A che gioco giochiamo?

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A che gioco giochiamo?
Unità
5
I TEMI: IL GIOCO
Anne Fine
A che gioco giochiamo?
1 origliare: ascoltare di nascosto.
2 in trance: stato di assoluta astrazione e di allontanamento dalla realtà.
Facevamo di tutto. Andavamo dappertutto. Eravamo attratte dai prati e dai capanni, dai boschetti e dai giardini a terrazza. Quando venne
il freddo, ci cercavano nei salotti e nelle sale dei bar, nelle nicchie e
nei depositi delle lenzuola. A volte era complicato venir fuori perché
per un’ora intera eravamo rimaste avvolte nelle pieghe delle ricche
tende color rubino, a origliare1 le conversazioni di qualche ignara
coppia di ospiti litigiosi. Ma quasi sempre spuntavamo non appena
sentivamo i passi decisi e il richiamo.
– È ora di andare a casa, Tulip.
– Non posso stare qui?
– I tuoi genitori saranno in pensiero.
Non era vero. Se i genitori di Tulip fossero stati in pensiero, si sarebbero fatti vedere almeno una decina di volte, quando nessuno si era
nemmeno accorto che lei era ancora con me finché non mi dicevano
di andare a letto. Ma il papà restava impassibile. Anche lei.
– Posso tornare domani?
– Se vuoi.
Forse sarebbe tornata. Forse no (io comunque l’avrei aspettata.) A
volte il papà mi vedeva vagare solitaria e come in trance2, e, rendendosi conto di quanto era stato indaffarato negli ultimi tempi, si offriva di portarmi a pescare.
Partivamo nell’ora quieta del dopopranzo, e lei era là, a vagabondare
dalla parte del campo dove finiva il sentiero che attraversava il boschetto.
– Puoi mandarla a casa se vuoi, – dicevo piano, un po’ offesa perché
non si era fatta viva prima.
Ma lui la salutava con affetto, come al solito.
– Vieni con noi?
Non era brava a pescare. (Il papà diceva che tutti i pesci scappavano
non appena vedevano la sua ombra.) Lui prendeva un pesce dopo
l’altro, io me la cavavo, e lei non prendeva niente. Ma sembrava abbastanza felice. E anche lui. Non sembrava mai annoiarsi nei pomeriggi in cui Tulip veniva con noi.
– A che gioco stavate giocando ieri, quando Mrs Scott Henderson si è
lamentata perché facevate rumore?
– A Topi nell’incendio.
– Avete trovato un posto più adatto per giocare?
Lei rise.
– Siamo andate in cantina e gli abbiamo cambiato nome: Maiali nel
tunnel.
Lui scosse la testa.
A che gioco giochiamo?
– Molto divertente. Anche se dev’essere meno bello di quel gioco a cui
giocavate sempre la settimana scorsa.
– Che gioco? Grasso nel fuoco?
– La settimana scorsa abbiamo giocato quasi sempre a Malaria! – le
ricordai.
– Perché non riuscite a inventarne di tranquilli?
– Non li invento io, – gli dissi. – È Tulip a inventare i giochi.
Si voltò verso di lei.
– E allora, – disse. – Che cosa mi racconti, Tulip?
Lei piegò la testa da un lato. – C’è Strada d’ossa. È molto tranquillo. E
giochiamo parecchio anche a Giorni muti. Non fa rumore, neanche un
po’.
Lui rabbrividì. – Giorni muti! Strada d’ossa! Voi due non giocate mai a
qualcosa di carino?
Lei rise di nuovo.
– Quando era piccolo lei giocava a roba tipo mamma e papà o alla
maestra, vero?
– Sì, – disse lui. – Sono proprio il genere di giochi che facevamo ai
vecchi tempi.
Lei gli lanciò il suo sguardo accattivante.
– Qual è la cosa più brutta che ha mai fatto, Mr Barnes?
– Quando ero piccolo?
Lei annuì.
Se gliel’avessi fatta io, quella domanda, non mi avrebbe mai dato una
risposta seria. Ma Tulip riusciva a far parlare il papà di qualunque
cosa, davvero, e così lui tacque per un momento, pensieroso.
– La cosa che mi fa stare più male, anche dopo tutto questo tempo,
è pensare a quando ho fatto cadere la tartaruga del nonno sul sentiero del giardino, – ci disse alla fine. – Non ho avuto il coraggio di
andarlo a dire, e allora l’ho spinta sotto il cespuglio più vicino e
basta.
Aveva ancora l’aria imbarazzata, mentre ricordava.
– Quanti anni avevi? – domandai.
– Otto. – Fece un rapido calcolo. – Ventisette anni fa!
– Si è spiaccicata? – chiese Tulip.
La parola pronunciata da lei gli faceva orrore, era chiaro. Ne scelse con
cura un’altra.
– Si è rotta la corazza, sì.
– È stato un incidente?
– Naturale che è stato un incidente, – disse lui brusco. – Non penserai
che l’abbia buttata apposta?
– No, – disse lei in fretta.
Ci fu un silenzio. Poi Tulip disse:
– Avrebbe dovuto metterla nel freezer per ucciderla.
La faccia di papà era uno spettacolo.
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I TEMI: IL GIOCO
– È il modo meno doloroso, per i pesci e le tartarughine, – gli assicurò
lei. – Probabilmente anche per le tartarughe grandi.
Lui non pensava più alla canna da pesca. Ora la stava fissando.
– Tulip, e tu come accidenti fai a saperlo?
– Devo averlo sentito dire da qualcuno. E me lo sono ricordato.
Il papà si voltò verso di me.
– Tu lo sapevi?
Volevo tanto dire di sì. Ma Tulip avrebbe capito che mentivo.
– No, – dissi cupa.
Si voltò di nuovo verso di lei.
– E le cose che senti ti preoccupano?
– No, – disse lei. – A volte ci penso un po’. Ma più che preoccuparmi,
mi interessano.
Sotto sotto si avvertiva la sua agitazione.
– Abbocca? – disse lui, contento di cambiare discorso.
– Stavolta sei stata fortunata? Abbocca?
– No, – disse lei, senza neanche guardare. – No, non abbocca.
A. Fine, Quella strega di Tulip, trad. di B. Masini, Bompiani