leggi il libro on-line - La chiave dei due mondi

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leggi il libro on-line - La chiave dei due mondi
Ludovica Viganò
PRIMA PARTE
Nel mondo dei dinosauri
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QUESTO LIBRO…
Questo libro è adatto a grandi e bambini.
Ho usato personaggi un po’ delicati per quest’avventura (come il
Chihuahua). Anche questo ha un senso, l’ho fatto per far capire
che tutte le creature, anche le più deboli fisicamente, d’animo
sono così forti da sopravvivere ad un mondo impossibile ad un
vero umano o animale vivente nel mondo di oggi.
Volevo rendere questo libro ricco di tanti fatti e di animali che in
passato sono esistiti veramente. Solo dopo m’è venuta in mente
l’idea di far viaggiare i protagonisti nelle dimensioni storiche fino
ad arrivare a quelle di oggi, saltando il periodo dei Romani e
tutto il resto di guerre e Rinascimento a Milano.
Auguro buona immaginazione per riuscire a immedesimarsi in
diverse avventure al centro del tempo e in un mondo simile al
nostro ma diverso in tutto e per tutto.
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Introduzione:
A Milano, in una casa con giardino,
viveva una ragazza, la madre e un cane.
Angelica, la ragazza, è molto curiosa e
un giorno col suo cane scopre un grande mistero
che la porta a un’ isola al centro del tempo
e dei fatti avvenuti.
In seguito scoprirà che, per tornare al suo
molto amato Mondo, dovrà passare da una
dimensione all’altra che parla
di ciò che aveva studiato alle elementari.
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A Milano stava calando il sole e in una casa una madre chiamava la figlia
di quindici anni che aveva lunghi capelli ricci e rossi e occhi verdi.
<< Angelica senti che c’è scritto nel giornale di oggi: Al parco Guastalla è
la quinta volta che nella fontana grande come una piscina spariscono i
pesci e ogni giorno c’è un enorme buco largo sette metri sul fondo. Gli
scienziati hanno analizzato la fontana e a questa domanda non sanno
rispondere! >> Angelica era sdraiata sul divano del salotto con il suo cane
di un anno, chihuahua, maschio, di nome Jerry e di colore bianco, nero e
crema, ai piedi della sua padroncina.
Angelica si alzò e prese il giornale. A un certo
punto disse alla madre:
<< Mamma esco fuori con Jerry. Vado a fare un giro. Torno alle quattro! >>
La madre accennò e tornò in cucina a pulirla. Angelica mise un giubbotto
rosso, lo mise anche al chihuahua perché faceva freddo e uscirono. La
ragazza voleva scoprire cosa succedeva al parco, camminava a passo
svelto e ben presto giunse alla sua meta: il parco Guastalla e vide che non
si poteva andare alla fontana che era anche circondata da un gruppo di
poliziotti che stavano parlando tra loro. Angelica si avvicinò e chiese a un
poliziotto che cos’era successo ed egli le rispose: << E’ già la quinta volta
che si spacca la fontana e i pesci sono ancora spariti! Credo siano quei
ragazzacci che vengono qua di notte >> Angelica ascoltava e osservò il
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buco della fontana, era enorme e l’interno era tutto buio. Angelica
domandò di nuovo:
<< Cosa c’è dopo il buco? Qualcuno l’ha visto l’interno? >>.
Il poliziotto rispose: << Credo ci sia solo cemento. Non ci siamo avvicinati
troppo, c’è un risucchio potente al centro >>.
Angelica si allontanò per ispezionare il parco a un certo punto si fermò
perché Jerry stava facendo pipì in un muretto pieno di muschio.
Casualmente la ragazza percorse con l’occhio il muretto pieno di muschio
e ad un certo vi trovò con lo sguardo un enorme dente lungo trenta
centimetri e largo quindici. Angelica non avvertì i poliziotti ma rimase lì a
guardare l’enorme dente giallognolo e conficcato nel muschio. Prese un
bastoncino e riuscì a grattarlo via perché era poco attaccato. Quando lo
prese era veramente pesante e robusto, se lo mise in borsa e guardò
l’orologio: erano le due e un quarto, per grattare via il dente c’erano voluti
un quarto d’ora. Angelica uscì dal parco dopo che Jerry ebbe fatto un’altra
pipì e si diresse verso la biblioteca, era intenta a scoprire di che cos’era
quel dente troppo strano per appartenere a un cane e troppo “vivo” per
essere di plastica. Legò il cane fuori e quando entrò si diresse verso una
signora dicendole: << Buongiorno. Qual è il reparto D? >> La signora dopo
un sorriso e un – buon giorno - l’accompagnò al reparto D che si trovava
in un’altra stanza enorme. La signora girò i tacchi e se ne andò tornando al
suo banco mentre Angelica cercava un libro sui dinosauri, chissà perché,
anche se sapeva che non esistevano una vocina le diceva di cercare il più
possibile su dinosauri. Trovò un libro che parlava di denti. Lo aprì ma
spiegava solo la conformazione dei denti di animali e uomini. Cercò un
altro libro che parlasse di dinosauri e allora, incuriosita e seguendo la
vocina che le diceva di sfogliare quel libro, lo sfogliò pagina per pagina.
Parlava di: incubazione dell’uovo, nascita, crescita, fanciullezza,
corporatura, denti…
Angelica si fermò all’argomento: “denti” e trovò molti disegni di denti e la
loro misura. Nelle pagine sotto quell’argomento c’erano scritti: denti di
dinosauri di terra, denti di dinosauri erbivori, denti di dinosauri
carnivori e infine denti di dinosauri marini e giganti.
Nella fila dei dinosauri marini, per primo c’era la scritta: Plesiosauro e
subito dopo la sua figura. Infine la ragazza cercò il punto che parlava dei
denti, lo trovò e iniziò a leggere:
Lunghezza denti trenta centimetri, larghezza quindici.
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Questo dinosauro è il rettile marino più famoso proprio perché ha un collo
lunghissimo e lunghe pinne flessibili.
Angelica ripose il libro dov’era prima, prese dalla borsa un righello che
teneva in emergenza insieme ad un blocchetto notes e una matita e, tirando
fuori dalla borsa il dente, lo misurò… si credeva una pazza quando,
misurando il dente era delle stesse misure di quello che c’era scritto nel
libro. Scioccata uscì dalla biblioteca salutando la signora, prese Mozart e
tornò a casa dove la madre l’aspettava con una camomilla.
Angelica slegò e svestì Jerry che corse verso la sua cuccia, la ragazza
bevve la camomilla in salotto nel divano vicino alla madre e decise di
tenere nascosta la scoperta del dente per non ritrovarsi ad ascoltare la
madre al telefono con uno psicologo. La madre le disse: << Dove sei stata
tutto questo tempo? >> Angelica si levò la giacca e rispose: << Sono andata
al parco a far fare i bisogni a Jerry e, poi sono andata in biblioteca >>.
La madre accennò un – va bene – e Angelica se ne andò in camera sua con
Jerry che la seguiva e gli disse rivoltasi a lui con un sussurro silenzioso:
<< Che scoperta che abbiamo fatto, ti rendi conto! L’animale che usciva
dalla fontana mangiando i pesci era un antichissimo dinosauro. Guarda che
dente! >>.
Angelica, sdraiatasi sul letto, chiuso la porta della sua camera e
accomodato Jerry a fianco a lei, prese la lente d’ingrandimento e guardò il
dente un po’ rovinato sorridendo. E pensando tra se “non è possibile, i
dinosauri non esistono. Sto impazzendo, ho bisogno di ragionare”. Ma
avendo davanti a se un vero dente che era la prova di una cosa che non
poteva esistere doveva pensare il contrario e pensò “stanotte voglio vedere
il dinosauro. Dovrò farlo mentre la mamma dorme e mi porterò anche
Jerry”. Sarebbe stata una specie di fuga ma Angelica non era una vera
angela ma una ragazza coraggiosa, bella e molto curiosa, così tanto da
credere ai dinosauri senza dirsi troppo che era matta ma pensando alla
prova che in quel momento era lì sul suo morbido letto, quindi decise che
la fuga sarebbe stata quella notte stessa.
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Angelica prese la sua piccola cartella nera che usava per la scuola e ci
mise: gli snak per il cane, una lente d’ingrandimento, una corda, un
giubbotto molto caldo per Jerry, delle bottigliette d’acqua, un coltellino, un
coltello da cucina, delle merende, il cellulare, un cappello, una sciarpa, due
paglia di guanti, uno specchietto, una bussola e una torcia con la carica.
Aveva messo tutta questa roba perché, dal profonda sentiva che le sarebbe
servito tutto. Il dente lo mise in una tasca della cartella e poi aspettò la
sera. Dopo cena guardò un po’ di tv e ricaricò il telefono. Poi andò in
camera da letto, si sentiva una stupida ma doveva provarci prima di
mettersi l’etichetta di matta. Aprì la finestra e sentì la temperatura: fresca.
Alle una era tutto buio, sua madre dormiva. La ragazza si mise una maglia
blu scura aderente sotto la biancheria e un paio di jeans. Uscì dalla camera
in punta di piedi chiudendo Jerry nella sua stanza, prese una giacca
pesante, tornò nella sua camera accarezzando Jerry, lo prese in braccio
agganciandogli il guinzaglio e mettendogli un maglioncino, infine,
prendendolo in braccio uscì dalla finestra con lui. Corse veloce nella strada
illuminata solo dai lampioni ai bordi della strada. Con il peso della cartella,
ci mise venti minuti ad arrivare al parco. Quando giunse lì, lo trovò tutto
buio, da far paura, accese la torcia ed entrò. Un povero stava dormendo
nascosto. Jerry stava per abbaiargli contro ma la ragazza lo zittì
tappandogli la bocca. Si diressero verso una panchina. In tanto il povero si
era svegliato e vedendo la ragazza, se ne andò. Il parco era vuoto. Regnava
un buio totale. Angelica prese in braccio Jerry e si sedette su una panca
vicino alla fontana, guardò l’orologio: le una e venti. Dopo un paio di
minuti si era appisolata sulla panca anche lei con Jerry che faceva la
guardia acciambellato sulla panca.
Si era addormentata quando, a un certo punto, venne svegliata da un
terremoto che scosse tutto il pavimento, non c’era un gran fracasso ma il
terremoto era potente. Angelica sentì un botto, del tremore e infine uno
scroscio, dalla fontana comparve un dinosauro, aveva un collo lunghissimo
di colore verde-azzurro, la testa era piccola e liscia con due occhietti neri e
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lucidi, il collo si alzò verso il cielo poi si piegò in giù come un cigno
arrivando all’altezza della testa di Angelica. La ragazza tremava dalla testa
ai piedi e, quando smise, fu solo perché credeva fosse un sogno ma,
quando il dinosauro aprì la bocca mostrando lunghi denti affilati (che per
un dinosauro erano molto piccoli ma per un semplice umano no), Angelica
si convinse che:
1 poteva essere matta
2 c’era veramente un dinosauro,
la ragazza anche se non sapeva a quale opzione darla vinta decise almeno
di nascondersi. Nel frattempo, Jerry si mise ad abbaiare alla testa del
dinosauro che piegò il collo ancora più in giù, finché la sua testa, non fu
all’altezza di quella del cane che, spaventato ma coraggioso stava per
mordere il muso allungato e duro del mostro. La ragazza tornò in sè dopo
aver deciso cosa fare, prese il cane tappandogli la bocca, si alzò e scappò,
si rifugiò nelle piante con Jerry in braccio e lo zaino in spalla. Il dinosauro
era affamato e curioso, ripiegò il collo guardando l’acqua della fontana ma
non c’erano i pesci che cercava come spuntino. Affamato allungò il collo
che fiondò in mezzo agli alberi che riparavano Angelica. Afferrò con i
denti aguzzi il guinzaglio di Jerry così che, alzando il collo al cielo, dalla
sua bocca dondolavano dalle due parti, Angelica non aveva mollato il
guinzaglio per non cadere. La ragazza, voleva buttarsi giù e richiamare il
dinosauro con la torcia così che poteva salvare anche Jerry, ma l’altezza
era troppa per far sì che cadendo sarebbe sopravvissuta. La ragazza si
attaccò con le unghie al labbro del Plesiosauro che, avendo una pelle dura
ed essendo enorme, non sentì niente. La ragazza si spinse in su, si attaccò a
un dente lungo e affilato e afferrò il guinzaglio incastrato nella bocca del
dinosauro. Lo tirò fuori delicatamente con il braccio che non si teneva al
dente del mostro, tenne ben salda la presa al dente e al guinzaglio di Jerry.
Il povero chihuahua si stava strangolando. La ragazza diede dei pugni con
la mano che teneva il guinzaglio al labbro del dinosauro che sentì prurito e
si abbassò per grattarsi il muso sull’erba, così Angelica si trovò a terra,
prese subito in braccio Jerry che la leccò ed ella si sdraio sull’erba prima
che una grande scossa di terremoto provocata dal dinosauro la facesse
cadere insieme al chihuahua. Il dinosauro, accortasi che le sue due prede
erano scappate, quando adocchiò la ragazza che nel frattempo si era alzata,
le diede una spinta delicata con la testa così che, anche se la ragazza era
caduta, poté proteggere con le due braccia il chihuahua. Intanto la testa del
Plesiosauro si avvicinava e, quando fu abbastanza vicino, afferrò dalla
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maglia la ragazza. Il dinosauro si spinse Angelica in bocca ed ella,
prendendo la corda dalla borsa, la lanciò sulla testa del Plesiosauro prima
che esso chiudesse la bocca così che, arrampicandosi raggiunse la testa del
mostro. Il collo del dinosauro scivolò verso il basso raggiungendo l’acqua
della fontana, la ragazza si tappò la bocca e con l’altra mano quella del
cane. Si ritrovò in un vortice di acque scure, attaccata alla testa del
Plesiosauro e con in braccio il povero chihuahua biondo, a pelo lungo e di
pochi mesi. Il mostro ritirò il collo fuori dal buco enorme che aveva
lasciato nella larga fontana e si ritrovò in acque scure. Guardando da sotto
lo strato di cemento della fontana e la fine crosta terrestre, il buco si
vedeva come se fosse una lastra di ghiaccio di cemento. Il mostro nuotò
via dal buco inabissandosi e proseguì velocissimo nell’acqua blu scuro
evitando coralli altissimi e pesci enormi e carnivori. Salì verso l’alto, con
una velocità immensa. Così il collo si alzò in cielo e Jerry poté respirare
sputacchiando l’acqua che gli era entrata in bocca. Angelica osservò il
cielo chiaro e vide un enorme Pterodattilo che volava indisturbato con aria
riposata. La ragazza era spaventata e scossa, il Plesiosauro stava per
ritirare la testa in acqua ma, meno male, rimase fuori dall’acqua solo la
nuca e il muso dove la ragazza e il cane potevano rimanere sdraiati e
respirare. Il mostro si stava avvicinando a un’isola enorme di terra scura,
una vegetazione composta da felci altissime e alberi alti come palazzi e
sabbia dorata e grossa.
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Il dinosauro si avvicinava alla “grande isola” che si poteva anche chiamare
“città grande” grazie alla grandezza del suo perimetro.
Ad un certo punto, la ragazza sentì un fruscio simile ad una pallottola che
schizzava velocissima nell’acqua. Anche il Plesiosauro se ne accorse e
virò a tutta velocità verso il largo. Un altro dinosauro più grosso del
Plesiosauro stava inseguendo a tutta velocità il povero “collo lungo”.
Angelica capiva in che punto si trovava il mostro perché il suo colore
sott’acqua si vedeva bene: un verde – marrone. Quando la ragazza vide
che il Plesiosauro si stava per inabissarsi seguito a ruota dal mostro,
spaventata com’era decise di tuffarsi in acqua per andare lei stessa alla
spiaggia. Però era troppo spaventata a tuffarsi in quel momento, vedeva
l’acqua chiara e scura piena di dinosauri e coccodrilli e soprattutto, sperava
che il dinosauro marino con il muso lungo e le fauci ben sporgenti che
seguiva a ruota il Plesiosauro non si accorgesse di lei che si separava dalla
grande bestia.
Valutò le possibilità nei pochi minuti che le rimanevano e decise che si
sarebbe tuffata: tanto, se il dinosauro l’avrebbe vista, l’avrebbe uccisa ma
era uguale se seguiva il Plesiosauro che non aveva possibilità di seminare
il predatore.
Prese il chihuahua e se lo nascose nella giacca, poi scivolò silenziosamente
via dalla testa del povero Plesiosauro e, decise che era più opportuno
allontanarsi cautamente e fare finta di essere un’alga. Il predatore ci cascò
e filò dritto a freccia. La ragazza ringraziò Dio con una preghiera al cielo e
continuò a nuotare cercando di tenere in alto il cane per fargli prendere
ossigeno. Ogni volta che girava gli occhi in giù, vedeva un abisso
profondo popolato da molti animali e, meno male disinteressati alla
piccola umana con il cane. Però era troppo difficile nuotare con un solo
braccio e i piedi. Angelica si raddrizzò e aguzzò lo sguardo verso
l’orizzonte, scorse dopo tre minuti buoni uno scoglio che svettava più
vicino dell’isola di roccia marrone chiara, quasi come la sabbia del
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deserto. Decise di arrivare almeno fino a quello scoglio basso. Nuotò
lentamente e passò un’ora, con l’occhio umano lo scoglio era vicino ma,
quel vicino s’intendeva di almeno un chilometro. Finalmente, dopo una
lunga e straziante nuotata, si ritrovò lontana dallo scoglio di pochi metri e
infine di decimetri. Meno male il mare era piatto, se fosse stato arrabbiato,
a quest’ora le onde avrebbero avvicinato la ragazza allo scoglio tanto da
mandarla sott’acqua e contro gli scogli. Angelica guardò per la centesima
volta sotto di lei e vide che un grosso e strano pesce l’aveva adocchiata
come spuntino. Angelica continuò a nuotare sempre più veloce e, quando
allungando una mano toccò lo scoglio ruvido, iniziò ad arrampicarsi verso
la cima poco prima che il pesce saltasse fuori dall’acqua sbattendo la coda
un centimetro distante dove prima c’era la testa della ragazza. Angelica
sospirò e guardò il suo Jerry che, impaurito e bagnato tremava sotto la
giacca. La ragazza continuava ad arrampicarsi su un lato della pietra che
all’inizio era ruvida ma poi, a mano a mano che si saliva la superficie
diventava liscia e quindi era più facile salire senza graffiare
eccessivamente quando saltava di roccia in roccia. Continuò la salita
finché non vide una cunetta spaziosa e ruvida con un po’ di salsedine
seccata poco prima di arrivare alla punta dello scoglio. Angelica si guardò
le mani graffiate e i vestiti fradici. Si slacciò la giacca lasciandola scaldare
al sole e tremante, tenne stretto il chihuahua mentre, aprendo l’astuccio
osservava le sue condizioni. Era tutto fradicio, ma meno male la torcia non
aveva pile quindi non era rotta e le pile erano sigillate e ben protette, le
merendine erano intatte, la corda bagnata, la lente d’ingrandimento a
posto, il capello fradicio, i guanti bagnati, gli snak intatti, il coltellino, la
bottiglia d’acqua sigillata, lo specchiò bagnato e infine il cellulare, stava
per esalare il suo ultimo respiro, Angelica ebbe solo il tempo di mandare
un messaggio alla madre che diceva: “stiamo bene io e Mozart, stai calma
e aspettami” e vedere l’ora: le dieci del mattino, almeno l’orario era in
sintonia con quel mondo, infine il telefono morì annegato. L’unica
disperazione più importante fu il telefono che non andava più, il resto lo
mise ad asciugare al sole. Si spogliò levandosi la maglia e i pantaloni
stendendoli al sole, poi prese il giacchino di Jerry e lo stese anch’esso.
Tutto era steso al sole cocente e in meno di un’ora tutto fu asciutto.
Angelica si guardò allo specchio e vide che la salsedine aveva donato ai
suoi capelli riccioli più brillanti e belli che, spettinati al vento davano l’aria
di una sirena. Bevve un sorso d’acqua e si sciacquò le mani graffiate, poi si
versò dell’acqua nelle mani a coppa per far bere il cane. Prese un lungo
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bastoncino di snak che divise in quadratini che poi dette al suo chihuahua,
poi, anch’essa, prese un pacchetto di merenda e la mangiò. Era esausta,
anche se era piena mattina aveva dovuto affrontare metà viaggio in mare e
una lunga arrampicata non molto ripida. Ma la ragazza voleva evitare che
Jerry scivolasse in acqua, quindi cercava di tenere duro e non
addormentarsi. Si rannicchiò per terra pallida in viso e con le occhiaie,
strinse a sé il chihuahua e si rilassò mormorandogli parole dolci
all’orecchio. Riuscì a sopportare il sonno per mezzora ringraziando il
Signore con il pensiero ma poi, calò nell’ incoscienza senza nemmeno
accorgersene.
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Si svegliò che era notte, aveva dormito tutta la mattina e il pomeriggio. I
suoi vestiti erano asciutti e anch’essa era bella asciutta. Dapprima si
sedette rilassata, poi le venne in mente una domanda sbucata dalla parte
più piccola del suo inconscio e che a mano a mano si ingrandiva
diventando l’unica domanda che occupava tutti i suoi pensieri, una
domanda a cui non avrebbe mai voluto pensarci: Dov’è Jerry?.
Preoccupatissima scattò in piedi e quasi scivolò giù dalla conca, me no
male si resse a uno spuntone a fianco alla conca e si raddrizzò. Girò lo
sguardo verso la conca per un microsecondo e non scorgendo niente in
meno di due secondi girò la testa in direzione dei piedi dello scoglio, verso
il mare. L’acqua era limpida e fredda, Jerry sapeva nuotare e poteva
benissimo provare a salire, ma essendo piccolo poteva anche essere
diventato spuntino per pesci preistorici. Angelica vagò con lo sguardo
verso tutto il mare, poi il cielo e infine percorse con lo sguardo tutto lo
scoglio fino ad arrivare alla punta. Non vedeva niente, a parte un punto
nero che si stagliava verso il cielo blu chiaro pieno di stelle, sulla punta
dello scoglio. Decise di salire per andare a vedere cos’era, salì a tutta fratta
pur di sprecare poco tempo per averne di più quando avrebbe cercato il suo
cane. Salì roccia per roccia, a volte aggrappandosi con le mani per non
scivolare nell’acqua scura e gelida. Mancava mezzo metro per arrivare alla
punta, da lì poteva già osservare. Il punto nero si era mosso, Angelica
guardò verso di lì e vide, aguzzando lo sguardo, il suo Jerry, sdraiato su
una conca arrotondata sulla punta. Subito la ragazza sospirò e il cane girò
la testa verso il rumore, camminò verso il bordo della cima e si affacciò,
vedendo la sua padrona che saliva, si mise a scodinzolare felice. La
ragazza finì il mezzo metro e giunse alla cima. Prese il cane
mormorandogli: << Ma come sei salito quassù birichino? Adesso come
faccio a portarti giù? >>. Il cane capì tutto e pensò: “Io non sono mica
inutile sai, non c’è bisogno che tu mi prenda. E poi io mi arrampico meglio
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di te, cadremo insieme se mi prendi. Guarda, seguimi”. Il cagnolino si
liberò dalle braccia calde e riposanti della padroncina e saltò sulla prima
roccia. Angelica provò a fermare Jerry ma esso girò la testa e la guardò
con un’intensità tale che la ragazza si fidò e rimase ferma. Il cane scendeva
e lei dietro, attentamente reggendosi ogni tanto e facendo passetti lenti con
precisione per non scivolare. Il cane arrivò per primo alla conca e di
seguito la padroncina. Si sedettero nella conca e Angelica guardò severa il
cane accucciato col muso sulla gamba della ragazza.
<< Guardami - sussurrò Angelica al cane - dovrei essere arrabbiata con te
ma sono troppo felice di averti trovato. Come hai potuto salire lassù
quando sapevi che io mi sono sforzata di rimanere sveglia per paura che tu
scivolassi in acqua! >>. Jerry fissò con aria colpevole e birichina la padrona
pensando: “tranquilla, non sono un cagnolino di due mesi, so benissimo
cosa so fare o cosa non, io so arrampicarmi e, visto che tu non eri in
pericolo e dormivi io ho voluto scoprire com’era la punta di questo
scoglio. Molto bello prendere il vento lassù guardando la luna, sai? ”.
angelica conosceva il comportamento del suo cane e capendo cosa stava
pensando il suo cane rispose: << Lo so, hai imparato ad arrampicare
quando eri piccino ma era da parecchio che non lo facevi >>. Angelica dava
qualche carezza distratta al cane mentre guardava fisso verso l’isola
pensando ad alta voce: “come farò a portare tutte queste cose là
sull’isola?”. Neanche Jerry aveva idee. Ad un certo punto, sobbalzò
quando la sua padroncina esclamò un – ha! – parecchio forte. Jerry osservò
il viso della padrona per vedere che espressione aveva ma lei sorrideva.
Angelica fissò raggiante Jerry e spiegò: << Visto che l’isola è vicina e
l’acqua è limpida, posso portare sull’isola prima lo zaino e poi torno e
porto te. Purtroppo non posso buttare lo zaino in mare, anche se galleggia,
questi dinosauri me lo mangerebbero. È meglio portarvi uno alla volta. Tu
però devi aspettare qua >>.
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Dopo la grande idea per raggiungere l’isola, Angelica mise tutto ciò che
aveva dentro la cartella, diede un bacino in testa a Jerry e, con lo zaino in
spalla scese verso i piedi dello scoglio.
Dopo venti minuti si ritrovò in mare e nuotò veloce verso la parte più
rocciosa dell’isola. Nuotò senza guardare sotto di sé per paura dei grossi
mostri e coccodrilli che vi abitavano gli abissi. Dopo un’ora buona arrivò
sulla spiaggia. Da lì lo scoglio era molto piccolo. Angelica nascose la
cartella fra delle rocce nascoste da un grosso cespuglio. Si sdraiò sulla
spiaggia e ascoltò: si sentiva l’infrangersi delle onde sulla spiaggia simile
al canto lieve delle sirene, un Tirannosauro che ruggiva prima di saltare
addosso alla sua preda, un movimento a Ovest dell’isola poco lontano,
delle uova schiudersi in un cespuglio vicino a quello dove avevo nascosto
la cartella e il verso di uno Pterodattilo che litigava con l’altro perché
gl’aveva rubato il pesce di bocca. Angelica si levò la giacca, tornò al
nascondiglio e buttò la giacca vicino alla cartella che prese e aprendola ne
afferrò la corda e se la mise in tasca dei jeans.
Tornò dopo aver nascosto bene il tutto verso la spiaggia e si mise a nuotare
puntando dritto verso lo scoglio con il suo cagnolino.
Il ritorno verso lo scoglio fu più faticoso. Ad un certo punto Angelica sentì
un fruscio che proveniva dai fondali marini. La ragazza guardò sotto di lei
e vide che un grosso Plesiosauro dal collo ancora più lungo, era intento a
mangiarla. Ella nuotò ancora più veloce verso lo scoglio ma il collo era più
lungo. Aprì la grossa bocca. Angelica prese la corda dalla tasca e, prima
che la bocca del dinosauro la toccasse, ella si aggrappò alla testa del
mostro. Gli venne il flash back di quando l’altro Plesiosauro voleva
mangiarla ma lei era salita sulla sua piccola testa con Jerry. Si aggrappò
con la corda che riuscì ad attorcigliare una volta alla testa. Me no male il
dinosauro, dopo essersi guardato intorno con un’aria da: “dov’è la mia
preda?” stupida dipinta in faccia, andava verso lo scoglio anch’esso, così
risparmiò dei metri di nuoto alla ragazza che poté riposarsi. Quando il
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dinosauro ebbe raggiunto i piedi della roccia dove stava Jerry, Angelica si
attaccò alla parete dello scoglio, poiché il collo del dinosauro era così
lungo che non permetteva ad Angelica di buttarsi in acqua perché era
troppo alto. Così la ragazza non dovette nemmeno arrampicarsi e andò
verso la conca dove aspettava il cagnolino impaziente. Esso la leccò tutta e
si preparò a prendere più aria possibile e conservarla nei suoi polmoncini.
La ragazza decise che, essendo in posizione orizzontale quando nuotava,
doveva legarsi Jerry con la corda sulla schiena. Scese verso i piedi dello
scoglio seguita da Jerry scodinzolante e si fermò su una conca qualche
centimetro prima di andare a finire nell’acqua. Prese la corda dalla tasca e
Jerry con l’altra mano, si sdraiò a faccia in giù e, mettendosi Jerry sulla
schiena, riuscì facendo girare parecchie volte la corda attorno a lui e poi al
ventre di Angelica a legarselo alla schiena, si sedette con le mani che
reggevano il cane e piano piano scivolò in acqua. Iniziò a nuotare a rana
sentendo le zampine del cane che agitate non riuscivano a muoversi e
rimanevano sdraiate sulla maglietta blu scura e aderente che portava la
ragazza. Nuotò facendo poche pause fino a che non raggiunse la costa. Si
sedette sulla sabbia sciogliendosi il doppio nodo che le cingeva la vita e
poi gli innumerevoli che bloccavano Jerry.
Andò verso il nascondiglio dove c’era la cartella seguita da Jerry che si
scuoteva il pelo chiazzato alla luce del sole per togliere le più piccole
gocce d’acqua. La ragazza spostò le rocce e prese dalla cartella delle
merendine e gli snak per il cane. Dopo che i due ebbero mangiato,
Angelica si asciugò pochi minuti al sole e si scosse levando la sabbia dai
vestiti. Tolse le scarpe e i calzini. Sotto i suoi piedi la sabbia era morbida e
dorata. Jerry giocherellava con una foglia di una grossa felce quando nella
radura si sentirono dei passi pesanti che si avvicinavano alla baia. Angelica
sapeva di non poter scappare lontano essendo più lenta. Scattò verso il
cane, lo prese e con movimenti silenziosi come un gatto, recuperò i vestiti,
li mise con tutta fretta nella cartella che si buttò in spalla e corse dalla
parte opposta al rumore. Non voleva far rumore muovendosi nella
vegetazione costante quindi decise di nascondercisi solo quando il
predatore avrebbe raggiunto la baia. Jerry si sentiva sballottolato e si mise
ad abbaiare al rumore pesante del dinosauro che si dirigeva alla baia.
La ragazza chiuse la bocca al cane e aguzzò le orecchie: dalla sua accurata
analisi doveva essere un Allosauro (dinosauro carnivoro lungo come un
camion); si trovava nel periodo Giurassico - Cretacico dove i dinosauri
avevano preso dimensioni enormi. Aveva fatto poca strada ma decise di
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correre nella vegetazione perché lasciava le tracce dei suoi piedi sulla
sabbia. Angelica sperò che l’animale non fosse a caccia. Si fermò con il
cuore a mille e il cane stretto al petto. Si rannicchiò in un posto dov’era
ben nascosta dalla luce ma dove lei poteva sbirciare da una fessura che
mostrava la spiaggia.
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Dopo pochi minuti due enormi zampe beige si piantarono davanti alla
visuale di Angelica che sbirciava dalla fessura nella fitta vegetazione. Il
grosso dinosauro era più grande di lei e quindi un suo passo erano
cinquanta suoi, la ragazza poteva contare solo sull’intelligenza. Si guardò
intorno: a destra c’era una via piana che portava a una radura di certo
abitata, a sinistra fitta vegetazione e grossi insetti, dietro di sé una conca
ben nascosta. Si spostò verso destra cercando di non fare il minimo
rumore. Purtroppo schiacciò un grosso insetto nero che spruzzò pus giallo
sulla sabbia. La ragazza tornò a sbirciare dalla fessura e vide che il
Tirannosauro aveva piegato la testa e fissava la vegetazione. Angelica
rimase immobile pronta a correre verso la radura e a ripararsi in un posto
sicuro. Sbirciò dalla fessura e vide che il Tirannosauro se ne stava andando
verso quel rumore che anche lui aveva sentito. Angelica scappò verso la
radura per paura che la preda che stava inseguendo il Tirannosauro
scappasse e il dinosauro tornasse a cercare lei, solo quando non sentì più i
grossi passi e il ringhiare sommesso di Jerry bloccato dalla sua mano che
gli chiudeva il muso. Il suo passo era limitato dalle alte piante che
brulicavano di grossi insetti e dove vi erano nascosti piccoli dinosauri.
Angelica percorse la fitta vegetazione fino a che non arrivò al sentiero
schiacciato di recente da tanti animali che portava a una vasta radura
delimitata da alti alberi uno a fianco all’altro. Era così bella quella radura,
sembrava un parco enorme. In un angolo vicino ad un albero si trovava un
alto ma corto cespuglio di foglie verdi e l’erba era piena di tanti fiori
profumati di diversi colori. Angelica sentì un rumore di passi pesanti in
lontananza, tanti, che venivano verso la radura. La ragazza si nascose ma i
passi erano diversi da quelli del Tirannosauro e troppo pesanti per un
branco di dinosauri carnivori. Decise lo stesso di nascondersi, per
prudenza. Si nascose dietro un albero e aspettò. Un gruppo di grossi
brontosauri uscì dalla fitta vegetazione, uno dietro l’altro, ed entrò nella
vasta radura. Si sparsero nell’enorme parco e si misero, quattro per ogni
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albero, a mangiare le lunghe foglie degli alberi. La ragazza non sapeva
dove sarebbe andata, quindi pensò di seguire quel gruppo di animali anche
dopo la radura. Mise il cane per terra, esso abbaiava continuamente
quando i grossi piedoni dei dinosauri si spostavano per paura che qualcuno
schiacciasse la sua padroncina. Angelica fece cadere per terra il guinzaglio
di Jerry fermandolo con il piede, mentre con le mani libere prese la cartella
dalla schiena, l’aprì e prese la corda che le era stata in varie occasioni
molto utile. Dopo quest’operazione, chiuse la cartella che mise sulle spalle
e prese il guinzaglio di Jerry. Si avvicinò ad un gruppo di quattro
Diplodochi (dinosauri erbivori lunghi quanto 4 elefanti) che mangiavano e
decise di cavalcarli, ma come?. Gli venne un’idea: lasciò abbaiare Jerry al
gruppo e fece più rumore possibile. Un dinosauro incuriosito chinò la
testolina verso la ragazza che fissò negli occhi. Jerry abbaiava
furiosamente. Angelica lo prese in braccio, si avvicinò lentamente alla
testolina con due occhi piccoli e neri che la fissavano incuriositi, lanciò la
corda sulla testa dell’animale che si avvicinò ancora di più e lei,
prontamente saltò sulla testa dell’animale, legò la corda al collo del
dinosauro come un collare e si ritrovò su.
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Il branco se ne andò dalla radura dopo mezz’ora e sparì nella boscaglia con
Angelica e Jerry sulla testa di uno di loro.
Sembrava un giro panoramico, la portarono nei posti che lei non aveva
visto: a Est e poi a Sud. Angelica scoprì che erano le parti dell’isola dove
vivevano più erbivori. A Est lontano dalla spiaggia, c’era una pianura di
terreno arido, il suo perimetro era delineato da un bosco rado, al centro del
terreno arido invece, c’era un altissimo vulcano che non doveva eruttare da
anni ormai con ai piedi altri piccoli vulcani molto bassi; invece, al Sud,
c’era un’altra radura protetta con un terreno erboso che si trovava accanto
ad un fiume di acqua pulita, superato il fiume, dopo venti metri, s’ergeva
un’alta montagna rocciosa, fatta apposta per diventare un posto protetto
dove gli Pterodattili potevano fare il nido sulle cime più alte. Adesso
Angelica conosceva tutta la radura avendo visto già il Nord e l’Ovest. A
Nord c’era la spiaggia; a Ovest basse montagnette di rocce una vicina
all’altra, perfette per i piccoli dinosauri carnivori come il Compsognato
piccolo come un pollo che potevano farvi le uova e nascondervi il nido fra
le rocce; a Est il bosco arido con il vulcano al centro e a Sud l’habitat più
riparato e meno pericoloso dove vivevano indisturbati gli erbivori.
Il branco di diplodochi si fermò nella radura a Sud, passò in una stradina
che era stata creata grazie a tutte le volte che veniva schiacciata dalle
zampe, zampine e zampone dei dinosauri, in mezzo alla foresta. Dopo che
tutto il branco ebbe finito di camminare nella stradina, si ritrovò nella
radura popolata da tantissimi dinosauri. In un angolo della radura, uno
stegosauro grosso quanto un elefante, di colore verde scuro con enormi
placche marroni-verde sulla schiena con al fianco il suo cucciolino grande
come il cucciolo di un elefante verde chiaro, stavano brucando l’erba;
dopo il fiume un enorme triceratopo marrone chiaro con le corna
lunghissime, appuntite, giallo-bianco, si stava abbeverando; grossi insetti
popolavano gli alberi e uno pterodattilo marrone chiaro con un’apertura
alare spettacolare, volava alto nel cielo. La ragazza con il cane in braccio,
scivolò giù dalla testa del dinosauro, si aggrappò al suo collo e, carponi si
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avvicinò verso la coda del diplodoco che aveva cavalcato, giunta lì si
sedette e scivolò giù, verso la punta della coda, li si fermò, fece un saltino
e si ritrovò sull’erba di un verde chiaro, bagnata dalla rugiada mattutina.
Jerry si mise ad abbaiare a tutti quei bestioni spaventato all’idea di essere
mille volte più piccolo di loro e con la consapevolezza di non riuscire da
solo a proteggere Angelica, ma si fece coraggio e pensò di essere un
cagnone che doveva proteggere la sua padrona anche lei più piccola di
quei bestioni. Angelica dovette sgridare il cane e tirarlo alla lontana dai
dinosauri che, curiosi, alzavano lo sguardo e fissavano quella piccola pulce
pelosa con una voce tonante quanto quella di un leone. Jerry non era felice
di essere zittito, si lamentò con lo sguardo pensando “Io ti sto proteggendo
e tu nemmeno mi ringrazi. Ma guarda te… perché non mi capisci?”. Era
facile leggere l’espressione di Jerry sul suo viso, << Si lo so che mi vuoi
proteggere. Ma quelli se li disturbi ti faranno diventare un cane arrosto! >>.
“Beh, si capisco. Me ne starò zitto” pensò di rimando il cane e, già che
c’era, fece i bisognini in un angolino dove l’erba era così alta che lo
copriva tutto a parte le punte delle orecchie che, ritte a punta mostravano
dove si trovava. Quando ebbe finito decise di esplorare la zona,
ovviamente tenendo d’occhio ogni passo che faceva la sua padroncina.
Sentì un sacco di nuovi odori: gli alberi avevano un odore selvatico e
mielato, lo Stegosauro odorava di muschio e terra, il branco di Diplodochi
avevano odori diversi ma qualcosa di uguale all’altro c’era in ognuno,
sentì anche diversi odori: uno di uova e uccellini piccoli, uno di lavanda e
mirto e infine uno piccante come il pepe. Beh era proprio bello scoprire
degli odori che, anche se simili a quelli della vegetazione come: la lavanda
e mirto, appartenevano ad animali…
Odori vecchi e odori nuovi,
odori piccanti e altri profumati,
odori amari e altri dolci,
odori succulenti e altri non,
un miscuglio così nuovo e attraente che non si poteva smettere di
annusare. << Ei Je, sbrigati >>, venne interrotto dalla padroncina, alzò il
naso che prima toccava terra e seguì la ragazza come la sua ombra.
Angelica arrivata a due piedi dal fiume, lo controllò attentamente: era
abbastanza profondo, doveva arrivargli alla vita, le correnti non erano così
forti da portarla via, quindi decise di superarlo. Si tolse le scarpe, mise
cautamente prima un piede e poi l’altro e si avviò verso l’altra sponda. La
sabbia di quel fiume le dava una sensazione strana, morbida, viscida e
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fastidiosa. Arrivata al centro del fiumiciattolo, dovette tirare più su il cane
perché la sua coda già toccava l’acqua. Finito di attraversare il fiume, si
sedette sull’altra sponda e sciacquati i piedi e asciugati al sole si rimise la
scarpe. Ad un certo punto sentì un rumore di tanti veloci passi che
arrivavano verso di lei. Si alzò di scatto e decise di arrampicarsi su un
basso albero. Non sapeva come portare su anche il cane, quindi, preso il
guinzaglio di Jerry, se lo legò alla schiena a mo’ borsa e salì. Arrivata al
ramo più basso, si fermò lì, rimase in piedi con una mano attaccata al ramo
sopra di lei, con l’altra si slegò il guinzaglio e prese il cane in braccio che
era terrorizzato. Si sedette sul ramo con il cane fra le braccia, lo accarezzò
stringendoselo al petto, come un bambino. Aveva appena finito di
tranquillizzarlo quando un gruppo di quindici velociraptor affamati si
sparse nella radura ormai deserta. Due velociraptor s’accorsero di Angelica
e corsero verso l’albero. Tutto il branco seguì i due. Quattro alla volta si
buttavano verso l’alto o provavano ad arrampicarsi graffiando la corteccia
con le lunghe unghie. Angelica dovette ritirare i piedi per non farseli
amputare, tappò il muso a Jerry per non farlo abbaiare troppo e farlo
cadere verso il branco e alla fine si mise a sperare…
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Dopo parecchi minuti nei quali il branco aveva graffiato la corteccia, un
po’ alla volta se ne andarono. Angelica poté lasciare il muso di Jerry e
scendere dall’albero. In pochi minuti la radura si ripopolò di erbivori. Un
Archaeopteryx si posò su un ramo coi suoi volicchi. La ragazza voleva
tornarsene a casa, non ce la faceva più, era una ragazza normale con
l’aiuto di Dio, niente di più. Decise di dirigersi verso la ripida montagna
dove, attorno, era pieno di alberi con grossi frutti. Lei prese solo quelli che
conosceva sulla Terra per paura di avvelenarsi. Questi erano più buoni e
succosi però. Diede delle caramelle per cani a Jerry e si sdraiò all’ombra di
un albero. Dopo aver dormicchiato, decise di spostarsi verso il mare. Era
troppo grande l’isola quindi dovette chiedere un passaggio…
Stava camminando verso il fiume quando un grosso Pterodattilo scese in
picchiata verso di lei. Angelica aveva visto parecchie volte nei film di
Fantasy che, se uno Pterodattilo prendeva un uomo era per portarlo come
preda per i piccoli o perché l’ha scambiato come un cucciolo. Lei voleva
evitare entrambe le cose. Prima che lo Pterodattilo toccasse terra con il suo
lungo becco, Angelica prese il cane che aveva preso di nuovo tanto terrore,
saltò sul dorso del dinosauro. Saltatevi su, sentì la schiena del dinosauro:
era ruvida e squamosa. Il dinosauro non si accorse nemmeno del nuovo
ospite, stupito di non vedere più la sua preda, era tornato a volare in alto.
Andava giusto verso la spiaggia. Angelica con una mano si aggrappava
all’ala, con l’altra teneva Jerry consolandolo con parole dolci. Era una
sensazione veramente fica quella che si provava. Il dinosauro andava
veloce e la sensazione del vento in faccia era più bella di quella che si
prova in moto. Angelica, sporgendo la testa in fuori, osservava il bel
paesaggio che s’estendeva sotto il dinosauro alato: boschi, distese aride,
fiumi, montagne, prati e infine, sorpassato un bosco, il dinosauro si calò in
picchiata verso la spiaggia a velocità massima. Lo Pterodattilo s’era posato
sulla spiaggia. La ragazza prese Jerry, scivolò giù dalla schiena scivolosa e
ritrovatasi sulla spiaggia, corse silenziosa come un gatto verso la verdura.
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Aspettò che lo Pterodattilo spiccasse il volo e poi, uscì dalla boscaglia
tenebrosa per godersi un po’ di relax. Si sedette su una roccia che sbucava
dalla sabbia e chiuse gli occhi rilassandosi con il cane sulle ginocchia
pronto a svegliarsi per proteggerla.
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Era in quel posto da quattro giorni e, dopo aver passato pomeriggio e notte
tranquilla, Angelica si iniziò a preoccupare delle cose più importanti dopo:
non farsi uccidere dai dinosauri, cioè come tornare a casa sua.
La mattina del quinto giorno, dopo aver mangiato dei frutti lì sulla
spiaggia grossi e succulenti, la ragazza sentì un rumore nel fitto della
boscaglia dietro di lei. Jerry s’era alzato di scatto tendendo le orecchie a
quel rumore nella boscaglia. Angelica prese il cane e si riparò dietro la
roccia grigia sbirciando spaventata, quando, tutt’a un tratto dal verde delle
foglie comparve un uomo… doveva essere un tempo uno di mezza età,
poiché non aveva né rughe né capelli bianchi, ma adesso, non curato e
vestito in quel modo sembrava vecchio, con una grossa gobba sulla
schiena, capelli marroni scoloriti lunghi, occhi impazziti iniettati di
sangue, vestiti stracciati e sgualciti, sorriso a dieci denti gialli con varie
carie e corpo osseo. Era così impressionante, tanto che la ragazzina si
spaventò nel vederlo. Il “vecchio” gobbo la vide, e con una risatina stridula
e da matto qual era, si avvicinò alla roccia dove si trovavano ancora la
nostra ragazza con il suo mitico cagnolino. Jerry si mie subito ad abbaiare
ferocemente e spingersi in avanti anche se bloccato dalle braccia della
ragazza, sentiva la pazzia nell’uomo e in cuor suo aveva paura, non aveva
mai visto un umano come quello, era a dir poco sconcertato. Il vecchio si
sedette sulla sabbia con un’altra risatina isterica e poi con una voce non
usata da parecchio tempo, si vedeva perché era cavernosa e roca, disse: <<
è da un mese che non vedo un uma…no >>, Angelica non aveva il coraggio
di parlare, in quel momento non sapeva chi era quello davanti a lei, era un
pazzo da ricoverare, un maniaco, uno zombie nato in quella strana isola
per puro caso o che altra cosa? Alla fine si fece coraggio e disse:
<< Lei s’è trovato qua come… me? Chi è? >>
<< ssss >>, rispose il vecchio che non si ricordava più come dire - sì << Lei sa come posso tornare a casa? >>, domandò speranzosa Angelica
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Ovamente – Angelica notò l’errore di calligrafia, doveva essere per
colpa del tempo che quell’uomo aveva passato lì sull’isola dopo essersi
arreso alla pazzia –. Predendo il fiore oro glande quanto una tua mano che
si trova sulle uova del Tirannosauro più grande dell’isola. Basta mangiarne
un petalo e potrai espimere tre desideri. Ma non ci sono mai riuscito,in
conpenso ho rischiato di peldere una mano.Il nido si trova… >>, Angelica
non ebbe il tempo di sentire dal vecchio dove si trovava questo
Tirannosauro che l’uomo con un singulto, cadde a terra tremante. Angelica
non capì, poi vide un piccolo ma veloce serpente verde con le macchie
marroni che in quel momento era uscito da sotto la manica del vestito
sgualcito. Angelica con Jerry, subito corse lontano dal serpente che, sceso
dal corpo dell’ormai vecchio, assetato di uccisione l’aveva seguita
strisciando con foga ma,dopo pochi metri s’era arreso evidentemente
scocciato. La ragazza era troppo stupita, sotto schok, lì si faceva presto a
impazzire. Quando vide che dietro di lei non c’era più il serpente, si
sedette a terra, guardando Jerry che le leccava la mano. Adesso che gl’era
passato lo schok e pensava a ciò che le aveva detto l’uomo matto prima di
morire avvelenato dal serpente, quella cosa riguardo al fiore che di sicuro
era il più piccolo di quell’isola per i suoi standard, se era solo grande
quanto la sua mano, ma doveva essere un’impresa difficile se quello non
ce l’aveva fatta in un mese… peccato che non le aveva detto dove si
trovava. Provò a pensare con il cervello di un dinosauro. Li aveva studiati
in terza, certo era stata un po’ incredula della loro esistenza e, a scuola non
li avevano nemmeno studiati tanto, ma bastava ragionare, un Tirannosauro
non aveva paura di niente essendo il carnivoro più grosso, a parte quelli
della sua specie, e se poi era il più grosso della sua specie – come aveva
detto il vecchio – e aveva una nidiata di uova da covare, sarà stata così
aggressiva che nessuno l’avrebbe importunata. Pensò ad un posto ricco di
cibo, un lago vicino, un luogo sicuro e protetto per delle uova, magari al
centro dell’isola. Lei non conosceva quel luogo, se conteneva degli animali
così grossi doveva essere enorme.
Decise di avventurarsi a casaccio. Dov’era lei era tramontato il sole, ovest.
Con la sua utilissima bussola sarebbe riuscita a non perdersi o girare in
tondo. Tirò fuori dalla cartella il coltello pronta ad usarlo in casi necessari.
Jerry fece pipì lì vicino a mo’ marcamento. Angelica proseguì dritta sotto i
maestosi alberi dove diverse anatre primitive molto grosse e Archaeopterix
stavano riposando, ad un certo punto sentì un rumore assordante, dei botti
potentissimi. Decise di andare a guardare, si sarebbe fatta un rifugio in
<<
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caso di super rischio. Si affacciò da dietro un tronco d’albero e vide che il
terreno da lì in poi diventava paludoso. Sopra di esso due Pachicefalosauri
si contendevano una femmina a capocciate dell’enorme testa. Li aveva
studiati, per contendersi le femmine, si scontravano con la testa perché,
essa, era ricoperta da una placca durissima e resistente per proteggere il
cervello come un casco, la guerra finiva quando quello che aveva la placca
troppo debole, moriva, oppure quando l’avversario se ne andava. Facevano
un gran fracasso che risuonava nella palude. Sull’erba trasudante melma e
acqua vi vide una delle prime specie di tartarughe di terra carnivore: era
enorme ricoperta da placche dure con un guscio spigoloso e marroncino, il
becco era appuntito e tagliente come una lama, si stava mangiando una
salamandra gialla e rossa. Più indietro in un acquitrino vi vide uno dei
primi aironi nati sulla terra, dopo cinque secondi che fissava lo strano
airone, lo vide sparire sott’acqua e subito affiorare la testa di un
coccodrillo, già il muso era lungo nove metri. Jerry guardava in vece la
lotta per la femmina, stranamente senza abbaiare, piuttosto affascinato.
Angelica tornò sui suoi passi spingendo Jerry. Spostò alcune foglie di felci
per passare e arrivò in una parte della radura degli erbivori. Da un lato una
cascata scivolava veloce e mortale sempre più giù. Altissimi alberi
ricoprivano la sponda dell’inizio del lago che si tramutava in una cascata,
numerosi cespugli fiori strani davano colore alla radura verde e azzurra. In
un lato un Driosauro stava strappando le foglie da un cespuglio verde
melma; sette Brachiosauri brucavano dagli alberi più alti dal colore verde
chiaro; un Megazostrodo (primo mammifero simile ad un topo) si
nascondeva dietro ad un cespuglio; cinque iguanodonti, una coppia, un
cucciolo e due anziani stavano brucando, il maschio della coppia prendeva
dei fiori da una pianta rosea e la femmina glieli rubacchiava dalla bocca
con la lingua, il cucciolo trotterellava intorno alla coppietta, un anziano
stava scavando il terreno per rosicchiare radici e l’altro afferrata con la
zampa una pianta ne mangiava i fiori rossi. La quiete di quel pasto
alleggiava nell’aria, Angelica s’era seduta su di un tronco caduto beandosi
di quell’attimo di pace.
Dopo un po’ proseguì il cammino seguendo il bordo di una montagna
scoscesa. Entrò in un’altra radura di erbivori. Restò a bocca aperta: la
radura era punteggiata da nidi scavati nel terriccio femmine erbivore di
tutti i tipi portavano cibo ai nuovi arrivati o covavano numerose uova
ovali. Una femmina di Maiasauro derivata dalla famiglia degli Adrosauri
stava portando bacche nere a tre piccolini nati in quell’istante; una
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triceratopo faceva la guardia alle uova; un oviraptor cercava di rubacchiare
dai nidi le uova per cibarsene. Che strana radura, sembrava l’ospedale
degli erbivori. Uscì da quell’ospedale e giunse ad una boscaglia
impenetrabile, proseguì a destra unica via d’uscita. Si girò e salutò il tratto
in cui era arrivata. Sempre dritto a destra, due alberi uno vicino all’altro,
enormi, fra i due una lunga strada, sembrava fosse stata creata da un uomo
perché era terriccio piano, senza intralci o erba, spazioso cinque metri e il
bordo era subito delineato dall’erba. I rami degl’enormi alberi si
intrecciavano fra loro non facendo infiltrare nemmeno un raggio di luce
mattutino. Iniziò il cammino. Era schifata dagli insetti grossi quanto un
pugno che si facevano i fatti loro sugli alberi. Non aveva bisogno di tenere
il cagnolino in braccio per non fargli prendere le pulci, poiché di erba non
ce n’era. Proseguì il cammino silenziosamente sentendo sempre attività
dietro gli altissimi cespugli che terminavano il prato ai lati della strada. Era
preoccupata, non voleva mica incontrare un branco di velociraptor
affamati, anche se dall’altra parte ne sentiva i passi veloci. Sobbalzava
quando sentiva il rumore delle zampe troppo vicino alla siepe. Il sentiero
era interminabile, non sapeva dove finisse, aveva percorso un chilometro e
non vedeva ancora la fine. Ma sarebbe finito mai?. Anche Jei era
diffidente, troppo nervoso per il suo solito carattere troppo allegro,
Angelica teneva il coltello in mano pronta, era preoccupata, Jerry che era
sempre stato coraggioso in grado di far scappare un rotwailer, senza timore
di niente, adesso era diffidente. Chissà che dinosauri feroci e temibili si
nascondevano dietro quelle siepi. Ad un certo punto, la strada fu bloccata
da un’enorme ragnatela che era attaccata con un filo alla punta delle
altissime siepi. La ragnatela era grande quanto un cucciolo di elefante, per
gli standard dell’isola era piccola, i fili intrecciati fatti dalla saliva del
ragno erano ben visibili e spessi come un dito. Nella ragnatela c’era un
moscerino grande quanto un braccio. Se il moscerino era così grande,
quanto lo era il proprietario della ragnatela? Non ci voleva pensare.
Guardò la lama affilata del coltello che teneva sigillata in mano pronta ad
usarla.
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Angelica non sapeva che fare. Rompere la ragnatela e proseguire? Attirare
il ragno, ucciderlo per non avere problemi e proseguire tagliando la
ragnatela? Scavalcare le siepi e camminare nell’altra strada per poi,
superata la ragnatela, tornare nella sua strada?. Ragionò a lungo. La
domanda tre la scartò subito, 1 non sapeva cosa avrebbe trovato nell’altra
strada, 2 le siepi erano ricche di altri insetti, un altro paio di maniche, 3 le
siepi erano troppo alte, insormontabili. Seconda domanda, possibile, ma
non aveva né il coraggio né la voglia di affrontare un enorme insetto 1 non
aveva molte possibilità, 2 odiava tutti gli insetti. Ispezionò le siepi e gli
alberi. Dov’era il ragno? non lo vedeva. Decise di iniziare per finire presto.
I fili che componevano la ragnatela erano duri, dovette tagliarli uno alla
volta. Quando si formò un varco, lo sorpassò. Aveva superato di un metro
la ragnatela quando sentì un gran frastuono dietro di sé, non voleva girarsi,
Jerry abbaiava come un forsennato. Si girò velocemente, aprì lo zaino, ne
prese l’altro coltello, ancora più affilato, di quelli che usano i macellai,
buttò lo zaino lontano e ordinò al cane di allontanarsi. Come se Jerry
l’avrebbe fatto. Ma vedendo che la padroncina glielo diceva sul serio, si
allontanò ringhiando all’avversario, pronto ad intervenire se la sua protetta
si fosse fatta male. Di fronte alla ragazza, c’era un ragno alto cinque metri
e largo altrettanto, non era di quelli velenosi ma un semplice ragno di
campagna. Le due tenaglie sporgevano come lame affilate, gli otto
occhietti ripugnanti fissavano Angelica, evidentemente era la prima volta
che vedeva un umano. Angelica iniziò a correre ma, quando vide che con
un passo il ragno le stava dietro, si girò. Il ragno fiondò le tenaglie per
terra dove c’era la ragazza, ma ella fu più veloce e il ragno sollevò solo
una nuvola di polvere. Quando il ragno provò ad afferrarla di nuovo, lei gli
saltò su in testa. La testa era viscida, pelosa, gli si attaccò con i coltelli.
Che schifo aveva toccato un occhio, era viscido, liquido. Le venne un
conato di vomito, molto forte, si impegnò per non rigettare. Staccò il
coltello normale, non quello da macellaio che stava ancora attaccato al
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cranio. Il ragno muoveva la testa velocissimo, per staccarla, ma lei tenne
duro. Col coltello gli accecò più occhietti possibili. Fiumi di sangue ne
uscivano, ma la bestia si stava affidando all’udito. Doveva ucciderla, al più
presto. Con ripugnanza conficcò il coltello al centro del cranio e, staccato
l’altro, ve lo conficcò a fianco. Con un conato bloccato in gola, scavò
finchè il ragno non cadde a terra, morto. Angelica saltò giù. Si sedette
vicino al suo cane pallida e con la faccia verde di nausea. Poi si alzò, pulì i
coltelli sul terriccio e li rimise nello zainetto. Decise di rimettersi in
cammino al più presto, se uno Pterodattilo o un altro ragno volevano
mangiarsi il morto, lei non voleva essere vicina, mai e poi mai. Così
continuò l’arduo cammino verso la fine del sentiero.
Arrivò la notte, Angelica ormai lontana due chilometri e mezzo
dall’incidente con il ragno, con i piedi distrutti dalla stanchezza si gettò a
terra stanca morta, aprì lo zaino, prese del cibo e bevve tant’acqua. Diede
una buona dose di croccantini a Jerry e gli versò un po’ d’acqua su una
grossa e resistente foglia staccata dalla siepe non con poca fatica. Lì in
quella stradina la notte, era da vero film horror. La torcia non la volle
accendere, non voleva rischiare di attrarre qualche animale. Si fece una
conca e si sdraiò con la testa poggiata sullo zaino. Dormì poco e male e si
svegliò alle prime luci. Si guardò come se nella notte avesse subito degli
attacchi, poi si guardò il petto, dove sentiva uno strano calore, in fatti lì
c’era accoccolato Jerry. Aprì lo zaino e mangiò. Prese il telefono come se
si potesse accendere lì, in un altro mondo e parlare con la madre,
rassicurarla e chiamare rinforzi per farsi riportare nella sua casa, nella sua
cameretta. Ricordava benissimo le pareti bianche luminose, i quadri belli e
vivaci, la scrivania, la sua cartella con i compiti (un po’ meno amati), la
sua biblioteca, la sua tv a sessanta pollici e il suo letto, comodo e
accogliente. Ricordò le belle notti con il cane sulle coperte, le giornate
faticose di scuola i compagni, la sua mamma e soprattutto la sua vecchia e
normale vita. Dopo essersi pettinata con le mani, si alzò e, svegliando
Jerry delicatamente, riprese l’interminabile cammino.
Era ancora stanca mentre passeggiava nell’interminabile sentiero quando
finì su una radura spoglia, senza erba con un terriccio che si seccava
sempre di più sotto i potenti e riscaldanti raggi del sole. Lei voleva
raggiungere il centro dell’isola per vedere se ci fossero delle porte
“magiche” che la riportassero indietro. Ma, era quello il centro, una radura
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simile al deserto? Magari il centro dell’isola era il più disabitato apposta
per scacciare i dinosauri dal mondo che loro non conoscevano: quello
umano. Camminò nella radura. In lontananza, molto lontano vedeva che
un punto del terreno non era piano come il resto ma sembrava una piccola
collinetta.
Ad un certo punto sentì un botto terribile, vide a sinistra della collinetta,
molto lontano, un Tirannosauro che cercava di uccidere un Anchilosauro,
esso però, prontissimo scaricava sul collo del Tirannosauro ripetute
menate della coda pesante, forte simile a una mazza ossea. Il branco del
Tirannosauro s’era allontanato, solo uno di essi cercava di aiutare l’altro
menando fendenti alle zampe del Tirannosauro. Esso ad un certo punto
riuscì a far cadere il Tirannosauro e rompergli una zampa. Subito
iniziarono a rompergli l’altra a distanza dalle mascelle enormi e furibonde
del bestione. Il branco dopo, se ne andò aspettando gli altri. Il corpo del
Tirannosauro era rimasto lì sulla sabbia, furente.
Vide da una parte che c’era una montagnetta fatta di grossi massi. Non
voleva avvicinarsi per paura dei serpenti che vi si nascondevano silenziosi.
Proseguì sempre dritta verso quella collinetta in lontananza quando sentì,
un rumore di tanti passi veloci che correvano. Pensò a ripararsi da
qualunque pericolo stesse arrivando. Corse subito verso la montagnetta di
massi. Incrociò le dita sperando di non ritrovarci stupidi serpenti a mettersi
d’impiccio. Ne vide due nascosti sotto delle rocce erano lunghi cinque
metri. Andò dalla parte opposta e si nascose in una conca naturale scavata
in un enorme masso. L’apertura era bloccata da un grosso macigno. Lei era
magra, le bastava quella sottiletta di spazio che c’era per riuscire a entrare
senza smuovere il masso. Accese la torcia per vedere se dentro quel
perfetto nascondiglio ci fossero dei serpenti. Vide solo delle ossa di piccoli
animali, prede mangiate, e delle foglie sparse sul terreno. Brutto segno. Il
rumore di tanti passi veloci era più vicino. Chissene frega se era un
nascondiglio di qualche animale, piccolo visto che le prede degli animali
che aveva mangiato erano piccole. I passi erano sempre più veloci. Spinse
Jerry dentro quella fessura, lui ci passava e poi entrò lei. Aveva la faccia
rivolta verso l’esterno. Ebbe il tempo di vedere un enorme branco di
Ceratosauri grandi quanto un elefante in corsa. Scappavano saltando sulle
rocce. Perché? Dietro vide un Tirannosauro più grande di un palazzo di
dieci piani. Aveva letto dei libri quando era in terza elementare e sapeva
bene che un Tirannosauro Rex era ancora più alto e cicciotto. Quello, certo
era enorme ma, me no male un Tirannosauro e basta. I Ceratosauri erano
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veloci ma due, i più vecchi rimasero indietro e anche un cucciolo che era
inciampato. Il Tirannosauro ne braccò uno e graffiandolo con gli artigli, lo
uccise. Iniziò a mangiarselo velocemente ma gli altri due erano già
scappati. Vide l’altro Tirannosauro caduto per terra e si diresse verso
quello pensando “Uh, oggi preda facile”, il Tirannosauro però, cercò di
alzarsi e riuscì a mordere la gamba dell’altro Tirannosauro che stava
diventando suo predatore anzi che suo simile. Il dinosauro decise che non
valeva la pena di ferirsi per mangiare il suo simile e cercò di ucciderlo,
finalmente ci riuscì con un morso alla gola letale. Iniziò a strappare
brandelli di carne della carcassa per mangiarsela. Non ebbe il tempo di
finirla che vide un altro Tirannosauro che veniva a mangiare quello morto.
Non voleva sprecare energie per un duello, lasciò perdere e decise di
cercare cibo fra le rocce.
Angelica sbirciò e, appena vide che il Tirannosauro stava salendo sulle
rocce, gli venne un botto al cuore, c’era il rischio che la trovasse e,
spostando il macigno la mangiasse o 2 salisse sul suo macigno ed, essendo
pesante, spaccasse il macigno schiacciandola con la zampa. Sentiva
sempre più vicino il rumore dei pesanti passi, il suo cuore andava a mille,
non riusciva a respirare e a tranquillizzarsi, stava andando in trance. La
scena di quel mostro che mangiava un suo simile in quel modo le aveva
dato un tale disgusto che aveva paura di impazzire. Si restrinse al lato più
buio di quella conca tenendo stretto Jerry in braccio e tappandogli il muso
sussurrandogli “shh, stai in silenzio”. Nascose Jerry a fianco a sé, quello
rivolto verso la fine della conca, così che, se gli veniva di alzare il muso e
vedere ciò che succedeva, era coperto dal lato della gamba di lei.
Arrivò il momento…
Il Tirannosauro, vedendo la fessura che portava dentro quel rifugio, vi
avvicinò l’occhio. Sentiva un rumorino di cuore caldo e vivo che batteva
veloce veloce e cercava di tacere ogni momento. Vedeva tutto blu, non
scorgeva parti rosse nel nascondiglio (Per capire questa frase, bisogna
sapere che tutti i rettili vedono in blu gli oggetti non animati, senza vita e
in rosso quelli in vita, che gli scorre sangue puro all’interno). Rimase lì
finché non sentì più quel rumorino, era affamato, voleva mangiare
qualcos’altro di grosso non di piccolo, com’era il rumore di quel cuoricino.
Così se ne andò.
Angelica aveva visto di sottecchi quell’enorme occhio giallo con
un’enorme pupilla nera al centro e sospirò di sollievo quando non lo vide
più e non sentì più i passi. Aspettò ancora lì riprendendosi dalla debolezza
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e asciugandosi le goccioline di sudore che le imperlavano la fronte. Fuori
l’altro Tirannosauro aveva finito la preda e se n’era andato più che
soddisfatto. Accarezzò il cane e sorrise aprendo lo zainetto per tirare fuori
la bottiglietta d’acqua per bere, ma non ebbe un minuto di più per
tranquillizzarsi.
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11
Sentì un rumore che proveniva dalla fessura. Jerry s’era messo a ringhiare
verso quella parte. Voltò gli occhi alla fessura e vide… la testa di un
enorme serpente marroncino. Lei odiava i serpenti e ne aveva anche paura.
Il serpente era enorme. Fissò prima il cane poi lei e aprendo la bocca,
mostrò i denti soffiando. Aveva i due denti enormi. Angelica prese dallo
zainetto un accendino che vi aveva lasciato da un bel po’ di tempo
all’interno. Lo accese mostrandolo al serpente. Lui fregandosene,
strisciava lento, dopo si vide il perché, quando entrò tutto per la fessura
aveva una grossa protuberanza sulla schiena. Aveva appena mangiato.
Sospirò di sollievo. Non voleva ucciderlo. Cercò un rametto per appiccarci
il fuoco e spaventare almeno un po’ il serpente. Trovò un rametto per terra,
piccolo e flessibile, a quello vi appiccò il fuoco. Una fiamma divampò
come un’anima imbizzarrita prima piccola poi sempre più grande e
maestosa. Il serpente iniziò a guardarla più attentamente sibilando.
Angelica prese in braccio Jerry che, con bassi uggiolii si lamentava della
fiamma vicina ma nello stesso tempo lontana dal suo naso. Angelica
sapeva che, se si sarebbe tirata in dietro, il serpente non avrebbe avuto
paura di lei. Avanzò con il fuoco arrabbiato appiccato al suo ramo. Il
serpente si fermò. Angelica sapeva che i serpenti erano molto veloci ad
azzannare anche se avevano già mangiato. Voleva farlo indietreggiare per
poi bruciarlo. Doveva cercare di ferirlo gravemente per essere sicura di
riuscire a uscire dal nascondiglio di morte e scappare per tornare al suo
piano di cammino. Si avvicinò al serpente pronta a bruciargli la testa ma il
serpente fu velocissimo. Si alzò e l’azzannò al braccio. Stranamente non si
ritirò, ma rimase attaccato come un bulldog. Jerry provò a morderlo ma in
un secondo il serpente staccò la presa, sfiorò il cane con i denti e tornò
all’attacco. Angelica fece cadere il cane per il dolore e avvicinò il braccio
con il bastone infuocato. Lo avvicinò alla testa del serpente e lo sfiorò una
la fiamma. Il serpente si staccò. Il taglio sul braccio di Angelica era
profondo ma non c’era veleno, il serpentone non era velenoso… unica
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cosa positiva della situazione. Angelica strinse i denti per trattenere un
urlo. Il sangue le colava, il serpente aveva una bocca enorme, le aveva
infilzato i denti vicino alla bocca profondamente. Il serpente si era già
ripulito i denti insanguinati. Pronto ad afferrare questa volta l’altra mano
per farle cadere la fiamma. Jerry cercava di distoglierlo mordendogli il
fianco ma, la pelle era dura. Angelica stava attraendo il serpente dentro la
cava sul fondo, così, se gli avesse dato fuoco, aveva spazio per spostare la
pietra e scappare. Il sudore le colava in continuazione dalla fronte, strinse i
denti sfigurando il viso in un’espressione di dolore. La mano ferita, la
stringeva fortemente tanto che le nocche le divennero bianche. Sapeva che
non sarebbe durata tanto in piedi, doveva agire. Cercò di affondare il
bastone sul serpente ma quello si spostava troppo velocemente. Angelica
con la fiamma, costrinse il serpente nell’angolo e provò ancora a dargli
fuoco. La fiamma stava mangiando il bastone. Il serpente si era arrotolato
su se stesso raggiungendo un metro di altezza, Jerry non poteva più
aiutarla. Angelica era pronta con la fiamma sul bastone e l’accendino
nell’altra mano. Mise da una parte l’accendino, davanti a sé per non farsi
mordere il viso e a destra il bastone con la fiamma, il serpente scappò a
sinistra, secondo il piano di Angelica. Così lei, essendo il serpente ancora
un po’ lento, gli lanciò addosso l’accendino, così il serpente si fermò a
guardarla volendo provare a morderla ma lei, con il bastone e la fiamma,
lo lanciò sulla testa del serpente. Esso si allontanò nell’angolo in preda al
dolore prima della morte. Angelica prese l’accendino rimasto per terra e,
assicuratasi che il serpente stava accogliendo la morte. Uscì dalla fessura
richiamando Jerry che le corse in contro.
Jerry sentiva il dolore e l’orrore dentro la sua padroncina, le uggiolò
preoccupato “sorella, cos’hai, stai bene?”. Jerry sapeva che la sua
sorellina conosceva il suo linguaggio quanto bastava e se non gli
rispondeva significava che stava davvero male. In risposta, cadde a terra.
Jerry le si avvicinò e scoprendo la ferita, gli si avvicinò e gliela leccò. Lei
lo scacciò via in malo modo, di sicuro non voleva scacciarlo così, si vede
che stava davvero male. Le si sedette vicino uggiolando piano e iniziò a
leccargli la ferita per stoppargli l’influsso di sangue. Lei si strinse con
l’altra mano quella ferita. Jerry le sentiva oltre allo schok e al dolore tanta
ansia. Doveva avere paura dei predatori attratti dal sangue vivo. Lei si
strappò un pezzo di manica di maglia e se la strinse alla ferita legandola
con la stessa benda stringendola tanto. Dentro l’anima di Angelica le
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turbinavano mille emozioni. Non sapeva che fare, come continuare in quel
mondo terribile, sanguinante, debole, piccola, indifesa. Che fare? Non
voleva mica morire lì in un’isola mostruosa, senza i genitori il vero mondo
in quell’isola terribile dove si sentiva sperduta… sarebbe impazzita se non
si fosse detta “Sangue freddo Angelica, respira. Se Dio ti ha aiutato a
rimanere in vita fino ad adesso, cercherò di continuare a farlo”. Strinse i
denti e si asciugò con il braccio intatto le perline di sudore che le
gocciolavano dalla fronte. Angelica iniziò a preoccuparsi anche di Jerry
quando il suo dolore diminuì di una tacca. Prese con la mano intatta il
corpicino del cane. Quando gli sfiorò il fianco destro, il cane le si girò
ringhiando involontariamente ma poi si lasciò toccare con uggiolii di
dolore. Quando gli iniziò a scostare i peli per vedere la ferita, si girò e le
diede un morsetto per avvertirla che gli faceva male. Angelica riuscì a
vedere impressa la forma della punta della coda del serpente che l’aveva
frustato su di un lato. Angelica non sapeva cosa fare, non aveva pomate,
niente. Come guarirlo… un dolore lancinante alla mano fasciata interruppe
per un attimo i suoi pensieri, la guardò fulminante e strinse il nodo. Porca,
il sangue stava trapassando il pezzo di maglia… sfiga, sfiga, sfiga. Di
sicuro Jerry non poteva riprendere il cammino conciato così. Non sapeva
cosa fare, prenderlo in braccio era troppo lungo. Doveva riprendere il
cammino prima che arrivassero dei dinosauri attratti dal sangue. Si alzò
faticosamente con la cartella in spalla, oh non si era lavata la ferita, però
ormai non importava, Angelica voleva andarsene al più presto. Prese il
cane in braccio (dalla parte sana) e riprese il cammino verso il centro
dell’isola. Camminò nei posti meno abitati nascondendosi, se doveva
dietro altri alberi o larghi massi grigi. Però, Angelica aveva bisogno di
riempire scorte d’acqua e mangiare qualche frutto oltre alle poche rimaste
merendine. Doveva tornare nella foresta. Cambiò direzione, proseguendo
verso la parte più abitata, a mano a mano che seguiva i molti dinosauri
arrivavano gli alberi, sempre di più, finché non entrò in un’enorme radura
lussureggiante. C’erano un branco di Stegosauri, un Triceratopo e i
progenitori degli uccelli, rettili con le ali e poche penne sparse per il corpo
che a mala pena sapevano volare. Più avanti andava e più dinosauri si
presentavano, in un angolo sentì il muggito di un branco di brontosauri,
alzò la testa, i loro colli si vedevano stagliati nel cielo. Sentì un canto
nasale, l’aveva già sentito, doveva essere quel dinosauro erbivoro che sta
ritto su due zampe e che i maschi, per chiamare le femmine cantano, non le
veniva il nome. Ad un certo punto sentì il rumore sperato: acqua. Sempre
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proseguendo dietro massi e punti coperti per non destare sospetto, si
avvicinò verso il rumore sperato e, finalmente lo vide: un fiume largo due
metri, di acque pulite che scorreva veloce dividendo la radura verso
un’altra parte, sempre pianura ma paludosa. Zeppa di coccodrilli enormi,
abbastanza distante però. Angelica, stremata mise Jerry per terra che,
avvicinandosi alla sponda, attento a non cadere, allungò la linguetta rosea
per bere. Angelica si sedette sull’erba togliendosi la cartella. Si lavò la
mano intatta fino al gomito e con essa si pulì la faccia. Si slegò la benda
sporca e, sciacquandola nel fiume, strinse i denti e si pulì con essa la ferita
perché, il fiume scorreva troppo veloce e se lei vi avesse messo la mano, la
forza l’avrebbe o tirata dentro o graffiata. La ferita adesso non poteva
infettarsi. Me no male il fiume era veloce, se no il sangue lasciato avrebbe
attratto carnivori. Lasciò la fascia ad asciugare e, intanto riempì le
bottigliette svuotate: 4 e le mise in cartella. Poi si spostò in un angolo
meno esposto e si mise ad accarezzare il cagnolino che le stava
accoccolato al fianco guardando il fiume. Si rimise la benda quasi asciutta
e lavò il fianco ferito di Jerry. Adesso doveva fare la scorta di cibo prima
di tornare al terreno secco. Decise di seguire il fiume verso l’alto non verso
il basso e prese a camminarvi a fianco con Jerry che le zampettava meno
dolorante intorno.
Ad un certo punto Angelica sentì un rumore, tanti passi veloci che
correvano verso di lei in lontananza. Qualunque cosa sia, Angelica decise
di farsi un covo su di un albero, ma senza una mano disponibile e un cane
non ce l’avrebbe fatta, come fare? Una scala?… troppo lunga da
costruire… scappare?... erano troppo vicini… una buca?... sì, per terra,
coperta da un masso lasciando passare solo una fessura. Ma dove trovare il
masso?
Senza ragionare scelse il correre via e poi cercare un masso per
nascondersi. Corse lontano dalla riva e trovò un cespuglio non molto fitto
e senza insetti perché era un cespuglio che aveva frutti velenosi di un
verdino chiaro. Angelica in tutta fretta sfilò i due coltelli e in mezzo al
cespuglio cercò di fare una buca che poi girava sotto il terreno come quelle
dei conigli perché, se avesse fatto una buca dritta e i dinosauri avrebbero
schiacciato il cespuglio, avrebbero rischiato di metterci una zampa dentro
e toccarla per poi fermarsi e grattare la superficie. Era per quello che aveva
girato a destra sotto il terreno, così che i dinosauri non l’avrebbero toccata.
Il terreno era duro, Angelica sudava e Jerry capendo ciò che doveva fare la
padroncina s’era messo a scavare poderosamente sollevando zolle di terra
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piene di lunghi vermi rosa che scocciati se ne strisciavano via. Alla fine
riuscirono a fare il buchetto e proseguirlo per poi girare a destra sotto il
terreno. Lì la terra era più morbida da smuovere. Il terreno, me no male
reggeva. Il rumore si avvicinava velocemente. Non c’era tempo per
migliorare il rifugio. Prese dei frutti e li spalmò vicino al buco per
mascherare l’odore. Spinse il cane dentro e dietro lei con lo zaino. Si girò
ed ebbe il tempo di vedere un branco di velociraptor che camminavano
allargando le narici per sentire odore di preda. Camminavano guardandosi
in giro e tendendo le orecchie per captare buoni odori di cibo. Uno di
questi corridori, si avvicinò al cespuglio dai frutti velenosi allargando le
narici. Aveva sentito un odore di cibo mai sentito, uno dolce e pieno di
sangue, un altro caldo e saporito mischiati all’odore amaro e pungente dei
frutti.
Angelica teneva stretto stretto Jerry che si dimenava come un forsennato
ringhiando sommessamente. Angelica aveva messo davanti a Jerry lo
zainetto mentre lei era appoggiata alla fine del muro di terra.
Il velociraptor si fiondò sul cespuglio e trovato il buco si affacciò.
Vedendo due prede che lo guardavano spaventati, si mise a scavare come
un forsennato non entrandoci. Altri due velociraptor lo affiancarono ma lui
non si spostava, allora gli altri iniziarono a dargli di dosso coi fianchi e con
la bocca per spostarlo avendo paura di non riuscire a condividere la preda.
La testa enorme del corridore egoista uscì dalla tana e fissò gli altri due
severamente. Il branco in poco tempo aveva accerchiato la tana e ognuno
voleva raggiungere le prede nascoste, allora iniziarono tutti a farsi guerra
attaccandosi con potenti morsi e laceranti unghiate. In poco tempo
iniziarono a uccidersi, in dieci minuti ci furono tre velociraptor morti per
terra, tra questi anche il nostro egoista che aveva causato il tutto.
Intanto Angelica aveva iniziato di nuovo a scavare con Jerry che, staccato
gli occhi dalla buca, aveva iniziato ad aiutarla. Continuarono a proseguire
scavando e distanziandosi notevolmente dalla buca. Quando sentirono un
rumore dietro di sé. Un cucciolo di velociraptor era riuscito a entrare. Era
ferito da unghiate al dorso. Lo spazio era ancora molto piccolo. Il cucciolo
lo riempiva tutto. Angelica tenette Jerry e prese il coltello pronta a
proteggersi ma, gli venne in mente un piano più semplice, aspettare il
dinosauro e scagliare il coltello come una freccia. Il velociraptor si
avvicinava. La sua pelle verde presentava qua e là lunghi tagli che
facevano fuoriuscire un liquido denso, di un rosso quasi viola. I grossi
artigli grigi e pieni di terriccio secco, graffiavano dolorosamente il povero
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terreno. La bocca viola era spalancata mostrando una lingua nera da vipera
e tanti affilati denti. Gli occhi erano gialli come quelli dei gufi, ma piccoli
e con una pupilla minuscola, numerose vene rosse lo attraversavano.
Adesso la distanza fra lui e Angelica era di un metro. Lei, non sopportando
quello sguardo, scagliò il coltello. Il cucciolo non ebbe il tempo di
muoversi che la lama gli entrò nella pancia sbudellandolo. Il corridorino
cadde a terra, morto. Angelica estrasse il coltello e pulendolo nel terriccio,
trattenendosi il vomito che le penetrava all’interno, continuò il percorso.
Quando fu distante dalla buca un kilometro, scavò sopra di lei per uscire.
Jerry però ringhiava, Angelica non capiva il perché, sembrava la stesse
avvertendo “Non qui, non qui”, decise di scavare più avanti ma Jerry
continuava a ringhiare. Superò dieci metri, sempre sotto terra e, finalmente
decise che lì poteva scavare. Jerry borbottava. Quando bucò il terreno in
superficie, entrò dell’acqua. Lei prese Jerry e con lo zaino in spalla, nuotò
fuori. Si ritrovò sulla sponda di un lago. L’acqua era bassa. Camminò fino
alla riva e sotto ad una felce immensa si sedette. Di fronte a lei, un
immenso lago si estendeva calmo cerchiato da altissimi alberi.
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SECONDA PARTE
Un mondo spettacolare: il Neolitico
42
1
Angelica aprì lo zaino. Di cibo rimaneva solo una merendina e un mucchio
di crocchette, bastanti solo per altri due giorni. Bevve lunghe sorsate
d’acqua e da una ci fece bere il cane. Ad un certo punto, al centro del lago,
si alzò un altissimo collo grigio perla e una faccia da serpente conosciuta si
stagliò nel cielo. Un Plesiosauro. Angelica aveva iniziato a odiarli dal più
profondo del cuore, ma quella faccia era uguale a quel Plesiosauro che
l’aveva portata lì in quell’isola. Si nascose dentro una conca di sabbia che
era piena di altissime rocce bianche e ovali. Le toccò erano lisce. Il sole si
alzò nel cielo e colpì le rocce. Angelica urlò dallo stupore quando un
raggio del sole colpì una roccia, intravide all’interno un corpicino con il
collo lungo, un cucciolino di Plesiosauro dentro… uova! Erano uova di
dinosauro. Il Plesiosauro aveva allungato il collo verso di lei e la guardava
con due grandi occhi argenti. Jerry stranamente non gli ringhiava contro. Il
Plesiosauro aprì la bocca e… disse con voce umana: “Angelica, il destino
ti ha portato qua. Adesso, se vuoi tornare nel tuo mondo, com’è giusto che
sia,devi salire su di me, io ti porterò in una nuova dimensione, quella dopo
i dinosauri, lì il tuo destino ti porterà all’acqua che ti porterà nella terza
dimensione, a mano a mano, via acqua, tornerai alla tua dimensione”.
Angelica non credeva alle sue orecchie, l’aveva immaginato quel discorso?
Ma poi il Plesiosauro riaprì la bocca e disse: “Vuoi venire?Rispondi ”.
Angelica annuì tremante dall’incredulità – Verrò.
Poi le venne un pensiero che chiese al dinosauro – Ma quel pazzo ha detto
che, per tornare alla mia dimensione dovevo prendere dei fiori gialli.
Il Plesiosauro le rispose – Non era necessario, poi quello è impazzito. E
sembrò sorridere della cattiva sorte dell’uomo. Poi abbassò la testa – Sali.
Angelica mise il ginocchio sul testone e con Jerry in braccio lo cavalcò ma
il dinosauro disse – Sali in bocca, sarai al sicuro… tranquilla non ti
mangio.
Angelica, insicura entrò dentro la bocca e si attaccò a un dente. Il
dinosauro abbassò il collo e, lentamente lo tuffò nell’acqua. Per rilasciare
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la superficie limpida e piatta dietro di se. Angelica sentiva fuori
dall’enorme bocca del dinosauro il gorgoglio lieve dell’acqua e il frusciare
delle alghe. Era spaventata. Jerry teneva le orecchie attaccate al cranio: era
nervoso e spaventato. I denti e la lingua da vipera erano rugosi e viscidi di
saliva. Il viaggio sembrava non finire mai, se l’era immaginato il discorso
di questo enorme stupido dinosauro che la teneva dentro le fauci e stava
per inghiottirla o era la verità. Non sapeva che scegliere. Inoltre era stanca,
sanguinante, ammaccata, affamata e voleva tornare nel suo mondo. Gli
mancavano enormemente parole umane, adesso che il dinosauro, forse,
aveva parlato, si sentiva meno sola, ma sempre sperduta in un mondo
senza fine eppure molto rischioso. Non era abituata ad affrontare viaggi
lunghissimi ogni giorno, non era mica un indiano nelle tribù.
Evidentemente, però, era dentro un libro dove il suo destino era già
segnato e finiva con una parola vita o morte. doveva affrontare numerose
vicende. Adesso che ci pensava, non era a caso che l’aveva morsa un
serpente, l’aveva fatto per farla avvicinare all’acqua informandola con un
metodo molto doloroso che “stava sbagliando strada”. Prese lo specchietto,
era da tanto che non lo prendeva e si guardò, aveva grosse occhiaie, i suoi
capelli però più brillanti e nutriti dalla salsedine del mare e rinvigoriti dalla
luce. Jerry stava un poco peggio, però era un Chihuahua molto robusto. Il
suo problema era solo quello del freddo e del riposo, anche lui era molto
stanco, sfiaccato dalle innumerevoli passeggiatine in un mondo diverso. A
lui gli mancava soprattutto il suo divano, le serate fra i cuscini a poltrire al
calduccio con fuori le intemperie che lo guardavano insoddisfatte del suo
“sfotterle” in continuazione. Adesso, invece, notava che il suo fiuto
diventava giorno per giorno più robusto e il suo udito più fine, era più
robusto anche di fisico, stava cambiando.
Ad un certo punto Angelica cadde a terra per via di un brusco scossone. La
bocca si aprì e li lasciò uscire dentro una cupola d’aria nel più profondo
del lago. Fattoli entrare dentro la cupola disse – Alla fine della cupola
troverete una porta. Entratevi, vi porterà alla prossima dimensione. Addio
Il dinosauro se ne andò. Angelica si fermò a vedere quella cupola che al
centro dell’abisso più profondo rimaneva senz’acqua, forte e flessibile
come il suo stato d’animo. Un enorme pescione degli abissi, nero con due
occhi bianchi senza vita, sentiva la presenza di un’altra vita dentro un
punto remoto: aria e provò ad entrarvi. Iniziò col muso.
Angelica vide questo enorme e orribile pesce che stava attraversando la
cupola d’aria, sapeva che si sarebbe ritratto subito dopo averla mangiata.
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Jerry ormai non ringhiava più agli esseri che vedeva più forti di lui. Corse
davanti alla padroncina-sorella per indicargli la via della porta. Lei si mise
a correre dietro più velocemente che poteva mentre lui, saettando come
una lepre smuoveva la sabbia che gli toccava le zampe, si fermò a guardare
la sorella alta che stava dietro di lui e proseguì la corsa. Giunse davanti ad
una porta invisibile che faceva vedere nell’altra dimensione. Angelica vide
un prato fiorito e i primi mammiferi. Numerose scimmie sugli alberi.
Spinse Jerry che era insicuro dentro la porticina e dietro lei e si ritrovò sul
prato. Si girò verso la porticina, vedeva il pescione che si stava ritirando
non sentendo più nessun odore. Si sdraiò nell’erba. Doveva farsi un
rifugio. Come? Aveva numerosi libri quali i sei libri iniziati con La Magia
del Lupo di Michelle Paver. Non aveva modo di legare i tronchi per
comporre una tenda e manco pelli per coprirla o la forza di arrivare a
tagliare i rami. Si avvicinò ad un albero e si fece un riparo ai suoi piedi.
Una conca nell’erba. Mise a portata di mano i coltelli e si addormentò con
Jerry accoccolato al petto pronto a svegliarsi a rumori sospetti.
Quando si svegliò, tutto era tranquillo. Jerry s’era addormentato molto
profondamente, non riuscì a svegliarlo. Aprì lo zaino e prese l’ultimissima
merendina che aveva nello zaino, la trangugiò e bevve tant’acqua. Si
accorse di un altro animale solo quando quello le toccò lo zaino. Era una
scimmietta molto curiosa con un viso da “un cucchiaino di cervello in
zucca”. Ad Angelica le venne la nausea quando si ricordò che quella
scimmia o sarebbe rimasta scimmia o sarebbe diventato uomo. Mentre
ragionava su ciò, la scimmietta prese dall’erba il coltello meno affilato per
studiarlo. Angelica se n’era accorta e gliel’aveva quasi sottratto ma quella
si arrampicò velocemente sull’albero. Ad Angelica saltarono i nervi, Jerry
si svegliò e si fiondò addosso all’albero. Angelica si arrampicò ma quando
saliva, la scimmia andava nei bordi dei rami e lei era troppo pesante. Gli
venne un flashback. Quella scimmia aveva qualcosa di familiare, uh sì, gli
ricordavano gli stupidoni del primo liceo che si facevano grandi, erano
uguali. Le venne da ridire e riscese dall’albero. La scimmia si mise a
guardare il coltello ma, quando lo strinse troppo si ferì la mano e lasciò
cadere l’arma che cadde sul prato. La scimmia offesa se ne andò saltando
su un altro albero a fianco. “Ben ti sta”, pensò e si sedette. Le crocchette
Jerry non le voleva, bene non avrebbe mangiato. Doveva trovare del cibo
però, quindi doveva cacciare. Ma per farlo ci voleva un arco. Sapeva farlo,
era andata in una gita scolastica alle medie e gliel’avevano insegnato.
Prese il coltello e salì sull’albero. Staccò i rami sottili ma robusti che
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caddero a terra spaventando Jerry che, come una lepre corse a nascondersi
dietro un cespuglio, poi cauto, tornò. Angelica si mise a modellare il ramo
per farlo assomigliare ad un arco, ma non aveva fili robusti per fare
l’elastico per mirare e manco le frecce. Beh, le frecce le poté fare ma non
poté attaccarci piume per non far sentire la freccia che volava verso
l’animale. Andava bene lo stesso però. Si sentiva un indiano di una tribù
delle foreste. Jerry le camminava rumoroso al fianco, lei gli fece capire che
doveva stare in silenzio e seguirla da vicino. Jerry ad un certo punto drizzò
le orecchie ad un suono imminente. Non capiva quegli odori, erano tutti
diversi, di sicuro era una preda buona da mangiare. Un istinto lupesco
s’impossessò di lui e sentì il sapore del sangue in bocca, sorrise in un
modo particolare né canino né umano e portò Angelica in un posto dove
poteva scoccare quel grosso artiglio che teneva perché, in cuor suo sperava
che lei l’avesse creato per cacciare, aveva ragione. Angelica si vide
davanti uno strano animale, simile ad un cavallo ma piccolino e senza
artigli, aveva le zampe, era marrone con grandi occhi posti ai lati da
erbivoro. Angelica scoccò la freccia che andò a conficcarsi fra le costole
dell’animale. Esso non se l’aspettava, cadde a terra sanguinante. Ad
Angelica faceva impressione vedere tutto quel sangue per terra ma non
voleva infliggere altre pene allo strano animale. Mise un’altra freccia
dentro il ventre e diede l’addio al povero animale. Non era abituata a far
così, il corpo le faceva impressione, non era un macellaio. Jerry abituato a
fiondarsi sul cibo, iniziò a mangiare, poi però si fermò e guardò con aria di
scusa la padrona-sorella, era lei il capobranco, doveva mangiare per prima.
Angelica con tanta nausea. Scuoiò l’animale, ripulì la pelliccia dalla carne
e quei bocconi li diede al cane. Come tenere recipienti per mangiare la
carne? Non lo sapeva. Tagliò un pezzo di pelliccia e preparò fili di tendini,
erano molto robusti, il povero corpo le diceva “Mi hai ucciso, colpevole!”.
Continuò però il suo lavoro provando a non sporcarsi. Affettò un pezzo di
fegato che diede al cane che, se lo masticò nella bocca. Angelica credeva
che il cane non l’avesse mangiato, invece, adesso lo vedeva più robusto,
più cane e anche lei si sentiva più cacciatrice anzi che umana. Nella sua
mente si allenava sempre nello studio per non regredire mentalmente.
Tagliò il fegato a fettine e lo mise sulla pelliccia. Con un ramo di legno,
riuscì a farci una mini scodella e metterci cuore fegato e il resto della carne
lo mise sulla pelle. Non aveva ghiaccio per conservarla ma, per qualche
giorno avrebbe durato. Con la pelliccia ci ricavò un porta archi e una
corsettina per il cibo fresco. Angelica sostituì la parte elastica che serviva
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per scoccare frecce che aveva fatto in legno e lo sostituì con quello
spessissimo tendine. Aveva lavorato abbastanza e secondo lei benissimo.
Prese le ossa più grosse per costruirci delle ciotole. Mise le ossa in cartella,
in memoria dell’ormai estinto animale, lasciò testa, cervello e una fetta di
fegato nell’erba agli strani dinosauri alati che erano accorsi come avvoltoi
a mangiare carcasse. Angelica nella pelle vi mise la carne e se la portò in
un luogo più appartato. Lo trovò in riva al fiume e lì finì di preparare la
carne. Non aveva ancora mangiato. Me no male aveva l’accendino.
Appiccò un fuoco e mise la carne a cuocere infilzata ad un rametto.
Mangiò bene e dette un pezzo di cuore cotto a Jerry che lo mangiò
lentamente gustandolo. Angelica bevve e guardò in lontananza: c’erano
alberi più fini in lontananza: alberi da frutta.
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2
Angelica aveva perso tutta la mattina a usare la pelle marrone e ispida
dell’animale, adesso, anche se era stanca doveva raggiungere la pianura di
alberi da frutta e seguire il suo istinto per arrivare alla terza dimensione. La
seconda non gli stava dando notevoli problemi, c’erano solo tante prede
strane, moltissime scimmie di tutti i generi e strani predatori. I rettili erano
molto pochi ma ancora grandicelli. Nelle acque dei fiumi c’erano ormai i
pesci ma ancora ricoperti da dure scaglie e con musi troppo appuntiti a
cono e inoltre, oltre alla grandezza, alcuni non avevano la coda e altri una
cosa deformata ricoperta da dure scaglie di un colore molto scuro.
Angelica vedeva che in quelle dimensioni c’era sempre il sole e fino a quel
momento Jerry non aveva avuto mai bisogno di cappotto, era solo un po’
stanco ma l’erba che schiacciava con le zampine era morbida, non liscia
come il pavimento di cemento delle strade. Odiava però l’erba alta, lì non
riusciva a superarla, cadeva nel terriccio e doveva andare d’udito per
seguire la padroncina nell’erba, perché non la vedeva. Sentiva un sacco di
odori strani e nuovi, ma quello che gli faceva più impressione, erano
quegli animali con lunghe braccia che sapevano arrampicarsi, erano pelosi
e avevano il muso, perché oltre al loro odore: foglie di ginepro e sudore,
odoravano di uomo. Era sempre più stanco di quel viaggio, le zampine gli
facevano male, la sorella alta era stanca e lui non voleva esserle un peso.
L’unica cosa in cui non si rammaricava era: il poter avere sempre a
disposizione la padroncina per le coccole e il poter mangiare cibo appena
fatto, con gli odori della foresta. Adesso, camminava pian piano a fianco
alla sua sorella alta che stava andando verso un odore ancora nuovo: meno
alberi, più insetti e animali e strano cibo non molto allettante attaccato agli
alberi. Aveva già sentito l’odore di quel cibo, doveva essere frutta ma,
nuove tipologie di frutta, strane. Proseguì dietro Angelica quando sentì un
rumore: grosse zampe munite di artigli che correvano verso di loro da Est.
Provò ad avvertire la padrona che erano in pericolo, avvisarla. Lei non
capiva, però, sia ringraziato il cielo lo seguiva sperando in qualcosa. Lui la
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portò di corsa davanti ad un albero dove una minuscola scimmia dagli
occhi grossi: notturna, dormiva indisturbata. Angelica finalmente capì. Si
arrampicò sull’albero svegliando la scimmia che andò a ripararsi in una
buca dentro il tronco. Angelica lasciò sul ramo più spesso la cartella e
scese a prendere Jerry. Aveva ancora problemi a salire con la mano ferita
ma, sudando non poco, alla fine ce la fece e in poco tempo si ritrovò sul
ramo con Jerry. Lei doveva mirare con la freccia qualunque predatore ci
sia stato, ma Jerry dove metterlo? Spaventò con la freccia la scimmietta
che era già sveglia avendo già captato il rumore e la fece uscire dalla tana
nel tronco dove ci fece andare il cagnolino che sembrava sempre più
nervoso. La mini-scimmia, salì più rami e si fermò su di uno, nascosta
dalle foglie dell’albero. La buca era molto grossa nel tronco. Vi mise
stretta stretta anche la cartella con la borsa che teneva le frecce e gli archi
che aveva costruito lei con la pelle dello stranissimo animale e vi prese un
arco e quattro frecce. Adesso le sentiva anche lei, tante zampe che
correvano veloci facendo schizzare la terra. Dopo un interminabile
momento lo vide. Sembrava un progenitore della “tigre dai denti a
sciabola”, ma era a strisce e con una quinta gamba, meno robusta delle
altre ma con una zampa più grossa fornita di sette artigli sotto la pancia. Di
sicuro uno scherzo della natura. La strana tigre, si fiondò sull’albero e per
raggiungere la ragazza spiccò dei salti sulle cinque zampe. Le mascelle
quasi riuscivano a sfiorare il ramo dove c’era Angelica. Di sicuro era un
animale senza predatori, che non aveva paura di niente, ma destinato a
estinguersi. Era una specie mai vista. Angelica incoccò la freccia e la
puntò con braccio tremante alla schiena della bestia che continuava a
saltare e scorticare il tronco dell’albero facendo uscire il suo sangue dai
profondi graffi che gli infliggeva. La freccia come un uccello volò dritta
tra le scapole. L’animale non fece una smorfia, niente. Solo si girò, si
guardò la schiena e, imbufalita più che mai cercò di arrivare ad Angelica.
Lei incoccò un’altra freccia e la fece volare dritta verso il dorso
dell’animale. Questa volta il sangue fuoriuscì nero e denso. L’animale
tentò lo stesso di azzannare la caviglia di Angelica ma lei vi scoccò
l’ultima freccia che aveva. Mirò il petto e l’animale, questa volta cadde a
terra sbavando e, dopo un ultimo sguardo rabbioso in direzione di
Angelica, esalò il suo ultimo respiro. Angelica solo dopo essere certa che
l’animale fosse morto veramente, buttò per terra zaino, sacca con dentro il
cibo e sacca dove prima c’erano anche le frecce belle pulite, adesso solo
l’arco. Poi prese Jerry e iniziò la lunga discesa verso il basso. Giunse a
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terra e riprese la sua roba. Poi levò le frecce dal corpo stranissimo
dell’animale. La quinta gamba, si era come rimpicciolita fino a sparire. Ad
Angelica faceva molto senso quegli strani corpi, anche troppo. Voleva
tenere anche quella pelle e dare un boccone a Jerry ma esso le ringhiò
contro e ringhiò anche contro la carcassa. Aveva capito, quell’animale era
velenoso per gli uomini e per gli animali in generale, ecco perché non
aveva predatori. Voleva tenere un ricordino di quell’animale ma le faceva
troppo senso, era uno scherzo della natura quello. Ripulì le frecce sull’erba
e le sistemò nella sacca con l’arco. Doveva essere ora di pranzo (l’unica
cosa che Angelica non aveva perso era l’abitudine dei suoi orari, quelli le
dicevano quando nel mondo umano era notte e quando doveva andare a
scuola la mattina). Angelica cercò dei rametti e con l’accendino vi appiccò
il fuoco, poi prese a cuocerci il cuore rimasto della vecchia preda erbivora
cercando di non pensare che l’aveva ucciso lei e di non pensare che era
l’organo che non aveva mai mangiato: il cuore. Assaggiò, non era male,
masticò e mandò giù. Non voleva attirare altri strani scherzi della natura
oltre a quegli uccelli strani che andavano a mangiare le carcasse, mangiò
velocemente. Jerry non doveva ancora mangiare. Lo prese in braccio e
tornò sui suoi passi.
Doveva raggiungere quella collinetta con alberi da frutta. Era molto
distante, più di quel che credeva all’inizio. Jerry era stato sempre in
braccio a riposare mentre lei camminava vigile nella foresta. Le scimmie la
guardavano dagli alberi. Vide un animale simile all’orso che però stava
mangiando l’erba e un grosso uccello che però aveva la faccia di un
serpente. Angelica giunse davanti ad un basso alberello. Era pieno di
piume. Ecco, ciò che gli serviva da mettere nella punta dell’arco per farlo
volare silenzioso. Ne prese quattro. Erano di un blu intenso, dure e
taglienti, in grado di sferzare l’aria velocemente e silenziosamente. Le
appiccicò alla freccia con della terra e la linfa di quell’albero strano, in
fatti aveva la linfa appiccicosa come colla. La carne di riserva stava
finendo, pensò di cacciare l’indomani. Ormai, cammin cammin il tempo
scendeva, era ormai sera. Appiccò il fuoco e riscaldò la carne che in
seguito mangiò e un po’ la diede a Jerry che, stanco morto, si era sdraiato
su una sacca, ovviamente il suo vizio di dormire su tutto tranne che per
terra s’era mantenuto… e benone.
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3
Angelica si svegliò il giorno dopo di buon’ora e iniziò il cammino. Si
fermò solo quando vide che Jerry si era fermato e non la seguiva più
zampettando. Aveva drizzato le orecchie per captare un qualche suono.
Angelica gli si avvicinò e s’inginocchiò accanto a lui che aveva una faccia
un po’ preoccupata e stava allargando le narici per sentire un qualche
odore. Finalmente lo sentì anche lei, un corno piuttosto affilato che
scorticava la corteccia di un ramo. Quell’essere nascosto dalla vegetazione
aveva un odore forte, di bacche di ginepro e fango mischiato a sudore.
L’essere si avvicinava. Angelica non sapeva che fare, Jerry s’era
accucciato su di un sacco peloso facendosi più piccolo che poteva
diventando minuscolo, Angelica lo copiò. Adesso lo vide, un testone da
rinoceronte, sì era un rinoceronte a parte una cosa, quell’animale era
ricoperto da una fitta peluria marroncina-grigia. Non sapeva che fare,
decise di non guardarlo e stare immobile dov’era, senza muovere un
muscolo. Il rinoceronte uscì dai cespugli, era grosso e massiccio. Si
avvicinò a lunghi e lenti passi fino a essere distante dalla faccia di
Angelica di una mano. Allungò il muso e allargò le narici per captare
quell’odore che non aveva mai sentito: odore di uomo. Decise che quei due
esseri non erano pericolosi e aggirandoli se ne andò sempre osservando
quella strana creatura che non aveva mai visto, quell’umano. Angelica
riprese la passeggiata solo quando Jerry iniziò ad alzarsi. Il cagnolino stava
diventando sempre più sporco di terra e fanghiglia, poiché faceva molto
caldo, Angelica decise di fargli un bagno in un fiumiciattolo. Il problema
era: dove trovarne uno? Decise di proseguire, se aveva avuto fortuna fino a
quel momento, sarebbe durata ancora. Jerry era stanchissimo quando si
fermò sotto un enorme quercia. Angelica si sedette sui sacchi vicino a
Jerry e decise di nutrire il cagnolino, finito che ebbe, si accorse di un
rumorino in lontananza: il gorgoglio di un fiume sempre dritto. Prese in
braccio il cane e proseguì il cammino sotto il peso di tutto il carico che
aveva in spalla. Finalmente lo vide, un fiumiciattolo dall’acqua pulita e
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splendente. Si levò il carico dalle spalle e la giacca che aveva addosso.
Vide la maglia con cui era partita all’inizio di quell’inaspettato viaggio,
portava la marca Armani. Oh quanto le mancava la sua vecchia vita. Si
lavò le mani e la faccia. Poi iniziò a lavare Jerry. Non aveva mai visto che
il cagnolino aveva un sacco di fanghiglia e zolle di terra addosso, anche
insetti. Adesso l’acqua glielo rivelava tingendosi di marrone e sporcizia.
Jerry dapprima non voleva un bagnetto, si sentiva i peli appiccicati e
pesanti che lo portavano verso il basso, ma poi si sentì molto più leggero
notando che erano le zolle di terra a farlo appesantire. Adesso si sentiva
molto più libero e pulito. Il clima era caldo, poté asciugarsi al sole. Per non
farlo sporcare di nuovo, Angelica lo mise dentro la sua giacca che era
rimasta sul sacco degli archi. Jerry iniziò ad abbassare le palpebre stanco
come uno che torna da una lunga gara alle Olimpiadi e dopo un bagno
caldo, finalmente si può dedicare al relax. La ragazza, per non svegliarlo e
proseguire il cammino, decise di fare anch’essa un bagno. Iniziò a
spogliarsi, faceva molto caldo. Iniziò a immergersi e si sciacquò. Anche
dal suo corpo cadevano zolle di terra e insettini, perfino un grosso
moscone. A mano a mano che si sfregava la pelle con le mani bagnate, si
sentiva leggerissima, in grado di volare nel cielo e molto più pulita.
Ovviamente non aveva shampoo ma l’acqua era bastata. Bella lavata,
rimase in piedi ad asciugarsi al venticello caldo e, sfregandosi i capelli per
aiutare il processo di asciugazione. Che leggerezza, che piacere. Anche la
foresta sembrava non volerla disturbare. Non vedeva animali a parte una
famiglia di topi oltre la riva del fiume dove sarebbe dovuta andare anche
lei per proseguire il cammino e tanti strani uccelli che emettevano canti
strani con voci indescrivibili, non si sapeva dire se i loro canti fossero belli
o brutti, non si capiva. Finita di asciugarsi, si rimise le sue cose, però
decise di lavare la maglia e il pantalone. Li lasciò asciugare al sole alla
fine. Questi erano un po’ più lenti da asciugare. Il sole stava tramontando.
Angelica si sedette sulla giacca vicino a Jerry. La consapevolezza di essere
in un mondo senza umani la travolse di botto. Iniziò a parlare con Jerry
solo per sentire una voce umana. La tristezza passò dopo un po’. Si rimise
i suoi vestiti ormai asciutti e puliti. Si sentì meglio e mangiò le ultime
provviste serbandone un po’ per Jerry. Era stufa di assaggiare carni che
avevano un sapore sempre diverso, voleva adesso biscotti, pesci, frutta.
Quando Jerry si svegliò gli diedi ciò che aveva serbato per lui e, finito che
ebbe, lavò la pelliccia della sua prima preda che era sporca del suo stesso
sangue. Voleva tutte le cose pulite. La pelliccia dell’animale si mostrò la
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più sporca. Nell’acqua affogarono milioni di moscerini, ragni e zecche.
Adesso la pelliccia era pulita, poteva usarla come coperta. Arrivò molto
presto la notte, quando non aveva ancora sonno. Guardò il cielo blu scuro
coperto da miriadi di stelle luminose. Si mise a dormire molto presto per
risvegliarsi la mattina dopo che c’era già sole. Un ippopotamo enorme la
stava guardando. Jerry gli abbagliava contro evidentemente preoccupato.
Mentre l’ippopotamo se ne fregava altamente. Adesso Angelica notò la
differenza fra quell’animale e un vero ippopotamo. L’animale aveva gli
zoccoli e non aveva le orecchie, solo due fessure ai lati della testa.
Evidentemente, non era aggressivo ma solo curioso. Stava annusando la
cartella. Se la ragazza si fosse alzata però, l’avrebbe aggredita. Decise che
quello sarebbe stato il suo pasto. Le dispiaceva molto, le era molto
simpatico, però non aveva più carne. Prese gli archi, l’animale si girò di
scatto e la fissò, poi tornò alla cartella. Angelica incoccò la freccia. Stava
per scagliarla contro un fianco dell’ippopotamo quando vide dietro di lui
un animale simile alla lince ma senza le orecchie e la coda, aveva gli
zoccoli ed era di un marroncino terra. Stava per scagliarsi contro
l’ippopotamo quando Angelica le scoccò la freccia contro. L’ippopotamo
fece un balzo e stava per attaccare Angelica quando, finalmente, vide il
predatore in preda alla morte. Sembrò capire e per un po’ fissò Angelica,
poi se ne andò di corsa. Jerry era già vicino al corpo dell’animale e la
ragazza lo seguì. Iniziò con lentezza esasperante e nausea (non riusciva a
farsela passare, sapeva che se non avrebbe ucciso sarebbe morta lei) a
scuoiare come poteva l’animale. Con la pelle dell’animale decise di farci il
sacco del cibo, vi lasciò la carne all’interno e prese solo il fegato che
mangiò. Era dolciastro, legittimamente buono. Il resto lo lasciò nel sacco
staccando la testa e le zampe. Se la caricò in spalla e proseguì. Finalmente
al tramonto giunse nella pianura. Scaricò il tutto e decise di preparare cibi
che sarebbero durati a lungo con quei frutti. Non sapeva però quali erano
mangiabili e quali no. Non era sola in quella pianura, c’erano molti uccelli,
questa volta veri uccelli e scimmie, ma adesso non le sembravano più solo
scimmie, avevano molto meno pelo. Si radunavano in gruppi, avevano le
braccia davanti più corte di quelle dietro e avevano iniziato il lungo lavoro
di provare ad alzarsi su due zampe, per adesso camminavano come dei
gobbetti ma già su due zampe. La prima tipologia di uomo è infatti
l’Australopiteco, una scimmia che ha deciso che alzarsi su due zampe e
più favorevole. 1 si potevano raccogliere bacche e frutti facilmente e in
maggior quantità;
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2 si potevano afferrare pietre e bastoni secondo le necessità. Quando
videro Angelica e Jerry, parvero molto curiosi. Cautamente mandarono
due australopitechi a controllarla. Vide note somiglianze con gli umani in
quei visi. Gli occhi marroni intelligenti, una sottile peluria pronta a cadere,
la pelle delle mani stava cambiando colore, era meno spessa, non più nera
ma di un rosa tenue, il muso molto meno accentuato, quasi quanto quello
di un carlino. I due australopitechi le si avvicinarono e la annusarono,
soprattutto le sue cose. Jerry era confuso, quegli animali sembravano
umani e lui non poteva ringhiare contro umani, se ne stava zitto vicino alla
sua padrona pronto ad agire. Un australopiteco aprì lo zaino e ne prese
dall’interno una cartina vuota di merenda (Angelica non le aveva buttate
per tenere il ricordo delle vecchie merendine), la guardò e con
un’espressione da stupido da – Uh, ma che cos’è sta cosa. Non trovando
rischi nella cartina e sentendo odore di un materiale mai sentito, la lasciò
per terra e scappò, ad Angelica le venne da ridere. Poi, l’australopiteco
tornò a piccoli passi per riprendere la cartina e si mise ad applaudire col
sorrise fra le labbrone. Decisero di lasciar stare Angelica ma tenendola
d’occhio da lontano. Ella iniziò a prendere i frutti dagli alberi facendoli
annusare a Jerry che, a volte ringhiava, così lei capiva quali frutti erano
velenosi. Ne riconobbe solo due di frutti che conosceva nella vita terrena:
il limone e pesca. Decise che col limone ci avrebbe fatto una limonata da
portarsi dietro e berla e con la pesca un succo di frutta. Assaggiò ogni
frutto, ce n’era uno che era grosso e viola che sapeva di lampone misto a
ciliegia, veramente buono; un altro verde scuro che aveva un sapore fresco
e frizzante; un altro ancora arancione ma dalla forma schiacciata che
sapeva di un mandarino; un altro marrone che aveva un sapore strano ma
buono ecc. iniziò a provarli con la carne per farci dei tortini saporiti. Con
la carne dell’animale che aveva ci stava bene il frutto verde, quello
marrone, quello arancione e anche il succo di limone. Il bordo dei tortini lo
fece con una radice marrone che aveva trovata nella riva del fiume, molto
buona, era piatta e flessibile di un gusto indescrivibile, perfetta per il
bordo. All’interno il fegato dell’animale mischiato a limone e pezzi di
frutta. Riuscì a fare un tortino super forte, ne bastava uno per un’intera
giornata. Ne fece un sacco e fece la scorta di frutti. Gli australopitechi la
lasciarono continuare. Angelica proseguì il cammino fra le colline da cui, a
volte spuntavano alberi da frutta. Un fiumiciattolo scorreva fra due colline,
un gruppo di australopitechi s’era radunato in una caverna, pronti a
riposare. Sembravano bambini, ogni famiglia dormiva in un angolo vicini
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vicini per tenersi caldo, capì il perché, l’aria era sempre più fredda e il
cielo era oscurato da numerose nuvole grigio che sembravano dire
ACQUAZZONE, ACQUAZZONE. Angelica si riparò in una piccola
caverna disabitata in intera pietra. Appiccò il fuoco all’entrata per non far
entrare troppa umidità e si sistemò in fondo alla grotta. Jerry era
stanchissimo, si ripulì le zampe nella caverna, unica cosa sporca e si
accoccolò sulla coperta che era stata pulita. La caverna era pulitissima
senza un insetto, niente. Angelica sistemò sulla roccia per terra la coperta
scacciando Jerry che si rimise appena sistemata. Come cuscino ci mise la
sacca che aveva fatto per gli archi che levò e mise per terra insieme alle
frecce. Sistemò la sacca come cuscino. Mise la giacca per terra in un
angolo e si mise a riposare con la pancia piena dal tortino. La sacca con il
cibo l’aveva sistemata vicino agli archi e alle frecce. Fuori il cielo era
imbufalito tuoni e lampi colpivano i rami degli alberi da frutta e le
caverne. Il gorgoglio del fiume non si sentiva coperto dai tuoni. La pioggia
cadeva ritmicamente nel paesaggio collinare, erano grosse gocce con una
forza smisurata che bucavano i frutti caduti per terra. Gli alberi
piangevano, il vento ululava come se stesse ridendo. Faceva molto freddo,
sembrava di essere in inverno a Milano. Jerry tremava come una foglia
leccando ritmicamente le mani alla padrona per riscaldarla. Lei si mise
sopra come coperta la giacca e mise a Jerry il giubottino che aveva messo
nella cartella all’inizio della sua avventura. Jerry accoccolato fra Angelica,
il giubbotto e la giacca, riuscì ad addormentarsi, così anche la sua
padroncina.
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Angelica si svegliò quando un raggio di sole la colpì in pieno viso. Jerry
stava sognando sul cuscino-sacca muovendo le zampette in avanti come se
stesse correndo e producendo bassi mugolii che sembravano simili ad un –
Aspettami, sto arrivando. La ragazza si alzò. Il fuoco si era spento nella
notte, fuori il cielo era sereno, un albero era stato ridotto a un mozzicone di
sigaretta, un altro aveva perso la chioma e i suoi frutti erano a terra
bruciacchiati. Iniziò a notare il cambiamento negli australopitechi, vide
che un gruppo stava nella caverna a fianco alla sua e avevano iniziato a
prendere tante pietre, dopo le riconobbe, erano la Selce.
Ovviamente, a chi non si ricorda ciò che aveva studiato in terza, gli farò un
riassuntino:
In quel periodo gli australopitechi per proteggersi e scuoiare le carcasse
scoprirono di poter utilizzare alcune pietre chiamate choppers ovvero
sassi o ciottoli scheggiati in modo rudimentale e resi più taglienti
battendoli contro un altro sasso. Il loro cervello si ampliò, impararono a
camminare perfettamente su due zampe, sulla testa crebbero molti più peli
simili ai capelli, comparvero fine era Cenozoica inizio Paleolitico
vennero chiamati Homo Habilis. L’Homo Habilis per parlare con gli altri
emetteva suoni articolati, non ancora un vero linguaggio ma un “vocìo”.
Viveva in piccoli gruppi per non attirare predatori, stavano sugli alberi la
notte e, durante il giorno scendevano per mangiare. I più piccoli
raccoglievano bacche. Altri aiutandosi con i bastoni, cercavano radici
commestibili. I maschi adulti andavano in cerca di carcasse che
scuoiavano, come ho detto prima con le rocce. Vivevano soprattutto nelle
savane. E non erano nomadi. Per adesso mi stoppo qui e torno al racconto.
Angelica uscì dalla caverna seguita da Jerry che, come una freccia, correva
sul pendio della collina per poi tornare da lei per invitarla al gioco.
Angelica si mise a inseguirlo. Correva spensierata ma, in un modo e da
qualche parte doveva proseguire il cammino. Il Plesiosauro le aveva detto
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che avrebbe proseguito dimensione tramite il mare. Bene ma se seguiva
l’istinto, altra cosa che le aveva detto il Plesiosauro, come trovare il mare?
superò le colline seguita da Jerry che le trotterellava intorno fermandosi a
volte per annusare in giro. Superata quella collina si estendeva una
montagna più alta della collina di qualche metro, non vedeva ciò che si
trovava dietro di essa ma sentiva dopo di essa regnava un gran caldo.
Decise di salire la montagna, non era molto ripida, né alta. Disturbò un
uccello simile all’aquila che volò via e ben presto arrivò in alto. Da lì
poteva vedere ciò che si nascondeva dietro il monte: una distesa di erba
secca: la savana. Gli alberi erano radi, di acqua vide solo un fiumiciattolo
che scendeva dalla montagna scorrendo beato. Lì numerose caverne erano
state scavate nel fianco della montagna dalle intemperie. Vedeva la savana
piena di animali ma anche di Homo Habilis. Erano più o meno alti,
camminavano ballonzolando non avendo ancora sviluppato al massimo il
pollice opponibile. Facevano impressione. Il muso era quasi sparito, come
naso v’erano ancora le narici della scimmia, piedi e mani non avevano peli
ma le gambe e il corpo era ricoperto di pelo. Giravano in gruppi come gli
indiani, tenendo bastoni e lame di selce pronte fra le mani, a volte si
fermavano per scavare e mangiare radici, cacciare prede o controllare il
perimetro. Le madri tenevano in braccio i cuccioli, o meglio, bambini che
avevano meno pelo dei genitori e assomigliavano a neonati. I maschi più
forti stavano nel bordo del gruppo raggruppandolo protetto al centro. Vide
un gruppo che si era fermato davanti ad una caverna e si era seduto sulle
pietre per mangiare. La carne la mangiavano ancora cruda, non avevano
scoperto il fuoco. Angelica non voleva incontrare gli antenati dell’uomo,
non sapeva che cosa sapevano fare in quel periodo e che cosa avrebbero
pensato vedendo lei. Decise comunque di scendere a valle. Non vedeva
l’ora di tornare nel suo mondo. Si ricordava che finita la Neozoica iniziava
l’Era Glaciale. Come affrontarla era un punto di domanda. Dopo l’Era
Glaciale l’uomo iniziò a commerciare, scrivere, disegnare sui muri e
parlare per comunicare con gli altri. Si ricordava anche che in Europa,
dopo l’Era Glaciale il clima era normale. Ma in Italia dopo l’Era Glaciale e
il periodo delle tribù, c’erano alcune popolazioni come Liguri, Celti,
Camuni, Etruschi, Sardi ecc. sarebbe terminato lì il viaggio o ancora
prima? Oppure, prima di arrivare alla sua di dimensione avrebbe
proseguito dal d.C in su? Avrebbe avuto la possibilità anche di incontrare
Gesù poiché conosceva il periodo? O il viaggio terminava prima? Decise
di proseguire senza pensare troppo verso la savana. Decise di imparare
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anche lei a fare lame appuntite. Però non sapeva com’era la selce e né
dove si trovava. Gli uccelli in quel periodo erano diventati normali e nel
volo imparavano sempre di più, non facevano più solo voletti, questo lo
notò, mi dispiace dirglielo quando una grossa aquila le fece la cacca
addosso che cadde dal cielo atterrando sulla mano di un’arrabbiata e
schifata Angelica. L’uccello sembrava divertito, parecchio divertito.
Angelica gli urlò contro spaventandolo e facendolo volar via. Anche Jerry
pareva divertito, la sorella alta gli intimò un “E tu che ti ridi, eh?”.
Angelica si diresse verso il ruscello poco lontano e si pulì la mano dalla
cacca bianca e densa. Poi proseguì il cammino meno disgustata di prima.
Stava alla larga dagli strani animali carnivori. Vide una specie di elefante
meno tozzo e col collo lunghetto, con le orecchie molto piccole; vide
anche un gruppo di cavalli, questa volta normali che correva spensierato e
un orso che si avvicinava al fiume, di sicuro per mangiare pesci. Angelica
aveva timore degli orsi già dalla nascita. Si allontanò velocemente dal
fiume. Jerry a tratti la conduceva lui dove voleva perché sentiva che quella
era la parte giusta da prendere, non sapeva come, ne perché ma era così, lo
sapeva. Angelica lo seguiva sperando in qualcosa. Vide anche un cane
selvatico che ululò a Jerry qualcosa di strano. Esso si arruffò come un
gatto e ringhiò. Il cane selvatico se ne andò. Chissà che cosa avevano
detto. Non l’avrebbe mai saputo. Proseguì il cammino quando venne vista
da un piccolo di Homo Habilis, significava che il gruppo era lì vicino.
Esso mostrò i denti e si rifugiò dietro ad un masso tenendo ben strette fra
le dita le bacche che aveva trovato. Angelica non voleva sembrare una
minaccia ma non voleva manco andarsene in quel momento con un
animale estinto da secoli davanti agli occhi. Voleva toccarlo. Jerry si era
avvicinato curioso e il piccolo gli aveva ringhiato contro. Jerry allora s’era
messo a rispondergli anch’esso. Angelica lo calmò e si sedette provando
ad essere dell’altezza del piccolo. Esso era diffidente, non capiva.
Angelica lo toccò, il pelo era morbide come i capelli ma nello stesso tempo
ruvido. Il piccolo le morse un dito. Aveva i denti affilati ma non strinse,
lasciò subito e si dette alla corsa con dietro Jerry ululante. Angelica si
leccò il dito e poi chiamò Jerry, lui però s’era dileguato. Seguendo le sue
tracce lo trovò. Era davanti ad una schiera di Homo Habilis armati di selce,
aveva gli occhi spaventati ma facendosi coraggio continuava a ringhiare
abbassando le orecchie e mettendo la coda fra le zampe come per dire mi
arrendo, però se vi avvicinate troppo vi mordo. Angelica si trovava dalla
parte di Jerry, si nascose dietro ad un albero e lo afferrò così velocemente
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che quasi gli cadde dalle braccia. Gli scimmioni bipedi urlarono arrabbiati.
Uno scagliò la sua roccia contro il suo viso ma la mancò di un pelo. Il
maschio più grosso e feroce, quello dominante in pratica, si mise ad
inseguirla ma era lento a terra, si arrampicò sugli alberi. Non poteva saltare
da un albero all’altro come in una foresta perché erano radi e la loro
distanza l’uno dall’altro era enorme. Decise quindi di tornare indietro.
Quando Angelica fu al sicuro dietro ad un masso mise Jerry per terra e gli
urlò – Ma ti sembra il caso di fare sta scemata, non dovevi spaventarlo e
manco metterci in pericolo, ti avrei dovuto lasciare nelle grinfie di quegli
scimmioni! – Jerry s’era accucciato con le spalle al masso con la coda fra
le zampe e le orecchie appiattite con il muso rivolto verso il basso con un
aria da “cane bastonato”. Angelica proseguì il cammino e si ritrovò da
dov’era iniziato il suo cammino, nel fiume. L’orso non c’era più e lei
decise di seguire la via del fiume senza mai perderlo di vista. Sarebbe stato
il suo punto di riferimento per portarla al mare. era stanca mangiò un
tortino che subito la riempì e un pezzo lo diede a Jerry che stanco si
addormentò sulla sacca degli archi per terra. Angelica si sdraiò in riva al
fiume e vide parecchi pesci che vi nuotavano. Alcuni li riconosceva, come
tonni, trote ecc. decise di pescarli in modo semplice attaccando una roccia
scheggiata ad un bastone, però non aveva una selce da scheggiare o già
fatta. Prima pensava di rubarne una da un gruppo di scimmioni
distraendoli, però adesso se ne era appena andata da quel gruppo. Decise
che, doveva cacciare per procurarsi delle pelli, con esse costruirci capanne
e, dopo riposare per poi, andare a cercare la selce, sì avrebbe fatto così.
Svegliò Jerry che a malavoglia si alzò e, mise in cartella la sacca dove
prima ci dormiva Jerry e tutto il resto. Fra le mani tenne solo l’arco e le
frecce. Decise di adescare un preda mettendo i tortini vicino al fiume.
Aspettò dieci minuti buoni prima che un animale abboccasse. Era
un’animale che mangiava i piccoli animali, aveva la criniera nera di un
cavallo, le corna del cervo, la testa di un cane e il corpo di un daino, aveva
la pelliccia cortissima. Angelica da dietro un masso a cinque metri di
distanza scoccò la prima freccia che arrivò dritta alla pancia mentre
l’animale stava già trangugiando il secondo tortino indisturbato e felice.
L’animale cadde a terra. Per non farlo soffrire troppo, Angelica gli scoccò
un’altra freccia. L’animale morì senza troppo soffrire. La ragazza corse
verso l’animale e iniziò a scuoiarlo. Tagliò via la testa vedendo il cervello,
era così piccolo che poteva stare in un cucchiaio. Lo conservò insieme alla
carne, sembrava buono, non un normale ammasso molle. Prese il cuore e il
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fegato mettendoli per terra, dopo li avrebbe puliti. Decise di prendere pezzi
di carne anche dal corpo, era enorme, bastarono quattro pezzi, lasciò lì la
carcassa. Mentre tagliava l’intestino vi trovò i tortini intatti, disgustoso. Si
avvicinò al fiume e pulì gli organi mettendoli sulla sacca dei tortini.
Voleva fare anche in quel caso dei tortini, assaggiò un pezzettino di tutto
ciò che aveva preso con la frutta, la carne sapeva di una bistecca alla brace,
squisita, stava bene da sola. Il cervello le faceva disgusto a mangiarlo ma,
senza volerlo lo portò alla bocca e assaggiò, più buono di quanto pensasse.
Fece tanti tortini, lavò la pelle nell’acqua del fiume e, dopo averla
asciugata decise di farci una capanna. Sapeva farla, era andata in una gita
in cui gliel’avevano insegnato. In poco tempo riuscì a fare una capanna
piccola ma resistente. Faceva caldo, decise di dormire sul cappotto ormai
inutile che si portava dietro. Jerry le si accoccolò a fianco e si addormentò
beato.
Si svegliò prima Jerry, vedendo che la sorella alta dormiva ancora, si
rilassò a pancia in su. Quelle giornate erano sempre attive, la noia ne stava
alla larga. Finalmente le notti dormiva come un sasso senza svegliarsi e il
giorno, quando voleva sgranchire le zampe camminava. Il relax però gli
mancava, però poteva sopravvivere. Perfino quei cibi non gli facevano
male, lui che aveva uno stomaco molto delicato. Non si sentiva strapazzato
perché la maggior parte delle volte Angelica lo teneva in braccio. Quando
la sorella alta si svegliò, fu subito pronta a riprendere il cammino per
tornare dagli Homo Habilis e sottrargli una pietra che le sarebbe servita per
pescare: la selce.
Decise di continuare la strada seguendo il fiume e poi guardarsi in giro per
vedere un gruppo di Homo Habilis. Più continuava il percorso più la
savana si faceva secca e arida, il cielo era azzurro senza una nuvola, gli
strani animali la guardavano con circospezione, gli “scimmioni” non si
vedevano e il clima era di un caldo, insopportabile, i pesci che nuotavano
nell’acqua sembravano beffarsi di lei. Continuò a camminare fino a tardo
pomeriggio. L’aria s’era rinfrescata, la savana si stava inumidendo.
Finalmente Angelica dopo vari allarmi falsi vide un gruppo di Homo
Habilis che stava venendo verso il fiume con un aria sfiaccata e assetata.
Erano in cinque: un cucciolo, due femmine e due maschi. Le femmine
sembravano due gobbette, una aveva in braccio il cucciolo e l’altra un
bastone, i due maschi invece erano più attrezzati avevano bastoni e rocce
di selce. Si mossero verso il fiume, s’inginocchiarono e iniziarono a
portare alla bocca con le mani ancora un po’ pelose lunghe sorsate
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d’acqua. Il piccolo s’era addormentato per terra dopo aver bevuto con le
manine a coppa. Una femmina lo svegliò e con un fitto vocìo lo fece
riavvicinare all’acqua per bere, sembrava gli volesse dire “devi bere
perché poi non potrai più farlo”. Il piccolo stanco morto, mise le mani a
coppa e si avvicinò di più al bordo del fiume. Ad un certo punto si
sbilanciò e cadde nell’acqua con un tonfo sordo schizzando acqua da tutte
le parti. Jerry guardava la scena non sapendo cosa fare. Subito gli
scimmioni si avvicinarono lasciando le loro armi dov’erano. Angelica vide
che il più grosso aveva lasciato due rocce di selce ben affilate vicino ad un
cespuglio. Si sarebbe dovuta esporre ma non le importava. Era anche lei
armata e al massimo li avrebbe tutti feriti gravemente. Ordinò a Jerry di
star fermo dov’era, vicino ad un albero rinsecchito classico del paesaggio
“savana”. Il cane si accucciò a terra, pronto a disubbidire se necessario,
non era sicuro di potersi fidare di quegli animali-uomo, non gli davano per
niente fiducia. Angelica fece piano per avvicinarsi al cespuglio, fu sentita,
subito con uno scatto le afferrò e corse indietro senza guardarsi alle spalle.
Jerry s’era messo a ringhiare, la ragazza gli intimò un – seguimi! – e subito
si mise a correre dietro di lei. Gli scimmioni dopo aver lanciato bastoni e
pietre si misero a correre, erano troppo lenti, camminando a quattro zampe
però potevan farcela. Un maschio prese la sua pietra-selce e la scagliò con
violenza addosso ad Angelica. La pietra la toccò però non la punta ma
bensì il manico, il colpo però le fece lo stesso male perché lo scimmione
aveva una forza innata e gliel’aveva scagliato troppo forte. Decise di non
piegarsi e raccoglierla perché avrebbe perso tempo. il percorso che stava
facendo era sempre a fianco al fiume ma non era quello di prima perché
aveva aggirato gli scimmioni continuando a correre per la sua strada.
Incontrò un branco di animali simili a leoni ma coi denti molto sporgenti e
di un colore rosso-rosa. Erano carnivore e affamate. Il capo-branco aveva
più pelo nel petto e sul collo, capendo di non sferrare un colpo a sorpresa
si mise a correre. Il branco come i leoni si sparsero attorno ad Angelica e
alla scheggia, Jerry che adesso si sentiva veramente in pericolo e correva a
perdifiato dietro la sua sorella-alta. Gli piaceva però correre su quel
terriccio secco smovendo zolle di terra con le zampe, l’erba non c’era più
ma solo arbusti, cespugli verde-scuro e alberi di oggi della savana, solo
alcuni erano diversi, più alti, con forme strane, radici fuori dal terreno che
si intrecciavano con le altre senza toccare terra perché prendevano il cibo
solamente dalla luce senza bisogno di espellerlo e l’acqua dalla pioggia
non dal terreno. Alcuni alberi erano carnivori, avevano il tronco molto
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corto sembrava tagliato, il centro era appiccicoso e conteneva un buco con
del nettare fra due tenaglie rosa simili a petali di fiore. Angelica aveva
visto uno di questi alberi carnivori solo quando un enorme zanzara
portante di sicuro qualche malattia le era volata incontro e lei spostandosi
aveva controllato che non la pungesse, la zanzara era volata indisturbata
verso lo strano albero posandosi al centro fra le due tenaglie, subito esse
scattarono e si rinchiusero per far esalare alla zanzara il suo ultimo respiro.
Torniamo però al racconto:
gli strani leoni avevano accerchiato Angelica che, vedendo di non poterseli
togliere di dosso, si era arrampicata su di un enorme albero con Jerry.
Sapeva che i leoni sapevano arrampicarsi ma aveva troppa paura per
riuscire a pensarlo solo quando fu sull’ultimo ramo guardando un leone
che con agilità si stava arrampicando, scoccò una freccia che uccise subito
l’animale. Si arrampicò questa volta una femmina, scoccò un’altra freccia
ed ella morì. Adesso i leoni erano veramente arrabbiati e si arrampicò il
capo-branco. Volò l’ultima freccia alle scapole ma l’animale non
sanguinava e non fece una piega. Ok, sarebbe morta lì, seduta stante
mangiata da un animale che col tempo s’era istinto. S’era completamente
scordata del branco dei cinque scimmioni. Essi erano arrivati su due
zampe, con la faccia livida di rabbia, avevano appuntito i bastoni e presi di
più. Ognuno teneva una o più pietre pronte fra le dita. Erano stupidi, non
gli era saltata in mente l’idea che la ragazza che li aveva derubati sarebbe
morta lo stesso, volevano ucciderla loro. Si scagliarono contro i leoni
impreparati. Angelica scese subito dall’albero, staccò le due frecce dal
corpo dei leoni morti, la terza purtroppo era irrecuperabile. Solo due leone
continuavano a tenerla sotto controllo, partirono all’inseguimento ma
smisero vedendo di non poter allontanarsi troppo. La pazzia degli
scimmioni durò un minuto, la prima a ritirarsi fu la femmina col cucciolo.
Gli strani leoni volevano a tutti i costi mangiare, non persistevano.
Uccisero tre scimmioni, gli altri riuscirono a scappare feriti gravemente.
Angelica quando fu molto lontana si buttò a terra e si bagnò mani, braccia
e faccia per rinfrescarsi. Anche Jerry si mise a bere l’acqua a lunghe
sorsate per poi sedersi sfiaccato. Senza volerlo Angelica aveva proseguito
così tanto che, se avesse camminato avrebbe fatto meno della metà. Il
fiume era cambiato l’acqua era più limpida, i pesci più normali. Angelica
prese un robusto bastone e con i tendini che aveva messo in disparte legò
la roccia di selce che aveva preso al bastone, l’aveva fatto per una buona
causa, adesso sapeva qual’era la pietra, gli altri scimmioni avrebbero
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potuto prendersene altre, riguardo alla battaglia non era colpa sua se si
erano lasciati offuscare dalla rabbia, d’altronde questo comportamento
orribile l’avevano ereditato dagli uomini cui l’istinto stava cercando di
mettere a bada quello scimmiesco. Fece un’esca un po’ rude però, poteva
andare lo stesso. Non sapeva pescare, non l’aveva mai fatto. Infilzò tre
volte il bastone con la pietra nell’acqua, toccò il letto del fiume ma non
riuscì a prendere niente, dopo la quinta volta che infilzò l’amo a vanvera,
finalmente prese qualcosa: un pesce azzurro, con le scaglie piccole e
delicate, gli occhi gialli, non era molto grosso. Lo prese e lo mise sul
terreno. Jerry vi leccava il sangue piacevolmente soddisfatto dal sapore.
Perfetto, non era velenoso. Prese il coltello che aveva e scuoiò il pesce
tagliando testa e coda, poi levò tutte le spine. Jerry non aveva mai
mangiato il pesce, eppure quel sangue gli piaceva, provò a dargli un
pezzettino, esso dopo averlo annusato e spinto col musetto, allungò il collo
e, dopo averlo preso lo masticò lentamente. Gli piacque, perfetto. Angelica
pulì il pesce nell’acqua limpida dopo aversi lavato le mani. Lo tagliò a
pezzettini che prese, ci mise pezzi di frutta che aveva conservato, ci fece
dei tortini coprendo l’esterno con una radice che aveva scoperta perché
Jerry s’era messo a masticarla volenterosamente. Mangiò un tortino, il
pesce era buono, sapeva lontanamente di sogliola e qualcos’ altro in più.
Ci ricavò solo tre tortini, non importava. Ne mangiò uno e uno lo diede al
cagnolino che masticò lentamente sputando tutti i pezzi del frutto blu che
vi avevo sistemato. Proseguì il cammino, doveva trovare il mare
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Più andava avanti più entrava nella siccità incredibile, gli Homo Habilis
stavano cercando di raddrizzarsi bene su due zampe per saperci correre e
saltare; alcuni animali erano molto più simili a quelli di oggi, tra questi
tutti gli animali grossi a parte alcuni, i piccoli mammiferi erano uguali a
quelli d’oggi, anche i rettili e ormai quasi gli uccelli, vedeva ancora strani
animali volanti e sempre più carnivori-mangia-carcasse. Si vedeva morta
vicino al fiume di stanchezza e caldo con Jerry che senza capire ciò che
succedeva le leccava disperato mani, faccia, corpo. Oppure sbranata da
qualche strano animale. L’immagine più disperata era quella di lei sola
sempre lì in quel mondo. Gli alberi stavano scomparendo, faceva sempre
più caldo e la terra si mischiava a sabbia. Camminava stremata a testa
bassa. Quando alzò la testa si rese conto di non trovarsi più nella savana
ma in un deserto. Le dune altissime sovrastavano il cielo di un azzurro
vivo. Jerry aveva difficoltà a camminare come lei d’altronde che stanca
morta continuava. Nel fiume, fedele compagno di viaggio c’erano ancora i
pesci, non era naturale poiché nelle rare acque dei deserti non esistono
fiumi che portano pesci. Aveva sempre cibo e acqua così. Però notò una
cosa strana su quel fiume, era innormale che non fosse sfociato su di un
lago o un fiume e che non avesse avuto degli affluenti. Il silenzio le
attanagliava le viscere come un animale che la stesse uccidendo dal dentro.
L’acqua nella cartella era bollente, la rinfrescava a volte in quella del
fiume che rimaneva sempre fresca. lì c’erano pochi animali, rettili, topi,
insetti. Era stanca e aveva molto caldo, le pesava la borsa e tutto ciò che si
portava dietro. La mattina faceva caldo ma la notte si gelava
completamente. I giorni eran sempre uguali. Lei parlava con Jerry, pregava
il signore e studiava l’habitat che non aveva mai visto e mai avrebbe
voluto. Non aveva niente a trasportarla solo le sue gambe e la volontà
d’animo. Non si arrendeva, doveva continuare l’avventura che le era
capitata, non per caso se no il signore l’avrebbe fatta tornare nel suo
mondo o fatta morire. Continuava imperterrita alzando i piedi e
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trascinando le sue cose. La notte moriva di freddo, me no male non aveva
ancora preso un mal di gola.
Non aveva prede da cacciare oltre a due coperte non aveva niente, i faceva
il bagno il giorno e lavava il resto per averlo pronto pulito e caldo per la
notte. Tenendoli al sole erano bollenti tanto che una volta le capitò di
bruciare quasi la sacca con gli archi, poi però l’aveva subito messa in
acqua togliendo gli archi e dall’acqua s’era alzato del fumo segno che se
non avesse avuto lì vicino il fiume la sacca ben fatta si sarebbe bruciata
fino a diventare polvere. Era triste, le mancavano voci umane. Si sentiva
sola e annoiata. Aveva tempo per ascoltare i suoi pensieri, la sua mente fin
troppo, a volte parlava con se stessa, si faceva domande, si rispondeva.
Quando doveva fare qualcosa ci ragionava molto su affinando la saggezza
e l’intelligenza. Si allenava con le cose scolastiche anche tra sé col timore
di dimenticarle. Pensava lo stesso di essere molto fortunata, era riuscita a
superare l’epoca più affascinante ma anche difficile: quella dei dinosauri.
Era la più pericolosa, adesso non avrebbe avuto troppe difficoltà a parte il
sopravvivere e l’impressione di vedere i suoi antenati. Era scombussolata,
dentro di lei la bufera. Avrebbe potuto scrivere un libro sulle sue emozioni,
forse anche due. Jerry si deprimeva, aveva tanto freddo la notte e caldo il
giorno, nel resto stava bene. Non aveva mai visto tutti quei posti, anche a
lui mancava la sua prima dimora e dentro le si scatenava una bufera di
pensieri e sentimenti. Aveva molto da fare per ascoltarli tutti. Il deserto gli
aguzzò l’udito e il tatto. Sembrava di sentire come un lupo, un vero lupo.
Invece nella padrona notava che l’olfatto le si stava sviluppando come
l’udito e la vista. Sembrava di cambiare il corpo e trasferire l’anima in un
altro. Era strano. Continuavano a camminare sulla sabbia rossa, il sole
colpiva il deserto con forza. Angelica aveva caldo, avrebbe continuato il
cammino, certo, ma non sapeva quanto il deserto fosse stato enorme, non
sapeva se avrebbe potuto continuare il cammino a piedi senza un
cammello a portarla, le serviva un animale. Non sapeva che animali
esistevano nel deserto nel Neolitico, di sicuro qualcosa dovrebbe essere
esistito. Il deserto era una distesa di morte, non si sentiva il rumore di un
animale, niente. Sapeva che dovrebbero essere esistiti serpenti e piccoli
mammiferi che vivevano sotto la sabbia, però non vedeva niente. Si
sentiva sola, lei, Jerry e il deserto, nient’altro. Si trascinava dietro la sacca
con gli archi, il giaccone, la sacca del cibo e le coperte. Non aveva più
forza, il cibo era troppo consistente e l’acqua del fiume non la rinfrescava.
Jerry camminava sempre più piano con la lingua di fuori, gli antenati del
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Chihuahua vivevano in Messico e nelle zone calde, Jerry non aveva mai
sentito il carattere dei suoi bis bis nonni, adesso, invece, gli stava
sbucando. Si stava abituando al caldo, beveva sei volte al giorno, la
padrona quindici, sentiva tanti spiriti che vivevano fra le dune anche se
non li vedeva, non si sentiva solo. Quegli spiriti gli volevano comunicare
qualche cosa. Vedeva la sorella alta sempre più stanca, la comprendeva,
portava un sacco di cose e non era abituata a quel caldo. Gli venne un’idea,
l’istinto gli diceva che doveva fare così, era la cosa giusta. Mentre
Angelica camminava piano piano, afferrò la giacca di Angelica e le
coperte tese. Lanciò con parecchia difficoltà le coperte di pelliccia, sopra il
giaccone. Angelica era così stupita che non s’era mossa, era rimasta
paralizzata. Le coperte con sopra il giaccone non affondarono come
immaginava Angelica ma rimase a galleggiare in superficie nuotando
sull’acqua pian pianino continuando l’andata spinto dall’acqua. Angelica
si riprese, per la gioia, strinse al seno Jerry baciandolo e dicendo: << Tu
sapevi che quelle pelli galleggiavano, potevi farla prima sta mossa! >>.
Proseguì il cammino dietro le pelli mosse dall’acqua e vi buttò sopra la
sacca con gli archi, si tenne solo quella del cibo. Le coperte ondeggiarono
poi si ripresero e sfilarono sull’acqua lentamente. Ad Angelica tornò la
voglia di continuare l’avventura, camminava più arzilla di prima, avrebbe
potuto prendere le coperte prima della notte, asciugarle al sole pronta per
coprirsi con quelle nella notte gelida. Continuò il cammino, sarebbe stato
meglio però trovare un animale ad aiutarla.
Continuò a camminare fino a tardo pomeriggio, poi prese tutto ciò che
aveva e lo sotterrò nella sabbia bollente per farlo asciugare. Ci vollero
cinque minuti, aveva iniziato a fare freddo. L’acqua nella sacca degli archi
non era penetrata, che strane pelli, che strani animali. Aprì la cartella
ormai logora. Vi prese il giubbotto più pesante che aveva per Jerry. Glielo
mise bello stretto per riscaldarlo. Lei si mise il giubbotto e si coprì con le
pelli degli strani animali che la notte non si gelavano ma rimanevano
tiepide come se contenessero ancora il sangue. Jerry si accucciò accanto al
suo petto coperto anche dalle coperte. Riscaldava anche Angelica come
una piccola stufa. Si accucciò divenendo piccola piccola nella posa di
quando era nata. Si preparava al gran gelo. Si addormentò distrutta.
Quella notte sognò che continuava il cammino e superata una duna vi
trovava un cammello che la trasportava continuando il cammino.
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Si svegliò il giorno dopo di buon’ora. Mise in acqua le coperte, sopra il
giaccone con la sacca degli archi e la cartella. Mangiò un tortino alla carne
e si rifocillò in cinque secondi, un pezzo lo diede a Jerry. Il sole non era
ancora salito. Faceva ancora un po’ freddo. Dopo aver levato il giaccone a
Jerry continuò il cammino. Me no male non aveva ancora caldo. Stava
bene. Camminava bella riposata. Il cielo era grigio-azzurro, il sole era
nascosto da una duna. Girava un vento forte. Non sapeva niente sul
deserto, però il tempo era diverso dagli altri giorni più cupo e fresco,
umido. Non sapeva ancora dire per certo se ci fosse stato un temporale o
una pioggerella rinfrescante. Stava abbastanza bene però. Vide un serpente
che sbucò all’improvviso dalla sabbia per tuffarsi su un enorme insetto
nero, antenato del coleottero. Jerry si fermò ai bordi del fiume e
allungando la lingua rosa si mise a bere avidamente. Angelica si avvicinò
ad una duna dalla sabbia delicata di un arancione-rosso delicato. Sentì uno
strano verso simile a un muggito. Non ebbe il tempo di girare la duna che
vide un testone affacciarsi e guardarla, aveva la testa di un cammello,
Angelica pensò subito a cavalcarlo. L’animale si mostrò, aveva il corpo di
un cavallo del colore del cammello. Sembrava molto tranquillo, perfetto
per farsi cavalcare. Jerry s’era avvicinato alle zampe del cammello-cavallo
annusandolo con i denti in mostra pronto a mordere. Il cammello abbassò
il muso e diede una leccata al corpo di Jerry, esso si rintanò dietro le
gambe di Angelica, poi si fece coraggio e le tornò davanti pronto a
mordere. La ragazza allungò una mano. Il naso del cammello gli toccò la
mano e si sedette. Angelica corse a prendere la sua roba dal fiume e buttò
un tortino al cammello-cavallo per farlo rimanere là mentre lei recuperava
la sua roba. Tornò di corsa seguito da Jerry che era parecchio confuso. Il
cammello rimaneva seduto. Aveva mangiato in un boccone il tortino.
Decise che l’avrebbe domato con quelli. Provò a mettervi le sacche. Lui
non faceva niente, la guardava come se sapesse cosa stesse per fargli. Si
lasciò sistemare il tutto, le coperte sul giaccone, la sacca del cibo dentro la
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cartella insieme a quella degli archi. Prendendo in mano Jerry, cavalcò lo
strano cammello. Esso si alzò di botto facendola traballare e si girò
avvicinandosi al fiume. Sembrava sapere dove doveva andare. Angelica
non sapeva se aveva fatto bene a fidarsi in quel modo. Jerry era
scombussolato. Guardava spaesato il paesaggio, lo strano cammello e il
pavimento. Angelica diede un calcetto al fianco dell’animale per farlo
avvicinare di più al fiume. Il cammello-cavallo muggì disturbato ma
obbedì. Angelica era molto sorpresa, sembrava addestrato quell’animale e
sapeva già dove andare, anzi ne era certo. Camminava senza problemi
come se non caricasse niente e non avesse problemi col caldo. Il pelo era
corto e ruvido. Aveva anche la criniera. Jerry sembrava voler scendere.
Angelica teneva in mano una bottiglia d’acqua che aveva riempito al fiume
e da lì beveva e dava da bere a Jerry. Si rinfrescava anche la fronte e le
mani con cui bagnava Jerry, per rinfrescarlo. L’animale sembrava non
gradire l’acqua. Cercava di evitare qualunque goccia d’acqua. Quando
voleva un tortino faceva una specie di sibilo come un serpente. Sembrava
non essere mai stanco. Continuava a camminare, sempre dritto senza
preoccuparsi del sole, anzi sembrava sorridere quando guardava il
paesaggio in cui era nato. Un gruppo di uccelli si posarono per terra.
Avevano il corpo di un corvo ma il colore era diverso: becco nero, petto
bianco e dorso marrone-verde. Beccavano la sabbia con il lungo e affilato
becco. Angelica capì il perché solo quando un uccello tirò fuori col becco
un lungo serpentello rosso, sembrava velenoso ma l’uccello, lo lanciò in
aria, aprì il becco rimanendo per terra e il serpente ricadde preciso preciso
dentro il becco dell’uccello che con sguardo beato era volato via. Il
cammello-cavallo continuava a camminare ondeggiando i fianchi. Verso
mezzogiorno, s’inginocchiò per terra, avevano fatto parecchio cammino.
Rimase per terra finché Angelica non scese dal dorso con Jerry parecchio
scombussolato in braccio. Il cavallo-cammello, chiamiamolo solo
cammello, si rialzò e avvicinandosi al fiume piegò la grossa testa e
allungando il muso leccò l’acqua con una lunga lingua blu scuro. Aveva
una lingua a cucchiaio, la immergeva e vi rimaneva dentro dell’acqua, poi
l’attorcigliava per chiudervela dentro e portando la lingua in bocca, la
ingoiava. Evidentemente al cammello non bastava bere ogni tanto per
rinfrescarsi, perché l’animale fece un salto e si ritrovò al centro del fiume
facendo fuoriuscire un enorme onda. Quando l’acqua si dissolse nella
sabbia del deserto, attorno al letto del fiume rimasero cinque grossi pesci
grigi rimasti lì grazie all’onda provocata dagli zoccoli dell’animale che
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adesso, beato s’era seduto al centro del fiume, era così poco profonda
l’acqua che l’animale rimaneva tutto fuori bagnandosi solo gli zoccoli.
Jerry corse a vedere i pesci annusandoli e toccandoli con la zampa, allungò
la lingua e ne leccò uno. Angelica subito lo scacciò e con i pesci iniziò a
scuoiarli per farli diventare dei tortini.
Intanto faceva tardi, l’aria si raffreddava e il cielo si scuriva. Angelica si
Fece una conca nella sabbia, la coprì con una coperta e si sdraiò sopra
coprendosi con la coperta. Subito Jerry si mise sotto le coperte tenendo
solo la testa fuori. Il cavallo-cammello, per riscaldarsi si accoccolò a
fianco ad Angelica tenendo caldo sia a sé sia alla ragazzina.
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Angelica cavalcava il cavallo-cammello con Jerry che, continuava a
guardare di qua e di là nervoso, a volte annusava la testa dello strano
animale, a volte grattava con la zampina il collo enorme e massiccio
dell'animale dal pelo corto. Esso, invece s'era innervosito solo quando
Jerry gli aveva morso l'orecchio, allora aveva provato a disarcionarli
facendo cadere la piccola rottura pelosa che l'aveva morso e disarcionando,
quasi, la femmina con due zampe e senza coda. S'era lasciato assalire dai
due perchè aveva sentito che doveva farlo, aveva provato a non farlo ma
c'era quel qualcosa che l'aveva bloccato come il predatore che blocca la
preda in un angolo prima d'assalirla. Era fastidioso sopportare quel peso
ma aveva continuato il cammino. Gli piacevano solo due cose: il cibo
gratis e una cosa che non aveva mai provato, rilassanti e belle: le carezze
che gli faceva a volte Angelica. Quando aveva disarcionato i due, la due
zampe gli aveva parlato contro in tono arrabbiato e la formica pelosa s'era
rialzata zoppicando leggermente e ringhiando a lui, colui che li aveva
portati fin lì. La senza coda aveva preso tra le zampe davanti la palla
pelosa accarezzandola, poi aveva messo la sua zampa sul suo dorso e con
parole dolci aveva iniziato ad accarezzarlo, lui s'era subito calmato. Dopo
un po' avevano ripreso il cammino a fianco all'acqua veloce.
Era da quattro giorni che Angelica cavalcava lo strano animale che
sembrava sapere già dove andare. Il fiumiciattolo aveva continuato la sua
via, il pomeriggio del secondo giorno, peró, era sparito. Era andata fuori di
testa, quando avesse finito l'acqua, non avrebbe più potuto riempire le
bottiglie e sarebbero tutti morti di sete, tranne lo strano animale. Poi, il
quarto giorno, dopo essersi risvegliata da un sonno popolato da incubi
aveva visto di nuovo il fiume in lontananza verso destra. Doveva essere lo
stesso fiume che era sparito sotto terra si disse. La temperatura non doveva
superare i 50 gradi, meno di quello che era all'inizio che sfiorava quasi i
70. Beh, certo, sudava sempre ma riusciva a sopravvivere. Ogni giorno che
passava
ascoltava
il
suo
cuore
attentamente.
70
Era nel deserto da una settimana e iniziava a pensare che non sarebbe mai
finito, quando, tutt' a un tratto vide in lontananza una macchia verde
piccola ma finalmente qualcosa che non sia stato del colore del deserto.
Provò a spronare l'animale strano che stava cavalcando. Lui, in risposta,
s'impennò sbuffando per poi riprendere il cammino più lentamente per far
vedere che non si sarebbe fatto comandare da degli ospiti inaspettati.
Appena l'animale fu lontano di un chilometro dalla fonte verde, Angelica
un po' delusa notò che non era la fine del deserto ma un enorme oasi. Tanti
strani uccelli colorati cantavano sugli alberi simili a palme, il fiumiciattolo
si rimpiccioliva e attraversava l'oasi. Ad una curva, il fiume si allargava e
il bordo diventava una palude solcata da lunghe e alte piante, simili a
canne. Erano simili a bastoni dritti, a cilindro, sulla punta tre gambi robusti
di un verde tenero con attaccati dei fiorellini a tre petali di tutte le
sfumature di blu. Si muovevano al vento tintinnando come piccoli
campanellini. Un uccello altissimo col collo corto da cui parteva una testa
piatta con una piccola cresta rosso fuoco al centro e un lungo becco viola.
Le zampe erano azzurre come le ali ma ciò che colpì Angelica furono gli
occhi di un azzurro ghiaccio quasi bianco. L'uccello di punto in bianco
infilzò la testa nell'acqua facendo volare una miriade di goccioline che
spaventò Jerry che corse a ripararsi dietro le gambe della padroncina, la
testa ne uscì bagnata con due pesci in bocca che ancora vivi si dibattevano
ferocemente. Di punto in bianco l'uccello spiccò un balzo verso l'alto
evidentemente troppo in ritardo, un testone da coccodrillo afferrò la zampa
dell'uccello che si dibatteva freneticamente, lo tirò verso il basso e lo
uccise affogandolo. Angelica decise di allontanarsi leggermente dal fiume.
Il cavallo-cammello ci pensò subito anche senza richiesta di allontanarsi di
quattro metri continuando il cammino più velocemente. Aveva superato di
un chilometro il tratto paludoso quando inaspettatamente, sbuffando si
bloccò e si nascose dietro un enorme tronco caduto abbassandosi a terra.
Angelica capì il perché un secondo dopo. Dall'altra sponda del fiume un
masso si mosse, solo dopo constatò che non era un masso. Subito si
aprirono due occhietti neri e sbucarono quattro zampe, le prime due più
lunghe e tozze e le altre dietro più corte come un gorilla. Prima aveva
creduto che le chiazze verdi fossero stato dei licheni sul masso, adesso
vedeva che le chiazze erano in realtà parte della pelle. Aveva la testa piatta
e i canini lunghi quanto una mano. Era simile ad un trholl. Ma non
dovevano esistere quegli animali, vero? Era enorme, due volte il
71
cammello-cavallo. Angelica si piegò il più possibile, non sapeva se
avrebbe potuto scappare perchè il mostro poteva essere più veloce.
Avrebbe lasciato fare all'animale che stava cavalcando. Lo strano animale,
chiamiamolo trholl, si stiracchiò e sbadigliò mostrando i dentoni. Angelica
non sapeva che fosse esistito veramente un animale del genere, magari era
uno scherzo della natura o un dinosauro non ancora estinto. La pelle
sembrava troppo dura per riuscire a strapparsi quando vi si conficcava un
coltello. Lo osservò di nascosto molto attentamente, la parte che sembrava
meno protetta e più debole era la pancia, sì ma come colpirla se vi teneva
le braccione davanti? Angelica voleva sparire mangiata dalla terra. Il
cavallo-cammello non sembrava più volerla ospitare, adesso. Era piuttosto
seccato di dover portare un peso in più perchè, se avesse dovuto scappare,
sarebbe stato più lento. Evidentemente non voleva aspettare dietro quel
tronco marrone bianco la sua fine. Mentre il trholl sbadigliava, s'alzò di
scatto e si mise a correre schizzando da tutte le parti il terriccio perchè
marcava il terreno con una forza speranzosa di vivere e piena di paura. Il
trholl subito scattò in piedi e si mise alla rincorsa. Era più lento, ma
conosceva l'oasi e il deserto. Il cavallo-cammello correva più veloce che
poteva. Aveva cambiato direzione per non far capire che lui seguiva il
corso del fiume. Il trholl scavalcava i tronchi caduti, imprimeva le sue
impronte con forza sul terreno. Quando passava gli uccelli volavano via,
un topino che mangiucchiava una radice sporgente dal terreno corse subito
a ripararsi nella sua tana, i serpenti che prendevano il sole, si
nascondevano fra le pietre seccati. Il cavallo-cammello era avvantaggiato
di qualche metro. Tornò a seguire il corso del fiume e uscì di volata
dall'oasi. Il trholl evidentemente non voleva perdere la preda grossa e
succulenta. Continuò a correre anche nel deserto, con più difficoltà però.
Angelica aveva già provato a scagliargli una freccia che gli aveva colpito il
collo, s'era subito staccata non potendo penetrare in una pelle dura come il
ferro, allora aveva preferito non sprecare altre frecce. Jerry per la prima
volta sentiva il bisogno di scappare, non di proteggere il suo branco.
Quell'animale gli incuteva troppo timore come il Tirannosauro quando era
nella prima dimensione. Il cavallo-cammello superò due dune, si ritrovò a
correre nel fiume che in quel tratto non era per niente profondo,
disturbando qualche pesciolino. Angelica vide nel deserto un altro cavallocammello con un piccolo, le dispiaceva per quella famigliola ma doveva
spingerli verso il trholl che non li aveva nemmeno notati. Non sapeva
come attirare l'attenzione del mostro sulle altre prede. Costrinse il cavallo72
cammello che cavalcava a girare verso il piccolo branco dei suoi simili
spaventandolo con il coltello. Finalmente il trholl vide le altre prede che
nel frattempo anch'esse avevano visto lui. Il mostro decise di mangiarli
tutti iniziando dalla mamma con il piccolo, li avrebbe uccisi, lasciati lì per
andare a uccidere l'altro e poi mangiati separatamente. Intanto Angelica
fece deviare il cavallo-cammello per tornare a seguire il fiume. Credeva di
essersi liberata del mostro. Il corso del fiume girò nascondendosi fra due
dune. Angelica non era ancora sicura di volersi fermare, anche l'animale
che cavalcava non voleva fermarsi, anzi voleva nascondersi fra le dune e
per un po' smettere di seguire il corso del fiume. Angelica lo lasciò fare, si
fidava dell'animale che stava cavalcando, l'avrebbe lasciato fare, a patto
che non perdesse di vista il fiume che scorreva indisturbato. L'animale si
allontanò e parecchio, verso l'orizzonte, verso sera decise di deviare e
tornare verso il fiume, Angelica era preoccupata, lei non si sapeva
orientare in una distesa di sabbia sempre uguale, sperava che l'animale che
stava cavalcando avesse pratica. Voleva a tutti i costi tornare in città ma
evidentemente doveva vivere tra foreste e deserti, lei non ci sapeva vivere,
aveva inventato parecchi menù, provato a sopravvivere da sola e fatto un
sacco di cammino, lei non era abituata. S'era arrangiata costruendosi un
arco, tre frecce, si diceva fortunata e sperava che la fortuna le durasse
ancora. Si sentiva sola, incompleta, aveva solo Jerry e un’ avventura da
compiere.
Il cavallo-cammello continuò a cavalcare anche la notte con il freddo che
gli sferzava il corpo, era stanco ma ancora in forze. Sentiva la sete di
sangue del bestione che aveva preso a inseguirli all’inizio e che continuava
ancora adesso. Era spaventato, non aveva mai visto una tale sete di sangue
e, inoltre mai visto un animale del genere. Era triste, avrebbe voluto fare
una pausa nell’oasi e gli dispiaceva per la famiglia dei suoi simili che era
stata attaccata. All’inizio non aveva capito perché la ragazzina che stava
portando l’aveva spaventato con il coltello facendogli cambiare rotta, poi
aveva capito che lo faceva per salvare la vita a sé e a lui. Per la prima volta
aveva un predatore, strano. La temperatura s’era alzata e lui stava
magnificamente, sudava pero, non era abituato a correre, però era felice di
essere più veloce del troll. Non vedeva l’ora di non sentire più il suo odore
e la sua brama di sangue, s’era stufato di correre. Però aveva quella
sensazione che lui e chi portava sarebbero sopravvissuti solo se lui avesse
seguito il percorso del fiume. Quell’acqua gli dava sicurezza, forza e
speranza. Sentiva che i passeggeri che stava portando li avrebbe dovuti
73
lasciare fuori dal deserto, lui sapeva come sarebbe finito il deserto, i suoi
passeggeri avrebbero dovuto faticare a continuare la strada.
Si accorse di camminare solo quando sentì di nuovo l’odore di quella
strana bestia che li stava inseguendo, non sazia della famiglia che aveva
mangiato li stava inseguendo, poteva capire perfino dov’era. Seguiva le
sue tracce come un branco di lupi che hanno visto le tracce di un numeroso
branco di cervi. Decise di deviare la strada e tornare al fiume più tardi, lui
aveva un orecchio finissimo, poteva sentire il gorgoglio dell’acqua a
chilometri di distanza, o l’odore di un predatore a un giorno di distanza.
Conosceva il deserto perché era casa sua e anche se un enorme mostro in
tutto e per tutto lo stava inseguendo, l’avrebbe fregato, una punta di
coraggio gli si presentò nell’animo. I suoi passeggeri s’erano
addormentati, male, era difficile non farli cadere nella sua corsa sfrenata.
Nella notte si distanziò di un giorno dal fiume, quando i suoi passeggeri si
svegliarono sembrarono piuttosto nervosi, lui sbuffò, il loro nervosismo lo
sentiva anche lui e non gli piaceva. Sbuffò e nitrì per rassicurarli ma
evidentemente soprattutto il passeggero più alto non capiva. Il cavallocammello non provò più a spiegare niente. Era stanco e nervoso, sapeva
che avrebbe sprecato solo forza per far capire qualche cosa ai suoi
passeggeri. Di punto in bianco deviò rotta e si fiondò nella via per tornare
al fiume. Ci avrebbe camminato all’interno per non far vedere le sue
tracce. Per tutto il giorno faticò per tornare al fiume, l’odore del troll non
l’aveva più sentito, non sapeva se fosse stato un bene o un male. Sperava
in meglio.
Purtroppo non fu così…
74
8
Il mostro s’era reso conto del piano solo dopo, non poteva esserne certo
ma pensava che se, l’animale fino allora aveva seguito il corso del fiume,
sarebbe tornato e lui sarebbe stato lì, pronto all’attacco. Era pomeriggio,
sonnecchiava nascosto da una duna vicino al fiume quando sentì un
odorino, la sua preda, sangue che scorreva caldo e dolce nell’animale. Si
alzò di scatto e si mise a correre in quella direzione.
Il cavallo-cammello sentì l’odore del predatore, era stato fregato, ma non
per molto. Tornò sui suoi passi a distanza di due chilometri dal fiume, si
rilassò solo quando sentì che il trholl era parecchio lontano e seguiva il
fiume. Il mostro, me no male, aveva un olfatto ed un udito più debole,
quindi non poteva sentire il suo odore e quello dei suoi passeggeri.
Sperava che il mostro se ne sarebbe tornato in dietro al più presto. Aveva
ragione.
Angelica non capiva perché il cavallo-cammello, nella notte aveva deviato
la strada e adesso non seguiva più il fiume. Non aveva avuto il coraggio di
allontanarsi perché adesso che non aveva più il corso d’acqua a indicarle la
strada, si sentiva persa, allora era meglio rimanere con quell’animale. Jerry
era sempre più stanco, anche lui era nervoso come lo strano animale, tutti e
due sentivano qualche cosa che anche lei avrebbe dovuto sentire. Il
pomeriggio, mentre si stava raffreddando l’aria, inaspettatamente il
cavallo-cammello s’era buttato a terra, sfiaccato. Lo poteva capire, aveva
corso tutta la notte. Gli porse un tortino, lui lo catturò con la lingua e lo
portò in bocca prima di masticarlo. Jerry aveva tanta sete, bevve grossi
sorsi d’acqua. Angelica notò qualche cosa di strano, Jerry aveva fatto i
bisogni e li aveva ricoperti come fanno i gatti, perché? Ragionò un attimo
e subito gli venne la risposta per nasconderla da un predatore che
evidentemente ci sta cercando. Subito dopo gli venne un’altra risposta il
trholl era sulle loro tracce e, subito dopo un’altra il cavallo-cammello
sarebbe tornato al fiume solo quando sarebbe stato sicuro. Perfetto,
75
finalmente aveva capito anche lei. Decise di rilassarsi nella notte, se lo
strano animale s’era fermato, era perché il trholl era molto lontano, lo
sperò ardentemente.
La mattina dopo il cavallo-cammello non sentì più l’odore del trholl,
finalmente se n’era tornato indietro. Non ne era sicuro però. Decise che
sarebbe tornato alla scia d’acqua che proseguiva fuori dal deserto sola
quando ne fosse stato certo, cioè quel pomeriggio. Iniziò ad incamminarsi
a trotto, non vedeva l’ora di liberarsi dai passeggeri. Arrivò la mattina
dopo alla scia d’acqua mentre ancora i passeggeri che portava dormivano.
Per primo si svegliò la palla pelosa, poi vedendo che la palla pelosa non
svegliava l’altra femmina senza peli, la svegliò lui, con un muggito.
Angelica si svegliò di butto e quasi le scappò un urlo di gioia quando vide
il fiume. Adesso era molto più tranquilla. Si rimisero presto in cammino
dopo che la specie di “macchina-animale” che li portava si fu rifocillata e
riposata. La notte, tutti e tre erano svegli e proseguivano il cammino alla
luce della luna e delle stelle. Solo più tardi, verso mattina inoltrata,
Angelica con grande stupore e gioia notò una cosa.
76
9
Una linea verde in lontananza, non corta come quella di un’oasi ma estesa,
parecchio estesa. Terra e non più sabbia, verde e non più arancione,
persone e non più animali. A quest’ultimo pensiero errato Angelica
singhiozzò, non c’erano città o umani ad aspettarla ma solo stupidi
scimmioni, i suoi antenati e qualche predatore feroce. Non vedeva l’ora di
arrivare all’ultima dimensione, quella sì che l’avrebbe gustata, con gioia e
spirito. Non ne poteva più, al diavolo vedere cose nuove. Beh, si replicò
fortunata aver finito il deserto, una parola che pare colorita ma che in
realtà è una tortura spenta senza nessuno. Adesso mi rivolgo a voi, provate
ad andare in un deserto soli oppure con il vostro animale ma senza nessuna
persona a farti compagnia. Magari la prima settimana la sopporterai ma poi
basta. La protagonista di questo libro è stata nel deserto per ben tre
settimane.
La linea verde era distante un giorno di cammino. Il cavallo-cammello si
stava abbeverando al fiumiciattolo, si sdraiò e si mise a dormire. Angelica
sapeva che la notte, mentre lei dormiva l’animale continuava sempre a
camminare, lo lasciò riposare. Jerry, felice di rilassarsi si arrampicò con
difficoltà sul corpo dell’animale. Esso provò a scuoterselo via ma alla fine,
troppo stanco, rinunciò. Era da parecchio che Angelica aveva ritirato tutte
le sue sacche dal fiume, quando all’inizio aveva scoperto che potevano
galleggiare. Si sedette e guardò il deserto, il sole stava tramontando.
Decise di lavarsi. Quand’ebbe finito. Si sedette e prese dalla sacca tre
frutti, ognuno diverso dall’altro. Erano gli unici che non erano stati messi
nel tortino. Prese la lente d’ingrandimento e provò a studiare quei frutti.
Ad un certo punto, un raggio di sole colpì il frutto che stava tenendo in
quel momento, perfettamente ovale, pesante e grosso, viola. subito il fiore
s’illuminò come se fosse stato fatto di piccoli diamanti violetti. All’interno
del fiume si vedeva un fiore. Sembrava di giglio. Il colore non si vedeva. Il
fiore era tenuto immobile da un liquido più scuro che gli si attorcigliava
attorno. La polpa sembrava trasparente. Con la lente d’ingrandimento vide
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una cosa spaventosa. Le cellule del frutto erano così grosse che bastava
una lente per vederle. Erano simili a piastrelle ovali, una attaccata all’altra,
o meglio scaglie. Angelica prese la punta del coltello e bucò una cellula.
La piastrella si divise per poi avvicinarsi alla metà staccata e
ricongiungersi. Subito sopra quella piastrella, se ne creò un’altra, come se
il frutto volesse essere sicuro di rinsaldare per bene la cellula. Angelica si
chiese come la strana cellula potesse essere all’interno. Si ripromise di
tenere quel frutto e qualcun altro per farlo vedere quando sarebbe tornata
nella sua dimensione… quando sarebbe tornata nella sua dimensione. Si
tirò su di morale e esaminò un altro frutto, rosso e schiacciato con dei
puntini gialli. Le cellule di questo frutto erano più piccole, non brillavano
ma si vedeva attraverso. Questa volta all’interno non c’era un fiore ma un
altro frutto minuscolo uguale dentro una sacca liquida. Si stoppò là di
esaminare perché il cavallo-cammello si alzò facendo scivolare giù dal
dorso un Jerry parecchio offeso. Così riprese il cammino. Non vedeva
l’ora di proseguire in un’altra dimensione. Quando cavalcò l’animale lo
spronò ad avanzare più velocemente con un po’ di maleducazione data
dall’ansia.
Si risvegliò il giorno dopo a un metro da una linea verde, subito si destò e,
aguzzando lo sguardo osservò. Erano arrivati ad una savana. Non era una
foresta ma lei sapeva che si trovava meglio in una distesa di terreno arido e
secco. Il suo fiume continuava imperterrito. Lei si ricordava le parole del
dinosauro: seguire l’acqua. Lo aveva fatto e adesso si ritrovava fuori dal
deserto. Sapeva che adesso, avrebbe dovuto salutare l’animale che doveva
ringraziare di più, colui che l’aveva portata fuori da una distesa di sabbia
più presto di quanto ci avrebbe messo lei: la sua macchina-animale, il
cavallo-cammello. S’inginocchiò affianco all’animale che stava bevendo
tranquillo. Gli prese il viso tra le mani e lo accarezzò cercando di mettere
nella sua memoria ben impressa l’immagine di quello strano animale. Esso
chiuse gli occhi ed emise un gorgoglio soddisfatto, come fusa. Decise di
continuare il cammino. Lo accarezzò sul dorso da cavallo, poi, caricandosi
le sacche in spalla riprese il cammino con Jerry al seguito.
Baciò il tronco del primo albero che vide come saluto al cammino nuovo
che stava per prendere. Poi, proseguì il cammino sul terriccio secco
bruciato dal sole.
Jerry parve felicissimo quando toccò il terreno e seguiva zampettando
allegramente la padroncina. Angelica era ben allerta. Quando era stata nel
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deserto, aveva anche scheggiato le selci facendoci delle belle lame affilate.
Non vedeva l’ora di proseguire verso la dimensione nuova. Il suo fiume
che l’aveva condotta fin lì era sparito sotto terra e lei non sapeva dove
andare. Vide un branco di animali simili a tigri sdraiati sul terriccio
all’ombra di un albero. Si sentì di nuovo sperduta. Era sola, con un po’
d’armi e un cagnolino. L’erba era molto secca, sembrava fieno. Le
arrivava alle cosce coprendole le gambe. Jerry non si vedeva nemmeno.
Angelica si abbassò quasi fino a terra con il coltello pronto per proteggersi
a qualsiasi eventualità. Vedeva grossi insetti simili a coleotteri, insetti
grossi, ovali e viola e molti altri ancora. Erano stranissimi e più Angelica li
vedeva, più non ne conosceva uno. Ad un certo punto fermò la sua
camminata a carponi sul terriccio. Jerry le si era avvicinato ringhiando
verso la sua destra. Angelica si fece piccola piccola sperando di non
attirare l’attenzione ma, questo accadde. Si ritrovò davanti il muso di una
strana iena. Era nera con una macchia bianca al petto, sulla testa e sulle
zampe. Il petto non era peloso ma la testa era incavata. La differenza che
più colpì la protagonista fu l’altezza dell’animale. Era un adulto eppure le
arrivava appena alle gambe. Si alzò in piedi per spaventarlo ma l’animale
non se ne andava. Sperò che Jerry non attaccasse la iena perché i denti
dell’animale, anche se basso, erano lunghi e affilati. Prima che Jerry
avesse il tempo di sferrare il suo colpo, Angelica ferì il muso alla iena ma
non prontamente, la iena le morse la mano che teneva il coltello. Aveva
anche sbagliato a mordere la mano perché si era ferita col coltello
tenendolo quasi in bocca. Insomma la iena scappò a gambe levate e la
ragazza si ritrovò un morsetto così superficiale che non sanguinava
nemmeno. Si riabbassò a terra per continuare a gattonare. Sbucò davanti
ad una caverna che sembrava parecchio confortevole. Dentro la tana però,
vi trovò un semi-umano. Era molto cambiato dall’ultima volta. Si teneva
completamente eretto anche se era parecchio basso. Aveva meno peli sul
corpo e sulla faccia ma sempre tratti parecchio scimmieschi. Ormai della
coda era rimasta una protuberanza. Era nel periodo degli Homo Herectus.
Gli scimmioni avevano imparato a stare in posizione eretta senza più stare
a quattro zampe. Vicino all’Homo Herectus si trovava un piccino. Era
carino ma parecchio impressionante. Il faccino non era molto peloso, la
faccia era completamente senza peli nella parte degli occhi, del naso e
della bocca. Le mani non avevano peli e le braccia pochissimi. Il piccolino
doveva camminare già bello dritto. Dormivano uno vicino all’altro.
Amorevoliiii. Chissà se l’avrebbero accettata nella loro tana. Angelica ci
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avrebbe provato lo stesso. Svegliò i due scimmioni che in pochi secondi si
ritrassero spaventati. La madre mostrò i canini affilati e strinse il piccolo.
Jerry si mise a ringhiare e lei lo zittì. Non voleva spaventare la famiglia,
solo farsi accettare. Entrò nella caverna celando il nervosismo. La
scimmiona si restrinse dall’altra parte della caverna col piccolo. Io mi
sedetti e le lanciai un tortino che lei, esitante, prese, annusò e mangiò. Era
ancora stupida, si fidò subito. Dopo un’ultima occhiata si sdraiò e si
addormentò. Non aveva pensato nemmeno ad attaccare l’estranea col cane
mentre dormivano. Niente. Avrebbero ancora dovuto imparare. Angelica
sbuffò, erano ancora ai primi passi.
Si può notare che fin qui la protagonista era rimasta ancora con istinti
parecchi umani e aveva ucciso solo per proteggersi. Adesso però, il deserto
le ha cambiato la mente e, come si può notare, oltre alle sapienze umane,
non prova più ripugnanza a uccidere se dovere. Si sentiva più forte e in
grado di terminare quell’avventure di lì a tra poco. Aveva imparato a
capire di più il mondo del suo cane e adesso, quando si trovava di fronte ad
animali che non conosceva, pensava sempre alla sua avventura nella prima
dimensione. Era riuscita a sopravvivere a veri mostri, adesso sarebbe
sopravvissuta fino alla fine. Peggio, era la condizione di Jerry. Lui era
abituato a dormire di più, mangiare cose specifiche e a volte più saporite e
dormire su divani, letti o cuscini. Le sue zampine non erano molto abituate
all’erba e alla terra anche se presto, lo saranno. Quella notte, i suoi sogni
erano popolati, per la prima volta dai suoi antenati. Il suo sogno fu molto
lungo. Dopo aver visto e leccato i propri genitori, iniziò a salutare tutti i
suoi antenati fino alle radici più profonde dei cani: i lupi. Li vedeva seduti
su un’alta roccia, col muso alla luna, in quel momento piena, che
ululavano con una gioia magica.
Quella notte passò così, fra istinti e sogni. Quando Angelica si svegliò, si
ritrovò il corpo di Jerry sulla schiena. Si rendeva conto del cambiamento
del suo comportamento. Così quella mattina quando si alzò, prese un frutto
che teneva nella sacca, lo aprì e, con il coltello vi fece un buchino. Il succo
iniziò ad uscire. Angelica non voleva sprecarlo. In fretta e furia, col dito
prese il succo rosso che fuoriusciva come sangue da una ferita e veloce,
iniziò a disegnare sul muro della caverna. I suoi pensieri, dalla mente
scivolavano giù fino al dito per uscire sulla parete della caverna. Angelica
adorava disegnare. Era particolarmente dotata. Si accorse alla fine ciò che
aveva disegnato: un tirannosauro che mangiava uno stegosauro, un orango
rosso che mangiava una banana, il trholl che aveva visto nell’oasi che
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inseguiva il cavallo-cammello che l’aveva aiutata nel suo viaggio e infine
lei, con in braccio Jerry che stava cavalcando sul cavallo-cammello. Ad un
certo punto, fece un gesto involontario. Prese il telefono dalla tasca dello
zaino e provò ad accenderlo. Quando si riprese e vide che teneva il suo
telefono in mano, fece per rimetterlo nella cartella ma, d’improvviso,
s’accese. Con estrema meraviglia, senza dire una parola, digitò il codice
pin per entrare. Baciò lo schermo quando vide la foto che aveva messo
come sfondo. Lesse tutti i messaggi e le chiamate perse che aveva.
Quarantadue chiamate e venti messaggi. Aprì ognuno. Vedendo che
poteva leggere i messaggi, non ci pensò due volte a chiamare la madre.
Un’onda di delusione le cadde addosso quando, con immenso dispiacere
vide che non poteva chiamare, mandare messaggi e andare su internet. Si
consolò guardando le immagini che aveva scattato. Fu un sollievo rivedere
il volto di sua madre. Se l’era quasi scordato. Appena vide tutte le foto, si
ricordò di tutto, tornò più umana e decise subito di scattare una foto al
disegno che aveva fatto alla caverna e l’ambiente di fuori. Fotografò ad
uno ad uno i frutti strani che aveva e un tortino. Solo quando si girò, si
ricordò della famiglia di Homo Herectus. Ebbe il tempo di scattare una
foto prima che la famigliola si svegliasse. Il piccolo si strinse alla madre e
guardandola si mise a mugolare come se gli stesse parlando. La madre non
sembrava molto preoccupata. Adesso che si vedeva viva e vegeta dopo una
notte con due animali parecchio strani che potevano essere nemici, iniziò a
fidarsi senza considerarli cattivi. Mosse un passo in piedi verso di me ma,
Jerry si svegliò di punto in bianco e si scagliò contro la scimmia
ringhiando. Il piccolo si mise a girare in tondo in un attacco nervoso.
Angelica prima che Jerry potesse toccare la scimmia, lo afferrò tirandolo
indietro e lo zittì. Dopo dieci secondi Jerry smise di ringhiare, dopo altri
dieci secondi smise di brontolare e si zittì. La scimmia-umana era
parecchio scioccata. Prese in braccio il piccolo e se lo strinse al seno
peloso. La ragazza gli lanciò delicatamente due tortini. Lei non li mangiò e
non si avvicinò. Aveva gli occhi solo per gli, ormai, nemici. Angelica si
sedette con Jerry in grembo. Solo dopo cinque lunghi minuti, si avvicinò ai
tortini con lo sguardo fisso verso i nemici e, portandone uno alla bocca, si
ritirò di nuovo, molto lentamente, verso il piccolo. Gli porse l’altro tortino
e si sedette. Che impressione! Più la ragazzina guardava la famiglia più
s’impressionava. Erano troppo simili a lei. Più brutti, certo, molto più
brutti di qualunque umano super brutto sulla terra ma, certo, tra di loro si
ritenevano belli. Angelica uscì lentamente dalla caverna e si ritrovò sotto il
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sole cocente. Accarezzando Jerry tornò al suo cammino. Superò una grossa
pozzanghera. L’acqua così pulita che non si vedeva. La tradiva il sole che
si rifletteva su di lei. Dopo aver superato la pozza, camminò sul terreno
arido. Un’enorme lucertola, più grande di un attuale Drago ma più piccola
di un coccodrillo, si mise a scavare con forza per entrare dentro la tana di
una possibile preda. Continuando a camminare, vide un grosso uccello
marroncino con le lunghe piume a strisce nere. Jerry corse incontro
all’uccello facendolo scappare via terra. Iniziò la rincorsa. Jerry correva
velocissimo ma l’uccello era ancora più veloce. Alla fine decise di lasciare
in pace il povero volatile e tornò indietro da un’ Angelica parecchio
divertita. Continuarono il cammino fino a tardi senza problemi. Sempre
all’erta di eventuali predatori. A sera tardi, si fermarono stremati sotto un
alto albero. Faceva parecchio caldo. Ad un certo punto, mentre la
ragazzina stava facendo foto all’habitat e Jerry dormiva. Si scosse
preoccupata quando sentì qualcosa di morbido toccarle la gamba. Si girò di
scatto e vide la causa di ciò. Un animaletto simile ad un echidna ma con il
muso più corto, il corpo più piccolo e senza spine, stava cercando di aprire
la sacca con il cibo. Quando vide che la ragazza lo stava osservando. Si
appiattì al suolo come se volesse scomparire ma i suoi occhi neri e vispi lo
tradivano. Angelica gli porse un tortino. L’animale allungò la lingua e
afferrò il cibo. Decise subito di fidarsi. Si avvicinò alla ragazza e le si
arrampicò sopra le gambe. Jerry si svegliò e si mise a ringhiare. Non era
spaventato dall’animale perché era perfino più piccolo di lui ma gli dava
fastidio che l’animale toccasse la sua protetta. Lo strano echidna,
indietreggiò lentamente e si mimetizzò col terreno. Angelica rise e lo
toccò. Evidentemente quel gesto spaventò l’animaletto che si ritrasse.
Nessuno l’aveva mai toccato. Jerry per avvertirlo che la sua protetta era
solo sua, si mise fra le braccia di Angelica che lo strinse allegramente
sussurrandogli nell’orecchio: <<Non essere geloso Je>>. Angelica diede
un altro tortino all’animaletto. Vide in lontananza anche un piccolo gruppo
di babbuini che attaccati ai rami facevano piroette. Uno struzzo correva
veloce inseguito da uno strano animale simile ad un leone ma con le zanne
poco più corte della “tigre dai denti a sciabola” e anche più corta. Lo
struzzo si dirigeva verso di lei. Tra poco sarebbe stata un’altra facile preda
dell’inseguitore. Si mise a correre con Jerry in braccio. Si girò un attimo e
si accorse che lo strano riccio-echidna la seguiva. Lentamente ma la stava
seguendo. Tornò indietro e si caricò nel braccio che tirava le sacche anche
l’ echidna. Si ritrovò in una parte di savana più riparata ma anche popolata.
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Uno strano rinoceronte peloso, stava scavando con la zampa una parte di
terreno fangoso. Un uccello simile alla lira ma più piccolo e più brutto
stava dentro la sua tana dentro un tronco sul muschio. Un coccodrillo
prendeva il sole sulla sponda di un laghetto acquitrinoso e si pappò una
rana viola che era uscita dall’acqua con un saltino. Vide anche una
tartaruga che pesantemente si spostava verso un albero affamata di ombra
e freschezza. Angelica si sedette sotto un albero vicino ad un sasso per
riposare. Stava per prendersi un colpo quando vide che vicino al sasso
c’era una tana minuscola. Ne uscì un enorme ragno nero. Angelica fece un
balzo di lato schifata. Con immensa paura vide il ragno avanzare con le
tozze zampe pelose verso la sua sacca per il cibo. Non riusciva a muoversi.
Jerry non capiva cos’avesse la sua protetta, c’era solo un insetto che si
stava avvicinando. Ad un certo punto dal cielo azzurro calò di volata un
grosso uccello con il becco lungo e nero, gli occhi rossi e il corpo marrone
a parte una chiazza bianca sul petto. Calò in direzione del ragno e prima
che questi avesse avuto il tempo di nascondersi nella sua tana, non c’era
più. Sparito nella bocca del grosso uccello. Angelica non si seppe
trattenere, emise un urlino di gioia che fece spaventare l’uccello. Peccato
lei avrebbe voluto dargli un tortino per mostrargli la sua grati dune. Il
povero animaletto che teneva in braccio vicino a Jerry s’era rinchiuso a
pallina come se fosse stato un armadillo, peccato che non aveva la corazza
ma sottili aculei neri e bianchi. Lo posò per terra e lui si schiuse solo dopo
essere stato certo di non veder altri predatori. Jerry saltò a terra dopo di lui
e si scosse per pulire il pelo da una polverina rossa che aveva il terreno. Si
sedette a terra. In quel momento sembrava proprio un vero Chihuahua
proveniente dal Messico, tosto, coraggioso e instancabile. Angelica buttò a
terra le sacche provocando una nuvola di polvere rossa. il rinoceronte si
girò a guardarla, il coccodrillo non si degnò. Nella radura a farci
compagnia arrivò un felino simile al ghepardo, più robusto, rossiccio e con
i due denti sporgenti. Aveva sempre le macchie nere sul pelo però. Dietro
al felino uscirono da un cespuglio tre cuccioletti ed un maschio adulto. La
famigliola perfettamente radunata si sdraiò all’ombra. Non sembrava
avessero voglia di cacciare, quindi Angelica decise di rimanere lì. Prima
che si facesse tardi, erano tornati già in cammino e avevano percorso un
chilometro e mezzo seguendo la via del fiume. Lo strano echidna li aveva
sempre seguiti, lento ma instancabile. Si erano fermati tutti vicino alla foce
di un fiume per riposare. L’aria era umida e piena di zanzare. Angelica si
preparò un unguento con alcune foglie dall’odore molto forte e se le
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spalmò addosso, così provò a fare anche con Jerry, senza molta riuscita. Si
sdraiò su di una coperta fatta con la pelliccia del primo animale che aveva
ucciso nella seconda dimensione. Si sentiva sola. Non c’era niente e
nessuno di veramente umano. La mancanza più grande era sapere che
aveva ancora molti altri passi da compiere per finire quell’avventura. Le
mancavano estremamente la vicinanza di un umano. Soprattutto il suo
migliore amico, o fidanzato, Federico, la famiglia, la città e i professori. Se
si era ridotta a sentire la mancanza dei professori allora immaginate
com’era forte il dolore che provava. Sapeva di essere stata l’unica a
sopravvivere a quell’avventura. Prese il suo telefono. L’aveva tenuto pento
fino a quel momento, non voleva scaricarlo. Mise della musica facendosi
trascinare dalle note di Diamonds, Rihanna. In quel momento si accorse
quanto le mancava veramente il suo mondo. Mai avrebbe voluto nascere
qualche secolo prima, o millennio. Si perse nella musica con una tale
passione che non si accorse più di niente. In quel momento sentì Jerry
ringhiare e si distrasse un attimo per vedere un Homo Herectus con un
bastone con attaccata una pietra venirle incontro. Dietro di lui un intero
gruppo. Le rivolse un brusio. Non riusciva a capire, per lei poteva dire
tutto ma niente. Si trovai un altro Homo Herectus dietro, decise di
spegnere la musica. Lo scimmione che le stava dietro si mise ad annusarle
la schiena e le gambe, era molto più basso di lei. In risposta alle sue
attenzioni, gli rivolse un calcio alla gamba. Lo scimmione soffiò e mi
mostrò due lunghi canini affilati. Presi la mia roba e con Jerry riuscì a
fuggire via. Gli altri due erano più lenti. Non la raggiunsero. Angelica si
appostò facendosi il covo di prima e si mise a riposare.
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Il giorno dopo si svegliò ritrovandosi l’echidna a fianco che l’aveva
raggiunta e Jerry fra le braccia. Il telefono spento nello zaino. Si ricordò
del giorno prima e si rimise in marcia. Quando giunse il pomeriggio, si
fermò sempre presso il fiume. Vide arrivare dalla foresta un gruppo di
Homo Herectus. Si nascose dietro ad un cespuglio chiudendo la bocca a
Jerry per non farlo abbaiare e gli sussurrò parole di conforto. Il cane smise
subito di abbaiare e si affacciò cauto per vedere. Il gruppo s’era
accovacciato a terra e, mettendo le mani a coppa, portava l’acqua del
laghetto alla bocca. Ad un certo punto, vide un piccolo che si era staccato
un dente. Lo vide anche Angelica. Il piccolo si mise a urlare col dentino in
mano. Il genitore gli si avvicinò, gli tolse il dente di mano facendolo
cadere a terra e prese il piccolo in braccio consolandolo con un fitto brusio.
Quando il gruppo se ne andò, si avvicinarono cauti al luogo col dente.
Angelica lo prese e, dopo averlo pulito nell’acqua del laghetto ed essersi
pulita le mani, se lo mise in cartella. Adesso aveva parecchi pezzi
magnifici e inestimabili. Il dente era ingiallito, grosso ma parecchio simile
ad un molare. Continuò il cammino fino a tardi e come il giorno prima si
riposò riparata da un cespuglio di rovi. Continuava a seguire il percorso
del fiumiciattolo quando si perse in un lago. Ad un certo punto dalla
superficie dell’acqua comparve uno strano muso. Cos’era, il mostro di
Locness? Il muso si avvicinava a riva e uscì dall’acqua anche la superficie
di una testa. Era l’alba e non si vedeva bene. Angelica non sapeva se
andarsene o vedere cosa sarebbe arrivato dal lago. Si nascose meglio che
poteva. Jerry non sembrava molto preoccupato, magari non si era neanche
accorto del muso che si avvicinava alla sponda. Finalmente vide la causa
delle sue agitazioni. Si mise a ridere quando vide che cos’era la causa della
sua agitazione: un ornitorinco. Mamma mia, s’era presa quella paura per
un ornitorinco. La sua risata spaventò l’animale che si ritirò da dov’era
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venuto. Angelica continuò il cammino seguendo un fiumiciattolo che
ripartiva dal lago.
Verso sera il tempo si oscurò. Grosse nuvole nere e cariche di pioggia
solcarono il cielo, l’aria si fece di punto in bianco gelida. Non si vide più
un animale in giro. Niente. Angelica girò intorno per trovare qualche luogo
ove nascondersi. Vide una caverna vicino al fiumiciattolo che, nel
frattempo era parecchio agitato. La caverna era più vicina ad un laghetto.
Non era quello dell’ornitorinco perché l’aveva superato da parecchio ma
un altro. Si diresse correndo verso quella parte. Jerry era agitatissimo.
Quando entrarono nella caverna, sentirono un forte tuono che solcava il
cielo. Li raggiunse dopo poco l’echidna tutto fradicio e spaventato. In
cinque secondi Angelica appiccò un fuoco per riscaldarsi. Era così
ghiacciata che il caldo del fuoco riusciva a stento a farsi sentire. Stava
riscaldandosi con i due animali quando sentì una voce: <<Angelica, brava
hai seguito il tuo istinto. Adesso devi proseguire verso la prossima
dimensione. Sbrigati! Oggi gli Homo Herectus sono diventati Homo
Sapiens. Uno di loro ha scoperto il fuoco per sbaglio. Prima che iniziasse
sta bufera e adesso si stanno riscaldando. Vieni se vuoi tornare nella tua
dimensione..>>. Angelica non lasciò il tempo di finire la frase alla voce. Si
gettò fuori dalla caverna dopo aver salutato lo strano echidna e avergli
lasciato cinque tortini. Jerry era dietro di lei. Non sembrava agitato per la
voce ma solo per il tempo. angelica si diresse verso il lago, le sue acque
stavano straripando. In quel momento vide un lungo ed enorme delfino con
i denti lunghi e acuminati.
<<Sbrigati, entra in questa bolla d’aria>>. Era proprio il delfino preistorico
che aveva parlato. Teneva sulla schiena una grossa bolla d’aria.
<<Dai, il portale si sta chiudendo>>. Poiché la schiena dell’animale
toccava la spiaggia, Angelica non toccò acqua. Mise tutto dentro l’enorme
bolla d’aria come se fosse stata una valigia trasparente. Poi salì lei e prese
il cane un secondo prima che il delfino si fosse inabissato. La bolla d’aria
era parecchio figa. Sembrava di stare dentro una palla elastica e
trasparente. Mancava solo la porticina. Jerry si sdraiò sul dorso piatto e
liscio dell’animale. Angelica si guardò intorno. Vedeva alghe, coccodrilli,
pesci enormi, uova, squali strani e spettacolari. Sembrava di stare in un
film horror.
<<Tra poco il portale si chiude!>>. Adesso lo vide il portale. Una luce
bianca a forma di cerchio si stava per chiudere. Il delfino nuotò più veloce
che poté e finalmente sganciò la ragazza e il cane, con tutte le sacche
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dall’altra parte del portale. Si ritrovarono in un terreno arido bagnato da
una sottile pioggerellina. Non ebbe il tempo nemmeno di ringraziare il
delfino che già il portale s’era chiuso. Jerry si scrollò il pelo dalla pioggia.
Cercarono velocemente un riparo ma non c’erano caverne. Si ripararono
sotto ad un albero.
Quando smise di piovere. Angelica iniziò ad addentrarsi nella savana. Per
adesso nessun animale era ancora uscito. Adesso avrebbe dovuto
incontrare uomini quasi normali. I sapiens, coloro che hanno scoperto
tutto, coloro che erano come lei, o quasi. Adesso non sapeva proprio
cos’aspettarsi. L’habitat era uguale a quello dove vivevano gli Homo
Herectus. Proseguì il cammino seguendo il percorso di un fiume con Jerry
che allegramente le zampettava dietro. Lui, quella notte aveva sentito
l’ululato di sua madre che gli diceva: <<Tutto ciò che stai passando lo devi
fare. Tutto ciò che ti accadrà è il tuo destino. Proteggi la tua protetta fino
alla fine di tutto>>. Jerry non aveva capito a quale fine stesse parlando la
madre ma aveva capito quasi tutto. Adesso, non sentendo la presenza di
nemici zampettava tranquillo sul terriccio fangoso. Aveva percepito un
gran cambiamento, parecchio misterioso, qualcosa che nemmeno la sua
protetta poteva capire. Quella sensazione l’aveva già avuta quando dai
dinosauri era entrato nel mondo dei mammiferi.
Angelica vide un grosso struzzo che stava covando. Non sapeva che gli
struzzi fossero esistiti di già. Beh, magari non erano proprio struzzi.
L’ultima e prima volta che ne aveva visto uno in quell’avventura era
inseguito da un felino parecchio strano. Osservò a lungo lo struzzo. Ecco il
cambiamento. Il collo non era completamente nudo ma peloso, la testa più
massiccia e le zampe più corte e più pelose. Girò a larga dal grosso
uccello. La savana era tranquilla. Ai margini del terreno arido, iniziava un
terreno erboso, arido ma con molti alberi. Si addentrò. Vide un piccolo
animale, doveva essere erbivoro, col muso da tapiro ma il corpo da
cerbiatto. Stava sradicando una radice per mangiarsela. Quando vide dei
possibili predatori, sparì dalla vista. Angelica vide anche, nascosta dietro
una pianta, un becco nero. Si affacciò per vedere. Fu sorpresa dal vedere
un Kiwi che stava covando un uovo grande quanto lui. I Kiwi nel suo
mondo ormai erano estinti. Sorpassò l’uccello grosso e affascinante. Jerry
era parecchio curioso, annusava di qua e di là spaesato. Il cielo si diradò e
arrivarono, ad una spiaggia molto piccola. Che bella! Era dalla prima
dimensione che non ne vedeva una. Quella spiaggia era rocciosa, al posto
della sabbia aveva una fanghiglia grigia. Sembrava disabitata. Nel cielo
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volavano uccelli molto misteriosi. Ad un certo punto, sulla fanghiglia della
spiaggia, venendo dall’acqua, si fermò un Limulo a prendere gl’ultimi
raggi del sole. È vero, Angelica non se l’era ricordata più ma aveva
studiato che il limulo era stato uno dei primi animali a sopravvivere fin dal
periodo dei dinosauri. Sembrava vedere una corazza che si muoveva. Il
limulo afferrò un piccolo granchio e se lo pappò in un soffio. Angelica si
avvicinò all’acqua, dietro di lei Jerry che, curioso e spaventato provava a
toccare l’acqua. Era già stato in una spiaggia ma quel piccolo tratto era
molto diverso. Il limulo non si spaventava, si vedeva che era abituato a
vivere in mezzo a possibili predatori. Si accampò su uno scogli etto che
spuntava dalla fanghiglia-sabbia. Lo scoglietto era asciutto, scuro e
massiccio. Angelica vi si sdraiò sopra coprendo la superficie con il suo
giaccone. Jerry con un saltino le fu accanto e posò il musetto sotto l’ascella
calda della sua protetta. Lo scoglio era abbastanza alto da non toccare
umidità e al sicuro da qualunque animale curioso. Si addormentarono
verso pomeriggio inoltrato con i sensi all’erta ma un grande sonno che
pesava su di loro come un pesante macigno.
Si svegliò poco prima dell’alba e bastò un suo sospiro per svegliare anche
Jerry. Si trovò da sola con il sole nascente. L’unico animale in vista: un
uccello dal becco azzurro con la testa nascosta dalle sue ali perché stava
dormendo. Quando Angelica si alzò, l’uccello drizzò la testa, la guardò e
volò via per andare a posarsi su di un altro scoglio che spuntava dal mare.
angelica era confusa. Quelle piccole spiagge fangose non dovevano
esistere in Italia, da dove era spuntata o in America probabilmente. La
fanghiglia-spiaggia era divisa dalla savana grazie ad un terreno molto
morbido. Angelica tornò verso la Savana e trovò un fiumiciattolo
acquitrinoso che scorreva vicino alla spiaggia. Decise di seguire quello che
lo portò, ben presto, verso pomeriggio inoltrato, in un’aperta distesa di
erba secca e alberi. Gli animali dormicchiavano sotto gli alberi, solo
qualche uccello, serpente o insetto stava girando. Angelica col coltellino in
felce si faceva strada tagliando l’erba e spostando gli uccelli pur di non
toccarli. Vide in lontananza sei casette bianche e marroni a cupola, o
almeno le parve. Vi corse subito incontro sperando di vedere case normali
ma invece trovò casette fatte di alte ossa e rametti, coperte da pellicce
legate tra di loro. Tanti uomini, donne e bambini stavano preparando
utensili, pellicce da usare in vari modi, case e molte altre cose. Le parve
veramente strano vedere che, in un villaggio di soli sei casette vivevano
parecchi umani. Gli uomini erano andati a caccia, alcuni erano andati in
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perlustrazione di grotte o nuove prede. Angelica si stupì per quanto quegli
scimmioni s’erano sviluppati in una sola dimensione. Sembravano veri
umani a parte facce dai tratti scimmieschi, lunghe e folte barbe marroni o
nere e capelli lunghi per tutti. Indossavano solo gonnellini stretti da fasce
sempre in pelle. I bambini cercavano bacche e aiutavano le madri,
sembravano molto simili a quelli di oggi ma tutti o bruni o dai capelli neri,
la pelle però era per tutti uguale: marrone terra. Si sentì puntare un’arma
contro la schiena, si girò spaventata. Jerry era attaccato con i denti ad un
lungo bastone con attaccata una punta di selce. L’uomo scosse il bastone
colpendo il cagnolino che rotolò a terra. Tornò in attacco ma questa volta
svenne. Angelica tirò fuori due coltelli di selce, non voleva perdere per poi
farsi ritirare i suoi coltellacci, estremamente utili che non avrebbe mai
dovuto perdere. Affianco all’uomo ne comparirono altri tre e due donne.
Angelica dopo aver preso in braccio Jerry e preso le sue sacche venne
trascinata al centro del piccolo villaggio e costretta ad inginocchiarsi
davanti ad un uomo tozzo, basso e muscoloso, doveva essere il capo. Parlò
con una voce ben distinta, Angelica non capiva. <<Ciao>>, fu capace di
dire ma purtroppo non venne capita. Le sue sacche e anche la giacca
vennero sequestrate, anche le sue due punte di selce. Era nei casini, in
grossi casini. Adesso per non farsi uccidere, avrebbe dovuto far leva sulla
paura del popolo. Come se non la capivano? Ci pensò ben presto quando
fu costretta dentro una casetta in ossa coperta di pelli come se fosse una
capanna.
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Jerry era ancora svenuto e stava sdraiato in un angolino della capanna.
Angelica adesso non aveva niente, sarebbe dovuta uscire da quella
capanna. La “tenda” era molto piccola, per starci dentro e non sbattere,
sarebbe dovuta rimanere in ginocchio. La porta era intrecciata con rami
lunghi ed elastici, il contorno della porta invece era fatta di ossa collegate
fra loro tramite fango seccato al sole, foglie e rametti. La porta era fatta
molto bene, impossibile da sorpassare se non con un’arma o qualcosa di
appuntito. Lei aveva la punta delle sue scarpe che erano affilate. Ciò che
apriva la porta era un filo collegato ad un ossicino, avrebbe dovuto tagliare
il filo. Poiché l’apertura era molto bassa, le bastò stare seduta, allungare il
piede e con il calcagno tagliare il filo. La porta si aprì con un TAC. Aveva
aperto la porta in un modo sbagliato, avrebbe dovuto slegare il filo legato
ad un osso anzi che tagliarlo. Adesso, pezzo per pezzo la capanna stava
cadendo. Angelica ne uscì con entrambe le mani occupate. In una teneva
un Jerry che, appena svegliato era molto confuso, nell’altra un… osso.
Quando lo vide, lo scagliò in aria parecchio schifata. Le ossa poteva
vederle solo quando facevano parte di una bella e succosa coscia di pollo.
Le venne fame, la mattina non aveva ancora mangiato. Tutta la tribù si
girò verso di lei parecchio spaventata. Aveva fatto centro! Fu condotta
nella capanna del capotribù. Non aveva una porta ma in compenso era
molto spaziosa, come una tenda. Venne fatta inginocchiare e la costrinsero
a rinchiudere Jerry in un’altra capanna. Lasciato Jerry, venne di nuovo
portata nella tenda del capotribù. A fianco ad esso c’era un uomo
mingherlino dall’espressione cupa, immaginò dovesse essere lo stregone e
altri tre uomini, indubbiamente gli Anziani. Lo stregone si girò verso un
Anziano e si mise a parlare in tono concitato. Poi si girò verso la ragazzina
e provò a parlarle, senza successo. Allora chiamò una donna, bassa dai
capelli neri, vestita con un semplice gonnellino. La donna appena arrivata
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s’inchinò di fronte agli uomini e ascoltò i loro ordini. Angelica era
parecchio disturbata, come poteva una donna farsi trattare così? La donna
uscì e tornò con due ciotole fatte in osso. Li porse alla ragazza che, non
poco stupita per essere accettata così, li afferrò e vi guardò dentro. Non
sembrava avvelenato il cibo. C’erano due grosse fette di carne mischiate a
semi dall’aspetto immangiabile e nell’altra ciotola dell’acqua. Angelica era
non poco schifata di dover mangiare la carne con le mani ma non aveva
alcuna scelta. Prese una fetta e iniziò a masticarla lentamente e con
educazione, buona. Si avvicinò la ciotola alla bocca e bevve lunghe
sorsate. La sua gola era molto secca prima, fu un sollievo sentirla
rinfrescata e soddisfatta. Non finì la porzione enorme e la ridiede alla
donna con un sorriso accompagnato da un “grazie”. La donna non poteva
capire ma immaginò che la stesse ringraziando. Si stupì non poco, nessuno
l’aveva mai ringraziata e adesso quella straniera di cui aveva paura
notando la sua intelligenza avanzata la stava ringraziando per un cibo che
le aveva portato ad un ordine del capo. Angelica sentì il tono parecchio
offeso che usciva dalle voci esili degli anziani, anche se dovevano avere
solo trent’anni. Capì di aver fatto un errore e s’inchinò di malavoglia.
Sapeva di doversi adattare a quella specie di monarchia, anche se la
temevano l’avrebbero uccisa se non si sarebbe abituata alle loro regole,
almeno in parte. Provò a mostrare alla piccola tribù la sua richiesta: voleva
tornare dal suo cane e lasciata libera. Venne capita e infatti due uomini
barbuti con un gonnellino anche più corto degl’altri l’accompagnarono
nella tenda di Jerry e ve la rinchiusero. Di liberarla, niente da fare.
Angelica era un po’ scocciata, perché non era finita in Egitto? Almeno gli
egiziani in quel tempo eran già molto avvantaggiati di scoperte e anche di
case. Accarezzò Jerry e pensò all’avvenire. Lei rivoleva la sua roba, non
avrebbe dormito sul terreno pieno di erba secca e insetti della tenda.
Questa volta, non distrusse la nuova tenda ma aprì la porta slegando il
nodo seguita da un Jerry così impettito che pareva un soldato. Venne
accolta dalle lance di quattro soldati. Prese Jerry in braccio che intanto
ringhiava a chiunque volesse toccarla. Lei non si fermò. Girò la punta di
una lama che le premeva troppo il petto e con uno schiaffetto altre tre. I
soldati allora la circondarono e le piazzarono ogni lama puntata alla
schiena e al petto. Finalmente arrivò un altro uomo della tribù che ad un
ordine fece abbassare le lance e senza toccarla la seguì con la lancia
puntata alla sua schiena nella capanna del capo. L’uomo la fermò e andò a
chiamare un suo compare che la tenesse di guardia mentre lui entrava nella
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capanna per chiedere al capo se volesse ricevere un’altra visita della
sconosciuta. Finalmente tornò e condusse la ragazza all’interno. Angelica
si mise in ginocchio e spiegò a gesti che rivoleva la sua roba indicando la
sua maglia, i pantaloni attillati, le lance che le stavano puntate addosso per
poi avvicinare un dito al suo petto toccandolo dicendo – mio – finalmente
il capo capì e andò a chiamare lo stregone. Si misero a parlare sussurrando.
La loro lingua era stranissima, semplice ma impossibile da capire. Si
trovavano in America, di questo Angelica ne era certa perché in Italia era
già il periodo dell’Era Glaciale, ma non capiva un h di ciò che dicevano.
Perché non parlavano il Latino? Lo stregone le rivolse la parola ma con
tono negativo, non gli avrebbero dato niente. Non si fidavano ancora di lei.
Venne scortata di nuovo nella capanna con a bada dell’entrata tre guardie
munite di lance. Angelica si sedette e appoggiandosi alla tenda con Jerry
sulle ginocchia, si era stupita perché il cane non aveva mai ringhiato nella
capanna del capo, si addormentò.
Si svegliò all’alba con due ciotole a fianco e Jerry sdraiato sulla sua
scarpa. Mangiò e bevve dalle due ciotole e svegliò Jerry porgendogli gli
scarti. Lui non parve accettare ma bevve soltanto. Faceva caldo, l’aria
secca penetrava nella capanna facendo sudare sia lei che Jerry. Decise di
uscire. Fece rumore per avvertire che stava uscendo e si ritrovò fuori in un
mare di frecce di felce. La portarono, non in una capanna ma in una grotta,
questa volta già abitata da una famiglia: un uomo, una donna ed un
bambino di circa due anni. Il bimbo corse incontro ad Angelica felice di
vedere un nuovo arrivato e curioso dagli abiti che portava la ragazza,
venne respinto dal padre bruscamente ricevendo una pesante sculacciata.
Jerry aveva smesso di ringhiare, la sua paura era solo diretta all’uomo.
Angelica venne accompagnata dalla donna in un angolo della grotta su di
una montagnetta di pelli. Angelica la sistemò a mo di sedia e subito Jerry
le fu a fianco per sdraiarsi su qualche cosa che gli ricordava, anche seppur
minimamente, un cuscino. L’uomo uscì dalla grotta per andare a caccia
dando alla donna un coltello in selce in caso di necessità. La donna si
avvicinò ad Angelica e con diffidenza la toccò, Jerry le ringhiò contro ma
lei lo tranquillizzò. La donna con parecchio timore provò a spogliarla per
lavarla in un catino fatto in osso all’angolo più remoto della grotta.
Angelica capendo il pensiero si spogliò da sola e lasciò tutto sulle pellicce.
La donna era molto curiosa di vedere quello strano abbigliamento tanto
che si soffermò a guardare a lungo la maglia, il reggiseno, i pantaloni, i
calzini e perfino le mutande. In tanto Angelica, trovando nel catino acqua
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pulita e non usate, dopo giorni si lavò come faceva di solito, senza saponi
però, anche i capelli che strofinò accuratamente prima di uscire ed
asciugarsi coprendosi con le pellicce per terra. Poiché le facevano schifo
per asciugarsi, le usò solo come copritore. Bastò una folata di aria calda
per farla asciugare accuratamente. Si rimise mutande, reggiseno e andò a
sedersi sulla sua solita pelliccia per asciugarsi definitivamente. La donna
dopo aver studiato ogni suo movimento, si sedette di fronte ad Angelica
ma dalla parte opposta appoggiata alla calda roccia della caverna e si mise
a lavorare più pellicce per farci tanti vestiti. Assomigliava alla “sarta del
villaggio”, o poteva essere. Solo in quel momento, mentre la ragazza stava
guardando il viso scuro della donna e le abili mani, si ricordò di avere un
bene prezioso in tasca: il telefonino. Subito, dopo essersi vestita lo accese
e, fece una foto di nascosto alla donna che non se ne accorse poiché non
era in modalità flesh. Si mise ad ascoltare la musica seguendo le note di
Katy Perry. La donna alzò la testa di scatto e smise il suo lavoro irruppe in
un’esclamazione stupita e spaventata. Angelica sperò di non aver cambiato
il futuro ancora di più, sperò che quell’avventura fosse solo un suo sogno o
più probabilmente, perché dal canto suo non aveva sognato, un’avventura
destinata a lei come le aveva detto lo strano delfino preistorico e
spaventoso per portarla lì. La donna le si avvicinò col coltello sfoderato
ma Angelica non le mostrò il minimo segno di aggressione, anzi le fece
spazio per farla sedere, cosa che fece quasi subito per curiosità. Angelica
provò a mostrarle il telefono ma voleva anche spaventare la donna e farle
capire che quel telefono era un’arma molto preziosa che solo lei la poteva
toccare, chi l’avesse fatto al suo posto, sarebbe morto. Dopo tanti gesti,
espressioni spaventose e indicazioni, la donna capì e si tenne alla larga,
sempre guardando lo schermo luminoso. Angelica sentì un po’ di musica,
guardò a lungo le foto che aveva nell’album e poi spense il telefono per
non scaricarlo. Era da cinque minuti che aveva spento il telefono e si era
sistemata quando sentì un urlo provenire da un’altra grotta, erano voci di
bambini. Si alzò di scatto precipitandosi fuori seguita dalla donna e si
affacciarono alla grotta a fianco. Era piena di bambini. Angelica si fece
l’argo e vide verso un’altra entrata ad Est una donna che veniva assalita da
un’enorme felino preistorico dalle fauci sporche di sangue della donna. Gli
uomini non erano ancora arrivati. Angelica non ci pensò su, strappò il
coltello dalle mani della sua compare donna della grotta a fianco, si fece
spazio fra i bambini e si gettò sul felino preso di sorpresa. Gli conficcò la
lama nell’occhio e poi nelle fauci che si spalancarono lasciando la gamba
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della donna, l’animale scappò ma venne assalito dagli uomini che intanto
erano arrivati. Angelica rimase così, in piedi col coltello insanguinato fra
le mani. Si riprese quando Jerry le appiccicò una leccata sulla gamba e
un’altra sul ginocchio. Un uomo le si avvicinava, era il capo seguito dalle
stregone. Sulle mani del capotribù c’erano parecchie sacche. Le riconobbe
quando, con un gesto elegante gliele mise ai piedi con un sorriso sulla
faccia barbuta. Erano le sue sacche. Fece cadere il coltellino che aveva in
mano e si mise le sacche in spalla. La donna assalita era accerchiata da
tanti adulti e i bambini stavano tutti schiacciati in un angolo. Angelica
venne accompagnata nel centro del villaggio seguita da grida di gioia.
Aveva salvato la vita ad una donna e a molti bambini. Un soldato le mise
davanti la carcassa dell’animale che poco fa aveva accecato ucciso dagli
uomini. Le dispiaceva ma sapeva che non l’aveva ucciso lei, s’era
occupata soltanto di accecarlo per farlo scappare.
Adesso si fidavano di lei.
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Angelica sfilò subito dalle sue sacche i suoi coltelli per poi analizzare gli
strumenti. Nessuno li aveva rovinati ma capì che gli anziani, il capo e lo
stregone li avevano analizzati molto attentamente. Quella sera tutto il
piccolo popolo (quindici persone), si era radunato in cerchio intorno ad un
focherello acceso dopo molte peripezie da più uomini. Angelica non aveva
voluto mostrare l’accendino per paura di non trovarlo più rubato dal
popolo. Era felice di trovarsi dopo tanto tempo in mezzo a umani, non
molto sviluppati ma sempre persone capaci di tenerle compagnia. Si
sentiva però molto esclusa, lei non avrebbe dovuto partecipare a quel
fuocherello allegro. La compagnia dell’allegria della gente le tirò su il
morale. Aveva sempre tenuto le sue sacche con sé per paura che qualche
persona del popolo, mal contenta di un’estranea, andasse a rubare le sue
cose, quindi adesso prese dalla sacca del cibo un tortino, lo spezzò in due e
metà la diede a Jerry che, stanco della lunga giornata allungò solo la
linguetta per afferrare l’offerta sulla mano della sua protetta. Lei si trovava
a fianco ad un anziano e ad una donna. L’anziano, un uomo sui cinquanta
con la barba grigia con alcuni peli neri rimasti e con pochi capelli rimasti
in capo. La guardò con gli occhi scuri e le toccò un ricciolo che, come una
molla, dopo essere stato tirati si arrotolo di nuovo. Era parecchio ammirato
dall’estranea, perfino più dello stregone. Credeva che quella ragazza più
alta perfino di lui dai capelli chiari, la pelle bianca e gli occhi verde-azzurri
fosse una Dea mandata da Tiraka, la dea della bellezza e della bontà per
accompagnarli al viaggio che di lì a poco avrebbero compiuto. Era un po’
triste perché la voce della ragazza nessuno la capiva però si sapeva
spiegare molto bene a gesti, era la voce della dea quella. Era una decisione
che avevano scelto già prima che arrivasse la ragazza, volevano spostarsi
per esplorare nuove terre e conoscere il mondo. Per adesso credevano che
tutto il mondo fosse solo Savana, mare e caldo. Di lì a poco il capotribù le
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avrebbe provato a spiegare ciò che dovevano fare e l’avrebbero seguita
come guida. Lei si girò verso di lui e le sorrise, si sciolse. Lui aveva già
una moglie, non poteva permettersi niente, quella ragazza era una dea,
niente di normale. Il suo animale era spettacolare, mai visto un essere
come lui, lo reputava carino anche se molto protettivo. Quella sera erano lì
per raccontarsi leggende e storie, lei non le avrebbe capite poiché non
parlava la lingua umana.
Angelica si mise ad accarezzare Jerry che le dormiva in grembo col
musino nascosto sulla sua maglia. Non sapeva cos’aspettarsi da quella
serata in falò. Aveva visto che nessuno aveva ancora mangiato, neanche i
bambini che stavano fra le braccia dei genitori. Numerosi uomini
muscolosi facevano la guardia al “villaggio” in caso di attacchi da animali.
Parecchi carnivori cacciavano di notte.
Alcune donne della tribù che non si erano ancora sedute portarono una
ciotola per ogni famiglia riempita di ocra rossa e altri colori per pitturarsi il
viso. Angelica non l’accettò, la donna insistette e allora per non offendere
nessuno prese la ciotola e osservando gli altri si truccò nello stesso modo.
Molto meno certo, un’ombra degli altri visi truccati. Dopo che tutti furono
truccati in viso con segni multi colori fluorescenti vennero altre donne
portando due coppe di cibo. Gli uomini se le passarono di mano in mano
passandole al proprio vicino. Ognuno prendeva dalle due coppe un po’ di
cibo. Quando la coppa arrivò a lei, non le accettò. Il dentro non sembrava
molto buono e poi le facevano schifo le facce burbere e sapere che ognuno
aveva toccato quelle coppe… insomma non accolse le coppe vedendovi
all’interno in una dell’acqua, nell’altra un miscuglio verde-marrone. Non
voleva offendere ma nemmeno accogliere tutto. Sospirò di sollievo quando
vide che nessuno pareva offeso. La procedura del rituale continuò, ben
presto gli uomini dalla lingua più sciolta e dalle parole semplici ma belle
avrebbero raccontato i miti e le leggende del villaggio.
Un uomo alzò le braccia al cielo cantando qualcosa che Angelica non
poteva capire. Quel canto era rude ma misto a gioia e antichità. L’uomo
iniziò a parlare di molti miti e leggende che la protagonista non capì.
La dea madre
Un giorno la dea che aveva dato vita al mondo: Abitshrin volle creare l’uomo.
Voleva qualcuno che avesse la capacità di un’intelligenza più sviluppata. Un giorno
si consultò con il dio della vegetazione: Turama e il dio degli animali: Custafà per
parlare di ciò che voleva creare. I due dei annuirono, volevano vedere anche loro
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cos’avrebbe creato la dea Abitshrin. Ella però radunò tutti gli dei nella sua capanna
per chiedere consigli e pareri. Aveva la tenda più bella di tutti. Il pavimento era fatto
di fuoco viola e blu, l’alto era fatto d’aria e le sue cose erano fatte di acqua. La sua
tenda era così grande che vi potevano stare due villaggi interi. Vennero tutti, perfino
il dio della guerra: Cumakici. Egli voleva dare un po’ della sua ferocia e di coraggio
ai nuovi esseri, non voleva farli rimanere deboli e buoni. Abitshrin lo accolse con
diffidenza e iniziò la riunione. Quel giorno stesso decise di creare l’uomo avendo
avuto tutti mormorii di approvazione. Gli dei le avevano lasciato nella sua capanna
un quarto dei loro poteri per donarli alla nuova creatura che doveva nascere. Iniziò
a creare l’uomo prendendo dell’acqua. Voleva fare l’uomo simile a lei ma
dall’aspetto meno animale, poiché lei aveva le unghie, gli occhi e le orecchie di una
tigre. Modellò l’acqua ma sapeva che la sola sostanza non poteva rimanere in piedi
per sempre. Coprì l’uomo con la pasta degli alberi mischiata alla sua saliva e alla
terra. La spalmò sopra il modello in acqua e la pasta marrone si appiccicò al
modellino diventando la pelle, quella marrone che abbiamo noi. Ne creò diversi
dalla pelle chiara, nera, marrone, ambrata e rossa. fabbricò gli occhi con gocce di
rugiada ognuna di un colore diverso per creare l’iride e fece un taglio per la bocca.
Poi distanziò gli umani da piccoli segni fatti di pasta della terra per mostrare chi era
maschio e chi femmina. Vedendo che gli umani erano brutti così pelati e non si
potevano coprire la parte più delicata: la testa. Prese dell’erba la tinse dei colori
dell’autunno e li attaccò alle teste. Costruì così i capelli. Poi, per gli uomini prese
altra erba e l’attaccò sotto il mento creando così la barba. L’uomo era fatto, parlava,
si muoveva. Aveva solo alcuni difetti, niente anima, né cervello e né capacità di
proteggersi e cacciare. Si ricordò in quel momento degli spiriti e uno ad uno li fece
entrare dalla bocca e dal naso dentro i corpi. In ultimo prese un millesimo della sua
intelligenza e saggezza e la mise dentro i corpi degli umani. Quella sera, dopo
avergli spiegato le storie del mondo, li portò dagl’altri dei che avrebbero insegnato
agli umani a cacciare, proteggersi, fabbricare e usare l’intelligenza che gli aveva
donato. Il giorno dopo fu un giorno di riposo. Verso sera, chiamò tutti gli umani
nella sua tenda, erano tantissimi, più della lunghezza del mare (a quel tempo gli
umani quando guardavano il mare, non vedendone la fine credevano che oltre il
mare non ci fosse più mondo ma si trovava il regno degli dei) gli disse che avrebbero
dovuto dividersi in gruppi e ad ogni gruppo dovevano scegliere fra di loro dei capi.
Tra questi gruppi scelse altri uomini, uno per ogni gruppo. Questi uomini erano
particolarmente intelligenti e gli ordinò – Voi farete gli stregoni. Dovrete curare il
vostro popolo, predire il futuro e aiutare il capotribù nelle sue decisione –
dopodiché, li mandò sulla terra.
Così si compì la creazione dell’uomo che cacciava per sfamarsi, era un alleato degli
animali e delle piante ma dovevano venerare i loro creatori e rispettare le loro leggi
se no sarebbero stati riportati nel mondo degli dei e annientati per poi creare altre
creature più superiori
Le donne dopo questa leggenda a cui ognuno tranne la ragazzina ed il suo
cane credeva fortemente si misero a cantare con voci melodiose varie
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sinfonie grottesche, animalesche ma nello stesso tempo dolci e potenti.
Dopodiché iniziò a parlare un altro uomo, questa volta era un giovane che
pareva avere quasi vent’anni. Raccontò quest’altra storia:
Il terribile peccato
L’uomo viveva in pace con tutti: animali e piante. I capotribù erano saggi e
ascoltavano i consigli degli stregoni prima di dettare leggi e guidare il popolo. Non
litigavano mai fra di loro. Poi però Amigdu un uomo del popolo volle uccidere il
capotribù per prendere il suo posto. Colui era stato troppo toccato dallo spirito del
male Abisù che, doveva per forza esserci in ogni creazione poiché quasi tutti gli
animali della terra erano stati toccati da lui e, anche se non usavano il suo potere: la
cattiveria, ce l’avevano dentro, nascosta, pronta ad essere usata o scacciata da uno
spirito più forte, quello dell’animale. Amigdu purtroppo aveva fatto crescere le spine
della cattiveria dentro di lui. Non era più in pace con il mondo e con gli altri. Ben
presto mise su una banda di uomini, ragazzi, ragazze e donne. Gli unici che non
avevano partecipato erano i bambini. Questa banda era stata coltivata da lui, vi
aveva fatto crescere le spine della cattiveria. Con questa banda avvelenò il capotribù
e poi lo stregone. Non voleva infatti che egli lo incolpasse di avere ucciso il
capotribù. Mise al posto dello stregone, quindi, un suo della banda e lui si mise al
posto di capo. Questa cattiveria purtroppo non era nata solo in quella tribù ma
anche in altre. Uccidevano per il gusto di uccidere, umani, piante, animali; si
credevano superiori e voltavano le spalle alla dea madre. Ella sapeva che a quel
punto li avrebbe dovuti eliminare tutti, come aveva promesso ma non ce la faceva.
Non tutti in fatti si erano comportati male. Scese sulla terra e radunò le tribù.
Dapprima esse non volevano venire ma poi, dopo che li ebbe spaventati prendendo le
sembianze di una tigre alta sei metri, tutti furono convocati. Li punì facendo cadere
le malattie e la morte su di loro. Infatti, gli umani, dapprima erano immortali e non
avevano malattie. Adesso potevano morire e ammalarsi come qualunque animale. Gli
unici che non punì furono i bambini, ad essi non mostrò le cattiverie del mondo e, se
c’erano bambini troppo sensibili per affrontarle, lei veniva con la morte e, senza
fargli sentire niente, se lo portava via. I bambini però, quando crescevano
diventavano come i grandi, così alcuni morivano per non diventare mai sporchi dei
peccati, altri crescevano e così potevano ammalarsi e morire. L’uomo, dopo quella
dura lezione si pentì, non offese più gli animali per paura di venire aggrediti e furono
più deboli. Adesso sì che dovevano mettere in pratica lo spirito della guerra per
proteggersi.
dopo quest’altro racconto, questa volta furono gli uomini a cantare. E così
proseguì la serata fra canti e storie. Angelica non aveva capito una parola
quindi si era persa nei suoi pensieri sempre accarezzando Jerry. Quando si
scosse, fu perché alcuni uomini la sfioravano mentre si stavano alzando.
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Era notte già da tanto e i bambini più piccoli si erano addormentati.
Svegliò Jerry per alzarsi e, prendendolo in braccio si avvicinò ad un
anziano per cercare di fargli capire a gesti dove sarebbe andata a dormire.
Non ci fu bisogno di chiederlo. L’uomo che le era stato seduto a fianco e
che le aveva sfiorato i capelli, si mostrò come un membro degli Anziani e
l’accompagnò alla solita caverna abitata dalla famiglia. Dopo un breve
saluto fatto di gesti e un – Ciao – che venne capito solo per il significato
grazie alla situazione, si sdraiò sulle solite pellicce e, dopo averle sistemate
a mo’ di letto si addormentò stringendosi Jerry al petto.
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Il giorno dopo, Angelica venne condotta dall’uomo della famiglia che
l’aveva ospitata dal capotribù. Lo seguì con non poca curiosità. Si fermò
davanti alla tenda. L’uomo le fece segno di andare avanti, dentro la
capanna. Lei si abbassò ed entrò. Salutò con un gesto della mano il capo.
Proprio non sapeva cos’aspettarsi. Il capo chiamò lo stregone dietro di lui.
Lui venne e si fermò davanti alla ragazza. Le toccò la mano e chiuse gli
occhi. Cosa stesse facendo proprio non si capiva. Angelica sobbalzò
quando una voce che parlava la sua lingua ma del tono dello stregone le
entrò in testa.
- Sono io che ti sto parlando Saram. Sono lo stregone di questo popolo.
Sono entrato nella tua testa per comunicarti una cosa che dovrai fare con
noi dea, appena entrato nella tua testa, posso comunicarti le cose che
penso nella mia lingua, a te si trasmetteranno nella tua lingua. Ti
ringrazio del potere che mi hai donato e mi scuso del fatto che ti sto
dicendo cose che tu già sai, nostra dea. Voglio comunicarti una cosa che
non so se sai… tu ci devi condurre nelle terre da noi mai viste, verso l’aria
più fredda che a volte arriva da noi. Questo viaggio ha aspettato una
guida e, finalmente ella è arrivata. Ben arrivata per aiutarci dea – lo
stregone aprì gli occhi e la guardò. Adesso Angelica aveva capito. Quegli
stregoni avevano la capacità di parlare con la natura e avevano un filo
conduttore con tutti, uno dei poteri che si è perso nel tempo. nonostante il
loro potere credevano che lei, una ragazza normalissima, fosse stata una
dea scesa dal cielo per aiutarli. Qualcosa le diceva che avrebbe aiutato a
portare a compimento quel viaggio portandoli in Europa che, in quel
tempo era tutta ghiacciata, il periodo dell’Era Glaciale. Pregò Gesù di
aiutarla, voleva al più presto tornare a casa e sperava sempre di più che,
quel’avventura fosse stata solo un sogno, oppure qualcosa che Dio aveva
voluto compisse. Beh, di sicuro avrebbe sempre preso dieci in storia
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andando di questo passo. Si riscosse dai suoi pensieri e annuì allo stregone
che, dopo aver ricevuto risposta, andò a consultarsi con il capo. Lo
stregone tornò da lei e le indicò l’uscita della tenda. Capì che doveva
uscire e tornarsene alla sua grotta. Jerry ormai, non era più tanto diffidente
poiché, fino a quel punto nessuno aveva fatto male né a lui né alla sua
Angelica.
La ragazza era seduta sulla pelliccia, la donna stava fabbricando ciotole e
il bambino stava preparando delle more schiacciate in un’altra ciotolina,
Jerry dormiva su di una pelliccia nera, molto scura ma morbida. Angelica
era parecchio scombussolata, dopo aver fatto entrare nella sua mente un
tizio sconosciuto aveva avuto paura, ma sapeva che nessuno le avrebbe
fatto male considerandola una dea. Però, tale doveva comportarsi. Sarebbe
dovuta partire costretta dal popolo ma anche dalla certezza che lei sarebbe
andata. Prese dal suo zaino lo specchio, si specchiò e si sistemò. Era
sempre uguale a parte qualche graffio e i capelli più rossi e selvaggi,
dentro gli occhi la solita luce di vita. Come potevano considerarla una dea?
Solo perché era diversa di carnagione, di capelli e portava accessori mai
visti? Beh, se un umano sarebbe venuta nella sua dimensione con cose mai
viste, avrebbe detto di certo che veniva da un altro mondo ma mai che
fosse un Dio. Lei era Cristiana e aveva molta fiducia nella religione. Prese
le carte delle numerose merende mangiate che le avevano fatto compagnia
e osservò le marche e le carte colorate. La donna ormai sapeva che la sua
“ospite” era magica e aveva tante cose nuove, perciò non si disturbò per
alzare lo sguardo e guardare ciò che Angelica tirava fuori da quella grande
sacca fatta in un materiale misterioso. La ragazzina intanto continuò a
tirare fuori tutto ciò che aveva e ad osservarlo per ricordare il suo vero
mondo. Lì in quella caverna si sentiva protetta ma voleva tornare in una
vera casa. Di una cosa ne era certa, qualunque avventura le sarebbe
capitata di nuovo, l’avrebbe compiuta. Rimase assopita nei suoi pensieri
fino a quando, stanca, si sdraiò e si mise a riposare a fianco a Jerry. Aveva
intuito che il giorno dopo sarebbero partiti, per quello tutti costruivano
nuove cose da usare nel viaggio. Lei avrebbe preparato le sue “valigie”
composte da una sacca del cibo piena di tortini, una giacca, uno zaino e
altro ancora. Peccato che non esistevano ancora dei cavalli normali che
avrebbero trasportato lei e le sue cose nel lungo viaggio. Beh, con la scusa
di essere una dea, quando sarebbe stata stanca avrebbe lasciato le sue cose
in mano di qualcuno. L’unica cosa che avrebbe tenuto, sarebbe stato: una
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bottiglia d’acqua, due tortini in tasca e lo zaino. Di tortini ne erano rimasti
solo dieci. Avrebbe cacciato al momento. Due tortini li avrebbe tenuti da
parte per mostrarli quando sarebbe tornata e…se. Abbandonò i suoi
pensieri e si addormentò, finalmente molto bene e senza più pensieri.
Il giorno dopo pensò alla strana vita di quegli uomini. Prima aveva pensato
a quegli uomini come degli stupidi ma poi si ricordò di ciò che aveva
studiato alle elementari. Gli uomini sapiens vivevano molto raramente in
gruppi, non avevano capi, sciamani, non viaggiavano insieme, non
sapevano cantare e nemmeno raccontare storie. Beh, era finita in un
gruppo di Homo Sapiens che aveva sfruttato quasi appieno la sua
intelligenza. Sarebbe stata felice di viaggiare con quasi uomini che
sviluppavano molto velocemente le loro capacità mentali, l’unica cosa che
le mancava era un cavallo su cui viaggiare. Si alzò trovando la famigliola
ancora addormentata. Si avvicinò al piccolo catino di osso da cui l’acqua
che scivolava dall’alto della caverna da varie fessure, cadeva copiosa al
suo interno facendo fuoriuscire l’acqua sporca e rimanere quella pulita e si
lavò le mani delicatamente. Jerry si svegliò quando lei tornò a sedersi a
fianco a lui. Si preparò le sue sacche e mangiò due tortini, l’ultimo lo
divise in due e diede una metà a Jerry che, dopo aver allungato la lingua,
lo mangiò lentamente. Si alzò e si avvicinò all’uscita della caverna per fare
pipì, poi tornò indietro e si riaddormentò sulle pelli. Angelica accese il
telefono e, dopo aver guardato una foto della sua famiglia, si alzò e si
avvicinò all’uscita della caverna. Fuori non c’era un filo di vento.
Sobbalzò e si girò di scatto quando sentì un brusio distinto. L’uomo s’era
svegliato. Si diresse al catino e si sciacquò viso e mani poi svegliò la
moglie ed il figlio e uscì dopo averla guardata attentamente per farle un
cenno di saluto. La donna si mise a pulire il figlio e sé stessa. Il marito
tornò dopo poco con un cervo sulle spalle. Lo lasciò nella caverna. Jerry
non parve molto attratto poiché il tortino l’aveva riempito. L’uomo accese
un focherello allegro mentre la donna si mise a scuoiare l’animale. Il
bimbo intanto stava preparando un succo di more schiacciate con le sue
manine. La donna riscaldò la carne poi vi applicò il succo di more e divise
il cibo in più parti dando più fette a ciascuno. Le diede a tutti tranne ad
Angelica e a Jerry che la rifiutarono. Il sole coprì il cielo illuminando tutto
ciò che incontrava. La famigliola di punto in bianco si alzò e uscì
facendole cenno di seguirli. Angelica li seguì e si ritrovò sotto il sole
cocente. La accompagnarono nella tenda del capo dove trovarono lo
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stregone. Lui le si avvicinò senza dire niente, le toccò le mani e lei risentì
la sua mente che si apriva, come le porte di un castello.
Oggi partiamo. Tu ci seguirai e sarai subito dietro di me. Andiamo,
seguimi.
Lei allora provò a collegarsi alla mente dell’uomo. Tenne ferme le sue
mani e provò a fargli capire che voleva parlare con lui. Subito la mente
dello stregone si aprì per percepire ciò che le voleva comunicare. Gli disse
col pensiero:
Sono una dea, lo so, per motivi che non vi riguardano però, non posso
portare tutte le mie sacche. Qualcuno dovrà aiutarmi ma senza curiosare.
Chiunque toccherà le mie cose senza permesso, si ammalerà per poi
morire
Così, toccando la paura dello stregone, si fece valere e ottenne subito una
risposta affermativa. Diede allo stregone alcune sacche. Lui si alzò e in
quel momento vide i suoi muscoli. Non li aveva mai notati. Prese le sue
sacche con una semplicità innata, se le mise in spalla e uscì. Lei lo seguì e
si mise in cammino. A mano a mano che avanzavano tutto il popolo si
accodò con le armi in spalla mentre invece le donne tenevano solo una o
due ciotola. I bambini camminavano felici a fianco alle madri. Angelica
aveva parecchio caldo ma sopportò il tutto. Stava tenendo adesso, solo lo
zainetto. Jerry le zampettava a fianco. A volte si accucciava impaurito
quando incontrava qualche ostacolo, allora lo aggirava e continuava a
camminare seminando pipì ogni dieci metri fino a esaurire l’ultima goccia.
Angelica continuava a camminare. Seguiva lo stregone che, a dorso nudo,
continuava il cammino pieno della sua roba. Camminarono fino a tardi. Gli
uomini nel loro cammino facevano la guardia e spaventavano le brutte
bestie che volevano attaccare. Angelica ben presto dovette prendere in
braccio Jerry per paura di farlo finire nelle fauci di qualche predatore
vedendolo così piccolo e indifeso. Per la seconda volta fu felice di
ritrovarsi in un gruppo più intelligente. Gli Homo Sapiens mai avevano
viaggiato in gruppi così vasti. Massimo cinque individui e così la maggior
parte essendo in troppo pochi per proteggersi venivano mangiati da gruppi
di predatori carnivori. Finalmente si sentiva protetta non dovendo pensare
a scacciare i predatori.
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