Il superfluo - WritingsHome

Transcript

Il superfluo - WritingsHome
Il superfluo
Un odore nauseabondo mi ha perseguitato per tutta l’infanzia.
Era l’odore che mi riportava alla mente dolorose “esperienze“
collegate all’infuso di camomilla che mia madre preparava con l’aggiunta
di qualche cucchiaio di olio buono. Un infuso detestato al punto di
riservargli l’odio che si nutre più per un nemico, che per un liquido.
Parlo del “preparato” per il clistere, antico rimedio contro la stipsi,
una metodica benefica per gli “stitici”.
“Stitici”... parola la cui assonanza mi ha sempre richiamato termini
come “ascetici” e “stoici” che si distinguono per il distacco dagli eventi
del mondo, dalle passioni e dagli istinti, che fanno dell’abbandono del
superfluo un motivo di vita. La stranezza è che l’assonanza non abbia
riscontro nella sostanza. A differenza di questi ultimi, infatti, gli stitici si
tengono stretto il “superfluo” ma il termine “ascetico” rievocando olezzi
di “ascella”, ristabilisce tra i termini più di una semplice assonanza...
La mia infanzia marchiata dalla difficoltà a disfarmi del
“superfluo”, è stata gravata dal fastidioso ventre gonfio, humus ideale per
la formazione di gas nell’intestino... non proprio il massimo del bon ton.
Allora non esisteva il buon “bifidus”, fermento del latte famoso per
la pubblicità della Marcuzzi, e così venivo sottoposta al “clistere”!
Una vera e propria violenza, roba da telefono azzurro!
E l’inventore di un tale misfatto contro l’umanità? Un “sadico”,
prototipo umano, che avrà difficoltà ad estinguersi visto che quelli che
soffrono ci sono sempre stati e quelli che godono a vedere le sofferenze
degli altri sono altrettanto numerosi.
L’odore di quell’infuso, mi tornava nelle papille olfattive, quando
un simile effluvio pestilenziale si diffondeva nella mia casa da una
pietanza cucinata da mia madre. Vivevo di nuovo il dolore e
l’umiliazione scatenati dall’inserimento della “peretta”.
La peretta era l’aggeggio di plastica a forma, appunto, di pera che
inserita nel foro tra le natiche preposto più ad espellere che a ricevere,
introduceva nell’intestino pigro quella “purga” mefitica. Immaginate il
mio “disappunto” di bambina , i cui “desiderata”, venivano a mala pena
ascoltati. Dovevo subire quando invece preferivo, e preferisco ancora,
una soluzione al problema meno invasiva e più naturale: attendere il
“miracolo” nella stanza da bagno, privata delle mutande, leggendo riviste
o compilando giochi enigmistici... (io sono a favore della cultura!)
La stitichezza è, sì, un problema ma non va enfatizzato troppo e,
comunque, è meglio della “diarrea” di cui, almeno una volta nella vita,
tutti abbiamo sopportato i disagi. L’improvvisa, impellente necessità di
liberarsi del già detto “superfluo” che per caratteristiche di densità,
consistenza e odore richiede una “evacuazione” repentina in recipienti
preposti al “bisogno”. L’urgenza di tale evento è così pressante che si
avvicina a quella dell’ispirazione poetica (ebbene sì! Scrivo poesie!) che
ha il potere di farmi dimenticare tutto, e indurmi a cercare un luogo fuori
dalla portata degli indiscreti che potrebbero interrompere “l’ispirazione”.
Mio padre, dal quale sicuramente ho ereditato la stipsi, aveva un
approccio diverso dal mio. Mentre io mi isolavo nella toilette in un
atteggiamento passivo di attesa, lui non si lasciava condizionare,
ignorava il problema e, fiero di questa sua strategia di attesa,andava in
giro portandosi dentro il “fardello” del suo superfluo.
Per convincermi a cambiare atteggiamento mi ripeteva:
“Devi farti rispettare, fai come me. Io non mi faccio comandare da
nessuno … tanto meno dal mio “culo”!”
Scusate il termine, ma sono le parole di mio padre di cui oggi, che
non c’è più, conservo come il suo vangelo che ha cercato di trasmettermi
attraverso queste e tante ancora perle di saggezza!
Ma quale pietanza emanava, per me, un odore nauseabondo tanto
quanto quello dell’infuso per il clistere? La pietanza aborrita era a base di
una leguminosa, mangiata cruda il primo maggio,con il pecorino, e che
ben cotta con qualche erba aromatica, tipo la menta, viene elevata da
molti a “prelibatezza”.
Non so se ci sia una somiglianza effettiva tra i due odori, fatto sta
che io la percepivo in modo così intenso che spesso, quando per pranzo
c’erano fave cotte, evitavo di rientrare adducendo la bugia, confermata da
un’amica complice, che m’invitava a casa sua per studiare insieme. Il
disagio, che accompagnava l’odore, ha segnato la mia adolescenza e la
mia gioventù. Sono cresciuta con l’ansia di essere investita da quel
castigo di Dio e sopportando le prediche di mamma che continuava a
tesserne le lodi.
Passata la gioventù, mi ritrovai sposata...
Quel giorno tornando dal lavoro, da cui mi avrebbe esonerato dopo
qualche tempo, la legge per l’astensione obbligatoria per la maternità,
decisi di andare a pranzo dai miei. Quando mi aprirono la porta fui
inondata dall’odore noto! Che accadde? Non lo so, posso solo raccontarvi
la corsa che feci verso la cucina dove, sulla tavola apparecchiata,
troneggiava quel piatto fumante, stracolmo di fave cotte e...
No, non aprii il secchio dell’immondizia per gettarvi le fave con
tutto il piatto! No! Incredibile ma vero: avevo voglia di assaporarle. Cosa
mi attirava tanto? Proteine, ferro o altri sali minerali... di cui ha bisogno
l’organismo di una gestante? Sostanze che richiede con forza,
istintivamente, senza il filtro dell’esperienza; l’istinto che prevale
sull’intelletto nel corpo gravido e si mette alla guida di desideri e voglie...
Le famose “voglie”?
Non so se c’è da ridere ma quando vi alleggerirete del “superfluo”
forse vi ricorderete delle mie “fave”.
Non è il massimo dei sogni, ma in questa vita bisogna
accontentarsi... e soprattutto fare a meno del superfluo.