I ticket sanitari: strumenti di controllo della

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I ticket sanitari: strumenti di controllo della
Vol. 10, N. 4, Ottobre-Dicembre 2009
Politiche sanitarie
I ticket sanitari: strumenti di controllo della domanda
o artefici di disuguaglianze nell’accesso alle cure?
Vincenzo Rebba
Dipartimento di Scienze economiche, Università di Padova;
Associazione Italiana di Economia Sanitaria (AIES)
Riassunto. Il ticket sanitario rappresenta uno strumento consolidato di controllo della domanda sanitaria in molti paesi dell’area Ocse, pur riconoscendo la necessità di applicarlo in modo oculato, e in
combinazione con altri strumenti, per evitare possibili conseguenze negative sull'accesso alle cure essenziali. Peraltro, in mancanza di ticket, nei sistemi sanitari pubblici tende a manifestarsi un meccanismo di razionamento reale rappresentato dai tempi di attesa che si può configurare come soluzione inferiore in termini di benessere. Il presente contributo analizza l’utilizzo dei ticket sanitari come strumento diretto di governo della domanda, esaminandone gli effetti in termini di efficienza e di equità
con particolare riferimento ad un sistema sanitario pubblico.
Parole chiave. Domanda sanitaria, equità, rischio morale, ticket.
Abstract. Copayments (“tickets") are well-established tools for the control of health care demand in
many Oecd countries, even though they are used with caution, and in combination with other instruments, to avoid potential negative impact on access to essential health care services. Usually public
health care systems which do not employ co-payments, use waiting lists as an alternative rationing
mechanism to cost sharing. This may be a worse solution to maximise wellbeing . This paper focuses
on the use of copayments as a direct instrument to control demand, analysing the implications of their
use on efficiency and equity within a public health care system.
Key words. Copayment, equity, health care demand, moral hazard.
1. Introduzione
I sistemi sanitari, soprattutto in una fase come
quella attuale contraddistinta da una profonda crisi
economico-finanziaria, cercano di tenere sotto controllo i costi crescenti legati al processo di innovazione tecnologica e all’invecchiamento della popolazione, ricorrendo a strumenti di controllo dell’offerta e della domanda tali da realizzare un soddisfacente equilibrio tra equità ed efficienza.
Dal lato dell’offerta, le singole forme di controllo
appaiono mutevoli nel tempo e probabilmente continueranno ad esserlo perché errori di previsione ed
effetti di apprendimento da parte dei controllati rendono l’efficacia dei nuovi strumenti inferiore a quella promessa. Al massimo si può prevedere uno sforzo dei sistemi sanitari ad allargare lo spazio degli incentivi ai fornitori riducendo quello dei vincoli (Mu-
raro e Rebba, 2001). Dal lato della domanda, i controlli più frequentemente adottati prevedono l’adozione di compartecipazioni al costo delle prestazioni
sanitarie (ticket sanitari), che creano spesso ostilità
sociale per la loro regressività fiscale nonché per il
loro possibile impatto negativo sulla prevenzione e
quindi per l’elevato rischio di aumento di costi ritardati (Muraro e Rebba, 2004). Nella maggioranza dei
paesi, tuttavia, lo strumento della compartecipazione
alla spesa appare consolidato anche se si riconosce
comunque la necessità di configurare ed applicare il
sistema dei ticket in modo oculato e in combinazione con altri strumenti per evitare conseguenze inaccettabili in termini di efficienza allocativa e di
equità. Peraltro, in mancanza di ticket, il manifestarsi di un meccanismo di razionamento reale rappresentato dai tempi di attesa si può configurare come
una soluzione inferiore in termini di benessere. Lun-
Il presente contributo rientra nel Progetto “Nuovi criteri di governo della domanda e di promozione dell’equità nel Servizio Sanitario Nazionale” svolto nell’ambito del Programma di Ricerca PRIN 2007 “Governo della domanda e incentivi al finanziamento dell’offerta in un sistema sanitario a finanziamento pubblico”.
Autore per la corrispondenza
Vincenzo Rebba, [email protected]
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ghi tempi di attesa possono infatti inibire il consumo
anche in presenza di necessità effettiva e determinano un forte incentivo a spostarsi verso prestazioni
private a pagamento, riducendo così l’equità nell’accesso ai servizi sanitari.
Il presente contributo analizza l’utilizzo dei ticket
sanitari come strumento diretto di governo della domanda, esaminandone gli effetti in termini di efficienza e di equità con particolare riferimento ad un
sistema sanitario pubblico. Il lavoro è articolato nel
modo seguente. Nel paragrafo 2 viene sinteticamente esaminata la batteria degli strumenti che possono
essere utilizzati per governare la domanda in un sistema sanitario pubblico. Nel paragrafo 3 si considerano i pro e i contro dell’utilizzo del ticket per il controllo della domanda sanitaria e si mostra come, con
gli opportuni correttivi, un uso moderato di tale strumento possa essere consigliabile all’interno di un sistema sanitario pubblico. Il paragrafo 4 esamina il
razionamento reale determinato dall’esistenza di
tempi di attesa ed evidenzia come il ricorso a tale
strumento diretto “implicito” di controllo della domanda, in assenza di ticket, possa determinare effetti particolarmente negativi sia sul piano dell’efficienza, sia sul piano dell’equità. Da ultimo, nel paragrafo 5 si offrono alcune brevi considerazioni conclusive.
2. Strumenti di governo della domanda sanitaria
in un sistema sanitario pubblico
Analizzando il National Health Service (Nhs)
britannico a circa vent’anni dalla sua istituzione, James Buchanan, premio Nobel per l’Economia nel
1986, ne rilevò una incoerenza logica (inconsistency): da un lato, i cittadini, agendo individualmente come pazienti/consumatori, in assenza di
prezzo (prevedendo il Nhs la copertura gratuita universale dell’assistenza sanitaria), spingono la domanda (mediata dal medico) fino al punto di saturazione, in cui il beneficio marginale delle prestazioni
sanitarie si annulla1; dall’altro lato, gli stessi cittadini nella veste di contribuenti, agendo collettivamente attraverso i loro rappresentanti politici, tengono
invece conto del costo dei beni e servizi sanitari (Buchanan, 1965). Secondo Buchanan, la conseguenza
di tutto ciò è che in un Servizio sanitario nazionale,
essendo la domanda dominata dalle scelte private e
l’offerta dalle scelte pubbliche, si tende a manifesta1Anche quando il singolo individuo fosse consapevole del
costo imposto alla società, non modificherebbe il suo comportamento dal momento che la sua eventuale rinuncia determinerebbe un beneficio impercettibile per il resto della collettività e
d’altro canto egli non è sicuro che tutti gli altri lo seguirebbero
nell’astenersi da un consumo eccessivo di servizi.
re un costante squilibrio positivo tra domanda e offerta. Tale squilibrio non può peraltro essere sanato,
entro limiti ragionevoli, aumentando l’offerta di servizi, in quanto – anche trascurando l’esistenza di
vincoli di bilancio – questo potrebbe trascinare la relativa domanda (effetto Sid – supply-induced demand)2. L’eccesso di domanda può quindi provocare
effetti di congestione per alcuni servizi sanitari, con
un aumento dei tempi di attesa, e determinare squilibri finanziari per i sistemi sanitari. Da qui si determina la necessità di ricorrere a misure tendenti a governare la domanda nei limiti fissati per l’offerta3.
Il governo della domanda non va però inteso nel
senso di mero controllo della spesa sanitaria. La sua
principale finalità è infatti quella di garantire l’efficacia e l’appropriatezza delle cure, utilizzando al
meglio le risorse disponibili. A questo scopo, molti
sistemi sanitari pubblici (servizi sanitari nazionali e
sistemi di assicurazione sociale) hanno adottato, con
diversa intensità e secondo modalità eterogenee, una
batteria di strumenti di controllo diretto e indiretto
della domanda (tabella 1).
In primo luogo, vengono utilizzati strumenti diretti, che riguardano il controllo della domanda che
si può esprimere anche in maniera autonoma, senza
cioè che vi sia necessariamente l’azione di indirizzo
di un professionista sanitario o senza che questa
azione elimini del tutto l’efficacia di un intervento
sulla domanda originaria da parte dei consumatori.
Gli strumenti diretti sono essenzialmente di tre tipi:
a) compartecipazioni alla spesa da parte dei pazienti; b) razionamento reale attraverso la fissazione di
limiti quantitativi alle prestazioni sanitarie garantite
(razionamento esplicito) o i tempi di attesa (razionamento implicito); c) educazione sanitaria della popolazione con finalità di prevenzione.
Compartecipazioni e tempi di attesa rappresentano strumenti diretti utilizzati molto frequentemente
per controllare (non sempre in modo appropriato) la
domanda nell’ambito di un servizio sanitario nazionale (Ssn). Oltre a queste modalità tradizionali di
controllo della domanda, stanno assumendo sempre
più importanza le politiche di informazione ed educazione sanitaria dei cittadini, che possono incidere
2 Esiste una copiosa letteratura sull’effetto Sid. Si possono
citare al riguardo alcuni riferimenti essenziali tra cui Evans
(1974), Rice (1983), Phelps (1986), McGuire e Pauly (1991) e
McGuire (2000). Va peraltro osservato che l’effetto di induzione
non sempre trova riscontro empirico in letteratura. Ad esempio,
Martin e Smith (1999) non rilevano un sostanziale effetto Sid
nell’aumento dell’offerta di servizi di chirurgia elettiva nel Nhs
inglese, per cui tale aumento può essere utile a fronteggiare la
domanda riducendo i tempi di attesa.
3 Il governo della domanda consentirebbe di ristrutturare il
sistema sanitario in modo da collegare il lato della domanda e
quello dell’offerta all’interno di un comune processo di scelte
pubbliche (Buchanan, 1965, pp. 17-18).
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
Tabella 1 - Strumenti di controllo della domanda in un sistema
sanitario pubblico
STRUMENTI DIRETTI
a) Misure di compartecipazione alla spesa
• Franchigia
• Quota del costo della prestazione a carico del paziente
(coinsurance)
• Ammontare fisso a carico del paziente (copayment o ticket
sanitario)
b) Razionamento reale
• Tetto al volume di prestazioni sanitarie garantite
• Tempi di attesa*
c) Educazione sanitaria
• Prevenzione e riduzione dei comportamenti dannosi
(marketing sociale per la salute; collaborazione dei pazienti per aumentare l’efficacia dei consumi sanitari: compliance)
• Empowerment del paziente per corretta autodiagnosi e automedicazione
STRUMENTI INDIRETTI
d) Supporto, orientamento e selezione della domanda
• Empowerment della medicina territoriale
• Linee guida e Percorsi diagnostici e terapeutici secondo
Ebm
• Prioritizzazione della domanda: gestione delle liste di attesa secondo criteri di priorità (Rao, indici di priorità, ecc.)
* I tempi di attesa configurano un razionamento implicito della
domanda e non un vero e proprio strumento di governo della domanda. Tabella adattata da Muraro e Rebba (2004).
soprattutto sulle variabili predisponenti al consumo
di beni e servizi sanitari e che possono seguire due
fondamentali strategie: prevenzione sanitaria e correzione di stili di vita e comportamenti dannosi (ad
esempio, attraverso l’adozione di politiche di
marketing sociale per la salute4 e la promozione
della compliance dei pazienti nella fase della terapia); empowerment del cittadino sano e del paziente
attraverso un uso corretto dell’autodiagnosi e dell’automedicazione.
In secondo luogo, vi sono gli strumenti indiretti,
che vengono invece utilizzati per regolare la domanda guidata, in misura più o meno ampia, dai medici
quali fornitori di assistenza sanitaria. Si tratta di strumenti, complementari a quelli di tipo diretto, che in-
4Il marketing sociale per la salute rappresenta un’applicazione del marketing sociale alla prevenzione primaria e secondaria
che punta alla ricerca e all’utilizzo di strategie differenziate (modulate sulla base delle caratteristiche delle popolazioni target)
per indurre la modifica volontaria di un comportamento allo
scopo di ottenere benefici di salute a livello individuale e/o collettivo. Nel promuovere la prevenzione e l’adozione di corretti
stili di vita si tiene conto anche degli incentivi e dei costi che
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teressano direttamente i professionisti sanitari ma
che indirettamente contribuiscono a orientare e selezionare la domanda secondo criteri di appropriatezza. Seguendo lo schema della tabella 1, gli strumenti indiretti di governo della domanda riguardano in
particolare: il potenziamento e l’incentivazione della medicina territoriale, con funzione di orientamento della domanda5; l’adozione e applicazione di linee
guida e di percorsi diagnostici e terapeutici secondo
la medicina di provata efficacia (Evidence Based
Medicine - Ebm); la prioritizzazione della domanda,
ovvero la definizione di criteri di priorità per gestire
le liste d’attesa.
L’ultimo strumento indiretto appare particolarmente importante e prevede la definizione di criteri trasparenti e condivisi di priorità nell’accesso alle prestazioni sanitarie in relazione alla gravità clinica, all’urgenza, all’appropriatezza delle indicazioni (congruenza tra sintomatologia, sospetto diagnostico e prestazioni richieste in base alle migliori evidenze disponibili) e ad altre caratteristiche cliniche e socio-economiche considerate rilevanti6.
Esistono molteplici modelli sviluppati in letteratura
e applicati in diversi paesi per l’assegnazione di indici di priorità ai pazienti in lista di attesa7. In Italia, si sono diffuse varie esperienze di governo delle liste di attesa secondo criteri di priorità, tra le
quali si segnala in particolare l’esperienza dei Rao
(raggruppamenti di attesa omogenei) realizzata a
Trento a partire dal 1994 (Mariotti, 1999; 2006)8.
possono essere legati alla modifica dei comportamenti individuali. Sul tema si vedano Andreasen (1995), Siegel e Doner
(1998), Kotler et al. (2002) e LeGrand (2009).
5Il potenziamento del ruolo di governo svolto dalla medicina territoriale si può realizzare con strumenti di tipo organizzativo (forme di associazione dei medici territoriali; patti e accordi
tra aziende sanitarie e medici territoriali), economico-finanziario (budget della medicina territoriale; incentivi per il raggiungimento di obiettivi di qualità, appropriatezza e costo-efficacia) e
di formazione professionale.
6Vi sono ovviamente anche altri interventi che possono consentire l’efficace gestione delle liste di attesa e una contestuale
riduzione dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie, agendo
sia dal lato della domanda (impossibilità di effettuare prenotazioni multiple per la stessa prestazione; obbligo di pagamento
del ticket e/o applicazioni di penalità in caso di mancata presentazione del paziente; pagamento anticipato della prestazione
contestualmente alla prenotazione, ecc.) sia dal lato dell’offerta
(adozione di un centro unico di prenotazione; efficienza e pieno
utilizzo delle dotazioni di personale e delle attrezzature; predisposizione di una capacità produttiva che tenga conto delle punte di domanda, ecc.).
7La letteratura sulle liste di attesa si è sviluppata molto sul
versante economico, clinico e della ricerca operativa. Si vedano,
ad esempio: Hadorn e Holmes (1997); Cullis et al. (2000, pp.
1240-1242); Mullen (2003); Fantini et al. (2003); Grilli (2003);
Testi e Tanfani (2004); Mariotti (2006); Mariotti et al. (2008);
Norheim (2008).
8In Italia, con il Dpcm 16 aprile 2002 (allegato supplementare al Dpcm 29 novembre 2001), si è stabilito che il tempo di
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Recentemente la Società Italiana per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria ha inoltre elaborato una serie
di raccomandazioni su tempi e liste di attesa (Mariotti et al., 2009).
Un efficace governo della domanda richiede che
i vari strumenti esaminati vengano utilizzati secondo
la combinazione più opportuna tenendo conto delle
caratteristiche del sistema sanitario che si considera.
All’interno della batteria degli strumenti, il ticket sanitario risulta ampiamente utilizzato in gran parte
dei sistemi sanitari. Una sua applicazione moderata
può consentire di responsabilizzare la domanda rispetto all’uso delle risorse nell’ambito degli Ssn e
dei sistemi di assicurazione sociale ma richiede comunque l’utilizzo anche degli altri strumenti di governo allo scopo di limitare alcune delle problematiche di efficienza e di equità che lo caratterizzano. Su
queste tematiche verrà concentrata l’attenzione nei
successivi paragrafi.
3. Il ticket come strumento diretto di governo
della domanda
3.1. Compartecipazioni alla spesa sanitaria
e ticket sanitari
Le forme di compartecipazione (cost sharing) alla spesa da parte degli utenti utilizzate nei diversi sistemi sanitari sono piuttosto variegate e prevedono:
• franchigie (ammontare per caso o per anno a
carico del paziente prima che intervenga la copertura del terzo pagante pubblico o privato);
• meccanismi di coinsurance (quota percentuale
del costo della prestazione a carico del paziente);
• meccanismi di copayment (ammontare posto a
carico del paziente e indipendente dal costo effettivo della prestazione sanitaria)9.
erogazione rappresenta una delle caratteristiche qualificanti i livelli essenziali di assistenza (Lea). L’accordo Stato-Regioni
dell’11 luglio 2002 ha reso operativo tale principio, fornendo
una definizione nazionale delle classi di priorità e prevedendo il
monitoraggio dei tempi di attesa per cinque tipi di prestazioni
ambulatoriali diagnostiche e specialistiche e per cinque tipi di
ricovero (Conferenza Stato-Regioni, 2002). Successivamente,
il Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa 20062008 ha dettato linee generali di intervento che le Regioni devono garantire attraverso i Piani regionali attuativi. Nel contempo, diverse Regioni hanno definito criteri di priorità per le
prestazioni sanitarie e si sono diffuse a livello locale numerose
esperienze pilota di prioritizzazione della domanda. Si vedano,
ad esempio, ASSR (2003), Grilli (2003), Antonazzo et al.
(2004) e il contributo di Castaldi (2009) in questo numero di
Politiche sanitarie.
9A differenza della coinsurance, con il copayment il comportamento del paziente non viene influenzato dal costo totale
dell’assistenza sanitaria ma dalla quantità di beni e servizi sanitari consumati. Un’altra tipologia di co-finanziamento privato
può essere ravvisata nell’anticipazione della spesa da parte del
paziente, dal momento che non vengono rimborsati gli interessi
Nel caso italiano, la compartecipazione assume
la configurazione del copayment e viene tipicamente
indicata con il termine ticket, secondo l’accezione
francese del cosiddetto ticket moderateur10. Nel presente contesto, il termine ticket viene usato per semplicità espositiva come sinonimo generale di compartecipazione11.
3.2. L’uso del ticket per il controllo del rischio
morale
Alle compartecipazioni viene affidato tipicamente un duplice ruolo: di controllo della domanda e di
finanziamento della spesa sanitaria. Solo il primo
configura un utilizzo appropriato mentre l’uso dei
ticket come forma di finanziamento della spesa sanitaria può essere fonte di iniquità distributiva.
Considerando il primo ruolo, a partire dagli articoli pionieristici di Arrow (1963, 1968), Pauly
(1968) e Zeckauser (1970), si è sviluppato un ricco
filone di letteratura economica che mostra come
l’introduzione di forme di compartecipazione alla
spesa possa consentire di limitare i fenomeni di rischio morale ex post che si determinano in presenza
di ampia copertura assicurativa e che portano ad un
sovraconsumo di beni e servizi sanitari12. Il rischio
sacrificati. Si tratta della cosiddetta assistenza indiretta tipica del
sistema francese, che riguarda l’intera gamma delle cure extraospedaliere. Tale misura potrebbe dar luogo a casi di mancato accesso alle cure per carenza di liquidità.
10La dizione originaria ticket moderateur, relativa, alla sua
introduzione in Francia, indica che il sacrificio richiesto all’utente ha l’obiettivo di moderare i consumi e tale giustificazione
è stata adottata anche in Italia al momento dell’introduzione, nel
1978, del primo provvedimento legislativo riguardante il ticket
sui farmaci. Le successive modificazioni quali-quantitative ed
estensioni (alla diagnostica e alla specialistica) hanno portato a
configurare questo istituto come una compartecipazione alla
spesa da parte dell’assistito.
11Come si è appena detto, il termine compartecipazione
comprende al suo interno sia la coinsurance che il copayment e
solo con riferimento al secondo si dovrebbe parlare propriamente di ticket.
12Una rassegna della letteratura economica sul rischio morale
ex post in sanità e sui meccanismi di compartecipazione correttivi
si trova in Cutler e Zeckauser (2000) e Zweifel e Manning (2000).
L’assicurazione sanitaria privata o pubblica può determinare anche fenomeni di rischio morale ex ante, cioè la tendenza, da parte
di chi gode di una copertura assicurativa (e per questo si sente
“rassicurato” non essendo poi chiamato a pagare per le cure che si
rendessero necessarie) a non adottare uno stile di vita appropriato
e non a mettere in atto tutte le azioni utili a prevenire le patologie
cui è più esposto. Questi fenomeni sono in genere considerati di
portata piuttosto limitata (Kenkel, 2000), anche se recentemente
sono stati documentati empiricamente in uno studio relativo al
programma statunitense Medicare (Dhaval e Kaestner, 2009).
Zweifel et al. (2009, pp. 224-233) mostrano come anche il rischio
morale ex ante possa essere contenuto attraverso l’uso di compartecipazioni alla spesa. Nella realtà dei sistemi sanitari pubblici,
per controllare tale fenomeno, si utilizzano però altri strumenti diretti di governo della domanda quali, ad esempio, le politiche di
promozione dell’educazione sanitaria.
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
morale (moral hazard) si determina in quanto – dopo l’attivazione della copertura dei rischi sanitari garantita dall’assicurazione privata o pubblica – l’assicurato può adottare comportamenti non conosciuti e
non facilmente controllabili dall’assicuratore, il quale a sua volta non dispone di informazioni precise
sullo stato di salute dell’assicurato. In particolare, se
l’assicurazione copre tutto, la persona assicurata,
non pagando direttamente le prestazioni sanitarie,
potrebbe aumentare la propria domanda (diretta o
mediata dal medico) al di sopra del livello previsto
dal terzo pagante sulla base di considerazioni di appropriatezza e di efficacia13. I costi sociali associati
all’espansione eccessiva dei consumi sanitari possono più che controbilanciare i benefici sociali determinati dalla copertura dei rischi sanitari da parte dell’assicurazione. Si può quindi avere una perdita netta di benessere per la collettività degli assicurati (dei
contribuenti nel caso del Ssn) che è tanto più grande
quanto più elevata è l’elasticità rispetto al prezzo
della domanda di assistenza sanitaria14.
Nel caso dell’assicurazione privata volontaria, il
rischio di spese di rimborso impreviste ed eccessive
originate dal rischio morale viene generalmente controllato dalle compagnie prevedendo, prima ancora
della stipula del contratto assicurativo, premi più elevati rispetto a quelli che potrebbero garantire l’equilibrio attuariale e un congruo margine di profitto
(premi che quindi scontano già le spese sanitarie ex
post) e questo ovviamente può scoraggiare molti potenziali sottoscrittori dallo stipulare il contratto assicurativo15. Inoltre, le compagnie private tenderanno,
entro i limiti posti dalla concorrenza nel mercato assicurativo e dalle leggi a tutela degli assicurati, a rivedere periodicamente verso l’alto i premi a fronte
degli incrementi di spesa sperimentati dai loro clienti. L’aumento dei premi indotto dai fenomeni di rischio morale determina quindi una perdita di benessere per la collettività degli assicurati. L’opportunità
di non scoraggiare troppo le sottoscrizioni, richiedendo premi elevati che incorporano l’effetto di rischio
morale, spinge comunque le assicurazioni private a
13L’appropriatezza riguarda tipicamente la coerenza delle
prestazioni domandate rispetto alle indicazioni provenienti da linee guida e protocolli diagnostico-terapeutici, mentre l’efficacia
riguarda gli esiti finali, in termini di salute e di qualità della vita,
ottenibili con le prestazioni stesse e attestati in base alle evidenze empiriche.
14Va osservato che una misurazione corretta della perdita di
benessere determinata dal sovraconsumo richiederebbe la considerazione della elasticità al prezzo della domanda compensata
per gli effetti di reddito, cioè della cosiddetta domanda hicksiana (Zweifel et al., 2009, p. 242).
15Come osserva Pauly (1968, p. 533), la mancata o incompleta formazione del mercato assicurativo che si determinerebbe
in questo caso è del tutto simile, sotto il profilo logico, alla inconsistency del Servizio sanitario nazionale (nella fattispecie, il
Nhs britannico) rilevata da Buchanan (1965).
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prevedere altri strumenti per limitare il sovraconsumo e, in particolare, ad adottare diffusamente meccanismi di compartecipazione degli assicurati alle spese sanitarie quali franchigie, scoperti e massimali.
Nel caso di terzo pagante pubblico (sistemi di assicurazione sociale e Ssn), una possibile opzione per
fronteggiare l’aumento della spesa originato dal rischio morale, analoga alla revisione verso l’alto dei
premi, è data dall’aumento dei contributi obbligatori o
delle imposte. Si tratta di un’opzione che tende a non
essere agevolmente utilizzabile per gran parte dei paesi industrializzati in ragione dei limiti posti all’aumento della pressione fiscale dalla globalizzazione
dell’economia (Muraro, 2003) e che peraltro conduce
a una perdita di benessere per la collettività, trattandosi di finanziare spese per consumi sanitari al di sopra
del livello ottimale. Anche per le assicurazioni pubbliche appare quindi più efficiente, in termini allocativi,
controllare il rischio morale utilizzando forme di
coinsurance o di copayment che tendono a responsabilizzare i consumatori rendendoli in qualche misura
consapevoli dei vincoli di scarsità delle risorse.
Nella letteratura economica sono stati sviluppati
modelli che determinano la struttura del contratto assicurativo e il livello di compartecipazione che sono
in grado di garantire congiuntamente l’equilibrio ottimale tra pooling dei rischi degli assicurati e riduzione dell’inefficienza legata al rischio morale16.
Questi modelli evidenziano anche che l’efficacia del
ticket come strumento di controllo del rischio morale dipende dall’elasticità rispetto al prezzo della domanda di assistenza sanitaria.
Una regola generale che si può trarre dalla letteratura citata è che la compartecipazione dovrebbe
essere fissata ad un livello più basso (o nullo) per le
prestazioni sanitarie contraddistinte da bassa (o nulla) elasticità della domanda al prezzo. È il caso, ad
esempio, delle prestazioni urgenti, dei farmaci salvavita, delle terapie richieste dalle persone più vulnerabili e affette da gravi patologie croniche, nonché
delle forme di assistenza che non presentano alternative terapeutiche. In questi casi il ticket risulterebbe
inefficace come strumento di controllo degli eccessi
di domanda, mentre sarebbe invece molto efficace
come strumento di finanziamento poiché garantirebbe un gettito sicuro e stabile, andando a gravare su
prestazioni la cui domanda è rigida rispetto al prezzo
e quindi non comprimibile17. Un tale utilizzo del
ticket, oltre che inefficace rispetto all’obiettivo di
controllare il rischio morale, appare particolarmente
16Si vedano, ad esempio, Zeckhauser (1970), Manning e
Marquis (1996), Blomqvist (1997) e Zweifel et al. (2009, pp.
233-244).
17Ciò ovviamente a prescindere dagli effetti di reddito del
ticket, che possono scoraggiare la domanda anche per prestazioni essenziali e urgenti e che verranno considerati tra poco.
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iniquo in quanto pone un onere finanziario maggiore
proprio a carico delle persone caratterizzate da più
elevato rischio sanitario e maggiore bisogno di assistenza.
L’uso corretto del ticket richiede quindi che la
compartecipazione a carico del paziente/consumatore sia più elevata per i servizi non urgenti e meno
essenziali caratterizzati da una più elevata elasticità
della domanda (ad esempio, alcune prestazioni ambulatoriali e diagnostiche differibili, i farmaci non
essenziali, le cure termali, ecc.)18. Va peraltro osservato che una prestazione sanitaria difficilmente può
essere definita a priori “non urgente” o “non essenziale”. La scelta delle prestazioni sanitarie da assoggettare a ticket viene in genere effettuata sulla base
di una preliminare valutazione implicita o esplicita
(in base a criteri di prioritizzazione e di Ebm) del
grado di urgenza e di essenzialità delle prestazioni
stesse rispetto a particolari categorie di pazienti. La
previsione di esenzioni soggettive, legate all’esistenza di patologie croniche o a particolari condizioni di
fragilità (che rendono rigida la domanda), avviene
invece facendo riferimento alla singola situazione
individuale.
Va peraltro considerato che le persone in condizioni economiche disagiate sono caratterizzate da
una domanda di assistenza sanitaria molto elastica al
prezzo19 e potrebbero, in presenza di un ticket, ridurre eccessivamente (o addirittura azzerare) i loro consumi anche nel caso in cui questi fossero appropriati
ed efficaci. Ciò dipende dall’effetto di reddito negativo determinato dal ticket che incide in maniera particolarmente forte sulle persone con più basso livello di ricchezza. In questo caso, l’applicazione del
ticket potrebbe determinare un sottoconsumo di prestazioni sanitarie (una riduzione delle azioni di prevenzione e un rinvio di quelle curative) da parte delle classi sociali più deprivate, con un impatto negativo sulla salute e un possibile aumento della spesa sanitaria nel medio-lungo periodo. Ciò comporterebbe
una riduzione sia dell’equità nell’accesso ai servizi,
sia dell’efficienza allocativa, con un peggioramento
del benessere per la collettività degli assicurati. Si ritiene quindi preferibile esentare dal ticket le persone
18L’applicazione delle misure di compartecipazione alla spesa sanitaria è piuttosto differenziata tra i diversi paesi. Conformemente alle indicazioni della teoria (che evidenziano la maggiore efficacia del cost sharing nel caso di domanda elastica), il
ricorso ai ticket appare generalizzato soprattutto nel caso dei farmaci mentre è relativamente meno diffuso per quanto concerne
le prestazioni diagnostiche, le visite specialistiche e soprattutto i
ricoveri ospedalieri. Una sintesi delle politiche di compartecipazione alla spesa adottati nei principali paesi dell’Ocse si può trovare in Docteur e Oxley (2003 e 2004), Pammolli e Salerno
(2006) e Taccone (2008).
19Si considera qui la domanda “marshalliana” non compensata per gli effetti di reddito.
che, a causa di una situazione economica particolarmente sfavorevole, potrebbero essere disincentivate
ad accedere a prestazioni sanitarie essenziali20.
L’analisi teorica e quella empirica segnalano
inoltre che un’applicazione solo parziale del ticket,
cioè solo su alcuni beni e servizi sanitari caratterizzati da rischio morale, potrebbe determinare effetti
indesiderati nella misura in cui vi fosse una elevata
sostituibilità tra diverse forme di assistenza. Se, in
sostituzione delle prestazioni gravate da ticket, si ricorre impropriamente ad altre prestazioni completamente gratuite, si potrebbe determinare un aumento
della spesa pubblica tanto più accentuato quanto più
elevata è l’elasticità della domanda (diretta e incrociata) al prezzo dei servizi offerti gratuitamente. Ad
esempio, le prestazioni ambulatoriali specialistiche e
diagnostiche soggette a ticket potrebbero essere sostituite impropriamente con prestazioni di ricovero o
di emergenza gratuite, a meno di non introdurre regole più severe per l’ammissione alla degenza ospedaliera o ai servizi di Pronto soccorso. Potrebbe essere quindi opportuno che i ticket vengano introdotti per un’ampia gamma di prestazioni in modo da responsabilizzare il paziente circa le proprie scelte ed
evitare il processo di deviazione della domanda verso forme di assistenza sostitutive inappropriate e più
costose non colpite dal ticket21. Considerando l’esempio precedente con riferimento ai servizi di
emergenza, si tratterebbe di estendere l’uso della
compartecipazione alle prestazioni specialistiche e
diagnostiche non urgenti fruite presso i servizi di
Pronto soccorso. In questo caso, il ticket viene ad assumere la connotazione di un’imposta Pigouviana
per correggere le esternalità negative determinate
dall’utilizzo improprio di servizi sanitari22. Poiché
però un’applicazione generalizzata del ticket potrebbe finire per gravare anche su prestazioni a domanda
20Sul tema delle esenzioni per le persone a elevato rischio
sanitario e per quelle a basso reddito si tornerà nel paragrafo 3.5.
21Molti paesi europei prevedono un’applicazione piuttosto
generalizzata del ticket, utilizzandolo tuttavia anche per finalità
di finanziamento. Ad esempio, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Giappone, Lussemburgo, Portogallo e Svezia applicano anche un ticket sui ricoveri. Nel caso italiano, la Relazione finale della Commissione
Onofri del 1997 proponeva l’applicazione del ticket per un’ampia gamma di prestazioni sanitarie: farmaci, specialistica, pronto soccorso, medicina di base (per visite domiciliari), ricoveri in
day hospital e ordinari (per questi ultimi si proponevano compartecipazioni in misura contenuta, ad esempio limitate al primo
giorno di ricovero). Tali indicazioni hanno visto una successiva
applicazione solo parziale nelle Regioni italiane, con l’applicazione di ticket per le prestazioni non urgenti in Pronto soccorso,
oltre ai ticket già esistenti per farmaci e specialistica. Si vedano,
Zamagni (1997), Geddes (2008) e Taroni (2008).
22È con questa finalità che, in tutte le Regioni italiane viene
prevista l’applicazione di un ticket per le prestazioni non urgenti in Pronto soccorso (codici bianchi). Si veda al riguardo Rocchetti e Spandonaro (2007), p. 13.
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
rigida (prestazioni essenziali o prestazioni - come ad
esempio i ricoveri ordinari di elezione – per cui non
esistono alternative), spesso si preferisce – in luogo
del ticket – introdurre maggiori controlli dal lato dell’offerta per l’accesso a tali servizi.
Abbiamo appena visto che un’applicazione estesa del ticket può limitare gli effetti di sostituzione tra
diverse tipologie di assistenza sanitaria che potrebbero generare aumenti di spesa per il terzo pagante.
In alcuni casi, il ticket può essere invece utilizzato
proprio per incentivare la sostituibilità tra beni sanitari e servizi, qualora ciò possa consentire risparmi
di spesa: ad esempio per scoraggiare il ricorso a prodotti farmaceutici di marca per i quali esistano sostituti generici di pari efficacia e meno costosi23.
3.3. Efficacia del ticket ed effetto Sid
Dalla precedente discussione, emerge come l’utilizzo dei ticket venga giustificato dalla necessità di
responsabilizzare l’assicurato circa i consumi sanitari, spingendolo a ridurre esclusivamente l'utilizzo di
beni e servizi inappropriati e con ridotti (o nulli) benefici marginali sociali.
A questo punto, però emergono due problemi. Il
primo riguarda l’effettiva capacità delle compartecipazioni a contenere solo la domanda di prestazioni
inappropriate e con bassa efficacia senza che venga
invece pregiudicata anche la domanda di prestazioni
sanitarie con elevata produttività in termini di salute.
Il secondo, ancora più rilevante, riguarda il fatto che
in sanità la domanda dei pazienti (assicurati) non è
quasi mai autonoma ma viene determinata dai medici per cui, tenendo conto dell’effetto di induzione
della domanda da parte dell’offerta (il cosiddetto effetto Sid – supply-induced demand), l’applicazione
del ticket sugli utenti sarebbe inutile in quanto non
sortirebbe alcun effetto in termini di contenimento
della domanda.
La prima questione è particolarmente complessa
e qualche indicazione al riguardo si può trarre dall’analisi empirica degli effetti del ticket (che verrà
esaminata nel paragrafo 3.4). Va qui segnalato che
recentemente si è cercato di affrontare il problema
sviluppando un nuovo approccio che tende ad affinare il modello standard basato sul controllo del rischio morale attraverso compartecipazioni positivamente correlate con l’elasticità al prezzo della domanda di prestazioni sanitarie. Secondo il nuovo approccio, definito value-based cost sharing, si do23Questo particolare meccanismo di copayment è utilizzato
in Spagna e in alcune Regioni italiane. Ad esempio, in Spagna, i
pazienti che non accettano la sostituzione con il generico pagano la differenza rispetto al tetto massimo rimborsabile più il
40% del prezzo di riferimento. Si veda al riguardo Pammolli et
al. (2004).
227
vrebbero applicare compartecipazioni più basse per i
beni e servizi sanitari contraddistinti da più elevati
benefici marginali sociali in rapporto ai costi. Seguendo questa impostazione, i livelli di compartecipazione incentivanti dovrebbero essere individuati
sulla base delle evidenze empiriche di efficacia clinica e di costo-efficacia osservate per molte prestazioni sanitarie con riferimento a specifici gruppi di
pazienti, evidenze ottenute grazie alla sempre maggiore diffusione delle metodiche di Health technology assessment (Hta). In particolare, le prestazioni
contraddistinte da un buon rapporto costo-efficacia
dovrebbero beneficiare di ticket più contenuti e, in
alcuni casi, non essere assoggettate ad alcuna compartecipazione (Chernew et al., 2007; Braithwaite e
Rosen, 2007; Chernew e Fendrick, 2009). In questo
modo, può essere scongiurato il pericolo che, a causa del ticket, i pazienti assicurati, non disponendo di
informazioni adeguate, riducano anche la domanda
di prestazioni appropriate ed efficaci per le quali sia
stata documentata un’elevata convenienza sociale.
Pauly e Blavin (2008) hanno cercato di riconciliare
l’approccio standard con il nuovo approccio del value-based cost sharing24. In primo luogo, i due autori evidenziano che, se la domanda di assistenza sanitaria formulata dai pazienti (su indicazione dei medici) fosse basata su informazioni corrette circa l’efficacia e l’appropriatezza delle cure, il livello ottimale
della compartecipazione dovrebbe aumentare al crescere dell’elasticità della domanda, come indicato
dalla teoria standard del moral hazard, anche qualora si adottasse il nuovo approccio25. Quando invece,
i pazienti non disponessero di tutte le informazioni
corrette per valutare la produttività delle cure, il livello ottimale della compartecipazione dovrebbe dipendere non solo dall’elasticità della domanda al
prezzo ma (e questa è la novità rispetto alla teoria
standard) anche dal grado di imperfezione delle
informazioni. Con informazione imperfetta, la domanda potrebbe risultare superiore o inferiore al reale beneficio marginale dell’assistenza sanitaria individuato in base alle evidenze cliniche ed epidemiologiche. Nel secondo caso, a differenza della teoria
standard del rischio morale, si potrebbe determinare
anche un sottoconsumo di assistenza sanitaria e
quindi sarebbe ottimale ridurre il livello della com-
24Pauly e Blavin osservano comunque che, diversamente dal
modello standard, il nuovo approccio non sembra avere una valenza generale, essendo stato sviluppato con riferimento a particolari tipologie di beni e servizi sanitari quali, ad esempio, quelli di prevenzione secondaria.
25Qualora si avesse anche informazione perfetta e simmetrica, cioè piena informazione sullo stato di salute e sul comportamento del paziente anche da parte del terzo pagante, verrebbe
meno il rischio morale e con entrambi gli approcci sarebbe ottimale non applicare alcuna compartecipazione. Sul punto si veda
anche Zweifel et al. (2009), pp. 235-237.
228
Politiche sanitarie, 10, 4, 2009
partecipazione, tenendo comunque conto della elasticità della domanda. Se la sottovalutazione dei benefici marginali dell’assistenza sanitaria da parte dei
consumatori/pazienti fosse molto forte, Pauly e Blavin mostrano che, al contrario di quanto indicato dall’approccio tradizionale, la compartecipazione ottimale dovrebbe essere tanto più bassa quanto più elevata è l’elasticità della domanda, in quanto ciò consentirebbe di avvicinarsi più facilmente al livello di
consumo socialmente desiderato26. I due autori riconoscono che gli effetti correttivi sulla domanda (per
allinearla al beneficio marginale sociale) potrebbero
essere ottenuti anche attraverso campagne informative mirate ma queste appaiono un valido strumento
di governo della domanda, alternativo al ticket, solo
nel caso di servizi caratterizzati da una domanda poco reattiva al prezzo27.
Il secondo problema che viene spesso sollevato
riguardo all’efficacia dei ticket è legato, come si è
detto, all’effetto Sid: se è il medico a determinare di
fatto la domanda del paziente, quest’ultima non dovrebbe essere influenzata dal prezzo. Ne segue che
l’eventuale sovraconsumo non può essere ridotto
utilizzando le compartecipazioni ma solo modificando con opportuni incentivi il comportamento dei medici. L’argomentazione viene spesso fondata sull’assunto di non sostituibilità dei trattamenti per un dato
stato di salute, che escluderebbe l’andamento decrescente e continuo del beneficio marginale rappresentato con la curva di domanda che diventerebbe rigida, cioè insensibile alle variazioni di prezzo. In tal
caso, per ciascuna prestazione sanitaria, esisterebbe
un unico livello domandato dal paziente, quello definito dal professionista sanitario del tutto indipendente dal prezzo, il che neutralizzerebbe ogni effetto del
ticket. Tale impostazione presenta però almeno due
punti deboli. In primo luogo, in molti casi un dato
problema di salute può essere affrontato con tecniche e trattamenti alternativi, per cui la domanda di
assistenza sanitaria presenta una certa elasticità. Solo per le prestazioni urgenti o di particolare complessità (ad esempio, i ricoveri ospedalieri), oppure per
le prestazioni che rientrano all’interno di percorsi
26Quando la sottovalutazione dei benefici marginali dell’assistenza sanitaria fosse particolarmente accentuata, si potrebbe
addirittura prevedere un sussidio (compartecipazione negativa).
Peraltro, la necessità di sussidiare il consumo di beni e servizi
sanitari caratterizzati elevati benefici sociali (come, ad esempio,
le vaccinazioni per particolari patologie) è un risultato da tempo
consolidato nell’ambito dell’economia sanitaria.
27Ad esempio, la maggior parte delle persone risultate positive ad un test del sangue occulto (e quindi a rischio di sviluppare un tumore del colon retto) preferirebbe non sottoporsi ad una
colonscopia anche se questa fosse completamente gratuita; in
questo caso l’unico modo di convincere i pazienti del fatto che
questo esame diagnostico è necessario è quello di fornire e
diffondere informazioni.
prestabiliti di trattamento (ad esempio, follow-up e
accertamenti diagnostici per patologie tumorali), si
può ritenere che non esistano alternative di pari efficacia e appropriatezza, per cui la domanda che viene
formulata è rigida ed è di fatto coincidente con quella del medico-agente28. Ma per molte altre prestazioni (visite mediche generiche, visite specialistiche,
prestazioni diagnostiche, farmaci), si è in presenza
di domanda elastica e quindi il fatto che il medico
orienti la richiesta del paziente può attenuare ma non
viene ad eliminare del tutto l’utilità del ticket come
strumento di governo della domanda. In secondo
luogo, occorre considerare che l’assenza di compartecipazioni può determinare una sorta di collusione
implicita tra medico e paziente a danno del terzo pagante (Muraro, 1987, pp. 232-233). Si consideri, ad
esempio, il caso del rapporto tra paziente e medico
di medicina generale remunerato a quota capitaria
nel contesto di un Ssn in cui non si preveda l’applicazione di alcun ticket. In mancanza di prezzo, il paziente spinge la sua domanda autonoma di visite mediche generiche fino al punto in cui il beneficio marginale è nullo29. A sua volta, il medico di medicina
generale, per diversi motivi (accontentare il paziente, ridurre i tempi delle visite, motivazioni di medicina difensiva, ecc.) può essere incentivato a non negare la prescrizione di qualche prestazione specialistica o di qualche farmaco non necessari. Il combinato effetto dei due comportamenti farà sì che si determini congestione nella fruizione dei servizi specialistici e una spesa eccessiva per farmaci, a danno
dell’intera collettività coperta dal Ssn30. L’introduzione di un sistema di ticket non verrebbe quindi a limitare solo la domanda diretta da parte dei consumatori finali ma potrebbe rompere questo particolare gioco collusivo dal momento che i pazienti avrebbero interesse a utilizzare solo i beni e servizi sanitari effettivamente necessari e, nel contempo, i medici
potrebbero essere incentivati a orientare i propri pazienti verso prestazioni maggiormente costo-efficaci. L’esempio appena descritto indica l’opportunità
di utilizzare il ticket, anche in presenza di domanda
indotta, qualora l’accesso alle prestazioni specialistiche e farmaceutiche garantite dall’assicurazione
pubblica (il Ssn) avvenga attraverso il filtro del me28Si
veda al riguardo Bariletti (1986), pp. 76-77.
non vengono considerati i costi di opportunità del tempo per il paziente determinati dallo spostamento verso l’ambulatorio del medico e dai tempi di attesa, i quali agiscono da freno alla domanda di visite mediche generiche.
30Anche se il paziente può comprendere che alla fine pagherà come contribuente (per l’aumento della pressione fiscale)
o come utente (maggiori tempi di attesa e riduzione della qualità
delle prestazioni di secondo livello), egli non modificherà il proprio comportamento se non è certo che anche gli altri pazienti
modificheranno i loro.
29Nell’esempio
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
dico territoriale remunerato dal terzo pagante con
quote capitarie. L’esito sarebbe evidentemente diverso in un sistema in cui non vi fosse l’azione di gatekeeping dei medici di medicina generale e tutti i
medici (non solo gli specialisti) fossero remunerati
con tariffe a prestazione. In questo caso, si manifesterebbero effetti di induzione particolarmente forti,
soprattutto a livello di medicina specialistica, per cui
il controllo della domanda per mezzo dei ticket risulterebbe inefficace mentre si renderebbe invece
necessario governare il lato dell’offerta adottando
opportuni strumenti incentivanti il controllo dei costi
(ad esempio schemi di managed care, meccanismi di
finanziamento prospettico e di tipo pay-for-performance delle prestazioni mediche).
In conclusione, a certe condizioni (relative alle
modalità di remunerazione e di organizzazione dei
fornitori di assistenza sanitaria), il ticket può conservare una certa efficacia come strumento diretto di
governo della domanda, anche considerando l’induzione della domanda da parte dei medici. L’esistenza
contemporanea di fenomeni di rischio morale ex post e di effetto Sid suggerisce comunque di controllare i consumi sanitari agendo sia dal lato della domanda, attraverso il ticket, sia dal lato dell’offerta,
attraverso meccanismi di responsabilizzazione dei
prescrittori che li incentivino a orientare i pazienti
verso prestazioni appropriate ed efficaci31. Il mix di
strumenti dal lato della domanda e dal lato dell’offerta è variabile a seconda dei sistemi sanitari, delle
strategie messe in campo dal terzo pagante e della
stessa tipologia delle prestazioni sanitarie32.
3.4. Analisi empiriche sugli effetti delle
compartecipazioni
Molti studi empirici hanno analizzato l’efficacia
delle compartecipazioni a contrastare il rischio morale e a determinare un contenimento della spesa per
il terzo pagante33. Buona parte degli studi empirici
si riferisce agli Stati Uniti dove esiste una grande
31Ad una conclusione analoga pervengono anche Bardey e
Lesur (2006), sviluppando un modelli in cui vengono considerati congiuntamente l’effetto induzione della domanda da parte dei
medici e il rischio morale determinato dalle decisioni di consumo dei pazienti.
32Ad esempio, alcune Regioni italiane hanno puntato a controllare la domanda di farmaci ricorrendo solo a strumenti indiretti dal lato dell’offerta (in particolare incentivi ai medici di medicina generale). Tutte le Regioni italiane prevedono invece il
mix di strumenti (ticket e controlli dal lato dell’offerta) per quanto riguarda la specialistica e la diagnostica. Si veda al riguardo
Rocchetti e Spandonaro (2007) e il paragrafo 3.5.3.
33Ampie rassegne delle analisi empiriche sugli effetti delle
compartecipazioni in diversi sistemi sanitari si possono trovare
in: Carrieri (2008); Rocchetti e Spandonaro (2007); Pammolli et
al. (2004); Goldman et al.(2007). Le ultime due survey citate
considerano unicamente gli effetti del copayment sui farmaci.
229
varietà di coperture assicurative ed è quindi più agevole misurare gli effetti delle compartecipazioni. Si
tratta in molti casi di esperimenti naturali e di studi
osservazionali non randomizzati, i quali presentano
però spesso un problema di endogeneità, in quanto
la correlazione negativa che viene rilevata tra compartecipazione e utilizzo dei servizi sanitari può dipendere dalla scelta individuale del contratto assicurativo anziché fornire evidenza dell’efficacia del
cost sharing a contenere la domanda sanitaria in eccesso. Questo problema viene superato con gli studi
sperimentali di tipo randomizzato che però sono
piuttosto costosi da realizzare34. Il più importante
studio sperimentale randomizzato sugli effetti delle
compartecipazioni è rappresentato dal Rand Health
Insurance Experiment (Rhie) condotto negli Stati
Uniti tra il 1974 e il 1982 (Manning et al., 1987).
Nello studio, 2000 famiglie (complessivamente
5.809 persone di età inferiore ai 62 anni) sono state
assegnate in maniera casuale a 14 diversi piani assicurativi raggruppabili in 5 categorie: una prima categoria in cui la copertura assicurativa era completa
(assenza di cost-sharing) e altre 4 categorie che prevedevano diverse forme di compartecipazione per
tutti i tipi di prestazioni sanitarie (farmaceutiche,
diagnostiche, specialistiche e e di ricovero ospedaliero)35. I principali risultati dello studio Rhie possono essere così sintetizzati36:
1) la percentuale di persone che domandano prestazioni sanitarie si riduce al crescere della coinsurance: se l’assicurazione copre tutto (aliquota di
compartecipazione zero), l’86,8% delle persone
utilizza servizi sanitari; con una aliquota del 95%,
la percentuale di consumatori si riduce a 67,7%;
2) all’aumentare dell’aliquota di compartecipazione
si riduce il numero annuo di visite mediche pro
capite: da 4,5 senza coinsurance a 2,73 se la
coinsurance è del 95%;
3) le componenti più elastiche al prezzo riguardano
la domanda di farmaci, le cure odontoiatriche e
l’assistenza ambulatoriale generica mentre quelle
meno elastiche riguardano la domanda di prestazioni specialistiche e di ricoveri ospedalieri (nel
34Quando non sia possibile sviluppare uno studio sperimentale randomizzato, il problema di endogeneità può essere limitato ricorrendo a opportuni accorgimenti econometrici, quali in
particolare l’uso di opportune variabili strumentali che influenzano la scelta della copertura assicurativa ma non la domanda di
prestazioni sanitarie.
35L’esperimento prevedeva un limite massimo di spesa sanitaria che poteva essere effettuata. Inoltre, per evitare che l’assegnazione casuale ai diversi piani potesse peggiorare la situazione economica di alcune famiglie partecipanti allo studio, inficiando l’esperimento, sono stati previsti trasferimenti compensativi in somma fissa.
36Si vedano al riguardo Manning et al. (1987), Phelps (1992)
e Gruber (2006).
230
4)
5)
6)
7)
8)
Politiche sanitarie, 10, 4, 2009
caso della seconda tipologia di prestazioni sembra prevalere l’effetto induzione da parte dei professionisti sanitari);
l’elasticità della domanda al prezzo, per l’insieme dei servizi sanitari, varia tra -0,1 e -0,2 (riduzione dei consumi compresa tra 1 e 2%) per una
variazione da 0 a 25% della coinsurance e cresce,
fino a collocarsi in un intervallo compreso tra -0,3
e -0,4, se il tasso di co-assicurazione viene aumentato da 25 a 95%; l’aumento dell’elasticità si
registra soprattutto per particolari forme di assistenza sanitaria (visite ambulatoriali, farmaci,
prestazioni odontoiatriche) e per le persone che
non soffrono di patologie croniche;
una elasticità al prezzo non particolarmente elevata si associa comunque a un significativo contenimento dei livelli di spesa, soprattutto se la
compartecipazione viene introdotta ex novo o aumentata a partire da livelli molto bassi; ad esempio, aumentando la coinsurance da 0 a 25% si ha
una riduzione di spesa tra il 15% e il 18%; successivi incrementi del tasso di compartecipazione determinano riduzioni di spesa sempre più
contenute;
la compartecipazione riduce l’utilizzo sia di cure
poco efficaci e inappropriate (ad esempio, l’uso
di antibiotici per curare patologie virali), sia di
quelle efficaci e appropriate (ad esempio, l’uso di
antibiotici per curare infezioni batteriche). Non
emerge quindi una capacità delle compartecipazioni di orientare la domanda verso prestazioni
più efficaci e appropriate;
un più alto livello di compartecipazione non determina effetti apprezzabili sugli esiti di salute
dell’individuo medio (misurati con diversi indicatori di outcome);
le categorie più vulnerabili (persone a basso reddito e/o affette da patologie croniche) evidenziano indicatori di morbilità e di mortalità significativamente peggiori quando rientrino nei piani assicurativi a elevata coinsurance37.
Altri studi hanno evidenziato risultati analoghi a
quelli del Rhie, concentrandosi talora solo su specifiche prestazioni sanitarie. Alcuni dei principali risultati che emergono da questi studi sono così sintetizzabili: la domanda di prestazioni sanitarie mostra
37Nel caso delle persone con reddito basso, ciò dipende anche dal fatto che queste esibiscono una elasticità della domanda
relativamente più elevata per le prestazioni extraospedaliere Ad
esempio, Manning et al. (1987) rilevano che, in presenza di
compartecipazione, si registra per i pazienti più poveri una minore domanda di prestazioni di prevenzione quali il controllo
della pressione arteriosa e le visite oculistiche. Lo stesso studio,
tuttavia, osserva che il problema potrebbe essere superato a costi ridotti con programmi mirati di prevenzione.
in generale una elasticità negativa al prezzo anche se
piuttosto limitata38; la domanda legata a patologie
gravi, croniche e a bisogni urgenti è rigida e poco
reattiva alle compartecipazioni; l’elasticità della domanda è relativamente maggiore per le persone a
basso reddito i cui consumi tendono a ridursi molto
a seguito dell’introduzione o dell’inasprimento dei
ticket; non emergono evidenze univoche per quanto
concerne l’efficacia dei ticket nel ridurre la spesa sanitaria complessiva39; infine, manca una chiara evidenza dell’efficacia del ticket a limitare i consumi
sanitari a bassa produttività di salute.
Con riferimento all’ultimo punto, molte analisi
empiriche rilevano come copayment anche di importo ridotto possano determinare un contenimento dei
consumi, ma non offrono evidenze conclusive circa
la capacità delle compartecipazioni di limitare la domanda solo delle prestazioni inappropriate e poco
efficaci e non anche di quelle necessarie e di maggiore valore sociale. Diventa quindi importante verificare se le compartecipazioni possano avere conseguenze negative in termini di salute, ma su questo
aspetto le evidenze portate dagli studi realizzati appaiono contrastanti, anche perché molti paesi che
38Il fatto che la reattività della domanda di molte prestazioni
sanitarie alle variazioni di prezzo appaia in generale piuttosto
contenuta può dipendere, oltre che dall’esistenza di un effetto
Sid, anche dal fatto che gli utenti spesso sopportano costi
indiretti e/o non monetari per accedere ai servizi (costi di
viaggio, costi legati ai tempi di attesa, ecc.). Tali costi
rappresentano in alcuni casi una quota rilevante degli oneri a
carico dei pazienti e possono influenzare, più ancora del prezzo,
i consumi sanitari. Ad esempio, Chiappori et al. (1998) hanno testato, con riferimento al sistema francese, l’efficacia dell’introduzione di una coinsurance del 10% sulle visite mediche (generiche e specialistiche) da parte di una assicurazione privata complementare, allo scopo di fronteggiare la riduzione della copertura pubblica sui servizi ambulatoriali e sui farmaci avvenuta
dopo il 1993. Lo studio evidenzia una elasticità della domanda
pressoché nulla per quanto riguarda le visite generiche e specialistiche presso l’ambulatorio medico e, invece, una elasticità significativamente negativa per le visite mediche a domicilio del
paziente. Tali risultati vengono giustificati dal peso rilevante dei
costi privati di spostamento e di attesa nelle decisioni di consumo delle prestazioni ambulatoriali e specialistiche; peso che non
si riduce in maniera significativa a fronte di un aumento di prezzo del 10%.
39Su questo punto, Carrieri (2008), dopo avere analizzato
una serie di studi che mostrano risultati contrastanti, conclude
che in generale un sistema di compartecipazioni generalizzato
su tutte le prestazioni (come nel caso dell’esperimento Rhie) dimostra maggiore capacità di contrazione della spesa, mentre in
presenza di un’applicazione solo parziale dei ticket, l'efficacia
delle compartecipazioni a ridurre la spesa dipende dall'assenza
di possibili effetti di sostituzione tra diversi comparti del sistema
sanitario. Anche in questo caso, comunque l'entità dei risparmi
effettivi o potenziali di spesa non appare univoca. Ad esempio,
considerando l’applicazione dei ticket sui farmaci in Italia, talora le potenzialità di contenimento dei costi appaiono sostanziali
(ad esempio, Mapelli, 2005), in altri studi appaiono invece trascurabili (Hitiris, 2000) o transitorie (Hanau e Rizzi, 1986).
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
utilizzano le compartecipazioni, in particolare quelli
europei, prevedono esenzioni per le persone più fragili e vulnerabili, quali i malati cronici, i disabili, gli
anziani e i soggetti in condizioni disagiate. Nei paesi che non prevedono un’applicazione diffusa di
esenzioni di questo tipo, come ad esempio gli Stati
Uniti, le evidenze empiriche segnalano invece effetti dannosi per la salute delle categorie vulnerabili40.
Come si è già osservato, ciò dipende dal fatto che le
persone con reddito basso sono più reattive al ticket
e quindi sono spinte a richiedere meno prestazioni di
quanto necessario, mentre quelle affette da patologie
croniche sono meno reattive al ticket e quindi sono
costrette a esborsi elevati anche a fronte di prestazioni efficaci e appropriate. Si tratta evidentemente
di due casi nei quali considerazioni di efficienza allocativa e di equità consiglierebbero una esenzione o
almeno una forte riduzione del ticket.
3.5. Controindicazioni dei ticket e possibili rimedi
Gli effetti contraddittori delle compartecipazioni
emergenti dalle analisi empiriche per quanto riguarda il contrasto del moral hazard e l’evidenza di effetti negativi sulla salute delle persone più vulnerabili, benché limitata al contesto dei piani assicurativi statunitensi e di alcune Province canadesi, hanno
indotto diversi economisti sanitari nordamericani a
criticare pesantemente l’uso delle compartecipazioni per il controllo della domanda e della spesa sanitaria. In particolare, Barer, Evans e colleghi annoverano l’utilizzo delle compartecipazioni tra le “idee
intellettualmente morte e sepolte ma che, come gli
zombie, ogni tanto riemergono” (Barer et al.,
1998)41.
Le principali obiezioni che vengono mosse ai
ticket considerano gli effetti indesiderati che questi
possono determinare riducendo l’equità e l’efficienza allocativa dei sistemi sanitari. Indubbiamente, come si è già detto, il ticket appare controindicato per
una serie di prestazioni e di categorie di pazienti e, se
applicato in maniera indiscriminata, può portare a
esiti opposti rispetto a quelli desiderati. Come si illu40Ciò sembra emergere piuttosto chiaramente dal Rand
Health Insurance Experiment (Manning et al., 1987; Brook et
al., 1984), dallo studio di Tamblyn et al. (2001) e dalla survey su
132 studi empirici sugli effetti dei ticket farmaceutici realizzata
da Goldman et al. (2007).
41Sulla stessa linea si possono citare anche: Barer et al.
(1993a,b), Evans et al. (1995) e gli studi promossi dalla CHRSF
(Canadian Health Services Research Foundation). In particolare, la CHRSF è impegnata da diversi anni a produrre e raccogliere evidenze empiriche volte a rilevare l’esistenza di falsi miti nelle modalità ricorrenti di organizzazione e finanziamento
dei servizi sanitari. Tra i myth busters, la fondazione canadese fa
rientrare anche l’idea che i ticket rappresentino un mezzo efficace per ridurre gli sprechi e garantire un uso migliore dei servizi
sanitari.
231
strerà ora, gli effetti negativi del ticket possono però
essere neutralizzati o ridotti adottando opportune
contromisure in modo da responsabilizzare la domanda senza pregiudicare, ma addirittura preservando, le funzioni redistributive ed equitative proprie di
un sistema sanitario pubblico42.
3.5.1. Effetti redistributivi di tipo regressivo:
riduzione dell’equità nell’accesso
e nel finanziamento del sistema sanitario
Un primo argomento che viene tipicamente avanzato contro le compartecipazioni si fonda sulla constatazione che, essendo commisurate al costo e alla
quantità dei beni e servizi sanitari domandati e non
alla capacità contributiva (in senso positivo) o al rischio sanitario dell’utente (in senso negativo), esse
configurano una forma di tassazione regressiva. Penalizzando i pazienti cronici e le persone in condizioni di fragilità, la cui domanda è molto rigida, oppure le persone a basso reddito, la cui domanda è
molto elastica, i ticket potrebbero:
• ridurre il grado di accessibilità all’assistenza sanitaria da parte di chi si trova in condizioni di oggettivo bisogno e di chi non sarebbe in grado di pagare un prezzo anche molto ridotto43;
• determinare una riduzione della solidarietà nel
Ssn, con uno spostamento dell’onere del finanziamento sui più malati e sui più poveri44.
Tali effetti regressivi del ticket possono essere
eliminati, o attenuati, con una serie di misure (previste in molti sistemi sanitari) quali: le esenzioni soggettive in relazione alla patologia, all’età e alla condizione economica45; la fissazione di ticket che aumentano con il livello di reddito o di ricchezza garantendo la progressività dell’onere; la previsione di
un tetto massimo annuo oppure di un limite massimo
42Sotto questo profilo, si concorda con la posizione assunta
da Muraro (1987, 2003) e Pammolli e Salerno (2006), secondo
cui i ticket, opportunamente bilanciati con esenzioni e abbattimenti, rappresentano uno strumento di responsabilizzazione della domanda che può favorire la sostenibilità finanziaria senza
necessariamente compromettere l’equità del sistema sanitario.
Ciò viene indirettamente confermato anche dal diffuso utilizzo
delle compartecipazioni nell’ambito dei Paesi con sistema sanitario pubblico che adottano una serie di misure correttive volte a
mitigarne gli effetti avversi.
43Su questo punto si veda Tamblyn et al. (2001).
44Si veda al riguardo Cislaghi e Costa (2006).
45Le esenzioni soggettive in relazione alla condizione economica richiedono l’introduzione di strumenti di prova dei
mezzi amministrabili con ragionevoli costi di controllo del tipo dell’ISEE utilizzato in Italia per alcuni servizi sociali e per
le tasse universitarie. La vicenda italiana del “sanitometro”
evidenzia peraltro le rilevanti difficoltà che si possono incontrare nell’adozione di tali strumenti. Si veda al riguardo Ricci
(2002).
232
Politiche sanitarie, 10, 4, 2009
di incidenza del ticket sul reddito annuo46,47. Si tratta di misure che comportano costi di controllo e amministrazione che si dovrebbe cercare di contenere
adottando efficienti sistemi di gestione delle compartecipazioni.
A prescindere dalle misure correttive appena
menzionate, Muraro suggerisce che la valutazione
degli effetti distributivi del ticket è in realtà più complessa di quella offerta dalla tesi tradizionale secondo cui tale strumento è fortemente regressivo, e ciò
in base a due particolari considerazioni (Muraro,
2003, pp. 374-376). In primo luogo, la tesi tradizionale trascura il fatto che il ticket sostituisce parzialmente alcuni meccanismi nascosti di razionamento,
quali i tempi di attesa e il deterioramento qualitativo
dell’assistenza pubblica, e per questa via potrebbe
consentire di ridurre il ricorso alla medicina privata.
Il controllo della domanda mediante i prezzi potrebbe cioè consentire una riduzione dei tempi di attesa e
un aumento della qualità dell’assistenza pubblica, e
ciò andrebbe a vantaggio soprattutto dei cittadini a
minor reddito, costretti a restare nel servizio pubblico, mentre i più ricchi possono in ogni caso ricorrere ai servizi privati alternativi a pagamento intero (su
questo punto si rimanda al paragrafo 4).
In secondo luogo, in assenza del meccanismo regolatore e delle relative entrate dei ticket, un sistema
sanitario pubblico potrebbe non essere in grado di
soddisfare la domanda di nuove prestazioni che si
manifesta nella società a fronte delle innovazioni in
campo biomedico e con il diffondersi di una nuova
cultura della salute (intesa come benessere e non solo assenza di malattia) legata alla crescita del reddito pro capite. L’utilizzo del ticket, con il corredo delle misure correttive prima indicate, potrebbe evitare
che le nuove prestazioni siano rese disponibili solo a
chi può pagarle privatamente a prezzo pieno oppure
ricorrendo ad una copertura assicurativa privata supplementare.
In base alle precedenti considerazioni, favorendo
il contenimento dei tempi di attesa per le prestazioni
rientranti nei livelli essenziali di assistenza (Lea) e
consentendo una certa possibilità di espansione nel
46Si vedano al riguardo Muraro (1987), Docteur e Oxley
(2003 e 2004), e Spandonaro (2006); quest’ultimo propone, ad
esempio, una soglia massima di incidenza del 5% del reddito annuo di una famiglia. La misura del tetto alla spesa annuale per
compartecipazioni viene ad esempio adottata in Svezia.
47Un’altra modalità per attenuare gli effetti regressivi dei
ticket è rappresentata dall’assicurazione sanitaria complementare per coprire gli oneri delle compartecipazioni.Tale meccanismo è ampiamente diffuso in Francia dove, dal 2000, il programma CMU offre gratuitamente la copertura integrativa alle
famiglie al di sotto di una soglia minima di reddito, estendendo
così l’assicurazione complementare al 92% della popolazione.
In questo modo però si tende a sterilizzare l’incentivo al controllo del rischio morale dei ticket e si possono determinare costi aggiuntivi per la sanità pubblica.
tempo della gamma delle prestazioni rientranti nella
copertura pubblica di base, i ticket potrebbero contribuire a salvaguardare i sistemi sanitari pubblici
che potrebbero meglio adattarsi all’evoluzione dei
bisogni di salute e delle innovazioni in campo medico. Ne consegue che una valutazione completa del
saldo netto degli effetti equitativi dei ticket risulta
complessa e potrebbe fornire addirittura un risultato
non negativo (Muraro, 2003, p 376).
3.5.2. Disincentivo alla prevenzione con effetti
negativi sulla salute e sulla spesa sanitaria
Un’altra frequente obiezione all’adozione dei
ticket si fonda sulla considerazione dei possibili effetti sanitari negativi di lungo periodo. I ticket potrebbero determinare una riduzione delle azioni di
prevenzione e un rinvio di quelle curative, con un
peggioramento dello stato di salute della popolazione
e un aumento della spesa sanitaria a causa del ricorso
(ritardato) a servizi più costosi48. In base a tale argomentazione, dal momento che la popolazione non ha
le informazioni necessarie per valutare autonomamente le reali necessità di cura, si potrebbe rivelare
meno costoso per la collettività (sul fronte delle patologie evitate e della conseguente spesa sanitaria) soddisfare tutte le richieste anziché razionare la domanda perché in quest’ultimo caso una mancata cura precoce potrebbe significare un peggioramento dei livelli di salute e un aumento delle spese future.
Va rilevato che questi effetti negativi del ticket
(che determinano una riduzione dell’efficienza allocativa del sistema) si avrebbero solo con riferimento
al possibile sottoconsumo di prestazioni e di farmaci
efficaci nel prevenire (o nel ritardare) l’insorgenza di
patologie ma non per la generalità delle forme di assistenza sanitaria. Sotto questo profilo, non sembra
che si possano determinare effetti dannosi per gran
parte dei paesi industrializzati dove si è registrata
una crescita progressiva di importanza della medicina preventiva – con l’offerta gratuita di prestazioni
diagnostiche, farmaci e vaccini di provata costo-efficacia (talora nell’ambito di programmi di screening
e di prevenzione collettiva mirati per specifici target
di popolazione) e la diffusione di misure di protezione ambientale e di sicurezza nei posti di lavoro – e
dove il livello di educazione sanitaria (e di consapevolezza circa i rischi sanitari) della popolazione appare elevato benché suscettibile di ulteriori miglioramenti49.
48Al
riguardo, si veda ad esempio Solanki et al. (2000).
effetti, la non applicazione del ticket nel caso delle prestazioni di prevenzione individuale e collettiva, con un buon
rapporto di costo-efficacia, è una delle indicazioni che provengono dall’approccio del value-based cost sharing esaminato nel
paragrafo 3.3. Su questo punto si veda anche Muraro (1969), pp.
498-499.
49In
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
Il rischio di un impatto negativo del ticket sulla
salute rimane comunque rilevante nel caso delle persone con ridotta capacità economica, che possono
essere disincentivate ad accedere anche ai servizi sanitari con valenza preventiva, come è stato documento da numerosi studi empirici relativi soprattutto
agli Stati Uniti (citati nel paragrafo 3.4). Per contrastare questo possibile effetto negativo del ticket, il
rimedio consiste, ancora una volta, nella non applicazione (o riduzione) della compartecipazione per le
persone con bassi livelli di reddito o di ricchezza.
3.5.3. Problemi di equità in un sistema sanitario
decentrato: l’applicazione dei ticket in Italia
Fin qui si è ragionato senza considerare la possibilità che i ticket possano avere un’applicazione differenziata all’interno delle articolazioni funzionali o
territoriali del sistema sanitario. In realtà, nei sistemi
sanitari caratterizzati da un elevato grado di decentramento, le compartecipazioni per una stessa tipologia di assistenza sanitaria possono variare a seconda
dei diversi piani assicurativi oppure a seconda delle
diverse articolazioni territoriali del sistema, determinando rilevanti problemi di equità.
La questione appare particolarmente rilevante nel
caso del Ssn italiano caratterizzato da una forte autonomia delle Regioni nella gestione dei ticket, che potrebbe ulteriormente accentuarsi con l’attuazione della legge 42/2009 sul federalismo fiscale50. Attualmente, la situazione in Italia può essere così sintetizzata51:
• per quanto riguarda i farmaci, otto Regioni e la
Provincia autonoma di Trento non applicano alcuna compartecipazione alla spesa52 mentre nelle restanti Regioni e nella Provincia autonoma di Bolzano vengono utilizzati ticket piuttosto differenziati sulle confezioni o sulle ricette oppure su entrambe;
50Il decentramento del Ssn italiano - avviato dal D.Lgs.
56/2000 (attuativo dell’art. 10 della Legge 133/1999), proseguito con la Legge Costituzionale n. 3/2001 e in fase evolutiva con
la recente legge delega 42/2009 – potrà determinare una sostanziale eterogeneità negli strumenti di governo della domanda
adottati dalle diverse Regioni. La possibilità di diversi gradi di
copertura pubblica delle cure avrebbe effetti rilevanti sulla capacità dei diversi sistemi regionali di garantire il dettato dell’art.
32 della Costituzione e, quindi, sul livello di equità nell’accesso
ai servizi complessivamente garantiti dal Ssn.
51Ci si limita qui a considerare le compartecipazioni utilizzate dalle Regioni per le prestazioni sanitarie, anche se l’analisi
andrebbe ampliata anche a quelle relative ai servizi socio-sanitari per le situazioni di disabilità e di non autosufficienza (longterm care). Si vedano: Lo Iacono (2009); Bernardini e Ratti
(2008), pp. 213-214; Alato e Polistena (2008), pp. 258-260; Piasini et al. (2008), pp. 180-186; Rocchetti e Spandonaro (2007);
Ancona (2007).
52Le Regioni che non applicano il ticket sono: Basilicata,
Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Sardegna, Toscana, Umbria e Valle D’Aosta.
233
• per quanto riguarda le visite specialistiche, gli accertamenti di diagnostica strumentale e di laboratorio e
le prestazioni riabilitative, la maggior parte delle Regioni adottano ticket che non superano il limite di
36,15 euro per ricetta fissato dalla normativa nazionale53 mentre in alcune Regioni la compartecipazione massima è superiore a tale limite54; anche se nella maggior parte dei casi viene applicato un ticket fino a 36,15 euro, esistono però significative differenze nei nomenclatori tariffari delle prestazioni delle
singole Regioni (le compartecipazioni al di sotto del
limite massimo sono quindi molto differenziate);
• per quanto riguarda le prestazioni non urgenti in
Pronto soccorso (codici bianchi), tutte le Regioni
prevedono il ticket, in applicazione della legge 27
dicembre 2006 n. 296 (Finanziaria 2007); anche in
questo caso vi sono differenze e in alcune Regioni
vengono talora applicati ticket anche ai codici verdi non seguiti da ricovero;
• per quanto riguarda le esenzioni (per età, reddito,
invalidità, patologia oppure per finalità o condizioni di interesse sociale), nel caso dei farmaci i criteri differiscono tra le Regioni (che dal 2001 hanno
piena competenza in materia di ticket sui medicinali) mentre nel caso di diagnostica e specialistica i
criteri sono fissati dalla normativa nazionale.
Nel complesso, si osserva che i diversi interventi
messi in atto dalle Regioni italiane, oltre ad essere
piuttosto diversificati, sono stati soggetti a continue
rettifiche a partire dal 2001, anno in cui è stata sancita per la prima volta la piena autonomia regionale per
quanto riguarda i ticket sui farmaci. L’utilizzo delle
compartecipazioni sembra abbia risposto a esigenze
di finanziamento (peraltro non sempre frutto di autonome decisioni regionali) più che a finalità di governo della domanda, aumentando quindi (anche dopo
aver scontato l’impatto delle esenzioni) il grado di regressività del sistema55. Ciò vale in particolare per i
53Ciascuna impegnativa può contenere fino ad un massimo
di 8 prestazioni della stessa branca specialistica mentre prestazioni di branche specialistiche diverse devono essere prescritte
su ricette diverse.
54Ticket più elevati sono previsti in Lazio, Sicilia e Sardegna.
Nelle prime due Regioni ciò si ricollega all’esistenza di un Piano di
rientro. Si veda al riguardo Alato e Polistena (2008), pp. 258-260.
55Il ticket dovrebbe rappresentare uno strumento strutturale
di governo della domanda. Nel caso italiano, invece, viene molto spesso utilizzato come leva del governo nazionale per obbligare le Regioni al pareggio dei conti ex post, allo stesso modo
delle maggiorazioni forzate delle aliquote dell’Irap e delle addizionali Irpef introdotte a partire dalla Legge Finanziaria 2006. Si
determina così il paradosso per cui i ticket, che avrebbero la finalità di evitare le inefficienze derivanti da comportamenti impropri dei singoli utenti, alla fine vengono a gravare sui cittadini per far fronte alle inefficienze degli amministratori regionali e
locali. Sulla distorta applicazione del ticket nelle Regioni italiani, si veda Ratti e Spandonaro (2009).
234
Politiche sanitarie, 10, 4, 2009
ticket sui farmaci e sulle prestazioni diagnostiche e
specialistiche, mentre nel caso delle prestazioni inappropriate di Pronto soccorso, i ticket sembrano realmente rappresentare un modo per evitare l’abuso del
servizio, anche se non è certo che tutte le strutture applichino questi ticket e, soprattutto, che li applichino
secondo gli stessi criteri56. Inoltre, la mancanza in
molti casi di verifiche attendibili sull’esistenza delle
condizioni di esenzione per motivi di reddito e per altre cause non legate a patologie rende ulteriormente
inefficace ed iniquo lo strumento57.
In estrema sintesi, si può quindi concludere che
l’applicazione dei ticket in Italia risponde solo in pochi casi a obiettivi di efficienza allocativa e presenta
problemi sia di equità orizzontale (differenziali tra
Regioni nell’accesso ai Lea dell’assistenza farmaceutica e specialistica determinati dalle compartecipazioni) che di equità verticale (eterogeneità tra le
diverse Regioni nella definizione e applicazione dei
criteri di esenzione dal ticket).
Nella prospettiva del federalismo fiscale, l’adozione di meccanismi di compartecipazione (e di altri
strumenti di governo della domanda) diversificati
nelle Regioni italiane si può giustificare per responsabilizzare gli amministratori regionali all’uso costoefficace delle risorse tenendo conto delle situazioni
locali, ma presenta il rischio di accentuare i divari
nelle possibilità di accesso ai servizi sanitari nelle diverse aree territoriali del paese e di rendere comunque molto difficile la praticabilità di flussi finanziari
perequativi (necessari per garantire Lea omogenei)
dalle Regioni che correttamente responsabilizzano la
domanda verso quelle che non lo fanno e che non riescono a garantire un equilibrio di bilancio.
Non è possibile qui considerare la questione molto
complessa dell’impatto del federalismo fiscale prossimo venturo sul Ssn58 ma appare comunque importante rilevare che, poiché il ticket fa parte delle condizioni di accessibilità ai Lea da garantire omogeneamente
sul territorio59, tale strumento dovrebbe essere regola-
56Anche la previsione da parte di alcune Regioni del pagamento della differenza tra farmaco prescritto ed eventuale generico
equivalente sostitutivo configura un’applicazione appropriata del
ticket, benché l’uguaglianza delle molecole non sia sempre condizione sufficiente ad assicurare uguaglianza di effetto terapeutico.
57Un decreto interministeriale del novembre 2009 ha provveduto a regolare l’accertamento sulle esenzioni per reddito dal ticket
sulle prestazioni specialistiche, prevedendo l’effettuazione di controlli incrociati tra le banche dati dell’agenzia delle entrate e dell’Inps. L’efficienza del sistema dovrà essere testata nel prossimo futuro.
58Si veda al riguardo il contributo di Dirindin (2009) in questo numero di Politiche sanitarie.
59Il principio della garanzia dei Lea è stabilito dall’art. 117
lett. m) della Costituzione modificato dalla Legge costituzionale
n. 3/2001 ed è stato ribadito anche dalla recente legge delega sul
federalismo fiscale n. 42/2009 che prevede che il finanziamento
dei Lea deve avvenire sulla base di costi standard in modo da definire le risorse finanziarie necessarie a garantire – in condizioni
mentato in modo uniforme a livello nazionale per evitare il rischio di un ulteriore allargamento dei divari
interregionali rispetto alla situazione attuale. Il governo centrale dovrebbe quindi definire una base di regolazione comune per i ticket60, lasciando alle Regioni
margini di applicazione differenziata all’interno dei
principi validi a livello nazionale61. A nostro avviso,
per quanto riguarda le prestazioni rientranti nei Lea, la
regolamentazione base nazionale dei ticket dovrebbe:
• indicare il tipo di prestazioni da assoggettare a
compartecipazione62;
• prevedere un unico regime delle esenzioni, che si basi su un meccanismo di prova dei mezzi analogo all’ISEE da applicare a livello nazionale (per quanto riguarda le condizioni economico-patrimoniali degli
utenti)63 e che definisca un limite massimo di incidenza delle compartecipazioni sul reddito dei pazienti;
• fissare un limite massimo della compartecipazione
per ogni prestazione o insieme di prestazioni sulla
base di un nomenclatore nazionale64.
Rispetto alla cornice nazionale, che definisce i
Lea, le Regioni potrebbero decidere, ove lo ritenessero praticabile, di fissare compartecipazioni inferiori al livello massimo o fissare la soglia di esenzione ad un livello più elevato. Le differenze regionali
sarebbero cioè confinate alle prestazioni extra Lea.
4. Tempi di attesa e razionamento implicito
della domanda di prestazioni pubbliche
4.1. Liste e tempi di attesa
Liste e tempi di attesa sono espressione di un razionamento dipendente dalla contemporanea esisten-
di efficienza – i livelli qualitativi e quantitativi delle prestazioni e
dei servizi sanitari in tutte le aree territoriali del Paese.
60Sono state formulate numerose proposte piuttosto differenziate rispetto ai contenuti effettivi dello schema nazionale di
regolazione del ticket. Si vedano, ad esempio, Muraro (2003),
Spandonaro (2006) e Pammolli e Salerno (2006).
61Le entrate delle compartecipazioni non dovrebbero essere
considerate nell’ambito della perequazione interregionale tendente a
garantire in ogni Regione il finanziamento dei Lea a costi standard.
Per evitare comportamenti opportunistici delle Regioni nell’utilizzo
dei ticket, i trasferimenti perequativi dovrebbero comunque tener
conto della capacità fiscale delle diverse Regioni definita rispetto a
livelli standard delle aliquote fiscali e del gettito delle imposte.
62Si tratterebbe di confermare o di modificare l’attuale assetto, in cui i ricoveri ordinari sono esclusi dal ticket mentre l’assistenza farmaceutica, quella specialistica e il ricorso inappropriato al Pronto soccorso sono soggetti a compartecipazione.
63Un sistema di esenzioni di questo tipo era preconizzato anche nella Relazione finale della Commissione Onofri del 1997.
Si veda al riguardo Zamagni (1997).
64Ogni Regione non potrebbe quindi considerare diversi raggruppamenti di prestazioni per applicare il ticket o, viceversa,
spacchettare una stessa prestazione in più modalità ai fini della
compartecipazione.
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
za di un eccesso di domanda e di vincoli dal lato dell’offerta, in mancanza di un prezzo per le prestazioni
sanitarie (Nichols et al., 1971). Le liste di attesa si riferiscono al numero di pazienti in coda mentre il tempo di attesa è dato dalla durata dell’attesa tra il momento in cui il paziente entra in lista e il momento in
cui riceve la prestazione65. La dinamica di liste e tempi di attesa per le prestazioni sanitarie è una questione piuttosto complessa. Ad esempio, una dilatazione
dell’offerta, attraverso un aumento della capacità
produttiva, può portare ad un contenimento dei tempi
di attesa ma non conduce necessariamente ad una riduzione della lista di attesa che, anzi, potrebbe registrare un allungamento. Questo fenomeno è dovuto
all’esistenza di un particolare effetto Sid per cui l’espansione dell’offerta può stimolare un aumento della domanda (ad un tasso di crescita inferiore rispetto
a quello dell’offerta) a fronte della percezione di una
più elevata qualità del servizio che viene associata alla prevista riduzione dei tempi di attesa (Lindsay e
Feigenbaum, 1984; Siciliani, 2008).
L’esempio precedente evidenzia che i tempi di attesa segnalano meglio delle liste di attesa l’esistenza
o meno di un eccesso di domanda rispetto all’offerta. Ciò spiega in parte il progressivo spostamento
dell’attenzione dei policy-maker di molti paesi dell’OCSE verso la riduzione dei tempi di attesa piuttosto che delle liste di attesa (Siciliani e Hurst, 2005)66.
Consideriamo ora, a titolo esemplificativo, una
situazione ipotetica in cui, in mancanza di ticket, si
manifesti un eccesso di domanda con un allungamento dei tempi di attesa per una particolare prestazione sanitaria pubblica67. Il razionamento reale rappresentato dall’attesa della prestazione sanitaria
pubblica comporta: i) un costo di opportunità del
tempo; ii) una riduzione del beneficio di salute ottenibile dalla prestazione stessa. Ipotizziamo dapprima l’esistenza del solo costo privato di opportunità
del tempo di attesa per la prestazione pubblica68 e
65Si tratta di definizioni di carattere molto generale, mentre
l’effettiva misurazione di liste e tempi di attesa viene realizzata
utilizzando particolari indicatori. Si veda al riguardo Mariotti et
al. (2009).
66Nel contempo si riconosce invece l’importanza della gestione delle liste di attesa come vero e proprio strumento per governare la domanda secondo criteri di priorità, come si è detto
nel par. 2.
67Per semplicità espositiva, si assume che gli altri strumenti
di governo della domanda diretti e indiretti esaminati nel par. 2
non siano stati adottati o risultino inefficaci a evitare i tempi di
attesa. Il caso considerato si riferisce all’esistenza di un intervallo di tempo (espresso in giorni, settimane o mesi) tra l’inserimento in lista di attesa e la fruizione della prestazione, anche se
può essere esteso all’esistenza di code per la fruizione (nello
stesso giorno) di una particolare prestazione.
68Questa ipotesi molto stringente e poco realistica viene
adottata per concentrare inizialmente l’attenzione sugli effetti di
costi-opportunità del tempo differenziati.
235
poi passiamo a considerare il caso in cui vi sia anche
una riduzione del beneficio atteso della prestazione
all’aumentare del tempo di attesa. Si può mostrare
che in entrambi i casi si determinano effetti negativi
in termini di equità e di efficienza allocativa.
4.2. Il costo di opportunità del tempo di attesa
Il costo privato di opportunità del tempo tende a
crescere con il prolungarsi dell’attesa ed è legato a
diversi fattori. Vi sono, in primo luogo, i costi legati
alla forzata interruzione delle attività di lavoro
(mancato reddito), studio o tempo libero, che si determinano se le persone in attesa non sono in grado
di svolgere le loro attività abituali prima di ricevere
la prestazione69. Vi sono poi i costi legati al tempo richiesto per fruire della prestazione (tempo di viaggio, minuti di attesa prima di accedere al servizio,
ecc.). Infine, vi possono essere dei costi “di ansietà”
legati sia al prolungarsi dell’attesa, sia all’incertezza
del momento esatto in cui sarà possibile accedere alla prestazione (Propper, 1995). La letteratura economica in genere si è concentrata sulle prime due componenti del costo di opportunità70, evidenziando che
il reddito medio degli individui che preferiscono il
razionamento pieno attraverso il tempo risulta inferiore a quello degli individui che preferiscono un sistema di prezzi capace di assicurare un tempo di attesa nullo. Tuttavia, una volta che si escludano gli
estremi della scala dei redditi (individui molto poveri che comunque continuerebbero ad avere le prestazioni pubbliche gratuite con tempi di attesa e individui molto ricchi che comunque continuerebbero a rivolgersi al privato senza tempi di attesa), non sempre il costo-opportunità del tempo è correlato positivamente al livello di capacità economica. In altri termini, valori diversi del costo-opportunità del tempo
possono caratterizzare persone appartenenti ad una
stessa classe di reddito o di ricchezza (Acton, 1975).
Ciò vale sia per i percettori di reddito (a parità di reddito, il costo-opportunità dei lavoratori è più alto di
quello dei rentiers e il costo-opportunità dei lavoratori autonomi è più alto di quello dei dipendenti che
non subiscono perdite monetarie a causa dell’assen-
69Secondo Lindsay e Feigenbaum (1984), nel caso in cui
l’inserimento in una lista di attesa non precluda lo svolgimento
delle attività abituali, non si avrebbe alcun costo-opportunità del
tempo e il tempo di attesa comporterebbe solo un decadimento
nel beneficio ottenibile dalla prestazione (con benefici individuali e tassi di decadimento dei benefici diversi a seconda dei
soggetti). I due autori trascurano però altre componenti del costo-opportunità, come viene indicato nel testo.
70Propper (1995) effettua invece, con riferimento al Nhs inglese, una stima di tutte le componenti del costo-opportunità del
tempo di attesa per prestazioni non urgenti sulla base di una valutazione contingente. In questo modo, rileva di fatto un prezzoombra corrispondente alla disponibilità a pagare per la riduzione dei tempi di attesa.
236
Politiche sanitarie, 10, 4, 2009
za dal lavoro) sia per i non redditieri (diversi costi di
opportunità del tempo per disoccupati, pensionati,
studenti, casalinghe, ecc.).
La presenza di tempi di attesa nell’ambito del
servizio pubblico spinge le persone con un elevato
costo di opportunità del tempo a ricorrere ad alternative assistenziali private a pagamento pur di evitare
le perdite connesse al tempo perso nell’attesa71. Tale
situazione viene rappresentata nella figura 1, che illustra in termini generali come potrebbe operare il
razionamento di una particolare prestazione sanitaria pubblica gratuita mediante tempi di attesa nel caso in cui esista un’alternativa privata al servizio pubblico gratuito non caratterizzata da tempi di attesa ed
erogata al prezzo di mercato P.
L’esempio schematizzato in figura 1 ipotizza, per
semplicità, che l’erogazione della prestazione avvenga in modo efficiente sia nel pubblico (gratuito)
che nel privato (a pagamento). Il razionamento mediante tempi di attesa nel servizio pubblico dipende,
quindi, esclusivamente da un eccesso di domanda
sull’offerta e non dall’esistenza di inefficienze nella
produzione. Si assume inoltre che i pazienti che domandano la prestazione non si differenzino per caratteristiche cliniche per cui gli accessi al servizio
pubblico vengono regolati secondo il principio “first
come-first served”72. Nella figura 1, si ipotizza che i
costi-opportunità del tempo abbiano un andamento
rettilineo e si riportano due rette del costo opportunità del tempo: una più inclinata, CH, relativa ad una
71Verifiche empiriche riguardo all’incentivo dato dai tempi
d’attesa a richiedere servizi privati e coperture assicurative private sono state effettuate, con riferimento al NHS britannico, da
Besley, Hall e Preston (1999).
72Non si considera, quindi, la gestione delle liste di attesa secondo criteri di priorità.
Costi e benefici
della prestazione sanitaria
(€)
B
P
0
CH
E
D
th
t°
tL
B
CL
Tempo t
Figura 1 - Tempi di attesa e scelta tra pubblico e privato: confronto
tra due diversi costi opportunità del tempo.
persona con elevato costo-opportunità (individuo
H); una meno inclinata, CL, relativa a una persona
con basso costo-opportunità (individuo L). Per entrambi i tipi di individui, si ipotizza inizialmente che
il beneficio atteso della prestazione sanitaria B rimanga costante nel tempo e sia sempre superiore al
prezzo P. In generale, un individuo sceglierà il servizio pubblico gratuito nel caso in cui il tempo di attesa che gli si prospetta è tale per cui il suo costo-opportunità del tempo è inferiore al prezzo P della prestazione erogata dal servizio privato. Se invece il
tempo di attesa per il servizio pubblico è così lungo
che il costo-opportunità del tempo supera il prezzo
P, l’individuo potrebbe optare immediatamente per
l’alternativa privata.
Nell’esempio della figura 1, la persona con elevato costo-opportunità del tempo (individuo H) sceglierà di entrare in lista di attesa per la prestazione
pubblica solo se questa viene erogata entro il tempo
tH mentre se l’attesa supera tH (per cui CH>P), potrebbe optare subito per la prestazione erogata dal
privato pagando il prezzo P. Per contro, l’individuo L
è maggiormente disposto ad attendere per la prestazione pubblica e potrebbe decidere di rivolgersi subito al privato solo se il tempo di attesa prospettato per
accedere al servizio pubblico gratuito fosse superiore
a tL (oltre il punto E, si avrebbe infatti CL>P). Se, ad
esempio, il tempo medio di attesa per il servizio pubblico fosse pari a t°, l’individuo H potrebbe decidere
di richiedere subito la prestazione privata mentre
l’individuo L preferirebbe aspettare nel pubblico.
Tuttavia l’individuo H non necessariamente è più ricco dell’individuo L. Ad esempio, H potrebbe essere
un lavoratore autonomo con basso livello di reddito
che subisce una rilevante perdita economica se non
riceve subito la prestazione mentre L potrebbe essere
un ricco rentier che non avrebbe alcuna riduzione
della sua rendita ma solo costi di ansietà. In questo
caso H ha una maggiore disponibilità a pagare per la
prestazione privata a pagamento (avendo un costoopportunità del tempo più alto) ma nel contempo ha
una minore capacità di pagare rispetto ad L. Questo
semplice esempio segnala come un razionamento
della domanda di prestazioni pubbliche mediante
tempo di attesa potrebbe essere particolarmente iniquo e, nel caso in cui H non fosse in grado di accedere alla prestazione privata (non riuscendo a sostenere
il pagamento del prezzo P), determinerebbe anche
una riduzione di efficienza allocativa a causa della
perdita di benessere provocata dall’interruzione dell’attività di lavoro di H per il tempo t°. L’impatto negativo in termini di equità e di efficienza allocativa
ovviamente aumenterebbe al crescere del tempo di
attesa per accedere al servizio pubblico.
Una prima conclusione che si può trarre dalla
precedente discussione, in accordo con Muraro
237
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
(2003, p. 375), è che una riduzione dei tempi di attesa attraverso un moderato utilizzo del ticket come
strumento di razionalizzazione della domanda “potrebbe determinare una distribuzione di guadagni e
di perdite di benessere che non risulterebbe affatto
basata per intero sui livelli di reddito”.
4.3. La riduzione dei benefici della prestazione
dovuta all’attesa
Passiamo ora a considerare il caso, più rilevante,
in cui l’attesa per la prestazione pubblica determini
non solo un costo di opportunità del tempo ma anche
un decadimento nel tempo del beneficio B ottenibile
dalla prestazione.
Vi possono essere due casi in cui il beneficio della prestazione si riduce all’aumentare del tempo di
attesa. Un primo caso si ha quando, superato un determinato tempo di attesa, la prestazione potrebbe
non essere più necessaria o potrebbe determinare benefici molto ridotti senza che comunque si determini
un peggioramento della salute del paziente. È il caso,
ad esempio, delle cure richieste a fronte di sintomi
relativi a patologie di lieve entità il cui decorso si rivela positivo anche in assenza di intervento sanitario
(malattie stagionali, lievi infezioni, ecc.). In questo
primo caso, il razionamento con tempi di attesa, pur
provocando un decadimento del beneficio della prestazione nel tempo, non determina sostanziali effetti
negativi per il benessere individuale e collettivo.
Un secondo caso riguarda invece quelle situazioni in cui l’attesa di una prestazione che si prolunga
oltre una determinata soglia temporale può determinare gravi conseguenze per la salute del paziente.
Oltre alle situazioni di emergenza sanitaria, questo è
il caso delle prestazioni diagnostiche che, a fronte di
particolari sintomi del paziente, si rendono necessarie per accertare la presenza o meno di patologie gravi (neoplasie, malattie cardiovascolari, ecc.) oppure
delle terapie alle quali il paziente deve sottoporsi con
tempestività dopo l’accertamento di una patologia
con un cero livello di gravità. In questo secondo caso, l’esistenza di tempi di attesa per il servizio pubblico può determinare un peggioramento del benessere individuale e collettivo più o meno accentuato.
Nella figura 2 si considera questo secondo caso,
facendo riferimento ad un generico individuo rappresentativo contraddistinto da un particolare costo
di opportunità del tempo (la retta C) e da un beneficio individuale ottenibile dalla prestazione sanitaria
richiesta B’ che decresce all’aumentare del tempo di
attesa e viene rappresentato con una retta avente inclinazione negativa a partire da un livello iniziale Bo.
Si ipotizza ancora che esistano due servizi alternativi a cui l’individuo può richiedere la prestazione: un
servizio pubblico gratuito caratterizzato da tempi di
attesa oppure, in alternativa, un servizio privato non
Costi e benefici
della prestazione sanitaria
(€)
B0
A
P
0
tA
C
D
t°
B’
tD
Tempo t
Figura 2 - Tempi di attesa e scelta tra pubblico e privato con
beneficio della prestazione sanitaria decrescente nel tempo.
caratterizzato da tempi di attesa che offre la prestazione ad un prezzo P (con P<Bo). Si continua, inoltre, ad assumere piena efficienza nell’erogazione
della prestazione sia nel privato che nel pubblico.
Se considerasse solo il costo-opportunità del tempo, il singolo individuo opterebbe per entrare in lista
per il servizio pubblico gratuito se il tempo di attesa
che gli si prospetta fosse al massimo pari a tD. Ora
però il beneficio che egli riceve dalla prestazione è
decrescente all’aumentare del tempo di attesa. Tanto
più rapidamente il beneficio della prestazione sanitaria decade al passare del tempo (retta B0B’ molto inclinata e spostata verso l’origine) tanto più l’individuo potrebbe trovare conveniente ricorrere all’alternativa privata73. Nell’esempio rappresentato nella figura 2, il beneficio della prestazione diminuirebbe
fino a diventare inferiore al prezzo richiesto nel privato P per un tempo di attesa superiore a tA. Se il
tempo medio di attesa per il servizio pubblico fosse
pari a t° (con tA< t°<tD), l’individuo potrebbe quindi
decidere di rivolgersi immediatamente al servizio
privato a pagamento anche se il suo costo di opportunità del tempo, in corrispondenza di t°, fosse inferiore a P.
In generale, solo le persone con maggiore capacità di pagare potrebbero ricorrere subito al servizio
privato non congestionato mentre i meno abbienti sarebbero in ogni caso costretti ad attendere la prestazione offerta dal servizio pubblico con conseguenze
73Nel caso delle prestazioni di emergenza sanitaria, la retta
del beneficio tenderebbe ad essere verticale. In questo caso, assume importanza fondamentale disporre della prestazione in
tempi molto rapidi mentre divengono irrilevanti le considerazioni circa il costo-opportunità del tempo.
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Politiche sanitarie, 10, 4, 2009
negative per la loro salute. Ciò determinerebbe evidenti problemi di equità e una perdita di efficienza allocativa determinata dal peggioramento delle condizioni di salute per le persone che non riescono ad accedere al servizio privato a pagamento. Anche in questo caso, un sistema sanitario in cui l’applicazione di
un ticket moderato (con esenzioni per patologia e per
ridotta capacità di pagare) consentisse di migliorare
la qualità del servizio pubblico, riducendo i tempi di
accesso alle prestazioni, potrebbe essere preferibile
(in termini di equità ed efficienza) rispetto a un sistema che preveda le due alternative polari del servizio
pubblico gratuito razionato con tempi di attesa e del
servizio privato a prezzo pieno.
Il semplice schema qui illustrato non considera
l’eterogeneità nei benefici e nel tasso di decadimento dei benefici nel tempo per diversi pazienti. La
considerazione di pazienti eterogenei in termini di
gravità clinica e di grado di urgenza del bisogno di
salute (cioè eterogenei rispetto ai benefici ottenibili
da una particolare prestazione) potrebbe avvenire
con una segmentazione delle liste d’attesa, raggruppando i pazienti secondo criteri di priorità (si veda al
riguardo il par. 2) ma all’interno di ogni raggruppamento si potrebbero determinare le problematiche
relative ai tempi di attesa appena esaminate.
Nello schema teorico presentato, si è ipotizzata la
contemporanea presenza di un servizio sanitario privato alternativo al servizio pubblico gratuito razionato mediante tempi di attesa. Secondo diversi autori l’esistenza di un’alternativa privata può aumentare il livello di benessere collettivo nel caso di un Ssn
che utilizzi come strumento di controllo della domanda unicamente i tempi di attesa; ciò in quanto le
persone con reddito elevato sono indotte a scegliere
le prestazioni a pagamento non soggette a tempi di
attesa, pur continuando a finanziare con imposte il
sistema pubblico, e in questo modo verrebbero a
“decongestionare” i servizi pubblici gratuiti utilizzati in prevalenza dalle persone a basso reddito (Bucovetsky, 1984; Hoel e Saether, 2003)74.
Tuttavia, la precedente discussione ha evidenziato come siano le persone con elevati costi-opportunità del tempo e quelle con benefici rapidamente decrescenti nel tempo a manifestare maggiore disponibilità a pagare per il servizio alternativo privato a pagamento e non si tratta necessariamente di persone
con reddito elevato, cioè con elevata capacità di pagare per la prestazione privata. Ne consegue che la
contemporanea esistenza di alternative private (a
prezzo pieno) al servizio pubblico potrebbe aumen-
74Marchand e Schroyen (2005) rilevano tuttavia che il guadagno in termini di benessere che si può ottenere utilizzando i
tempi di attesa come unico meccanismo di razionamento della
domanda di prestazioni sanitarie pubbliche è molto piccolo.
tare l’efficienza e l’equità di un sistema sanitario solo quando si prevedesse un utilizzo appropriato del
ticket come strumento di governo della domanda di
assistenza sanitaria pubblica75. Per contro, un sistema sanitario pubblico che adottasse i tempi di attesa
come unico strumento di controllo della domanda si
configurerebbe come una soluzione inferiore in termini di efficienza allocativa e di equità: da un lato
potrebbe infatti inibire il consumo anche in presenza
di necessità effettiva; dall’altro rappresenterebbe un
forte incentivo verso il consumo di prestazioni offerte dal privato accessibili soprattutto ai più abbienti.
Infine, va considerato che l’esistenza di alternative private non porta necessariamente a una riduzione
dei tempi di attesa nel pubblico, con un miglioramento di benessere per la collettività. Affinché ciò si possa realizzare, è infatti necessario che siano contemporaneamente verificate tre condizioni essenziali: i)
l’efficienza dei processi di erogazione delle prestazioni sia nel privato che nel pubblico; ii) la perfetta
separazione e l’assenza di complementarietà tra i
processi di produzione delle prestazioni nel pubblico
e nel privato (ad esempio, nel caso in cui venisse vietata la dual practice dei medici o, più in generale, vi
fosse il divieto di impiegare i fattori di produzione
pubblici nei processi di produzione privati); iii) una
sostanziale omogeneità nei livelli di qualità delle prestazioni pubbliche e delle prestazioni private. Nella
realtà però non è facile che tali condizioni siano tutte
verificate e in questo caso, in mancanza di adeguati
correttivi, il fenomeno dei tempi di attesa nel pubblico non solo non si attenuerebbe ma potrebbe addirittura aggravarsi con pesanti ripercussioni in termini di
efficienza allocativa e soprattutto di equità76.
75A tale conclusione pervengono anche Gravelle e Siciliani
(2008) e Felder (2008), che sviluppano modelli in cui compartecipazioni e tempi di attesa sono utilizzati congiuntamente come
strumenti di limitazione della domanda. Entrambi i modelli evidenziano inoltre che se la compartecipazione (il tasso di coinsurance) viene fissata a livello ottimale, eliminando il sovraconsumo provocato dal rischio morale, l’esistenza dei tempi di attesa
determinerebbe una riduzione del benessere sociale. La presenza congiunta di compartecipazioni e tempi di attesa come strumenti di controllo della domanda si giustificherebbe in termini
di benessere sociale (second best) solo quando, a causa di vincoli informativi o di altro tipo, non fosse possibile definire il livello ottimale delle compartecipazioni.
76Una dimostrazione rigorosa in tal senso viene offerta dal
modello teorico sviluppato da Iversen (1997). Anche sul piano
empirico, è stato verificato che la presenza di servizi privati paralleli ai servizi pubblici non produce in molti casi un contenimento dei tempi di attesa nel pubblico, soprattutto a causa della
possibilità di dual practice per i medici (si vedano ad esempio:
Hughes Tuohy et al., 2004; Duckett, 2005). In Italia, uno degli
obiettivi per cui era stata introdotta la libera professione intramuraria nel SSN (con il D.Lgs. 229/1999) era quello di riuscire
a contenere i tempi di attesa per le prestazioni pubbliche. Tuttavia, nelle realizzazioni concrete dell’istituto, le tre condizioni indicate nel testo non sono state soddisfatte e ciò ha contribuito al
mancato conseguimento dell’obiettivo.
5. Conclusioni
V Rebba: I ticket sanitari e l’accesso alle cure
I ticket possono essere strumenti efficaci di controllo della domanda sanitaria? I ticket possono determinare disuguaglianze nell’accesso alle cure? Come abbiamo visto, ad entrambe le domande si può rispondere affermativamente. L’applicazione dei
ticket sanitari pone infatti di fronte al tipico trade-off
tra efficienza ed equità che caratterizza le scelte pubbliche. Come sempre, si tratta quindi di calibrare bene lo strumento in modo da sfruttarne al meglio le
potenzialità in termini di aumento dell’efficienza e
di ridurre al massimo gli effetti negativi sull’equità.
Abbiamo visto che il ticket è solo uno dei possibili strumenti di governo della domanda sanitaria e
che non dovrebbe essere usato con l’obiettivo principale di finanziare la spesa sanitaria ma con la finalità
di responsabilizzare gli utenti circa il costo dei servizi erogati, incentivandoli a contenere i consumi sanitari inappropriati e di limitata efficacia. Si è anche
visto che, benché la domanda di prestazioni sanitarie
sia di fatto determinata dai medici, l’effetto incentivante del ticket non venga del tutto eliminato.
L’analisi empirica ha tuttavia evidenziato che è difficile separare, nel concreto, i casi del consumo sanitario a bassa produttività di salute da quelli del consumo
necessario di prestazioni sanitarie. Occorre quindi cercare di minimizzare l’errore di una riduzione indiscriminata dei consumi sanitari (che colpisca anche le prestazioni essenziali) provocata dall’applicazione dei
ticket in modo da limitare gli effetti negativi in termini di accesso ai servizi e di salute della popolazione.
A questo riguardo, indicazioni interessanti per
calibrare i ticket sembrano venire dal nuovo approccio value-based cost sharing (Pauly e Blavin, 2008)
secondo cui, i livelli di compartecipazione incentivanti non sono sempre correlati positivamente con
l’elasticità al prezzo della domanda (come indicato
dalla teoria standard) ma vanno individuati anche
sulla base delle evidenze empiriche di efficacia clinica e di costo-efficacia delle prestazioni osservate
per specifici gruppi di pazienti. Prendendo spunto
dal nuovo approccio, una possibilità che si ritiene
utile esplorare è quella di vincolare una parte del gettito dei ticket al finanziamento di agenzie pubbliche
di valutazione della costo-efficacia di nuovi farmaci
e di nuove procedure diagnostiche e terapeutiche. In
questo modo si potrebbero ridurre le distorsioni legate all’utilizzo del ticket come strumento di finanziamento, in quanto le risorse finanziarie raccolte
verrebbero utilizzate per individuare le forme di assistenza con i più elevati livelli di costo-efficacia per
le quali in prospettiva si potrebbe addirittura prevedere la rimozione delle compartecipazioni.
Le misure di compartecipazione adottate nei diversi paesi, pur essendo piuttosto differenziate, sem-
239
brano rispondere in molti casi all’esigenza di limitare
gli effetti indesiderati del ticket. Il ricorso al copayment risulta generalizzato nel caso dei farmaci (dove
appaiono più diffusi i fenomeni di sovraconsumo ed
è relativamente più agevole discriminare le componenti non essenziali e di conforto) mentre è relativamente meno diffuso per quanto concerne le prestazioni diagnostiche, le visite specialistiche e soprattutto i ricoveri ospedalieri. Per ridurre l’impatto negativo del ticket sull’accesso ai servizi essenziali da parte delle persone con elevato rischio di salute e con ridotta capacità economica, i paesi con sistema sanitario pubblico fanno largo ricorso a esenzioni e abbattimenti per patologia e per reddito. Nel caso specifico dell’Italia, la prospettiva di un’accentuazione dell’autonomia delle Regioni con il federalismo fiscale
pone anche il rischio di un aumento delle disuguaglianze territoriali nell’accesso ai livelli essenziali di
assistenza che, a nostro avviso, va limitato definendo
una base nazionale di regolazione dei ticket che, pur
lasciando margini di applicazione differenziata, stabilisca tetti all’incidenza delle compartecipazioni e
fissi criteri di salvaguardia per l’accesso ai Lea.
L’analisi svolta ha infine evidenziato come l’applicazione di un ticket moderato possa favorire il
contenimento dei tempi di attesa per le prestazioni
rientranti nei livelli essenziali di assistenza, con effetti positivi in termini di equità, e una certa possibilità di espansione della gamma delle prestazioni
rientranti nella copertura pubblica di base, consentendo ad un sistema sanitario pubblico di adattarsi
all’evoluzione dei bisogni di salute e delle innovazioni in campo biomedico. Sotto questo profilo, il
ticket non pregiudicherebbe, ma potrebbe anzi aiutare a preservare le funzioni redistributive proprie del
Ssn. Alla luce dei limiti e delle problematiche che
caratterizzano l’uso del ticket, un efficace governo
della domanda richiede comunque che esso venga
affiancato anche da altri strumenti volti soprattutto a
responsabilizzare e incentivare i medici prescrittori.
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