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LOUIS DE WOHL
LA LANCIA DI LONGINO
Proprietà letteraria riservata
© 1957 by Louis de Wohl
© 1961 by Ruth Magdalene de Wohl
Executrix of the Estate of Louis de Wohl
Copyright renewed © 1979
All rights reserved
© 2016 Rizzoli Libri S.p.A. / BUR Rizzoli
ISBN 978-88-17-09037-7
Titolo originale dell’opera:
The Spear
Traduzione di Elisabetta Ciaccia Zaffaroni
Prima edizione BUR settembre 2016
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LA LANCIA DI LONGINO
A mia moglie
Ruth Magdalene
LIBRO UNO
I
Claudia Procula era divertita. Non era nuova a corteggiamenti travolgenti, ma questo giovanotto sembrava proprio voler
recuperare, in poche settimane, tutto il tempo trascorso in
qualche impossibile avamposto dell’impero.
Non c’era proprio niente di straordinario in lui. Di media
altezza, con una buona struttura ossea, occhi del color della notte e sopracciglia scure piuttosto folte, che lo facevano
apparire serio anche quando rideva. Era di buona famiglia;
i Longini erano soldati da generazioni e suo padre era un
generale a riposo.
Aveva incontrato per la prima volta Cassio Longino a un
ricevimento all’aperto a casa di Nerva Cocceio; non si era allontanato da lei neppure quando un proconsole e due senatori
avevano tentato di sbarazzarsi di lui. Pochi giorni dopo lo
aveva incontrato di nuovo a casa del senatore Pomponio e
aveva notato che non prestava nessuna attenzione alla bellissima figlia del padrone di casa, sebbene questa civettasse con
lui in modo assolutamente spudorato.
E adesso era comparso alla cena a casa di Marco Balbo.
Quando Claudia se lo trovò seduto in un angolo del suo
triclinio cominciò a ridere. «Ancora tu! A quanto pare, abbiamo proprio parecchi amici in comune.»
Cassio le sorrise raggiante. «Sto facendo del mio meglio,
domina. Se non fosse per te non sarei venuto qui.»
«E avresti fatto male. Le feste di Balbo sono famose.»
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Cassio rise. «Dicono che sia ricco quasi quanto è grasso. Se
è vero, deve essere mostruosamente ricco.»
Claudia sollevò le sopracciglia. «Attento! Non gli piacciono
commenti di questo genere e non è un tipo con cui scherzare.»
«I catti sono più grossi.»
«I chi?»
«I catti, i germani. Sono tutti alti quasi sette piedi, alcuni
anche di più. Grandi combattenti. Ho avuto a che fare con
loro per quattro anni, e non mi sembra proprio che Balbo
possa reggere il paragone.»
Cassio non registrò il segnale di avvertimento negli occhi
di Claudia.
«Cosa state dicendo di me?» chiese Marco Balbo con voce
sommessa. Gli piaceva passare da un tavolo all’altro per assicurarsi che gli ospiti avessero tutto quello che desideravano,
e, come molte persone grasse, si spostava senza far rumore.
Era panciuto e quasi calvo, ma il mento prominente indicava
energia e gli occhi piccoli erano freddi e spietati.
«Stiamo parlando di combattimenti» rispose Cassio.
«Ah, ma davvero? Del resto, è ovvio: sei appena tornato dalla frontiera germanica. Ventunesima Legione, giusto?
Immagino che si stia vantando delle sue prodezze militari,
sbaglio, nobile Claudia? Bene, bene. Scommetto che non ha
mai visto neanche un germano da vicino.»
Cassio era troppo giovane per riconoscere la sfumatura
irosa della gelosia. Sentì solamente il tono di sfida.
«È una scommessa difficile da accettare, signore, a meno
che tu riesca a raggiungere il mio comandante, il legato Cinna. Lui la potrebbe risolvere in tempi rapidi.»
Balbo sorrise. «Forse è una fortuna che il vecchio Cinna
abbia lasciato Roma per un paio di settimane. Non preoccuparti, giovanotto, sono sicuro che sei stato bravo. E, ovviamente, lo sanno tutti che Cinna dà in escandescenze al
sospetto di una critica nei confronti della sua legione... Se
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fossi un germano, probabilmente avrei una paura atroce di
te. Quanti ne hai uccisi?»
«Solo due» rispose Cassio con calma.
«Veramente? Interessante.» Balbo fece un ampio sorriso.
«A mani nude, immagino. Magari li hai strangolati?»
«No.» Cassio si incupì. «Ho usato la lancia. Hai parlato di
vanto, giusto? Be’, mi darò un altro po’ di arie per te. Scommetto che posso colpirti esattamente in mezzo alla pancia con
una lancia da una distanza di cinquanta passi.»
«Sul serio?» sbuffò Balbo. «Quasi quasi accetterei la
scommessa.»
«Come no, e fallo» ribatté Cassio. «Ma ti suggerisco di
preparare il testamento, prima.»
«Smettetela di litigare, voi due» si intromise Claudia. «Lascialo stare, Balbo, è un ragazzino.»
Quella era la cosa peggiore che avrebbe potuto dire.
«Scommetto qualsiasi cosa» disse Cassio con veemenza.
Il grassone sorrise compiaciuto. «Non sono abituato a
mettermi in mostra. Va bene lo stesso uno scudo, invece della
pancia del tuo ospite?»
«Assolutamente.» Cassio alzò le spalle.
«Bene, sfida accettata» disse Balbo. «Ma facciamo una
vera scommessa, qualcosa di sostanzioso. Diciamo ventimila
sesterzi. D’accordo?»
Cassio esitò. Era una somma importante. Se avesse perduto, avrebbe dovuto chiedere i soldi a suo padre. Ma da
quando era tornato aveva notato, non senza sorpresa, che suo
padre viveva in modo molto più lussuoso di quanto ricordasse. E Claudia lo stava guardando.
«D’accordo» disse.
Balbo tirò fuori immediatamente la tavoletta cerata e lo
stilo. «Scriviamolo» ribatté seccato.
La scommessa fu messa per iscritto ed entrambi siglarono
il documento.
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Balbo rise piano. «Non sarebbe appropriato sistemare la
faccenda alla fine della cena. Il mio vino è buono e potrebbe
renderti la mano malferma. Meglio cimentarsi subito. La sala
banchetti è grande a sufficienza.»
«Quando e dove vuoi» rispose Cassio in tono sprezzante.
Balbo annuì con soddisfazione. «Qui» disse. «E ora.»
Gli ospiti iniziarono a notare che stava succedendo qualcosa di insolito.
Balbo sussurrò istruzioni al maggiordomo, e subito comparvero due schiavi neri con un piccolo scudo d’argento, un
bellissimo capolavoro con al centro la testa di Medusa.
«Può andare?» chiese Balbo.
«Certo» rispose Cassio. Poi mormorò sottovoce alla ragazza: «Non è grosso come la sua pancia, ma va bene lo stesso».
Claudia si morse il labbro.
«Molto bene, mio giovane e arguto amico.» Balbo aveva
buone orecchie. «Ora misuriamo i cinquanta passi, esattamente lungo il tavolo principale. Cinquanta lunghi passi. Da qui.»
Misurarono la distanza.
«Rimanete qui, voi due» ordinò Balbo bruscamente ai due
schiavi. «Tenete questo scudo tra di voi, sì, così. E se vi muovete di un dito vi faccio frustare. Torniamo indietro, Cassio.
Ho ordinato che vengano portate un po’ di lance dall’armeria. Puoi scegliere quella che vuoi.»
Ce n’erano tre e Cassio le soppesò attentamente, una alla volta, prima di sceglierne una da caccia piuttosto pesante.
«Pronto» disse alla fine, e sorrise a Claudia.
Balbo gli lanciò uno sguardo truce. «Molto bene.» Sollevò entrambe le braccia. «Attenzione, amici. Un piccolo intermezzo per il vostro piacere. Il giovane Cassio ha scommesso
con me ventimila sesterzi che può colpire quello scudo con
la sua lancia da dove si trova ora. Dunque rimanete seduti e
non muovetevi prima che abbia lanciato. Pronti? Ora! Lancia, ragazzo!»
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Cassio inspirò a fondo. Lanciò, quindi rimase immobile,
il braccio destro disteso come se fosse un prolungamento
dell’arma.
La maggior parte degli ospiti abbassò la testa istintivamente; avevano sentito l’improvvisa folata di vento sul viso
arrossato. I due schiavi neri tennero lo scudo tra di loro con
compostezza forzata. Si udì uno schianto dirompente: entrambi vacillarono e per poco non caddero. La lancia aveva
trapassato lo scudo da parte a parte.
Cominciarono a gridare tutti insieme.
«Fantastico» ansimò la piccola Nigidia.
Il giovane avvocato Seneca, seduto sul divano accanto a
lei, vide che le si erano allargate le narici. «Il lancio o il lanciatore?» chiese beffardo.
«L’uomo» fu la risposta sincera. «Bellissimo. Chi è?»
«Per i bicipiti di Marte» si intromise il tribuno Celio «l’ha
colpito esattamente nel centro, proprio nella bocca di Medusa. Tale padre, tale figlio.»
«È Cassio Longino» spiegò l’avvocato. «Suo padre è un
comandante dell’esercito a riposo, uno dei migliori uomini
dell’imperatore nella guerra germanica. Tra l’altro, io sono il
suo consigliere legale.»
«Lo conosci bene, dunque» disse Nigidia. «Me lo presenti?»
«Il vecchio Longino non è qui stasera» la prese in giro
Seneca.
«Intendo il figlio, ovviamente, sciocco.»
«Attenta» sorrise Seneca. «Non vedi che Claudia sta mostrando un vivo interesse nei suoi confronti?»
Nigidia scrutò Claudia con un freddo sguardo indagatore.
Ma non c’era nulla da denigrare. Aveva una figura perfetta,
il viso attraente in modo provocante era truccato con cura, i
gioielli si abbinavano perfettamente all’abito di seta blu pavone, la nuova moda, e i capelli erano cosparsi di polvere dorata.
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