
La prudenza del Ministero dell'ambiente, riguardando l'implementazione della Convenzione euro-
pea del paesaggio, si spiega anche con le opposizioni degli enti locali all'intervento dell'amministrazione statale nella gestione del loro territorio.
basata sul bilancio della prima stagione degli atlanti (1995-2015). In questi due rapporti, l'atlante del
paesaggio è definito come uno strumento di conoscenza non vincolante per gli attori pubblici locali
L'attuazione della Convenzione: gli atlanti del (regioni, dipartimenti, comuni). L'obiettivo di tale
paesaggio
strumento è l'identificazione (definizione dell'unità
L'applicazione della Convenzione non ha dunque del paesaggio), la caratterizzazione (descrizione
istituito nuove leggi, bensì ha attivato politiche di delle strutture paesistiche), la qualificazione (analisi
indirizzo da parte del Ministero dell'ecologia. In delle rappresentazioni associate all'unità di paeparticolare, sono stati definiti tre obiettivi: svilup- saggio) e il monitoraggio delle trasformazioni.
po della conoscenza dei paesaggi, rafforzamento Ricerche o studi possono basarsi su tre concetti:
della coerenza tra le politiche settoriali che produ- unità di paesaggio, strutture del paesaggio ed elecono impatti sul paesaggio, sostegno alle compe- menti del paesaggio.
tenze.
Il primo concetto è centrale per la metodologia: le
Questi obiettivi sono stati tradotti in un program- unità di paesaggio sono “definite come dei paesaggi
ma di azioni di responsabilità del Ministero, il qua- sostenuti da entità spaziali nelle quali l'insieme dei
le ha promosso l'elaborazione degli atlanti del pae- caratteri del rilievo, dell'idrografia, del consumo del
saggio a livello regionale o dipartimentale. Accan- suolo, della morfologia degli insediamenti e della
to a questa misura, il Ministero ha proposto, indi- vegetazione presenta un'omogeneità”…“Si distinrizzandosi alle Scuole di paesaggio e alle Facoltà guono delle unità vicine a causa di una differenza di
di geografia, il programma di ricerca “politiche presenza, d'organizzazione o di forma di questi
pubbliche e paesaggi”, e ha finanziato dei progetti caratteri”⁴. Questa definizione, già presente nella
di paesaggio da integrare in diversi progetti di legge del 1993, è direttamente ispirata dal concetgrandi infrastrutture.
to di regione naturale della geografia umana franI primi atlanti del paesaggio sono stati testati, a cese della prima metà del Novecento. A
livello di aree pilota, un anno dopo l'approvazione quest'epoca, la scuola vidalienne⁵ immaginava il terdella legge sulla protezione e la valorizzazione dei ritorio della Francia, ancora prevalentemente rurapaesaggi. Una metodologia è stata proposta da le, come l'articolazione di piccole regioni, omogene
un gruppo di ricercatori animato dal geografo dal punto di visto della morfologia fisica, della vegeYves Linginbühl, uno dei redattori della Conven- tazione, dell'agricoltura e degli insediamenti. Per
zione europea del paesaggio³. Circa dieci anni caratterizzare le specificità di tale unità, la metododopo la pubblicazione di tale rapporto, il Ministero logia del Ministero propone di identificare sia le
ha ripresentato un'attuazione della metodologia strutture paesistiche sia gli elementi del paesaggio.
Figura 1: Esempi di unità di paesaggio
Fonte: Méthode pour des atlas des paysages, 2015
23
La metodologia esita sempre tra descrizione e
analisi. Le strutture paesistiche possono per
esempio essere filari d'alberi, muretti di pietra
a secco o terrazzamenti coltivati. Gli elementi
hanno un carattere puntuale: emergenze, alberi monumentali, beni culturali… Infine, la guida
del Ministero lascia ai professionisti incaricati
degli studi una larga libertà di scelta
nell'organizzazione della descrizione, indicando solo la necessità di tenere conto dei paesaggi protetti dal punto di vista ambientale o
culturale e rilevando l'importanza delle rappresentazioni artistiche e letterarie nella qualificazione dei paesaggi.
Quale bilancio dieci anni dopo?
La pubblicazione nel 2015 della seconda versione della metodologia è anche l'occasione
per la Direction générale de l'aménagement
du logement et de la nature del Ministero
dell'ecologia di stabilire un bilancio di dieci
anni di azione per la promozione degli
atlanti dei paesaggi. Gli atlanti sono stati sviluppati a larga scala e il bilancio quantitativo
è piuttosto buono: 66 atlanti regionali o
dipartimentali hanno permesso di identificare, di descrivere e di qualificare 2 800 unità di paesaggio.
Figura 2 : Unità di paesaggio
Fonte: Méthode pour des atlas des paysages, 2015
Figura 3 : Dieci anni di atlanti dei paesaggi
Fonte: Méthode pour des atlas des paysages, 2015
Il bilancio qualitativo è abbastanza diverso. Il
gruppo di ricerca incaricato della metodologia
prende atto della grande diversità delle metodologie utilizzate per l'elaborazione degli atlanti, ma pone l'accento su:
- la necessità di descrivere in un modo più dettagliato le strutture paesistiche,
- la difficoltà a seguire le trasformazioni dei paesaggi,
- la mancanza d'informazioni sui paesaggi urbani e suburbani, in cui viveva, nel 2010, il 77,5%
della popolazione francese.
Tale stato di fatto è legato, secondo gli autori
del rapporto, alla prevalenza, nel “mondo” francese del paesaggio, di una visione naturalistica:
l'affermazione dell'esistenza del paesaggio urbano è oggetto di discussione per una cerchia di
paesaggisti e geografi francesi che domina la
ricerca in Francia⁶. La città è sempre percepita
come un fattore di aggressione che conduce inevitabilmente al degrado della qualità e dei valori
del paesaggio, concepito come una realtà
immutabile. Tale concezione, che non corrisponde alla visione della Convenzione Europea
(che applica la nozione di paesaggio a tutti territori antropizzati e naturali), impedisce di analizzare le trasformazioni in corso nei territori contemporanei.
Gli atlanti dei paesaggi hanno prodotto effetti
molto diversi a seconda dei contesti territoriali.
Nelle zone ancora prevalentemente rurali, essi
hanno permesso di definire obiettivi di qualità
24
del paesaggio ordinario e hanno contribuito al
miglioramento dell'ambiente di vita (cadre de
vie) delle popolazioni residenti⁷; nelle zone
urbane e periurbane, il carattere non vincolante degli atlanti spiega la presenza residua del
paesaggio nella pianificazione territoriale sia al
livello intercomunale sia al livello comunale. La
stagione degli atlanti del paesaggio (19962015) si sta chiudendo progressivamente con
l'emergere di nuove tematiche legate
all'ecologia del paesaggio all'interno della pianificazione regionale e locale.
Il Grenelle de l'environnement e la Trame verte et bleue
All'inizio degli anni 2000, poco dopo la creazione del nuovo Ministero dell'ecologia e dello sviluppo sostenibile, il ministro Jean-Louis Borloo
organizzò un processo di concertazione al livello nazionale con gli amministratori regionali e
locali, gli attori economici e le associazioni. I
temi trattati nei workshops furono molto
variegati: risparmio energetico, trasporti, agricoltura biologica, protezione degli oceani e dei
mari, gestione delle risorse idriche, protezione
degli spazi naturali. Il risultato di tale processo,
chiamato il Grenelle de l'environnement, è stata la pubblicazione delle due leggi Grenelle 1 et
2. La legge Grenelle 2 del 12 luglio 2010 –ufficialmente legge Engagement National pour
l'Environnement – integra, nel Codice
dell'ambiente, un nuovo strumento di protezione e di valorizzazione degli spazi naturali, la
Trame verte et bleue.
Tale strumento costituisce in Francia il primo
tentativo per integrare nella legislazione i concetti propri dell'ecologia del paesaggio. La diffusione dei risultati scientifici di questa disciplina nel campo dell'urbanistica e della pianificazione territoriale è stata molto più tardiva in
Francia che nei paesi del Nord Europa o in Italia⁸. La prima pubblicazione sull'ecologia del
paesaggio urbano (2003) appare contemporaneamente ai primi esperimenti di identificazione dei corridoi ecologici (pioniera è la politica in
materia di rete ecologica del Dipartimento
dell'Isère). L'elaborazione, all'inizio degli anni
2000, dei primi Schémas de cohérence territoriale¹⁰ costituisce l'occasione per approfondire
questa riflessione in contesti urbani o periurbani molto diversi. La legge del 2010 è dunque il
risultato di un lungo processo d'integrazione
dei contributi dell'ecologia del paesaggio nella
pianificazione territoriale. Essa stabilisce degli
indirizzi a livello nazionale e propone una sorta
di guida metodologica basata su definizioni dei
differenti elementi che costituiscono la rete
ecologica. La trame verte et bleue comprende:
- i serbatoi di biodiversità (spazi naturali protetti o zone umide per esempio), in cui una specie
animale o vegetale può adempiere l'intero ciclo
di vita;
- i corridoi ecologici (vettori di spostamento per
la fauna e la flora) che hanno sia una struttura
lineare sia una struttura discontinua in “passi
giapponesi”,
- e una componente aquatica (laghi, fiumi, torrenti).
L'integrazione nella pianificazione territoriale
dello Schéma régional de cohérence écologique
Le Regioni francesi hanno accolto con un certo
entusiasmo l'iniziativa del Ministero dell'ecologia e dello sviluppo sostenibile e non hanno
aspettato la pubblicazione dei decreti attuativi
per coinvolgersi nell'elaborazione, in cooperazione con l'amministrazione statale, dello Schéma
régional de cohérence écologique. Nel maggio
2015, 10 delle 22 regioni francesi avevano approvato il documento. Tra le regioni più avanti, vi
sono Ile de France (approvazione il 21 ottobre
2013), Rhône-Alpes (16 luglio 2014) e Nord-Pasde-Calais (16 luglio 2014).
Figura 4: Elementi della Trame verte et bleue
Fonte: Orientations nationale pour
la préservation et la remise en bon état
des continuités écologiques, 2010
L'obiettivo della trame verte et bleue è la lotta
contro il degrado della biodiversità. Questo
nuovo strumento di pianificazione ambientale
e paesaggistica permette di proteggere e di
riqualificare i corridoi ecologici, tenendo conto
delle attività umane, più particolarmente
dell'agricoltura nelle regioni rurali. Per raggiungere tale obiettivo, la legge del 2010 prevede
l'attuazione di un processo di pianificazione che
parte dal livello regionale (con la creazione dello Schéma régional de cohérence écologique) per
arrivare al livello locale (integrazione degli indirizzi stabiliti dal documento regionale nei piani
territoriali intercomunali e comunali).
25
Rhône-Alpes, ad esempio, tenendo conto delle
definizioni prodotte nella legge, ha costruito
un'analisi di contesto molto completa, che integra anche i paesaggi, e ha identificato i principali
punti di criticità nell'intera regione: 10 000 spazi
da proteggere (che corrispondono all'incirca ai
serbatoi di biodiversità e rappresentano 25% del
territorio regionale), 266 corridoi, 14 620 kilometri di corsi d'acqua e 55 360 ettari di zone umide
saranno i destinatari dei sette indirizzi di protezione e di riqualificazione definiti nel piano regionale d'azione. La cartografia (1:100 000) che
accompagna il documento, elaborata su base di
un GIS, è abbastanza precisa al fine di permettere agli enti locali di tradurre, nel loro Schéma do
cohérence territoriale o nel loro Plan local
d'urbanisme, i principi di connessione identificati
dallo Schéma régional de cohérence écologique in
indirizzi o regole (Indirizzo N°1 del SRCE).
Figure 5: Obiettivi di riqualificazione della Trame verte et bleue
Fonte: Schéma régional di cohérence écologique Rhône-Alpes. Résumé non technique, 2014.
La cooperazione per l'elaborazione dello schema regionale con i rappresentanti degli enti
locali e il mondo associativo e il coinvolgimento
della rete dell'agenzie di urbanistica¹¹ negli studi preliminari appaiono come una garanzia del
buon adeguamento dei piani territoriali allo
schema regionale. I piani territoriali delle più
importanti aree metropolitane (Schémas de
cohérence territoriale di Grenoble e Lione, Progetto d'agglomerazione della Grande Ginevra)
come quelli di agglomerazioni medie integrano
la riqualificazione delle connessioni ecologiche
nel Projet d'aménagement et de développement
durables (Progetto d'assetto e di sviluppo
sostenibile, parte strutturale dello Schéma de
cohérence territoriale); inoltre numerosi sono i
comuni, spesso residenziali e periurbani, che
hanno lavorato ad una traduzione operativa
degli indirizzi regionali. Accanto alla formalizzazione di un regolamento specifico, i comuni
hanno privilegiato, nel Plan local d'urbanisme, il
ricorso ad un nuovo strumento, meno vincolante per i progetti urbani, le Orientations
d'aménagement et de programmation (indirizzi
d'assetto e di programmazione). In effetti, tale
strumento prevede un rapporto di compatibilità
e non di conformità dei programmi edilizi con
gli indirizzi di riqualificazione della rete ecologica e permette aggiustamenti in fase di attuazione dei progetti.
Il contratto come mezzo d'azione operativa
La pianificazione vincolante non costituisce
l'unica via d'azione per ricostruire una rete ecologica che garantisca il libero spostamento delle
specie animali o vegetali. La Regione RhôneAlpes, che dall'inizio degli anni 2000 ha assunto
un ruolo da pioniere – nel 2009 aveva già elaborato una cartografia delle reti su tutto il suo territorio¹² -, ha nel suo Schéma régional de cohérence écologique identificato diciannove settori
territoriali sui quali focalizzare gli interventi operativi. Propone in proposito un nuovo strumento, il contratto territoriale di corridoio biologico,
che permette di far convergere finanziamenti
della Regione, dell'Unione Europea, dello Stato
e dell'Agenzia dell'Acqua.
Il contratto di corridoio biologico (2009) è guidato da un ente pubblico di cooperazione intercomunale e persegue la cooperazione tra soggetti
26
pubblici (Regione, enti locali, amministrazioni
dello Stato) e privati (associazioni di protezione
della natura, sindacati agricoli, associazioni di
cacciatori o di pescatori), per promuovere azioni
di restauro degli ambienti naturali (fiumi, torrenti e ruscelli, paludi e prati umidi, foreste…), di
attraversamento delle infrastrutture di trasporto
(micro gallerie o passerelle per gli animali) e di
protezione giuridica dei corridoi nei piani e regolamenti. Tali azioni considerano anche la necessità, per il loisir degli abitanti, di cinture verdi
attorno alle zone urbanizzate¹³. Il contratto, pur
essendo uno strumento specializzato, opera per
l'integrazione della lotta contro il degrado della
biodiversità nella pianificazione sostenibile, che
si attua alle diverse scale di governo del territorio.
In conclusione, si può affermare che la Convenzione Europea del Paesaggio non si è tradotta
nello sviluppo di una pianificazione paesaggistica
a scala regionale o locale. Nella fase post decentramento, il governo francese si è rifiutato di proporre una nuova riforma della legislazione sul
paesaggio, accontentandosi di sostenere la
Figura 6: I settori prioritari d'intervento della Region Rhône-Alpes
Fonte: Schéma régional di cohérence écologique Rhône-Alpes. Résumé non technique, 2014
ricerca e di promuovere l'elaborazione di atlanti
che non hanno carattere vincolante per le politiche locali. L'approccio metodologico proposto è
basato più sulla descrizione che sull'analisi e
sull'anteporre i paesaggi rappresentativi di un
mondo rurale vissuto rispetto al mondo della
nostalgia. I concetti sviluppati in quest'occasione (unità di paesaggio, strutture paesistiche,
elementi di paesaggio) non sono l'oggetto di
definizioni precise e di conseguenza non possono servire alla costruzione di azioni condivise
dagli attori professionali e politici. Invece,
l'attuazione della Trame verte et bleue è accompagnata da un processo di diffusione delle
nozioni di base dell'ecologia del paesaggio (serbatoi di biodiversità, zone filtro, corridoi) e di
approfondimento delle definizioni. Il nuovo strumento, benché legato sia al Codice dell'ambiente sia a quello dell'urbanistica, è oggi attuato dagli ambientalisti, come dai paesaggisti o
dai pianificatori, per costruire veri progetti di spazi naturali in un approccio territoriale globale.
Note
1. Ministère de l'écologie et du développement durable, La Convention européenne
des paysages. Mise en oeuvre en France, mars 2007.
2. Testo della Convenzione del paesaggio citato in La Convention européenne des
paysages. Mise en oeuvre en France, op. cit., p.3.
3. Luginbuhl Y., Bontrou J.C., Cros Z. (1994), Méthode pour des atlas des paysages.
Identification et qualification, Paris, STRATES, SEGESA, DAU, Ministère de
l'aménagement du territoire, de l'équipement et des transports.
4. Franchi A., Raymond R., Luginbuhl Y. Seguin J.f., Cedelle Q., Grare H. (2015), Les
atlas de paysages. Méthode pour l'identification, la caractérisation et la qualification
des paysages, Ministère de l'écologie, du développement durable et de l'énergie,
p.12.
5. Scuola di geografia umana creata da Paul Vidal de la Blache e definita come
possibilista perché rifiutava la determinazione dei comportamenti sociali
dall'inquadramento fisico.
27
L'ecologia del paesaggio ha oggi superato la vecchia tradizione francese che vedeva nel paesaggio un monumento, certo diverso dai beni culturali, ma da tutelare con le stesse regole di protezione.
6. Franchi A. et al (2015) op.cit, p.17.
7. Donadieu P., «Quel bilan tirer des politiques de paysages en France?», Projets
de Paysage, www.projetsdepaysage.fr, 26 juin 2009.
8. Novarina G., (2003) “Ville diffuse et système du vert”, in Revue de Géographie
Alpine, Tome 91, N°4, pp 9-17.
9. Clergeau Ph. (2007), Une écologie du paysage urbain, Paris, Editions Apogée.
10. Piani territoriali di coordinamento attuati al livello dell'area metropolitana.
11. Agenzie pubbliche (istituite dai comuni e dalle comunità metropolitane) il cui
ruolo tecnico è la pianificazione territoriale.
12. Cartografia detta Réseaux écologiques en Rhône-Alpes (RERA).
13. Garin C., Gayte X., Guilloy H., Navette B. (a cura di) (2001), Contrats de
territoire corridors biologiques Bauges Chartreuse Belledonne, Conservatoire du
Patrimoine Naturel de Savoie, Métropole Savoie.
1
LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
Educare
al paesaggio
Educare attraverso
il paesaggio
di Benedetta Castiglioni *
* Benedetta Castiglioni - professore
associato di Geografia, Università di
Padova
Dalla Convenzione Europea alla pratica
educativa sul paesaggio
La Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) e
il dibattito seguito alla sua entrata in vigore hanno negli ultimi 15 anni contribuito a portare alla
ribalta le questioni della sensibilizzazione e
dell'educazione, ad attribuire loro dignità pari a
quella di altre questioni inerenti il paesaggio e a
favorire la sperimentazione e l'implementazione di progetti e attività.
Come è noto, tra i contenuti più significativi della CEP, vanno sicuramente ricordati quelli legati
al ruolo di primo piano assegnato alla popolazione (Priore, 2009): nella definizione stessa di
paesaggio, “porzione di territorio così come è
percepita dalle popolazioni” (art. 1), nell'attenzione posta ai paesaggi della vita quotidiana,
per la loro natura di paesaggi vissuti (preambolo e art. 2) e nelle fasi di azione nei confronti del
paesaggio, in cui è esplicitamente previsto un
ruolo attivo delle popolazioni nelle fasi decisionali (artt. 1, 5 e 6). In particolare, gli obiettivi di
qualità paesaggistica che dovranno guidare le
politiche per il paesaggio sono definiti come “la
formulazione da parte delle autorità pubbliche
competenti, per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto
riguarda le caratteristiche paesaggistiche del
loro ambiente di vita” (art. 1, c). Le persone che
28
abitano i paesaggi da un lato contribuiscono
quindi a definire le politiche di salvaguardia,
gestione e pianificazione, a partire dalle loro
attribuzioni di valore; dall'altro lato rappresentano i destinatari ultimi di queste politiche, sulla
base delle quali potranno godere di paesaggi di
qualità, e ciò contribuirà al loro benessere. Il paesaggio non è quindi inteso come un argomento
del quale si occupano solo gruppi ristretti di
esperti; e non è nemmeno qualcosa di lontano,
presente solo in luoghi eccezionali. Il paesaggio
della CEP è “dappertutto”, “di tutti”, “per tutti”.
Il ruolo attribuito alla popolazione nel suo complesso trova riscontro nell'indicazione delle prime misure specifiche richieste dalla CEP agli
Stati firmatari: “Sensibilizzazione” e “Formazione ed educazione” (art. 6, A e B). Se il rapporto
tra popolazione e paesaggio assume un significato così importante, allora non sorprende che
l'impegno debba essere rivolto alla popolazione
prima ancora che direttamente ai paesaggi. Gli
ambiti di riferimento sono plurimi: è richiesta
innanzitutto una vasta opera di crescita di una
diffusa consapevolezza dei valori di cui i paesaggi sono portatori. Vi è poi il grande campo
della formazione, che, secondo la CEP, non
deve essere limitato alla formazione tecnica o
specialistica mirata alla conoscenza e
all'intervento sui paesaggi (si pensi in particola-
re ai percorsi di studi superiori in ambito architettonico- pianificatorio e in tutte le discipline
che approfondiscono lo studio dei paesaggi),
ma anche indirizzarsi verso una preparazione
generale di chi indirettamente ha a che fare
con il paesaggio nell'ambito della sua professione e, infine, verso una maggiore diffusa
conoscenza di queste tematiche in ambito scolastico e universitario, al fine di rendere ogni cittadino più attento e più competente rispetto al
proprio e all'altrui contesto di vita.
Senza addentrarsi nella dimensione della formazione professionale e specialistica, si proverà in queste pagine a presentare alcuni aspetti e
alcune riflessioni in merito alla sensibilizzazione
e alla necessità di una crescita culturale diffusa,
nel mondo della scuola ma non solo, temi su
cui chi scrive ha intrecciato da diversi anni la
dimensione della ricerca con quella delle esperienze sul campo¹.
paesaggio vanno intesi cioè soprattutto come
luoghi di “allenamento dello sguardo”, affinché tutti possano imparare a riconoscere di quali parti è composto il paesaggio stesso e i valori
(necessariamente plurali) di cui è portatore nella sua dinamicità.
Vale la pena di fermarsi a riflettere brevemente
sul termine “valori”, esplicitamente richiamato
dal testo della CEP, in relazione con l'attenzione da porre a tutti i paesaggi, indipendentemente da una loro attribuzione pregiudiziale di
“qualità”. L'ottica non pare quella dei paesaggi
di valore, quanto piuttosto quella dei valori del
paesaggio. Ad ogni “porzione di territorio”, proprio in quanto “percepita dalle popolazioni” è
infatti attribuito un ventaglio di significati. Gli
studi sulle percezioni sociali del paesaggio di
volta in volta hanno messo in luce diverse
dimensioni valoriali entro cui il paesaggio
acquista significato, nell'ambito di un determinato contesto: valore ecologico, valore funzionale, valore estetico e storico-culturale, valore
I valori del paesaggio
Una prima osservazione generale pare neces- di identità collettiva, valore per le relazioni
saria, in quanto potrà guidare le puntualizza- sociali, valore affettivo (De Nardi, 2011). Se il
zioni successive ed alcune potenziali indicazioni valore ecologico o quello storico-culturale emermetodologiche: oltrepassando un approccio gono esplicitamente nei discorsi, nei documenche si riduca a una conoscenza delle tipologie ti, nelle valutazioni che muovono dal sapere
dei paesaggi delle diverse regioni del globo o esperto, le dimensioni funzionale, affettiva o
ad attività rivolte a determinati paesaggi ecce- sociale del paesaggio sono quotidianamente
zionali, in cui l'azione divulgativa venga limitata vissute nei paesaggi ordinari dal cittadino comualla richiesta di una specifica salvaguardia, la ne, ma in genere non vengono espresse. È tutCEP propone – in coerenza con la sua filosofia tavia necessario ricordare l'importanza di quecomplessiva - azioni di sensibilizzazione “al valo- sto secondo gruppo di attribuzioni di valore nel
re dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasfor- definire le scelte quotidiane del semplice cittamazione" (art. 6, A) e “insegnamenti scolastici e dino e le pratiche di trasformazione di molti
universitari che trattino, nell'ambito delle paesaggi, in particolare quelle non pianificate.
rispettive discipline, dei valori connessi con il Dalla pluralità e varietà dei valori attribuiti
paesaggio e delle questioni riguardanti la sua nell'ambito di una comunità dai diversi attori,
salvaguardia, la sua gestione e la sua pianifica- portatori di molteplici interessi, nascono infine i
conflitti palesi o latenti che affliggono di frezione” (art. 6, B, c).
A tal fine, non appare sufficiente “insegnare” il quente i nostri paesaggi. Se infatti il cittadino
paesaggio, proponendo in maniera acritica e comune non viene aiutato a fare proprio e a
precostituita quanto emerge dalla conoscenza condividere, partendo da una base di conoesperta; la crescita diffusa della consapevolez- scenza, il valore storico o ecologico che gli
za non sembra cioè nascere dalla semplice tra- esperti attribuiscono ad un determinato contesmissione di contenuti su questo o quel pae- sto paesaggistico, con difficoltà riuscirà a comsaggio. Sembra piuttosto di dover puntare prendere – e di conseguenza a rispettare –
sull'acquisizione di un modo di “guardare” - o eventuali restrizioni d'uso e di trasformazione
meglio “leggere” – il paesaggio, nella sua natu- assegnate a tale contesto; viceversa, se norme
ra dinamica e complessa, e nella sua doppia e piani non sono in grado di prendere in consinatura di materialità e immaterialità, di ogget- derazione i valori affettivi e quelli legati alle attività locali e alle pratiche di una comunità, e le
tività e soggettività.
I percorsi di sensibilizzazione e di educazione al eventuali conflittualità generate dalla loro plu-
29
ralità, non è possibile promuovere davvero il “benessere” e la “soddisfazione degli esseri umani”
auspicati nel preambolo della CEP.
Pare quindi di poter affermare che la crescita di
consapevolezza richiesta dalla prima misura specifica miri soprattutto ad una presa di coscienza
diffusa e ad una capacità di esplicitazione e di
condivisione dei valori attribuiti al paesaggio.
La lettura del paesaggio come landscape literacy
Ma come si può costruire questa consapevolezza?
In primo luogo va osservato che l'acquisizione di
consapevolezza non è un percorso automatico
reso possibile da qualche iniziativa sporadica,
ma è piuttosto un processo di lunga durata, un
progetto educativo da promuovere in ambiti formali e informali, che comprende diversi fronti di
azione, tutti volti alla maturazione della capacità
di “leggere il paesaggio” e di condividerne le letture.
Non è un approccio nuovo: già Eugenio Turri proponeva un'“educazione a vedere, a vedere per
capire (cioè capire il funzionamento dell'organismo territoriale sotteso al paesaggio e riconoscere i valori simbolico-culturali che vi si connettono) che rappresenta un atto fisiologico fondamentale per ogni società al fine di stabilire un
rapporto positivo con il territorio in cui vive, valorizzandone le potenzialità in quanto spazio di
vita e difendendolo nei suoi valori simbolici in
quanto specchio di sé” (Turri, 1998, p.24).
Le attività di educazione al paesaggio vanno
quindi intese essenzialmente come una forma
di landscape literacy, di “alfabetizzazione” al paesaggio (Spirn, 2005; Castiglioni, 2015), rivolta
all'acquisizione degli strumenti di base per “imparare a vedere”, riconoscendo nel paesaggio
dinamiche e valori sottesi. Si possono quindi individuare quattro diverse direzioni attraverso cui si
può leggere un paesaggio, tra loro complementari e al tempo stesso intrecciate in maniera ipertestuale²:
- lettura denotativa che considera i diversi elementi del paesaggio osservato (naturali e antropici) e le relazioni che tra di essi si strutturano;
- lettura connotativa che pone l'attenzione sugli
aspetti emozionali, le sensazioni, la dimensione
immateriale e quindi i significati e i valori attribuiti a quel preciso paesaggio;
- lettura interpretativa, volta a cercare una spiegazione dei caratteri peculiari di ciascun paesag-
gio;
- lettura temporale, che mette in evidenza le trasformazioni del paesaggio tra passato e presente e si proietta verso scenari futuri possibili,
desiderabili, sostenibili (Castiglioni, 2012).
La landscape literacy è allora il processo necessario per attivare il potenziale strumentale connaturato al paesaggio stesso. Imparare a “leggere” il paesaggio e conoscere il suo linguaggio permette da un lato una migliore comprensione delle dinamiche territoriali che lo trasformano e dei processi che lo hanno costruito
(nella sua oggettività) e dall'altro di acquisire
consapevolezza della contemporanea presenza e della eventuale conflittualità delle diverse
soggettività interessate. È il percorso necessario per riuscire a fare del paesaggio l'“organizzazione in un'unità visiva del processo di territorializzazione” (Turco, 2011, p. 122).
Va tuttavia ricordato che il concetto di literacy,
o di alfabetizzazione, non va inteso in senso
restrittivo, come processo top down che coinvolge unicamente la sfera cognitiva, come a
volte il termine può far intendere; anche la sfera affettiva e quella dell'azione devono e possono essere coinvolte in un percorso che muove dal basso. Possiamo a questo proposito fare
riferimento ai tre passaggi successivi della literacy funzionale, culturale e critica (Stables,
1998). La literacy funzionale, che in generale si
riferisce alla comprensione del significato letterale ad un livello superficiale, può riguardare
la conoscenza oggettiva degli elementi del paesaggio, dei contesti in cui sono inseriti e delle
dinamiche da cui traggono origine; può essere
cioè ricondotta ai percorsi di lettura denotativo
e, in parte almeno, interpretativo. La literacy
culturale consiste – in termini generali –
nell'acquisire le conoscenze relative a “ciò che
tutti devono sapere”; si può riferire quindi alla
conoscenza di ciò che in un determinato contesto culturale viene ritenuto “paesaggio di
valore” o “patrimonio”, secondo le attribuzioni
di valore esperte; si tratta di un processo passivo, senza implicazione diretta del soggetto,
come nel passaggio precedente. La profondità, la creatività e il coinvolgimento personale
caratterizzano invece la literacy critica: se, in
generale, si tratta della capacità di dare senso
in termini personali al testo, di reagire ad esso
e di comprendere le forze culturali, sociali e
politiche che danno forma al testo stesso (ibidem, p. 157), la literacy critica in ambito pae-
saggistico può concernere la dimensione del
cambiamento e delle dinamiche attuali di trasformazione, che traggono origine proprio da
queste forze. Qui vi è inoltre lo spazio per riflettere su domande quali: “che cosa ciò significa
questo paesaggio per me, per noi, per gli altri?
Quali sono le conseguenze se continuiamo a
comportarci così? Dovremmo comportarci
diversamente? Come? In che modo trasferiamo i nostri valori in azioni concrete, che siano il
risultato di ciò che noi conosciamo o sentiamo?” (ibidem, p. 160). Si tratta di un approccio
riconducibile da un lato alla lettura connotativa
del paesaggio, che prende in considerazione la
dimensione dei significati e dei valori, attribuiti
da se stessi e dagli altri, e dall'altro a quella temporale, in particolare nella sua dimensione
orientata al futuro (Castiglioni, 2012).
Un tale approccio risulta coerente con la prospettiva che caratterizza oggi l'educazione alla
sostenibilità, orientata all'acquisizione delle
conoscenze, delle abilità, degli atteggiamenti e
dei valori necessari per costruire un futuro
sostenibile. Risulta evidente che l'obiettivo finale è la crescita globale delle persone e della loro
competenza civica: è possibile cioè educare “al”
paesaggio ma anche, e nello stesso tempo, “attraverso” il paesaggio, con percorsi articolati e
aperti, che mirano alla formazione di un cittadino consapevole e sensibile, capace di partecipare alle scelte del suo territorio e della comunità in cui vive (ibidem).
Il paesaggio come strumento educativo
I percorsi di lettura del paesaggio o di landscape
literacy così come li abbiamo intesi, al di là
dell'acquisizione di contenuti, si presentano
quindi come percorsi attivi di scoperta in cui
possono essere coinvolte sia le fasce giovanili
della popolazione all'interno dei contesti scolastici, sia target più ampi di popolazione, in percorsi educativi non formali³; in entrambi i casi si
tratta di percorsi ricchi di interessanti potenzialità educative sotto diversi profili⁴.
Con particolare riferimento al primo contesto,
e quindi ai percorsi didattici per i vari ordini di
scuola, si può sottolineare in primo luogo come
la lettura del paesaggio aiuti a sviluppare contemporaneamente capacità di analisi e di sintesi, sia nelle fasi di individuazione dei diversi elementi e delle relazioni tra gli elementi, sia attraverso l'indicazione dei singoli fattori e delle relazioni tra le dinamiche che costruiscono il pae-
30
saggio stesso; la dimensione della relazione - in
primo luogo tra natura e cultura - che è insita
nel paesaggio promuove lo sviluppo tanto della
capacità di approfondimento quanto di visioni
di insieme, capaci di far dialogare i diversi
approcci settoriali. Analogamente, questi processi possono promuovere l'acquisizione di un
modo di procedere scientifico.
In secondo luogo, le attività di lettura del paesaggio vedono coinvolte, come si è già evidenziato, sia la dimensione sensoriale-emotiva (stimolando l'espressione delle emozioni e dei sentimenti suscitati dal paesaggio) sia quella della
razionalità (necessaria per interpretare in che
modo le forme del paesaggio si radichino nelle
dinamiche territoriali). Educazione scientificorazionale ed educazione artistico-umanistica
possono dunque incontrarsi ed integrarsi a
vicenda nei percorsi di avvicinamento e di scoperta del paesaggio, contribuendo ad una crescita equilibrata della persona, nella sua totalità.
La considerazione dei significati attribuiti al paesaggio e ai suoi elementi da un lato e dei fattori
socio-culturali che intervengono nella costruzione dei paesaggi stessi dall'altro contribuiscono a fare dei percorsi di lettura anche un'occasione di educazione all'interculturalità, nel confronto possibile tra paesaggi costruiti in diversi
contesti culturali e/o percepiti attraverso
modelli culturali di riferimento pure diversi; ad
esempio, esperienze di lettura condivisa del paesaggio “vicino” e di paesaggi “lontani” in gruppi
multietnici (a partire da quelli di provenienza di
alcuni componenti del gruppo stesso) possono
rappresentare un'occasione assai interessante
di apertura e di confronto reciproco (De Nardi,
2013).
Un altro grande campo di potenzialità educative insite in questi percorsi muove dalla “dimensione pragmatica” del paesaggio (Zanato
Orlandini, 2007) e si apre in maniera più incisiva
all'ambito dell'educazione alla cittadinanza:
d'altronde, la landscape literacy consiste in una
“pratica culturale che riguarda sia la comprensione del mondo che la sua trasformazione”
(Spirn, 2005, p.410), poiché, come ci ricorda Turri (1998), imparare a vedere è il presupposto per
imparare ad agire.
Mi sembra importante sottolineare tre aspetti
di come il paesaggio possa diventare uno strumento utile alla formazione di cittadini responsabili. In primo luogo acquista valore il riconoscimento – attraverso la lettura dei segni di per-
sistenze storiche nel paesaggio o attraverso
specifici approfondimenti con l'utilizzo di fonti delle diverse tappe di trasformazione del paesaggio e la riflessione sulle cause delle trasformazioni stesse. Si può riflettere sul valore culturale di ciò che ci è stato trasmesso e sul significato patrimoniale che può assumere. Si può
riflettere anche su ciò che è andato perduto, si
sta perdendo o si rischia di perdere. Leggere il
paesaggio aiuta perciò a situarsi nel tempo (oltre che nello spazio), riallacciando legami con
le generazioni precedenti e recuperando il senso delle identità dei luoghi.
Questa riflessione sul passato non si esaurisce
in se stessa, ma apre ad un secondo aspetto,
per certi versi ancora più rilevante. Il confronto
tra passato e presente porta ad aprire lo sguardo sui paesaggi futuri e sulle opzioni di scelta
da compiere oggi (Morelli e Cepollaro, 2013).
L'attenzione ai fattori e alle dinamiche che hanno guidato le trasformazioni passate può venire trasposta alle dinamiche attuali e alle tendenze future. Lo sguardo al futuro non è scontato; ma “leggere il paesaggio è anche anticipare il possibile, raffigurarsi, scegliere e dare
forma al futuro” (Spirn, 2005, pag. 400); e, forse, lo sguardo emotivamente coinvolto è quello più capace di esprimere i timori così come i
desideri e le aspirazioni, di guardare con preoccupazione ad alcune tendenze ma anche di
immaginare scenari più positivi. Allo stesso
modo la riflessione sul passato e lo sguardo al
futuro sono i presupposti per l'acquisizione della necessaria consapevolezza per scegliere e
agire con responsabilità. Attraverso la lettura
del paesaggio è possibile sviluppare un atteggiamento competente e, appunto, responsabile nei confronti delle questioni territoriali, che
rappresenta un essenziale riferimento per
un'attiva e costruttiva partecipazione alla vita
della propria comunità, secondo il dettato della CEP. Capiamo dunque che le questioni della
conoscenza di questo o quel paesaggio (di questo o quel paesaggio eccezionale) e della tutela
di questo o quel particolare elemento o contesto non sono accantonate, ma possono rientrare in un approccio decisamente più ampio,
capace di prestare attenzione alla dimensione
valoriale del paesaggio. Il paesaggio (un paesaggio) non va considerato (solo) in quanto “oggetto” di conoscenza e/o tutela, ma diventa
“strumento” per giungere ad un rapporto complessivamente migliore con il territorio, con tut-
ti i territori.
Analogamente, e qui veniamo al terzo aspetto,
il paesaggio può permettere relazioni più positive e responsabili nei rapporti con l'“altro”; vi si
ritrova cioè una valenza “sociale”, in conseguenza della pluralità di attori (in rapporto dialettico tra loro) che lo hanno costruito e lo
costruiscono e della pluralità di sguardi (tra loro
più o meno coerenti o contraddittori) che lo
osservano, lo rappresentano, lo rivestono di
significati. Il paesaggio stesso è un'interfaccia
(Turri, 1998, p. 18; Palang e Fry, 2003), un intermediario (Dematteis, … ), un luogo di relazione
(Turco, 2002, p.42); lo possiamo allora considerare una sorta di tavolo attorno a cui è utile
sedersi per esplicitare e cercare di comporre le
diverse competenze, le diverse culture, i diversi
sguardi e i diversi significati attribuiti. Tanto
negli ambiti in cui si opera, si valuta, si decide,
tanto in ambito educativo. In questo senso il
paesaggio può oggi svolgere in modo nuovo il
suo ruolo di riferimento identitario che la CEP
richiama, quale prodotto culturale non più unicamente e definitivamente determinato, ma
aperto e sempre in divenire, costruito grazie
all'apporto e al confronto tra sguardi diversi e
culture diverse.
Note
1. In particolare, chi scrive ha redatto le linee guida
“Education on landscape for children” in qualità di
esperto del Consiglio d'Europa (Castiglioni, 2012;
traduzione italiana in Castiglioni, 2010)
2. Sull'idea di paesaggio come ipertesto si veda
Cassatella, 2001.
3. È capitato in più casi a chi scrive di animare incontri
pubblici in contesti diversi (associazioni culturali, gruppi
di genitori, circoli per anziani, ecc.) in cui sono state
affrontati i temi del paesaggio non attraverso una
lezione frontale, ma cercando di coinvolgere i
partecipanti: in primo luogo nell'espressione del proprio
modo di “guardare” ai paesaggi, e successivamente nel
confrontarsi e nello scoprire insieme al gruppo la
complessità delle questioni.
4. Percorsi di educazione al paesaggio in ambito
scolastico ed extrascolastico si vanno diffondendo
sempre più in Europa e in Italia. In Provincia di Trento
negli ultimi anni la Scuola per il Territorio e il Paesaggio
(tsm-step) ed altri soggetti (il MUSE, la Rete di Riserve
delle Alpi Ledrensi, la SAT) hanno posto in essere
diversi progetti formativi per un pubblico adulto e per il
mondo della scuola, sia con il coinvolgimento diretto di
bambini e ragazzi, sia attraverso una formazione
specifica per gli insegnanti. Si ricordano ad esempio le
due edizioni del progetto “Io vivo qui. Cittadini in Erba”
che negli anni scolastici 2011-12 e 2012-13 hanno
coinvolto i ragazzi di numerose scuole secondarie di I
grado delle valli trentine (http://iovivoqui.tsm.tn.it/).
31
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1
LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
Il ruolo delle
attività antropiche nel
costruire/distruggere
biodiversità
di Riccardo Santolini *
* Riccardo Santolini, Dipartimento di
Scienze della Terra, della Vita e
dell'Ambiente (DiSTeVA), Università degli
Studi di Urbino "Carlo Bo"
Affrontare il problema del paesaggio dal punto
di vista delle dinamiche ecosistemiche implica
necessariamente uno sforzo di semplificazione,
ma spero non di banalizzazione, attraverso la rivisitazione di concetti chiave che spesso perdono il
loro significato reale perché usati in modo superficiale o strumentale, come si è fatto nel tempo
con i termini ecologico e sostenibile e come si sta
rischiando ora di fare con resiliente. “L'abitudine
è, fra tutte le piante umane, quella che ha meno
bisogno di un suolo nutritivo per vivere…” (Marcel Proust) perché rende la vita più comoda e
meno impegnativa. Se chiediamo cosa sia una
dinamica ecologica, pochi sanno esprimere il suo
vero significato, quali siano le forze che la regolano e in quali contesti si possa esplicare. Perché
questo esito? Senza addentrarci nelle pieghe della didattica delle Scienze Naturali in Italia, mancano o sono assolutamente superficiali i concetti
base di ecosistema, di funzione ecologica e di biodiversità. “Ci troviamo davanti a un mondo che è
minacciato dalla distruzione dell'ambiente e noi,
oggi, non siamo ancora in grado di pensare con
chiarezza ai rapporti che legano un organismo al
suo ambiente” (G. Bateson 1970).
Se supponiamo che la diversità di specie (animali
e vegetali) di un ecosistema corrisponda alla complessità delle loro interazioni, cioè al numero delle vie lungo le quali l'energia e l'informazione può
32
attraversare una comunità, l'alterazione della biodiversità (determinata da fattori diretti e indiretti
e indotta anche dalle trasformazioni del paesaggio) causa cambiamenti nella stabilità ecosistemica, induce riduzione della funzionalità di habitat ed ecosistemi e può determinare la loro possibile scomparsa. L'alterazione degli ecosistemi
determina, perciò, una modificazione della loro
funzionalità e spesso una progressiva distrofia
(perdita di funzioni). Campanello d'allarme per
questi fenomeni è la rarefazione della biodiversità, il cui monitoraggio può determinare il controllo costante della funzionalità degli ecosistemi.
Se noi consideriamo, per esempio, una mano,
sappiamo che è formata da cellule appartenenti
ad apparati diversi (cioè elementi della diversità
organica: scheletrico, muscolare, vascolare, nervoso ecc.) che hanno una precisa funzione ai
diversi livelli di scala, e che ogni apparato è integrato con l'altro in un “gioco” di dipendenza e
controllo reciproco. Questo meccanismo è indispensabile per far funzionare la mano nella sua
pluralità di azioni, dalla carezza al pugno! Ogni
elemento, struttura, sottosistema che funziona
in maniera parzialmente autonoma, complessivamente permette di svolgere movimenti che
sono l'integrazione tra le funzioni degli elementi
del sistema mano (proprietà emergenti). Per un
ecosistema è la stessa identica cosa: è necessario salvaguardare gli elementi nella loro diversità
se non vogliamo farci “sfuggire di mano” la Vita,
perdere funzioni, limitare la plurifunzionalità e
quindi le opportunità di adattamento. In sostanza, aumentare la resistenza ambientale e diminuire i tempi di resilienza.
Per questi motivi è necessario recuperare il significato di funzione ecologica intesa come
un'attività svolta con mansioni specifiche da una
cellula, un apparato, una persona, un congegno.
Se estrapoliamo il concetto di funzione applicandolo a un'entità più complessa come
l'ecosistema (un bosco, uno stagno ecc.), il salto
di scala si esplica nell'aumento di complessità del
sistema, dove la perfetta adattabilità, arricchita
dei vettori tempo e spazio, si sviluppa e si manifesta nel concetto di dinamica ecologica. Una
pianta fissa anidride carbonica, produce ossigeno, trattiene suolo, riproduce se stessa, ecc. Svolge, cioè, delle funzioni. L'insieme di piante della
stessa specie e di specie diverse concorrono nel
formare un aggruppamento che sviluppa funzioni che sono l'integrazione di funzioni e ruoli
ecologici di ogni specie e sviluppa dinamiche quali la colonizzazione degli spazi più aperti. Si tratta
di una “semplice” dinamica naturale chiamata
successione ecologica che, se non contrastata
(ruolo dell'uomo come potenziale regolatore),
tenderà a chiudere determinate zone aperte,
tanto che l'aumento della copertura forestale è
stato l'effetto di questa dinamica in questi ultimi
decenni.
Come disse Einstein, “la Vita è come andare in
bicicletta, se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”, e tutti gli elementi del sistema ecologico
seguono questa regola. Mantenendo le modalità cicliche e quindi dinamiche di riutilizzo
dell'energia e dei materiali, gli ecosistemi (anche
urbani), hanno in sé la potenzialità di conservare
la vita, stabilizzare i suoli, controllare i cicli degli
elementi (atmosferici e dell'acqua), tamponare i
fenomeni estremi (temperatura, umidità, precipitazioni ecc.), permettendo un migliore adattamento ai fattori di cambiamento globali e rendendo i sistemi naturali e antropici meno vulnerabili e più resilienti, vale a dire in grado di raggiungere un equilibrio dinamico dopo un evento
di alterazione. Infatti, tutti i cicli ecosistemici, i cui
i fattori principali sono i cicli biogeochimici, il flusso di energia e le comunità, elaborano energia e
informazioni e li rioffrono agli ecosistemi vicini
pronti per essere riutilizzati.
Il Paesaggio
La CEP (Convenzione Europea del Paesaggio,
Firenze 2000) considera il paesaggio un sistema
complesso. Il termine paesaggio viene definito
come “una zona o un territorio, quale viene percepito dagli abitanti del luogo o dai visitatori, il
cui aspetto e carattere derivano dall'azione di fattori naturali e/o culturali” (ossia antropici). Tale
definizione tiene conto dell'idea che i paesaggi
evolvono col tempo, per l'effetto di forze naturali
e per l'azione degli esseri umani. Rafforza l'idea
che il paesaggio forma un'unica entità, i cui elementi naturali e culturali vengono considerati
parti equivalenti di un insieme (Gibelli, 2010). La
convenzione si applica all'insieme del territorio
europeo, che si tratti degli spazi naturali, rurali,
urbani o periurbani. Non la si potrebbe limitare
unicamente agli elementi culturali od artificiali,
oppure agli elementi naturali del paesaggio: si
riferisce all'insieme di tali elementi e alle relazioni
esistenti tra di loro.
Possiamo quindi dire che il paesaggio è un insieme unico e indivisibile, costituito da entità da un
lato proprie dell'ecologia come gli ecosistemi (i
prati, i boschi, i corsi d'acqua, le montagne, le pianure ecc.) da cui emergono però gli oggetti e le
azioni proprie dell'uomo, poiché estremamente
differenti per tipologia e regime dagli eventi derivanti dagli agenti naturali in senso stretto (strade, edifici ecc.) (Diamond, 2006) sebbene appartenenti al tutto. Questi oggetti concreti, come cellule e strutture diverse di un grande organismo,
hanno una vita propria e sviluppano funzioni che
generano e mantengono i processi. Queste sono
le dinamiche generate dalle forze fisiche e biologiche, naturali e antropiche, cioè quelle relazioni
richiamate dalla convenzione deputate allo
scambio di energia e informazione. Siamo
comunque nel campo dell'ecologia per cui questi
sistemi sono caratterizzati dalle comunità di specie (tra cui l'uomo), dal flusso di energia e informazione che attraversa e fa funzionare i sistemi,
e dai cicli biogeochimici, cioè quei processi che
sono alla base dell'autopoiesi dei sistemi naturali
e paranaturali e che l'uomo, solo recentemente,
si è accorto di avere la necessità di riprodurre e
simulare all'interno dei processi antropici, chiamandola “Economia circolare”.
Agli elementi e ai processi si aggiunge un aspetto decisamente soggettivo, la percezione, che
attiene alla natura propria degli individui ed alla
loro capacità di decodificazione e interpretazione del mondo che li circonda, e che permette di
33
interpretarlo, viverlo e modificarlo ognuno a proprio modo. La CEP sembra escludere qualsiasi
riferimento a paesaggi per specie diverse
dall'uomo, limitando il proprio interesse alla percezione umana, pur conferendo importanza ai
processi naturali al pari di quelli antropici nella
costruzione dei paesaggi (Gibelli, 2010). Dunque,
il paesaggio è costituito da parti oggettivamente
rilevabili, concrete, costituite da elementi e forze
definibili e misurabili, e da una parte decisamente
soggettiva, ma fortemente condizionata dalla prima. Le due parti si influenzano a vicenda attraverso continui scambi di informazioni che determinano l'evoluzione dei paesaggi.
I paesaggi dipendono anche da altri fattori, come
il tempo, nel cui scorrere avvengono le trasformazioni per effetto dei processi antropici e naturali, e
lo spazio, alle cui scale le dinamiche si esplicano e
interagiscono fra loro, ai e tra i diversi livelli. Le
analisi e le valutazioni dei fenomeni hanno qui
l'aspetto più critico poiché ogni evento ha una sua
scala di riferimento che può influenzare i livelli limitrofi (scale adiacenti). Un ulteriore aspetto di complessità riguarda le dinamiche di generazione, crescita e ricostituzione del capitale naturale e delle
sue funzioni. Tali dinamiche, per potersi compiere
con completezza, richiedono tempi che sono
notevolmente sempre più lunghi rispetto ai paesaggi costruiti dall'uomo.
Ma il paesaggio ha una connotazione anche ecologico-economica. La Fig. 1 descrive i rapporti
dinamici tra i Capitali propri dell'Economia
ambientale nella formazione del paesaggio in
relazione ai tempi di trasformazione ed ai servizi
ecosistemici prodotti (Santolini, 2008) evidenziati
anche da Costanza et al. (2014) nella sua valutazione del valore globale dei Servizi Ecosistemici, i
cui capitali sono caratterizzati dagli elementi
strutturanti il paesaggio sopra descritti. Ogni capitale ha una propria dinamica che, come è stato
accennato, manifesta tempi molto diversi tra
loro. Il capitale economico è fortemente dipendente dal capitale sociale attraverso il capitale
costruito dall'uomo, tanto che, se entra in crisi il
capitale economico (es. recessione), si hanno
effetti negativi sul capitale sociale. In sintesi, questo loop è il risultato di un'economia lineare misurata dal PIL che mal rapporta l'obiettivo della crescita economica con i problemi ambientali e di
conservazione delle risorse. Invece, “uno sviluppo
economico che non si ponga il problema del rapporto con l'ambiente naturale, non solo rischia di
non poter essere mantenuto, ma perde qualità e
quindi perde valore” (Musu, 2008).
Sviluppo economico e qualità dell'ambiente
sono le due facce di una stessa medaglia; esse
diventano riferimento fondamentale di un percorso che mette in atto metodi e tecniche di contabilità che tengono conto anche dei costi
ambientali e della risorsa, diventano un paradigma di lavoro importante e sinergico con il concetto della sostenibilità che comincia a permeare obiettivi e priorità dei governi nazionali. La inevitabile considerazione riguardante la sostenibilità e la “durabilità” dello sviluppo legata alla non
scambiabilità del Capitale Naturale critico con
Figura 1. Rapporti dinamici tra i Capitali
propri dell'Economia ambientale
nella formazione del Paesaggio in relazione
ai tempi di trasformazione ed
ai servizi ecosistemici prodotti.
altri capitali antropici, proprio della sostenibilità
forte, evidenzia la stretta dipendenza di questi
capitali “antropici” dal Capitale Naturale e dai
suoi beni e funzioni che diventano servizi ecosistemici nel momento in cui questi sono fondamentali per il benessere umano di cui il Capitale
Naturale Critico ne è la “riserva aurea” non scambiabile (Santolini et al., 2012).
Prende quindi corpo e valore la plurifunzionalità
del Paesaggio come una “parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla
storia umana o dalle reciproche interrelazioni
(art. 131, comma 1 del DLgs 22 n. 42 del 2004
Codice dei beni culturali e del paesaggio) la cui
tutela e la valorizzazione (del paesaggio) salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili” (art. 131, comma
2) anche attraverso la consapevolezza delle funzioni di interesse collettivo che esso esprime
attraverso il Capitale Naturale.
Il ruolo dell'uomo
L'uomo è uno degli elementi che concorrono al
funzionamento della “mano”, un “agente biologico” come gli altri che, però, a causa di una storia evolutiva e di una crescita culturale del tutto
peculiari rispetto alle altre specie, attraverso le
sue azioni ha portato a conseguenze non sempre positive sugli ecosistemi, in termini di
ampiezza, durata e intensità (Battisti et al.,
2013). I disturbi conseguenti alle attività umane
possono essere caratterizzati da una distribuzione e capacità di pressione e impatto sugli ecosi-
34
stemi terrestri ed acquatici tali da dover essere
considerati separatamente rispetto a quelle
attuate da altri organismi biologici (Diamond,
2006), poiché estremamente differenti per tipologia e regime dagli eventi derivanti dagli agenti
naturali in senso stretto. L'alterazione nel regime
di disturbi naturali causata dall'interferenza
dell'aumento in intensità dei disturbi antropogeni rispetto agli equivalenti eventi naturali, “costituisce la causa della riduzione drastica e irreversibile della complessità e della capacità di resilienza
dei sistemi ambientali, che vengono resi più fragili e vulnerabili a successivi eventi” (Farina,
2001).
Come hanno illustrato Battisti et al. (2013), i
disturbi antropogeni possono agire, direttamente o indirettamente, a tutte le scale spaziali (da
puntiforme, a locale, regionale e globale) e temporali, dipendendo da fattori legati alla sfera umana, di carattere storico, politico, economico, culturale e sociale. I loro effetti possono essere differenti in relazione alla composizione, struttura e
funzione degli ecosistemi e delle diverse componenti sui quali essi agiscono. Molto spesso,
disturbi antropogeni diversi possono sovrapporsi
e manifestare un'azione cumulativa o sinergica
sullo stesso sistema naturale, arrivando a modificare, anche profondamente, le caratteristiche del
sistema stesso innescando fenomeni a cascata.
Quando le perturbazioni sugli ecosistemi, generalmente originate dall'azione dell'uomo (Rapport et al., 1985) possono portare ad un cambiamento nel ciclo dei nutrienti, nella produttività,
nella dimensione delle specie dominanti e nello
shift di dominanza tra specie, si assiste a una
vera e propria sindrome chiamata ecosystemlevel distress, oggetto di quel settore disciplinare
chiamato Stress Ecology.
Di fatto, la diversa intensità delle perturbazioni e
dei fattori tempo e spazio cui abbiamo accennato precedentemente, può rendere la maggior
parte degli ecosistemi e degli organismi (uomo
compreso), incapaci di innescare risposte adattative adeguate in tempi utili per la sopravvivenza delle popolazioni, delle comunità e degli ecosistemi stessi. Infatti, nel corso dell'ultimo secolo, la struttura degli ecosistemi è andata modificandosi molto più rapidamente del passato
(MEA, 2005).
L'Antropocene potrebbe essere, e per alcuni lo è
già (Global Environment Outlook, UNEP, 2007),
l'inizio di una sesta estinzione di massa che, a differenza delle precedenti cinque avvenute da
quando, 3,8 miliardi di anni fa, la biodiversità ha
iniziato a evolversi, non è dovuta a cambiamenti
globali naturali (Crutzen, 2005), ma all'azione
dell'uomo attraverso la distruzione degli habitat
delle specie, al sovrasfruttamento delle risorse
naturali, all'effetto delle immissioni delle specie
alloctone, ecc. I processi umani (produzione agricola, produzione industriale e consumo o uso
dei beni materiali) utilizzano beni, materia ed
energia ricavate dal Capitale Naturale che passano attraverso i processi produttivi e arrivano
alla fase di consumo, utilizzando energia e producendo CO2. Sia nella fase di produzione, sia in
quella di uso delle risorse/merci, si generano scorie e rifiuti che vengono scaricati nell'ambiente.
Di fatto, in un ecosistema naturale, l'energia e i
materiali che escono dal processo sono materia
ed energia per l'ecosistema ricevente, mentre
nei processi umani la circolazione di materia ed
energia non ha subìto un processo evolutivo utile a garantire efficienza da parte del sistema ricevente per riuscire ad utilizzare tali elementi. Le
motivazioni ulteriori di queste differenze possono consistere:
- nella velocità con cui vengono asportate le
risorse del Capitale Naturale e con cui i “rifiuti”
vengono restituiti agli ecosistemi riceventi (sfruttamento eccessivo delle risorse naturali esauribili
e rinnovabili). I rifiuti, inoltre, vengono prodotti in
quantità e ad un ritmo di gran lunga superiore
alle capacità di depurazione e assimilazione
degli ecosistemi riceventi, anche perché, in molti
casi, si tratta di rifiuti non biodegradabili in tempi
brevi;
- nelle caratteristiche del sistema che non ha
capacità di rigenerazione energetica e gli output
costano energia e non sono sempre energia per
gli ecosistemi riceventi immediatamente utilizzabili;
- nella qualità dei materiali che partecipano a
tale flusso (inquinamento);
- la non dipendenza dall'area di prelievo/produzione: i fattori che determinano un uso
fuori scala della risorsa/prodotto, inducono una
mancanza di interesse verso gli ecosistemi che
generano tale risorsa.
Tali effetti sono motivo della scomparsa di funzioni degli ecosistemi utili all'uomo chiamate Servizi Ecosistemici. Questi fattori costituiscono un
limite spesso insormontabile alla gestione degli
ecosistemi artificiali e possono concorrere a compromettere la loro esistenza e forse quella di molti altri ecosistemi naturali. Il Capitale Naturale
deve essere utilizzato rispettando la funzionalità
ecosistemica e i suoi tempi di rigenerazione, non
potendo così alimentare nuovi processi. In
assenza di un controllo e di azioni correttive nonché di comportamenti corretti e rispettosi della
ciclicità dei sistemi ecologici, produttivi si rischia
comunque di esaurire la risorsa e di danneggiare
il processo e di conseguenza quella parte di Capitale naturale denominato Critico perché indispensabile al benessere di base dell'uomo.
Funzioni ecologiche e biodiversità.
Se gli ecosistemi tendono a un equilibrio dinamico le cui funzioni sono indispensabili agli ecosistemi vicini, il risultato dell'azione antropica è spesso
un'alterazione profonda di questi equilibri che trasformano componenti del paesaggio interferendo sui cicli ecologici. Tali azioni hanno trasformato ecosistemi collocandoli in stadi instabili, consumando suolo e risorse naturali, alterando ed
estinguendo funzioni vitali di ecosistemi che erogavano, ad esempio, aria e acqua di qualità rarefacendo i servizi ecosistemici ed aumentando la
vulnerabilità del sistema ed i tempi di resilienza
(Fig. 2).
Dal momento che l'umanità ha modificato la
capacità degli ecosistemi di assorbire e tamponare i disturbi, non possiamo più dare per scontato
che questi possano mantenere un sostenuto flusso di servizi ecosistemici essenziali per il nostro
benessere (Elmqvist et al. 2003). Abbiamo visto
come gli aspetti multifunzionali degli ecosistemi
che caratterizzano le componenti strutturali di un
paesaggio emergono progressivamente in modo
determinante nel momento in cui viene messa in
relazione la funzionalità degli ecosistemi con i servizi prodotti, mettendo in luce relazioni positive
tra biodiversità e produzione primaria (Costanza
et al. 2007) o tra biodiversità, funzioni ecologiche/servizi ecosistemici e benessere umano (Hai-
Stati ecosistemici e risilienza
Distrofia ecosistemica = diminuzione
di funzioni e di servizi
Servizi ecosistemici
Stato desiderabile
Stato non desiderabile
Stato instabile
RESILIENZA
Bosco
Sovra sfruttamento
Incendio...
«Pulizia dl bosco»
Azioni di recupero
Pscolo
Erosione
Bosco degradato
Fig. 2 - Cambiamenti del bosco da uno stadio stabile ad uno stato meno desiderabile a seguito di azioni dirette di utilizzo non sostenibile procura una diminuzione
di funzionalità ecologica un aumento dei temi di resilienza ed una maggiore vulnerabilità (da Elmqvist et al 2003, mod.)
35
nes-Young e Potschin, 2010). Di conseguenza, la
biodiversità, in rapporto con il flusso regolare di
beni e servizi ecosistemici, diventa elemento
chiave per raggiungere obiettivi di gestione economica, sociale ed ecologica (Hooper et al.
2005). Infatti, la perdita di biodiversità e di ecosistemi nonché l'alterazione conseguente della
funzionalità dei paesaggi, minaccia il funzionamento del nostro pianeta, della nostra economia e della società umana (TEEB 2010). Attualmente vengono riconosciute numerose cause
per la perdita di biodiversità sia di tipo indiretto
(Bonifiche delle zone umide, modificazioni e trasformazioni dell'habi-tat quali costruzione, edifici, strade, porti, cementificazione degli argini fluviali, variazioni climatiche dovute ad influenze
antropiche, sbarramenti sui corsi d'acqua, captazioni idriche, modifiche delle portate; uso di
pesticidi e inquinamento delle acque ecc.) che
diretto (caccia, vandalismo, inquinamento genetico, pesca eccessiva, ecc.). Tralasciando i processi che avvengono su tempi propri dell'evoluzione biologica, gli effetti sulle specie ma anche
su habitat ed ecosistemi possono essere raggruppati in quattro categorie principali (Walther
et al., 2002): impatti sulla fisiologia e sul comportamento; impatti sul ciclo vitale; impatti sulla
distribuzione geografica; impatti sulla composizione e sulle interazioni delle specie nelle comunità ecologiche. Ad esempio, le tendenze clima-
tiche in atto e quelle previste dagli scenari
dell'IPCC sposteranno verso latitudini maggiori
o altitudini più elevate le condizioni climatiche e
ambientali tipiche in particolare dell'area mediterranea. Questo significa che tutti gli ecosistemi
e le specie a loro legate tenderanno a spostarsi
verso l'Europa centro occidentale e settentrionale o verso l'alto lungo i versanti delle catene montuose del Paese fino alla loro scomparsa. Queste
azioni, quindi, sia in forma diretta che indiretta,
hanno una forte interazione con i cicli ecologici,
innescando processi di distrofia, eliminando progressivamente funzioni ecologiche, specie, habitat ed ecosistemi. Recentemente (Monastersky
2014) sono state quantificate le cause principali
di perdita di biodiversità sintetizzate percentualmente come segue: sfruttamento delle risorse
(suolo, minerali, foreste ecc.) (37%), degradazione o trasformazione degli habitat (31%); diminuzione degli habitat (13%); cambiamento climatico (7%); specie alloctone (5%); Inquinamento
(4%); malattie (2%).
I driver che determinano questi fattori di perdita
della biodiversità e di servizi ecosistemici non
mostrano segni di declino nel corso del tempo e
stanno aumentando di intensità (MEA 2005): lo
vediamo analizzando il fenomeno del consumo
di suolo in Italia (ISPRA, 2015) che riguarda prevalentemente le aree agricole, seguite dalle aree
urbane e dalle terre naturali, esponendosi sem-
pre di più a rischi idrogeologici. Viene trasformata
e considerata irrimediabilmente persa quasi il
20% della fascia costiera italiana: oltre 500 Kmq,
l'equivalente dell'intera costa sarda. Persi anche
34.000 ettari all'interno di aree protette, il 9% del
territorio di zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di laghi e fiumi. Consumiamo mediamente
circa 55 ettari ogni giorno in seguito principalmente alla costruzione di nuove infrastrutture, di
insediamenti commerciali e all'espansione di
aree urbane a bassa densità. Queste dinamiche
portano a una riduzione della biodiversità, attraverso degrado e banalizzazione degli ecosistemi
ed estinzione locale di molte specie, in primis di
quelle ecologicamente più sensibili e quelle endemiche o localizzate, banalizzando quella trabecolatura di rapporti ecologici tra specie e ambienti
che rappresentano invece, la resistenza e la resilienza di un ecosistema e la sua adattabilità ai
cambiamenti non solo climatici.
Considerazioni conclusive
Solo uno stile di vita realmente attento all'ambiente non può non avere ripercussioni sulle scelte
quotidiane, qualunque sia il ruolo del cittadino che
le esegue. Scelte che, se ben indirizzate e responsabilmente condivise, a loro volta, si possono
riflettere sulla politica, sui produttori, indirizzando
le loro scelte verso pratiche più attente
all'ambiente: per l'alimentazione, l'energia, i tra-
Fig. 3 – Gli ecosistemi anche antropici ed alcuni dei servizi forniti alla popolazione umana. La loro capacità di fornire servizi dipende da complesse interazioni ecologiche
e da processi circolari che possono essere utili per aumentarne la resilienza e l'adattabilità degli ecosistemi alle diverse scale (MEA 2005, mod.).
36
sporti, il territorio ecc. la variabile ecologica prende sempre più peso. Il tema del comportamento
corretto deve diventare implicito in ogni azione
qualunque sia il ruolo del cittadino ed è necessario assumerne piena consapevolezza. E' necessario comprendere come qualsiasi azione necessiti
di energia ed informazione “sana” e, dopo
l'elaborazione fatta da qualsiasi sistema, debbano essere restituite energia e informazione utile
a ricominciare il ciclo. Questo approccio non è stato sempre implicito e spesso l'azione sviluppata è
mancata di quell'energia, anche finanziaria, che
potesse permettere di offrire output utili. Pensiamo solo alle migliaia di progetti realizzati e
abbandonati di qualunque tipo, che non hanno
mai considerato uscite funzionali ai vari livelli di
scala e quindi funzionalmente estinti perché non
autosostenibili. Al contrario, mai come in questo
momento abbiamo bisogno di produrre strategie e innescare progetti che siano autopoietici sia
economicamente che ecologicamente, che
internalizzino i costi ambientali e della risorsa,
inserendosi al giusto livello di scala (Fig.3).
La risoluzione del parlamento europeo del 20
aprile 2012 evidenzia, infatti, come la perdita della biodiversità abbia avuto effetti economici
devastanti per la società in quanto sinora questi
costi non sono stati integrati adeguatamente nelle politiche economiche e nelle altre politiche. Il
tema della funzionalità ecologica e dei servizi ecosistemici diventa sempre più presente anche nella Strategia dell'UE sulla Biodiversità proiettata
al 2020, nella quale l'Obiettivo 2 afferma come
sia fondamentale preservare e ripristinare gli ecosistemi e i loro servizi entro il 2020, valorizzando
gli ecosistemi e i relativi servizi mediante
l'infrastruttura verde e il ripristino di almeno il
15% degli ecosistemi degradati, migliorando la
conoscenza degli ecosistemi e dei relativi servizi
(Azione 5), definendo delle priorità volte a ripristinare gli ecosistemi e promuovere l'uso delle
infrastrutture verdi (Azione 6), garantendo che
non si verifichino perdite nette di biodiversità e di
servizi ecosistemici (Azione 7).
L'approccio ecosistemico, così come definito dal
documento di lavoro della COP 5 (UNEP/CBD/
COP/5/23, 103-109), entra quindi in gioco. E' una
prima strategia per la gestione integrata della terra, dell'acqua e delle risorse viventi che promuove la conservazione e l'uso sostenibile in modo
giusto ed equo. Si tratta di un riferimento esplicito non solo alla conservazione ma anche
all'utilizzo delle risorse, con un accenno alla giu-
stizia e alla equità sociale, in quanto diventa chiave il coinvolgimento diretto e sostanziale dei portatori di interesse locali nella gestione del territorio, come processo integrato in cui è compresa la
sfera sociale e non solo quella ambientale. E' un
modo di pensare orientato a raggiungere un equilibrio socialmente e scientificamente accettabile
tra le priorità della conservazione della natura,
l'uso delle risorse e la suddivisione dei benefici
Occorre però andare oltre lo sviluppo sostenibile e
la green economy. Al centro delle politiche
ambientali europee c'è da qualche tempo la
cosiddetta “economia circolare”. Secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, è un termine generico per definire
un'economia pensata per potersi rigenerare da
sola. In un'economia circolare i flussi di materiali
sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere
reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati
ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera.
L'economia circolare è dunque un sistema in cui
tutte le attività, a partire dall'estrazione e dalla
produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro
imitando ciò che fanno gli ecosistemi da sempre
e generando così servizi ecosistemici. Nell'economia lineare, invece, terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto, che diventa rifiuto,
costringendo la catena economica a riprendere
continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento.
Questo approccio tenta di rimuovere le barriere
dell'economia classica integrando nuove prospettive con le aspirazioni sociali e l'ambiente
naturale inteso come Capitale Naturale vivo e
funzionale, ponendo fermamente l'uomo
all'interno dei modelli ecosistemici. Siamo così
nell'ambito dell'Economia ecologica, una visione
nettamente diversa dell'interazione tra sistema
economico ed ecosistema in cui il sistema economico è inserito nell'ecosistema (e non viceversa) (Fig.1) ed il sistema ambientale pone limiti
invalicabili alla crescita quantitativa della produzione di cui bisogna tenere conto nelle decisioni
di carattere economico e territoriale.
37
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1
LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO
A cosa serve
il paesaggio?
Riflessioni ed esempi
in area alpina
di Viviana Ferrario *
* Viviana Ferrario, Università Iuav di
Venezia
Dire che il termine paesaggio è polisemico è
un'affermazione ormai scontata ed è a volte usata per giustificare una certa confusione nei
discorsi che riguardano il paesaggio, sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista normativo¹. A me sembra invece che l'uso un po'
disinvolto del termine che è stato fatto in questi
ultimi anni richieda al contrario uno sforzo di precisazione. Questo sforzo non dovrebbe tanto
riguardare la sua definizione teorica, quanto piuttosto l'esplorazione dei suoi significati nelle loro
conseguenze operative. È proprio questo il punto di partenza per le riflessioni che seguono.
Se osserviamo in prospettiva il contesto italiano
ci accorgiamo facilmente che il termine paesaggio ha incorporato via via diversi significati. Al
significato prevalentemente estetico e visivo della prima metà del novecento si sono sovrapposti
aspetti strategici e poi ambientali. Infine la Convenzione Europea del Paesaggio ha allargato il
termine paesaggio nella direzione degli aspetti
sociali. Alla popolazione viene attribuito un ruolo
centrale: le si riconosce un diritto al paesaggio, e
contemporaneamente le si attribuisce una
responsabilità nella sua gestione.
Questo allargamento del significato sta mutando poco alla volta non solo il modo con cui usiamo la parola paesaggio nei discorsi scientifici e
nella vita di tutti i giorni, ma sta cambiando pro-
38
gressivamente anche le ragioni per cui impieghiamo la parola stessa e il modo con cui “usiamo” il paesaggio stesso. Proprio questo ci obbliga a riflettere non solo sul significato del termine,
ma sulla funzione del paesaggio nel processo
continuo di costruzione del rapporto tra popolazione e territorio. Insomma ci obbliga a chiederci
a cosa serve il paesaggio.
Il paesaggio: interfaccia, intermediario, mediatore
Nella tradizione geografica, in quanto prodotto
del rapporto costruttivo e continuativo tra una
popolazione e uno spazio geografico, il paesaggio è “oggetto di studio e al tempo stesso strumento conoscitivo” (Scaramellini, 1998, p. VII), in
quanto fa da “interfaccia” tra società e territorio².
Il paesaggio è plasmato da valori, saperi, pratiche, conoscenze, desideri e bisogni, che si incontrano con i caratteri fisici dello spazio geografico,
lo modificano e ne sono modificati durante il processo di territorializzazione. Il paesaggio è dunque il frutto percepibile di questa co-modificazione o, in altre parole, la “manifestazione
empirica della territorialità” (Turco, 2002, p. 7) e
come tale è esito di conflitti e compromessi.
Questa interfaccia può essere, ed è, impiegata, a
diversi livelli e con gradi diversi di consapevolezza, da soggetti diversi, con obiettivi diversi per
leggere e interpretare le forme del territorio.
Schematizzando, proveremo ad ipotizzare
come questo avviene nel caso di tre soggetti, in
particolare: l'abitante, lo studioso del territorio, il
progettista.
Per l'abitante il leggere e interpretare le forme
del territorio presenta delle similitudini con
l'azione del guardarsi allo specchio per controllare il proprio aspetto. Come sul viso si possono rintracciare intuitivamente gli effetti di una notte
insonne o gli indizi di una malattia incipiente e
nelle forme del corpo (sia pure fino ad un certo
punto) gli effetti di una vita disordinata o al contrario di una vita sana, così nel paesaggio si possono leggere le tracce del modo in cui una società ha scelto di interagire, in quel momento storico, con il proprio territorio³. Come il guardarsi
allo specchio, così l'osservare il proprio paesaggio implica due azioni volontarie: una assunzione di distanza, anche se momentanea, e una attività riflessiva, una forma di autovalutazione.
Come il guardarsi allo specchio, così l'osservare il
proprio paesaggio è un'attività che non si fa continuativamente, ma solo in determinate circostanze. Come spesso accade, quando siamo
troppo indaffarati (oppure quando sappiamo
che tutto va bene) lanciamo al nostro aspetto
solo uno sguardo distratto, spesso senza accorgerci dei segnali che esso ci manda, fino a che
non diventano macroscopici. Nello stesso modo
gli abitanti (e collettivamente le società insediate) spesso non si avvedono dei segnali di pericolo
che il paesaggio potrebbe rivelare loro. Quando
ci osserviamo allo specchio infatti, quello che è
sottoposto a valutazione non è solo l'aspetto in
sé, ma lo sono anche le cause presunte di
quell'aspetto, i processi sottostanti. È questo il
senso – mi sembra – dell'analogia del paesaggio
con il teatro proposta da Eugenio Turri, in cui i
soggetti giocano contemporaneamente il ruolo
di spettatori e di attori, osservando continuamente l'effetto delle loro azioni nel programmare quelle successive: il paesaggio è “interfaccia
tra il fare e il vedere quello che si fa” (Turri, 1998,
p. 13).
L'analogia non finisce qui. Come a volte, dopo un
trauma, non ci si 'riconosce nello specchio', così a
volte le società insediate si ritrovano di colpo con
un'immagine del rapporto tra sé e il territorio che
non riconoscono più. E come a volte copriamo i
segni del tempo o quelli della malattia sotto il
trucco o dentro un bel vestito, così tendiamo a
fare con il territorio, illudendoci che un bel pae-
saggio si possa ottenere semplicemente attraverso un buon lavoro sartoriale o di maquillage.
A questo livello osservare le forme del territorio
attraverso il paesaggio è un'operazione intuitiva
ma pur sempre complessa (come del resto non è
affatto elementare il gesto di guardarsi allo specchio) perché implica un processo percettivo “da
intendere non tanto come l'azione fisiologica della visione, ma quale momento in cui ciascuno
attribuisce una pluralità di significati e di valori ai
diversi elementi del paesaggio e/o al paesaggio
nel suo complesso” (Castiglioni, 2015).
Ad un diverso livello di consapevolezza si situa la
lettura e l'interpretazione dello studioso del territorio: per lui il paesaggio-interfaccia è potenzialmente un immenso deposito di informazioni, utili appunto alla comprensione scientifica dei processi sottostanti, in particolare del rapporto che
intercorre tra una popolazione e il suo territorio.
Se il paesaggio è “manifestazione empirica della
territorialità”, esso può essere impiegato per
comprenderla. L'interfaccia-paesaggio, cioè, può
essere letta e interpretata per rintracciare
l'andamento diacronico e la condizione contingente della complessa vicenda del processo di
territorializzazione. Anche in questo caso si tratta di una operazione complessa, che non può
prescindere dalla duplice dimensione immateriale del paesaggio: quella dei processi che influenzano il paesaggio ma “che non lasciano riflessi
nella topografia”⁴, ma anche quella legata
all'attribuzione individuale e collettiva di significati e di valori (filtrati culturalmente) che influenzano a loro volta i comportamenti reali. Insomma lo studio del territorio non può prescindere
dalla percezione che ne hanno le società insediate.
Non dimentichiamo infine che anche gli studiosi
del territorio e gli esperti in generale,
nell'impiegare il paesaggio per i loro studi, percepiscono le forme del territorio a loro volta in
modo filtrato dalla loro preparazione disciplinare
e culturale.
Paesaggio come intermediario
Proprio questi filtri culturali e disciplinari generano sia negli esperti, sia nelle diverse componenti
della società insediata, una molteplicità di interpretazioni, spesso non coincidenti, di una stessa
parte di territorio⁵. A questo proposito per il paesaggio-interfaccia è stato proposto un ruolo di 'intermediario'. Il paesaggio può essere messo al
centro dei discorsi e dei saperi, come “objet-
39
intermédiaire”, oggetto intermedio, e in quanto
tale almeno parzialmente condiviso pur se entro
interpretazioni non condivise (a volte, ma non
necessariamente, anche conflittuali). Il suo impiego è qui dunque quello di far emergere le diverse
idee che diversi attori possono avere sul medesimo territorio, nonché di mettere in luce e precisare proprio le aree di non sovrapposizione di quelle
idee (Bigando et al., 2011; Briffaud, Ferrario,
2015).
Il ruolo di intermediario del paesaggio-interfaccia
può svolgersi nel presente, oppure anche nel passato, nel caso in cui l'oggetto della ricerca non sia
il processo di territorializzazione corrispondente
al momento attuale, ma sia invece riferito ad un
momento situato addietro nel tempo. La ricostruzione (in senso archeologico) dei paesaggi del
passato, accompagnata per quanto possibile dalle informazioni relative ai modi in cui le forme del
territorio erano percepite, complete di valori e
significati attribuiti, è uno strumento potenzialmente molto efficace per la storia del territorio
(Briffaud, Ferrario, 2015).
La capacità di 'leggere' l'interfaccia-paesaggio
non è dunque scontata, non solo per l'insider, ma
neanche per l'esperto. Il paesaggio-interfaccia
diventa infatti intermediario efficace “solo se
l'osservatore è capace di organizzare in un'unità
visiva il processo di territorializzazione, e seppure
solo per parti, le traiettorie logiche e storiche che
ne hanno inquadrato il dispiegamento, tanto sul
piano simbolico, quanto sul piano materiale e
strutturale” (Turco, 2002, p. 39).
Paesaggio come mediatore
Per la sua capacità intermediatoria il paesaggiointerfaccia può diventare vero e proprio 'mediatore' entro processi di condivisione delle scelte territoriali. È così che può essere impiegato dal progettista e dal pianificatore, sia in modo diretto
che indiretto. Esso può essere messo al centro di
una discussione, di un confronto, perfino di un
conflitto, nel campo del governo del territorio: dietro ad un conflitto territoriale o ambientale si può
per esempio ipotizzare la presenza di un conflitto
di paesaggio (O'Neill, Walsh, 2000; Davodeau,
2008). E d'altra parte il paesaggio stesso, in quanto immagine del territorio, può essere impiegato
per “favoriser la sensibilisation de différents types
d'acteurs à la définition et à la gestion des projets
territoriaux pour accompagner la mise en oeuvre
durable des politiques paysagères”(Paradis, Lelli,
2010).
Queste procedure basate sulla percezione del
paesaggio, proposte intorno alla metà degli anni
Duemila in Francia e successivamente progressivamente formalizzate, assumono appunto il
nome di médiation paysagère, che per certi versi
si associa o addirittura tende a sostituirsi alla 'partecipazione'.
In questo caso il paesaggio come mediatore è
impiegato nei progetti e nei processi di costruzione dei piani territoriali, per indirizzare verso
una maggior sostenibilità, anche sociale, quel circuito tra rappresentazioni collettive e scelte individuali che trasforma il territorio, producendo i
paesaggi del futuro. Come nota Jones, l'impiego
del paesaggio nelle pratiche di partecipazione,
suggerito nel quadro della Convenzione Europea del Paesaggio, dovrebbe garantire le democraticità, la legittimità, lo scambio di informazioni, una migliore gestione dei conflitti e
l'attenzione a che proprio il paesaggio non
diventi strumento di discriminazione sociale (M.
Jones, 2007).
Paesaggio come strumento
Ho già avuto modo di osservare in altra occasione (Ferrario, 2011 b) l'esistenza di due diversi
modi con i quali le diverse discipline – e in particolare le discipline del progetto – approcciano il
paesaggio: anche sulla scorta di alcune suggestioni diYves Luginbuhl (2004), mi sembrava allora che il modo con il quale il paesaggio entrava
nei discorsi e nelle pratiche oscillasse tra un paesaggio-oggetto e un paesaggio-strumento e che
queste due diverse concezioni del paesaggio
non fossero affatto equivalenti, né dal punto di
vista della lettura dei fenomeni, né dal punto di
vista delle pratiche di governo del territorio. Credo che la disamina sopra delineata confermi questa interpretazione, non solo nel caso della
mediazione, dove è palese, ma anche nel caso
del paesaggio-intermediario e perfino nel caso
del paesaggio semplice interfaccia. In tutti i casi
sopra analizzati il paesaggio è sempre impiegato
come uno strumento.
Ma se il paesaggio è uno strumento, a cosa serve?
Alcune delle risposte possibili sono state già
implicitamente date più sopra. Il paesaggio serve in primo luogo nella sua funzione di deposito,
di archivio, per rintracciare informazioni sui processi territoriali, non disgiuntamente dai valori e
dai significati attribuiti ad essi dagli individui e dalle popolazioni.
40
Il paesaggio serve a capire in profondità e a visualizzare il processo di territorializzazione nel suo
farsi: in quanto elemento fondativo del processo
di percezione delle forme del territorio che influenza i comportamenti individuali e le decisioni
collettive, esso è espressione dei diversi progetti
impliciti che guidano le trasformazioni in corso, e
dunque permette di individuare, leggere e interpretare le trasformazioni territoriali mentre
avvengono, sia pure, come vedremo, solo attraverso tracce e indizi.
Il paesaggio serve a creare le condizioni per la
costruzione di un sapere interdisciplinare.
Il paesaggio serve a tener conto dei diversi sguardi sul territorio per favorire l'elaborazione di una
azione locale o di un progetto condiviso (Michelin, Candeau, 2009; Derioz, 2008).
Vorrei qui di seguito soffermarmi sul secondo e
sull'ultimo dei modi di “usare” il paesaggio più
sopra elencati, che mi sembrano particolarmente preziosi in questo momento storico.
Individuare le trasformazioni territoriali mentre avvengono: seminativi di versante
Quando impieghiamo il paesaggio come strumento interpretativo osserviamo le trasformazioni territoriali in una doppia dimensione: da un
lato rileviamo il cambiamento delle forme fisiche,
e dall'altro non possiamo trascurare il cambiamento dell'immagine del territorio che si produce nei soggetti che lo trasformano o che subiscono le sue trasformazioni.
Si tratta di due dimensioni strettamente e indissolubilmente intrecciate tra loro, che procedono
però a velocità diverse; perché possa prodursi
una trasformazione è necessario che si modifichi,
almeno in una parte dei soggetti interessati, un
cambiamento della percezione. Mano a mano
che nuove immagini del territorio si affermano,
esse cominciano a influenzare i comportamenti
di un numero crescente di attori e quindi a guidare le trasformazioni territoriali. Semplificando un
po', nel caso in cui una società si muova compatta le trasformazioni appariranno coerenti tra loro,
mentre se la società è frammentata e conflittuale
le immagini del territorio saranno multiple e non
convergenti e dunque le trasformazioni potranno apparire in contrasto tra loro.
Nel corso della loro affermazione le trasformazioni territoriali disseminano indizi, che se riconosciuti e opportunamente connessi con altri dati,
danno, per quanto in maniera necessariamente
imperfetta, informazioni sulle trasformazioni in
41
Fotografia di L. Chistè
corso. Si possono così individuare, in via ipotetica, dei frammentari “paesaggi tendenziali”, nuove forme del territorio plasmate da nuove pratiche e rappresentazioni sociali emergenti, che in
certa misura possono essere considerate “indizi
di un possibile futuro” (Castiglioni, Ferrario,
2013).
Questo modo di “usare” il paesaggio consente
di raccogliere indizi su trasformazioni territoriali
di particolare interesse, perché sono i primi segni
dell'inversione di un trend. Un esempio attuale
riferito a certe aree alpine del nord-est italiano
può essere fatto per le trasformazioni dell'uso
del suolo sui versanti alpini. La letteratura degli
ultimi cinquant'anni si è concentrata sul fenomeno dell'avanzamento del bosco a spese dei
prati e dei pascoli, sull'abbandono dei terrazzamenti e più recentemente sulla scomparsa dei
seminativi in favore del prato stabile (tra gli altri
Ferrario, 2012). Quest'ultimo processo in particolare ha interessato le zone più settentrionali
del Veneto e del Friuli, trasformando profondamente il paesaggio dei versanti vallivi. Questa
trasformazione, dovuta a diversi fattori, tra i quali primeggia la specializzazione zootecnica
dell'agricoltura alpina, fino a pochi anni fa sembrava irreversibile. Oggi però in diversi luoghi
dell'Agordino, del Cadore e della Carnia, i prati
vengono nuovamente dissodati per essere messi a coltura, sul modello di altre realtà alpine più
produttive (orzo, ortaggi, varietà tardive, frutteti
e vigneti). In molti casi si tratta di iniziative autonome di singoli agricoltori. In altri, come nel noto
caso dell'Antico orzo delle valli bellunesi Presidio
Slow-Food, dietro le trasformazioni del paesaggio si profila già una filiera complessa (in questo
caso orzo-birra). I nuovi seminativi vanno generalmente ad occupare ex coltivi poi trasformati
in prato nel corso del novecento (esempi in Cadore, Comelico e Agordino). Il fenomeno, per ora
del tutto marginale in termini quantitativi, è interessante in quanto costruisce un nuovo paesaggio complesso, che presenta analogie con quelli
del passato. Tuttavia esso potrebbe, alla lunga,
generare un conflitto con l'uso dei prati da parte
delle attività zootecniche. È dunque necessaria
una attività ricognitiva che interessi non solo il
cambiamento dell'uso del suolo ma anche le
motivazioni e le percezioni che lo precedono.
Una conoscenza anticipata del fenomeno può
prevenire e gestire eventuali futuri conflitti.
L'espansione dei seminativi potrebbe essere
incoraggiata ove opportuno, a patto di compen-
42
sarla con il recupero a fini produttivi di prati e
pascoli abbandonati. In questo caso il paesaggio
potrebbe “servire” a studiosi e istituzioni per individuare per tempo le trasformazioni e indirizzare
così le future politiche settoriali e territoriali.
Favorire l'elaborazione di una azione locale o di
un progetto condiviso: nuovi paesaggi microidroelettrici
Secondo Derioz le funzioni del paesaggiostrumento si possono riassumere come segue: il
paesaggio inizia, permette di formulare domande e ipotesi e facilita la “libertà di parola”, mobilitando le parti interessate; indica poi le possibili
direzioni del cambiamento, permettendo di confrontare i vari punti di vista e, infine, integra diversi
approcci settoriali, domande e opinioni (Derioz,
2008). Una lettura ed interpretazione delle dinamiche territoriali “attraverso il paesaggio” rende
espliciti i valori nascosti dietro le azioni o nelle
discussioni, facendo emergere le ragioni degli
attori coinvolti (Ferrario, Castiglioni, 2015). È questa la base per l'elaborazione di azioni locali coerenti e condivise.
Anche in questo caso un esempio in area alpina
può chiarire meglio questa funzione del paesaggio. Come è noto l'investimento nelle energie rinnovabili sta sollevando profonde controversie a
scala globale e numerosi conflitti locali. Uno di
questi riguarda lo sviluppo del microidroelettrico,
basato sulla costruzione di piccole centrali sui corsi d'acqua minori, sostenuta da politiche pubbliche a favore delle energie rinnovabili. In ambito
scientifico sono noti gli impatti negativi del fenomeno, che è stato oggetto di attenzione anche
da parte della Commissione per la Protezione delle Alpi (CIPRA 2005, Convenzione delle Alpi
2011). Anche se questi impianti sono normalmente meno "visibili" e più dispersi sul territorio
rispetto al grande idroelettrico diffusosi sulle Alpi
nel Novecento, essi sono al centro di numerosi
conflitti ambientali e sociali. Il territorio della montagna bellunese è uno dei luoghi in cui questo conflitto è più acceso, anche per la presenza di associazioni di stampo ambientalista, che tengono
alta l'attenzione sul fenomeno e ne documentano alcune evidenti storture. Queste associazioni
hanno recentemente prodotto un interessante
dossier per documentare gli effetti che il mancato rispetto del rilascio del deflusso minimo vitale
ha sugli habitat fluviali minori. Il dossier fotografico è un esempio molto significativo di come si
può “usare” il paesaggio per raccogliere
l'opinione pubblica attorno ad un progetto
diverso di sviluppo. Notizia recentissima è che
alcune amministrazioni locali precedentemente
favorevoli e addirittura promotori della costruzione di nuove centraline sembrano oggi sposare le tesi degli ambientalisti, e lo fanno motivando la loro opposizione ai nuovi progetti di centraline anche con ragioni di tipo “paesaggistico”⁶.
Ricapitolando
Gli esempi sopra riportati mi pare facciano riflettere sulla disponibilità del paesaggio ad essere
usato nella costruzione di una nuova riflessività
rispetto alle trasformazioni del territorio. Il paesaggio viene impiegato in quanto strumento
concreto e condivisibile, disponibile all'osservazione di tutti, capace di avvicinare le scelte politiche e la conoscenza scientifica all'esperienza
comune. Per sua capacità di raccontare le relazioni che si stabiliscono in un determinato territorio tra la società e i modi dello sfruttamento
delle risorse, il paesaggio permette di percepire
gli effetti territoriali diretti e indiretti delle scelte
effettuate nel passato e in certa misura, se
osservato con occhi non distratti anche nel pre-
sente. In questo modo il paesaggio può
giocare un ruolo di supporto, raccogliendo gli attori e i soggetti interessati attorno ad un medesimo oggetto di riflessione e permettendo di pensare simultaneamente
le connessioni esistenti tra le complesse questioni di gestione territoriale e di sviluppo locale che
in esso si intrecciano. Come intermediario, il paesaggio serve a mettere meglio a fuoco i termini di
questa complessità, come mediatore può avere
la funzione di aiutarci ad immaginare insieme un
futuro diverso.
Note
1. Una prima versione di questo saggio è comparsa in
un Quaderno del Dipartimento di Culture del Progetto
dell'Università Iuav di Venezia (Ferrario, 2015).
2. Il carattere di interfaccia del paesaggio si manifesta
in diversi modi: secondo Turco esso è interfaccia fra
agire territoriale del soggetto e della collettività (Turco,
2002, p. 41), ma anche “interfaccia nel più ampio
senso” (Turco, 2010, p. 126). Altre interpretazioni del
paesaggio-interfaccia sono descritti in Palang, Fry (eds)
2003, p. 3 e ss.
3. Secondo alcuni studiosi “per l'insider non vi è una
separazione definita del sé dalla scena, del soggetto
dall'oggetto” e quindi “applicare il termine paesaggio
alle loro condizioni ambientali sembra inopportuno a
chi occupa e lavora in un posto come insider”
(Cosgrove, 1990, p. 38); questa posizione mi pare
descriva bene la condizione dell'abitante poco
consapevole che, tuttavia, può benissimo diventare un
vero osservatore del suo paesaggio, nel momento in cui
acquisisce consapevolezza.
4. “Fatti […] che in più di un caso figurano alle origini del
paesaggio, ma la cui riduzione a termini di paesaggio
[…] è impossibile (Gambi, 1973, p. 162). Con questa
celebre raccomandazione, indirizzata ai geografi suoi
contemporanei, Lucio Gambi invita a non 'fidarsi' solo
degli aspetti esteriori ed evidenti del paesaggio. È
dunque necessario scavare sotto l'apparenza, nei
processi territoriali che modificano il paesaggio stesso.
5. Questa constatazione restituisce profondità e
complessità alla definizione data dalla Convenzione
Europea del Paesaggio, apparentemente elementare e
auto-evidente. Quel “people” cui la definizione fa
riferimento pone seri problemi interpretativi, aprendo al
dibattito (Ferrario, 2011 a). Per i modelli e i filtri di diversa
natura che influenzano la percezione del paesaggio si
veda Luginbuhl, 2012.
6. “L'alveo del torrente perderebbe di fatto la sua
identità, coprendosi di arbusti, ontani, abeti…” (Corriere
delle Alpi, 31 luglio 2015)
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43
44
Fotografia di L. Chistè
2
ESPERIENZE E STRUMENTI
45
2
ESPERIENZE E STRUMENTI
Il piano paesaggistico
della Regione Puglia
di Angela Barbanente *
* Angela Barbanente è professore di
Tecnica urbanistica e pianificazione
territoriale presso il Politecnico di Bari
Principi e concetti in pratica fra Convenzione
europea e Codice del paesaggio
Il Piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr)
della Puglia, come ogni esperienza di pianificazione di una certa complessità, può essere raccontato ponendo l’accento su aspetti diversi. In
questo scritto mi pare interessante offrire qualche spunto di riflessione sulla traduzione in pratica di alcuni concetti chiave della Convenzione
europea del paesaggio, anche in relazione alla
disciplina della pianificazione paesaggistica
introdotta dalla terza parte del Codice dei beni
culturali e del paesaggio, che ha avuto nel Pptr
della Puglia una prima completa applicazione.
Per questo concentrerò l’attenzione sulla struttura del Piano e su alcuni dispositivi operativi attivati nel corso della elaborazione, senza soffermarmi sulle motivazioni culturali, politiche e
socio-economiche che hanno indotto la Regione
Puglia a dedicarsi con grande impegno alla
approvazione di uno strumento di pianificazione
volto alla tutela, valorizzazione e riqualificazione
del paesaggio¹.
Il Pptr è entrato in vigore nel marzo 2015. Esso è
frutto di un lungo e articolato percorso culturale,
tecnico e amministrativo, che ha avuto avvio con
la costituzione, presso il Servizio regionale Assetto del Territorio, di un gruppo di lavoro interdisciplinare affidato al coordinamento scientifico di
46
Alberto Magnaghi, e con la sottoscrizione, nel
novembre 2007, dell’intesa interistituzionale con
i Ministeri per i Beni e le attività culturali e
dell’Ambiente per l’elaborazione congiunta
dell’intero Piano². Sin dal principio, dunque, la
Regione si è mostrata disposta alla collaborazione istituzionale, decidendo di cogliere come
un’opportunità utile al rafforzamento del percorso politico e culturale intrapreso con la decisione
di dotare la Puglia di un piano paesaggistico territoriale, l’orientamento del Codice in favore della
cooperazione tra amministrazioni pubbliche per
la conservazione e la valorizzazione del paesaggio (art. 133) e l’elaborazione congiunta dei piani
(art. 143, comma 2). Questo, non senza la consapevolezza dei rischi comportati da tale scelta, in
assenza sia di abitudine alla collaborazione interistituzionale fra Ministero per i Beni e le attività
culturali e Regione sia di indirizzi ministeriali in
materia, ed essendo i frames cognitivi e operativi
dei referenti ministeriali assai distanti da quelli
del gruppo di lavoro insediato presso
l’Assessorato regionale³.
Non sarà sfuggito ai lettori di questo scritto che il
piano della Puglia non è né un piano paesaggistico né un piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, ma
un piano paesaggistico territoriale. La denominazione non è casuale: nell’affrontare il “terreno
assai accidentato” dell’intrico normativo venutosi a determinare nella legislazione italiana fra i
concetti di paesaggio, territorio, ambiente (Settis, 2010), si è scelto di dare centralità al paesaggio e piena attuazione ai principi della Convenzione, fondando sulla rappresentazione patrimoniale e identitaria del paesaggio, gli obiettivi
di qualità, indirizzi e prescrizioni previsti dal Codice. Ma vi è di più. Al paesaggio, inteso quale “bene patrimoniale identitario”, il Pptr assegna un
ruolo attivo, di componente del processo di sviluppo socioeconomico dell’intero territorio
regionale: “I paesaggi delle Puglie, prodotti nel
tempo lungo della storia dalle “genti vive” (Sereni) che li hanno abitati e che li abitano, costituiscono il principale bene patrimoniale (ambientale, territoriale, urbano, socio culturale) e la principale testimonianza identitaria per realizzare un
futuro socioeconomico durevole e sostenibile
della regione. In un’epoca di crisi della globalizzazione economica, questo futuro […] [risiede] nella capacità di innovare, produrre e scambiare
beni che solo in quel luogo del mondo possono
venire alla luce in quanto espressione culturale di
una identità di lunga durata che il paesaggio, a
ben interpretarlo, racconta.”⁴
Ben nota e oggetto di ampia discussione è la
valenza identitaria attribuita al paesaggio dalla
Convenzione e ripresa nella definizione generale
offerta dal Codice, per quanto privata, nella versione vigente, della relazione tra processi identitari e popolazioni⁵. È anche noto che il vivace
dibattito scientifico in corso sui concetti di patrimonio e identità mostra particolare consonanza
di posizioni nell’evidenziare il carattere ambiguo
e scivoloso di entrambi⁶. E’ opportuno rilevare
che, nell’esperienza di pianificazione in Puglia,
tali concetti sono stati intenzionalmente utilizzati con un forte orientamento al futuro, a supporto della realizzazione di un progetto da costruire
socialmente e in costante evoluzione. Questo
progetto, lungi dall’ancorarsi a un’identità data o
dal definirla in modo arbitrario, muove da
un’interpretazione densa dei luoghi, delle civilizzazioni che li hanno attraversati e delle loro possibilità evolutive. Nel percorso di formazione del
Pptr, come è evidente esaminando l’Atlante del
Patrimonio o ripercorrendo i momenti più signi-
Fig. 1 - Una struttura per interpretare il paesaggio
47
ficativi della “costruzione sociale del piano”, il paesaggio è stato interessato da un processo di attribuzione di valori e significati, e di rappresentazione di tali valori da parte dei tanti e molteplici saperi coinvolti, con l’intento dichiarato di costruire
una prospettiva di sviluppo diverso per il territorio
regionale. A tal fine, il Pptr, lungi dall’esprimere
una progettualità autoreferente (Gambino,
2000), cerca di intercettare dinamiche in atto nei
territori, dando impulso alla creatività di coloro
che vivono ed operano nelle realtà locali, e ricerca
l’interazione con altri progetti in corso o potenziali
volti a promuovere la rinascita dei luoghi e la loro
cura.
Il paesaggio, come bene patrimoniale identitario,
è interpretato dal Pptr nella sua dinamica complessiva, cogliendone le regole generative ed evolutive. Tale interpretazione si pone in contrasto
con le idee di fissità, immobilità, difesa, comunemente associate al significato dei concetti di
patrimonio e identità, e ai rischi sottesi di scivolamento in un conservatorismo angusto o addirittura reazionario. Il patrimonio, in questo contesto, non è una cosa o un sito, ma un processo cul-
turale che richiede partecipazione attiva, impegno, esperienza⁷. Patrimonio, identità, e le relative percezioni delle popolazioni non sono un dato,
ma “un processo di presa di coscienza che il paesaggio è stato costruito dalle generazioni passate
ed è trasformato da quelle presenti anche per
quelle future”. Peraltro, “non si dà nei territori locali una identificazione stretta fra popolazioni e luoghi: si dà una molteplicità socio-culturale dei luoghi dell’abitare; “abitanti” significa abitanti “locali”
ma anche nuovi, residenti stabili, ma anche temporanei, ospiti, city users, presenze multietniche,
giovani, anziani, ecc., con percezioni differenziate
e a volte conflittuali dei valori del paesaggio⁸.
L’innovazione in pratica: struttura e processo
I principi della Convenzione hanno informato le
parti più innovative della struttura e del processo
di elaborazione, e in particolare:
- la connotazione fortemente identitaria e statutaria del quadro conoscitivo;
- la connotazione strategica e progettuale del pia-
Fig. 2 - Interpretazione identitaria e statutaria - Stralcio
Fig. 3 - Figura territoriale “Sistema ad anfiteatro dei laghi di Lesina e Varano” - Interpretazione identitaria e statutaria
48
no, tesa ad armonizzare le azioni di tutela con
quelle di valorizzazione, riqualificazione e
riprogettazione, per elevare la qualità paesistico-ambientale dell’intero territorio regionale;
- l’importanza attribuita alla costruzione sociale
del paesaggio, con la previsione di specifici
strumenti di partecipazione e di governance
atti a dar voce alla percezione sociale del paesaggio e dei suoi valori da parte delle popolazioni.
La struttura del Piano può essere rappresentata
evidenziando quattro parti strettamente legate
le une alle altre, schematizzate nella Figura 1. La
struttura non può essere scissa dal processo che
l’ha determinata: in particolare, la produzione
sociale del paesaggio, attuata attraverso
l’attivazione di forme di governance allargata e
di democrazia partecipativa, nelle quali interagiscono una molteplicità di attori pubblici e privati,
sociali, economici e culturali. Il processo di produzione sociale del paesaggio connota in modo
trasversale l’attività di formazione del piano,
dall’Atlante del patrimonio e dalle sue componenti statutarie, allo Scenario strategico, al sistema normativo, e la gestione sociale del territorio
e del paesaggio nella fase attuativa. La Figura
elenca l’ampia gamma di strumenti utilizzati nel
tentativo di intercettare, coinvolgere, attivare
popolazioni diverse, sensibilità diverse, generazioni diverse nella produzione sociale del paesaggio.
Nella struttura del Piano la parte identitaria e statutaria, compresa nell’Atlante del patrimonio, è
chiaramente distinta da quella strategica. Essa
definisce e rappresenta non solo i caratteri identitari dei paesaggi della Puglia ma anche le regole statutarie per la loro conservazione /valorizzazione, riqualificazione/ricostruzione. Queste, confluendo negli obiettivi di qualità paesaggistica,
incidono direttamente, come evidenziato dalla
freccia in Figura 1, sulla disciplina dei beni paesaggistici e le specifiche prescrizioni d’uso che il
Codice richiede di definire per assicurare la conservazione dei valori espressi. Le regole sono
intese “come punto di partenza, come metanor-
49
me, socialmente condivise attraverso la produzione sociale del Piano, che informano e condizionano azioni e progetti, prescrizioni, indirizzi e
direttive”. Rispetto ad esse si misura la coerenza di
tutte le trasformazioni territoriali. “L’Atlante, in
questa accezione, non ha solo valore interpretativo dei valori patrimoniali ambientali territoriali e
paesaggistici, ma assume anche valore di documento statutario che definisce i requisiti fondamentali per trasformazioni socioeconomiche e
territoriali”⁹.
L’Atlante del patrimonio fornisce la descrizione,
interpretazione e rappresentazione identitaria dei
paesaggi della Puglia sia alla scala regionale sia
per ciascuno degli undici ambiti paesaggistici nei
quali il territorio regionale è articolato. Questi ultimi sono stati individuati attraverso la valutazione
integrata di una pluralità di fattori¹⁰ e sono a loro
volta articolati in figure territoriali che rappresentano le unità minime paesaggistiche riconoscibili
per la specificità dei caratteri morfotipologici che
persistono nel processo storico di territorializzazione.
Fig. 4 - Scenario strategico - Progetto territoriale “Patto città campagna” - Stralcio dell’Ambito paesaggistico Puglia Centrale
Fig. 5 - Scenario di sintesi: i cinque progetti territoriali per il paesaggio regionale - Stralcio
50
Il Piano comprende regole di trasformazione,
politiche, azioni, progetti, volti a favorire
l’elevamento della qualità dei paesaggi dell’intero
territorio regionale, urbano e rurale, includendo
oltre che dispositivi volti alla conservazione, azioni di valorizzazione, di riqualificazione, di ricostruzione, in coerenza innanzitutto con la Convenzione europea del paesaggio ma anche con il
Codice¹¹.
Indirizzi, direttive, prescrizioni e misure di salvaguardia e utilizzazione dettati dal Piano per i
beni paesaggistici e gli ulteriori contesti paesaggistici, non si limitano a definire le condizioni di
compatibilità degli interventi ma formano parte
integrante del Piano. Questo si deve al fatto che
la disciplina prevista dalle norme tecniche di
attuazione per i beni e gli ulteriori contesti si lega
strettamente alle descrizioni dense delle diverse
strutture, idrogeomorfologica, ecosistemica e
ambientale, antropica e storico-culturale, contenute nell’Atlante del patrimonio. Tali descrizioni
riguardano i sistemi e le componenti che strutturano la figura territoriale, ossia le invarianti strutturali, e il relativo stato di conservazione e le criticità che le interessano (fattori di rischio ed elementi di vulnerabilità). Cosicché le regole di
riproducibilità volte a elevare la qualità dei paesaggi regionali consistono in regole non solo di
salvaguardia, ma anche di riqualificazione, rigenerazione, ricostruzione, valorizzazione.
Nei modi sopra indicati è stato affrontato,
nell’esperienza concreta di pianificazione pugliese, il problema della distinzione introdotta dal
Codice tra i beni paesaggistici, costituiti da aree
vincolate in forza della legge, di specifici provvedimenti o degli stessi piani, e il paesaggio, inteso
quale forma percepibile del territorio ed esteso
all’intero territorio regionale. Una distinzione fra
vincoli puntiformi e piani paesaggistici di larga
estensione e respiro che il Codice ha cercato di
regolare e mettere fra loro in armonia e in gerarchia (Settis, 2010), ma che indubbiamente permane quale fattore che discosta il Codice dalla
Convenzione, la cui innovazione principale è individuabile proprio nell’aver fondato il proprio dettato normativo sull’idea che il paesaggio rappresenti un bene in sé, indipendentemente dal valore concretamente attribuitogli¹².
Lo Scenario strategico è il cuore della visione progettuale del Piano. Esso comprende l’insieme
delle strategie volte a migliorare la qualità del
paesaggio regionale, contrastare i processi di
degrado, favorire la fruizione socioeconomica
degli elementi patrimoniali identitari. Lo scenario è approfondito, per ciascuno degli undici
ambiti paesaggistici, mediante la individuazione
delle invarianti strutturali, degli obiettivi di qualità e dei progetti e azioni che il PPTR propone di
attivare, per iniziativa di soggetti pubblici o privati. Essi sono riconducibili a categorie progettuali
a prevalente indirizzo: a) di conservazione (salvaguardia), b) di valorizzazione (del potenziale inespresso), c) di riqualificazione (delle aree compromesse e degradate), d) di trasformazione (nuovi paesaggi e interventi ricostruttivi).
Gli obiettivi generali sono rivolti alla realizzazione dell’equilibrio idrogeomorfologico dei bacini
idrografici; allo sviluppo della qualità ambientale
del territorio; alla valorizzazione dei paesaggi e
delle figure territoriali di lunga durata, dei paesaggi rurali storici, del patrimonio identitario culturale-insediativo e della struttura esteticopercettiva dei paesaggi; alla riqualificazione dei
paesaggi degradati delle urbanizzazioni contemporanee; alla progettazione della fruizione
lenta dei paesaggi; la riqualificazione, valorizzazione e riprogettazione dei paesaggi costieri; alla
definizione di standard di qualità territoriale e
paesaggistica nello sviluppo delle energie rinnovabili e nell’insediamento, la riqualificazione e il
riuso delle attività produttive, delle infrastrutture
e degli insediamenti residenziali urbani e rurali.
Il perseguimento degli obiettivi generali e specifici è affidato a cinque progetti territoriali per il
paesaggio regionale, la cui finalità è elevare la
qualità paesaggistica dell’intero territorio attraverso politiche attive di tutela e riqualificazione
in cinque campi che presentano particolari criticità e/o potenzialità e rivestono particolare rilievo anche per le interconnessioni che li legano ad
altre politiche regionali:
- la Rete Ecologica Regionale (coordinato con
l’Ufficio Parchi regionale), per rafforzare le
relazioni di sinergia/complementarità con le
politiche di conservazione della natura e della
biodiversità;
- il sistema infrastrutturale per la mobilità dolce (coordinato con il Piano regionale dei trasporti),
per rendere fruibili, sia per gli abitanti che per
il turismo escursionistico, enogastronomico,
culturale ed ambientale, i paesaggi regionali,
attraverso una rete integrata di mobilità
ciclopedonale, ferroviaria e marittima che
recupera strade panoramiche, sentieri, ferrovie minori, stazioni, attracchi portuali, creando punti di raccordo con le grandi infrastrut-
51
ture di viabilità e trasporto;
- il patto città-campagna (coordinato con le misure di politica agro-forestale e di riqualificazione urbana), per rafforzare le funzioni pregiate
delle aree rurali e riqualificare i margini urbani, e così arrestare il lungo ciclo
dell’espansione urbana e i relativi inaccettabili
livelli di consumo di suolo, mediante il recupero dei paesaggi degradati delle periferie, la
ricostruzione dei margini urbani, la realizzazione di cinture verdi perturbane, di parchi
agricoli multifunzionali di valorizzazione e di
riqualificazione, e di interventi di forestazione
urbana (Parchi CO2) intorno alle piattaforme
produttive delle città costiere ad alto rischio
di crisi ambientale (Taranto, Brindisi, Manfredonia);
- la valorizzazione e riqualificazione integrata dei
paesaggi costieri con particolare riguardo a
waterfront urbani, sistemi dunali, zone umide, urbanizzazioni periferiche, collegamenti
infrastrutturali con gli entroterra costieri, navigabilità dolce;
- i sistemi territoriali per la fruizione dei beni culturali e paesaggistici censiti dalla Carta dei beni
culturali, per integrare questi ultimi nelle invarianti strutturali delle figure territoriali e paesistiche e negli altri progetti territoriali per il paesaggio regionale, oltre che nelle politiche
regionali di valorizzazione dei beni culturali.
Completano lo Scenario strategico i Progetti integrati di paesaggio sperimentali e le Linee guida. I
primi sono parte importante della costruzione
sociale del paesaggio, in quanto volti a “far capire dal vivo” agli attori locali la progettualità integrata, multisettoriale e multiattoriale, promossa
dal Piano. Essi sono stati promossi sin dalla fase
di formazione del Piano, coinvolgendo una cinquantina di enti locali e associazioni nella coprogettazione del parco agricolo multifunzionale
dei Paduli nel basso Salento e di un tratto della
rete ecologica del torrente del Cervaro in Capitanata, nella riqualificazione di periferie urbane e
aree dismesse, nella definizione di percorsi di
mobilità lenta, nella creazione di ecomusei e
mappe di comunità. Le Linee guida sono raccomandazioni sviluppate in modo sistematico per
orientare la redazione di piani e progetti in settori che richiedono un quadro di riferimento unitario di indirizzi e criteri metodologici: dalla qualificazione paesaggistica e ambientale delle infrastrutture viarie alla installazione di impianti energetici da fonti rinnovabili, alla realizzazione di
aree produttive paesisticamente e ecologicamente attrezzate (APPEA), alla riqualificazione
delle periferie e delle aree agricole perturbane, al
recupero e riuso dei manufatti in pietra a secco,
dell’edilizia e dei beni rurali.
Le prospettive del Piano paesaggistico della
Puglia sono incerte, come sempre accade nel
“gioco del piano”, destinato a produrre “effetti
sociali e fisici che possono essere conosciuti solo
alla fine” (Ferraro, 1998). È certo, invece, che le
innovazioni introdotte dalla Convenzione
potranno continuare ad avere in Puglia un contesto di ampia sperimentazione solo se si sarà capaci di mantenere attive e costantemente partecipi
le popolazioni coinvolte nella produzione sociale
del Piano. L’esperienza pugliese dimostra,
comunque, che non può darsi per scontato che
per coerenza con i principi della Convenzione
occorra prevedere il decentramento delle
responsabilità pubbliche in materia di paesaggio,
e che bisogna fare attenzione a non cadere nella
trappola del locale¹³. Maggiore importanza rivestono, nell’applicazione della Convenzione, la
visione politica, la propensione all’innovazione di
ogni livello di governo, l’apertura alle forme di
autorganizzazione e di mobilitazione dal basso
per la tutela, valorizzazione e riqualificazione del
paesaggio, quali parti rilevanti di politiche di sviluppo locale durevole e autosostenibile.
paesaggistica e ambientale delle infrastrutture
viarie alla installazione di impianti energetici da
fonti rinnovabili, alla realizzazione di aree produttive paesisticamente e ecologicamente attrezzate (APPEA), alla riqualificazione delle periferie e
delle aree agricole perturbane, al recupero e riuso dei manufatti in pietra a secco, dell’edilizia e
dei beni rurali.
Le prospettive del Piano paesaggistico della
Puglia sono incerte, come sempre accade nel
“gioco del piano”, destinato a produrre “effetti
sociali e fisici che possono essere conosciuti solo
alla fine” (Ferraro, 1998). È certo, invece, che le
innovazioni introdotte dalla Convenzione
potranno continuare ad avere in Puglia un contesto di ampia sperimentazione solo se si sarà capaci di mantenere attive e costantemente partecipi
le popolazioni coinvolte nella produzione sociale
del Piano. L’esperienza pugliese dimostra,
comunque, che non può darsi per scontato che
per coerenza con i principi della Convenzione
occorra prevedere il decentramento delle
responsabilità pubbliche in materia di paesaggio,
e che bisogna fare attenzione a non cadere nella
trappola del locale¹³. Maggiore importanza rivestono, nell’applicazione della Convenzione, la
visione politica, la propensione all’innovazione di
ogni livello di governo, l’apertura alle forme di
autorganizzazione e di mobilitazione dal basso
per la tutela, valorizzazione e riqualificazione del
paesaggio, quali parti rilevanti di politiche di sviluppo locale durevole e autosostenibile.
Fig. 6 - Sito web interattivo: Il paesaggio visto dagli abitanti
Fig. 7 - Mappa di comunità del Sistema degli ecomusei salentini
52
Riferimenti bibliografici
Barbanente A. (2011), Un piano paesaggistico per la difesa
dei beni comuni e uno sviluppo diverso, in Mininni M. V. (a
cura di), La sfida del Piano paesaggistico per una nuova
idea di sviluppo sociale sostenibile, Urbanistica, n. 147, pp.
60-64
Barbanente A. (2014), Processi e pratiche di pianificazione
del paesaggio in Puglia, Urbanistica Informazioni, n. 255, pp.
5-6.
Cartei G. F. (2008), Codice dei beni culturali e del paesaggio
e Convenzione europea: un raffronto”, Aedon. Rivista di arti
e diritto on-line, n. 3
(http://www.aedon.mulino.it/archivio/2008/3/ ).
Ferraro G. (1998), Rieducazione alla speranza. Patrick Geddes
planner in India (1914-1924), Jaca Book, Milano, p. 176
Gambino R. (2000), Intervento in Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, Conferenza Nazionale per il Paesaggio,
Lavori preparatori e Atti, Roma, Gangemi, p. 125.
Graham, B.J. and Howard, P. (eds.) (2008), Heritage and
Identity, Ashgate, Aldershot, pp. 425–38.
Harvey D. (2013), Emerging landscapes of heritage, in
Howard P., Thompson I., Waterton E. (eds.), The
Routledge Companion to Landscape Studies, Routledge,
London and NewYork, pp. 152-165
Magnaghi A. (ed.) (1998), Il territorio degli abitanti, Milano,
Dunod.
Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di
luogo, Torino, Bollati Boringhieri.
Magnaghi A. (2011), “La via pugliese alla pianificazione
del paesaggio”, in Mininni M. V., cit., pp. 9-19.
Priore R. (2009), No people, no landscape. La Convenzione
europea del paesaggio: luci e ombre nel processo di
attuazione in Italia, FrancoAngeli, Milano, e i contributi di
Purcell M. (2006), Urban democracy and the local trap,
Urban Studies, 43, 1921–41
Sciullo G. (2008), Il paesaggio fra la Convenzione e il
Codice, Aedon. Rivista di arti e diritto on-line, n. 3
(http://www.aedon.mulino.it/archivio/2008/3/ ).
Settis S. (2010), Paesaggio, Costituzione, Cemento. La
battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi,
Torino.
Note
1. Mi si permetta di rinviare ad altri scritti per
approfondimenti su questi aspetti: Barbanente,
2011 e 2014. Un’illustrazione ampia del piano è in
Magnaghi, 2011.
2. Merita ricordare in proposito che l'articolo 135,
comma 1, terzo periodo, del Codice dei beni culturali
e del paesaggio, obbliga alla elaborazione congiunta
dei piani con il Ministero per i Beni e le attività
culturali, limitatamente ai beni paesaggistici,
mentre l’art. 143, comma 2, dà facoltà alle Regioni di
stipulare intese con i Ministeri sopra indicati “per la
definizione delle modalità di elaborazione congiunta
dei piani paesaggistici”.
3. A ben guardare, al conflitto in corso da decenni fra
Stato e Regioni è imputabile non solo
l’indebolimento dei poteri pubblici in termini di
defunzionalizzazione e deresponsabilizzazione delle
amministrazioni (Settis, 2010), ma anche la
parcellizzazione dei saperi tecnici e la mancata
condivisione di linguaggi, metodi e tecniche fra i
diversi enti pubblici con competenze in materia di
paesaggio.
4. Pptr, Elaborato 1, Relazione Generale, p. 12. Per
approfondimenti sull’approccio territorialista alla
base del piano, si rinvia soprattutto a Magnaghi,
1998 e 2010.
5. I giuristi si sono molto soffermati su questo
aspetto, con un approccio che privilegia l’esegesi
delle norme rispetto alla osservazione dei percorsi di
innovazione che le pratiche possono innescare
consentendo di superare i limiti del Codice. Cfr., fra
gli altri, Priore, 2009; Cartei, 2008; Sciullo, 2008.
6. Fra tutti, cfr. Graham and Howard, 2008.
7. Su questi temi, cfr. Harvey, 2013.
8. Pptr, Elaborato 1, Relazione Generale, p. 23.
9. Pptr, Elaborato 1, Relazione Generale, pp. 45-46.
53
10. Segnatamente, la conformazione storica delle
regioni geografiche, i caratteri dell’assetto
idrogeomorfologico, i caratteri ambientali ed
ecosistemici, le tipologie insediative (città, reti di
città, infrastrutture, strutture agrarie), l’insieme delle
figure territoriali costitutive dei caratteri
morfotipologici dei paesaggi, l’articolazione delle
identità percettive dei paesaggi.
11. Per evitare che, nella pratica, si ignori la soft law e
prevalgano interpretazioni riduttive delle norme
cogenti, è bene richiamare in proposito non solo
l’articolo 2 della Convenzione, ma anche l’articolo 135
del Codice, che prevede che “tutto il territorio sia
adeguatamente conosciuto, salvaguardato,
pianificato e gestito” e che, per ciascun ambito, i piani
paesaggistici definiscano apposite prescrizioni e
previsioni ordinate non solo alla conservazione dei
beni paesaggistici ma anche alla riqualificazione delle
aree compromesse o degradate, alla riduzione del
consumo del territorio, e alla individuazione delle
linee di sviluppo urbanistico ed edilizio con particolare
attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali.
Questo, nonostante la ben nota discrasia fra la
nozione di paesaggio introdotta dalla Convenzione e
la distinzione fra paesaggio e beni paesaggistici
contenuta nel Codice. Fra tutti, si vedano Priore, 2009
e Settis, 2010, i cui punti di vista rivestono particolare
importanza per i ruoli rispettivamente assunti nella
redazione della Convenzione e del Codice.
12. Cfr. Priore, 2009.
13. In questa trappola si cade quando si ritiene che il
locale sia in ogni caso da preferirsi ad altre scale,
presumendo che le decisioni assunte a quella scala
siano più democratiche e che, conseguentemente,
comportino maggiore giustizia sociale e sostenibilità
ambientale (Purcell, 2006, pp.1923–4)
2
ESPERIENZE E STRUMENTI
Pianificazione
paesaggistica in
provincia di Bolzano
di Peter Morello e Adriano Oggiano *
* Peter Morello, Urbanista libero
professionista in Bolzano;
Adriano Oggiano, Ufficio Tutela del paesaggio
della Provincia autonoma di Bolzano.
Qualità e diffusione della conservazione del
paesaggio agrario alpino
Nella Provincia autonoma di Bolzano (Sudtirolo) il paesaggio ha assunto storicamente una
rilevante importanza nei processi di definizione e conservazione dei valori fondanti del
sistema sociale locale.
Degli oltre 500 mila abitanti censiti nel 2011, il
62,3% appartiene al gruppo etnico tedesco, il
23,4% al gruppo italiano e il 4,1% al gruppo
ladino¹. Gli italiani risiedono qui da poche generazioni e sono il risultato di una politica di popolamento italiano di questa terra promosso dal
fascismo. Le popolazioni sudtirolesi autoctone
hanno sempre coltivato attivamente la propria
identità etnica riconoscendo, oltre che nella
lingua, nel paesaggio agrario tradizionale la
matrice fondamentale della loro cultura.
Il territorio è formato da 7.400 kmq di ambiente tipicamente alpino: il 59,5% è al disopra dei
1.600 metri sul livello del mare; il 32,2% è tra i
1.600 e gli 800 metri; solo l'8,3% è sotto gli 800
metri di altitudine. E' dunque una regione di
accentuata montuosità con consistenti limiti
agli usi antropici del territorio. Eppure l'intero
territorio presenta un altissimo tasso di antropizzazione diffusa e capillare secondo gli originari modelli di agricoltura alpina. Dai dati del
censimento dell'agricoltura del 2010 emerge
54
un uso agricolo di oltre il 65% di un territorio
impervio caratterizzato da 2.405 kmq di superficie propriamente agricola e 2.006 kmq di
superficie boschiva². Ciò avviene ancor oggi,
come da molti secoli, con una conservazione
del popolamento diffuso della montagna.
Altamente armonizzato con il paesaggio naturale, il paesaggio agrario tradizionale e le strutture insediative in esso diffuse sono l'esito storicamente determinato di una lenta ed equilibrata evoluzione del modello di colonizzazione originaria dell'area alpina, iniziato in fase
pre-romana dalle popolazioni retiche e perfezionato in fase altomedievale con l'avvento
delle popolazioni baiuvare. Attraverso un processo millenario, i contadini della montagna
sudtirolese hanno elaborato una compiuta
strategia di adattamento ambientale e di comportamento ecologicamente virtuoso, maturando una cultura materiale altamente specializzata, con il maso al centro del sistema della
produzione agricola, fondata sulla valorizzazione delle risorse materiali locali e sull'autonomia della produzione e del consumo e una
cultura sociale fondata sul rango primario del
contadino (Bauer).
I caratteri permanenti del paesaggio sudtirolese
I caratteri essenziali del modello di colonizzazione originario hanno improntato il paesaggio
antropico sudtirolese diventandone i caratteri
permanenti. I limiti geo-morfologici dello spazio fisico, la sintonia ambientale delle modalità
d'uso del territorio e la coerenza socio-culturale
del sistema hanno prodotto una fondamentale
stazionarietà del modello. La marginalità politico-economica dell'area ne ha permesso la resistenza alle tendenze modificatorie che,
dall'ottocento in poi, sono state prodotte dai
processi di industrializzazione ed urbanizzazione.
Un peculiare modello di sviluppo
Ad un simile modello paesaggistico ha corri-
sposto negli ultimi decenni la realizzazione di un
coerente modello di sviluppo socio-economico
che ha garantito a quest'area un alto livello di
salvaguardia ambientale e alle sue popolazioni
un diffuso benessere economico. Il peculiare
modello di sviluppo sudtirolese è il risultato di
una strategia politico-culturale che, puntando
alla salvaguardia etnica delle popolazioni autoctone, ne ha individuato una condizione essenziale nella conservazione degli assetti territoriali
e paesaggistici tradizionali.
All'attuazione di tale modello il Sudtirolo è pervenuto con esiti riconoscibili e assai apprezzabili.
Basti citare l'impareggiabile esito di salvaguardia paesaggistica così riassumibile: tutta la provincia è sottoposta a pianificazione paesaggistica di dettaglio e il 37,1% del suo territorio è vincolato direttamente in qualità di aree protette.
Territori sotto tutela della natura e del paesaggio (situazione al 31.12.2013)
Categoria
N.
Superficie
Percentuale della
di tutela
ha
superficie provinciale
Parco nazionale dello Stelvio
1
53.447
7,2
Parchi naturali
7
124.920
16,9
Zone di tutela paesaggistica³
92.941
12,6
Biotopi
236
3.081
0,4
Monumenti naturali1.
155
Totale
274.389
37,1
Fonte: Ripartizione provinciale natura e paesaggio
Pianificazione e controllo delle trasformazioni
L'antropizzazione diffusa e la conservazione
del paesaggio alpino-rurale è l'esito di un
progetto politico-sociale di conservazione
dell'identità etnica che si è esplicitato
attraverso il governo delle trasformazioni fin
dagli anni '60 e dunque in tempo ancora utile
rispetto alle forti pressioni sul territorio
conseguenti ai processi di sviluppo economico.
Basato sul particolare quadro istituzionale
derivante dallo statuto di autonomia speciale,
tale progetto si è esplicato:
- nei documenti di pianificazione territoriale
(“Alto Adige '81” del 1972, il LEP nel 1980 e il
LEROP nel 1995);
- in un coerente intreccio tra legislazione e
tempestive politiche di settore in merito ad
alcune questioni nodali (località centrali e
servizi alla popolazione; politiche delle aree
industriali di interesse provinciale accentrate
55
in poli e di aree artigianali diffuse; individuazione di un sistema di aree protette e, specularmente, degli ambiti di sviluppo turistico e degli
impianti di risalita; sostegno all'agricoltura e
infrastrutturazione viabilistica minore);
- in una puntuale e diffusa pianificazione
urbanistica alla scala comunale, fortemente
controllata dall'amministrazione provinciale,
che ha garantito il controllo dell'edificazione e
del consumo di suolo e la netta separazione tra
insediamenti e paesaggio rurale (tutti i comuni
hanno dagli inizi degli anni '70 un proprio piano
urbanistico; i piani attuativi redatti dal 1970 ad
oggi per nuove zone residenziali sono oltre
1.500);
- un sistema articolato di pianificazione
paesaggistica di iniziativa provinciale, che oltre
al Parco nazionale dello Stelvio, ha istituito e
pianificato alla scala di dettaglio 7 Parchi
naturali; ha elaborato 7 Piani paesaggistici
intercomunali per zone omogenee di notevole
valore paesaggistico-naturale, sottoposte a
pesanti assalti antropici; ha elaborato e
attuato Piani paesaggistici comunali,
coprendo la totalità dei comuni.
L'evoluzione della legislazione e degli
strumenti operativi
Il “maso chiuso”
La normativa provinciale prevede che
l'azienda agricola costituisca un tutto
indivisibile che viene trasmesso a un solo
erede, che svolgerà materialmente l'attività
produttiva. L'istituto riguarda circa 13 mila
masi chiusi⁴ e si configura come uno
strumento formidabile contro il frazionamento delle proprietà fondiarie e a favore di una
buona gestione del territorio montano.
La prima legislazione in materia di paesaggio, urbanistica ed edilizia abitativa
Dalla fine degli anni cinquanta la Provincia
esercita la propria competenza primaria
emanando nel 1957 la prima legge di tutela
del paesaggio e nel 1960 la prima legge
urbanistica. Tra il 7 novembre 1959 e l'8
novembre 1960 vengono emessi 56 decreti
del Presidente della Giunta Provinciale che
recano il titolo “Approvazione dell'elenco
delle località meritevoli di tutela paesaggistica”, mentre si avvia un processo di pianificazione capillare del territorio.
La legislazione del nuovo Statuto di
autonomia provinciale
L'attività legislativa della Provincia di Bolzano
si intensifica negli anni settanta con
l'approvazione nel 1970 del Testo unico delle
leggi provinciali sull'ordinamento urbanistico
e della nuova legge sulla tutela del paesaggio.
La legge sulla tutela del paesaggio assume
una forma più compiuta della precedente, in
quanto supera il puro valore estetico del bene
paesaggistico sottolineandone invece le
componenti naturalistiche e culturali. Accanto
ad una tutela generica, estesa a tutto il
territorio provinciale, la legge prevede la
possibilità di porre sotto tutela, tramite il
“decreto di vincolo paesaggistico”, diverse
categorie di beni: tale vincolo ha efficacia a
tempo indeterminato e può riguardare singoli
beni, interi territori comunali o parti di essi,
zone omogenee a livello intercomunale (è il
caso dei parchi naturali o dei piani paesaggistici intercomunali).
L'edificazione in verde agricolo
La possibilità di costruire nel verde agricolo è
disciplinata da un articolo esclusivo
dell'ordinamento urbanistico, che presenta
dirette connessioni con la tutela del paesaggio. La legge impone l'esplicito divieto di
qualsiasi nuova costruzione nel verde agricolo
che non sia legata ad una “minima unità
colturale” (4 ettari coltivati estensivamente
oppure 2 ettari di colture intensive). La
residenza rurale ammessa può arrivare ai
1.000 mc. Si è così risolto in modo generalmente soddisfacente il problema di evitare la
dispersione edilizia specialmente sui versanti
vallivi dove ha storicamente sede il paesaggio
più tipico dell'insediamento umano nelle Alpi.
I piani paesaggistici intercomunali
I piani paesaggistici intercomunali hanno
avuto un ruolo ed un'importanza di rilievo,
soprattutto negli anni immediatamente
successivi all'entrata in vigore della legge di
tutela del paesaggio, per la loro funzione
talvolta sostitutiva degli strumenti urbanistici,
allora ancora in fase di elaborazione. Per zone
morfologicamente omogenee di notevole
valore paesaggistico-naturale, sottoposte al
rischio di pesanti pressioni stagionali e
contemporaneamente prive di strumento
urbanistico regolatore (Alpe di Siusi, Renon,
Merano 2000, laghi di Monticolo e Caldaro,
Monzoccolo, ecc.) l'intervento di tutela
attraverso un piano paesaggistico intercomunale ha rappresentato l'unico modo concreto
per arginare la compromissione irreversibile
del territorio.
I parchi naturali
Accanto al Parco nazionale dello Stelvio, la
Provincia ha istituito con decreto sette Parchi
provinciali (Sciliar 1974, Gruppo di Tessa 1976,
Puez-Odle 1978, Fanes-Sennes-Braies 1980,
Monte Corno 1981, Dolomiti di Sesto 1982,
Vedrette di Ries 1988). Essi comprendono
zone di grandi dimensione con diversa
tipologia di paesaggio culturale e naturale, per
lo più localizzate nella fascia di bosco e
pascolo alpino fino all'alta montagna. Nei
Parchi provinciali è ammessa ed anche
promossa l'utilizzazione agricola e alpestre
tradizionale, ma vengono vietate l'edificazione, la costruzione di linee elettriche ed
impianti di risalita, l'attività mineraria ed
56
estrattiva, lo sfruttamento delle risorse idriche,
la circolazione dei veicoli a motore, la raccolta
di fiori, funghi, minerali. I Parchi provinciali
privilegiano l'interesse scientifico-naturalisticoeducativo, piuttosto che quello ricreativo e
pertanto si differenziano nettamente dalla
maggioranza degli altri Parchi regionali italiani.
I piani paesaggistici comunali
Entro la prima metà degli anni settanta tutti i
comuni della provincia si dotano di propri Piani
urbanistici comunali. Gli spazi per la pianificazione paesaggistica si riducono ed è inevitabile
il ripiego sul vincolo, come unica forma di
argine a scelte di usura ambientale. L'attività di
istituzione dei vincoli è stata particolarmente
intensa: dal primo decreto di vincolo paesaggistico comunale del 1977 ad oggi la totalità dei
comuni risulta pianificata, per iniziativa diretta
della Provincia.
Il vincolo paesaggistico comunale, dal 1980
ridenominato piano paesaggistico comunale,
si presenta nei contenuti come uno strumento
articolato e puntuale. Da un lato parte da un
criterio di zonizzazione ricalcando l'impostazione dei piani urbanistici comunali ed
individuando zone corografiche che possono
essere costituite da zone di rispetto, verde
agricolo, zone di paesaggio naturale e di
interesse storico-culturale; dall'altro interviene
evidenziando e tutelando elementi puntuali del
paesaggio come monumenti naturali od
oggetti singoli di interesse etnologico. Infine
può introdurre strumenti attivi che possono
andare dalla previsione di nuovi percorsi
pedonali, ciclabili o di parcheggi, alla regolamentazione del traffico, dal ripristino di danni
paesaggistici, fino alla previsione di particolari
strumenti di salvaguardia su realtà che si
ritengano di eccezionale interesse paesaggistico. Divieti assoluti vigono solo in poche e
limitate zone come i biotopi, i parchi e i
giardini.
Un bilancio della conservazione
Ciò che maggiormente colpisce di questo
modello di conservazione virtuosa è la sua
omogenea diffusione su tutto il territorio
provinciale. Siamo obiettivamente di fronte
all'esito positivo di una strategia organica ed
efficace di gestione del territorio. Merita
dunque interrogarsi sulle ragioni della efficacia
del modello sudtirolese.
Gli specifici strumenti pianificatori e amministrativi, sopra analizzati, non paiono
contenere in sé le ragioni esclusive dell'efficacia. Si tratta di strumenti “semplici e ordinari”
che coprono l'intero territorio, vengono
concretamente applicati, se ne controllano gli
esiti e sono regolarmente aggiornati. Ci sono
inoltre risorse finanziarie, notevoli e certe,
riservate alle problematiche paesaggistiche e
obiettivamente incentivanti. Tali risorse
vengono impiegate bene e diffusamente,
sono di facile accessibilità, sono erogate con
prontezza, sono rigorosamente controllate.
C'è, in sostanza, un costume serio e pragmatico di buona amministrazione che garantisce
l'indispensabile pre-condizione di efficacia
della pianificazione.
Sarebbe però assai riduttivo pensare che il
successo della pianificazione paesaggistica (e
territoriale) derivi dalla buona amministrazione, seppur fondamentale. Concorrono a
questo successo una serie di condizioni
peculiari della realtà sudtirolese che meritano
di essere riconosciute all'interno della
fondamentale coincidenza tra il progetto di
territorio e il progetto di società che in questa
terra si realizza al massimo grado possibile.
Intendiamo dire che la ragione prima e
fondamentale dell'efficacia del progetto di
conservazione-valorizzazione paesaggistica e
dei suoi esiti virtuosi sta nel profondo
radicamento identitario delle popolazioni
sudtirolesi nel loro territorio e, nella fattispecie,
nelle forme storicamente determinate del
paesaggio culturale. E' proprio nella forte
coincidenza di topos e di ethnos che si fonda il
logos di un progetto attuabile in quanto
condiviso.
guida natura e paesaggio devono quindi essere
integrati nelle diverse politiche settoriali.
Problemi e prospettive di innovazione
Pur in presenza di una situazione complessiva
di perdurante equilibrio socio-economico e
ambientale, il modello sudtirolese è oggi
esposto a grandi rischi che devono essere
fronteggiati con una rinnovata progettualità
capace di intervenire sui caratteri essenziali e
positivi del modello sudtirolese, rinnovandone
le capacità di interpretazione dei valori
ambientali e delle attese socio-culturali più
autentiche.
In questo quadro si collocano positivamente le
“Linee guida: natura e paesaggio in Alto Adige”
approvate nel 2002. Senza sostituire gli
strumenti classici della pianificazione paesaggistica fondata sui vincoli di tutela, il nuovo
strumento ne unifica e perfeziona gli obiettivi
strategici, gli ordinamenti classificatori e la
finalizzazione strumentale. Il Piano di settore si
prefigge di regolamentare lo sviluppo futuro
del paesaggio altoatesino mantenendo una
“natura intatta” e la “varietà del paesaggio”.
Elaborato con modalità partecipativa e un
approccio intersettoriale, affianca a politiche di
tutela strategie di prevenzione e cooperazione
con gli altri soggetti (istituzioni, comuni e
organizzazioni ambientaliste). Il punto centrale
delle “linee guida natura e paesaggio” sta
nell'analisi delle interazioni tra la tutela della
natura e del paesaggio e le diverse forme di
utilizzazione del territorio, come l'agricoltura, la
selvicoltura e la caccia, la gestione delle risorse
idriche e l'energia, il turismo, il tempo libero, la
ricreazione e la pianificazione territoriale. Gli
elementi maggiormente rilevanti per le linee
Valutazione e controllo degli interventi nel
paesaggio
Questa intensa e dettagliata pianificazione
paesaggistica trova la sua efficacia nei motivi
più generali cui abbiamo fin qui accennato, ma
certamente anche nella gestione della tutela del
paesaggio.
Risulta quindi necessario e utile riassumere
come sia strutturato attualmente il sistema di
valutazione e controllo degli interventi nel
paesaggio in Sudtirolo.
Autorizzazione paesaggistica
Anche in Sudtirolo la prima autorità paesaggistica è il sindaco di ogni comune. Nella
commissione edilizia comunale il sindaco è
affiancato da un esperto in urbanistica e tutela
del paesaggio nominato dall'assessore
provinciale competente che esamina e verifica
la compatibilità degli interventi con gli
strumenti urbanistici e paesaggistici e la relativa
normativa in vigore.
La legge tutela del paesaggio e le norme di
attuazione dei singoli strumenti di piano
paesaggistico definiscono le tipologie di
interventi che sono sottoposte ad autorizzazione provinciale (nel 2014 sono stati 1.166 i
progetti provenienti dal territorio e valutati
dall'amministrazione provinciale, di cui 448
trattati dalla commissione provinciale per la
tutela del paesaggio, 408 direttamente
dall'ufficio competente e 310 attraverso la
procedura di valutazione di impatto ambientale).
Richieste di esame interventi nel paesaggio
Commissione tutela del paesaggio
Parere d'ufficio
Conferenza di servizi in materia ambientale
e Comitato Ambientale
Pareri emessi con autorizzazione
paesaggistica provinciale
2012
N.
620
361
%
47,2
27,5
2013
N.
472
387
%
39,1
32,1
2014
N.
448
408
%
38,4
35,0
333
25,3
348
28,8
310
26,6
1.314
100,0
1.207 100,0
1.166
100,0
Fonte: Ufficio Tutela del Paesaggio – PAB – 2015
57
Concretamente questa procedura significa
che in Sudtirolo, fin dal livello comunale è prevista una valutazione e discussione
sull'impatto degli interventi nel paesaggio e
che è in qualche modo condivisa grazie alla
presenza a livello locale di un sistema di valutazione diffuso su tutto il territorio il cui “garante” è l'esperto provinciale che siede nella
commissione edilizia.
Per condividere una piattaforma comune di
valutazione degli interventi sono stati elaborati
“Criteri ed indirizzi per la tutela del paesaggio”
(http://www.provincia.bz.it/naturaterritorio/te
mi/kriterien-richtlinien.asp), che forniscono un
metodo di redazione dei progetti anche attraverso la compilazione di una check-list (sintesi
degli elementi significativi del paesaggio, dei
dati progettuali, delle mitigazioni e compensazioni) per definire con più coerenza le misure di
valorizzazione degli elementi paesaggistici
adottate nel progetto (con la redazione di una
relazione paesaggistica, strumento già contenuto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Da una parte si garantisce così una certa valutazione omogenea su scala territoriale,
dall'altra si crea però necessariamente un
affiancamento dell'autonomia decisionale
locale comunale attraverso la presenza di un
esperto esterno provinciale.
Questo è un tema la cui efficacia dovrebbe
essere meglio approfondita: come può la delega della decisione verso l'autonomia comunale garantire anche qualità e attenzione nei confronti delle caratteristiche del territorio, riconosciute come valore della/dalla comunità e
bene comune spesso non riproducibile o
reversibile? Quali devono essere le strutture e
il sistema che possono consentire anche nel
futuro, insieme, la trasformazione consapevole del territorio e la conservazione dei suoi
valori culturali? Questa strategia va attuata
per livelli su scala territoriale?
Tutela degli insiemi
La legge urbanistica provinciale ha introdotto
nel 2007 la procedura di tutela degli insiemi
che rientra tra le competenze e le iniziative dei
Comuni. È stato istituito invece a livello provinciale il Comitato di esperti per la tutela
degli insiemi (tre membri interni all'amministrazione dei settori urbanistica, tutela del paesaggio e dei beni culturali) che svolge una fun-
zione consultiva: fornisce supporto ai Comuni
nelle questioni tecniche. La responsabilità per
la conservazione dell'identità culturale e delle
specificità locali è dunque compito delle amministrazioni locali, che sono tenute a:
- predisporre un elenco degli immobili da sottoporre a tutela con i relativi interventi conservativi,
- a fornire a questi insiemi un'efficace tutela
giuridica tramite il loro inserimento nel piano
urbanistico comunale.
Per l'individuazione di un insieme devono
ricorrere almeno due dei dieci criteri che la
Giunta Provinciale ha definito nel 2004:
1. valore storico
2. carattere pittoresco
3. carattere monumentale riferito alla disposizione delle costruzioni in rapporto reciproco e
col paesaggio
4. connotazione stilistica, e cioè unitarietà stilistica oppure voluta commistione stili diversi
5. figurabilità, quali leggibilità, apparescenza,
capacità di orientare
6. panoramicità, quali vedute focalizzate e
scorci prospettici verso l'esterno e prospettiva
7. memoria collettiva
8. permanenza dell'impianto urbano, e cioè
leggibilità di un piano, di un programma oppure di un atto fondativo, che hanno determinato la morfologia insediativa
9. permanenza della tipologia edilizia
10. elementi naturali e di geomorfologia,
carattere naturale se collegato all'opera
dell'uomo
Gli “insiemi” sono gruppi di elementi di particolare rilevanza storica, culturale ed estetica,
che determinano in misura sostanziale il
carattere, l'immagine e l'identità di un dato
luogo, conferendogli un particolare valore (la
legge urbanistica li definisce così: “Insiemi di
elementi (Ensemble), in particolare vedute di
strade, piazze e parti edificate, come pure i parchi e giardini con edifici, compresi i singoli elementi di tali impianti costituiti dal verde, da
spazi liberi e specchi d'acqua, sono sottoposti
nel piano urbanistico a particolare tutela, se il
loro mantenimento è dettato da motivi di ordine scientifico, artistico o di cultura locale”).
La proposta si concretizza con la redazione di
specifiche norme di conservazione che indicano i parametri entro i quali va orientata
l'eventuale successiva adozione di un parere
su progetti di trasformazione dei beni. La tute-
58
la degli insiemi non equivale però al divieto di
intervento e/o di trasformazione, ma può consentire interventi che si adeguino ai valori indicati al momento dell'individuazione.
Per centri più grandi è stato implementato un
procedimento interno all'amministrazione
comunale: in caso d'insiemi molto grandi e
complessi (interi quartieri) è talvolta molto difficile elencare in maniera dettagliata ed esauriente le possibili regole e le norme che sarebbero necessarie per un'efficace tutela. Le città
di Bolzano e Bressanone hanno previsto un
organo di valutazione per gli insiemi a livello
comunale (composto da esperti nei settori
architettura, urbanistica, tutela dei monumenti
e tutela paesaggistica). Questo modello comporta un notevole impiego di tempo e risorse,
ma consente anche, in situazioni difficilmente
inquadrabili sul piano normativo, di proseguire
un'attività edilizia qualitativamente valida nel
rispetto delle caratteristiche dell'insieme.
Dall'adozione della delibera vige una clausola
di salvaguardia (sono vietate le opere in contrasto con le norme del piano per la tutela degli
insiemi adottate dal Comune).
In caso di individuazione di insiemi o di varianti
al piano urbanistico che interessino insiemi di
elementi sottoposti a tutela, un rappresentante del Comitato di esperti è invitato a partecipare alle sedute della Commissione provinciale
per la natura, il paesaggio e lo sviluppo del territorio (questo il nome della Commissione che
si occupa dei piani) che valuta la modifica del
piano.
Comitato provinciale per la cultura architettonica ed il paesaggio
La ripartizione Natura, paesaggio e sviluppo
del territorio ha istituito nel dicembre 2005 il
Comitato provinciale per la cultura architettonica ed il paesaggio per offrire a tutti i cittadini
e alle amministrazioni che si occupano di edilizia un servizio di consulenza, destinato a promuovere la qualità del paesaggio. Il Comitato è
nato con l'intento di contribuire alla creazione
di un fattivo dialogo fra committenti, autorità,
Comuni e progettisti su interventi di qualità realizzati nel paesaggio. Svolge un'attività facoltativa di consulenza in caso di interventi particolarmente delicati o significativi.
Può essere paragonato all'attività svolta dal
Gestaltungsbeirat, per primo insediato dalla
Città di Salisburgo nel 1983. Il metodo di parte-
Tutela degli insiemi nei Piani Comunali su 116 Comuni
non ancora inseriti
30 (26%)
(stato 27.04.2015)
in elaborazione
33 (28%)
gia inseriti
53 (46%)
Fonte: Uffici Urbanistica Nord-ovest e Sud-est – PAB – 2015
cipazione è stato in parte anche ripreso dalla
“negoziazione” in materia edilizia (mündliche
Bauverhandlung) prevista con sopralluogo dalle normative austriache per il rilascio dei permessi di costruire (Baubewilligung). Con la differenza che mentre quella procedura presente in quasi tutto il territorio austriaco è obbligatoria e si conclude con l'iter di emissione del
permesso, i pareri del Comitato possono essere richiesti liberamente da tutti i cittadini e
non contengono prescrizioni, ma solo suggerimenti per un miglioramento dei progetti.
Il Comitato, grazie alla partecipazione di tutti i
possibili soggetti coinvolti, sviluppa alternative progettuali alla ricerca di un equilibrio favorendo un incremento della cultura architettonica locale. Le competenze e i compiti degli
organi decisionali e consultivi vigenti e gli iter
autorizzativi dei progetti, rimangono del tutto
invariati.
Il Comitato al suo quarto mandato è composto
da tre architetti che, grazie alle loro opere nel
contesto alpino, godono di un riconoscimento
internazionale, anche se non vivono e lavorano
in Alto Adige (attualmente provengono dalla
Carinzia, Canton Grigioni e Veneto). Ciò garantisce un punto di vista esterno e neutrale nella
valutazione dei progetti e al tempo stesso una
visione d'insieme della complessa problematica specifica dell'architettura alpina.
Il Comitato sul luogo in dialogo con proprietari, progettisti e amministratori locali. Fonte Ufficio tutela del paesaggio 2015
59
Un esempio di progetto nel centro del paese di Sluderno esaminato in più consulenze dal Comitato e richiesto dal Comune – Fonte Ufficio tutela del paesaggio 2015
60
Anche in questa attività sono definiti criteri di
particolare importanza che ricorrono sempre
nella valutazione dei progetti che si analizzano:
- sviluppo degli insediamenti urbani e prevenzione della dispersione edilizia;
- inserimento nel contesto paesaggistico e in
quello edificato: progettazione attenta alle
caratteristiche del luogo, controllate modifiche
della morfologia del suolo, utilizzo contenuto di
muri di sostegno e riporti di terra;
- proporzioni e volumi degli edifici: la dimensione delle costruzioni si dovrà conformare alla forma del terreno e agli edifici esistenti;
- allacciamento stradale dei lotti: l'allacciamento stradale della nuova costruzione
dovrà avvenire utilizzando meno superficie possibile;
- creazione di spazi di relazione: particolare
attenzione dovrà essere dedicata alla configurazione e alla qualità degli spazi esterni tra gli
edifici;
- scelta dei materiali: materiali il più possibile
locali, reinterpretandoli per le esigenze attuali;
- scelta delle forme: forme elementari, semplici,
chiare e riferite alla tradizione costruttiva invece
che scelta casuale di elementi stilistici o contrasti spettacolari.
Il comitato si ritrova ogni due mesi. Vengono
ammesse proposte che si trovano in fase
preliminare di progettazione. La richiesta è
corredata da una descrizione del
progetto (1 pagina DIN-A4), fotografie
del luogo e delle sue immediate
vicinanze, schizzi progettuali, eventuali
progetti di massima, plastici, ecc. e si conclude
con l'emissione di un parere.
L'esperienza ha già creato delle ulteriori
iniziative a livello comunale come per esempio a
Merano.
Nei prossimi mesi si promuoveranno iniziative
oltreconfine con i Länder Tirol e Steiermark
(Innsbruck, Graz) in modo da condividere una
rete culturale per lo scambio delle conoscenze e
si guarda al modello della Fondazione per la
cultura architettonica germanica (Bundesstiftung für Baukultur) di Berlino.
È interessante notare che l'esperienza del
Sudtirolo si differenzia da queste d'oltralpe per
la sua estensione al di fuori dei centri urbani e
per la sua attenzione all'edificazione in stretta
connessione con il valore del contesto
paesaggistico. Elemento quest'ultimo unico nel
panorama della rete culturale appena citata.
La rete consentirà in futuro di integrare le
esperienze tra territori omogenei o, almeno,
confrontabili per tipo di economia, morfologia,
cultura, lingua. Aiuterà soprattutto a implementare un metodo più raffinato, grazie alle
esperienze consolidate, agli aspetti vincenti e ai
limiti dei processi in atto nelle diverse regioni e
amministrazioni.
Attività del Comitato per la cultura architettonica ed il paesaggio: 2006 - 2014
Giornate di consulenza
Prime consulenze
Accompagnamento successivo dei progetti
Totale consulenze
2006 - 2008
35
128
37
165
2009 - 2011
31
113
50
163
2012 - 2014
21
69
36
105
Totale
87
310
123
433
Note
1. La quota rimanente, pari al 10,3%, classificata come
“altri”, comprende le dichiarazioni non valide, le
persone temporaneamente assenti e gli stranieri
residenti.
2. Merita evidenziare che rispetto al precedente
censimento del 2000 vi è stato un calo consistente
della superficie agricola utilizzata (SAU) e di quella
boschiva e quindi della superficie agricola totale (SAT).
La SAU era pari a 2.674 kmq, la superficie boscata a
2.374 kmq e la superficie agricola totale a 5.502 kmq,
pari al 74% della superficie territoriale.
3. Superfici con specifici vincoli paesaggistici nei 113
Piani paesaggistici comunali e 4 intercomunali.
4. Nel 2009 i masi chiusi erano 13.334, pari ad oltre la
metà di tutte le 26.285 aziende agricole.
61
2
ESPERIENZE E STRUMENTI
Osservare e governare
le trasformazioni
del paesaggio agrario
di Marco Devecchi *
*Marco Devecchi – Presidente
dell'Osservatorio del Paesaggio per il
Monferrato e l'Astigiano
Premessa
In Italia, il paesaggio appare sempre più come
l'elemento essenziale di uno sviluppo economico
sostenibile legato alle peculiarità ambientali e
alle eccellenze alimentari. In campo agrario,
l'aspetto vincente delle produzioni non si misura
più, infatti, solo in termini meramente “organolettici”, ma anche sui temi della salvaguardia
ambientale e della cura ed attenta gestione del
paesaggio, quali caposaldi della qualità e tipicità
dei prodotti stessi. I paesaggi agrari che
ancor'oggi rappresentano un elemento di forte
caratterizzazione delle singole realtà territoriali
sono quelli che denotano un intervento equilibrato dell'uomo sugli elementi naturali; sono
quelli che offrono una chiara presenza di segni
storici e di nessi leggibili tra struttura e uso del
suolo. Il settore agricolo, in questi ultimi anni,
appare sempre più deputato a svolgere una pluralità di funzioni, oltre ai riconosciuti ambiti tradizionali. Quanto mai importanti appaiono il mantenimento dell'assetto idrogeologico, la conservazione dei paesaggi dotati di rilevanti valenze
storico-culturali, il mantenimento della biodiversità. Gli agricoltori, in questa prospettiva, possono certamente contribuire a conservare e a produrre in modo efficace paesaggi di alta qualità,
attraverso una attenta “cura” del territorio in cui
operano, affinché esso mantenga e rafforzi i
62
caratteri di qualità formale e di identità storica,
evitando in modo scrupoloso inutili compromissioni. Questi obiettivi possono nel complesso
essere conseguiti anche con adeguati incentivi/sostegni economici, così come promuovendo
studi e iniziative per il mantenimento e il miglioramento del paesaggio agrario.
In questa lungimirante prospettiva di azione, la
pianificazione alle diverse scale deve necessariamente prestare una costante e continua attenzione al paesaggio, valorizzando gli elementi di
singolarità, di identità e di equilibrio e prevenendo nel contempo le trasformazioni fonte di alterazione e dissonanza. In quest'ottica si colloca il
dettato innovativo della Convenzione Europea
del Paesaggio, che ribadisce il principio per cui “il
paesaggio svolge importanti funzioni di interesse
generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale” e soprattutto che esso “costituisce
una risorsa favorevole all'attività economica, e
che, se salvaguardato, gestito e pianificato in
modo adeguato, può contribuire alla creazione
di posti di lavoro”.
Il valore del paesaggio agrario: il caso del Monferrato astigiano
Il Piemonte, con particolare riferimento alla realtà collinare del Monferrato astigiano, ha espresso nel tempo uno dei paesaggi più singolari e cul-
turalmente rilevanti a livello internazionale, trovando in particolare nella coltivazione della vite
l'elemento cardine della connotazione del territorio. La rilevanza di questo patrimonio è tale da
aver giustamente ottenuto l'alto riconoscimento
internazionale da parte dell'UNESCO, come
“Patrimonio dell'Umanità” insieme a Langhe e
Roero, potendo configurarsi come fattore di crescita positivo per innescare un circolo virtuoso di
azioni finalizzate ad un concreto e sostenibile sviluppo del territorio. Nel paesaggio agrario del
Monferrato è possibile chiaramente leggere la
lunga e faticosa attività dell'uomo per adattare
alle esigenze delle diverse colture le asperità del
territorio. Si tratta di un lavoro che ancor'oggi trova un puntuale riscontro nella scansione dei campi, nei fossati e canali irrigui e nei poderosi interventi di sistemazione dei rilievi collinari¹. La bellezza ed originalità del paesaggio agrario del
Monferrato e dell'Astigiano deriva, infatti,
dall'ordinata successione dei filari, dall'organizzazione del territorio secondo moduli geometrici, ripetuti regolarmente da un colle all'altro,
secondo peculiari disegni, dovuti alle attente
sistemazioni idraulico-agrarie dei versanti. Si tratta, in altri termini, di un paesaggio agrario frutto
non solo di radicate attività produttive, ma, in primo luogo, espressione di una cultura in “campo
agronomico”, ispirata ad una sapiente gestione
del territorio che ha saputo preservarlo nel passato da gravi fenomeni di dissesto. Il paesaggio
agrario dell'Astigiano e del Monferrato acquista
da questo punto di vista un importante valore di
memoria e di testimonianza dell'antico rapporto
tra uomo e natura nella continua reinterpretazione delle potenzialità del territorio. In
quest'ottica, il paesaggio nella realtà monferrina
sta fortunatamente divenendo l'elemento
essenziale anche di un nuovo turismo legato alle
tipicità ambientali² e alle eccellenze enogastronomiche³. Le produzioni legate al benessere e al
tempo libero, come il vino, hanno infatti assolutamente bisogno di luoghi in cui identificarsi,
essendo il loro valore intimamente legato alla
qualità dei paesaggi agrari di origine⁴. Il Monferrato e l'Astigiano vantano un'ampia gamma di
eccellenze enogastronomiche riconosciute a
livello internazionale, comprendenti numerosi
vini DOC e DOCG, formaggi DOP e, non ultimi,
i PAT⁵ (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) che
annoverano produzioni con tradizioni consolidate nel tempo (almeno un quarto di secolo).
Legare il prodotto al territorio risponde piena-
mente alle attuali tendenze del consumatoreviaggiatore che nella scelta di un luogo turistico
ricerca il connubio tra ricchezza paesaggisticoculturale e quella enogastronomica. In quest'ottica, un buon paesaggio deve essere attraente e,
quindi, armonioso e ordinato, ma non per questo monotono. Gli itinerari enogastronomici,
quali ad esempio le Strade dei Vini e dei Sapori,
esprimono compiutamente il successo dei tentativi volti a sensibilizzare il consumatore verso
prodotti di qualità, valorizzando quindi le produzioni agroalimentari regionali⁶. Si tratta di percorsi destinati ad ottimizzare la fruibilità delle
zone vitivinicole, ove insistano importanti valori
naturali e culturali, quali vigneti e cantine di
aziende singole o associate aperte al pubblico in
una cornice di attrattive paesaggistiche, storiche
ed artistiche di pregio. In tale prospettiva, sempre più viticoltori astigiani iniziano ad unire la produzione vinicola all'offerta di servizi per il tempo
libero, come la degustazione dei prodotti aziendali e l'agriturismo. Un paesaggio del vino di qualità deve manifestare chiari caratteri di ruralità,
intesa come equilibrato insieme di elementi
naturali e presenza antropica. Appare soprattutto fondamentale che gli agricoltori, ma anche gli
agronomi, gli architetti e i pubblici amministratori si accordino in ogni singola realtà sulle regole
per produrre paesaggi che siano cornici adeguate al “buon cibo”. Altre realtà di pari pregio paesaggistico, quali le Cinque Terre in Liguria, hanno
trovato nel riconoscimento a livello internazionale da parte dell'UNESCO uno strumento
estremamente efficace per conciliare le differenti esigenze di promozione del territorio viticolo e
la salvaguardia attiva del paesaggio.
In questa logica di nuova attenzione ai temi del
paesaggio, appare fondamentale che le “azioni
attive” di coinvolgimento delle comunità locali
possano portare alla definizione di modelli di
governance sempre più avanzati nello spirito della Convenzione europea del paesaggio. Grande
interesse rivestono, in questa prospettiva, gli
Osservatori del paesaggio – previsti espressamente nelle linee guida (Art. 10), emanate dal
Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d'Europa, in data 8 febbraio 2008. Tali realtà associative, già ampiamente diffuse in Piemonte e in altre regioni italiane, possono certamente rappresentare una importante opportunità anche per la governance dei contesti agrari.
In Italia sono stati costituiti nel corso dell'ultimo
decennio diversi tipi di Osservatori del paesag-
63
gio, denominati bottom-up quelli di espressione
diretta della società civile e top-down quelli invece
istituiti dalle pubbliche amministrazioni.
Il ruolo degli osservatori del paesaggio bottomup
Gli Osservatori del Paesaggio bottom-up sono
associazioni aventi come finalità specifiche la
conoscenza, salvaguardia e valorizzazione del
patrimonio paesaggistico dei territori di pertinenza, attraverso la condivisione dal basso delle
diverse sensibilità, esperienze ed aspirazioni
sociali e culturali in tema di paesaggio, nell'ottica
di una più ampia partecipazione democratica alle
scelte di governo. Il paesaggio appartiene a tutti
gli individui che in esso vivono e si riconoscono.
Gli Osservatori del paesaggio credono, infatti,
nell'apporto privilegiato dei fruitori del paesaggio
al processo di definizione dei principi e linee guida
della gestione del territorio, essendo evidente
che chiunque alteri un paesaggio, lo modifichi o
lo distrugga sottrae un bene non rinnovabile alla
collettività ed una memoria materiale e spirituale
che è l'identità di ciascuno. Il paesaggio, infatti,
non può e non deve essere più considerato come
bene illimitatamente disponibile e gratuito. Gli
Osservatori del paesaggio individuano proprio
nella preliminare ed attenta lettura storica del
paesaggio il punto di partenza per qualunque trasformazione, essendo possibile scorgere nel paesaggio i segni lasciati da ogni generazione che si è
succeduta. Gli Osservatori del paesaggio fanno
esplicitamente riferimento a metodologie di studio, valutazione e pianificazione improntate alla
multidisciplinarietà, riconoscendo il fondamentale ruolo svolto dalle associazioni culturali e professionali che operano sul territorio con finalità di
tutela/valorizzazione paesaggistico-ambientale.
Gli Osservatori intendono, inoltre, promuovere
una crescita culturale e di sensibilità verso le tematiche della salvaguardia e valorizzazione del paesaggio, favorendo iniziative volte a stimolare studi ed interessi, presso scuole e pubbliche amministrazioni.
In questo contesto culturale di crescente attenzione nei riguardi delle tematiche ambientali e del
paesaggio ha avviato la propria attività il 24 maggio 2003 l'Osservatorio del paesaggio, per il Monferrato e l'Astigiano⁷, frutto di una proficua convergenza di differenti sensibilità e competenze di
studiosi e professionisti a vario titolo operanti nella
realtà astigiana. Il lavoro preparatorio alla costituzione della nuova associazione ha trovato un pun-
to qualificante di sintesi nel “Manifesto di intenti”⁸, sottoscritto poi dai soci fondatori dell'Osservatorio del paesaggio astigiano.
Progettare il paesaggio nel contesto astigiano,
con particolare riferimento a quello agrario, non
costituisce certamente un fatto ascrivibile alla
sola estetica, ma rappresenta un problema complesso che investe la sfera della cultura, della
scienza e della tecnica. Investe cioè tutti gli
aspetti dell'operare sul territorio, rendendo
essenziale un approccio di tipo strettamente multidisciplinare per poter giungere ad una approfondita conoscenza di tutti i diversi e complessi
aspetti storico-culturali ed ambientali tra loro fortemente connessi ed interagenti⁹. Fortunatamente la crescente sensibilità verso le tematiche
ambientali ha avuto nel corso degli ultimi anni
l'importante merito di far emergere il principio
basilare della gestione territoriale che individua
proprio nel paesaggio una risorsa straordinaria di
sviluppo economico, se correttamente compresa, fruita e valorizzata. In questa logica
l'Osservatorio del paesaggio ha portato avanti
diverse iniziative – di cui si dà conto nel presente
saggio - che hanno riscosso un ampio interesse
con proficue ricadute operative.
Attività di osservazione e conoscenza del paesaggio agrario astigiano
Particolare importanza è stata riservata
dall'Osservatorio astigiano allo studio ed osservazione del paesaggio agrario locale, anche nella
prospettiva di una più efficace valorizzazione del
patrimonio esistente. In particolare, la comprensione puntuale delle peculiarità del paesaggio è
stata condotta tramite la realizzazione
dell'Atlante del paesaggio Astigiano con la raccolta di oltre 25.000 immagini dei diversi comuni
del territorio provinciale, fornite da parte di decine di fotografi volontari. Si tratta di uno strumento di osservazione gestito on-line, grazie alla
pubblicazione di tutto il materiale raccolto sul
sito internet dell'Osservatorio. A conforto
dell'interesse per le informazioni contenute
nell'Atlante e nel sito in generale, sono giunti i
dati relativi alle statistiche di fruizione che nel corso del 2014 hanno visto un numero di visitatori
superiore alle 400.000 unità. Questo tipo di iniziativa fa seguito ad esperienze analoghe maturate in Italia e all'estero, in cui - tramite la fotografia - si è conseguito il duplice obiettivo di favorire l'osservazione precisa e puntuale del paesaggio e nel contempo la condivisione delle infor-
mazioni attraverso la rete internet. Tale approccio rappresenta, inoltre, una formidabile opportunità di documentazione costante e continua
dei paesaggi locali, utile anche per poterne verificare nel tempo le trasformazioni. Nello sforzo di
conoscenza e lettura puntuale dei paesaggi agrari astigiani, un'attenzione particolare è stata rivolta, in oltre un decennio di attività, alla singolare
realtà paesaggistica del nord della provincia di
Asti caratterizzata da una sorprendente commistione di coltivi, boschi e Chiese romaniche. La
comprensione delle ragioni di una presenza sparsa nelle campagne astigiane di oltre una quarantina di chiese romaniche “campestri” è stata
oggetto di appositi studi incentrati sulle modificazioni intervenute nel periodo medioevale circa
la localizzazione degli insediamenti abitativi. La
singolarità di questi paesaggi agrari astigiani così come ora sono percepiti a distanza di molti
secoli dai primi fenomeni insediativi - accanto alla
pregevolezza architettonica delle pievi, ha consentito l'avvio di una loro efficace valorizzazione a
livello internazionale. Al riguardo, con un proficuo
lavoro congiunto tra l'Osservatorio del paesaggio, la Soprintendenza di Torino e la Regione Piemonte si è riusciti ad inserire nel 2009 la Canonica
di Santa Maria di Vezzolano, quale esempio più
noto del Romanico astigiano, all'interno del grande Itinerario culturale del Consiglio d'Europa, denominato Transromanica, in precedenza connesso
per la realtà italiana solo ai celeberrimi monumenti di Modena e a Reggio Emilia.
La divulgazione delle attività di osservazione ed
interpretazione dei paesaggi astigiani, improntate ad un forte approccio multidisciplinare, si è inoltre concretizzata attraverso la pubblicazione di
una collana editoriale sul paesaggio da parte della locale Cassa di Risparmio di Asti con i volumi su
“Il paesaggio del Romanico astigiano”, “Il paesaggio dipinto. Astigiano, Langhe e Roero” e “Il
paesaggio astigiano. Identità, Valori, Prospettive”.
Attività di partecipazione pubblica alla definizione del piano paesaggistico regionale: gli
“stati generali del paesaggio astigiano”
Nel corso del 2008, sulla scia della procedura prevista dalla Regione Piemonte¹⁰ per la definizione
del nuovo Piano paesaggistico regionale, è stato
avviato in modo autonomo dall'Osservatorio un
processo di elaborazione di nuove strategie di
governo del paesaggio - denominato “Stati generali del paesaggio astigiano” - attraverso il coin-
64
volgimento delle comunità locali. In questa prospettiva sono stati realizzati numerosi incontri
pubblici sul territorio provinciale ad Asti, Rocca
d'Arazzo, Moncucco Torinese, Rocchetta Tanaro,
Villafranca d'Asti ed Antignano per meglio conoscere i contenuti del Piano Paesaggistico Regionale, in riferimento alle diverse Unità di Paesaggio
dell'Astigiano, e per contribuire concretamente
alla definizione di linee di azione utili per la salvaguardia del paesaggio stesso. Tale capillare lavoro
di ascolto è stato realizzato con il contributo corale e fattivo di numerose associazioni e gruppi operanti in ambito locale, interessati ad una nuova
modalità di gestione delle problematiche inerenti
le trasformazioni del paesaggio, con particolare
riferimento al contesto agrario. I risultati conclusivi sono stati messi a disposizione dei diversi Enti
territoriali interessati (provincia, regione e singole
realtà comunali), nella prospettiva di una più efficace azione di governo del paesaggio, anche grazie alla conoscenza delle aspettative e sensibilità
delle popolazioni locali. L'approccio metodologico, così realizzato, ha rappresentato un originale
caso di studio - di interesse non solo in ambito
locale - per l'applicazione concreta dei principi ed
auspici della Convenzione europea del paesaggio.
Attività di governo del paesaggio: i “bandi di
concorso” per la qualità progettuale
In riferimento alle iniziative di governo innovativo
e partecipato del paesaggio astigiano, sono stati
emanati, a partire dal 2006, in collaborazione con
la Provincia di Asti, tre Bandi di Concorso per la
Promozione di interventi progettuali di qualità nel
paesaggio astigiano e del Monferrato che hanno
permesso di individuare le esperienze più virtuose
sul fronte della progettazione e della pianificazione paesaggistica da parte dei professionisti e delle
amministrazioni comunali. Un punto qualificante
del processo di crescita e di sensibilizzazione sui
temi della qualità del paesaggio, con particolare
riferimento all'ambito agrario, ha riguardato
l'elaborazione del “Decalogo di buone pratiche”
sottoposto a tutte le 118 amministrazioni comunali astigiane per una loro formale adesione, recependolo negli strumenti amministrativi. Le dieci
“Regole d'oro” per la gestione lungimirante del
paesaggio hanno contemplato:
a) Adeguamento del proprio P.R.G.C. al Piano Provinciale Territoriale;
b) Rinuncia alla asfaltatura ed impegno alla conservazione delle strade bianche ancora presenti
sul territorio comunale;
c) Rinuncia su tutto il territorio comunale di
installazione di nuovi cartelloni pubblicitari stradali e mitigazione dell'impatto di quelli esistenti;
d) Rinuncia alla realizzazione di nuovi punti luce
nelle campagne per prevenire l'inquinamento
luminoso notturno se non necessari a fini di sicurezza;
e) Divieto in tutte le aree agricole e forestali di
nuove attività di motocross e simili;
f) Abolizione dell'utilizzo delle trince meccaniche
per la sramatura di alberi ed arbusti di strade
campestri;
g) Impegno all'utilizzo della flora autoctona in tutti gli interventi di progettazione e riqualificazione
ambientale per la conservazione della biodiversità e delle siepi campestri;
h) Censimento delle case vuote e dei capannoni
non utilizzati sul territorio comunale nella prospettiva di una valorizzazione del patrimonio edilizio esistente prioritario rispetto ad un nuovo
consumo di suolo;
i) Individuazione delle aree di pregio paesaggistico del Comune nella prospettiva di una loro più
efficace conoscenza e conservazione;
l) Moratoria comunale della costruzione di nuovi
capannoni in assenza di adeguate valutazioni di
impatto paesaggistico, specifiche tipologie ed
impiego di materiali tradizionali ed impegno alla
riqualificazione paesaggistica degli esistenti per
un miglior inserimento nel contesto agricolo.
Questo approccio innovativo alla gestione del
paesaggio, tramite l'adesione formale di numerosi comuni astigiani, ha concorso significativamente alla crescita della sensibilità sulle tematiche della gestione accorta e della progettazione
di qualità del paesaggio, nella prospettiva del raggiungimento di un equilibrio virtuoso tra le esi-
genze di salvaguardia delle peculiarità paesaggistiche e di sviluppo delle attività economiche del
territorio.
Attività di tutela e valorizzazione del paesaggio: le “dichiarazioni di notevole interesse pubblico del paesaggio”
Nell'ambito della tutela partecipata del paesaggio astigiano, una iniziativa innovativa in termini
metodologici ha riguardato l'avvio delle pubbliche richieste di Dichiarazioni di notevole interesse
pubblico del paesaggio, in base al Codice dei Beni
culturali e del Paesaggio (Codice Urbani) agli Art.
136 e seguenti. L'esame della possibilità di intervento con tale innovativo strumento ha trovato
una prima pubblica elaborazione in un apposito
convegno a Cortiglione (AT) nel 2007. Nel corso
del 2010 sono state, quindi, elaborate dalle popolazioni le prime richieste per i territori di San Marzanotto (Frazione di Asti), Canelli, Isola Villa nel
comune di Isola d'Asti e Schierano nel comune di
Passerano Marmorito. Nel 2013 hanno trovato
presentazione le richieste di dichiarazione della
Riviera del Tanaro e dell'Alberata storica di Montafia, nel 2014 e nel 2015 sono state rispettivamente elaborate le richieste per i paesaggi di
Mombercelli e per quelle dei paesaggi del Paludo
a Calosso-Agliano-Costigliole e di Mombarone
(Frazione di Asti). L'iter ha già trovato conclusione
con l'emanazione di un apposito decreto di vincolo di tutela per le realtà territoriali di Isola Villa
ad Isola d'Asti e per Schierano a Passerano Marmorito. Questo riconoscimento rappresenta un
elemento di fondamentale importanza in una
prospettiva di azione lungimirante e condivisa
dalle popolazioni per la gestione dei paesaggi astigiani, soprattutto nella consapevolezza che ogni
Manifestazione di cittadini astigiani consapevoli
del valore del proprio paesaggio di vita quotidiana
ed interessati a preservarne la qualità rispetto
ad inutili compromissioni conseguenti all'edificazione
di nuovi capannoni, spesso inutilizzati.
65
trasformazione incoerente e avulsa dal contesto
di riferimento ha dirette, immediate e spesso irreversibili conseguenze sul complesso dei lineamenti del paesaggio locale nell'immediato e
soprattutto negli anni a venire con conseguenze
negative a carico delle generazioni future.
Conclusioni
L'Osservatorio del paesaggio astigiano, in oltre un
decennio di attività, ha costantemente registrato
una diffusa preoccupazione per una perdita di
identità dei luoghi, per una compromissione di un
patrimonio prima di tutto culturale, oltre che fisico, e per uno svilimento di beni collettivi appartenenti non solo alla presente generazione. Nel sentire comune è vivissima la consapevolezza di
come non abbiano dignità di cittadinanza nel paesaggio agrario astigiano i famigerati capannoni
prefabbricati, accanto ad altre opere ed infrastrutture similari, che con una invasività allarmante
sono proliferati anche in contesti ambientali di pregio, compromettendone seriamente la leggibilità
e riconoscibilità. La consapevolezza della necessità di agire in modo sollecito e tempestivo per preservare il comune patrimonio ha fortunatamente
trovato negli ultimi anni un sempre più ampio
riscontro a tutti i livelli della società. E', al riguardo,
da interpretare in modo quanto mai positivo
l'avvenuto riconoscimento dei paesaggi viticoli del
sud Piemonte a Patrimonio dell'Umanità da parte
dell'UNESCO che certamente concorrerà ad una
più salda presa di coscienza del valore paesaggistico delle realtà interessate. Su queste basi dovrà
essere portato avanti il lavoro di osservazione,
gestione e valorizzazione del patrimonio paesaggistico locale.
Camminate nella campagna astigiana realizzate insieme a Legambiente per conoscere
gli elementi di pregio e di detrimento della qualità del paesaggio.
Incontro di avvio degli stati generali del paesaggio Astigiano per
poter contribuire attraverso il coinvolgimento della popolazione all'elaborazione del
piano paesaggistico regionale.
Momento di incontro e riflessione della popolazione di San Marzanotto (Frazione della
Città di Asti) interessata alla salvaguardia del paesaggio locale, attraverso l'applicazione
dell'Art. 9 della Costituzione italiana e delle norme contenute nel Codice dei Beni culturali
e del Paesaggio, relativamente alle dichiarazioni di notevole interesse pubblico.
Momento della pubblica sottoscrizione a San Marzanotto dei poster per
l'avvio della procedura di tutela del paesaggio attraverso la Dichiarazione
del notevole interesse pubblico secondo quanto previsto agli Art. 136
e seguenti del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Riferimenti bibliografici
1. Cfr. AA.VV. (1993) - Carta dei paesaggi agrari e forestali del Piemonte. Regione Piemonte, 97 pagg.
2. M. Devecchi, E. Cerrato, Tradizioni enogastronomiche e qualità del paesaggio astigiano. CultureIncontri, Vol. III, 2005, pag. 11.
3. E. Ercole, Il turismo rurale. In “Sociologi e ambiente”, a cura di M.C. Belloni, E. Ercole, C. Guala e A. Mela, Asti, Diffusione Immagine, 2004, CD-Rom.
4. Carta del paesaggio del vino – Carta elaborata nell'ambito del seminario su “Il paesaggio del Vino” – Cividale del Friuli 23 giugno 2003, organizzato dall'Istituto per lo studio del
paesaggio e dell'architettura rurale – ISPAR (Pubblicato su www.ilpaesaggio.it).
5. Ai sensi dell'art.8 del Decreto Legislativo 30/4/1998 n.173 e dell'art. 1 del Decreto 8/9/1999 n. 350.
6. F. Dell'Arciprete – Regione Emilia-Romagna: le strade dei vini e dei sapori. (Pubblicato su www.ambienteeuropa.info)
7. Cfr. www.osservatoriodelpaesaggio.org (Sito dell'associazione “Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano”, attivamente impegnata nella conoscenza e
salvaguardia del patrimonio paesaggistico del territorio astigiano e monferrino).
8. Il testo del Manifesto è integralmente riportato al termine della presente nota.
9. Cfr. G. Ferrara, G. Campioni, E. Accati, R. Carniello, P. Cornelini, R. Cigliano, B. Cillo, M. Devecchi, M. Di Fidio, A. Di Gennaro, R. Gambino, G. Gibelli, M. Gruccione, G. Longhi,
G. Nigro, F. Orlandi, C. Panerai, A. Pochini, G. Pivellini, G. Sauli, L. Scazzosi, F. Vallone, P. Villa (1999) – Carta di Napoli. Il parere degli specialisti sulla riforma degli ordinamenti di
Tutela del paesaggio in Italia. Mozione approvata al Convegno “La trasformazione sostenibile del paesaggio”, FEDAP - AIAPP, Napoli, 8 ottobre 1999.
10. http://www.regione.piemonte.it/sit/argomenti/pianifica/pubblic/dwd/present_semin.pdf
La Regione Piemonte, con l'avvio del Piano paesaggistico, il primo esteso a tutto il territorio regionale, intende modificare radicalmente l'approccio alle tematiche del paesaggio,
superando la semplice gestione dei vincoli di tutela, che si è operata fino a ora, per attuare una politica attiva, capace di grandi ricadute e opportunità per la Regione stessa, da
tempo impegnata a cercare nuove vie di sviluppo e nuove immagini identitarie, attraverso un confronto con gli enti locali, le forze economiche, sociali e culturali che operano nel
territorio. L'iniziativa regionale trova riscontro nel nuovo assetto normativo definito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, entrato in vigore nel 2004 e da poco modificato,
nonché nei principi contenuti nella Convenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze nel 2000 dai 45 paesi del Consiglio d'Europa e recentemente ratificata anche dal nostro
paese. Più in particolare, la Regione intende basare la sua azione sull'affermazione che gli obiettivi di qualità paesaggistica da perseguire non riguardano solo pochi “brani” di
paesaggio di indiscusso valore, ma intende dare pieno riconoscimento al significato complesso del paesaggio in quanto “parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il
cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (…). D'altro canto, alla luce della Convenzione, le politiche devono rispondere alla crescente
domanda di paesaggio, assai più incisiva di qualche decennio fa, che tende a diventare e a configurarsi come un vero e proprio “diritto”, al quale le popolazioni sembrano non poter
più rinunciare. (…) Il piano paesaggistico regionale dovrà essere elaborato attraverso il riscontro e il coinvolgimento delle comunità locali e con procedure di condivisione e
partecipazione sin qui poco sperimentate. E' importante che i piani provinciali costituiscano, da un lato, un quadro di riferimento organico delle iniziative di programmazione sul
territorio, avanzate dai vari soggetti pubblici o privati e, dall'altro, un osservatorio delle trasformazioni in atto o previste, per consentire una governance del piano coerente con quella
della promozione dello sviluppo. In questo senso pare indispensabile stabilire un rapporto strategico con i comuni capoluogo, in molti casi centro delle trasformazioni del paesaggio
più incisive e con forte identità territoriale.
Per un nuovo piano paesaggistico del Piemonte - Sergio Conti, Assessore regionale alle Politiche Territoriali.
66
Manifesto di intenti
MANIFESTO PER LA COSTITUZIONE DI UN OSSERVATORIO DEL PAESAGGIO DEL
MONFERRATO ASTIGIANO
Dalla constatazione che il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul
piano culturale, ecologico, ambientale e sociale, rappresentando una straordinaria risorsa
economica, se adeguatamente salvaguardato e valorizzato, si intende costituire, con
specifico riferimento alla realtà astigiana e monferrina, un
OSSERVATORIO DEL PAESAGGIO PER IL MONFERRATO E L'ASTIGIANO
quale strumento nuovo per soddisfare gli auspici delle popolazioni di godere di un
paesaggio di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione, nella piena
consapevolezza che il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale
e sociale.
Art. 1 – Finalità dell'Osservatorio è la condivisione delle diverse sensibilità, esperienze ed aspirazioni
sociali e culturali in tema di paesaggio, nell'ottica di una più ampia partecipazione democratica alle
scelte di governo. Il paesaggio appartiene, infatti, a tutti gli individui che in esso vivono e si
riconoscono.
Art. 2 – L'Osservatorio crede nell'apporto privilegiato dei fruitori del paesaggio al processo di
definizione dei principi e linee guida della gestione del territorio, essendo evidente che chiunque
alteri un paesaggio, lo modifichi o lo distrugga sottrae un bene non rinnovabile alla collettività ed
una memoria materiale e spirituale che è l'identità di ciascuno. Il paesaggio non può e non deve
essere più considerato come bene illimitatamente disponibile e gratuito.
Art. 3 – L'Osservatorio si offre quale strumento operativo per la lettura, il confronto ed
l'interpretazione delle peculiarità del paesaggio dell'Astigiano e del Monferrato, attraverso
un'analisi delle dinamiche e delle pressioni esistenti, riconoscendo l'importanza delle azioni di
prevenzione, volte ad evitare o ridurre i danni derivanti da interventi impropri o scorretti.
Art. 4 – L'Osservatorio individua nella preliminare ed attenta lettura del paesaggio storico astigiano
il punto di partenza per qualunque trasformazione, essendo possibile scorgere nel paesaggio i segni
lasciati da ogni generazione che si è succeduta.
Art. 5 – L'Osservatorio fa riferimento a metodologie di studio, valutazione e pianificazione
improntate alla multidisciplinarietà, riconoscendo il fondamentale ruolo svolto dalle associazioni,
culturali e professionali che operano sul territorio con finalità di tutela/valorizzazione paesaggisticoambientale.
Art. 6 – L'Osservatorio promuove una crescita culturale e di sensibilità verso le tematiche della
salvaguardia e valorizzazione del paesaggio dell'Astigiano e del Monferrato, favorendo iniziative
volte a stimolare studi ed interessi, presso scuole e pubbliche amministrazioni.
Art. 7 – L'Osservatorio si pone come obiettivo l'affermazione di una cultura giuridica rispettosa del
paesaggio per una attiva azione di tutela delle peculiarità paesaggistiche dell'Astigiano e del
Monferrato.
Art. 8 – L'Osservatorio crede nell'importanza del mantenimento della bio-diversità e del giusto
grado di eterogeneità dei paesaggi, nell'ottica di una armoniosa interazione tra natura e cultura,
perseguibile attraverso la continuazione degli usi del suolo, delle pratiche costruttive e delle
manifestazioni sociali espresse dalla comunità in una logica di continuità con le tradizioni durature
che sono alla base di ogni innovazione e miglioramento finalizzati ad una contemporaneità e ad un
futuro sostenibile.
Art. 9 – L'Osservatorio è consapevole delle straordinarie potenzialità economiche del paesaggio
astigiano, da intendersi sia come risorsa, sia, soprattutto, come patrimonio da salvaguardare.
Art. 10 – L'Osservatorio si propone al termine di un primo periodo di attività di giungere alla stesura
di una Carta del paesaggio del Monferrato Astigiano, da presentarsi a Soglio, nella quale verranno
individuate le linee operative per una effettiva salvaguardia e valorizzazione del paesaggio locale.
Soglio, 24 maggio 2003
67
2
ESPERIENZE E STRUMENTI
Studiare la percezione
del paesaggio ai fini della
pianificazione: il caso
del PTC della Comunità
Rotaliana-Königsberg
di Rose Marie Callà* e Alessandro Franceschini
* Rose Marie Callà, sociologa, docente
a contratto presso l'Istituto universitario
Ciels di Padova
Un appunto metodologico
L'obiettivo di questo scritto è quello d'illustrare
sinteticamente il percorso metodologico sviluppato durante la redazione del Piano Territoriale della Comunità Rotaliana-Königsberg, per
quanto riguarda specificatamente la redazione
della «Carta del Paesaggio». Il piano è in corso
di realizzazione da parte di un'equipe multidisciplinare coordinata dal prof. Corrado Diamantini del Dipartimento di Ingegneria Civile,
Ambientale e Meccanica dell'Università di Trento. Tra gli ambiti disciplinari attivati per redigere
lo strumento urbanistico, particolare attenzione è stata data al tema del paesaggio, non solo
perché la legge urbanistica indica espressamente che il PTC contenga una apposita «Carta del paesaggio», ma anche perché proprio la
conoscenza approfondita del paesaggio si presta per essere un efficace input per la pianificazione.
Fra gli «Obiettivi e contenuti del piano territoriale della Comunità» (art. 21), al punto b, la Legge urbanistica provinciale prevede che il piano
contenga, tra le altre cose, «l'approfondimento
e l'interpretazione della carta del paesaggio delineata dal piano urbanistico provinciale con
riguardo all'ambito territoriale della comunità».
Il Piano territoriale della Comunità, spiega la legge, deve essere un'occasione per approfondire
e delineare con maggiore precisione e puntualità i contenuti della Carta del Paesaggio. Per que-
68
ste ragioni, l'indagine del paesaggio è stata
organizzata di due approfondimenti: uno dedicato al «paesaggio degli abitanti», avente
l'intento di studiare la percezione collettiva del
paesaggio da parte degli abitanti, l'altro dedicato al «paesaggio esperto e comunicato», che
indaga le rappresentazioni fotografiche, cartografiche, narrative, veicolate sul web del paesaggio.
La Comunità Rotaliana-Königsberg è stata istituita con legge provinciale nr. 3 del 16 giugno
2006 ed è costituita dall'accorpamento di otto
territori comunali (Faedo, Lavis, Mezzocorona,
Mezzolombardo, Nave San Rocco, Roverè della
Luna, San Michele all'Adige e Zambana) collocati nella Valle dell'Adige, dalla foce del torrente
Avisio, correndo a settentrione, fino al confine
provinciale. Si tratta di una comunità che nasce
dallo «scompattamento» del Comprensorio della Valle dell'Adige (C5), e dall'accorpamento di
tre aree omogenee: la Piana Rotaliana, propriamente detta, il territorio immediatamente a
nord della foce del Torrente Fersina e che occupa le aree dei comuni di Lavìs e di Zambana e,
infine, le colline in sinistra orografica dell'Adige,
dominate dagli abitati di Sorni, Pressano e Faedo.
Questo scritto si soffermerà soprattutto sulla
parte metodologica dell'esperienza, rimandando ad altre sedi l'illustrazione dell'intero percorso di piano con i risultati ottenuti.
Un frammento del paesaggio della Rotaliana-Königsberg:
su diciotto immagini questa è quella scelta dai partecipanti all'indagine come il «paesaggio più rappresentativo»
Il «paesaggio degli abitanti»
In linea con le recenti acquisizioni in tema di pianificazione territoriale, il processo di elaborazione della «Carta del Paesaggio» ha previsto,
accanto alle valutazioni e ai giudizi degli esperti,
una fase di ricostruzione del punto di vista e delle percezioni degli abitanti rispetto ai paesaggi
della Comunità di valle Rotaliana Konigsberg,
finalizzata a comprendere il sistema di valori e
le attribuzioni di significato che le popolazioni
locali associano ad alcuni luoghi del Trentino,
coerentemente con quanto sancisce la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze,
2000) nella definizione del paesaggio come
«quella determinata parte di territorio, così
come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o
umani e dalle loro interrelazioni» (art. 1a). In
tale prospettiva teorica, il concetto di paesaggio assume una connotazione eminentemente
relazionale: il paesaggio è qualcosa di più e di
diverso dal modo di comporsi dei caratteri
oggettivi del territorio, naturali o antropici, e il
suo valore non può ridursi a una dimensione
meramente estetica, rappresentando invece
un bene culturale identitario di individui e collettività. Come viene affermato dall'Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale), il concetto di paesaggio è definito «soprattutto dalle
trasformazioni che le popolazioni riversano sui
loro territori, per determinare un connubio che
ci permette di osservare quel paesaggio e riconoscerlo come tale» (ISPRA n.d.). Il paesaggio
si caratterizza, dunque, come un prodotto
sociale determinato dalla percezione che la
popolazione ne ha. Secondo Denis Cosgrove
(1990), nella sua relazione con l'azione
dell'uomo, la percezione del paesaggio è frutto
dell'interazione dinamica di tre elementi: i
caratteri oggettivi dell'ambiente, fisici e tangibili, ovvero lo statico scenario naturale che
esprime le proprietà naturali del paesaggio legate o alla posizione o alle proprietà materiali (come la struttura morfologica, il tipo di suolo); i
caratteri dell'antropizzazione, ovvero le peculiarità organizzative del gruppo sociale legate ai
bisogni di sopravvivenza e riproduzione (come
l'uso del suolo, gli insediamenti urbani); i
mediatori socio-culturali connessi alle matrici
identitarie di un gruppo sociale su un determinato ambiente, ovvero il sistema di significati e
simboli che la cultura non materiale ha impresso sugli elementi precedenti, che costituiscono
la coscienza (Jacob 2009) soggettiva e collettiva. Paesaggio e territorio, dunque, come nota
Turri, costituiscono due entità distinte anche se
in stretta relazione tra loro. Se il territorio è lo
spazio organizzato dall'uomo, il paesaggio è la
«proiezione soggettiva del territorio»; questo
«è il risultato dell'operare fisico dell'uomo, delle
azioni che lo trasformano, lo umanizzano (…); il
paesaggio è la rappresentazione, la proiezione
69
visiva, o la corrispondente proiezione mentale e
sentimentale del territorio agito» (Turri, 2003).
Castiglioni (2002) riprende e specifica tale differenziazione sostenendo che ogni realtà geografica comprende sia i processi strettamente connessi con l'ambiente (quindi, fattori climatici,
geologici, morfologici), sia i processi sociali concernenti aspetti economici, relazionali, politici,
demografici. E questi ultimi comprendono
anche i significati e i valori che vengono attribuiti
a un dato paesaggio.
Assumendo la percezione come elemento
costitutivo del paesaggio, la Convenzione chiarisce implicitamente la differenza con il concetto
di territorio e sottolinea, al tempo stesso, il forte
legame esistente tra la popolazione e i suoi luoghi: il paesaggio si definisce solo in relazione allo
sguardo che la popolazione ne ha. La percezione non è considerata banalmente come una
risposta umana agli stimoli provenienti da un
certo paesaggio, ma come un fattore in grado di
contribuire a determinare il significato stesso di
quel paesaggio, quello che Zube ha denominato
prospettiva “transazionale” proprio per denotare la dinamicità del rapporto tra uomo e paesaggio: «Landscape perceptions» afferma l'autore
«are a product of the transactions between individuals and landscapes» (Zube 1987: 39).
L'orientamento suggerito dalla Convenzione viene esteso, nello stesso documento, a tutti gli spazi vissuti, dunque naturali, rurali, urbani e periur-
bani e a tutte le esperienze umane, della vita
quotidiana o extraordinarie (art. 2): «Il campo
di applicazione definito dalla Convenzione è
volutamente vasto in quanto ogni paesaggio
costituisce un ambito delle popolazioni la cui
qualità paesaggistica ha una grande influenza
sulla loro vita. L'inclusione di tutto il territorio
dipende dalla constatazione che ciascun spazio riesce a instaurare delle relazioni e delle
interconnessioni complesse tra luoghi, come i
paesaggi urbani e rurali; o ancora dipende dalle profonde modifiche che subiscono i paesaggi europei, come quelli periurbani, oppure dalla
concentrazione della popolazione europea nella città, con la necessità di assicurare loro una
qualità del paesaggio urbano» [Ispra n.d.]. Da
un punto di vista strettamente metodologico,
dunque, la Convenzione introduce nuove scale
di valutazione del paesaggio sulla cui base elaborare le politiche paesaggistiche locali, derivanti dall'analisi del valore che la popolazione
attribuisce al paesaggio, nella necessità di preservare una componente importante del patrimonio culturale e identitario delle popolazioni.
La politica del paesaggio deve consentire di
adottare «misure specifiche finalizzate a salvaguardare gestire e pianificare il paesaggio»
(art. 1b) al fine di soddisfare le «aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di
vita» (art. 1c). La politica del paesaggio deve
procedere sia alla salvaguardia dei paesaggi esistenti che alla pianificazione dei paesaggi realizzando «azioni fortemente lungimiranti, volte
alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione
di paesaggi» (art. 1f) e comprendendo «sia i
paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i
paesaggi degradati» (art. 2). In questo nuovo
orientamento al paesaggio introdotto dalla
Convenzione, i cui concetti principali sono qui
assunti come approccio di riferimento, si propone una visione integrata e trasversale del
paesaggio alla base della quale quest'ultimo è
considerato “un bene in sé” in quanto variamente vissuto dagli individui. Nello specifico
della letteratura di settore, la misurazione e
valutazione della percezione del paesaggio
costituisce da alcuni decenni e in diversi ambiti
disciplinari un focus sempre più importante,
cosi che si sono perfezionate nel tempo ricerche empiriche e riflessioni teoriche che hanno
dato vita ad un corpo teorico estremamente
eterogeneo, anche in virtù delle differenti connotazioni che sono state date al concetto di percezione dello spazio, di per sé multidimensionale e composito, e delle differenti metodologie di indagine utilizzate. In analogia con le
esperienze precedenti di riflessioni e ricerca nel
settore di Mattiucci (2010), e interpretando il
paesaggio attraverso le immagini e gli immaginari «per effetto dei quali il paesaggio stesso si
costituisce come significato simbolico e valore
collettivo» (Caravaggi 2002: 78), in questa sede
sono state assunte a riferimento le teorie che,
superando la concezione di “percezione” come
dimensione meramente estetico/visiva, la
interpretano in tutta la sua complessità e polisemanticità. Una complessità derivata dall'intreccio di diverse componenti, ovvero quella fisico/naturale, simbolico/culturale, psicologico/personale e intersoggettiva/collettiva (Backhaus et al. 2008) e di tre elementi costitutivi,
ovvero le componenti fisiche, le attribuzioni di
senso individuali e le attività che vi si praticano
(Canter 1977). L'analisi della percezione aiuta a
«cogliere i legami, le trame, le continuità, le
appartenenze, le permanenze; tutti quei
segnali che sono utili a interpretare la perspicuità del racconto dei luoghi, la loro qualità differenziale» (Maciocco 2001: 7). I luoghi, i paesaggi, sono percepiti attraverso azioni che appartengono allo “stare nei luoghi”. È qui infatti che
si realizza quella interazione individuo-societàterritorio che diventa condizione preliminare
alla percezione del paesaggio al punto che tale
percezione non esiste senza l'esperienza. Il paesaggio è, dunque, prodotto delle attività umane (Cosgrove 1984; Debarbieux 2007) e manifestazione delle società locali, nei termini in cui
esso registra «l'uso che una società ha fatto del
suo territorio» (Turri 1979) e le «dinamiche di trasformazione che si stanno compiendo nella
società e, di conseguenza, nell'organizzazione
dello spazio» (De Carlo 1961: 23-26) e nei termini in cui concorre a esprimerne peculiarità e legami di appartenenza. A partire da questa impostazione teorica, l'indagine che si presenta in
questa sede ha avuto una funzione essenzialmente esplorativo-interpretativa dell'immaginario sociale costruito sui (e nei) paesaggi
della Comunità di valle Rotaliana-Königsberg
dai propri abitanti. Proprio per questa sua finalità orientativa, da un punto di vista metodologico si è preferito differenziare gli strumenti e le
tecniche di indagine, utilizzando quindi un
approccio multi-metodo, sacrificando la rappresentatività statistica in favore della significatività delle informazioni ottenute, sia da un punto
di vista quantitativo che qualitativo. Gli strumenti utilizzati, in definitiva, sono stati i seguenti: la distribuzione di cartoline finalizzate a identificare l'immagine di paesaggio considerato
significativo, con poche e semplici domande a
risposta chiusa, somministrate a un campione
di oltre 600 persone che hanno partecipato alle
manifestazioni più significative della RotalianaKönigsberg; la discussione del paesaggio significativo emergente dalle cartoline in tre focusgroup realizzati con 24 testimoni privilegiati,
selezionati tra i componenti della Commissione
Paesaggio della Rotaliana, i componenti del
Tavolo di confronto e consultazione del Piano e
un gruppo di residenti; le interviste semistrutturate a un collettivo di riferimento di 31 abitanti
della Rotaliana, finalizzate a definire con maggiore profondità l'immaginario del paesaggio
Il retro della “cartolina-questionario” utilizzata durante l'indagine
70
nelle sue declinazioni di quotidiano, rappresentativo e ideale.
I risultati di tale indagine possono essere così
sinteticamente descritti:
- è presente una soddisfazione diffusa degli abitanti residenti sul territorio della Comunità
Rotaliana-Königsberg rispetto al luogo nel quale vivono;
- vengono privilegiati i paesaggi caratterizzati
da una prevalenza dell'elemento naturale o
subnaturale, si rileva un bisogno di natura;
- il valore del paesaggio della RotalianaKönigsberg per i residenti è riconducile a una
componente estetica che si lega a ciò che è bello, alla coerenza compositiva degli elementi
costitutivi e ai sentimenti da esso evocati;
- la componente estetica è fortemente influenzata dalla riconoscibilità degli elementi costitutivi del paesaggio, che si lega a processi di
significazione maturati nel tempo nella relazione con il proprio contesto sociale;
- l'Identità nell'immaginario dei residenti è fortemente legata alla produzione agricola/vinicola;
- gli elementi fondanti di questa scenografia virtuale che compongono il paesaggio percepito
e rappresentativo della Comunità RotalianaKönigsberg sono le montagne e vigneti.
Il «paesaggio degli esperti» ed il paesaggio
«comunicato»
All'interno degli studi predisposti per la realizzazione del Piano territoriale della Comunità
Rotaliana-Königsberg, ed in particolare allo scopo di raccogliere dati ed informazioni utili alla
redazione della Carta del Paesaggio, è stata
predisposta anche un'apposita indagine conoscitiva dedicata al paesaggio “esperto” e “comunicato”.
Il primo passo di questa indagine è stato quello
di arrivare ad una definizione di cosa sia, per
l'appunto, l'«esperto». Alcuni studi di psicologia (Bonini e Rumiati, 1991) hanno definito
come «il grado di expertise sia in qualche
modo relato alla capacità dell'esperto di utilizzare le diverse modalità cognitive». Una delle
differenze principali di tali modalità riguarda i
processi «intuitivi» ed «analitici». In particolare
si può ritenere un giudizio intuitivo quando
esso viene raggiunto seguendo una linea di
ragionamento non strutturato, ovvero senza
usare metodi analitici o calcoli consapevoli
(Kahneman e Tversky, 1982). Altre indagini
sono significative nel descrivere il comportamento decisionale degli esperti. In particolare
Shanteau (1988) ha individuato come emergano dei profili abbastanza stabili «basati su
caratteristiche comuni a molti esperti». Secondo lo studioso l'attività degli esperti può essere
catalogata in base a queste caratteristiche: gli
esperti sembrano aver sviluppato in maniera
sensibile le abilità percettivo-attenitive che gli
consentono di estrarre informazioni che sfuggono ai meno esperti; gli esperti hanno una
capacità nel discriminare le informazioni rilevanti da quelle irrilevanti ai fini della decisione;
gli esperti hanno la capacità di semplificare i
problemi complessi che possono apparire caotici ai decisori principianti; gli esperti hanno una
spiccata abilità nell'individuare e selezionare le
situazioni apprezzabili dal punto di vista decisionale; i decisori esperti manifestano una maggiore creatività nella scoperta di nuove strategie di decisione; diversamente dai principianti
gli esperti sembrano prendere le loro decisioni
facendo ricorso ad un automatismo cognitivo
che li porta a concentrare l'attenzione su quegli
espetti della situazione che hanno un peso
effettivo nella decisione».
Per quanto riguarda più specificatamente gli
studi relativi alla pianificazione urbanistica può
essere interessante riferirsi agli studi di Alfredo
Mela. In particolare nello scritto «Sapere esperto e spere diffuso nella panificazione territoriale» (Mela, 2003) lo studioso parte dalla crisi della pianificazione come attività «problem solving» caratterizzata da un approccio scientifico, «ispirato dall'idea di un intervento di una
pluralità di saperi tecnico-scientifici (di carattere urbanistico, ingegneristico e progettuale,
ma anche connessi alle discipline economiche,
sociali e giuridiche), ciascuno dei quali era
responsabile di una valutazione rigorosa sugli
aspetti di propria competenza». In questa prospettiva, il processo di pianificazione era caratterizzato da una rigida distinzione tra competenze esperte e non esperte: «il ruolo di “esperto” era attribuito solo alle figure “tecniche”
impegnate nelle diverse fasi di elaborazione
del piano; solo ad esse è dato, innanzitutto, di
definire esattamente il problema che il piano
deve superare. E, in seguito, proporre delle
soluzioni». Gli altri tipi di rapporti (con i funzionari pubblici, con i mass media, con l'opinione
pubblica) erano intesi come rapporti «tra figure
esperte e figure non esperte». La crisi della cit-
71
tà contemporanea e la correlata crisi del piano
urbanistico, ha portato anche ad un ripensamento di queste relazioni in un'ottica che va da
quella del «problem solving» a quella del «problem building» che porta «ad una definizione
di un quadro problematico condiviso, che rappresenti uno scenario di riferimento, in direzione della quale possano essere fatti convergere
tentativi incrementali di soluzione (indicazioni
di piano, interventi progettuali, accordi in vista
dell'attivazioni di politiche…)». Tutte questioni
che hanno rimesso in discussione anche le interazioni tra i due tipi di sapere.
A questo proposito può essere interessante
riprendere la distinzione che Hannerez (1992)
pone tra due figure di esperti, rispettivamente
designati come «intellighenzia» e «intellettuali». La prima, secondo lo studioso, è portatrice
di un sapere essenzialmente tecnico, in quanto
è composta da soggetti che si dedicano a risolvere problemi, anche di notevole complessità,
ma collocati entro schemi scientifici dati. La
seconda categoria, invece, è caratterizzata da
individui che si muovono entro ambiti di significati di versi, stabilendo delle connessioni non
prevedibili in base agli schemi dominanti. Semplificando, seguendo ancora il ragionamento
di Mela (2003) «il vecchio paradigma della pianificazione sembrava privilegiare soprattutto il
ruolo dell'intellighenzia», mentre quello più
recente basato sul «problem building», è caratterizzato «da un aumento dell'importanza, nella pianificazione, dei ruoli esperti degli “intellettuali” specie per quanto riguarda il compito di
stabilire interconnessioni tra ambiti di significati apparentemente lontani e tra saperi esperti e
non esperti».
All'interno di una ricerca sul paesaggio realizzata a supporto dell'attività di pianificazione,
ecco gli il ruolo degli intellettuali, nell'accezione
qui sopra descritta, diventa fondamentale: il
riconoscimento ed il coinvolgimento di quelle
conoscenza, tipiche si vari soggetti, che, ciascuno in base al proprio ruolo e al proprio interesse, sono chiamati a partecipare come stakeholder, o come testimoni qualificati di una specifica modalità di interazione e di impego nei
confronti del territorio. Diversi a quelli
dell'equipe del piano, questi saperi possono
comprendere conoscenze specializzate sul contesto territoriale in cui si svolge il piano o su
alcuni aspetti della sua realtà sociale, naturale,
economica». Nella ricerca condotta sul territo-
Il territorio della Rotaliana-Königsberg:
in marron i “coni” ottici che rappresentano
i paesaggi immortalati da Gabriele Basilico
durante la sua indagine. Da notare
la sua insistenza su alcune
parti del territorio.
compreso anche il territorio della Piana Rotaliana, ed i fotografi che hanno partecipato alle
recenti iniziative promosse all'interno di alcune
iniziative culturali (ad esempio l'indagine “A
nord di Trento, a sud di Bolzano”).
- la seconda parte dell'indagine è legata più specificatamente alla “comunicazione” di un territorio quando utilizza il mezzo del web per veicolare la propria immagine. In particolare è stato
interessante capire quali sono le fotografie “caricate” sullo spazio virtuale di Internet, attraverso le quali l'immagine della RotalianaKönigsberg viene veicolata nella rete ad uso dei
potenziali fruitori del territorio (turisti, acquirenUna fotografia di Gabriele Basilico sulla Piana Rotaliana (foto Archivio Provincia autonoma di Trento)
rio della Rotaliana-Königsberg, si è inteso scegliere come sapere «esperto» quello articolato
nell'opera intellettuale di lettura del territorio,
sia essa eseguita in maniera rappresentativa
che narrativa. È inoltre stato dato spazio alla
comunicazione del paesaggio, ovvero come
certi tipi di sapere veicolano l'immagine del
paesaggio per averne un vantaggio economico, tramite la vendita di prodotti o servizi legati
direttamente al territorio.
Nella parte più concreta, l'indagine è stata suddivisa in tre parti:
- la prima parte dell'indagine ha inteso delineare le caratteristiche della percezione “esperta”
del paesaggio, intesa come capacità d'indagine volta alla produzione di un risultato grafico, cartografico o fotografico di un particolare
contesto territoriale. L'indagine è stata sviluppata lavorando sui seguenti temi: la comprensione del paesaggio rappresentato nelle immagini e nelle cartoline storiche; la codificazione
del paesaggio “esperto” del Piano urbanistico
provinciale; la codificazione del paesaggio derivante dall'indagine sul paesaggio trentino sviluppata dentro le ricerche “Fondo del paesaggio” eseguite dalla Provincia autonoma di Trento e dall'Università di Trento nel corso del
2011/2012; la codificazione del paesaggio derivante dalle immagini fotografiche “esperte”: in
primis Gabriele Basilico, che nel 2003 ha compiuto un'approfondita indagine sul Trentino, ivi
Una cartolina storica: il «panorama» nei pressi dell'abitato di Mezzocorona
72
ti di prodotti specifici, come il vino, la frutta o
gli ortaggi). Sono stati indagati due tipi di
comunicazione: la prima tesa a comprendere
«qual è l'immagine della Rotaliana» nello spazio web. Utilizzando un motore di ricerca e delle parole chiave sono stati individuati i tipi di
immagini che “rappresentano” il territorio; la
seconda tesa a capire quale tipo d'immagine
(con che tipo di taglio, verso quali vedute
ecc…) scelgono le aziende che decidono di
“vendere” anche il territorio (come ad esempio
i vignaioli) quando si presentano al mondo dei
fruitori che frequentano il web, attraverso il proprio sito aziendale.
La lettura di queste due indagini, anche se
foriere di interessanti risvolti particolari, ha portato anche all'articolazione di una metafora
che racconta in maniera efficace il paesaggio
della Rotaliana-Königsberg: ovvero quella della
rappresentazione comunitaria e della scena
ambientale. Se è vero, come ci ha insegnato
Eugenio Turri (1998), che ogni paesaggio è assimilabile ad un teatro è ancor più vero che ve ne
sono alcuni che sono doppiamente paragonabili ad un teatro perché a fianco della sua immagini evocazione, lo sono anche concretamente
grazie alle caratteristiche della propria forma
morfologica. È il caso della del paesaggio della
Rotaliana-Königsberg che può essere assimilato, senza indugio, ad un grande teatro
all'aperto, strutturato nelle seguenti parti:
- il palco e la scenografia sono rappresentati
dalle ultime propaggini della piana e dai
bastioni rocciosi che si innalzano in verticale,
come veri e proprie scenografie teatrali;
- la platea è rappresentata dalla piana nella sua
interezza;
Riferimenti bibliografici
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gli aiuti decisionali”, in Giornale italiano di Psicologia,
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Territorio e progetto. Prospettive di ricerca orientate in
senso ambientale, FrancoAngeli, Milano.
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reperibile al sito internet
http://www.sinanet.isprambiente.it . Ultima
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(2001), Progettare con il territorio. Immagini spaziali
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FrancoAngeli, Milano.
Mattiucci C. (2010), A kaleidoscope on ordinary
landascapes. The perception of the landascape between
complexity of meaning and operating reduction,
73
- la galleria, o il loggione, sono rappresentati dalla collina, naturalmente
affacciata su palco e platea.
Questa evocazione specifica della Rotaliana-Königsberg all'essere “luogo teatrale”, sia
in senso metaforico che in senso squisitamente fisico, esplicita la capacità di percepire e di
costruire il paesaggio coniugando la coscienza
ecologica con la propensione a difendere le
identità e la memoria che vi sono riflesse, è una
delle immagini che emerge dall'analisi dei dati
del paesaggio esperto, visivamente orientato
verso la percezione della montagna, ed in particolare dei “bastioni” vera quinta scenografica
sotto alla quale si svolge la vita degli abitanti
della Rotaliana-Königsberg . La metafora del
paesaggio come teatro è quindi una chiave di
lettura che ci porta a riflettere sul valore e
sull'incidenza che ogni nuovo scenario può avere sull'uomo e sulla sua propensione a rispecchiarvisi e a sentirlo come proprio.
Verso la «carta del paesaggio»
Il lavoro attualmente in corso intende sintetizzare le conoscenze emerse nelle indagini qui
descritte in una cartografia di sintesi, capace di
contenere tutti gli elementi stabilendo i valori e
le mappe che possono rappresentare al meglio
le diverse “percezioni” del paesaggio da parte
degli abitanti e degli esperti, arrivando a delle
riflessioni conclusive che cercano di sintetizzare l'immagine di paesaggio esperto del territorio della Rotaliana-Königsberg. Immagine utile
non solo all'auto-riconoscimento di una comunità, ma indispensabile per raccogliere stimoli
a supporto del processo progettuale di pianificazione.
Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale,
Università degli studi di Trento.
Mela A., (2003), “Sapere e esperto e sapere diffuso
nella pianificazione territoriale”, in Maciocco G. e
Pittaluga, (a cura di), Territorio e progetto. Prospettive di
ricerca orientate in senso ambientale, FrancoAngeli,
Milano.
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strategies of expert decision maker”, in Acta
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Padova.
Zube E. H. (1987), Perceived land use patterns and
landscape values, “Landscape Ecology”, 1(1): 37-45.
LA RECENSIONE
Antonio De Rossi,
La costruzione delle Alpi.
Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914).
Roma, Donzelli Editore, 2014, pp. XXVI-420, 44 tav.
di Bruno Zanon
74
Le Alpi, a partire dalla fine del '700, si sono collocate al centro della cultura europea, diventando
non solo il territorio privilegiato per la scoperta e
la narrazione di paesaggi straordinari, ma anche
- e soprattutto - il luogo centrale per l'elaborazione di nuove concezioni del rapporto tra
uomo e natura. L'assegnazione di valore a uno
spazio che fino ad allora era stato visto spesso
come una semplice “imperfezione della natura”
ha costituito uno dei temi guida del dibattito
intellettuale, ponendo le basi del concetto di paesaggio. Ma questo ha richiesto un lungo percorso di indagine, elaborazione scientifica e culturale, divulgazione, modificazione dell'immaginario
collettivo, oltre che interventi di trasformazione
materiale. Una vera e propria “costruzione” delle
Alpi.
Antonio De Rossi ha affrontato tali temi in un
libro complesso e avvincente, basato su una estesa indagine delle fonti storiche, letterarie, artistiche italiane, francesi, inglesi e tedesche relative
alle Alpi occidentali. Non si tratta però solo di una
ricostruzione storica ma dell'analisi del processo
di formazione di concezioni che, in modo consapevole o meno, guidano ancora i nostri atteggiamenti e il nostro agire sul territorio alpino e, in
modo più esteso, sul paesaggio naturale e umano.
Il percorso indagato ha visto le Alpi al centro di un
intreccio tra le nascenti scienze naturali,
l'esplorazione geografica, la descrizione dei luoghi e delle culture locali, lo sviluppo della cultura
romantica, il mito dell'esplorazione e della scoperta, la nascita dell'alpinismo, l'evoluzione della
cultura architettonica e, in modo più esteso, la
formazione del gusto e delle mode che connettono in modo contraddittorio mondo urbano e
montagna. Riferendosi allo scienziato settecentesco De Saussure, l'autore osserva che è “dentro
l'osservazione del paesaggio, dei suoi caratteri
morfologici e sensibili, che nascono le congetture e le teorie sull'origine e la struttura delle montagne”. E aggiunge che in tale contesto “conoscenza scientifica e sensibilità artistica nei confronti della natura costituiscono un luogo
d'incontro orientato sentimentalmente”. Il processo analizzato non riguarda, infatti, solo la progressiva conoscenza e comprensione di fatti e di
luoghi relativi a quelli che, a lungo, erano stati
ritenuti territori inutili e orrendi, ma anche e
soprattutto la formazione di nuove tendenze e
nuovi atteggiamenti sociali, la valorizzazione di
spazi poco accessibili, la realizzazione di opere
impegnative e l'invenzione di tipi e stili architettonici.
«Se le Alpi... si urbanizzano e si modernizzano sempre più,
esse al contempo vengono sottoposte a un parallelo e crescente
processo di occultamento della realtà storicamente determinata...
sostituita da una visione idealizzata frutto di una reinvenzione.»
Antonio De Rossi
Ovviamente sono le molteplici condizioni morfologiche, geologiche, di altitudine, di copertura
vegetale dell'arco alpino che ne fanno un vero e
proprio “laboratorio della natura” in grado di mettere alla prova una varietà di saperi. Ma è la capacità di suscitare emozioni che crea le motivazioni
per la conoscenza, l'esperienza, la narrazione. La
descrizione dell'ambiente alpino è avvenuta
infatti mediante il testo scientifico, la poesia, il
racconto, la rappresentazione pittorica, le stampe e poi la fotografia. In questo, va ricordato
come tali descrizioni e rappresentazioni non
siano strumenti neutri, costituendo strategie “di
conoscenza attiva delle cose” e processi di assegnazione di valori.
Naturalmente, riguardando luoghi sconosciuti e
impervi, il percorso scientifico si è intrecciato con
il cammino tra le montagne motivato dalla scoperta e dal gesto atletico, dando vita a una pratica che si è diffusa molto presto e che – non a caso
– ha preso il nome di alpinismo. La scoperta della
montagna alpina è stata infatti un gioco intellettuale delle élites urbane mosse sia dall'amore per
la conoscenza sia dalla spinta alla scoperta e
all'esperienza di luoghi caratterizzati da varietà e
irregolarità, dalla dimensione enorme dei fatti
geologici e dall'estensione degli orizzonti. Si tratta di un passaggio culturale e sociale importante,
pervaso dal sentimento di attrazione e allo stesso
tempo di repulsione prodotto dall'orrido del territorio aspro delle montagne. Tale sentimento stimola all'elevazione, induce all'immaginazione e
consente, come ricorda l'autore a proposito dei
romantici inglesi, la “rielaborazione poetica interiore del paesaggio”. In breve, quello che si indaga, si scopre, si mette alla prova di fronte al paesaggio alpino non è tanto la realtà che si ha di
fronte, quanto il sé, la persona che si pone i problemi e intende affrontare le sfide. La montagna,
in questo modo, “si trasforma da lente, che consente di studiare e comprendere il funzionamento del mondo, in una sorta di specchio, tramite
cui scrutare la dimensione interiore delle persone
e delle cose”.
La “scoperta delle Alpi”, carica com'è di finalità
scientifiche, culturali, emozionali, costituisce una
vera e propria “costruzione delle Alpi”. Questo
avviene sia impiegando “dispositivi” analitici e
narrativi in grado di comunicare la complessità, la
varietà, le contraddizioni dell'ambiente - naturale
e umano – alpino, sia traducendo le conoscenze
degli esperti in narrazioni che danno un senso alle
emozioni e alle suggestioni che si iscrivono nei
concetti del pittoresco (l'emozione prodotta
dalla varietà e dall'apparente disordine) e del
sublime (il sentimento che si prova di fronte alla
grandezza dei fenomeni, e che ci fa elevare).
E' in particolare il “contrasto complementare” il
“dispositivo” che meglio esprime le diverse combinazioni di diversità del paesaggio alpino, relative ai caratteri spaziali, di dimensione dei luoghi,
nonché di natura temporale – in quanto nelle Alpi
sono posti accanto passato e presente, moderno
e arcaico -. La presenza dei contrasti, rileva
l'autore, definisce il contesto alpino come un “paesaggio che è anche morale, perché migliorato e
trasformato in concordia con quanto offerto da
Dio”. La descrizione delle Alpi comporta un confronto tra fatti naturali - la cui logica è difficile da
comprendere - e fatti umani, tra le creazioni della
natura (o di Dio) e le costruzioni dell'uomo. Si
ricorre pertanto a un linguaggio che fa uso di analogie tra le montagne e le cattedrali o le fortezze,
con termini quali torri, bastioni, mura, campanili,
che spesso ricorrono anche nei toponimi. Tale
percorso, del resto, avviene entro il clima ottocentesco di rivalutazione del Medioevo e delle
costruzioni antiche che, entro molte delle vallate
alpine rimaste ai margini dei grandi fatti storici si
ritrovano numerose e costituiscono elementi
della scenografia di una vita arcaica delle comunità locali. Il viaggio pittoresco nelle Alpi costituisce anche un viaggio nel tempo.
La “costruzione delle Alpi” comporta naturalmente anche trasformazione materiale, ad iniziare dalle strade, che dall'epoca napoleonica
iniziano a connettere i diversi versanti attraverso
passi ad alta quota, passando ai piedi delle vette
più alte, attraversando corsi d'acqua tumultuosi.
Le strade e le ferrovie di attraversamento delle
Alpi costituiscono un banco di prova della tecnica
e fondano “il mito dell'infrastruttura in grado di
inventare e valorizzare il paesaggio”. La ferrovia,
in particolare, consente di avvicinare rapidamente luoghi molto diversi, diventando una “macchina che… fabbrica paesaggi” e il treno diventa un
“belvedere in movimento”.
Altro momento cruciale di trasformazione del
paesaggio riguarda la frequentazione turistica e
le nuove costruzioni richieste a tale scopo, che
iniziano a punteggiare le località più note e che
creano nuovi poli di attrazione. Il turismo, infatti,
è nato in buona parte sulle Alpi, come – ovviamente – l'alpinismo. Tali pratiche hanno comportato un intreccio tra la “scoperta” di luoghi meritevoli di essere visitati e le loro descrizioni e rappresentazioni (in particolare mediante le guide
turistiche), che hanno via via formato un “catalogo” di destinazioni in grado di riflettere
l'evoluzione del gusto e delle voghe della nascen-
75
te classe borghese. Mentre le prime forme di frequentazione avevano come finalità la cura,
riguardando località dove erano presenti acque
termali, lasciando le montagne come un semplice sfondo, ben presto i “materiali” della montagna (“aria, acqua, neve, ghiaccio, freddo, latte,
erba”, ricorda l'autore) divennero le attrattive per
nuove pratiche. Naturalmente un ruolo importante è stato svolto dall'alpinismo, vale a dire la
conquista delle vette, che ha avviato un filone di
esperienze, narrazioni, costruzione di sfide, che è
tutt'ora in corso. E' la fase in cui le Alpi vengono
definite da Leslie Stephen, padre di Virginia
Woolf, “il terreno di gioco d'Europa”, definizione
che “rappresenta davvero la cifra dell'epoca”.
In parallelo alle descrizioni delle guide, alla
costruzione del nuovo spazio turistico e alla selezione dei modelli alpini da riprendere in altri contesti (è il caso emblematico dello chalet svizzero),
si svolge il processo di “tipizzazione” delle Alpi. Si
tratta di una descrizione selettiva, “sempre in
bilico tra ironia e paternalismo” dei caratteri umani, delle tradizioni, delle forme di vita delle comunità rurali svolte entro il pittoresco contesto alpino.
Nel libro trova spazio naturalmente l'analisi del
ruolo del Club Alpino Italiano, associazione fondata dall'élite sociale torinese, che sancì il legame
stretto tra l'ambiente urbano e la montagna alpina. Nel corso dell'800 i destini di tali ambiti vennero ancora più intrecciati in ragione degli interventi infrastrutturali, dei sistemi difensivi, della
fornitura di materie prime e di energia, oltre che,
naturalmente, per l'avvento del turismo. Non si è
trattato però di un rapporto di sudditanza della
montagna alla città, ma dell'attivazione di un
sistema di rapporti reciproci, retti dalla spinta alla
conoscenza scientifica e antropologica e dalla
accettazione delle sfide poste dall'ambiente alpino.
In conclusione, si tratta di un libro che pone delle
solide basi per una lettura critica dei temi che
fanno delle Alpi un paradigma di riferimento per il
rapporto tra uomo e natura e in particolare per il
concetto di paesaggio. Sulla base del quadro
interpretativo proposto in apertura, l'autore
affronta i diversi temi qui sommariamente citati
per applicarsi, nella parte finale, alla lettura di
alcune esperienze significative delle Alpi Occidentali. Facile affermare che il libro rimarrà a
lungo nelle bibliografie.
LIBRI
La biblioteca dell’Urbanista
Angioletta Voghera
“Dopo la Convenzione Europea
del Paesaggio.
Politiche, Piani e Valutazione”
Riccardo Priore
“No people, no landscape.
La Convenzione europea del
paesaggio: luci e ombre nel
processo di attuazione in Italia”
Chiara Rizzi
“Quarto paesaggio”
Alinea editrice, Firenze 2011, 18 euro
FrancoAngeli, Milano 2009, 33 euro
Actar/List, Barcelona/Trento 2014, 16 euro
Sostenibilità, necessaria integrazione del
paesaggio nel governo del territorio e
partecipazione sono Ie parole chiave con cui si
confronta nei paesi Ia pianificazione per il
paesaggio, in attuazione della Convenzione
Europea del Paesaggio (CEP).
La Prima parte della pubblicazione affronta
questi temi evidenziando il ruolo che il
paesaggio dovrebbe giocare nell UE per Ia
costruzione dello sviluppo a lungo termine;
inoltre si sofferma sull'analisi dell approccio,
dei risultati e delle criticità del processo di
innovazione della pianificazione per il
paesaggio conseguente alla CEP in alcuni paesi
(in particolare in Olanda, Gran Bretagna,
Germania, Austria, Danimarca, Francia,
Spagna, Italia). La Seconda parte della
pubblicazione racconta il protagonismo del
paesaggio e Ia chiave di Iettura di due casi
studio: l Olanda e Ia Gran Bretagna, paesi che
anche secondo il Consiglio d'Europa attuano Ia
CEP.
Secondo la Convenzione europea del
paesaggio (Firenze, 2000) il concetto di
paesaggio risulta indissolubilmente legato,
oltre che al territorio, all'apporto
percettivo/progettuale fornito dalle
popolazioni. In virtù delle sue disposizioni, gli
Stati sono tenuti a prendersi quindi cura del
paesaggio in riferimento all'intero territorio,
anche quando degradato, anonimo o
apparentemente privo di interesse. Questo
impegno deve prendere la forma di politiche
del paesaggio predisposte associando gli enti
territoriali con l'obiettivo di integrare la
preoccupazione paesaggistica nelle politiche
relative ad altri interessi pubblici e realizzare
interventi dinamici e differenziati nella
prospettiva dello sviluppo sostenibile. In Italia,
l'attuazione della Convenzione, ratificata con
Legge 14/2006, appare ostacolata dalla
persistenza di principi legislativi elaborati
nella prima metà del secolo scorso. Tali
principi identificano il paesaggio con aree o
beni di notevole interesse pubblico sotto il
profilo ambientale o culturale, da tutelare
essenzialmente attraverso misure di vincolo.
Quarto paesaggio rimanda a quarto mondo
(conflitto), a "quarto potere" (mass media), a
quarto stato (militanza). Conflitto inteso
come generatore d'innovazione sociale e
culturale per "fuggire dalle passioni tristi" (cfr.
M. Benasayag, 2008); comunicazione come
condizione del paesaggio postmoderno che si
fa immagine e rappresentazione (cfr. M.
Jakob, 2009); militanza come azione, ovvero
capacità di agire anche in maniera inattesa ed
improbabile (cfr. H. Arendt, 1958). In questo
senso il quarto paesaggio è, a differenza del
Terzo paesaggio teorizzato da G. Clément, un
paradigma dell'azione.
76
CON IL PATROCINIO DI:
COMUNE DI TRENTO
ENTE BILATERALE DEL TURISMO
E DEL COMMERCIO DISTRIBUZIONE E SERVIZI
TRENTOFIERE
ANTICHI SAPORI DA VISITARE
T R E N TO
18-19-20
SETTEMBRE
XVI
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SALA CONFERENZE DELLA FONDAZIONE
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VIA CALEPINA, 1 TRENTO,
ORE 10,00 - APERTO A TUTTI
ANTICHI SAPORI
DA VISITARE
CIBO E CULTURA
NELLE DOLOMITI
Le dinamiche che investono i flussi turistici nazionali ed internazionali
risentono, sempre di più, di questioni legate alle tradizioni
enogastronomiche delle località ospitanti. Il turista moderno è
costantemente alla ricerca dell'autenticità dell'esperienza della
vacanza ed è attratto dalla proposta culturale del luogo visitato, inteso
nella sua accezione più ampia: cultura come arte, come ambiente e,
appunto, come tradizione culinaria. Per questa ragione i territori
interessati ad attrarre flussi turistici si stanno attrezzando per proporre ai
visitatori quanto di meglio la loro tradizione possa offrire: vengono così
riscoperti prodotti enogastronomici oramai dimenticati, ma anche
antiche modalità artigianali di trasformazione e conservazione
dei cibi e ricette per la loro preparazione.
L'edizione 2015 della Borsa Internazionale del Turismo
Montano intende interrogarsi su questi argomenti. I territori di
montagna, infatti, si prestano perfettamente per riflessioni legate
alla storia enogastronomica dei luoghi, proprio grazie alla loro capacità di
aver conservato, meglio che altrove, pratiche e tradizioni nell'elaborazione
enogastronomiche. Il nostro territorio in questa prospettiva può lavorare per
crescere ulteriormente, elevando il proprio «appeal turistico» ed
affiancando alla proposta naturale (fatta di un patrimonio di ambiente,
paesaggio, cultura materiale locale) un preciso progetto sui “sapori”;
obiettivi impegnativi che potranno essere realizzati sia attraverso la messa in
rete delle proposte che attraverso iniziative estemporanee.
T R E N TO
18-19-20
SETTEMBRE
XVI
bitm
SEDICESIMA
BORSA
INTERNAZIONALE
DEL TURISMO
MONTANO
INFO:
SEGRETERIA
ORGANIZZATIVA
0461 434200
www.bitm.it
STUDIO BI QUATTRO
WORKSHOP - SABATO 19 SETTEMBRE
MUSEO DELLE SCIENZE
CORSO DEL LAVORO E DELLA SCIENZA
RISERVATO AGLI OPERATORI
L’INCONTRO TRA TOUR
OPERATOR STRANIERI E ITALIANI
Nella splendida scenografia del Museo della Scienza – MUSE – è previsto
il workshop internazionale di BITM. I tour operators della più selezionata
domanda nazionale, europea ed intercontinentale specializzata nella
commercializzazione del prodotto “Montagna Italia” incontreranno gli
operatori turistici nazionali, che avranno modo di presentare la propria
offerta, di aumentare la loro visibilità, di acquisire nuovi clienti e nuovi
rapporti di collaborazione.
Sono stati invitati sia operatori dei paesi che
rappresentano un bacino di arrivi già
consolidato come Germania, Paesi Bassi,
Paesi dell'Est Europa ma anche
operatori provenienti da quei paesi
“emergenti” interessati al mercato Italia.
PROMOZIONE
DELLE CONOSCENZE
TURISTICHE DELLA CINA
E DELL’ ASIA DELL’EST
Quest'anno BITM , in collaborazione con il Centro Studi Mar no Mar ni si
propone di favorire la conoscenza turis ca della Cina e dell'Asia dell'Est con
un'a enzione par colare agli aspe enogastronomici.
T R E N TO
18-19-20
SETTEMBRE
XVI
bitm
SEDICESIMA
BORSA
INTERNAZIONALE
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MONTANO
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Arrivata alla XVI edizione, la Borsa Internazionale del
turismo montano arriva a Trento e si propone, anche
per questo 2015, come un momento importante per
la promozione del territorio alpino. Il «cuore»
dell'iniziativa è rappresentato dal Salone Vacanze
Montagna, la mostra mercato sul turismo e i prodotti
di montagna che sarà allestita in Piazza Fiera a Trento
nelle giornate di sabato 19 e domenica 20 settembre.
Dentro la scenografia delle mura medievali della città
sarà possibile incontrare enti culturali e museali,
istituzioni e operatori privati che lavorano «per» e
«con» la montagna.
T R E N TO
18-19-20
SETTEMBRE
XVI
bitm
SEDICESIMA
BORSA
INTERNAZIONALE
DEL TURISMO
MONTANO
INFO:
SEGRETERIA
ORGANIZZATIVA
0461 434200
www.bitm.it
STUDIO BI QUATTRO
OUTDOOR ART
LUCE e design srl
Via Vienna, 56 - 38121 Trento
Tel. 0461 950915 - [email protected]
www.lucedesign.it