Affiliazione, Attrazione, Amicizia
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Affiliazione, Attrazione, Amicizia
Affiliazione, attrazione, amicizia 1. Introduzione 2. In quali circostanze si cerca la compagnia di altre persone? 3. Le motivazioni dell’affiliazione: perché le persone cercano la compagnia reciproca? 4. Forme di attrazione 5. Adolescenza e affiliazione 6. Gli effetti dell’affiliazione 7. Mancanza di affiliazione e solitudine 8. Attrazione e sviluppo dell’amicizia Desideri, paure, certezze: una indagine su un campione di adolescenti I gruppi sociali 1. Aspetti strutturali dei gruppi: status, ruoli e norme 2. Appartenenza ai gruppi e identità sociale 1 Affiliazione, attrazione, amicizia 1. Introduzione Nell’adolescenza, la partecipazione alle compagnie e i rapporti di amicizia con i coetanei costituiscono un elemento forte di costituzione delle competenze sociali e di riorganizzazione del sé. Anche se la letteratura scientifica ha messo in luce come le relazioni tra coetanei comincino ad essere significative già a partire dall’infanzia, grazie a una organizzazione sociale che prevede già per i bambini ancora piccoli occasioni di incontro e di scambio, è soprattutto nell’adolescenza che l’appartenenza al gruppo di amici e coetanei e le relazioni di amicizia acquisiscono un valore centrale per la vita degli individui (Palmonari 2001). L’affilizione, intesa come la “tendenza a ricercare la compagnia delle altre persone, a prescindere dai sentimenti che si provano nei loro confronti” è stata ed è oggetto di elaborazione teorica e di ricerca empirica (Buunk, 1998). La psicologia sociale ha cercato, in particolare, di dare risposte alle seguenti domande: - che cosa è che ci spinge a formare relazioni con gli altri? - perché ci capita di provare subito simpatia per alcune persone, ma non per altre? - quali sono le forme dell’attrazione? - come si sviluppano le amicizie? - quali sono i processi alla base dello sviluppo delle relazioni profonde? Verranno presentate alcune della risposte che la psicologia ha fornito a tali domande. Si vedrà inoltre in che misura tali risposte siano rilevanti anche per le relazioni tra coetanei nell’adolescenza. 2 2. In quali circostanze si cerca la compagnia di altre persone? Esistono alcune circostanze nelle quali è più probabile che si cerchi la compagnia di altre persone. Fox (1980), chiedendo di indicare, per una grande varietà di situazioni, in quali si sarebbe preferito restare da soli e in quali, invece, avere la compagnia di altre persone ha ottenuto questi risultati: - si preferisce restare da soli nelle condizioni spiacevoli e in quelle che richiedono concentrazione - si preferisce avere la compagnia di altre persone nelle condizioni piacevoli e divertenti e nelle condizioni minacciose. Gli psicologi hanno dedicato particolare attenzione all’affiliazione che si osserva in una situazione avvertita come minacciosa e stressante, cercando di capire quali possano essere le ragioni per le quali le persone cercano la compagnia reciproca quando si trovano in queste situazioni. 3. Le motivazioni dell’affiliazione: perché le persone cercano la compagnia reciproca? Le ricerche hanno indicato tre motivazioni: a) il confronto sociale b) la riduzione dell’ansia c) la ricerca di informazioni Attraverso il confronto sociale è possibile confrontare i propri atteggiamenti, le proprie abitudini, capacità ed emozioni con quelle degli altri allo scopo di 3 valutarne la loro correttezza e adeguatezza. Secondo la teoria del confronto sociale (Festinger, 1954), in una situazione ambigua, incerta, l’affiliazione con altre persone che si trovano nella medesima situazione, può permettere di valutare l’appropriatezza delle proprie risposte, sia sul piano emozionale, cognitivo e comportamentale. Anche il desiderio di dominare l’ansia può spiegare la ricerca di altre persone in situazioni di stress, persone che possano offrire sostegno e rassicurazione. Il fatto che di fronte a una situazione minacciosa si cerchi la compagnia di qualcuno più esperto, in grado di valutare in maniera adeguata l’entità della minaccia e in possesso degli strumenti per farvi fronte è indicativo di come, tra le ragioni della ricerca del contatto con altre persone, vi sia anche il bisogno di ottenere informazioni. Queste tre motivazioni non si escludono a vicenda, al contrario, possono essere presenti nella stessa situazione. 4. Forme di attrazione Si possono distinguere due tipi di attrazione che possiamo provare per gli altri: − l' ATTRAZIONE PERSONALE? si situa verso il polo interpersonale del continuum lungo il quale si collocano tutte le relazioni, polo che è associato all'identità personale. E' idiosincratica, si delinea nel corso dei rapporti interpersonali, ha come bersaglio individui unici, non intercambiabili; è altamente personalizzata; − l' ATTRAZIONE SOCIALE? si situa verso il polo intergruppi del continuum, associato all'identità sociale. E' un legame basato sull'attrazione fra individui in quanto appartenenti ad un gruppo sociale; è per sua natura un legame depersonalizzato perchè si basa sulla prototipicità di gruppo. Al limite si può avere attrazione sociale senza attrazione personale per un membro specifico del gruppo. 4 L'attrazione sociale è un fenomeno di gruppo, mentre l'attrazione personale è un fenomeno interpersonale che non ha nulla a che fare con i gruppi. Lo schema che segue riassume una serie di elementi che vengono considerati basilari per l’ATTRATTIVITA’ ESERCITATA DAL GRUPPO (De Grada 1999). ? Attrazione esercitata dal gruppo in quanto gruppo Attrazione esercitata dai membri di un gruppo Attrazione esercitata dalle attività di gruppo Bisogno di sicurezza e di sostegno sociale: costituisce una fonte informa-tiva per interpretare la realtà e la propria posizione in essa ? consente di verificare le proprie ipotesi e decisioni Bisogno di dipendere da altri e di esercitare potere sugli altri Piacere del rapporto reciproco in funzione di bisogni di simpatia, di contatto umano bisogni di comunicazione, di valorizzazione, di confronto sociale Bisogni specifici (svolgere una particolare attività manuale o mentale) Bisogni generali (attualizzare le proprie capacità, sentirsi unito agli altri in uno sforzo comune, farsi valere) Valore specifico degli scopi Attrazione esercitata dagli scopi del gruppo Altri fattori collegati: il successo connesso al raggiungimento degli scopi, mantenere-rafforzare l’autostima, ricevere valutazioni positive, mettere alla prova le proprie capacità Attrazione esercitata Il gruppo può soddisfare una serie di dal gruppo in quanto strumento per bisogni non direttamente connessi alle perseguire scopi ad esso esterni sue proprietà specifiche e generali 5. Adolescenza e affiliazione 5 Tra le motivazioni che spingono gli adolescenti a frequentare il proprio gruppo, “parlare con persone che hanno gli stessi problemi”, “avere qualcuno con cui confidarsi”, “affrontare insieme ad altri le difficoltà” “risolvere i problemi che non possono essere affrontati in famiglia” “fronteggiare i pericoli” “scambiarsi esperienze” “capire come va il mondo” sono tra le più sentite (Amerio et al. 1990). Sembrerebbe, pertanto, che le stesse ragioni che la ricerca sperimentale ha individuato come fattori determinanti l’affiliazione possano valere anche in questa particolare fase della vita, fase nella quale i cambiamenti e la necessità di affrontare i compiti di sviluppo tipici di questo periodo della vita possono costituire una fonte di stress. Anche se la prospettiva dalla quale oggi si osserva l’adolescenza non è più quella che era stata sintetizzata nell’espressione “storm and stress”, l’adolescenza costituisce, al pari di altre fasi della vita, un momento di transizione che pone chi l’attraversa di fronte a una serie di compiti, tutti connessi alla ridefinizione della propria identità personale, della propria posizione nel mondo e della prefigurazione della propria vita futura, in assenza di precedenti esperienze che possano fungere da guida e da punto di riferimento. La vicinanza dei coetanei, più o meno esperti, che si trovano “nelle medesime condizioni” può costituire una indispensabile fonte di confronto sociale, di riduzione dell’ansia e di informazione. Esistono molti dati che dimostrano che l’affiliazione e la prossimità fisica possono favorire l’amicizia. 6. Gli effetti dell’affiliazione Le persone trovano ciò che cercano di raggiungere attraverso l’affiliazione? Anche se esistono prove a favore di un effetto dell’affiliazione nella riduzione dello stress, a volte l’affiliazione può rafforzare l’ansia e l’angoscia, anziché ridurle. Questo spiega perché si preferisca restare da soli quando si teme che la 6 presenza altrui possa aumentare, piuttosto che far diminuire il proprio stato di ansietà. Ad esempio, si preferisce non confidare le proprie paure per il timore che le reazioni altrui non possano fare altro che peggiorare il proprio stato. Si evita il contatto con altre persone, in una situazione stressante anche quando lo stress è fonte di imbarazzo. L’imbarazzo riduce infatti la tendenza all’affiliazione, anziché rafforzarla. Il sostegno sociale offerto dagli altri viene distinto generalmente in quattro componenti: - sostegno emozionale (sentire che c’è qualcuno che si prende cura di noi, sentirsi amati e apprezzati) - sostegno di appraisal (feedback e confronto sociale sul modo di valutare le cose) - sostegno informativo (informazioni sul modo in cui affrontare gli eventi) - sostegno strumentale (ricevere aiuto concreto) Le prime tre forme di sostegno corrispondono alle tre funzioni dell’affiliazione in condizioni di stress, sopra citate. In diverse situazioni, anche diverse tra loro, si è osservato che il sostegno sociale produce effetti positivi sulla riduzione dello stress: le persone possono parlare con qualcuno da cui si sentono accettate, possono ricevere un feedback negativo senza sentirsi rifiutate e possono sentirsi rassicurate sul proprio valore come persone. Si è parlato di un “effetto tampone” del sostegno sociale: con questa espressione ci si riferisce al fatto che le persone che percepiscono un sostegno sociale sono meno influenzate dagli eventi negativi e dalle situazioni stressanti rispetto a quelle persone che, al contrario, avvertono una mancanza di sostegno degli altri. Anche se esistono molti dati a favore dell’effetto positivo suscitato dal fatto di poter condividere con altre persone le proprie preoccupazioni e paure, in alcuni casi si è osservato però un effetto paradossale, per il quale è stata coniata l’espressione “effetto della pentola a pressione”: se le persone discutono delle 7 proprie paure con altre persone che hanno le medesime paure, corrono il rischio di sentirsi ancora più preoccupate a seguito della discussione. Ciò significa che, perché si eserciti un vero sostegno, l’interazione in sé non basta: essa deve fornire quegli elementi, di rassicurazione, feedback e informazione che trasmettono all’individuo messaggi positivi sulla sua condizione e sulle sue possibilità di far fronte alla situazione e hanno un effetto positivo sull’autostima. 7. Mancanza di affiliazione e solitudine La solitudine è una risposta emotiva che origina dalla percezione dell’insufficienza delle proprie relazioni sociali. La percezione della mancanza di affiliazione, di relazioni sociali soddisfacenti si tramuta in un sentimento di solitudine. Esistono due forme fondamentali di solitudine: - l’isolamento emozionale, che origina dalla mancanza di una relazione profonda, di relazioni romantiche e di attaccamento; - l’isolamento sociale, che deriva dalla mancanza di amicizie e dall’assenza di una rete sociale. La solitudine comprende quattro tipi di sentimenti ed esperienze: - la disperazione (sentirsi disperati, in preda al panico, impotenti e abbandonati) - la depressione (sentirsi depressi, tristi, vuoti, addolorati) - la noia impaziente ( sentirsi a disagio, impazienti, annoiati, incapaci di concentrarsi) - l’autodisapprovazione (sentirsi non attraenti, stupidi, insicuri). 8 I risultati di una ricerca condotta su un campione di adolescenti che ha preso in considerazione, tra l’altro, le paure che questi nutrono per il proprio presente e futuro, indicano che una della più grandi paure è proprio quella della solitudine. (vedi “Desideri, paure, certezze: una indagine su un campione di adolescenti”) 8. Attrazione e sviluppo dell’amicizia Esistono molti dati che dimostrano che affliliazione e prossimità fisica possono favorire l’amicizia. Molte ricerche hanno mostrato che il semplice fatto di trovarsi fisicamente vicini a un altro individuo favorisce l’ attrazione e rafforza la probabilità di diventare amici. L’attrazione non conduce necessariamente all’amicizia; l’ amicizia implica di più e cioè una relazione interdipendente che prevede la possibilità di coordinare le azioni e prendere in considerazione gli interessi dell’altra persona. La vicinanza favorisce l’ attrazione per varie ragioni: in primo luogo, esistono meno barriere allo sviluppo dell’amicizia con qualcuno che si trovi accanto a noi. Ciò è tanto più probabile se, come nel caso dei preadolescenti, le pssibilità di spostamento possono essere ancora limitate. In secondo luogo, trovarsi regolarmente in compagnia di un’altra persona permette di ottenere più informazioni su di lei e di scoprire interessi condivisi e atteggiamenti simili. In terzo luogo, la vicinanza può favorire l’ attrazione mediante l’ ”effetto della mera esposizione”: numerose ricerche sperimentali hanno dimostrato come maggiore è la frequenza con la quale un individuo è in contatto con un altro, maggiore è la simpatia provata nei suoi confronti. Gli effetti della vicinanza ambientale sull’attrazione possono dipendere da una molteplicità di fattori. Innanzitutto, questi effetti sono molto pronunciati quando i soggetti sono molto simili. Infatti, la vicinanza può anche far diminuire l’atrazione, se rende più evidenti le caratteristiche spiacevoli degli altri. 9 La somiglianza di atteggiamenti è un fattore molto efficace nel favorire l’attrazione e l’amicizia. Numerosi esperimenti hanno mostrato che l’attrazione varia direttamente in rapporto alla proporzione di atteggiamenti simili (legge dell’attrazione). Nella formazione dei gruppi spontanei nella preadolescenza e adolescenza, questo fenomeno è particolarmente evidente. Due fattori influenzano la relazione tra somiglianza di atteggiamenti e attrazione: maggiore è la differenza di atteggiamenti, minore è l’attrazione. Inoltre, più l’atteggiamento sarà importante per un individuo, più la somiglianza di atteggiamenti influenzerà l’atrrazione. Per quale ragione la somiglianza di atteggiamenti è così importante? Secondo la teoria del confronto sociale, quando confrontiamo le nostre opinioni su argomenti nuovi (e rilevanti per noi) possiamo ricavare più vantaggi parlando con persone che abbiano atteggiamenti simili ai nostri, che con persone che abbiano atteggiamenti molto diversi. Anche se il nesso tra somiglianza di atteggiamenti e attrazione è molto forte, va specificato che: - non è la somiglianza di per sé che è importante per la formazione delle amicizie, ma piuttosto la somiglianza nelle preferenze per le attività di tempo libero; - in condizioni di forte incertezza e confusione, gli individui possono sentirsi più attratti da una persona diversa, perché può fornire presumibilmente una maggiore quantità di informazioni nuove e una prospettiva diversa con la quale osservare una data situazione. Questo sigmificherebbe che i bisogni cognitivi possono essere più importanti del valore emotivo della somiglianza di atteggiamenti. Anche quando i fattori ambientali sono favorevoli, ed esiste anche una forte somigliamza di atteggiamenti, non è detto che si formi un’amicizia tra due persone. Secondo la teoria dello scambio sociale, affinché ciò accada, affinchè si instauri una relazione stabile è necessario che la simpatia sia reciproca. Ciò che caratterizza una amicizia è dunque la presenza di una attrazione reciproca. L’atrazione reciproca può generare l’interdipendenza volontaria, che è tipica dell’amicizia: gli amici sono disponibili a coordinare i propri comportamenti e a prendere in considerazione gli 10 interessi dell’altro. Diversamente da altre forme di relazione, questa interdipendenza è volontaria e si fonda sull’attrazione reciproca. Godere della reciproca compagnia è un criterio centrale per definire qualcuno come amico, anche se l’intimità, l’ affetto e l’assistenza reciproca sono anch’esse caratteristiche dell’amicizia. L’amicizia è caratterizzata da norme e regole particolari: - offrire aiuto in caso di bisogno - rispettare la privacy dell’amico - mantenere i segreti - mostrare fiducia e confidarsi reciprocamente - prendere le difese dell’altro in sua assenza - non criticare l’altro in pubblico. Anche nel caso del gruppo dei coetanei nell’adolescenza, si osserva come chi tiene a farne parte non può sottrarsi alle regole. I contenuti concreti delle regole sono individuabili in relazione alle caratteristiche sociali e culturali dell’ambiente entro cui il gruppo stesso si forma e risulta colegato alla costellazione di valori e ai sistemi socioculturali cui il gruppo fa riferimento. Non tutte le norme hanno la stessa intensità: l’intensità è molto bassa nelle “aree” poco rilevanti per la vita del gruppo e degli adolescenti che lo compongono. Le norme concernenti la lealtà verso gli amici e il rispettare gli impegni presi con loro sono considerate norme ad “alta intensità”, mentre quella di non frequentare altri gruppi appare avere un’intensità limitata (Palmonari, 2001). 11 Bibliografia Hewstone M., Stroebe W. e Stephenson G.M. (1998) Introduzione alla psicologia sociale, Il Mulino, Bologna Palmonari A. (2001) Gli adolescenti, Il Mulino, Bologna Speltini G. e Palmonari A. (1999) I gruppi sociali, Il Mulino, Bologna 12 Desideri, paure, certezze: una indagine su un campione di adolescenti (da Berti, 1997) 1. La ricerca La centralità del rapporto con i coetanei, assieme a quella del rapporto con la famiglia, emerge anche da una ricerca condotta su un campione di ragazzi dai 16 ai 22 anni (Bologna, Milano e Roma) attraverso delle interviste in profondità (Berti 1997). La ricerca fu avviata dal Landis (Laboratorio Nazionale per la Didattica della Storia) di Bologna in collaborazione con il Centro di Documentazione delle Donne di Bologna. Il progetto, intitolato “Individualità, generazioni e popolazioni giovanili: tracciati, valori e cornici” si proponeva di approfondire la soggettività di ragazzi e ragazze tra i sedici e i venti anni rispetto ai processi di costruzione dell’identità, ai valori di riferimenti, alle diverse appartenenze. Un aspetto che la ricerca ha esplorato è stato quello dei desideri, delle paure e delle certezze. I desideri riguardano i cambiamenti per il presente, i progetti e le aspettative per il futuro ma anche le fantasticherie di viaggi verso mete lontane e le aspirazioni per stili di vita inconsueti. Ai desideri, alle fantasie e ai progetti si contrappongono, con diversa intensità, alcune paure, l’analisi delle quali consente di cogliere le preoccupazioni e per l’avvenire. Non sempre le certezze possedute riescono a costituirsi come risorse sufficienti a contrastare, neutralizzandole, queste paure tanto che, a volte, queste sembrano dominare le prospettive per il futuro dei giovani intervistati. 13 2. I desideri della vita quotidiana Abbiamo analizzato i desideri della vita quotidiana, attraverso le risposte date alla domanda: “Che cosa avresti voluto fare nel corso della giornata che hai appena descritto e che invece non hai fatto?” A questa domanda – posta sia per la giornata feriale che per quella festiva – gli intervistati hanno risposto fornendo una serie di temi che sono stati raggruppati nelle seguenti categorie, presentate in ordine di frequenza con cui sono state indicate: 1. niente di diverso 2. uscire con gli amici 3. dormire, riposare 4. vedere il/la ragazzo/a 5. andare al mare 6. fare sport 7. occuparmi dei miei hobby 8. non perdere tempo 9. qualsiasi cosa diversa dallo studio o dal lavoro 10. qualcosa di più interessante 11. leggere, vedere un film 12. stare in famiglia 13. fare acquisti. In generale, dalle risposte si colgono tre diversi stati d’animo:soddisfazione per come si è passata la giornata, desiderio di qualche cosa di diverso seppure in assenza di una capacità propositiva, organizzativa e, prima ancora, immaginativa, insoddisfazione. Per molti, dunque, la giornata è andata bene così come è andata; tra chi risponde dicendo che non avrebbe voluto fare niente di diverso da quello che effettivamente 14 si è fatto troviamo sia chi è soddisfatto poiché tutto è andato secondo i propri desideri e piani sia chi dichiara di non riuscire a immaginare per sé una diversa possibilità di riempire e organizzare il proprio tempo. Altri invece sono insoddisfatti, per diverse ragioni: alcuni avrebbero voluto vedere gli amici o passare comunque più tempo in loro compagnia, andare in giro insieme a loro, stare a chiacchierare, andare in centro o magari “in qualche posto occupato a far baldoria”; altri avrebbero preferito vedersi con la partner, altri ancora passare un po’ di tempo con i genitori o i nonni. C’è chi manifesta il bisogno di fare qualche cosa di diverso dal solito pur non sapendo da dove iniziare e chi vorrebbe cambiare il modo di passare il tempo libero, guardando meno televisione, perdendo meno tempo con gli amici, realizzando, da soli o in gruppo, qualcosa di più serio e costruttivo. Una minoranza indica, infine, alcune attività precise alle quali si sarebbe voluta dedicare, senza tuttavia averlo potuto fare. Si tratta pwr alcuni di attività sportive, per altri la lettura, dello studio o della visione di un film. Alcuni, una piccola minoranza, avrebbe voluto dedicarsi ad attività manuali e artistiche. Viene spesso fatto riferimento esplicito al rapporto con il tempo. Questo rapporto è spesso problematico per molti degli intervistati e lo è in modi diversi. per alcuni, il tempo “vola”: si vorrebbe avere più tempo per realizzare tutto quello che si ha in mente. Questo sentimento di scarsità del tempo disponibile è proprio di quei ragazzi e ragazze che hanno già una giornata scandita da numerose attività e che mostrano di avere impegni e interessi molteplici. Questa dimensione di investimento del tempo e della sua finalizzazione a un progetto è invece assente nelle risposte di quei ragazzi con un’agenda individuale meno fitta di impegni, di quei ragazzi per i quali il tempo passa senza che ci sia la possibilità o la capacità di riempirlo e organizzarlo. Il vero protagonista delle giornate di questi ragazzi sembra essere il tempo vuoto, un tempo privo di occasioni, un tempo che non si sa padroneggiare e vivere con un atteggiamento positivo, un tempo al quale è impossibile assegnare un qualsiasi valore, un significato. E’ un tempo della noia, per mancanza di possibilità, ma soprattutto per mancanza di desiderio, per una debolezza della tensione verso il fare. 15 Il rapporto con il tempo non è problematico per tutti gli intervistati. Tra chi dice di essere contento della propria giornata, non c’è solo chi ritiene di avere investito il proprio tempo in un progetto unitario e coerente ma anche chi si è “preso tempo”, con assoluta libertà senza porsi problemi di senso, restrizioni o finalizzazioni. Il presente è vissuto intensamente; al tempo lungo e ricco della vita quotidiana ci si rivolge con un atteggiamento positivo e privo di angosce. Di particolare interesse risulta l’analisi delle ragioni per le quali non si è potuto realizzare ciò che si desiderava. Accanto a ragioni derivanti da vincoli esterni (motivi di studio, di lavoro, problemi logistici, cattivo tempo) nella maggioranza dei casi non si fa riferimento a ostacoli precisi se non quelli derivanti dalla mancanza di “metodo” nella gestione del tempo e della presa di decisione, sia personale sia di gruppo. Molti infatti spiegano che hanno perso tanto tempo senza riuscire a prendere una decisione, senza concludere niente di preciso, senza sapere che cosa fare, senza riuscire a mettersi d’accordo con gli amici. Alcuni dichiarano di non fare niente di diverso perché non trovano stimoli nel loro ambiente di vita, né ispirazioni né possibilità concrete. Altri ancora, come dice una ragazza, “hanno la testa con troppi problemi e troppe domande che non lasciano spazio per un desiderio”. Infine, c’è chi dichiara di non trovare in sé la forza per opporsi a routine sempre più vuote e monotone e così “non si riesce a non guardare la televisione”, e si finisce per acconsentire alle proposte degli amici anche quando si resterebbe volentieri in casa per attività più costruttive. Un aspetto che ricorre nelle diverse risposte è quello della relativa libertà della quale gli intervistati sembrano godere: tra le ragioni che hanno impedito la realizzazione dei desideri non ci sono quasi mai divieti da parte dei genitori; sono inoltre pochi quelli che deplorano la mancanza di risorse economiche. In definitiva, mentre alcuni sembrano sperimentare quella che sembra essere una condizione tipica dei nostri tempi – un eccesso di possibilità rispetto alle possibilità reali di fruizione e una conseguente difficoltà a gestire il sovraccarico di sollecitazioni e di offerte – altri esprimono, al contrario, la frustrazione per una mancanza di sollecitazione e di possibilità. Saturazione per eccesso di stimoli e 16 vissuti di deprivazione si alternano nelle risposte degli intervistati. Che si tratti di diverse definizioni di una medesima condizione o di delusioni giustificate da realtà oggettivamente diverse non è dato saperlo. Tale variabilità nei vissuti della vita quotidiana dovrebbe tuttavia, in ricerche quantitativamente più estese, essere messa in relazione con quei fattori che possono esercitare sia un’influenza sulla capacità personale di organizzazione della vita quotidiana quali, ad esempio, lo stato socioeconomico e la condizione scolastico/lavorativa, sia correlarsi ad una effettiva disparità di risorse e di possibilità di un uso consapevole e sensato del tempo libero. L’incapacità di organizzazione e di immaginazione scompare quando, dal piano reale, si passa a quello fantastico. Vedremo infatti come l’immaginazione e il desiderio siano riservati a quei mondi lontani e diversi dove ci si pensa capaci, autonomi, soli, pieni di vita e di curiosità. 3. Il viaggio immaginario “Immagina di partire per un viaggio immaginario: dove pensi di andare, perché, per quanto tempo?” Dalle risposte a queste domande siamo risaliti al contenuto di quella sorta di “valigia psicologica” che ciascun viaggiatore porta con sé. L’analisi del contenuto di pre-conoscenze, aspettative, pregiudizi che troviamo nella valigia psicologica ci permette di risalire alle caratteristiche dei loro proprietari. Infatti, attraverso la scelta del luogo, le categorie interpretative, i sistemi di classificazione dell’ambiente, i modi di agire nei suoi confronti, le motivazioni che sostengono il viaggio e il tempo che ad esso si destina, possiamo risalire ai valori, alle aspirazioni e all’immagine di sé proprie di ogni individuo; possiamo in questo modo cogliere la relazione tra dimensioni inerenti la percezione dell’ambiente con elementi peculiari dell’identità dei soggetti (de Rosa, 1995). 17 Elenchiamo le destinazioni indicate dai ragazzi e ragazze intervistati. Anche in questo caso, le categorie di risposta sono ordinate secondo la frequenza con la quale è apparsa. 1. Usa 2. Tropici 3. Australia 4. Paesi europei 5. America latina 6. Amsterdam 7. Giappone 8. Africa 9. Cuba 10. Oriente Per ciascuno di questi luoghi, la valigia psicologica è piena di immagini, emozioni e conoscenze. Al primo posto, in questa lista di destinazioni di un viaggio immaginario, troviamo gli USA. Gli USA sono una meta ambita per ragioni diverse e anche opposte: grandi praterie, metropoli e bassifondi. Le città sognate sono New York e Los Angeles. Si va negli USA perché comunque tutti ne parlano, “per fare cose strane”, per sentirsi liberi, per divertirsi, perché “là, ognuno è libero di fare ciò che più desidera” e perché – specie a Los Angeles – “sono tutti belli e abbronzati”. Mito della lontananza e del bon savage affiorano nelle risposte di molti dei ragazzi intervistati: l’Australia, il luogo della natura incontaminata, è scelta perché è il posto lontano per eccellenza, dove solo pochi si spingono. L’Australia è anche quel mondo nel quale progresso e tradizione convivono. Per questa medesima ragione, si desidera andare in Giappone. Altre mete vengono scelte perché invece non sono state ancora raggiunte dal “progresso”, perché permettono di conoscere il folklore e le culture tradizionali, stare nella natura e “vivere dei frutti degli alberi”. 18 Nessuno pensa di servirsi di agenzie di viaggio, di partire con un gruppo organizzato, anche se non sembrerebbero potersi in verità affidare a una particolare esperienza di viaggio. Siamo però, bisogna ricordarlo, in una dimensione di immaginazione e non di realtà. Per quanto riguarda la durata della permanenza, la maggioranza pensa di trattenersi solo qualche settimana, qualche mese al massimo. Quasi nessuno inoltre parte con un biglietto di sola andata: in ogni caso, si ritorna. In merito alle ragioni che portano a scegliere queste mete, troviamo una varietà di risposte: c’è chi si accontenta di fare lo spettatore – seppure da altri guidato mentre altri, molti, manifestano intenzioni più impegnative. Alcuni viaggiano per conoscere mondi diversi, per essere a contatto con culture, abitudini e punti di vista diversi dai propri. Non mancano i viaggi mirati a vedere da vicino uno specifico fenomeno o movimento al quale si è interessati: Cuba è scelta per la rivoluzione, Manchster per i Thake That, il Giappone per le arti marziali, Londra per i punk e il Sud Africa per la lotta all’apartheid. Alcuni partono per cercare se stessi e per avere occasioni di crescita personale, altri progettano di riposarsi, divertirsi, fare spese, vedere spiagge e “fare la vita dei telefilm”. C’è che vorrebbe avviare un’attività imprenditoriale, “fare il medico senza frontiere” o “la suora laica”. Alla quotidianità vissuta in un luogo sicuro e, come vedremo tra poco, in una cerchia ristretta di persone care e affidabili, si contrappone la vita immaginata in un luogo avventuroso e “sconosciuto”; alla sedentarietà praticata nella vita quotidiana, la simpatia per un’esistenza vagabonda e incerta. Si tratta, come vedremo dai desideri che gli intervistati esprimono per il proprio futuro e come abbiamo già osservato a proposito delle aspirazioni per il presente, di “avventurieri” per lo più passivi, convinti che mai quei sogni si avvereranno. I ragazzi intervistati fanno pensare infatti più all’avventuriero passivo descritto da McOrlan che a persone capaci effettivamente di arrischiarsi in viaggi come quelli descritti. Nella realtà quotidiana, infatti, molti confessano di “non essere mai andati a sud di Rimini” e pochissimi degli intervistati ha fatto un viaggio. 19 Al tranquillo benessere quotidiano si contrappone il rischioso piacere del viaggio; è solo in quei mondi lontani e diversi che i nostri intervistati pensano sia possibile realizzarsi e crescere. 4. Il futuro prossimo Dei desideri di sperimentazione di sé, di confronto con il rischio, di adozione di punti di vista diversi, di confronto con altre culture, non resta traccia nelle risposte alla domanda “ Come immagini il tuo futuro?”. Queste risposte possono essere così sintetizzate: a) la maggioranza dei ragazzi e ragazze risponde, invariabilmente, che non riesce ad immaginarlo, a vederlo; b) molti tendono a presentare, così come dice un ragazzo, “ un programma, piuttosto che un progetto”, obiettivi a breve e a medio termine, come concludere gli studi e iscriversi all’università. Pochi infatti sono quelli che indicano una professione, un lavoro, un interesse, un progetto o un sogno. Chi lo fa, spesso desidera fare lo stesso lavoro del padre o comunque utilizzare risorse provenienti dalla famiglia; c) per alcuni intervistati, il presente appare essere vissuto in continuità con il futuro; si tratta di quegli adolescenti capaci di elaborare piani e progetti pur senza arrivare quasi mai a una mera strumentalità e subordinazione del presente rispetto al futuro. Il desiderio di realizzare progetti, di portare a termine gli impegni in molti casi sembra infatti costituire più una affermazione di principio che un piano preciso; 20 d) molti indicano obiettivi di crescita personale, di ricerca della propria interiorità, di realizzazione di sé, di bisogni di profondità, di arricchimento culturale, di ritmi meno frenetici; e) all’opposto, altri sperano di vincere alla lotteria, di avere molti soldi, di divertirsi, di avere una vita priva di assilli e doveri; f) si alternano progetti a contenuto grandioso (sconfiggere l’AIDS) a obiettivi rinunciatari e di pura sopravvivenza (“fare piccoli lavoretti”); g) a molti basterebbe un lavoro qualsiasi, pur di essere autosufficienti mentre altri desiderano un lavoro che permetta una realizzazione di sé; h) chi già lavora manifesta la certezza dell’impossibilità del cambiamento e di un miglioramento della propria condizione lavorativa; i) formarsi una famigli è un obiettivo per molti; j) si desidera restare vicino alla famiglia d’origine, continuare ad avere buoni rapporti con i genitori, potere essere loro di aiuto, farli contenti, vederli sempre in buona salute e “dare loro nipoti per renderli felici”; k) si desidera continuare a vivere nella propria città, vicino agli amici di sempre. 21 La gerarchia degli obiettivi espressa dagli intervistati, quando è stato loro chiesto loro di indicare quali siano le loro mete per il futuro, è la seguente: 1. sposarsi 2. crescere 3. rendersi utili alla società 4. avere figli 5. realizzarsi nel lavoro 6. fare l’università 7. lavorare 8. fare felici i genitori 9. avere una vita tranquilla 10. essere felici 11. avere salute In generale, gli intervistati collocano al primo posto quegli obiettivi che si riferiscono, in forme diverse, al tema della maturazione personale e della costruzione dell’identità. Questo tema era emerso già nelle fantasie di viaggio. Nei progetti per il futuro, il desiderio di crescita personale non riesce tuttavia ad ancorarsi a un piano preciso, concreto e coerente rispetto ai fini. Così, come nella vita quotidiana non si riesce né a trovare né a pensare qualcosa di diverso, qualcosa che diverta un po’ di più, che non lasci con la sensazione di aver perso tempo senza averlo potuto riempire di qualcosa che abbia dato un senso alla giornata, anche nella percezione del futuro il desiderio di crescere non trova una cornice che renda tale desiderio plausibile e realizzabile. Colpisce nelle risposte dei ragazzi il fatto che essi stessi non riescano a credere fino in fondo di essere in grado di raggiungere le mete prefissate e il tono generale è quello di rinuncia, di ripiegamento verso aspirazioni di basso profilo e pertanto più realizzabili. Poiché le aspettative elevate portano con sé come contropartita il 22 rischio della delusione, solo abbassando il livello delle aspirazioni ci si libera dal potenziale costo della sconfitta. Si avverte, nelle risposte, mancanza di determinazione, poca resistenza alla frustrazione e paura di affacciarsi alla vita. 5. Le paure Dopo avere chiesto di immaginare il proprio futuro, abbiamo chiesto di rispondere alla seguente domanda: “C’è qualcosa che ti fa paura?” I temi emersi sono espressi nelle seguenti categorie, ordinate secondo la frequenza di apparizione nelle risposte degli intervistati. 1. il futuro 2. la mancata realizzazione di sé 3. la perdita dei valori 4. la solitudine 5. la propria incapacità 6. la morte e la malattia 7. le perdite delle persone care 8. la disoccupazione 9. la guerra 10. la mancanza di tranquillità 11. l’incomunicabilità Il tema che ricorre con più frequenza è quello del futuro; alcuni temono le incognite che a questo si accompagnano, i cambiamenti improvvisi, il rischio di perdere in un momento tutto ciò che più conta nella propria vita. Alcuni non sono neppure certi di “arrivare al 2000” e temono di morire da giovani. Altri invece prefigurano, con toni pessimistici o addirittura apocalittici, i costi del progresso tecnologico e i pericoli causati dal progressivo inquinamento. 23 Su questo sfondo, comune a molte interviste, altre paure si stagliano con contorni e intensità diverse. Una paura di segno opposto rispetto a quella appena descritta investe il presente e il futuro immediato: è quella della routine quotidiana e della ripetitività delle giornate. A questa paura si accompagna il timore di una vita destinata a un lavoro banale e segnata da obblighi e responsabilità. Da un lato, la catastrofe e dall’altro la routine senza emozioni. Alcuni temono un fallimento personale, l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati, la propria incapacità di far fronte alle situazioni, la mancanza di controllo sulla realtà e l’essere in balia di volontà altrui oppure di tendenze personali che non si riescono a modificare. Altri hanno paura di non riuscire trovare lavoro e raggiungere l’indipendenza economica; altri temono di non riuscire a fare bene il proprio lavoro e di non realizzarsi pienamente nella vita professionale. Alcune occupazioni sono viste come un segno inequivocabile di fallimento: fare il bidello, il ragioniere o, in generale, l’impiegato è il peggio che la vita possa riservare. La perdita dei valori etici, l’egoismo, l’individualismo, la vita imperniata su valori materiali, le guerre, la violenza e gli estremismi segnano, a giudizio di molti intervistati, il nostro tempo e sempre di più lo segneranno in futuro. Un’altra delle paure, che implica direttamente il sé e il rapporto con gli altri, è quella della solitudine e della separazione dalle persone care. I giovani intervistati temono due diversi tipi di solitudine: una solitudine esistenziale (“paura di restare da soli”, “paura di non avere amici”) e una solitudine più legata a certe situazioni o luoghi (“non vorrei trovarmi da sola in quel posto”). Si ha paura di perdere i genitori, gli amici, di non avere qualcuno vicino, un sostegno quando necessario. Come vedremo nel paragrafo successivo, ciò che infatti dà maggiore sicurezza è il legame con la famiglia e con gli amici e non stupisce pertanto che sia proprio la loro perdita ciò che più si teme. C’è infine chi dice di non avere nessuna particolare paura proprio perché non riesce ad immaginarsi nel futuro; se e quando arriveranno i problemi, questi 24 verranno affrontati uno alla volta e si “cercherà di raddrizzare le cose così come si è sempre fatto”. 6. Le risorse “C’è qualche cosa che ti dà sicurezza?” Le risposte a questa domanda danno indicazioni sulla percezione delle risorse e sul modo nel quale le paure, le ansie e le incertezze vengono affrontate dai ragazzi intervistati. 1. la famiglia 2. le risorse personali 3. i propri interessi 4. gli amici 5. nessuna 6. la coscienza 7. la continuità 8. il mio ragazzo 9. il lavoro 10. le persone vicine 11. le risorse materiali La ricerca di sostegno e di sicurezza si indirizza in primo luogo verso la sfera privata dei rapporti interpersonali. La sicurezza, come si può osservare da questa lista, proviene prevalentemente dai rapporti all’interno di una cerchia ristretta di persone – familiari, amici, partner – e da se stessi. Il senso di continuità con gli altri si estingue, per la maggior parte degli intervistati, nei ristretti confini della propria famiglia e neanche troppo allargata. Solo alcuni sembrano pensarsi come persone in continuità con altre persone, non per una prossimità fisica o contingente, ma per una condivisione di 25 principi, di visione del mondo e per un destino comune. La maggior parte dei ragazzi si percepisce come appartenente a una famiglia e ad un gruppo di amici. Al di fuori, non c’è nessun altro legame, nessuno e niente su cui contare, se non se stessi e le proprie forze. Dalle risposte si colgono diverse modalità di fare fronte alle difficoltà (strategie di coping): una consiste nel cercare di capire, di raccogliere le informazioni, di osservare e di farsi un’idea sulle cose; un altro modo è quello di intervenire sulle situazioni, con la volontà di andare avanti, di non perdersi d’animo e di vivere intensamente. C’è infine – e non si tratta di una minoranza – chi ritiene che l’unico modo per affrontare la vita sia quello di non farsi illusioni, non fare progetti, non pensare al futuro, non essere ottimisti, evitare i pericoli e seguire la maggioranza. Esplorazione, intervento, rinuncia: con queste tre modalità si affrontano le situazioni in questa fase della vita. Accanto a fattori di personalità che entrano in gioco nella formazione nel consolidarsi di un determinato stile di coping, va considerata anche l’influenza di fattori situazionali. Nel nostro campione, sembrano delinearsi due “fattori protettivi” nei confronti della rinuncia e della rassegnazione, della noia e della mancanza di desiderio: - un fattore è costituito dall’avere un lavoro o un hobby; chi si impegna abitualmente in un’attività manuale o in un lavoro artistico sembra esprimere una modalità più costruttiva di gestione dei problemi e nel rapporto con la realtà. Il potere strutturante per l’identità personale dell’agire materiale si intuisce nelle risposte di quei pochissimi intervistati che si dedicano a lavori manuali o ad attività artistiche; - il livello culturale elevato della famiglia – che si può tradurre in occasioni e stili di vita – è l’altro fattore che appare correlarsi, a una prima analisi, in maniera positiva con modalità di coping più funzionali a una gestione efficace dei problemi e ad un confronto meno sfuggente con i compiti di sviluppo. 26 Il fatto che sia la famiglia ad essere percepita come la fonte principale di sicurezza e di aiuto è in linea con i risultati dei rapporti IARD sulla condizione giovanile; come sostiene Cavalli nelle conclusioni del rapporto del 1993, “le aspirazioni e i desideri più forti dei giovani (ma, in realtà, di tutti) si indirizzano verso la sfera privata dei rapporti interpersonali di intimità e di vicinanza”. 7. I legami Alla domanda “Quali sono le persone alle quali sei più legato?”, così hanno risposto gli intervistati: 1. la madre 2. il padre 3. gli amici 4. il partner 5. i fratelli 6. i parenti I legami più importanti sono dunque quelli con la famiglia e gli amici. Anche quando si è impegnati in una relazione sentimentale, la sua importanza non supera mai quella che i ragazzi intervistati riconoscono al legame con la famiglia d’origine e all’amicizia tra coetanei. La priorità dell’amicizia sull’amore è testimoniata anche dal fatto che, spesso, per spiegare l’ importanza della relazione con il partner si dice che questo è un vero amico, l’amico più importante. I dati da noi raccolti non fanno che confermare la centralità delle relazioni amicali durante l’adolescenza e la prima giovinezza. Le stesse relazioni amorose sono valutate positivamente soprattutto quando assumono i caratteri dell’amicizia. Per quanto riguarda i rapporti con i genitori, le risposte date dai ragazi fanno pensare a genitori dotati di buone competenze relazionali e fanno intraveder in diversi casi rapporti paritari e per nulla segnati da conflittualità; le ragioni che 27 rendono importante il legame con la famiglia sono spesso simili a quelle che valgono per le relazioni tra coetanei: “ci divertiamo”, “mi posso fidare”, posso parlare tranquillamente”, “mi ascolta”. Ci si può chiedere in che modo questi rapporti possano contribuire alla formazione personale, allo sviluppo di una identità autonoma e differenziata, alla transizione alla vita adulta. La mancanza di allenamento al conflitto, alla rottura e alla ricostruzione in un ambiente protetto e mediato come quello familiare può far temere una possibile difficoltà sul paino personale a separarsi da questa famiglia. Il confronto con i modelli adulti che i genitori propongono non è problematico; come già detto, essi costituiscono riferimenti discreti che non creano tensioni.Accolgono e proteggono; da essi non ci si sente spinti al fare, ad essere diversi da quello che già si è. Non c’è neanche la voglia di essere diversi dai propri genitori. Tutto ciò rimanda al rischio – segnalato da numerosi studi (ad esempio, Cavalli e de Lillo, 1993) – di una permanenza nella condizione di figli, in uno stato di giovinezza senza fine, a una scarsa propensione all’autonomia e a una incapacità ad assumersi quegli oneri che la transizione verso la vita adulta comporta. Ci si chiede quanto possa incidere, sul paino relazionale, questa scarsa pratica di gestione dei conflitti e di poca esperienza della frustrazione. 28 Bibliografia Berti C. (1997) Desideri, paure e certezze. In N. Baiesi e E. Guerra, Interpreti del loro tempo. Ragazzi e ragazze tra scena quotidiana e rappresentazione della storia, Clueb, Bologna Cavalli A. e de Lillo A. (1993) Giovani anni ’90, Il Mulino, Bologna COSPES (a cura di) (1995) L’età incompiuta, Elle Di Ci, Leumann (Torino) Fabbrini A. e Melucci A. (1992) L’età dell’oro, Feltrinelli, Milano 29 I gruppi sociali 1. Aspetti strutturali dei gruppi: status, ruoli e norme (da Speltini e Palmonari 1999) 1.1 Introduzione Secondo Sherif, un gruppo è una struttura i cui membri sono legati da rapporti di status e di ruoli e in cui si delineano norme o valori comuni. La condizione necessaria alla formazione di un gruppo è l’interazione nel tempo di individui con motivazioni, interessi, problemi comuni. Le proprietà minime ed essenziali di un gruppo sono costituite da: a) una struttura ed una organizzazione dei ruoli dei membri, differenziata per funzioni e per potere o posizione sociale; b) una serie di norme e di valori che regolano il comportamento dei membri almeno nei settori di attività in cui il gruppo è più frequentemente impegnato. La concezione “strutturale” proposta da Sherif, i cui studi, avviati nel 1948, costituiscono un classico della psicologia sociale dei gruppi, può attagliarsi a gruppi di natura diversa e di varie dimensioni, dai piccoli gruppi di adolescenti alle grandi organizzazioni. Verranno ora presentate, in maniera schematica, alcune nozioni concernenti gli aspetti strutturali dei gruppi. 30 1.2 Status Il concetto di status si riferisce alla posizione che un individuo occupa in un gruppo e alla valutazione di tale posizione su di una scala di prestigio. Le differenziazioni di status danno luogo a gerarchie formali o informali. Gli indicatori di status sono almeno due: 1. la tendenza a promuovere iniziative (attività o idee) che vengono poi seguite dal resto del gruppo; 2. una valutazione consensuale del prestigio connesso ad un certo status. Come si produce lo status nei gruppi? − secondo la "corrente etologica" (Mazur, 1985) vi sono alcuni indizi percettivi che fin dalle prime interazioni di gruppo assegnano posizioni diverse ai membri, e in particolare assegnano la dominanza. Tali elementi sono: l'apparenza fisica, la statura, la muscolatura, l'espressione facciale, la capacità di fissare una persona finchè questa non distolga lo sguardo; − secondo la teoria degli "stati d'aspettativa" (Berger et al., 1980) i gruppi, fin dalle prime interazioni, hanno aspettative per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi e i contributi che ogni membro potrà offrire in tal senso. Le persone che presentano i tratti più congruenti con queste aspettative si vedranno assegnare una posizione di status più elevata. Entrambe le teorie hanno una loro validità, per quanto le successive interazioni possono confermare o non confermare i dati iniziali. 31 I cambiamenti di status nel gruppo sono sempre possibili, per quanto le assegnazioni di status siano caratterizzate da una certa stabilità in quanto i gruppi non possono cambiare di continuo la loro gerarchia interna. In ogni caso i cambiamenti di status si realizzano secondo una logica posizionale, per cui ad esempio se il capo viene rimosso o lascia il gruppo, verrà sostituito da qualcuno che nella gerarchia di gruppo occupa una posizione vicina a quella del leader (e non da un membro basso nella gerarchia). Inoltre, il muoversi da una posizione bassa ad una alta può avvenire con una certa difficoltà, soprattutto in gruppi strutturati da un certo periodo di tempo. 32 Le funzioni della differenziazione di status nei gruppi sono: − creare ordine e prevedibilità all'interno del gruppo; − coordinare le forze in vista del raggiungimento degli obiettivi; − permettere l'autovalutazione di ogni membro del gruppo (non di rado, tale autovalutazione all'interno del gruppo produce il fenomeno di adeguamento dei propri comportamenti alle attese di gruppo). Talora, i cambiamenti nella gerarchia interna di un gruppo sono provocati da eventi esterni, come il conflitto o la competizione con un altro gruppo. 33 1.3 Ruolo Il ruolo è l'insieme delle aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi una persona che occupa una certa posizione nel gruppo. Il ruolo riguarda, insomma, i comportamenti esibiti ed attesi dei vari componenti. Poichè ciascun ruolo si situa in una rete di reciprocità, il ruolo può essere definito come l'insieme di attività e relazioni che ci si aspetta da una persona che occupa una certa posizione all'interno di un gruppo o di una società e da parte degli altri nei confronti della persona in questione (Brofenbrenner, 1979). 34 Esperimento di Zimbardo sulla Stanford Prison (1972): partecipanti: 24 studenti universitari, maschi, selezionati in base al loro equilibrio psicologico, volontari, pagati per uno "studio psicologico sulla vita in prigione". A caso viene attribuito a 12 il ruolo di guardia, a 12 il ruolo di prigioniero. tempo previsto per l'esperimento: massimo 2 settimane. procedura sperimentale di partenza: le "guardie" partecipano il giorno prima dell'esperimento ad un incontro iniziale sui limiti etici e pratici della simulazione; i "prigionieri" vengono informati telefonicamente sul giorno d'inizio dello studio, nel quale viene simulato il loro arresto e chiusura in carcere. esperimento: in un seminterrato dell'Università di Stanford le guardie e i prigionieri simulano la vita di una prigione. risultati: − dopo neppure 2 giorni dall'inizio dell'esperimento, i "prigionieri" si ribellano contro le "guardie", che mettono in atto una serie di vessazioni per intimidire e ridurre all'obbedienza i "prigionieri"; − nel corso dei primi 4 giorni dell'esperimento, quattro "prigionieri" dovettero uscire dalla condizione sperimentale per gravi disturbi emozionali e psicosomatici; − le "guardie" mostrarono un aumento progressivo delle intimidazioni sui "prigionieri"; un terzo di loro andò ben oltre il mandato iniziale dell'esperimento; − dopo la ribellione, i "prigionieri" si attestarono in una posizione di passività e di rinuncia, dando segni di destrutturazione personale e di gruppo, che i ricercatori interpretarono come segni di perdita d'identità causata dalla violenza delle "guardie". In altre parole, la finta prigione divenne una vera prigione e i comportamenti osservati non erano espressione di caratteristiche stabili di personalità, ma modelli di risposta specifici di ruoli e istituzioni sociali (la prigione e, anche, l'università, nel cui contesto avviene l'esperimento). 35 Nei ruoli formali, presenti nelle varie organizzazioni sociali, vi sono aspetti definiti e in qualche modo "obbligati", per quanto nell'esercizio di un ruolo le persone possano introdurre elementi personali, possano cioè presentare stili di ruolo particolari (es. insegnanti, guardie dal "volto umano", ecc.). Lo stile di ruolo rientra negli aspetti soggettivi d'interpretazione del ruolo e si collega con le caratteristiche personali, i valori, i modelli di colui che impersona quel determinato ruolo. Fra i ruoli informali in un gruppo, Levine e Moreland (1990) fanno riferimento a quelli di leader, nuovo arrivato, capro espiatorio, mentre Baron (1992) aggiunge anche quello di clown (ruolo socio-emozionale). Bales (1953) distingue fra ruoli centrati sul compito e ruoli socio-emozionali. Le funzioni del ruolo sono: − facilitare il raggiungimento degli scopi del gruppo, con la divisione del lavoro fra i vari membri che assumono ruoli diversi (es. squadre sportive); − portare ordine e prevedibilità nel gruppo; − contributo all'autodefinizione (definire "chi sia" ciascuno all'interno del gruppo). 36 1.4 Norme Le norme sono scale di valore, che definiscono ciò che è accettabile e non accettabile per i membri di un gruppo, di una comunità o di una società. Esse possono essere definite anche come delle aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbero comportarsi i membri di un gruppo (*). (*) il ruolo riguarda, invece, le aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi un individuo particolare nel gruppo. Le norme sono un prodotto collettivo e non riguardano solo regole di comportamento, ma possono riguardare anche linguaggi particolari, abbigliamento, culto per certi tipi di musica, pratiche alimentari e salutiste, ecc. 37 Le norme possono essere: esplicite? es. regolamento scritto, deontologia di riferimento (come avviene nei gruppi formali) implicite? non sono scritte, né espresse direttamente, ma hanno ugualmente influenza e forza d'impatto centrali? si riferiscono a questioni che hanno conseguenze sull'esistenza e il funzionamento del gruppo periferiche? riguardano questioni considerate marginali dal gruppo 38 La formazione delle norme: l’esperimento di Sherif (1936) sull'effetto autocinetico. L’effetto autocinetico è un fenomeno di illusione ottica per cui in una stanza molto buia una piccola luce, fissa, sembra invece muoversi in ogni direzione. scopo dell'esperimento: studiare la formazione di norme in condizioni individuali e di gruppo, attraverso il giudizio espresso sull’ampiezza dell’oscillazione percepita. soggetti: 59 studenti maschi condizioni sperimentali: individuale (n=19)? i soggetti vengono esposti individualmente all'effetto autocinetico gruppo (n=40) ? questa condizione prevede due sotto-condizioni: 1) 20 soggetti vengono esposti all'effetto autocinetico prima da soli e poi in gruppo 2) 20 soggetti vengono esposti all'effetto autocinetico prima in gruppo e poi da soli compito dei soggetti: indicare di quanto si fosse mossa la luce (in realtà immobile). Ciascuno espresse circa un centinaio di giudizi nel corso di sedute in più giornate risultati: a) condizione individuale: i soggetti nel corso delle varie presentazioni elaborano una norma individuale nel campo di variazione del movimento (espressa dalla stima individuale dell’ampiezza dell’oscillazione del punto luminoso) c) condizione gruppo: la situazione di gruppo fa convergere i giudizi individuali, soprattutto nella sotto-condizione 2). Si riduce, in sostanza lo scarto tra le stime individuali e si converge verso una misura (norma) centrale. Si parla, a tale proposito, di un effetto di “normalizzazione” prodotto dall’interazione di gruppo. 39 Le norme assolvono a quattro funzioni: − AVANZAMENTO DEL GRUPPO: le norme sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi del gruppo. Nelle situazioni di emergenza, come il conflitto con un altro gruppo, le norme possono divenire più rigide e costrittive allo scopo di incrementare la coesione interna e salvaguardare il gruppo. − MANTENIMENTO DEL GRUPPO: le norme permettono al gruppo di preservarsi in quanto tale, di continuare ad esistere in quanto entità condividendo, ad esempio, costumi, abitudini alimentari, pratiche religiose, abbigliamento, gusti musicali, attività. − COSTRUZIONE DELLA REALTÀ SOCIALE : le norme assicurano al gruppo una concezione comune della realtà, che serve come punto di riferimento anche per l'autovalutazione dei membri e per fronteggiare situazioni ambigue, non familiari, emozionali. − DEFINIZIONE DELLE RELAZIONI CON L'AMBIENTE SOCIALE: le norme consentono di precisare i rapporti con l'ambiente esterno, in quanto la realtà sociale costruita dentro al gruppo permette di giungere ad un consenso circa le relazioni con gli altri gruppi, i parametri di confronto, la valorizzazione del proprio gruppo rispetto agli altri. Nelle organizzazioni ampie si possono formare sottogruppi che esprimono norme diverse e talora addirittura divergenti (del tipo "controcultura") con quelle dell'organizzazione (ad es. nella scuola, nelle fabbriche, in ambiti religiosi e politici). Lo stesso si può verificare all’interno di un gruppo informale come pure in generale, all’interno di una società. 40 Devianza e innovazione indicano un diverso rapporto con le norme: - nel caso della devianza, le norme non vengono rispettate ma non c’è una volontà, da parte dei devianti, di sovvertire quelle norme e di introdurne altre; - al contrario, l’innovazione è un processo che comporta l’introduzione di norme innovative rispetto a quelle esistenti. Il mutamento delle norme in un gruppo è possibile, per quanto si tratti in genere di un lavoro a tempi lunghi. La tendenza a conformarsi alle pressioni di gruppo è un fattore che permette ai gruppi di avere continuità temporale. Accanto al bisogno di conformarsi esiste, d'altra parte, anche il bisogno di differenziarsi, di resistere alle pressioni omologanti. Da questa dinamica fra spinte all'uniformità e alla differenziazione nasce la configurazione tipica di ogni gruppo. Il tema del cambiamento delle norme è stato affrontato anche nell’ambito degli studi sull’influenza minoritaria, vale a dire quel tipo di influenza esercitata da una fonte inizialmente priva di potere e che ciò nonostante, grazie ad uno stile di comportamento improntato alla coerenza, tenacia e capacità di adottare uno stile di “negoziato” flessibile con i propri destinatari, riesce a produrre un cambiamento. Il cambiamento prodotto da una minoranza influente è un cambiamento che, seppure inizialmente poco visibile, è destinato ad essere più profondo e resistente nel tempo: per questa ragione si parla, a tale proposito, di un effetto di “conversione” prodotto da una fonte minoritaria. L’influenza maggioritaria, vale a dire di quelle fonti dotate di potere, produce invece conformità ed acquiescenza. 41 2. Appartenenza ai gruppi e identità sociale 2.1 Appartenenza ai gruppi e identità sociale in Tajfel Per Tajfel, ciò che costituisce un gruppo è il fatto che l’individuo senta di farne parte. Questa definizione di gruppo, che si fonda sul sentimento di appartenenza, si articola in tre componenti: a) una componente cognitiva: sapere di far parte di un gruppo; b) una componente valutativa: connotare in modo positivo o negativo la propria appartenenza ad un gruppo c) una componente emozionale: gli spetti cognitivi e valutativi sono accompagnati da emozioni, quali amore, odio, piacere, dispiacere, orgoglio e vergogna. L'IDENTITÀ SOCIALE di un individuo consiste nella sua concezione di sé in quanto membro di un gruppo? "L'identità sociale di un individuo è legata alla conoscenza della sua appartenenza a certi gruppi sociali ed al significato emozionale e valutativo che risulta da tale appartenenza" (Tajfel, 1972). Nella concezione di Tajfel e della sua scuola, il concetto di identità sociale dà conto dei fenomeni di favoritismo (coesione, altruismo) nei confronti del gruppo o dei gruppi di appartenenza (ingroup) e di discriminazione verso i gruppi ai quali invece non si appartiene (outgroup), fenomeni che caratterizzano le relazioni intergruppi. 42 Nella teorizzazione di Tajfel, in tema di relazioni tra gruppi, sono centrali le seguenti nozioni: b) Categorizzazione sociale? ordinare il mondo in categorie significative; "noi" e "loro"; c) Identità sociale? consapevolezza di appartenere ad un certo gruppo sociale (e anche identificazione ad una categoria, ad un aggregato di persone che diventano significative); d) Confronto sociale con gli altri gruppi: serve a determinare quale sia il valore di certe caratteristiche del proprio gruppo; e) Ricerca di una specificità positiva? il bisogno di una concezione positiva di sé è sentito in rapporto alla/e appartenenza/e sociale/i. La tendenza a mostrare favoritismo verso l’ingroup, osservato nel contesto della ricerca sperimentale (paradigma dei gruppi minimali), è visto in rapporto con lo sforzo di distinguere positivamente il proprio gruppo dagli altri gruppi; f) Il conflitto intergruppi, nel quadro della teoria dell'identità sociale, può essere dovuto sia alla competizione per acquisire risorse materiali (come diceva Sherif), sia per acquisire, mantenere, difendere prestigio e status. 43 2.2 Quali motivazioni per l’identificazione nei gruppi Alcuni ricercatori hanno analizzato le motivazioni che spingono gli individui a identificarsi con un gruppo particolare, rispetto ad altri gruppi. Secondo questi studiosi, la scuola di Tajfel ha messo a fuoco, nella ricerca e nella elaborazione concettuale, solo la dimensione cognitiva dei processi di identificazione sociale, mentre ha trascurato gli aspetti relazionali ed affettivo-emozionali. Hogg e Abrams (1993), cercando di esplorare quali motivazioni vi siano alla base delle identificazioni sociali, hanno concluso che la RIDUZIONE DELL'INCERTEZZA è la motivazione principale all'identificazione sociale. Deaux, una ricercatrice che ha sviluppato un vasto programma di ricerche volto a descrivere e a valutare quali siano le motivazioni alla identificazione sociale, non ritiene invece possibile che una sola motivazione possa dar conto delle numerose ragioni per cui le persone scelgono una certa identità sociale. Brewer (1991, 1993) impiega la nozione di SPECIFICITÀ OTTIMALE, per cui le identità sociali sono scelte o attivate per far fronte ai bisogni opposti di differenziazione del Sé dagli altri e di inclusione del Sé in categorie più ampie (es. gli adolescenti che si differenziano dalla famiglia e si omologano al gruppo dei coetanei considerati prototipici). La specificità secondo Brewer dipende dal contesto. 44 Secondo Deaux, la ricerca di una specificità ottimale, come pure della stima di sé, è una motivazione individuale, mentre l'identità sociale può essere motivata sia da bisogni individuali sia da bisogni collettivi. Le motivazioni sottostanti le diverse identità, messe in luce dalle ricerche della Deaux, sono sette (alcune delle quali individuali, altre collettive): -comprensione di sé, -confronto e competizione intergruppi, -cooperazione e coesione intragruppo, -stima di sé collettiva, -confronto sociale con inferiori, -interazione sociale, -coinvolgimento romantico. Dalle ricerche svolte si è potuto constatare che vi sono motivazioni diverse per diversi gruppi: gruppi che esercitano sport di squadra attivano soprattutto motivazioni di confronto e competizione intergruppi, mentre queste motivazioni sono deboli per gruppi religiosi o salutisti. La cooperazione intragruppo è una motivazione forte per un gruppo religioso, come quello dei mormoni, ecc. Insomma, vanno meglio conosciuti e studiati i processi motivazionali che stanno alla base del processo di categorizzazione e di identificazione sociale. 45 Bibliografia De Grada E. (1999) Fondamenti di psicologia dei gruppi, Carocci, Roma Speltini G. e Palmonari A. (1999) I gruppi sociali, Il Mulino, Bologna 46