Il divieto di immissioni tutela la proprietà ma anche la

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Il divieto di immissioni tutela la proprietà ma anche la
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CIVILE
Il divieto di immissioni tutela
la proprietà ma anche la salute del proprietario
a cura di Luigi Cameriero*
la QUESTIONE
La norma dell’art. 844 c.c. è una norma a tutela della proprietà o una norma a
tutela del proprietario? Cosa si intende per normale tollerabilità? Quali sono le
questioni processuali più significative in tema di immissioni?
l’ APPROFONDIMENTO
XXLe immissioni nell’ordinamento italiano
Nel diritto italiano le immissioni sono regolate nell’art. 844 c.c. che innova così rispetto alla codificazione previgente dove, sul modello francese, non sussisteva alcuna disciplina specifica.
L’art. 844 c.c. recita: «Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore,
le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non
superano la normale tollerabilità avuto anche riguardo alle condizioni dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione
con le ragioni della proprietà.
Può tener conto della priorità di un determinato uso».
Nel primo comma la norma esplicita la nozione chiave dell’intera disciplina: quella di normale tollerabilità. Dal secondo comma risulta chiaro, invece, che ci si trova di fronte a una norma da interpretarsi
secondo criteri economici.
Sia la dottrina sia la giurisprudenza convengono che l’art. 844, primo comma, fornisce un elenco solo
esemplificativo delle entità idonee a recare molestie, ritenendo possibile la sua applicazione estensiva
solo alle fattispecie che presentano tassativamente i requisiti e le caratteristiche che si evincono dalla
norma stessa, considerato che comunque vengono posti dei limiti all’esercizio del diritto di proprietà.
Esse devono, infatti, avere il carattere della materialità, in quanto devono generare sostanze fisicamente
apprezzabili e misurabili, almeno secondo l’opinione dominante, devono riguardare fondi viciniori,
ancorché non contigui, e devono generare una situazione di intollerabilità attuale e non meramente
potenziale o semplicemente temuta.
* Avvocato del Foro di Potenza e componente del Comitato di redazione della Rivista.
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Sulla base di queste premesse, la dottrina italiana ha dedicato alle immissioni un costante sforzo di
classificazione. Esse sono state così raggruppate in diverse caselle tassonomiche: immissioni lecite e
immissioni illecite; immissioni dannose ma lecite; immissioni industriali e non industriali. Si distingue
poi fra immissioni dirette e indirette, materiali e immateriali, e si distinguono, ancora, le immissioni
dalle mere influenze.
Normativa di riferimento
Codice civile: art. 844.
XXIl criterio della normale tollerabilità
L’art. 844 c.c., primo comma, fissa la nozione chiave dell’intera disciplina nella parte in cui stabilisce
che il proprietario non può impedire le immissioni che non superano la normale tollerabilità, e offre
una soluzione legale di compromesso diretta a garantire in caso di conflitto tra vicini la maggiore
libertà di esercizio del diritto proprio con il minor danno reciproco.
Ad avviso della dottrina prevalente, tale formula, abbastanza astratta e generica, appare volta a indirizzare la valutazione del giudice piuttosto che a fissare precisi doveri comportamentali dei privati.
Dai primi interpreti il significato della disposizione era stato identificato con il divieto, per i proprietari
dei fondi, di provocare immissioni intollerabili, sanzionabili attraverso il ripristino della situazione
compromessa o, ricorrendone gli estremi, con il risarcimento dei danni. Il concetto di normale tollerabilità era allora equiparato all’uso normale del bene.
Oggi la corrente maggioritaria ritiene che la tollerabilità delle immissioni non vada desunta dalla
normalità dell’attività che la origina, ma dagli effetti che produce nei vicini, in relazione alle specifiche
condizioni ambientali di tempo e di luogo, come lo stesso codificatore suggerisce, quando affida al
prudente apprezzamento del giudice la valutazione dello stato del fondo che le subisce.
L’esigenza di un prudente apprezzamento del giudice è ribadito in giurisprudenza (Cass. n. 5697/2001),
la quale àncora i parametri essenziali di valutazione alla condizione dei luoghi, alle attività normalmente svolte in un determinato contesto produttivo, e, quindi, al sistema di vita e alle correnti
abitudini della popolazione del luogo (Cass. n. 10588/1995), definendo facoltativo e sussidiario il
criterio connesso alla priorità di un determinato uso (Cass. n. 6534/1985).
Il secondo criterio (quello del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della
proprietà) trova applicazione solo nel caso in cui le immissioni investono fondi a vocazione industriale,
tant’è che una parte della dottrina, sostenendo che il secondo comma dell’art. 844 c.c. disciplina solo
le “immissioni industriali”, ha definito lex specialis tale definizione.
La giurisprudenza ritiene che per valutare lo stato dei luoghi non conta solo la destinazione topografica, naturalistica o urbanistica del singolo appezzamento, ma è necessario tener conto anche delle
attività normalmente svolte nella zona in cui si trova il fondo; del sistema di vita e delle abitudini
della popolazione che vi risiede e della destinazione della zona ove sono situati gli immobili (Cass.
n. 3438/2010).
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Occorre inoltre ricordare che la normale tollerabilità pur essendo un criterio oggettivo non è mai
assoluta e va rapportata alla sensibilità di un uomo medio e alla specifica situazione ambientale.
La disciplina in esame è applicabile anche agli edifici condominiali. Qualora le singole unità immobiliari abbiano differenti destinazioni d’uso nel valutare la soglia di tollerabilità delle immissioni, le
esigenze di vita connesse con l’uso abitativo prevarranno rispetto alle esigenze economiche derivanti
dallo svolgimento di attività commerciali.
Al fine di rilevare la soglia di intollerabilità delle immissioni i regolamenti pattizi condominiali possono
legittimamente stabilire un criterio più rigoroso di quello previsto dall’art. 844 c.c.
In questo caso, però, sono necessarie regole specifiche e non sono sufficienti le disposizioni inerenti
alle attività ammissibili nelle singole unità proprietarie, né semplici deliberazioni assembleari prese
a maggioranza.
La giurisprudenza prevalente ritiene che l’accertamento dell’intensità e della intollerabilità delle attività
che arrecano disturbo richiede valutazioni tecniche, ma non può fondarsi solo su criteri di ordine
matematico o statistico o su criteri quantitativi oggettivi, come i parametri massimi fissati dalle leggi
speciali anti-inquinamento, acustico e atmosferico, o dai regolamenti comunali, dettati per difendere
la salute dei cittadini o l’ambiente (Cass. n. 1418/2006; Cass. n. 5697/2001).
La non interferenza tra le due specie di norme è motivata dalla diversa natura degli interessi che le
ispirano, privatistici in un caso, pubblicistici nell’altro (Cass. n. 1151/2003).
La dottrina, dal canto suo, pur condividendo la regola della non interferenza, ritiene che gli standards massimi di tollerabilità, contenuti nelle leggi ambientali o nei regolamenti comunali forniscono
inevitabilmente un punto di riferimento al giudice civile, anche se il loro mancato superamento non
comporta sempre un giudizio positivo sulle immissioni subite.
Viceversa emissioni vietate ai fini della tutela dell’ambiente possono essere costituite da sostanze
intollerabili solo in un ambito spaziale ridotto e quindi possono non risultare tali per il proprietario
di un fondo relativamente distante (Cass. n. 7545/2000).
Approfondimenti dottrinali
– Arzelà, «Le immissioni», in Tratt. Gambaro-Morello, I, Giuffrè, 2008;
– Barcellona, «Interessi diffusi, diritto alla salute e danno ambientale: esperienze e prospettive», in Corr. Giur., 1989, 8;
– Boeri, «Il divieto di immissioni e la tutela della salute nella recente evoluzione giurisprudenziale», in NGCC, 2001, 4;
– D’Angelo, «L’art. 844 e il diritto alla salute», in Breccia-Busnelli (a cura di), Tutela della salute e diritto privato,
Giuffrè, 1978.
XXTutela della proprietà o del proprietario?
Come abbiamo già segnalato nella parte introduttiva di questo contributo, da tempo si discute se
l’art. 844 c.c. sia una norma a tutela della proprietà o del proprietario.
All’interpretazione letterale della disposizione in questione che propende per la tutela della proprietà
si è nel tempo giustapposta un’interpretazione estensiva volta ad assicurare la tutela inibitoria anche
ai diritti fondamentali della persona indipendentemente dalla titolarità di un diritto reale sul fondo.
Tale impostazione estensiva prese avvio, alla fine degli anni settanta, con un pronuncia della Pretura
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di Vigevano (Pret. Vigevano 6 aprile 1978), e trovò conferma in una sentenza della Corte di Appello
di Venezia (App. 31 maggio 1985), che riconobbe l’applicabilità dell’art. 844 c.c. nei casi in cui le
immissioni avessero cagionato un danno alla salute della persona.
La lettura estensiva dell’art. 844 c.c. ha ricevuto nel tempo diverse critiche, sia da parte della dottrina sia da parte della giurisprudenza (cfr. Corte Cost. 23 luglio 1974, n. 247), che hanno portato
al superamento della c.d. “via vigevanese” e all’affermarsi di un doppio binario di tutela, in forza del
quale il proprietario di un fondo colpito dalle immissioni intollerabili avrebbe potuto esperire l’azione
inibitoria di cui all’art. 844 c.c. a tutela della proprietà e le azioni risarcitorie ex art. 2043 e 2059 c.c., eventualmente proposte in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., per il ristoro del danno alla persona cagionato
dalle immissioni stesse.
L’orientamento prospettato è stato anche suffragato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per la
prima volta con la sentenza 19 luglio 1985, n. 4263, e poi con la sentenza 15 ottobre 1998, n. 10186.
Questa pronuncia, in particolare, ha allentato il rapporto di stretta dipendenza tra azione ex art. 844
c.c. e diritto di proprietà che era stato configurato dalla Corte Costituzionale: infatti la sentenza in
esame dopo aver premesso che l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l’eliminazione delle cause di immissioni rientra tra le azioni negatorie, di natura reale, a tutela
della proprietà, riconosce che «l’azione stessa può essere esperita dal soggetto leso per conseguire la
cessazione delle esalazioni nocive alla salute, salvo il cumulo con l’azione di responsabilità aquiliana
prevista dall’art. 2043 c.c., nonché la domanda di risarcimento del danno in forma specifica ex art.
2058 c.c.».
XXL’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 c.c.
Con il passare degli anni, tuttavia, la giurisprudenza si è sempre più evoluta verso un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 844 c.c.
In particolare la Corte di Cassazione 11 aprile 2006, n. 8420, sottolinea, in proposito, la necessità di
un’interpretazione estensiva della norma in relazione al fattore salute, che è oramai intrinseco nell’attività
di produzione oltre che nei rapporti di vicinato.
La norma dell’art. 844 c.c., dunque, non è, né può solo essere, norma a tutela della proprietà, ma
è anche e soprattutto, norma a tutela della salute del proprietario, sebbene la titolarità del diritto reale
resti comunque condizione necessaria per invocare la tutela di cui alla norma in esame.
Non vi è dubbio, peraltro, che tale impostazione sia anche in linea con quella prospettata dalla CEDU
la quale in una recente pronuncia (CEDU 2 novembre 2006), ha chiarito che l’art. 8 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo – applicabile anche ove siano dedotte questioni ambientali causate direttamente dallo Stato – tutela il diritto della persona al rispetto della propria vita privata e familiare,
non solo da aggressioni fisiche, ma anche da rumori, emissioni, odori o altre forme di interferenze,
allorché queste le impediscano di godere le amenità della sua residenza.
Giova comunque, evidenziare, per completezza di analisi, che nonostante tali recenti interventi dei
massimi organi giurisdizionali, la questione profilata in rubrica resta ancora dibattuta nella giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Venezia 27 luglio 2007; contra Trib. Palmi 28 marzo 2007).
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XXLe questioni processuali
L’azione nei confronti della P.A. e i problemi di giurisdizione
La giurisprudenza è sostanzialmente pacifica nel ritenere ammissibile l’azione ex art. 844 c.c. anche nei
confronti della P.A.
Come è evidente l’ammissibilità di una simile azione nei confronti della P.A. pone delicati problemi
di giurisdizione per risolvere i quali occorre distinguere se le immissioni intollerabili derivino da un
mero comportamento della P.A., ovvero se esse si ricolleghino a un formale provvedimento, con cui
la P.A. abbia deliberato lo svolgimento di una determinata attività secondo modalità poi rivelatesi
fonte di immissioni intollerabili.
Nel caso in cui si tratti di un comportamento mero della pubblica amministrazione, nel solco della
sentenza n. 204 della Corte Costituzionale, la giurisdizione andrà sicuramente deferita alla A.G.O.
essendo in presenza di una attività senza potere lesiva in quanto tale di un diritto soggettivo.
Nel secondo caso, invece, occorre operare un distinguo. Ove, infatti, il privato lamenti che sia stata autorizzata dalla P.A. un’attività fonte di intollerabili immissioni, la giurisdizione spetta al G.A.
dovendosi verosimilmente chiedere l’annullamento dell’atto lesivo; ove, per converso, si intendano
contestare le modalità di svolgimento dell’attività autorizzata, la quale cesserebbe di essere lesiva con
l’adozione di taluni accorgimenti, la giurisdizione tornerebbe al G.O. non venendo in rilevo la necessità
di annullare un provvedimento amministrativo; se infine il privato chieda il risarcimento dei danni
nei confronti della P.A. per un’attività che sia stata fonte di immissioni pregiudizievoli per la salute,
la giurisdizione compete al G.O. essendo, come noto, la P.A. priva di alcun potere di affievolimento
della relativa posizione soggettiva.
La legittimazione del conduttore all’azione di cui all’art. 844 c.c.
Si discute sulla legittimazione attiva del conduttore all’azione di cui all’art. 844 c.c. La risposta dipende da vari fattori, e innanzitutto dalla natura che all’azione in questione si assegna.
La lettera della norma sembra propendere per il riconoscimento al solo proprietario della legittimazione
a impedire immissioni pregiudizievoli provenienti dal fondo del vicino.
Sennonché la giurisprudenza, facendo leva sull’oggetto della tutela – i.e. il godimento del fondo –
tende a favorire un’interpretazione estensiva della norma in parte qua riconoscendo la legittimazione
anche in capo ai titolari di un diritto reale diverso dalla proprietà. A tal proposito, quindi, problemi
particolari si pongono allorché ad agire sia il titolare di un diritto personale di godimento come ad
esempio il conduttore di un immobile di proprietà altrui.
La tesi dominante al riguardo è quella che estende per analogia anche al conduttore la legittimazione
all’azione ex art. 844 c.c. sul presupposto che le immissioni nocive costituirebbero molestie di fatto
ai sensi dell’art. 1585 c.c. secondo comma salva l’ipotesi in cui la cessazione delle immissioni postulerebbe una modifica sostanziale della conformazione dell’immobile da cui provengono le immissioni.
Ciò posto, dunque, resta da vedere quali siano i rimedi esperibili dal conduttore non legittimato a
promuovere l’azione ex. art. 844 c.c., a fronte di immissioni intollerabili provenienti dal fondo del
vicino.
Della questione si è di recente occupato il Tribunale di Roma, stabilendo che «in caso di immissioni
provenienti da terzi che pretendano di avere diritti sulla cosa, il conduttore non è legittimato a chie-
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dere una tutela inibitoria nei confronti degli autori delle immissioni, ma ha esclusivamente la facoltà
di agire nei confronti del locatore per la risoluzione del contratto o la riduzione del canone, oltre che
per il risarcimento del danno, qualora abbia patito un pregiudizio ulteriore non coperto dalla risoluzione del rapporto o dalla riduzione del canone, essendosi in presenza di un fatto che – sebbene non
imputabile al locatore – è, comunque, tale da determinare uno squilibrio del sinallagma contrattuale
alla stessa stregua di quanto avviene in presenza di vizi della cosa locata.
La legittimazione passiva
Un’altra diversa ma connessa questione riguarda la legittimazione passiva nel caso in cui l’autore delle
immissioni sia persona diversa dall’effettivo titolare della res.
A tal fine, sulla base del criterio del petitum sostanziale e sempre in considerazione della natura reale
dell’azione ex art. 844 c.c., si ritiene che essa possa essere esperita anche nei confronti dell’autore materiale delle immissioni, che sia persona diversa dal proprietario, allorquando soltanto a tale soggetto,
ai fini dell’inibitoria, debba esser imposto un facere o un non facere, suscettibile di esecuzione forzata
in caso di diniego, ovvero qualora l’autore chieda sic et simpliciter la cessazione delle immissioni;
mentre va proposta nei confronti del proprietario o di tutti i comproprietari se mira al conseguimento
di un effetto reale, come avviene quando è volta a ottenere il compimento delle modifiche strutturali
del bene indispensabili a farle cessare.
la SELEZIONE GIURISPRUDENZIALE
APPREZZAMENTO DEL GIUDICE DI MERITO
Cassazione civ., Sez. II, 12 febbraio 2010, n. 3438
Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale, variabile
da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice
di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei
a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte
di merito che aveva ritenuto non tollerabili le immissioni acustiche prodotte dal funzionamento di un’autoclave
e di un bruciatore, tenuto conto degli elevati livelli dei valori sonori, accertati strumentalmente, della situazione
dei luoghi, trattandosi di edificio ubicato in comune montano, del funzionamento dei detti impianti per molti mesi
dell’anno e anche in ore notturne, della collocazione degli stessi in un locale a stretto contatto con la camera
da letto degli attori e della necessità di questi, data la loro avanzata età, di godere di tranquillità e riposo e
aveva, altresì, disposto l’adozione degli accorgimenti suggeriti dal c.t.u.). (Rigetta, App. L’Aquila 30 luglio 2003).
NORMALE TOLLERABILITÀ
Cassazione civ., Sez. II, 10 maggio 2006, n. 10715
In tema di limitazioni legali della proprietà, l’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale
contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo di sopportazione delle
propagazioni inevitabili derivanti dall’uso delle proprietà attuato nell’ambito delle norme generali e speciali che ne
disciplinano l’esercizio. Pertanto, al di fuori di tale ambito, si è in presenza di un’attività illegittima di fronte alla quale
non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio, ancorché minimo, all’altrui diritto di proprietà o di godimento,
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sicché non essendo applicabili i criteri dettati dall’art. 844 c.c. viene in considerazione unicamente l’illiceità del
fatto generatore del danno arrecato a terzi secondo lo schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui
all’art. 2043 c.c. (Nella specie è stata esclusa l’applicabilità del criterio dell’equo contemperamento delle opposte
esigenze di cui all’art. 844 c.c. in considerazione dell’esercizio illegittimo della proprietà, atteso che le immissioni
acustiche emesse in danno dell’appartamento, destinato dall’attore ad abitazione in conformità della normativa
vigente, provenivano dall’opificio illecitamente installato dal vicino). (Rigetta, App. Milano 10 maggio 2002).
Cassazione civ., Sez. II, 18 aprile 2001, n. 5697
Per stabilire se le immissioni che si propagano all’immobile del vicino superino la normale tollerabilità, occorre
fare riferimento alla destinazione della zona nella quale sono situati gli immobili: se, infatti, essa è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve essere effettuato
dando prevalenza alle esigenze personali di vita del proprietario dell’immobile adibito ad abitazione rispetto alle
utilità economiche derivanti dall’esercizio di attività produttive o commerciali.
CONGRUO INDENNIZZO
Cassazione civ., Sez. II, 5 agosto 1992, n. 9298
L’indennizzo spettante al proprietario del fondo danneggiato dalle immissioni in alienum di cui all’art. 844 c.c., deve
essere determinato, quando il bene è goduto direttamente dallo stesso proprietario, in modo da comprendervi la
riparazione del danno derivato dalla minore o impossibile utilizzazione del bene che può essere fatta e avendo
riguardo alla naturale destinazione originaria di questo, alle possibili modalità di godimento del proprietario,
nonché alla maggiore o minore prevedibile durata delle immissioni.
FORME DI TUTELA
Cassazione civ., Sez. II, 2 giugno 2000, n. 7420
Le propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale tollerabilità costituiscono un fatto
illecito perseguibile, in via cumulativa, con l’azione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura negatoria) e con quella intesa a ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura personale),
a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio medesimo abbia assunto i connotati della temporaneità e non
della definitività.
Cassazione civ., Sez. II, 22 dicembre 1995, n. 13069
L’art. 844 c.c. – il quale riconosce al proprietario il diritto di far cessare le propagazioni derivanti dal fondo del
vicino che superino la normale tollerabilità – deve essere interpretato estensivamente, nel senso di legittimare
all’azione anche il titolare di un diritto reale o personale (nella specie, il conduttore) di godimento sul fondo.
Tuttavia, nel caso in cui gli accorgimenti tecnici da adottare per ricondurre le immissioni nei limiti della normale
tollerabilità comportino la necessità di modificazioni di strutture dell’immobile da cui le propagazioni derivano, si
deve escludere che il titolare di diritto personale di godimento sia legittimato a chiedere le modificazioni medesime, così come è privo di legittimazione passiva alla stessa azione il soggetto che, non essendo eventualmente
proprietario del fondo da cui provengono le immissioni, non è in grado di provvedere a quelle modifiche della
propria struttura che sia condannato a effettuare.
LEGITTIMAZIONE PASSIVA
Cassazione civ., Sez. II, 12 luglio 2006, n. 15871
Nell’ipotesi in cui le immissioni di cui all’art. 844 c.c. siano causate dal locatario del fondo contiguo la domanda
va proposta nei confronti del proprietario quando contenga una pretesa rivolta all’accertamento negativo del
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diritto di servitù (servitù di immissione c.d. immateriale, come ad es. “fumi immittendi”), oppure comporti una
richiesta di modificazione dello stato dei luoghi; altrimenti, qualora l’azione sia diretta alla mera rimozione di una
situazione lesiva o a fare cessare un’attività e abbia, dunque, natura personale, legittimato passivo è soltanto il
locatario quale autore delle immissioni (Rigetta, Trib. Cosenza, 11 ottobre 2002).
Per le sentenze di Cassazione si rinvia a: Lex 24 & Repertorio 24 (www.lex24.ilsole24ore.com).
la PRATICA
IL CASO CONCRETO
Cassazione civ., Sez. III, 11 aprile 2006, n. 8420
Svolgimento del processo
Con citazione del 25 maggio 1983 i coniugi Z.L. e P.M.T. convenivano, dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, V.M.,
proprietaria di un fondo e di una azienda confinante, e proponevano una serie di domande, anche di natura risarcitoria, dirette da un lato a rendere stabile una scarpata esistente sulla linea di confine del fondo e dall’altro
a eliminare le immissioni di odori nauseanti provenienti dall’allevamento di polli e di altro bestiame, gestito dalla
convenuta. La V. si costituiva contestando il fondamento delle pretese e in via riconvenzionale chiedeva la demolizione della sovrastante vasca di raccolta di acque piovane e il risarcimento dei danni provocati dalla franatura
della scarpata, nonché la condanna per la realizzazione delle opere di consolidamento.
La lite era istruita con prove orali e documentali e l’espletamento di ben tre consulenze tecniche di ufficio.
Con sentenza del 19 novembre 1997 il Tribunale di Ascoli Piceno accoglieva solo in parte la domanda proposta
dai coniugi Z. e condannava la V. al risarcimento dei danni, liquidati ai valori attuali, nella misura di L. 46.553.333,
oltre interessi dalla domanda al saldo sulla somma devalutata di L. 23 milioni.
In relazione alla costruzione del muro di contenimento il Tribunale ripartiva tra le parti le responsabilità della
frana, nella misura di 1/3 a carico degli attori e di 2/3 a carico della V.
Accoglieva la domanda riconvenzionale della V. in ordine ai danni cagionati dalla frana del 1992 e condannava
gli attori al pagamento dei relativi danni; compensava tra le parti le spese del giudizio.
Contro la decisione proponevano appello principale la V., in relazione alla instabilità della scarpata e alle opere
di consolidazione, e appello incidentale i coniugi Z., in ordine al riparto delle responsabilità, alle immissioni e ai
relativi danni.
Con sentenza del 20 settembre 2001 la Corte di Appello di Ancona così decideva: rigetta l’appello principale della V. e in accoglimento per quanto di ragione dell’appello dei coniugi Z. ordina alla V. la immediata cessazione
dell’allevamento di galline e la condanna al risarcimento dei danni, liquidati in L. 20 milioni per ciascun coniuge;
condanna la V. alla rifusione delle spese dei due gradi del giudizio e conferma nel resto la impugnata sentenza.
Contro la decisione ricorre la V. proponendo due motivi di censura illustrati da memoria; resistono le controparti
con controricorso.
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Motivi della decisione
Il ricorso non merita accoglimento in ordine ai dedotti motivi.
NEL PRIMO MOTIVO si deduce la omessa motivazione su punti decisivi della controversia, ovvero la contraddittorietà e insufficienza della stessa.
Le censure in particolare riguardano due punti:
a. il punto della causa della frana, indicata nel supplemento della c.t.u. (4 marzo 1994) secondo un doppio fattore,
sia per la naturale inclinazione di coinvolgimento delle acque piovane, sia per colpa dei coniugi Z. che avevano
lasciato aperto a lungo il rubinetto della vasca di contenimento delle acque provocandone la tracimazione delle
stesse;
b. un secondo punto, decisivo, concerne la valutazione della utilità del muro di contenimento e la legittimità della
sua collocazione sul terreno della V.
In ordine alla prima censura si rileva che essa difetta di autosufficienza e di decisività: di autosufficienza poiché
la consulenza è interpolata e la causalità non appare indicata chiaramente in termini alternativi o di concorrenza;
di decisività in quanto il ragionamento della Corte di Appello si fonda sull’analisi degli esiti delle varie consulenze
e perviene al convincimento di un concorso di cause e di colpe imputabili in maniera prevalente alla V. e minore
per i vicini del fondo.
Si tratta dunque di un prudente apprezzamento di fatto, che si avvale delle indicazioni tecniche peritali, ed è
congruamente motivato senza errori di tecnica o di logica giuridica.
In ordine alla seconda censura si osserva che la costruzione del muro giova a entrambi i contendenti, ed è stata
disposta in prevenzione di futuri danni, onde la collocazione del muro sulla proprietà della V. è misura di prevenzione esigibile e realizzabile con l’assenso della medesima, anche in relazione alle autorizzazioni necessarie per
la sua edificazione. Eventuali impedimenti posti dalla V. la renderanno civilmente responsabile per ulteriori danni.
Inoltre si osserva che entrambe le parti hanno chiesto una pronuncia sulla costruzione di un muro di contenimento,
sia pure in disputa sulle responsabilità.
Non sussiste pertanto alcun error in iudicando sul punto.
NEL SECONDO MOTIVO si deduce l’error in iudicando per la violazione dell’art. 844 c.c. La tesi è che essendo
l’attività di allevamento preesistente alla edificazione del fondo vicino, il criterio della prevenzione doveva prevalere, unitamente alle esigenze della produzione, sulle minori esigenze olfattive dei vicini. Si deduce infine la
contraddittorietà della motivazione, sulla base della errata indicazione del numero delle galline e sulla relativa
intuizione del lezzo insostenibile.
In senso contrario si osserva che la norma codificata sulle immissioni, nel prevedere la valutazione, da parte del
giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione, con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso, è stata correttamente applicata alla fattispecie in esame, considerando anche la valenza della qualità della vita e della salute dei vicini dell’azienda, nella quale la produzione
si è svolta senza la predisposizione di misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico.
Si tratta di una interpretazione estensiva della norma, costituzionalmente orientata, in relazione al fattore salute,
che è ormai intrinseco nella attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato (cfr. Cass. n. 3 febbraio 1999,
n. 915, Cass. n. 4 aprile 2001, n. 4963).
La valutazione del fatto storico e la sua corretta sussunzione sotto la norma in esame appare dunque giuridicamente esatta, legittimando la statuizione preclusiva del prolungamento di un’attività sostanzialmente nociva alla
salute dei vicini del fondo.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore del resistente, delle spese e
onorari del giudizio di Cassazione.
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Marzo 2011 – n. 3