Affiliazione, Attrazione, Amicizia

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Affiliazione, Attrazione, Amicizia
Affiliazione, attrazione, amicizia
1. Introduzione
2. In quali circostanze si cerca la compagnia di altre persone?
3. Le motivazioni dell’affiliazione: perché le persone cercano la compagnia
reciproca?
4. Forme di attrazione
5. Adolescenza e affiliazione
6. Gli effetti dell’affiliazione
7. Mancanza di affiliazione e solitudine
8. Attrazione e sviluppo dell’amicizia
Desideri, paure, certezze: una indagine su un campione di
adolescenti
I gruppi sociali
1. Aspetti strutturali dei gruppi: status, ruoli e norme
2. Appartenenza ai gruppi e identità sociale
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Affiliazione, attrazione, amicizia
1. Introduzione
Nell’adolescenza, la partecipazione alle compagnie e i rapporti di amicizia con i
coetanei costituiscono un elemento forte di costituzione delle competenze sociali e
di riorganizzazione del sé.
Anche se la letteratura scientifica ha messo in luce come le relazioni tra coetanei
comincino ad essere significative già a partire dall’infanzia, grazie a una
organizzazione sociale che prevede già per i bambini ancora piccoli occasioni di
incontro e di scambio, è soprattutto nell’adolescenza che l’appartenenza al gruppo
di amici e coetanei e le relazioni di amicizia acquisiscono un valore centrale per la
vita degli individui (Palmonari 2001).
L’affilizione, intesa come la “tendenza a ricercare la compagnia delle altre
persone, a prescindere dai sentimenti che si provano nei loro confronti” è stata ed è
oggetto di elaborazione teorica e di ricerca empirica (Buunk, 1998).
La psicologia sociale ha cercato, in particolare, di dare risposte alle seguenti
domande:
- che cosa è che ci spinge a formare relazioni con gli altri?
- perché ci capita di provare subito simpatia per alcune persone, ma non per
altre?
- quali sono le forme dell’attrazione?
- come si sviluppano le amicizie?
- quali sono i processi alla base dello sviluppo delle relazioni profonde?
Verranno presentate alcune della risposte che la psicologia ha fornito a tali
domande. Si vedrà inoltre in che misura tali risposte siano rilevanti anche per le
relazioni tra coetanei nell’adolescenza.
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2. In quali circostanze si cerca la compagnia di altre persone?
Esistono alcune circostanze nelle quali è più probabile che si cerchi la
compagnia di altre persone. Fox (1980), chiedendo di indicare, per una grande
varietà di situazioni, in quali si sarebbe preferito restare da soli e in quali, invece,
avere la compagnia di altre persone ha ottenuto questi risultati:
- si preferisce restare da soli nelle condizioni spiacevoli e in quelle che
richiedono concentrazione
- si preferisce avere la compagnia di altre persone nelle condizioni piacevoli e
divertenti e nelle condizioni minacciose.
Gli psicologi hanno dedicato particolare attenzione all’affiliazione che si osserva
in una situazione avvertita come minacciosa e stressante, cercando di capire quali
possano essere le ragioni per le quali le persone cercano la compagnia reciproca
quando si trovano in queste situazioni.
3. Le motivazioni dell’affiliazione: perché le persone cercano la compagnia
reciproca?
Le ricerche hanno indicato tre motivazioni:
a) il confronto sociale
b) la riduzione dell’ansia
c) la ricerca di informazioni
Attraverso il confronto sociale è possibile confrontare i propri atteggiamenti, le
proprie abitudini, capacità ed emozioni con quelle degli altri allo scopo di
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valutarne la loro correttezza e adeguatezza. Secondo la teoria del confronto sociale
(Festinger, 1954), in una situazione ambigua, incerta, l’affiliazione con altre
persone che si trovano nella medesima situazione, può permettere di valutare
l’appropriatezza delle proprie risposte, sia sul piano emozionale, cognitivo e
comportamentale.
Anche il desiderio di dominare l’ansia può spiegare la ricerca di altre persone in
situazioni di stress, persone che possano offrire sostegno e rassicurazione.
Il fatto che di fronte a una situazione minacciosa si cerchi la compagnia di
qualcuno più esperto, in grado di valutare in maniera adeguata l’entità della
minaccia e in possesso degli strumenti per farvi fronte è indicativo di come, tra le
ragioni della ricerca del contatto con altre persone, vi sia anche il bisogno di
ottenere informazioni. Queste tre motivazioni non si escludono a vicenda, al
contrario, possono essere presenti nella stessa situazione.
4. Forme di attrazione
Si possono distinguere due tipi di attrazione che possiamo provare per gli altri:
− l' ATTRAZIONE PERSONALE? si situa verso il polo interpersonale del continuum
lungo il quale si collocano tutte le relazioni, polo che è associato all'identità
personale. E' idiosincratica, si delinea nel corso dei rapporti interpersonali, ha
come bersaglio individui unici, non intercambiabili; è altamente personalizzata;
− l' ATTRAZIONE
SOCIALE?
si situa verso il polo intergruppi del continuum,
associato all'identità sociale. E' un legame basato sull'attrazione fra individui in
quanto appartenenti ad un gruppo sociale; è per sua natura un legame
depersonalizzato perchè si basa sulla prototipicità di gruppo. Al limite si può
avere attrazione sociale senza attrazione personale per un membro specifico del
gruppo.
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L'attrazione sociale è un fenomeno di gruppo, mentre l'attrazione personale è un
fenomeno interpersonale che non ha nulla a che fare con i gruppi.
Lo schema che segue riassume una serie di elementi che vengono considerati
basilari per l’ATTRATTIVITA’ ESERCITATA DAL GRUPPO (De Grada
1999).
?
Attrazione esercitata
dal gruppo in quanto gruppo
Attrazione esercitata
dai membri di un gruppo
Attrazione esercitata
dalle attività di gruppo
Bisogno di sicurezza e di
sostegno sociale:
costituisce una fonte informa-tiva per
interpretare la realtà e la propria posizione
in essa
? consente di verificare le proprie ipotesi e
decisioni
Bisogno di dipendere da
altri e di esercitare potere
sugli altri
Piacere del rapporto reciproco
in funzione di
bisogni di simpatia, di contatto
umano
bisogni di comunicazione,
di valorizzazione, di confronto
sociale
Bisogni specifici
(svolgere una particolare attività manuale o
mentale)
Bisogni generali
(attualizzare le proprie capacità, sentirsi unito
agli altri in uno sforzo comune, farsi valere)
Valore specifico degli scopi
Attrazione esercitata
dagli scopi del gruppo
Altri fattori collegati: il successo
connesso al raggiungimento degli
scopi, mantenere-rafforzare
l’autostima, ricevere valutazioni
positive, mettere alla prova le proprie
capacità
Attrazione esercitata
Il gruppo può soddisfare una serie di
dal gruppo in quanto strumento per bisogni non direttamente connessi alle
perseguire scopi ad esso esterni
sue proprietà specifiche e generali
5. Adolescenza e affiliazione
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Tra le motivazioni che spingono gli adolescenti a frequentare il proprio gruppo,
“parlare con persone che hanno gli stessi problemi”, “avere qualcuno con cui
confidarsi”, “affrontare insieme ad altri le difficoltà” “risolvere i problemi che non
possono essere affrontati in famiglia” “fronteggiare i pericoli” “scambiarsi
esperienze” “capire come va il mondo” sono tra le più sentite (Amerio et al. 1990).
Sembrerebbe, pertanto, che le stesse ragioni che la ricerca sperimentale ha
individuato come fattori determinanti l’affiliazione possano valere anche in questa
particolare fase della vita, fase nella quale i cambiamenti e la necessità di
affrontare i compiti di sviluppo tipici di questo periodo della vita possono
costituire una fonte di stress.
Anche se la prospettiva dalla quale oggi si osserva l’adolescenza non è più
quella che era stata sintetizzata nell’espressione “storm and stress”, l’adolescenza
costituisce, al pari di altre fasi della vita, un momento di transizione che pone chi
l’attraversa di fronte a una serie di compiti, tutti connessi alla ridefinizione della
propria identità personale, della propria posizione nel mondo e della prefigurazione
della propria vita futura, in assenza di precedenti esperienze che possano fungere
da guida e da punto di riferimento.
La vicinanza dei coetanei, più o meno esperti, che si trovano “nelle medesime
condizioni” può costituire una indispensabile fonte di confronto sociale, di
riduzione dell’ansia e di informazione.
Esistono molti dati che dimostrano che l’affiliazione e la prossimità fisica
possono favorire l’amicizia.
6. Gli effetti dell’affiliazione
Le persone trovano ciò che cercano di raggiungere attraverso l’affiliazione?
Anche se esistono prove a favore di un effetto dell’affiliazione nella riduzione
dello stress, a volte l’affiliazione può rafforzare l’ansia e l’angoscia, anziché
ridurle. Questo spiega perché si preferisca restare da soli quando si teme che la
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presenza altrui possa aumentare, piuttosto che far diminuire il proprio stato di
ansietà. Ad esempio, si preferisce non confidare le proprie paure per il timore che
le reazioni altrui non possano fare altro che peggiorare il proprio stato. Si evita il
contatto con altre persone, in una situazione stressante anche quando lo stress è
fonte di imbarazzo. L’imbarazzo riduce infatti la tendenza all’affiliazione, anziché
rafforzarla.
Il sostegno sociale offerto dagli altri viene distinto generalmente in quattro
componenti:
- sostegno emozionale (sentire che c’è qualcuno che si prende cura di noi,
sentirsi amati e apprezzati)
- sostegno di appraisal (feedback e confronto sociale sul modo di valutare le
cose)
- sostegno informativo (informazioni sul modo in cui affrontare gli eventi)
- sostegno strumentale (ricevere aiuto concreto)
Le prime tre forme di sostegno corrispondono alle tre funzioni dell’affiliazione
in condizioni di stress, sopra citate.
In diverse situazioni, anche diverse tra loro, si è osservato che il sostegno sociale
produce effetti positivi sulla riduzione dello stress: le persone possono parlare con
qualcuno da cui si sentono accettate, possono ricevere un feedback negativo senza
sentirsi rifiutate e possono sentirsi rassicurate sul proprio valore come persone.
Si è parlato di un “effetto tampone” del sostegno sociale: con questa espressione
ci si riferisce al fatto che le persone che percepiscono un sostegno sociale sono
meno influenzate dagli eventi negativi e dalle situazioni stressanti rispetto a quelle
persone che, al contrario, avvertono una mancanza di sostegno degli altri.
Anche se esistono molti dati a favore dell’effetto positivo suscitato dal fatto di
poter condividere con altre persone le proprie preoccupazioni e paure, in alcuni
casi si è osservato però un effetto paradossale, per il quale è stata coniata
l’espressione “effetto della pentola a pressione”: se le persone discutono delle
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proprie paure con altre persone che hanno le medesime paure, corrono il rischio di
sentirsi ancora più preoccupate a seguito della discussione. Ciò significa che,
perché si eserciti un vero sostegno, l’interazione in sé non basta: essa deve fornire
quegli elementi, di rassicurazione, feedback e informazione che trasmettono
all’individuo messaggi positivi sulla sua condizione e sulle sue possibilità di far
fronte alla situazione e hanno un effetto positivo sull’autostima.
7. Mancanza di affiliazione e solitudine
La solitudine è una risposta emotiva che origina dalla percezione
dell’insufficienza delle proprie relazioni sociali. La percezione della mancanza di
affiliazione, di relazioni sociali soddisfacenti si tramuta in un sentimento di
solitudine.
Esistono due forme fondamentali di solitudine:
- l’isolamento emozionale, che origina dalla mancanza di una relazione
profonda, di relazioni romantiche e di attaccamento;
- l’isolamento sociale, che deriva dalla mancanza di amicizie e dall’assenza di
una rete sociale.
La solitudine comprende quattro tipi di sentimenti ed esperienze:
- la disperazione (sentirsi disperati, in preda al panico, impotenti e abbandonati)
- la depressione (sentirsi depressi, tristi, vuoti, addolorati)
- la noia impaziente ( sentirsi a disagio, impazienti, annoiati, incapaci di
concentrarsi)
- l’autodisapprovazione (sentirsi non attraenti, stupidi, insicuri).
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I risultati di una ricerca condotta su un campione di adolescenti che ha preso in
considerazione, tra l’altro, le paure che questi nutrono per il proprio presente e
futuro, indicano che una della più grandi paure è proprio quella della solitudine.
(vedi “Desideri, paure, certezze: una indagine su un campione di adolescenti”)
8. Attrazione e sviluppo dell’amicizia
Esistono molti dati che dimostrano che affliliazione e prossimità fisica possono
favorire l’amicizia.
Molte ricerche hanno mostrato che il semplice fatto di trovarsi fisicamente vicini
a un altro individuo favorisce l’ attrazione e rafforza la probabilità di diventare
amici. L’attrazione non conduce necessariamente all’amicizia; l’ amicizia implica
di più e cioè una relazione interdipendente che prevede la possibilità di coordinare
le azioni e prendere in considerazione gli interessi dell’altra persona.
La vicinanza favorisce l’ attrazione per varie ragioni: in primo luogo, esistono
meno barriere allo sviluppo dell’amicizia con qualcuno che si trovi accanto a noi.
Ciò è tanto più probabile se, come nel caso dei preadolescenti, le pssibilità di
spostamento possono essere ancora limitate.
In secondo luogo, trovarsi regolarmente in compagnia di un’altra persona
permette di ottenere più informazioni su di lei e di scoprire interessi condivisi e
atteggiamenti simili.
In terzo luogo, la vicinanza può favorire l’ attrazione mediante l’ ”effetto della
mera esposizione”: numerose ricerche sperimentali hanno dimostrato come
maggiore è la frequenza con la quale un individuo è in contatto con un altro,
maggiore è la simpatia provata nei suoi confronti. Gli effetti della vicinanza
ambientale sull’attrazione possono dipendere da una molteplicità di fattori.
Innanzitutto, questi effetti sono molto pronunciati quando i soggetti sono molto
simili. Infatti, la vicinanza può anche far diminuire l’atrazione, se rende più
evidenti le caratteristiche spiacevoli degli altri.
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La somiglianza di atteggiamenti è un fattore molto efficace nel favorire
l’attrazione e l’amicizia. Numerosi esperimenti hanno mostrato che l’attrazione
varia direttamente in rapporto alla proporzione di atteggiamenti simili (legge
dell’attrazione). Nella formazione dei gruppi spontanei nella preadolescenza e
adolescenza, questo fenomeno è particolarmente evidente.
Due fattori influenzano la relazione tra somiglianza di atteggiamenti e
attrazione: maggiore è la differenza di atteggiamenti, minore è l’attrazione. Inoltre,
più l’atteggiamento sarà importante per un individuo, più la somiglianza di
atteggiamenti influenzerà l’atrrazione.
Per quale ragione la somiglianza di atteggiamenti è così importante? Secondo la
teoria del confronto sociale, quando confrontiamo le nostre opinioni su argomenti
nuovi (e rilevanti per noi) possiamo ricavare più vantaggi parlando con persone
che abbiano atteggiamenti simili ai nostri, che con persone che abbiano
atteggiamenti molto diversi.
Anche se il nesso tra somiglianza di atteggiamenti e attrazione è molto forte, va
specificato che:
- non è la somiglianza di per sé che è importante per la formazione delle amicizie,
ma piuttosto la somiglianza nelle preferenze per le attività di tempo libero;
- in condizioni di forte incertezza e confusione, gli individui possono sentirsi più
attratti da una persona diversa, perché può fornire presumibilmente una maggiore
quantità di informazioni nuove e una prospettiva diversa con la quale osservare
una data situazione. Questo sigmificherebbe che i bisogni cognitivi possono essere
più importanti del valore emotivo della somiglianza di atteggiamenti.
Anche quando i fattori ambientali sono favorevoli, ed esiste anche una forte
somigliamza di atteggiamenti, non è detto che si formi un’amicizia tra due persone.
Secondo la teoria dello scambio sociale, affinché ciò accada, affinchè si instauri una
relazione stabile è necessario che la simpatia sia reciproca. Ciò che caratterizza una
amicizia è dunque la presenza di una attrazione reciproca. L’atrazione reciproca può
generare l’interdipendenza volontaria, che è tipica dell’amicizia: gli amici sono
disponibili a coordinare i propri comportamenti e a prendere in considerazione gli
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interessi dell’altro. Diversamente da altre forme di relazione, questa interdipendenza
è volontaria e si fonda sull’attrazione reciproca. Godere della reciproca compagnia è
un criterio centrale per definire qualcuno come amico, anche se l’intimità, l’ affetto e
l’assistenza reciproca sono anch’esse caratteristiche dell’amicizia.
L’amicizia è caratterizzata da norme e regole particolari:
- offrire aiuto in caso di bisogno
- rispettare la privacy dell’amico
- mantenere i segreti
- mostrare fiducia e confidarsi reciprocamente
- prendere le difese dell’altro in sua assenza
- non criticare l’altro in pubblico.
Anche nel caso del gruppo dei coetanei nell’adolescenza, si osserva come chi tiene a
farne parte non può sottrarsi alle regole. I contenuti concreti delle regole sono
individuabili in relazione alle caratteristiche sociali e culturali dell’ambiente entro cui
il gruppo stesso si forma e risulta colegato alla costellazione di valori e ai sistemi
socioculturali cui il gruppo fa riferimento. Non tutte le norme hanno la stessa
intensità: l’intensità è molto bassa nelle “aree” poco rilevanti per la vita del gruppo e
degli adolescenti che lo compongono. Le norme concernenti la lealtà verso gli amici
e il rispettare gli impegni presi con loro sono considerate norme ad “alta intensità”,
mentre quella di non frequentare altri gruppi appare avere un’intensità limitata
(Palmonari, 2001).
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Bibliografia
Hewstone M., Stroebe W. e Stephenson G.M. (1998)
Introduzione alla psicologia sociale, Il Mulino, Bologna
Palmonari A. (2001)
Gli adolescenti, Il Mulino, Bologna
Speltini G. e Palmonari A. (1999)
I gruppi sociali, Il Mulino, Bologna
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Desideri, paure, certezze:
una indagine su un campione di adolescenti
(da Berti, 1997)
1. La ricerca
La centralità del rapporto con i coetanei, assieme a quella del rapporto con la
famiglia, emerge anche da una ricerca condotta su un campione di ragazzi dai 16 ai
22 anni (Bologna, Milano e Roma) attraverso delle interviste in profondità (Berti
1997).
La ricerca fu avviata dal Landis (Laboratorio Nazionale per la Didattica della
Storia) di Bologna in collaborazione con il Centro di Documentazione delle Donne
di Bologna. Il progetto, intitolato “Individualità, generazioni e popolazioni
giovanili: tracciati, valori e cornici” si proponeva di approfondire la soggettività di
ragazzi e ragazze tra i sedici e i venti anni rispetto ai processi di costruzione
dell’identità, ai valori di riferimenti, alle diverse appartenenze.
Un aspetto che la ricerca ha esplorato è stato quello dei desideri, delle paure e
delle certezze. I desideri riguardano i cambiamenti per il presente, i progetti e le
aspettative per il futuro ma anche le fantasticherie di viaggi verso mete lontane e le
aspirazioni per stili di vita inconsueti. Ai desideri, alle fantasie e ai progetti si
contrappongono, con diversa intensità, alcune paure, l’analisi delle quali consente
di cogliere le preoccupazioni e per l’avvenire. Non sempre le certezze possedute
riescono a costituirsi come risorse sufficienti a contrastare, neutralizzandole, queste
paure tanto che, a volte, queste sembrano dominare le prospettive per il futuro dei
giovani intervistati.
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2.
I desideri della vita quotidiana
Abbiamo analizzato i desideri della vita quotidiana, attraverso le risposte date
alla domanda: “Che cosa avresti voluto fare nel corso della giornata che hai appena
descritto e che invece non hai fatto?”
A questa domanda – posta sia per la giornata feriale che per quella festiva – gli
intervistati hanno risposto fornendo una serie di temi che sono stati raggruppati
nelle seguenti categorie, presentate in ordine di frequenza con cui sono state
indicate:
1.
niente di diverso
2.
uscire con gli amici
3.
dormire, riposare
4.
vedere il/la ragazzo/a
5.
andare al mare
6.
fare sport
7.
occuparmi dei miei hobby
8.
non perdere tempo
9.
qualsiasi cosa diversa dallo studio o dal lavoro
10.
qualcosa di più interessante
11.
leggere, vedere un film
12.
stare in famiglia
13.
fare acquisti.
In generale, dalle risposte si colgono tre diversi stati d’animo:soddisfazione per
come si è passata la giornata, desiderio di qualche cosa di diverso seppure in
assenza di una capacità propositiva, organizzativa e, prima ancora, immaginativa,
insoddisfazione.
Per molti, dunque, la giornata è andata bene così come è andata; tra chi risponde
dicendo che non avrebbe voluto fare niente di diverso da quello che effettivamente
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si è fatto troviamo sia chi è soddisfatto poiché tutto è andato secondo i propri
desideri e piani sia chi dichiara di non riuscire a immaginare per sé una diversa
possibilità di riempire e organizzare il proprio tempo.
Altri invece sono insoddisfatti, per diverse ragioni: alcuni avrebbero voluto
vedere gli amici o passare comunque più tempo in loro compagnia, andare in giro
insieme a loro, stare a chiacchierare, andare in centro o magari “in qualche posto
occupato a far baldoria”; altri avrebbero preferito vedersi con la partner, altri
ancora passare un po’ di tempo con i genitori o i nonni.
C’è chi manifesta il bisogno di fare qualche cosa di diverso dal solito pur non
sapendo da dove iniziare e chi vorrebbe cambiare il modo di passare il tempo
libero, guardando meno televisione, perdendo meno tempo con gli amici,
realizzando, da soli o in gruppo, qualcosa di più serio e costruttivo.
Una minoranza indica, infine, alcune attività precise alle quali si sarebbe voluta
dedicare, senza tuttavia averlo potuto fare. Si tratta pwr alcuni di attività sportive,
per altri la lettura, dello studio o della visione di un film. Alcuni, una piccola
minoranza, avrebbe voluto dedicarsi ad attività manuali e artistiche.
Viene spesso fatto riferimento esplicito al rapporto con il tempo. Questo
rapporto è spesso problematico per molti degli intervistati e lo è in modi diversi.
per alcuni, il tempo “vola”: si vorrebbe avere più tempo per realizzare tutto quello
che si ha in mente. Questo sentimento di scarsità del tempo disponibile è proprio di
quei ragazzi e ragazze che hanno già una giornata scandita da numerose attività e
che mostrano di avere impegni e interessi molteplici.
Questa dimensione di investimento del tempo e della sua finalizzazione a un
progetto è invece assente nelle risposte di quei ragazzi con un’agenda individuale
meno fitta di impegni, di quei ragazzi per i quali il tempo passa senza che ci sia la
possibilità o la capacità di riempirlo e organizzarlo. Il vero protagonista delle
giornate di questi ragazzi sembra essere il tempo vuoto, un tempo privo di
occasioni, un tempo che non si sa padroneggiare e vivere con un atteggiamento
positivo, un tempo al quale è impossibile assegnare un qualsiasi valore, un
significato. E’ un tempo della noia, per mancanza di possibilità, ma soprattutto per
mancanza di desiderio, per una debolezza della tensione verso il fare.
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Il rapporto con il tempo non è problematico per tutti gli intervistati. Tra chi dice
di essere contento della propria giornata, non c’è solo chi ritiene di avere investito
il proprio tempo in un progetto unitario e coerente ma anche chi si è “preso
tempo”, con assoluta libertà senza porsi problemi di senso, restrizioni o
finalizzazioni. Il presente è vissuto intensamente; al tempo lungo e ricco della vita
quotidiana ci si rivolge con un atteggiamento positivo e privo di angosce.
Di particolare interesse risulta l’analisi delle ragioni per le quali non si è potuto
realizzare ciò che si desiderava. Accanto a ragioni derivanti da vincoli esterni
(motivi di studio, di lavoro, problemi logistici, cattivo tempo) nella maggioranza
dei casi non si fa riferimento a ostacoli precisi se non quelli derivanti dalla
mancanza di “metodo” nella gestione del tempo e della presa di decisione, sia
personale sia di gruppo. Molti infatti spiegano che hanno perso tanto tempo senza
riuscire a prendere una decisione, senza concludere niente di preciso, senza sapere
che cosa fare, senza riuscire a mettersi d’accordo con gli amici.
Alcuni dichiarano di non fare niente di diverso perché non trovano stimoli nel
loro ambiente di vita, né ispirazioni né possibilità concrete.
Altri ancora, come dice una ragazza, “hanno la testa con troppi problemi e
troppe domande che non lasciano spazio per un desiderio”. Infine, c’è chi dichiara
di non trovare in sé la forza per opporsi a routine sempre più vuote e monotone e
così “non si riesce a non guardare la televisione”, e si finisce per acconsentire alle
proposte degli amici anche quando si resterebbe volentieri in casa per attività più
costruttive.
Un aspetto che ricorre nelle diverse risposte è quello della relativa libertà della
quale gli intervistati sembrano godere: tra le ragioni che hanno impedito la
realizzazione dei desideri non ci sono quasi mai divieti da parte dei genitori; sono
inoltre pochi quelli che deplorano la mancanza di risorse economiche.
In definitiva, mentre alcuni sembrano sperimentare quella che sembra essere una
condizione tipica dei nostri tempi – un eccesso di possibilità rispetto alle possibilità
reali di fruizione e una conseguente difficoltà a gestire il sovraccarico di
sollecitazioni e di offerte – altri esprimono, al contrario, la frustrazione per una
mancanza di sollecitazione e di possibilità. Saturazione per eccesso di stimoli e
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vissuti di deprivazione si alternano nelle risposte degli intervistati. Che si tratti di
diverse definizioni di una medesima condizione o di delusioni giustificate da realtà
oggettivamente diverse non è dato saperlo. Tale variabilità nei vissuti della vita
quotidiana dovrebbe tuttavia, in ricerche quantitativamente più estese, essere messa
in relazione con quei fattori che possono esercitare sia un’influenza sulla capacità
personale di organizzazione della vita quotidiana quali, ad esempio, lo stato socioeconomico e la condizione scolastico/lavorativa, sia correlarsi ad una effettiva
disparità di risorse e di possibilità di un uso consapevole e sensato del tempo
libero.
L’incapacità di organizzazione e di immaginazione scompare quando, dal piano
reale, si passa a quello fantastico. Vedremo infatti come l’immaginazione e il
desiderio siano riservati a quei mondi lontani e diversi dove ci si pensa capaci,
autonomi, soli, pieni di vita e di curiosità.
3.
Il viaggio immaginario
“Immagina di partire per un viaggio immaginario: dove pensi di andare, perché,
per quanto tempo?”
Dalle risposte a queste domande siamo risaliti al contenuto di quella sorta di
“valigia psicologica” che ciascun viaggiatore porta con sé.
L’analisi del contenuto di pre-conoscenze, aspettative, pregiudizi che troviamo
nella valigia psicologica ci permette di risalire alle caratteristiche dei loro
proprietari. Infatti, attraverso la scelta del luogo, le categorie interpretative, i
sistemi di classificazione dell’ambiente, i modi di agire nei suoi confronti, le
motivazioni che sostengono il viaggio e il tempo che ad esso si destina, possiamo
risalire ai valori, alle aspirazioni e all’immagine di sé proprie di ogni individuo;
possiamo in questo modo cogliere la relazione tra dimensioni inerenti la percezione
dell’ambiente con elementi peculiari dell’identità dei soggetti (de Rosa, 1995).
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Elenchiamo le destinazioni indicate dai ragazzi e ragazze intervistati. Anche in
questo caso, le categorie di risposta sono ordinate secondo la frequenza con la
quale è apparsa.
1.
Usa
2.
Tropici
3.
Australia
4.
Paesi europei
5.
America latina
6.
Amsterdam
7.
Giappone
8.
Africa
9.
Cuba
10.
Oriente
Per ciascuno di questi luoghi, la valigia psicologica è piena di immagini,
emozioni e conoscenze.
Al primo posto, in questa lista di destinazioni di un viaggio immaginario,
troviamo gli USA.
Gli USA sono una meta ambita per ragioni diverse e anche opposte: grandi
praterie, metropoli e bassifondi. Le città sognate sono New York e Los Angeles. Si
va negli USA perché comunque tutti ne parlano, “per fare cose strane”, per sentirsi
liberi, per divertirsi, perché “là, ognuno è libero di fare ciò che più desidera” e
perché – specie a Los Angeles – “sono tutti belli e abbronzati”.
Mito della lontananza e del bon savage affiorano nelle risposte di molti dei
ragazzi intervistati: l’Australia, il luogo della natura incontaminata, è scelta perché
è il posto lontano per eccellenza, dove solo pochi si spingono. L’Australia è anche
quel mondo nel quale progresso e tradizione convivono. Per questa medesima
ragione, si desidera andare in Giappone. Altre mete vengono scelte perché invece
non sono state ancora raggiunte dal “progresso”, perché permettono di conoscere il
folklore e le culture tradizionali, stare nella natura e “vivere dei frutti degli alberi”.
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Nessuno pensa di servirsi di agenzie di viaggio, di partire con un gruppo
organizzato, anche se non sembrerebbero potersi in verità affidare a una particolare
esperienza di viaggio. Siamo però, bisogna ricordarlo, in una dimensione di
immaginazione e non di realtà.
Per quanto riguarda la durata della permanenza, la maggioranza pensa di
trattenersi solo qualche settimana, qualche mese al massimo. Quasi nessuno inoltre
parte con un biglietto di sola andata: in ogni caso, si ritorna.
In merito alle ragioni che portano a scegliere queste mete, troviamo una varietà
di risposte: c’è chi si accontenta di fare lo spettatore – seppure da altri guidato mentre altri, molti, manifestano intenzioni più impegnative. Alcuni viaggiano per
conoscere mondi diversi, per essere a contatto con culture, abitudini e punti di vista
diversi dai propri. Non mancano i viaggi mirati a vedere da vicino uno specifico
fenomeno o movimento al quale si è interessati: Cuba è scelta per la rivoluzione,
Manchster per i Thake That, il Giappone per le arti marziali, Londra per i punk e il
Sud Africa per la lotta all’apartheid. Alcuni partono per cercare se stessi e per
avere occasioni di crescita personale, altri progettano di riposarsi, divertirsi, fare
spese, vedere spiagge e “fare la vita dei telefilm”. C’è che vorrebbe avviare
un’attività imprenditoriale, “fare il medico senza frontiere” o “la suora laica”.
Alla quotidianità vissuta in un luogo sicuro e, come vedremo tra poco, in una
cerchia ristretta di persone care e affidabili, si contrappone la vita immaginata in
un luogo avventuroso e “sconosciuto”; alla sedentarietà praticata nella vita
quotidiana, la simpatia per un’esistenza vagabonda e incerta.
Si tratta, come vedremo dai desideri che gli intervistati esprimono per il proprio
futuro e come abbiamo già osservato a proposito delle aspirazioni per il presente,
di “avventurieri” per lo più passivi, convinti che mai quei sogni si avvereranno. I
ragazzi intervistati fanno pensare infatti più all’avventuriero passivo descritto da
McOrlan che a persone capaci effettivamente di arrischiarsi in viaggi come quelli
descritti. Nella realtà quotidiana, infatti, molti confessano di “non essere mai andati
a sud di Rimini” e pochissimi degli intervistati ha fatto un viaggio.
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Al tranquillo benessere quotidiano si contrappone il rischioso piacere del
viaggio; è solo in quei mondi lontani e diversi che i nostri intervistati pensano sia
possibile realizzarsi e crescere.
4.
Il futuro prossimo
Dei desideri di sperimentazione di sé, di confronto con il rischio, di adozione di
punti di vista diversi, di confronto con altre culture, non resta traccia nelle risposte
alla domanda “ Come immagini il tuo futuro?”.
Queste risposte possono essere così sintetizzate:
a)
la maggioranza dei ragazzi e ragazze risponde, invariabilmente, che non
riesce ad immaginarlo, a vederlo;
b)
molti tendono a presentare, così come dice un ragazzo, “ un programma,
piuttosto che un progetto”, obiettivi a breve e a medio termine, come concludere
gli studi e iscriversi all’università. Pochi infatti sono quelli che indicano una
professione, un lavoro, un interesse, un progetto o un sogno. Chi lo fa, spesso
desidera fare lo stesso lavoro del padre o comunque utilizzare risorse provenienti
dalla famiglia;
c)
per alcuni intervistati, il presente appare essere vissuto in continuità con
il futuro; si tratta di quegli adolescenti capaci di elaborare piani e progetti pur
senza arrivare quasi mai a una mera strumentalità e subordinazione del presente
rispetto al futuro. Il desiderio di realizzare progetti, di portare a termine gli impegni
in molti casi sembra infatti costituire più una affermazione di principio che un
piano preciso;
20
d)
molti indicano obiettivi di crescita personale, di ricerca della propria
interiorità, di realizzazione di sé, di bisogni di profondità, di arricchimento
culturale, di ritmi meno frenetici;
e)
all’opposto, altri sperano di vincere alla lotteria, di avere molti soldi, di
divertirsi, di avere una vita priva di assilli e doveri;
f)
si alternano progetti a contenuto grandioso (sconfiggere l’AIDS) a
obiettivi rinunciatari e di pura sopravvivenza (“fare piccoli lavoretti”);
g)
a molti basterebbe un lavoro qualsiasi, pur di essere autosufficienti
mentre altri desiderano un lavoro che permetta una realizzazione di sé;
h)
chi già lavora manifesta la certezza dell’impossibilità del cambiamento e
di un miglioramento della propria condizione lavorativa;
i)
formarsi una famigli è un obiettivo per molti;
j)
si desidera restare vicino alla famiglia d’origine, continuare ad avere
buoni rapporti con i genitori, potere essere loro di aiuto, farli contenti, vederli
sempre in buona salute e “dare loro nipoti per renderli felici”;
k)
si desidera continuare a vivere nella propria città, vicino agli amici di
sempre.
21
La gerarchia degli obiettivi espressa dagli intervistati, quando è stato loro
chiesto loro di indicare quali siano le loro mete per il futuro, è la seguente:
1.
sposarsi
2.
crescere
3.
rendersi utili alla società
4.
avere figli
5.
realizzarsi nel lavoro
6.
fare l’università
7.
lavorare
8.
fare felici i genitori
9.
avere una vita tranquilla
10.
essere felici
11.
avere salute
In generale, gli intervistati collocano al primo posto quegli obiettivi che si
riferiscono, in forme diverse, al tema della maturazione personale e della
costruzione dell’identità. Questo tema era emerso già nelle fantasie di viaggio.
Nei progetti per il futuro, il desiderio di crescita personale non riesce tuttavia ad
ancorarsi a un piano preciso, concreto e coerente rispetto ai fini.
Così, come nella vita quotidiana non si riesce né a trovare né a pensare qualcosa
di diverso, qualcosa che diverta un po’ di più, che non lasci con la sensazione di
aver perso tempo senza averlo potuto riempire di qualcosa che abbia dato un senso
alla giornata, anche nella percezione del futuro il desiderio di crescere non trova
una cornice che renda tale desiderio plausibile e realizzabile. Colpisce nelle
risposte dei ragazzi il fatto che essi stessi non riescano a credere fino in fondo di
essere in grado di raggiungere le mete prefissate e il tono generale è quello di
rinuncia, di ripiegamento verso aspirazioni di basso profilo e pertanto più
realizzabili. Poiché le aspettative elevate portano con sé come contropartita il
22
rischio della delusione, solo abbassando il livello delle aspirazioni ci si libera dal
potenziale costo della sconfitta.
Si avverte, nelle risposte, mancanza di determinazione, poca resistenza alla
frustrazione e paura di affacciarsi alla vita.
5.
Le paure
Dopo avere chiesto di immaginare il proprio futuro, abbiamo chiesto di
rispondere alla seguente domanda: “C’è qualcosa che ti fa paura?”
I temi emersi sono espressi nelle seguenti categorie, ordinate secondo la
frequenza di apparizione nelle risposte degli intervistati.
1.
il futuro
2.
la mancata realizzazione di sé
3.
la perdita dei valori
4.
la solitudine
5.
la propria incapacità
6.
la morte e la malattia
7.
le perdite delle persone care
8.
la disoccupazione
9.
la guerra
10.
la mancanza di tranquillità
11.
l’incomunicabilità
Il tema che ricorre con più frequenza è quello del futuro; alcuni temono le
incognite che a questo si accompagnano, i cambiamenti improvvisi, il rischio di
perdere in un momento tutto ciò che più conta nella propria vita. Alcuni non sono
neppure certi di “arrivare al 2000” e temono di morire da giovani. Altri invece
prefigurano, con toni pessimistici o addirittura apocalittici, i costi del progresso
tecnologico e i pericoli causati dal progressivo inquinamento.
23
Su questo sfondo, comune a molte interviste, altre paure si stagliano con
contorni e intensità diverse.
Una paura di segno opposto rispetto a quella appena descritta investe il presente
e il futuro immediato: è quella della routine quotidiana e della ripetitività delle
giornate. A questa paura si accompagna il timore di una vita destinata a un lavoro
banale e segnata da obblighi e responsabilità. Da un lato, la catastrofe e dall’altro
la routine senza emozioni.
Alcuni temono un fallimento personale, l’impossibilità di raggiungere gli
obiettivi prefissati, la propria incapacità di far fronte alle situazioni, la mancanza di
controllo sulla realtà e l’essere in balia di volontà altrui oppure di tendenze
personali che non si riescono a modificare. Altri hanno paura di non riuscire
trovare
lavoro e raggiungere l’indipendenza economica; altri temono di non
riuscire a fare bene il proprio lavoro e di non realizzarsi pienamente nella vita
professionale. Alcune occupazioni sono viste come un segno inequivocabile di
fallimento: fare il bidello, il ragioniere o, in generale, l’impiegato è il peggio che la
vita possa riservare.
La perdita dei valori etici, l’egoismo, l’individualismo, la vita imperniata su
valori materiali, le guerre, la violenza e gli estremismi segnano, a giudizio di molti
intervistati, il nostro tempo e sempre di più lo segneranno in futuro.
Un’altra delle paure, che implica direttamente il sé e il rapporto con gli altri, è
quella della solitudine e della separazione dalle persone care. I giovani intervistati
temono due diversi tipi di solitudine: una solitudine esistenziale (“paura di restare
da soli”, “paura di non avere amici”) e una solitudine più legata a certe situazioni o
luoghi (“non vorrei trovarmi da sola in quel posto”).
Si ha paura di perdere i genitori, gli amici, di non avere qualcuno vicino, un
sostegno quando necessario. Come vedremo nel paragrafo successivo, ciò che
infatti dà maggiore sicurezza è il legame con la famiglia e con gli amici e non
stupisce pertanto che sia proprio la loro perdita ciò che più si teme.
C’è infine chi dice di non avere nessuna particolare paura proprio perché non
riesce ad immaginarsi nel futuro; se e quando arriveranno i problemi, questi
24
verranno affrontati uno alla volta e si “cercherà di raddrizzare le cose così come si
è sempre fatto”.
6. Le risorse
“C’è qualche cosa che ti dà sicurezza?”
Le risposte a questa domanda danno indicazioni sulla percezione delle risorse e
sul modo nel quale le paure, le ansie e le incertezze vengono affrontate dai ragazzi
intervistati.
1.
la famiglia
2.
le risorse personali
3.
i propri interessi
4.
gli amici
5.
nessuna
6.
la coscienza
7.
la continuità
8.
il mio ragazzo
9.
il lavoro
10.
le persone vicine
11.
le risorse materiali
La ricerca di sostegno e di sicurezza si indirizza in primo luogo verso la sfera
privata dei rapporti interpersonali.
La sicurezza, come si può osservare da questa lista, proviene prevalentemente
dai rapporti all’interno di una cerchia ristretta di persone – familiari, amici, partner
– e da se stessi. Il senso di continuità con gli altri si estingue, per la maggior parte
degli intervistati, nei ristretti confini della propria famiglia e neanche troppo
allargata. Solo alcuni sembrano pensarsi come persone in continuità con altre
persone, non per una prossimità fisica o contingente, ma per una condivisione di
25
principi, di visione del mondo e per un destino comune. La maggior parte dei
ragazzi si percepisce come appartenente a una famiglia e ad un gruppo di amici. Al
di fuori, non c’è nessun altro legame, nessuno e niente su cui contare, se non se
stessi e le proprie forze.
Dalle risposte si colgono diverse modalità di fare fronte alle difficoltà (strategie
di coping): una consiste nel cercare di capire, di raccogliere le informazioni, di
osservare e di farsi un’idea sulle cose; un altro modo è quello di intervenire sulle
situazioni, con la volontà di andare avanti, di non perdersi d’animo e di vivere
intensamente.
C’è infine – e non si tratta di una minoranza – chi ritiene che l’unico modo per
affrontare la vita sia quello di non farsi illusioni, non fare progetti, non pensare al
futuro, non essere ottimisti, evitare i pericoli e seguire la maggioranza.
Esplorazione, intervento, rinuncia: con queste tre modalità si affrontano le
situazioni in questa fase della vita.
Accanto a fattori di personalità che entrano in gioco nella formazione nel
consolidarsi di un determinato stile di coping, va considerata anche l’influenza di
fattori situazionali.
Nel nostro campione, sembrano delinearsi due “fattori protettivi” nei confronti
della rinuncia e della rassegnazione, della noia e della mancanza di desiderio:
- un fattore è costituito dall’avere un lavoro o un hobby; chi si impegna
abitualmente in un’attività manuale o in un lavoro artistico sembra esprimere una
modalità più costruttiva di gestione dei problemi e nel rapporto con la realtà. Il
potere strutturante per l’identità personale dell’agire materiale si intuisce nelle
risposte di quei pochissimi intervistati che si dedicano a lavori manuali o ad attività
artistiche;
- il livello culturale elevato della famiglia – che si può tradurre in occasioni e
stili di vita – è l’altro fattore che appare correlarsi, a una prima analisi, in maniera
positiva con modalità di coping più funzionali a una gestione efficace dei problemi
e ad un confronto meno sfuggente con i compiti di sviluppo.
26
Il fatto che sia la famiglia ad essere percepita come la fonte principale di
sicurezza e di aiuto è in linea con i risultati dei rapporti IARD sulla condizione
giovanile; come sostiene Cavalli nelle conclusioni del rapporto del 1993, “le
aspirazioni e i desideri più forti dei giovani (ma, in realtà, di tutti) si indirizzano
verso la sfera privata dei rapporti interpersonali di intimità e di vicinanza”.
7. I legami
Alla domanda “Quali sono le persone alle quali sei più legato?”,
così hanno risposto gli intervistati:
1.
la madre
2.
il padre
3.
gli amici
4.
il partner
5.
i fratelli
6.
i parenti
I legami più importanti sono dunque quelli con la famiglia e gli amici. Anche
quando si è impegnati in una relazione sentimentale, la sua importanza non supera
mai quella che i ragazzi intervistati riconoscono al legame con la famiglia
d’origine e all’amicizia tra coetanei. La priorità dell’amicizia sull’amore è
testimoniata anche dal fatto che, spesso, per spiegare l’ importanza della relazione
con il partner si dice che questo è un vero amico, l’amico più importante. I dati da
noi raccolti non fanno che confermare la centralità delle relazioni amicali durante
l’adolescenza e la prima giovinezza. Le stesse relazioni amorose sono valutate
positivamente soprattutto quando assumono i caratteri dell’amicizia.
Per quanto riguarda i rapporti con i genitori, le risposte date dai ragazi fanno
pensare a genitori dotati di buone competenze relazionali e fanno intraveder in
diversi casi rapporti paritari e per nulla segnati da conflittualità; le ragioni che
27
rendono importante il legame con la famiglia sono spesso simili a quelle che
valgono per le relazioni tra coetanei: “ci divertiamo”, “mi posso fidare”, posso
parlare tranquillamente”, “mi ascolta”.
Ci si può chiedere in che modo questi rapporti possano contribuire alla
formazione personale, allo sviluppo di una identità autonoma e differenziata, alla
transizione alla vita adulta. La mancanza di allenamento al conflitto, alla rottura e
alla ricostruzione in un ambiente protetto e mediato come quello familiare può far
temere una possibile difficoltà sul paino personale a separarsi da questa famiglia. Il
confronto con i modelli adulti che i genitori propongono non è problematico; come
già detto, essi costituiscono riferimenti discreti che non creano tensioni.Accolgono
e proteggono; da essi non ci si sente spinti al fare, ad essere diversi da quello che
già si è. Non c’è neanche la voglia di essere diversi dai propri genitori. Tutto ciò
rimanda al rischio – segnalato da numerosi studi (ad esempio, Cavalli e de Lillo,
1993) – di una permanenza nella condizione di figli, in uno stato di giovinezza
senza fine, a una scarsa propensione all’autonomia e a una incapacità ad assumersi
quegli oneri che la transizione verso la vita adulta comporta. Ci si chiede quanto
possa incidere, sul paino relazionale, questa scarsa pratica di gestione dei conflitti e
di poca esperienza della frustrazione.
28
Bibliografia
Berti C. (1997) Desideri, paure e certezze. In N. Baiesi e E. Guerra, Interpreti del
loro tempo. Ragazzi e ragazze tra scena quotidiana e rappresentazione della storia,
Clueb, Bologna
Cavalli A. e de Lillo A. (1993) Giovani anni ’90, Il Mulino, Bologna
COSPES (a cura di) (1995) L’età incompiuta, Elle Di Ci, Leumann (Torino)
Fabbrini A. e Melucci A. (1992) L’età dell’oro, Feltrinelli, Milano
29
I gruppi sociali
1.
Aspetti strutturali dei gruppi: status, ruoli e norme
(da Speltini e Palmonari 1999)
1.1
Introduzione
Secondo Sherif, un gruppo è una struttura i cui membri sono legati da rapporti di
status e di ruoli e in cui si delineano norme o valori comuni. La condizione
necessaria alla formazione di un gruppo è l’interazione nel tempo di individui con
motivazioni, interessi, problemi comuni. Le proprietà minime ed essenziali di un
gruppo sono costituite da:
a)
una struttura ed una organizzazione dei ruoli dei membri, differenziata
per funzioni e per potere o posizione sociale;
b)
una serie di norme e di valori che regolano il comportamento dei membri
almeno nei settori di attività in cui il gruppo è più frequentemente impegnato.
La concezione “strutturale” proposta da Sherif, i cui studi, avviati nel 1948,
costituiscono un classico della psicologia sociale dei gruppi, può attagliarsi a
gruppi di natura diversa e di varie dimensioni, dai piccoli gruppi di adolescenti alle
grandi organizzazioni.
Verranno ora presentate, in maniera schematica, alcune nozioni concernenti gli
aspetti strutturali dei gruppi.
30
1.2 Status
Il concetto di status si riferisce alla posizione che un individuo occupa in un
gruppo e alla valutazione di tale posizione su di una scala di prestigio. Le
differenziazioni di status danno luogo a gerarchie formali o informali.
Gli indicatori di status sono almeno due:
1.
la tendenza a promuovere iniziative (attività o idee) che vengono poi seguite
dal resto del gruppo;
2. una valutazione consensuale del prestigio connesso ad un certo status.
Come si produce lo status nei gruppi?
− secondo la "corrente etologica" (Mazur, 1985) vi sono alcuni indizi percettivi che
fin dalle prime interazioni di gruppo assegnano posizioni diverse ai membri, e in
particolare assegnano la dominanza. Tali elementi sono: l'apparenza fisica, la
statura, la muscolatura, l'espressione facciale, la capacità di fissare una persona
finchè questa non distolga lo sguardo;
− secondo la teoria degli "stati d'aspettativa" (Berger et al., 1980) i gruppi, fin
dalle prime interazioni, hanno aspettative per quanto riguarda il raggiungimento
degli obiettivi e i contributi che ogni membro potrà offrire in tal senso. Le persone
che presentano i tratti più congruenti con queste aspettative si vedranno assegnare
una posizione di status più elevata.
Entrambe le teorie hanno una loro validità, per quanto le successive interazioni
possono confermare o non confermare i dati iniziali.
31
I cambiamenti di status nel gruppo sono sempre possibili, per quanto le assegnazioni
di status siano caratterizzate da una certa stabilità in quanto i gruppi non possono
cambiare di continuo la loro gerarchia interna.
In ogni caso i cambiamenti di status si realizzano secondo una logica posizionale, per
cui ad esempio se il capo viene rimosso o lascia il gruppo, verrà sostituito da
qualcuno che nella gerarchia di gruppo occupa una posizione vicina a quella del
leader (e non da un membro basso nella gerarchia). Inoltre, il muoversi da una
posizione bassa ad una alta può avvenire con una certa difficoltà, soprattutto in
gruppi strutturati da un certo periodo di tempo.
32
Le funzioni della differenziazione di status nei gruppi sono:
− creare ordine e prevedibilità all'interno del gruppo;
− coordinare le forze in vista del raggiungimento degli obiettivi;
− permettere l'autovalutazione di ogni membro del gruppo (non di rado, tale
autovalutazione all'interno del gruppo produce il fenomeno di adeguamento dei
propri comportamenti alle attese di gruppo).
Talora, i cambiamenti nella gerarchia interna di un gruppo sono provocati da eventi
esterni, come il conflitto o la competizione con un altro gruppo.
33
1.3
Ruolo
Il ruolo è l'insieme delle aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe
comportarsi una persona che occupa una certa posizione nel gruppo. Il ruolo riguarda,
insomma, i comportamenti esibiti ed attesi dei vari componenti.
Poichè ciascun ruolo si situa in una rete di reciprocità, il ruolo può essere definito
come l'insieme di attività e relazioni che ci si aspetta da una persona che occupa una
certa posizione all'interno di un gruppo o di una società e da parte degli altri nei
confronti della persona in questione (Brofenbrenner, 1979).
34
Esperimento di Zimbardo sulla Stanford Prison (1972):
partecipanti: 24 studenti universitari, maschi, selezionati in base al loro equilibrio
psicologico, volontari, pagati per uno "studio psicologico sulla vita in prigione". A
caso viene attribuito a 12 il ruolo di guardia, a 12 il ruolo di prigioniero.
tempo previsto per l'esperimento: massimo 2 settimane.
procedura sperimentale di partenza: le "guardie" partecipano il giorno prima
dell'esperimento ad un incontro iniziale sui limiti etici e pratici della simulazione; i
"prigionieri" vengono informati telefonicamente sul giorno d'inizio dello studio, nel
quale viene simulato il loro arresto e chiusura in carcere.
esperimento: in un seminterrato dell'Università di Stanford le guardie e i prigionieri
simulano la vita di una prigione.
risultati:
− dopo neppure 2 giorni dall'inizio dell'esperimento, i "prigionieri" si ribellano
contro le "guardie", che mettono in atto una serie di vessazioni per intimidire e
ridurre all'obbedienza i "prigionieri";
− nel corso dei primi 4 giorni dell'esperimento, quattro "prigionieri" dovettero uscire
dalla condizione sperimentale per gravi disturbi emozionali e psicosomatici;
− le "guardie" mostrarono un aumento progressivo delle intimidazioni sui
"prigionieri"; un terzo di loro andò ben oltre il mandato iniziale dell'esperimento;
− dopo la ribellione, i "prigionieri" si attestarono in una posizione di passività e di
rinuncia, dando segni di destrutturazione personale e di gruppo, che i ricercatori
interpretarono come segni di perdita d'identità causata dalla violenza delle
"guardie".
In altre parole, la finta prigione divenne una vera prigione e i comportamenti
osservati non erano espressione di caratteristiche stabili di personalità, ma modelli di
risposta specifici di ruoli e istituzioni sociali (la prigione e, anche, l'università, nel cui
contesto avviene l'esperimento).
35
Nei ruoli formali, presenti nelle varie organizzazioni sociali, vi sono aspetti definiti e
in qualche modo "obbligati", per quanto nell'esercizio di un ruolo le persone possano
introdurre elementi personali, possano cioè presentare stili di ruolo particolari (es.
insegnanti, guardie dal "volto umano", ecc.). Lo stile di ruolo rientra negli aspetti
soggettivi d'interpretazione del ruolo e si collega con le caratteristiche personali, i
valori, i modelli di colui che impersona quel determinato ruolo.
Fra i ruoli informali in un gruppo, Levine e Moreland (1990) fanno riferimento a
quelli di leader, nuovo arrivato, capro espiatorio, mentre Baron (1992) aggiunge
anche quello di clown (ruolo socio-emozionale). Bales (1953) distingue fra ruoli
centrati sul compito e ruoli socio-emozionali.
Le funzioni del ruolo sono:
− facilitare il raggiungimento degli scopi del gruppo, con la divisione del lavoro fra i
vari membri che assumono ruoli diversi (es. squadre sportive);
− portare ordine e prevedibilità nel gruppo;
− contributo all'autodefinizione (definire "chi sia" ciascuno all'interno del gruppo).
36
1.4 Norme
Le norme sono scale di valore, che definiscono ciò che è accettabile e non
accettabile per i membri di un gruppo, di una comunità o di una società. Esse
possono essere definite anche come delle aspettative condivise circa il modo in cui
dovrebbero comportarsi i membri di un gruppo (*).
(*) il ruolo riguarda, invece, le aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe
comportarsi un individuo particolare nel gruppo.
Le norme sono un prodotto collettivo e non riguardano solo regole di comportamento,
ma possono riguardare anche linguaggi particolari, abbigliamento, culto per certi tipi
di musica, pratiche alimentari e salutiste, ecc.
37
Le norme possono essere:
esplicite? es. regolamento scritto, deontologia di riferimento
(come avviene nei gruppi formali)
implicite? non sono scritte, né espresse direttamente, ma hanno ugualmente influenza e
forza d'impatto
centrali? si riferiscono a questioni che hanno conseguenze sull'esistenza e il
funzionamento del gruppo
periferiche? riguardano questioni considerate marginali dal gruppo
38
La formazione delle norme: l’esperimento di Sherif (1936) sull'effetto autocinetico.
L’effetto autocinetico è un fenomeno di illusione ottica per cui in una stanza molto
buia una piccola luce, fissa, sembra invece muoversi in ogni direzione.
scopo dell'esperimento: studiare la formazione di norme in condizioni individuali e
di gruppo, attraverso il giudizio espresso sull’ampiezza dell’oscillazione percepita.
soggetti: 59 studenti maschi
condizioni sperimentali:
individuale (n=19)? i
soggetti
vengono
esposti
individualmente all'effetto
autocinetico
gruppo (n=40) ? questa condizione prevede due sotto-condizioni:
1) 20 soggetti vengono esposti all'effetto autocinetico prima da soli e poi in gruppo
2) 20 soggetti vengono esposti all'effetto autocinetico prima in gruppo e poi da soli
compito dei soggetti: indicare di quanto si fosse mossa la luce (in realtà immobile).
Ciascuno espresse circa un centinaio di giudizi nel corso di sedute in più giornate
risultati:
a) condizione individuale: i soggetti nel corso delle varie presentazioni elaborano una
norma individuale nel campo di variazione del movimento (espressa dalla stima
individuale dell’ampiezza dell’oscillazione del punto luminoso)
c) condizione gruppo: la situazione di gruppo fa convergere i giudizi individuali,
soprattutto nella sotto-condizione 2).
Si riduce, in sostanza lo scarto tra le stime individuali e si converge verso una misura
(norma) centrale. Si parla, a tale proposito, di un effetto di “normalizzazione”
prodotto dall’interazione di gruppo.
39
Le norme assolvono a quattro funzioni:
−
AVANZAMENTO DEL GRUPPO:
le norme sono funzionali al raggiungimento degli
obiettivi del gruppo. Nelle situazioni di emergenza, come il conflitto con un altro
gruppo, le norme possono divenire più rigide e costrittive allo scopo di
incrementare la coesione interna e salvaguardare il gruppo.
−
MANTENIMENTO DEL GRUPPO:
le norme permettono al gruppo di preservarsi in
quanto tale, di continuare ad esistere in quanto entità condividendo, ad esempio,
costumi, abitudini alimentari, pratiche religiose, abbigliamento, gusti musicali,
attività.
−
COSTRUZIONE DELLA REALTÀ SOCIALE :
le norme assicurano al gruppo una
concezione comune della realtà, che serve come punto di riferimento anche per
l'autovalutazione dei membri e per fronteggiare situazioni ambigue, non familiari,
emozionali.
−
DEFINIZIONE DELLE RELAZIONI CON L'AMBIENTE SOCIALE:
le norme consentono
di precisare i rapporti con l'ambiente esterno, in quanto la realtà sociale costruita
dentro al gruppo permette di giungere ad un consenso circa le relazioni con gli altri
gruppi, i parametri di confronto, la valorizzazione del proprio gruppo rispetto agli
altri.
Nelle organizzazioni ampie si possono formare sottogruppi che esprimono norme
diverse e talora addirittura divergenti (del tipo "controcultura") con quelle
dell'organizzazione (ad es. nella scuola, nelle fabbriche, in ambiti religiosi e politici).
Lo stesso si può verificare all’interno di un gruppo informale come pure in generale,
all’interno di una società.
40
Devianza e innovazione indicano un diverso rapporto con le norme:
- nel caso della devianza, le norme non vengono rispettate ma non c’è una volontà,
da parte dei devianti, di sovvertire quelle norme e di introdurne altre;
- al contrario, l’innovazione è un processo che comporta l’introduzione di norme
innovative rispetto a quelle esistenti.
Il mutamento delle norme in un gruppo è possibile, per quanto si tratti in genere di
un lavoro a tempi lunghi.
La tendenza a conformarsi alle pressioni di gruppo è un fattore che permette ai
gruppi di avere continuità temporale.
Accanto al bisogno di conformarsi esiste, d'altra parte, anche il bisogno di
differenziarsi, di resistere alle pressioni omologanti. Da questa dinamica fra spinte
all'uniformità e alla differenziazione nasce la configurazione tipica di ogni gruppo.
Il tema del cambiamento delle norme è stato affrontato anche nell’ambito degli studi
sull’influenza minoritaria, vale a dire quel tipo di influenza esercitata da una fonte
inizialmente priva di potere e che ciò nonostante, grazie ad uno stile di
comportamento improntato alla coerenza, tenacia e capacità di adottare uno stile di
“negoziato” flessibile con i propri destinatari, riesce a produrre un cambiamento. Il
cambiamento prodotto da una minoranza influente è un cambiamento che, seppure
inizialmente poco visibile, è destinato ad essere più profondo e resistente nel tempo:
per questa ragione si parla, a tale proposito, di un effetto di “conversione” prodotto da
una fonte minoritaria.
L’influenza maggioritaria, vale a dire di quelle fonti dotate di potere, produce
invece conformità ed acquiescenza.
41
2. Appartenenza ai gruppi e identità sociale
2.1 Appartenenza ai gruppi e identità sociale in Tajfel
Per Tajfel, ciò che costituisce un gruppo è il fatto che l’individuo senta di farne parte.
Questa definizione di gruppo, che si fonda sul sentimento di appartenenza, si articola
in tre componenti:
a)
una componente cognitiva: sapere di far parte di un gruppo;
b)
una componente valutativa: connotare in modo positivo o negativo la
propria appartenenza ad un gruppo
c)
una componente emozionale: gli spetti cognitivi e valutativi sono
accompagnati da emozioni, quali amore, odio, piacere, dispiacere, orgoglio
e vergogna.
L'IDENTITÀ
SOCIALE
di un individuo consiste nella sua concezione di sé in quanto
membro di un gruppo? "L'identità sociale di un individuo è legata alla conoscenza
della sua appartenenza a certi gruppi sociali ed al significato emozionale e valutativo
che risulta da tale appartenenza" (Tajfel, 1972).
Nella concezione di Tajfel e della sua scuola, il concetto di identità sociale dà conto
dei fenomeni di favoritismo (coesione, altruismo) nei confronti del gruppo o dei
gruppi di appartenenza (ingroup) e di discriminazione verso i gruppi ai quali invece
non si appartiene (outgroup), fenomeni che caratterizzano le relazioni intergruppi.
42
Nella teorizzazione di Tajfel, in tema di relazioni tra gruppi, sono centrali le seguenti
nozioni:
b) Categorizzazione sociale? ordinare il mondo in categorie significative; "noi"
e "loro";
c) Identità sociale? consapevolezza di appartenere ad un certo gruppo sociale (e
anche identificazione ad una categoria, ad un aggregato di persone che
diventano significative);
d) Confronto sociale con gli altri gruppi: serve a determinare quale sia il valore di
certe caratteristiche del proprio gruppo;
e) Ricerca di una specificità positiva? il bisogno di una concezione positiva di sé
è sentito in rapporto alla/e appartenenza/e sociale/i. La tendenza a mostrare
favoritismo verso l’ingroup, osservato nel contesto della ricerca sperimentale
(paradigma dei gruppi minimali), è visto in rapporto con lo sforzo di
distinguere positivamente il proprio gruppo dagli altri gruppi;
f) Il conflitto intergruppi, nel quadro della teoria dell'identità sociale, può essere
dovuto sia alla competizione per acquisire risorse materiali (come diceva
Sherif), sia per acquisire, mantenere, difendere prestigio e status.
43
2.2 Quali motivazioni per l’identificazione nei gruppi
Alcuni ricercatori hanno analizzato le motivazioni che spingono gli individui a
identificarsi con un gruppo particolare, rispetto ad altri gruppi. Secondo questi
studiosi, la scuola di Tajfel ha messo a fuoco, nella ricerca e nella elaborazione
concettuale, solo la dimensione cognitiva dei processi di identificazione sociale,
mentre ha trascurato gli aspetti relazionali ed affettivo-emozionali.
Hogg e Abrams (1993), cercando di esplorare quali motivazioni vi siano alla base
delle identificazioni sociali, hanno concluso che la RIDUZIONE DELL'INCERTEZZA è
la motivazione principale all'identificazione sociale.
Deaux, una ricercatrice che ha sviluppato un vasto programma di ricerche volto a
descrivere e a valutare quali siano le motivazioni alla identificazione sociale, non
ritiene invece possibile che una sola motivazione possa dar conto delle numerose
ragioni per cui le persone scelgono una certa identità sociale.
Brewer (1991, 1993) impiega la nozione di
SPECIFICITÀ OTTIMALE,
per cui le
identità sociali sono scelte o attivate per far fronte ai bisogni opposti di
differenziazione del Sé dagli altri e di inclusione del Sé in categorie più ampie (es. gli
adolescenti che si differenziano dalla famiglia e si omologano al gruppo dei coetanei
considerati prototipici). La specificità secondo Brewer dipende dal contesto.
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Secondo Deaux, la ricerca di una specificità ottimale, come pure della stima di sé, è
una motivazione individuale, mentre l'identità sociale può essere motivata sia da
bisogni individuali sia da bisogni collettivi. Le motivazioni sottostanti le diverse
identità, messe in luce dalle ricerche della Deaux, sono sette (alcune delle quali
individuali, altre collettive):
-comprensione di sé,
-confronto e competizione intergruppi,
-cooperazione e coesione intragruppo,
-stima di sé collettiva,
-confronto sociale con inferiori,
-interazione sociale,
-coinvolgimento romantico.
Dalle ricerche svolte si è potuto constatare che vi sono motivazioni diverse per
diversi gruppi: gruppi che esercitano sport di squadra attivano soprattutto motivazioni
di confronto e competizione intergruppi, mentre queste motivazioni sono deboli per
gruppi religiosi o salutisti. La cooperazione intragruppo è una motivazione forte per
un gruppo religioso, come quello dei mormoni, ecc. Insomma, vanno meglio
conosciuti e studiati i processi motivazionali che stanno alla base del processo di
categorizzazione e di identificazione sociale.
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Bibliografia
De Grada E. (1999) Fondamenti di psicologia dei gruppi, Carocci, Roma
Speltini G. e Palmonari A. (1999) I gruppi sociali, Il Mulino, Bologna
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