leggi il libro on-line - La chiave dei due mondi
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Ludovica Viganò PRIMA PARTE Nel mondo dei dinosauri 2 3 QUESTO LIBRO… Questo libro è adatto a grandi e bambini. Ho usato personaggi un po’ delicati per quest’avventura (come il Chihuahua). Anche questo ha un senso, l’ho fatto per far capire che tutte le creature, anche le più deboli fisicamente, d’animo sono così forti da sopravvivere ad un mondo impossibile ad un vero umano o animale vivente nel mondo di oggi. Volevo rendere questo libro ricco di tanti fatti e di animali che in passato sono esistiti veramente. Solo dopo m’è venuta in mente l’idea di far viaggiare i protagonisti nelle dimensioni storiche fino ad arrivare a quelle di oggi, saltando il periodo dei Romani e tutto il resto di guerre e Rinascimento a Milano. Auguro buona immaginazione per riuscire a immedesimarsi in diverse avventure al centro del tempo e in un mondo simile al nostro ma diverso in tutto e per tutto. 4 Introduzione: A Milano, in una casa con giardino, viveva una ragazza, la madre e un cane. Angelica, la ragazza, è molto curiosa e un giorno col suo cane scopre un grande mistero che la porta a un’ isola al centro del tempo e dei fatti avvenuti. In seguito scoprirà che, per tornare al suo molto amato Mondo, dovrà passare da una dimensione all’altra che parla di ciò che aveva studiato alle elementari. 5 1 A Milano stava calando il sole e in una casa una madre chiamava la figlia di quindici anni che aveva lunghi capelli ricci e rossi e occhi verdi. << Angelica senti che c’è scritto nel giornale di oggi: Al parco Guastalla è la quinta volta che nella fontana grande come una piscina spariscono i pesci e ogni giorno c’è un enorme buco largo sette metri sul fondo. Gli scienziati hanno analizzato la fontana e a questa domanda non sanno rispondere! >> Angelica era sdraiata sul divano del salotto con il suo cane di un anno, chihuahua, maschio, di nome Jerry e di colore bianco, nero e crema, ai piedi della sua padroncina. Angelica si alzò e prese il giornale. A un certo punto disse alla madre: << Mamma esco fuori con Jerry. Vado a fare un giro. Torno alle quattro! >> La madre accennò e tornò in cucina a pulirla. Angelica mise un giubbotto rosso, lo mise anche al chihuahua perché faceva freddo e uscirono. La ragazza voleva scoprire cosa succedeva al parco, camminava a passo svelto e ben presto giunse alla sua meta: il parco Guastalla e vide che non si poteva andare alla fontana che era anche circondata da un gruppo di poliziotti che stavano parlando tra loro. Angelica si avvicinò e chiese a un poliziotto che cos’era successo ed egli le rispose: << E’ già la quinta volta che si spacca la fontana e i pesci sono ancora spariti! Credo siano quei ragazzacci che vengono qua di notte >> Angelica ascoltava e osservò il 6 buco della fontana, era enorme e l’interno era tutto buio. Angelica domandò di nuovo: << Cosa c’è dopo il buco? Qualcuno l’ha visto l’interno? >>. Il poliziotto rispose: << Credo ci sia solo cemento. Non ci siamo avvicinati troppo, c’è un risucchio potente al centro >>. Angelica si allontanò per ispezionare il parco a un certo punto si fermò perché Jerry stava facendo pipì in un muretto pieno di muschio. Casualmente la ragazza percorse con l’occhio il muretto pieno di muschio e ad un certo vi trovò con lo sguardo un enorme dente lungo trenta centimetri e largo quindici. Angelica non avvertì i poliziotti ma rimase lì a guardare l’enorme dente giallognolo e conficcato nel muschio. Prese un bastoncino e riuscì a grattarlo via perché era poco attaccato. Quando lo prese era veramente pesante e robusto, se lo mise in borsa e guardò l’orologio: erano le due e un quarto, per grattare via il dente c’erano voluti un quarto d’ora. Angelica uscì dal parco dopo che Jerry ebbe fatto un’altra pipì e si diresse verso la biblioteca, era intenta a scoprire di che cos’era quel dente troppo strano per appartenere a un cane e troppo “vivo” per essere di plastica. Legò il cane fuori e quando entrò si diresse verso una signora dicendole: << Buongiorno. Qual è il reparto D? >> La signora dopo un sorriso e un – buon giorno - l’accompagnò al reparto D che si trovava in un’altra stanza enorme. La signora girò i tacchi e se ne andò tornando al suo banco mentre Angelica cercava un libro sui dinosauri, chissà perché, anche se sapeva che non esistevano una vocina le diceva di cercare il più possibile su dinosauri. Trovò un libro che parlava di denti. Lo aprì ma spiegava solo la conformazione dei denti di animali e uomini. Cercò un altro libro che parlasse di dinosauri e allora, incuriosita e seguendo la vocina che le diceva di sfogliare quel libro, lo sfogliò pagina per pagina. Parlava di: incubazione dell’uovo, nascita, crescita, fanciullezza, corporatura, denti… Angelica si fermò all’argomento: “denti” e trovò molti disegni di denti e la loro misura. Nelle pagine sotto quell’argomento c’erano scritti: denti di dinosauri di terra, denti di dinosauri erbivori, denti di dinosauri carnivori e infine denti di dinosauri marini e giganti. Nella fila dei dinosauri marini, per primo c’era la scritta: Plesiosauro e subito dopo la sua figura. Infine la ragazza cercò il punto che parlava dei denti, lo trovò e iniziò a leggere: Lunghezza denti trenta centimetri, larghezza quindici. 7 Questo dinosauro è il rettile marino più famoso proprio perché ha un collo lunghissimo e lunghe pinne flessibili. Angelica ripose il libro dov’era prima, prese dalla borsa un righello che teneva in emergenza insieme ad un blocchetto notes e una matita e, tirando fuori dalla borsa il dente, lo misurò… si credeva una pazza quando, misurando il dente era delle stesse misure di quello che c’era scritto nel libro. Scioccata uscì dalla biblioteca salutando la signora, prese Mozart e tornò a casa dove la madre l’aspettava con una camomilla. Angelica slegò e svestì Jerry che corse verso la sua cuccia, la ragazza bevve la camomilla in salotto nel divano vicino alla madre e decise di tenere nascosta la scoperta del dente per non ritrovarsi ad ascoltare la madre al telefono con uno psicologo. La madre le disse: << Dove sei stata tutto questo tempo? >> Angelica si levò la giacca e rispose: << Sono andata al parco a far fare i bisogni a Jerry e, poi sono andata in biblioteca >>. La madre accennò un – va bene – e Angelica se ne andò in camera sua con Jerry che la seguiva e gli disse rivoltasi a lui con un sussurro silenzioso: << Che scoperta che abbiamo fatto, ti rendi conto! L’animale che usciva dalla fontana mangiando i pesci era un antichissimo dinosauro. Guarda che dente! >>. Angelica, sdraiatasi sul letto, chiuso la porta della sua camera e accomodato Jerry a fianco a lei, prese la lente d’ingrandimento e guardò il dente un po’ rovinato sorridendo. E pensando tra se “non è possibile, i dinosauri non esistono. Sto impazzendo, ho bisogno di ragionare”. Ma avendo davanti a se un vero dente che era la prova di una cosa che non poteva esistere doveva pensare il contrario e pensò “stanotte voglio vedere il dinosauro. Dovrò farlo mentre la mamma dorme e mi porterò anche Jerry”. Sarebbe stata una specie di fuga ma Angelica non era una vera angela ma una ragazza coraggiosa, bella e molto curiosa, così tanto da credere ai dinosauri senza dirsi troppo che era matta ma pensando alla prova che in quel momento era lì sul suo morbido letto, quindi decise che la fuga sarebbe stata quella notte stessa. 8 2 Angelica prese la sua piccola cartella nera che usava per la scuola e ci mise: gli snak per il cane, una lente d’ingrandimento, una corda, un giubbotto molto caldo per Jerry, delle bottigliette d’acqua, un coltellino, un coltello da cucina, delle merende, il cellulare, un cappello, una sciarpa, due paglia di guanti, uno specchietto, una bussola e una torcia con la carica. Aveva messo tutta questa roba perché, dal profonda sentiva che le sarebbe servito tutto. Il dente lo mise in una tasca della cartella e poi aspettò la sera. Dopo cena guardò un po’ di tv e ricaricò il telefono. Poi andò in camera da letto, si sentiva una stupida ma doveva provarci prima di mettersi l’etichetta di matta. Aprì la finestra e sentì la temperatura: fresca. Alle una era tutto buio, sua madre dormiva. La ragazza si mise una maglia blu scura aderente sotto la biancheria e un paio di jeans. Uscì dalla camera in punta di piedi chiudendo Jerry nella sua stanza, prese una giacca pesante, tornò nella sua camera accarezzando Jerry, lo prese in braccio agganciandogli il guinzaglio e mettendogli un maglioncino, infine, prendendolo in braccio uscì dalla finestra con lui. Corse veloce nella strada illuminata solo dai lampioni ai bordi della strada. Con il peso della cartella, ci mise venti minuti ad arrivare al parco. Quando giunse lì, lo trovò tutto buio, da far paura, accese la torcia ed entrò. Un povero stava dormendo nascosto. Jerry stava per abbaiargli contro ma la ragazza lo zittì tappandogli la bocca. Si diressero verso una panchina. In tanto il povero si era svegliato e vedendo la ragazza, se ne andò. Il parco era vuoto. Regnava un buio totale. Angelica prese in braccio Jerry e si sedette su una panca vicino alla fontana, guardò l’orologio: le una e venti. Dopo un paio di minuti si era appisolata sulla panca anche lei con Jerry che faceva la guardia acciambellato sulla panca. Si era addormentata quando, a un certo punto, venne svegliata da un terremoto che scosse tutto il pavimento, non c’era un gran fracasso ma il terremoto era potente. Angelica sentì un botto, del tremore e infine uno scroscio, dalla fontana comparve un dinosauro, aveva un collo lunghissimo di colore verde-azzurro, la testa era piccola e liscia con due occhietti neri e 9 lucidi, il collo si alzò verso il cielo poi si piegò in giù come un cigno arrivando all’altezza della testa di Angelica. La ragazza tremava dalla testa ai piedi e, quando smise, fu solo perché credeva fosse un sogno ma, quando il dinosauro aprì la bocca mostrando lunghi denti affilati (che per un dinosauro erano molto piccoli ma per un semplice umano no), Angelica si convinse che: 1 poteva essere matta 2 c’era veramente un dinosauro, la ragazza anche se non sapeva a quale opzione darla vinta decise almeno di nascondersi. Nel frattempo, Jerry si mise ad abbaiare alla testa del dinosauro che piegò il collo ancora più in giù, finché la sua testa, non fu all’altezza di quella del cane che, spaventato ma coraggioso stava per mordere il muso allungato e duro del mostro. La ragazza tornò in sè dopo aver deciso cosa fare, prese il cane tappandogli la bocca, si alzò e scappò, si rifugiò nelle piante con Jerry in braccio e lo zaino in spalla. Il dinosauro era affamato e curioso, ripiegò il collo guardando l’acqua della fontana ma non c’erano i pesci che cercava come spuntino. Affamato allungò il collo che fiondò in mezzo agli alberi che riparavano Angelica. Afferrò con i denti aguzzi il guinzaglio di Jerry così che, alzando il collo al cielo, dalla sua bocca dondolavano dalle due parti, Angelica non aveva mollato il guinzaglio per non cadere. La ragazza, voleva buttarsi giù e richiamare il dinosauro con la torcia così che poteva salvare anche Jerry, ma l’altezza era troppa per far sì che cadendo sarebbe sopravvissuta. La ragazza si attaccò con le unghie al labbro del Plesiosauro che, avendo una pelle dura ed essendo enorme, non sentì niente. La ragazza si spinse in su, si attaccò a un dente lungo e affilato e afferrò il guinzaglio incastrato nella bocca del dinosauro. Lo tirò fuori delicatamente con il braccio che non si teneva al dente del mostro, tenne ben salda la presa al dente e al guinzaglio di Jerry. Il povero chihuahua si stava strangolando. La ragazza diede dei pugni con la mano che teneva il guinzaglio al labbro del dinosauro che sentì prurito e si abbassò per grattarsi il muso sull’erba, così Angelica si trovò a terra, prese subito in braccio Jerry che la leccò ed ella si sdraio sull’erba prima che una grande scossa di terremoto provocata dal dinosauro la facesse cadere insieme al chihuahua. Il dinosauro, accortasi che le sue due prede erano scappate, quando adocchiò la ragazza che nel frattempo si era alzata, le diede una spinta delicata con la testa così che, anche se la ragazza era caduta, poté proteggere con le due braccia il chihuahua. Intanto la testa del Plesiosauro si avvicinava e, quando fu abbastanza vicino, afferrò dalla 10 maglia la ragazza. Il dinosauro si spinse Angelica in bocca ed ella, prendendo la corda dalla borsa, la lanciò sulla testa del Plesiosauro prima che esso chiudesse la bocca così che, arrampicandosi raggiunse la testa del mostro. Il collo del dinosauro scivolò verso il basso raggiungendo l’acqua della fontana, la ragazza si tappò la bocca e con l’altra mano quella del cane. Si ritrovò in un vortice di acque scure, attaccata alla testa del Plesiosauro e con in braccio il povero chihuahua biondo, a pelo lungo e di pochi mesi. Il mostro ritirò il collo fuori dal buco enorme che aveva lasciato nella larga fontana e si ritrovò in acque scure. Guardando da sotto lo strato di cemento della fontana e la fine crosta terrestre, il buco si vedeva come se fosse una lastra di ghiaccio di cemento. Il mostro nuotò via dal buco inabissandosi e proseguì velocissimo nell’acqua blu scuro evitando coralli altissimi e pesci enormi e carnivori. Salì verso l’alto, con una velocità immensa. Così il collo si alzò in cielo e Jerry poté respirare sputacchiando l’acqua che gli era entrata in bocca. Angelica osservò il cielo chiaro e vide un enorme Pterodattilo che volava indisturbato con aria riposata. La ragazza era spaventata e scossa, il Plesiosauro stava per ritirare la testa in acqua ma, meno male, rimase fuori dall’acqua solo la nuca e il muso dove la ragazza e il cane potevano rimanere sdraiati e respirare. Il mostro si stava avvicinando a un’isola enorme di terra scura, una vegetazione composta da felci altissime e alberi alti come palazzi e sabbia dorata e grossa. 11 3 Il dinosauro si avvicinava alla “grande isola” che si poteva anche chiamare “città grande” grazie alla grandezza del suo perimetro. Ad un certo punto, la ragazza sentì un fruscio simile ad una pallottola che schizzava velocissima nell’acqua. Anche il Plesiosauro se ne accorse e virò a tutta velocità verso il largo. Un altro dinosauro più grosso del Plesiosauro stava inseguendo a tutta velocità il povero “collo lungo”. Angelica capiva in che punto si trovava il mostro perché il suo colore sott’acqua si vedeva bene: un verde – marrone. Quando la ragazza vide che il Plesiosauro si stava per inabissarsi seguito a ruota dal mostro, spaventata com’era decise di tuffarsi in acqua per andare lei stessa alla spiaggia. Però era troppo spaventata a tuffarsi in quel momento, vedeva l’acqua chiara e scura piena di dinosauri e coccodrilli e soprattutto, sperava che il dinosauro marino con il muso lungo e le fauci ben sporgenti che seguiva a ruota il Plesiosauro non si accorgesse di lei che si separava dalla grande bestia. Valutò le possibilità nei pochi minuti che le rimanevano e decise che si sarebbe tuffata: tanto, se il dinosauro l’avrebbe vista, l’avrebbe uccisa ma era uguale se seguiva il Plesiosauro che non aveva possibilità di seminare il predatore. Prese il chihuahua e se lo nascose nella giacca, poi scivolò silenziosamente via dalla testa del povero Plesiosauro e, decise che era più opportuno allontanarsi cautamente e fare finta di essere un’alga. Il predatore ci cascò e filò dritto a freccia. La ragazza ringraziò Dio con una preghiera al cielo e continuò a nuotare cercando di tenere in alto il cane per fargli prendere ossigeno. Ogni volta che girava gli occhi in giù, vedeva un abisso profondo popolato da molti animali e, meno male disinteressati alla piccola umana con il cane. Però era troppo difficile nuotare con un solo braccio e i piedi. Angelica si raddrizzò e aguzzò lo sguardo verso l’orizzonte, scorse dopo tre minuti buoni uno scoglio che svettava più vicino dell’isola di roccia marrone chiara, quasi come la sabbia del 12 deserto. Decise di arrivare almeno fino a quello scoglio basso. Nuotò lentamente e passò un’ora, con l’occhio umano lo scoglio era vicino ma, quel vicino s’intendeva di almeno un chilometro. Finalmente, dopo una lunga e straziante nuotata, si ritrovò lontana dallo scoglio di pochi metri e infine di decimetri. Meno male il mare era piatto, se fosse stato arrabbiato, a quest’ora le onde avrebbero avvicinato la ragazza allo scoglio tanto da mandarla sott’acqua e contro gli scogli. Angelica guardò per la centesima volta sotto di lei e vide che un grosso e strano pesce l’aveva adocchiata come spuntino. Angelica continuò a nuotare sempre più veloce e, quando allungando una mano toccò lo scoglio ruvido, iniziò ad arrampicarsi verso la cima poco prima che il pesce saltasse fuori dall’acqua sbattendo la coda un centimetro distante dove prima c’era la testa della ragazza. Angelica sospirò e guardò il suo Jerry che, impaurito e bagnato tremava sotto la giacca. La ragazza continuava ad arrampicarsi su un lato della pietra che all’inizio era ruvida ma poi, a mano a mano che si saliva la superficie diventava liscia e quindi era più facile salire senza graffiare eccessivamente quando saltava di roccia in roccia. Continuò la salita finché non vide una cunetta spaziosa e ruvida con un po’ di salsedine seccata poco prima di arrivare alla punta dello scoglio. Angelica si guardò le mani graffiate e i vestiti fradici. Si slacciò la giacca lasciandola scaldare al sole e tremante, tenne stretto il chihuahua mentre, aprendo l’astuccio osservava le sue condizioni. Era tutto fradicio, ma meno male la torcia non aveva pile quindi non era rotta e le pile erano sigillate e ben protette, le merendine erano intatte, la corda bagnata, la lente d’ingrandimento a posto, il capello fradicio, i guanti bagnati, gli snak intatti, il coltellino, la bottiglia d’acqua sigillata, lo specchiò bagnato e infine il cellulare, stava per esalare il suo ultimo respiro, Angelica ebbe solo il tempo di mandare un messaggio alla madre che diceva: “stiamo bene io e Mozart, stai calma e aspettami” e vedere l’ora: le dieci del mattino, almeno l’orario era in sintonia con quel mondo, infine il telefono morì annegato. L’unica disperazione più importante fu il telefono che non andava più, il resto lo mise ad asciugare al sole. Si spogliò levandosi la maglia e i pantaloni stendendoli al sole, poi prese il giacchino di Jerry e lo stese anch’esso. Tutto era steso al sole cocente e in meno di un’ora tutto fu asciutto. Angelica si guardò allo specchio e vide che la salsedine aveva donato ai suoi capelli riccioli più brillanti e belli che, spettinati al vento davano l’aria di una sirena. Bevve un sorso d’acqua e si sciacquò le mani graffiate, poi si versò dell’acqua nelle mani a coppa per far bere il cane. Prese un lungo 13 bastoncino di snak che divise in quadratini che poi dette al suo chihuahua, poi, anch’essa, prese un pacchetto di merenda e la mangiò. Era esausta, anche se era piena mattina aveva dovuto affrontare metà viaggio in mare e una lunga arrampicata non molto ripida. Ma la ragazza voleva evitare che Jerry scivolasse in acqua, quindi cercava di tenere duro e non addormentarsi. Si rannicchiò per terra pallida in viso e con le occhiaie, strinse a sé il chihuahua e si rilassò mormorandogli parole dolci all’orecchio. Riuscì a sopportare il sonno per mezzora ringraziando il Signore con il pensiero ma poi, calò nell’ incoscienza senza nemmeno accorgersene. 14 4 Si svegliò che era notte, aveva dormito tutta la mattina e il pomeriggio. I suoi vestiti erano asciutti e anch’essa era bella asciutta. Dapprima si sedette rilassata, poi le venne in mente una domanda sbucata dalla parte più piccola del suo inconscio e che a mano a mano si ingrandiva diventando l’unica domanda che occupava tutti i suoi pensieri, una domanda a cui non avrebbe mai voluto pensarci: Dov’è Jerry?. Preoccupatissima scattò in piedi e quasi scivolò giù dalla conca, me no male si resse a uno spuntone a fianco alla conca e si raddrizzò. Girò lo sguardo verso la conca per un microsecondo e non scorgendo niente in meno di due secondi girò la testa in direzione dei piedi dello scoglio, verso il mare. L’acqua era limpida e fredda, Jerry sapeva nuotare e poteva benissimo provare a salire, ma essendo piccolo poteva anche essere diventato spuntino per pesci preistorici. Angelica vagò con lo sguardo verso tutto il mare, poi il cielo e infine percorse con lo sguardo tutto lo scoglio fino ad arrivare alla punta. Non vedeva niente, a parte un punto nero che si stagliava verso il cielo blu chiaro pieno di stelle, sulla punta dello scoglio. Decise di salire per andare a vedere cos’era, salì a tutta fratta pur di sprecare poco tempo per averne di più quando avrebbe cercato il suo cane. Salì roccia per roccia, a volte aggrappandosi con le mani per non scivolare nell’acqua scura e gelida. Mancava mezzo metro per arrivare alla punta, da lì poteva già osservare. Il punto nero si era mosso, Angelica guardò verso di lì e vide, aguzzando lo sguardo, il suo Jerry, sdraiato su una conca arrotondata sulla punta. Subito la ragazza sospirò e il cane girò la testa verso il rumore, camminò verso il bordo della cima e si affacciò, vedendo la sua padrona che saliva, si mise a scodinzolare felice. La ragazza finì il mezzo metro e giunse alla cima. Prese il cane mormorandogli: << Ma come sei salito quassù birichino? Adesso come faccio a portarti giù? >>. Il cane capì tutto e pensò: “Io non sono mica inutile sai, non c’è bisogno che tu mi prenda. E poi io mi arrampico meglio 15 di te, cadremo insieme se mi prendi. Guarda, seguimi”. Il cagnolino si liberò dalle braccia calde e riposanti della padroncina e saltò sulla prima roccia. Angelica provò a fermare Jerry ma esso girò la testa e la guardò con un’intensità tale che la ragazza si fidò e rimase ferma. Il cane scendeva e lei dietro, attentamente reggendosi ogni tanto e facendo passetti lenti con precisione per non scivolare. Il cane arrivò per primo alla conca e di seguito la padroncina. Si sedettero nella conca e Angelica guardò severa il cane accucciato col muso sulla gamba della ragazza. << Guardami - sussurrò Angelica al cane - dovrei essere arrabbiata con te ma sono troppo felice di averti trovato. Come hai potuto salire lassù quando sapevi che io mi sono sforzata di rimanere sveglia per paura che tu scivolassi in acqua! >>. Jerry fissò con aria colpevole e birichina la padrona pensando: “tranquilla, non sono un cagnolino di due mesi, so benissimo cosa so fare o cosa non, io so arrampicarmi e, visto che tu non eri in pericolo e dormivi io ho voluto scoprire com’era la punta di questo scoglio. Molto bello prendere il vento lassù guardando la luna, sai? ”. angelica conosceva il comportamento del suo cane e capendo cosa stava pensando il suo cane rispose: << Lo so, hai imparato ad arrampicare quando eri piccino ma era da parecchio che non lo facevi >>. Angelica dava qualche carezza distratta al cane mentre guardava fisso verso l’isola pensando ad alta voce: “come farò a portare tutte queste cose là sull’isola?”. Neanche Jerry aveva idee. Ad un certo punto, sobbalzò quando la sua padroncina esclamò un – ha! – parecchio forte. Jerry osservò il viso della padrona per vedere che espressione aveva ma lei sorrideva. Angelica fissò raggiante Jerry e spiegò: << Visto che l’isola è vicina e l’acqua è limpida, posso portare sull’isola prima lo zaino e poi torno e porto te. Purtroppo non posso buttare lo zaino in mare, anche se galleggia, questi dinosauri me lo mangerebbero. È meglio portarvi uno alla volta. Tu però devi aspettare qua >>. 16 5 Dopo la grande idea per raggiungere l’isola, Angelica mise tutto ciò che aveva dentro la cartella, diede un bacino in testa a Jerry e, con lo zaino in spalla scese verso i piedi dello scoglio. Dopo venti minuti si ritrovò in mare e nuotò veloce verso la parte più rocciosa dell’isola. Nuotò senza guardare sotto di sé per paura dei grossi mostri e coccodrilli che vi abitavano gli abissi. Dopo un’ora buona arrivò sulla spiaggia. Da lì lo scoglio era molto piccolo. Angelica nascose la cartella fra delle rocce nascoste da un grosso cespuglio. Si sdraiò sulla spiaggia e ascoltò: si sentiva l’infrangersi delle onde sulla spiaggia simile al canto lieve delle sirene, un Tirannosauro che ruggiva prima di saltare addosso alla sua preda, un movimento a Ovest dell’isola poco lontano, delle uova schiudersi in un cespuglio vicino a quello dove avevo nascosto la cartella e il verso di uno Pterodattilo che litigava con l’altro perché gl’aveva rubato il pesce di bocca. Angelica si levò la giacca, tornò al nascondiglio e buttò la giacca vicino alla cartella che prese e aprendola ne afferrò la corda e se la mise in tasca dei jeans. Tornò dopo aver nascosto bene il tutto verso la spiaggia e si mise a nuotare puntando dritto verso lo scoglio con il suo cagnolino. Il ritorno verso lo scoglio fu più faticoso. Ad un certo punto Angelica sentì un fruscio che proveniva dai fondali marini. La ragazza guardò sotto di lei e vide che un grosso Plesiosauro dal collo ancora più lungo, era intento a mangiarla. Ella nuotò ancora più veloce verso lo scoglio ma il collo era più lungo. Aprì la grossa bocca. Angelica prese la corda dalla tasca e, prima che la bocca del dinosauro la toccasse, ella si aggrappò alla testa del mostro. Gli venne il flash back di quando l’altro Plesiosauro voleva mangiarla ma lei era salita sulla sua piccola testa con Jerry. Si aggrappò con la corda che riuscì ad attorcigliare una volta alla testa. Me no male il dinosauro, dopo essersi guardato intorno con un’aria da: “dov’è la mia preda?” stupida dipinta in faccia, andava verso lo scoglio anch’esso, così risparmiò dei metri di nuoto alla ragazza che poté riposarsi. Quando il 17 dinosauro ebbe raggiunto i piedi della roccia dove stava Jerry, Angelica si attaccò alla parete dello scoglio, poiché il collo del dinosauro era così lungo che non permetteva ad Angelica di buttarsi in acqua perché era troppo alto. Così la ragazza non dovette nemmeno arrampicarsi e andò verso la conca dove aspettava il cagnolino impaziente. Esso la leccò tutta e si preparò a prendere più aria possibile e conservarla nei suoi polmoncini. La ragazza decise che, essendo in posizione orizzontale quando nuotava, doveva legarsi Jerry con la corda sulla schiena. Scese verso i piedi dello scoglio seguita da Jerry scodinzolante e si fermò su una conca qualche centimetro prima di andare a finire nell’acqua. Prese la corda dalla tasca e Jerry con l’altra mano, si sdraiò a faccia in giù e, mettendosi Jerry sulla schiena, riuscì facendo girare parecchie volte la corda attorno a lui e poi al ventre di Angelica a legarselo alla schiena, si sedette con le mani che reggevano il cane e piano piano scivolò in acqua. Iniziò a nuotare a rana sentendo le zampine del cane che agitate non riuscivano a muoversi e rimanevano sdraiate sulla maglietta blu scura e aderente che portava la ragazza. Nuotò facendo poche pause fino a che non raggiunse la costa. Si sedette sulla sabbia sciogliendosi il doppio nodo che le cingeva la vita e poi gli innumerevoli che bloccavano Jerry. Andò verso il nascondiglio dove c’era la cartella seguita da Jerry che si scuoteva il pelo chiazzato alla luce del sole per togliere le più piccole gocce d’acqua. La ragazza spostò le rocce e prese dalla cartella delle merendine e gli snak per il cane. Dopo che i due ebbero mangiato, Angelica si asciugò pochi minuti al sole e si scosse levando la sabbia dai vestiti. Tolse le scarpe e i calzini. Sotto i suoi piedi la sabbia era morbida e dorata. Jerry giocherellava con una foglia di una grossa felce quando nella radura si sentirono dei passi pesanti che si avvicinavano alla baia. Angelica sapeva di non poter scappare lontano essendo più lenta. Scattò verso il cane, lo prese e con movimenti silenziosi come un gatto, recuperò i vestiti, li mise con tutta fretta nella cartella che si buttò in spalla e corse dalla parte opposta al rumore. Non voleva far rumore muovendosi nella vegetazione costante quindi decise di nascondercisi solo quando il predatore avrebbe raggiunto la baia. Jerry si sentiva sballottolato e si mise ad abbaiare al rumore pesante del dinosauro che si dirigeva alla baia. La ragazza chiuse la bocca al cane e aguzzò le orecchie: dalla sua accurata analisi doveva essere un Allosauro (dinosauro carnivoro lungo come un camion); si trovava nel periodo Giurassico - Cretacico dove i dinosauri avevano preso dimensioni enormi. Aveva fatto poca strada ma decise di 18 correre nella vegetazione perché lasciava le tracce dei suoi piedi sulla sabbia. Angelica sperò che l’animale non fosse a caccia. Si fermò con il cuore a mille e il cane stretto al petto. Si rannicchiò in un posto dov’era ben nascosta dalla luce ma dove lei poteva sbirciare da una fessura che mostrava la spiaggia. 19 6 Dopo pochi minuti due enormi zampe beige si piantarono davanti alla visuale di Angelica che sbirciava dalla fessura nella fitta vegetazione. Il grosso dinosauro era più grande di lei e quindi un suo passo erano cinquanta suoi, la ragazza poteva contare solo sull’intelligenza. Si guardò intorno: a destra c’era una via piana che portava a una radura di certo abitata, a sinistra fitta vegetazione e grossi insetti, dietro di sé una conca ben nascosta. Si spostò verso destra cercando di non fare il minimo rumore. Purtroppo schiacciò un grosso insetto nero che spruzzò pus giallo sulla sabbia. La ragazza tornò a sbirciare dalla fessura e vide che il Tirannosauro aveva piegato la testa e fissava la vegetazione. Angelica rimase immobile pronta a correre verso la radura e a ripararsi in un posto sicuro. Sbirciò dalla fessura e vide che il Tirannosauro se ne stava andando verso quel rumore che anche lui aveva sentito. Angelica scappò verso la radura per paura che la preda che stava inseguendo il Tirannosauro scappasse e il dinosauro tornasse a cercare lei, solo quando non sentì più i grossi passi e il ringhiare sommesso di Jerry bloccato dalla sua mano che gli chiudeva il muso. Il suo passo era limitato dalle alte piante che brulicavano di grossi insetti e dove vi erano nascosti piccoli dinosauri. Angelica percorse la fitta vegetazione fino a che non arrivò al sentiero schiacciato di recente da tanti animali che portava a una vasta radura delimitata da alti alberi uno a fianco all’altro. Era così bella quella radura, sembrava un parco enorme. In un angolo vicino ad un albero si trovava un alto ma corto cespuglio di foglie verdi e l’erba era piena di tanti fiori profumati di diversi colori. Angelica sentì un rumore di passi pesanti in lontananza, tanti, che venivano verso la radura. La ragazza si nascose ma i passi erano diversi da quelli del Tirannosauro e troppo pesanti per un branco di dinosauri carnivori. Decise lo stesso di nascondersi, per prudenza. Si nascose dietro un albero e aspettò. Un gruppo di grossi brontosauri uscì dalla fitta vegetazione, uno dietro l’altro, ed entrò nella vasta radura. Si sparsero nell’enorme parco e si misero, quattro per ogni 20 albero, a mangiare le lunghe foglie degli alberi. La ragazza non sapeva dove sarebbe andata, quindi pensò di seguire quel gruppo di animali anche dopo la radura. Mise il cane per terra, esso abbaiava continuamente quando i grossi piedoni dei dinosauri si spostavano per paura che qualcuno schiacciasse la sua padroncina. Angelica fece cadere per terra il guinzaglio di Jerry fermandolo con il piede, mentre con le mani libere prese la cartella dalla schiena, l’aprì e prese la corda che le era stata in varie occasioni molto utile. Dopo quest’operazione, chiuse la cartella che mise sulle spalle e prese il guinzaglio di Jerry. Si avvicinò ad un gruppo di quattro Diplodochi (dinosauri erbivori lunghi quanto 4 elefanti) che mangiavano e decise di cavalcarli, ma come?. Gli venne un’idea: lasciò abbaiare Jerry al gruppo e fece più rumore possibile. Un dinosauro incuriosito chinò la testolina verso la ragazza che fissò negli occhi. Jerry abbaiava furiosamente. Angelica lo prese in braccio, si avvicinò lentamente alla testolina con due occhi piccoli e neri che la fissavano incuriositi, lanciò la corda sulla testa dell’animale che si avvicinò ancora di più e lei, prontamente saltò sulla testa dell’animale, legò la corda al collo del dinosauro come un collare e si ritrovò su. 7 21 Il branco se ne andò dalla radura dopo mezz’ora e sparì nella boscaglia con Angelica e Jerry sulla testa di uno di loro. Sembrava un giro panoramico, la portarono nei posti che lei non aveva visto: a Est e poi a Sud. Angelica scoprì che erano le parti dell’isola dove vivevano più erbivori. A Est lontano dalla spiaggia, c’era una pianura di terreno arido, il suo perimetro era delineato da un bosco rado, al centro del terreno arido invece, c’era un altissimo vulcano che non doveva eruttare da anni ormai con ai piedi altri piccoli vulcani molto bassi; invece, al Sud, c’era un’altra radura protetta con un terreno erboso che si trovava accanto ad un fiume di acqua pulita, superato il fiume, dopo venti metri, s’ergeva un’alta montagna rocciosa, fatta apposta per diventare un posto protetto dove gli Pterodattili potevano fare il nido sulle cime più alte. Adesso Angelica conosceva tutta la radura avendo visto già il Nord e l’Ovest. A Nord c’era la spiaggia; a Ovest basse montagnette di rocce una vicina all’altra, perfette per i piccoli dinosauri carnivori come il Compsognato piccolo come un pollo che potevano farvi le uova e nascondervi il nido fra le rocce; a Est il bosco arido con il vulcano al centro e a Sud l’habitat più riparato e meno pericoloso dove vivevano indisturbati gli erbivori. Il branco di diplodochi si fermò nella radura a Sud, passò in una stradina che era stata creata grazie a tutte le volte che veniva schiacciata dalle zampe, zampine e zampone dei dinosauri, in mezzo alla foresta. Dopo che tutto il branco ebbe finito di camminare nella stradina, si ritrovò nella radura popolata da tantissimi dinosauri. In un angolo della radura, uno stegosauro grosso quanto un elefante, di colore verde scuro con enormi placche marroni-verde sulla schiena con al fianco il suo cucciolino grande come il cucciolo di un elefante verde chiaro, stavano brucando l’erba; dopo il fiume un enorme triceratopo marrone chiaro con le corna lunghissime, appuntite, giallo-bianco, si stava abbeverando; grossi insetti popolavano gli alberi e uno pterodattilo marrone chiaro con un’apertura alare spettacolare, volava alto nel cielo. La ragazza con il cane in braccio, scivolò giù dalla testa del dinosauro, si aggrappò al suo collo e, carponi si 22 avvicinò verso la coda del diplodoco che aveva cavalcato, giunta lì si sedette e scivolò giù, verso la punta della coda, li si fermò, fece un saltino e si ritrovò sull’erba di un verde chiaro, bagnata dalla rugiada mattutina. Jerry si mise ad abbaiare a tutti quei bestioni spaventato all’idea di essere mille volte più piccolo di loro e con la consapevolezza di non riuscire da solo a proteggere Angelica, ma si fece coraggio e pensò di essere un cagnone che doveva proteggere la sua padrona anche lei più piccola di quei bestioni. Angelica dovette sgridare il cane e tirarlo alla lontana dai dinosauri che, curiosi, alzavano lo sguardo e fissavano quella piccola pulce pelosa con una voce tonante quanto quella di un leone. Jerry non era felice di essere zittito, si lamentò con lo sguardo pensando “Io ti sto proteggendo e tu nemmeno mi ringrazi. Ma guarda te… perché non mi capisci?”. Era facile leggere l’espressione di Jerry sul suo viso, << Si lo so che mi vuoi proteggere. Ma quelli se li disturbi ti faranno diventare un cane arrosto! >>. “Beh, si capisco. Me ne starò zitto” pensò di rimando il cane e, già che c’era, fece i bisognini in un angolino dove l’erba era così alta che lo copriva tutto a parte le punte delle orecchie che, ritte a punta mostravano dove si trovava. Quando ebbe finito decise di esplorare la zona, ovviamente tenendo d’occhio ogni passo che faceva la sua padroncina. Sentì un sacco di nuovi odori: gli alberi avevano un odore selvatico e mielato, lo Stegosauro odorava di muschio e terra, il branco di Diplodochi avevano odori diversi ma qualcosa di uguale all’altro c’era in ognuno, sentì anche diversi odori: uno di uova e uccellini piccoli, uno di lavanda e mirto e infine uno piccante come il pepe. Beh era proprio bello scoprire degli odori che, anche se simili a quelli della vegetazione come: la lavanda e mirto, appartenevano ad animali… Odori vecchi e odori nuovi, odori piccanti e altri profumati, odori amari e altri dolci, odori succulenti e altri non, un miscuglio così nuovo e attraente che non si poteva smettere di annusare. << Ei Je, sbrigati >>, venne interrotto dalla padroncina, alzò il naso che prima toccava terra e seguì la ragazza come la sua ombra. Angelica arrivata a due piedi dal fiume, lo controllò attentamente: era abbastanza profondo, doveva arrivargli alla vita, le correnti non erano così forti da portarla via, quindi decise di superarlo. Si tolse le scarpe, mise cautamente prima un piede e poi l’altro e si avviò verso l’altra sponda. La sabbia di quel fiume le dava una sensazione strana, morbida, viscida e 23 fastidiosa. Arrivata al centro del fiumiciattolo, dovette tirare più su il cane perché la sua coda già toccava l’acqua. Finito di attraversare il fiume, si sedette sull’altra sponda e sciacquati i piedi e asciugati al sole si rimise la scarpe. Ad un certo punto sentì un rumore di tanti veloci passi che arrivavano verso di lei. Si alzò di scatto e decise di arrampicarsi su un basso albero. Non sapeva come portare su anche il cane, quindi, preso il guinzaglio di Jerry, se lo legò alla schiena a mo’ borsa e salì. Arrivata al ramo più basso, si fermò lì, rimase in piedi con una mano attaccata al ramo sopra di lei, con l’altra si slegò il guinzaglio e prese il cane in braccio che era terrorizzato. Si sedette sul ramo con il cane fra le braccia, lo accarezzò stringendoselo al petto, come un bambino. Aveva appena finito di tranquillizzarlo quando un gruppo di quindici velociraptor affamati si sparse nella radura ormai deserta. Due velociraptor s’accorsero di Angelica e corsero verso l’albero. Tutto il branco seguì i due. Quattro alla volta si buttavano verso l’alto o provavano ad arrampicarsi graffiando la corteccia con le lunghe unghie. Angelica dovette ritirare i piedi per non farseli amputare, tappò il muso a Jerry per non farlo abbaiare troppo e farlo cadere verso il branco e alla fine si mise a sperare… 24 8 Dopo parecchi minuti nei quali il branco aveva graffiato la corteccia, un po’ alla volta se ne andarono. Angelica poté lasciare il muso di Jerry e scendere dall’albero. In pochi minuti la radura si ripopolò di erbivori. Un Archaeopteryx si posò su un ramo coi suoi volicchi. La ragazza voleva tornarsene a casa, non ce la faceva più, era una ragazza normale con l’aiuto di Dio, niente di più. Decise di dirigersi verso la ripida montagna dove, attorno, era pieno di alberi con grossi frutti. Lei prese solo quelli che conosceva sulla Terra per paura di avvelenarsi. Questi erano più buoni e succosi però. Diede delle caramelle per cani a Jerry e si sdraiò all’ombra di un albero. Dopo aver dormicchiato, decise di spostarsi verso il mare. Era troppo grande l’isola quindi dovette chiedere un passaggio… Stava camminando verso il fiume quando un grosso Pterodattilo scese in picchiata verso di lei. Angelica aveva visto parecchie volte nei film di Fantasy che, se uno Pterodattilo prendeva un uomo era per portarlo come preda per i piccoli o perché l’ha scambiato come un cucciolo. Lei voleva evitare entrambe le cose. Prima che lo Pterodattilo toccasse terra con il suo lungo becco, Angelica prese il cane che aveva preso di nuovo tanto terrore, saltò sul dorso del dinosauro. Saltatevi su, sentì la schiena del dinosauro: era ruvida e squamosa. Il dinosauro non si accorse nemmeno del nuovo ospite, stupito di non vedere più la sua preda, era tornato a volare in alto. Andava giusto verso la spiaggia. Angelica con una mano si aggrappava all’ala, con l’altra teneva Jerry consolandolo con parole dolci. Era una sensazione veramente fica quella che si provava. Il dinosauro andava veloce e la sensazione del vento in faccia era più bella di quella che si prova in moto. Angelica, sporgendo la testa in fuori, osservava il bel paesaggio che s’estendeva sotto il dinosauro alato: boschi, distese aride, fiumi, montagne, prati e infine, sorpassato un bosco, il dinosauro si calò in picchiata verso la spiaggia a velocità massima. Lo Pterodattilo s’era posato sulla spiaggia. La ragazza prese Jerry, scivolò giù dalla schiena scivolosa e ritrovatasi sulla spiaggia, corse silenziosa come un gatto verso la verdura. 25 Aspettò che lo Pterodattilo spiccasse il volo e poi, uscì dalla boscaglia tenebrosa per godersi un po’ di relax. Si sedette su una roccia che sbucava dalla sabbia e chiuse gli occhi rilassandosi con il cane sulle ginocchia pronto a svegliarsi per proteggerla. 26 9 Era in quel posto da quattro giorni e, dopo aver passato pomeriggio e notte tranquilla, Angelica si iniziò a preoccupare delle cose più importanti dopo: non farsi uccidere dai dinosauri, cioè come tornare a casa sua. La mattina del quinto giorno, dopo aver mangiato dei frutti lì sulla spiaggia grossi e succulenti, la ragazza sentì un rumore nel fitto della boscaglia dietro di lei. Jerry s’era alzato di scatto tendendo le orecchie a quel rumore nella boscaglia. Angelica prese il cane e si riparò dietro la roccia grigia sbirciando spaventata, quando, tutt’a un tratto dal verde delle foglie comparve un uomo… doveva essere un tempo uno di mezza età, poiché non aveva né rughe né capelli bianchi, ma adesso, non curato e vestito in quel modo sembrava vecchio, con una grossa gobba sulla schiena, capelli marroni scoloriti lunghi, occhi impazziti iniettati di sangue, vestiti stracciati e sgualciti, sorriso a dieci denti gialli con varie carie e corpo osseo. Era così impressionante, tanto che la ragazzina si spaventò nel vederlo. Il “vecchio” gobbo la vide, e con una risatina stridula e da matto qual era, si avvicinò alla roccia dove si trovavano ancora la nostra ragazza con il suo mitico cagnolino. Jerry si mie subito ad abbaiare ferocemente e spingersi in avanti anche se bloccato dalle braccia della ragazza, sentiva la pazzia nell’uomo e in cuor suo aveva paura, non aveva mai visto un umano come quello, era a dir poco sconcertato. Il vecchio si sedette sulla sabbia con un’altra risatina isterica e poi con una voce non usata da parecchio tempo, si vedeva perché era cavernosa e roca, disse: << è da un mese che non vedo un uma…no >>, Angelica non aveva il coraggio di parlare, in quel momento non sapeva chi era quello davanti a lei, era un pazzo da ricoverare, un maniaco, uno zombie nato in quella strana isola per puro caso o che altra cosa? Alla fine si fece coraggio e disse: << Lei s’è trovato qua come… me? Chi è? >> << ssss >>, rispose il vecchio che non si ricordava più come dire - sì << Lei sa come posso tornare a casa? >>, domandò speranzosa Angelica 27 Ovamente – Angelica notò l’errore di calligrafia, doveva essere per colpa del tempo che quell’uomo aveva passato lì sull’isola dopo essersi arreso alla pazzia –. Predendo il fiore oro glande quanto una tua mano che si trova sulle uova del Tirannosauro più grande dell’isola. Basta mangiarne un petalo e potrai espimere tre desideri. Ma non ci sono mai riuscito,in conpenso ho rischiato di peldere una mano.Il nido si trova… >>, Angelica non ebbe il tempo di sentire dal vecchio dove si trovava questo Tirannosauro che l’uomo con un singulto, cadde a terra tremante. Angelica non capì, poi vide un piccolo ma veloce serpente verde con le macchie marroni che in quel momento era uscito da sotto la manica del vestito sgualcito. Angelica con Jerry, subito corse lontano dal serpente che, sceso dal corpo dell’ormai vecchio, assetato di uccisione l’aveva seguita strisciando con foga ma,dopo pochi metri s’era arreso evidentemente scocciato. La ragazza era troppo stupita, sotto schok, lì si faceva presto a impazzire. Quando vide che dietro di lei non c’era più il serpente, si sedette a terra, guardando Jerry che le leccava la mano. Adesso che gl’era passato lo schok e pensava a ciò che le aveva detto l’uomo matto prima di morire avvelenato dal serpente, quella cosa riguardo al fiore che di sicuro era il più piccolo di quell’isola per i suoi standard, se era solo grande quanto la sua mano, ma doveva essere un’impresa difficile se quello non ce l’aveva fatta in un mese… peccato che non le aveva detto dove si trovava. Provò a pensare con il cervello di un dinosauro. Li aveva studiati in terza, certo era stata un po’ incredula della loro esistenza e, a scuola non li avevano nemmeno studiati tanto, ma bastava ragionare, un Tirannosauro non aveva paura di niente essendo il carnivoro più grosso, a parte quelli della sua specie, e se poi era il più grosso della sua specie – come aveva detto il vecchio – e aveva una nidiata di uova da covare, sarà stata così aggressiva che nessuno l’avrebbe importunata. Pensò ad un posto ricco di cibo, un lago vicino, un luogo sicuro e protetto per delle uova, magari al centro dell’isola. Lei non conosceva quel luogo, se conteneva degli animali così grossi doveva essere enorme. Decise di avventurarsi a casaccio. Dov’era lei era tramontato il sole, ovest. Con la sua utilissima bussola sarebbe riuscita a non perdersi o girare in tondo. Tirò fuori dalla cartella il coltello pronta ad usarlo in casi necessari. Jerry fece pipì lì vicino a mo’ marcamento. Angelica proseguì dritta sotto i maestosi alberi dove diverse anatre primitive molto grosse e Archaeopterix stavano riposando, ad un certo punto sentì un rumore assordante, dei botti potentissimi. Decise di andare a guardare, si sarebbe fatta un rifugio in << 28 caso di super rischio. Si affacciò da dietro un tronco d’albero e vide che il terreno da lì in poi diventava paludoso. Sopra di esso due Pachicefalosauri si contendevano una femmina a capocciate dell’enorme testa. Li aveva studiati, per contendersi le femmine, si scontravano con la testa perché, essa, era ricoperta da una placca durissima e resistente per proteggere il cervello come un casco, la guerra finiva quando quello che aveva la placca troppo debole, moriva, oppure quando l’avversario se ne andava. Facevano un gran fracasso che risuonava nella palude. Sull’erba trasudante melma e acqua vi vide una delle prime specie di tartarughe di terra carnivore: era enorme ricoperta da placche dure con un guscio spigoloso e marroncino, il becco era appuntito e tagliente come una lama, si stava mangiando una salamandra gialla e rossa. Più indietro in un acquitrino vi vide uno dei primi aironi nati sulla terra, dopo cinque secondi che fissava lo strano airone, lo vide sparire sott’acqua e subito affiorare la testa di un coccodrillo, già il muso era lungo nove metri. Jerry guardava in vece la lotta per la femmina, stranamente senza abbaiare, piuttosto affascinato. Angelica tornò sui suoi passi spingendo Jerry. Spostò alcune foglie di felci per passare e arrivò in una parte della radura degli erbivori. Da un lato una cascata scivolava veloce e mortale sempre più giù. Altissimi alberi ricoprivano la sponda dell’inizio del lago che si tramutava in una cascata, numerosi cespugli fiori strani davano colore alla radura verde e azzurra. In un lato un Driosauro stava strappando le foglie da un cespuglio verde melma; sette Brachiosauri brucavano dagli alberi più alti dal colore verde chiaro; un Megazostrodo (primo mammifero simile ad un topo) si nascondeva dietro ad un cespuglio; cinque iguanodonti, una coppia, un cucciolo e due anziani stavano brucando, il maschio della coppia prendeva dei fiori da una pianta rosea e la femmina glieli rubacchiava dalla bocca con la lingua, il cucciolo trotterellava intorno alla coppietta, un anziano stava scavando il terreno per rosicchiare radici e l’altro afferrata con la zampa una pianta ne mangiava i fiori rossi. La quiete di quel pasto alleggiava nell’aria, Angelica s’era seduta su di un tronco caduto beandosi di quell’attimo di pace. Dopo un po’ proseguì il cammino seguendo il bordo di una montagna scoscesa. Entrò in un’altra radura di erbivori. Restò a bocca aperta: la radura era punteggiata da nidi scavati nel terriccio femmine erbivore di tutti i tipi portavano cibo ai nuovi arrivati o covavano numerose uova ovali. Una femmina di Maiasauro derivata dalla famiglia degli Adrosauri stava portando bacche nere a tre piccolini nati in quell’istante; una 29 triceratopo faceva la guardia alle uova; un oviraptor cercava di rubacchiare dai nidi le uova per cibarsene. Che strana radura, sembrava l’ospedale degli erbivori. Uscì da quell’ospedale e giunse ad una boscaglia impenetrabile, proseguì a destra unica via d’uscita. Si girò e salutò il tratto in cui era arrivata. Sempre dritto a destra, due alberi uno vicino all’altro, enormi, fra i due una lunga strada, sembrava fosse stata creata da un uomo perché era terriccio piano, senza intralci o erba, spazioso cinque metri e il bordo era subito delineato dall’erba. I rami degl’enormi alberi si intrecciavano fra loro non facendo infiltrare nemmeno un raggio di luce mattutino. Iniziò il cammino. Era schifata dagli insetti grossi quanto un pugno che si facevano i fatti loro sugli alberi. Non aveva bisogno di tenere il cagnolino in braccio per non fargli prendere le pulci, poiché di erba non ce n’era. Proseguì il cammino silenziosamente sentendo sempre attività dietro gli altissimi cespugli che terminavano il prato ai lati della strada. Era preoccupata, non voleva mica incontrare un branco di velociraptor affamati, anche se dall’altra parte ne sentiva i passi veloci. Sobbalzava quando sentiva il rumore delle zampe troppo vicino alla siepe. Il sentiero era interminabile, non sapeva dove finisse, aveva percorso un chilometro e non vedeva ancora la fine. Ma sarebbe finito mai?. Anche Jei era diffidente, troppo nervoso per il suo solito carattere troppo allegro, Angelica teneva il coltello in mano pronta, era preoccupata, Jerry che era sempre stato coraggioso in grado di far scappare un rotwailer, senza timore di niente, adesso era diffidente. Chissà che dinosauri feroci e temibili si nascondevano dietro quelle siepi. Ad un certo punto, la strada fu bloccata da un’enorme ragnatela che era attaccata con un filo alla punta delle altissime siepi. La ragnatela era grande quanto un cucciolo di elefante, per gli standard dell’isola era piccola, i fili intrecciati fatti dalla saliva del ragno erano ben visibili e spessi come un dito. Nella ragnatela c’era un moscerino grande quanto un braccio. Se il moscerino era così grande, quanto lo era il proprietario della ragnatela? Non ci voleva pensare. Guardò la lama affilata del coltello che teneva sigillata in mano pronta ad usarla. 30 10 Angelica non sapeva che fare. Rompere la ragnatela e proseguire? Attirare il ragno, ucciderlo per non avere problemi e proseguire tagliando la ragnatela? Scavalcare le siepi e camminare nell’altra strada per poi, superata la ragnatela, tornare nella sua strada?. Ragionò a lungo. La domanda tre la scartò subito, 1 non sapeva cosa avrebbe trovato nell’altra strada, 2 le siepi erano ricche di altri insetti, un altro paio di maniche, 3 le siepi erano troppo alte, insormontabili. Seconda domanda, possibile, ma non aveva né il coraggio né la voglia di affrontare un enorme insetto 1 non aveva molte possibilità, 2 odiava tutti gli insetti. Ispezionò le siepi e gli alberi. Dov’era il ragno? non lo vedeva. Decise di iniziare per finire presto. I fili che componevano la ragnatela erano duri, dovette tagliarli uno alla volta. Quando si formò un varco, lo sorpassò. Aveva superato di un metro la ragnatela quando sentì un gran frastuono dietro di sé, non voleva girarsi, Jerry abbaiava come un forsennato. Si girò velocemente, aprì lo zaino, ne prese l’altro coltello, ancora più affilato, di quelli che usano i macellai, buttò lo zaino lontano e ordinò al cane di allontanarsi. Come se Jerry l’avrebbe fatto. Ma vedendo che la padroncina glielo diceva sul serio, si allontanò ringhiando all’avversario, pronto ad intervenire se la sua protetta si fosse fatta male. Di fronte alla ragazza, c’era un ragno alto cinque metri e largo altrettanto, non era di quelli velenosi ma un semplice ragno di campagna. Le due tenaglie sporgevano come lame affilate, gli otto occhietti ripugnanti fissavano Angelica, evidentemente era la prima volta che vedeva un umano. Angelica iniziò a correre ma, quando vide che con un passo il ragno le stava dietro, si girò. Il ragno fiondò le tenaglie per terra dove c’era la ragazza, ma ella fu più veloce e il ragno sollevò solo una nuvola di polvere. Quando il ragno provò ad afferrarla di nuovo, lei gli saltò su in testa. La testa era viscida, pelosa, gli si attaccò con i coltelli. Che schifo aveva toccato un occhio, era viscido, liquido. Le venne un conato di vomito, molto forte, si impegnò per non rigettare. Staccò il coltello normale, non quello da macellaio che stava ancora attaccato al 31 cranio. Il ragno muoveva la testa velocissimo, per staccarla, ma lei tenne duro. Col coltello gli accecò più occhietti possibili. Fiumi di sangue ne uscivano, ma la bestia si stava affidando all’udito. Doveva ucciderla, al più presto. Con ripugnanza conficcò il coltello al centro del cranio e, staccato l’altro, ve lo conficcò a fianco. Con un conato bloccato in gola, scavò finchè il ragno non cadde a terra, morto. Angelica saltò giù. Si sedette vicino al suo cane pallida e con la faccia verde di nausea. Poi si alzò, pulì i coltelli sul terriccio e li rimise nello zainetto. Decise di rimettersi in cammino al più presto, se uno Pterodattilo o un altro ragno volevano mangiarsi il morto, lei non voleva essere vicina, mai e poi mai. Così continuò l’arduo cammino verso la fine del sentiero. Arrivò la notte, Angelica ormai lontana due chilometri e mezzo dall’incidente con il ragno, con i piedi distrutti dalla stanchezza si gettò a terra stanca morta, aprì lo zaino, prese del cibo e bevve tant’acqua. Diede una buona dose di croccantini a Jerry e gli versò un po’ d’acqua su una grossa e resistente foglia staccata dalla siepe non con poca fatica. Lì in quella stradina la notte, era da vero film horror. La torcia non la volle accendere, non voleva rischiare di attrarre qualche animale. Si fece una conca e si sdraiò con la testa poggiata sullo zaino. Dormì poco e male e si svegliò alle prime luci. Si guardò come se nella notte avesse subito degli attacchi, poi si guardò il petto, dove sentiva uno strano calore, in fatti lì c’era accoccolato Jerry. Aprì lo zaino e mangiò. Prese il telefono come se si potesse accendere lì, in un altro mondo e parlare con la madre, rassicurarla e chiamare rinforzi per farsi riportare nella sua casa, nella sua cameretta. Ricordava benissimo le pareti bianche luminose, i quadri belli e vivaci, la scrivania, la sua cartella con i compiti (un po’ meno amati), la sua biblioteca, la sua tv a sessanta pollici e il suo letto, comodo e accogliente. Ricordò le belle notti con il cane sulle coperte, le giornate faticose di scuola i compagni, la sua mamma e soprattutto la sua vecchia e normale vita. Dopo essersi pettinata con le mani, si alzò e, svegliando Jerry delicatamente, riprese l’interminabile cammino. Era ancora stanca mentre passeggiava nell’interminabile sentiero quando finì su una radura spoglia, senza erba con un terriccio che si seccava sempre di più sotto i potenti e riscaldanti raggi del sole. Lei voleva raggiungere il centro dell’isola per vedere se ci fossero delle porte “magiche” che la riportassero indietro. Ma, era quello il centro, una radura 32 simile al deserto? Magari il centro dell’isola era il più disabitato apposta per scacciare i dinosauri dal mondo che loro non conoscevano: quello umano. Camminò nella radura. In lontananza, molto lontano vedeva che un punto del terreno non era piano come il resto ma sembrava una piccola collinetta. Ad un certo punto sentì un botto terribile, vide a sinistra della collinetta, molto lontano, un Tirannosauro che cercava di uccidere un Anchilosauro, esso però, prontissimo scaricava sul collo del Tirannosauro ripetute menate della coda pesante, forte simile a una mazza ossea. Il branco del Tirannosauro s’era allontanato, solo uno di essi cercava di aiutare l’altro menando fendenti alle zampe del Tirannosauro. Esso ad un certo punto riuscì a far cadere il Tirannosauro e rompergli una zampa. Subito iniziarono a rompergli l’altra a distanza dalle mascelle enormi e furibonde del bestione. Il branco dopo, se ne andò aspettando gli altri. Il corpo del Tirannosauro era rimasto lì sulla sabbia, furente. Vide da una parte che c’era una montagnetta fatta di grossi massi. Non voleva avvicinarsi per paura dei serpenti che vi si nascondevano silenziosi. Proseguì sempre dritta verso quella collinetta in lontananza quando sentì, un rumore di tanti passi veloci che correvano. Pensò a ripararsi da qualunque pericolo stesse arrivando. Corse subito verso la montagnetta di massi. Incrociò le dita sperando di non ritrovarci stupidi serpenti a mettersi d’impiccio. Ne vide due nascosti sotto delle rocce erano lunghi cinque metri. Andò dalla parte opposta e si nascose in una conca naturale scavata in un enorme masso. L’apertura era bloccata da un grosso macigno. Lei era magra, le bastava quella sottiletta di spazio che c’era per riuscire a entrare senza smuovere il masso. Accese la torcia per vedere se dentro quel perfetto nascondiglio ci fossero dei serpenti. Vide solo delle ossa di piccoli animali, prede mangiate, e delle foglie sparse sul terreno. Brutto segno. Il rumore di tanti passi veloci era più vicino. Chissene frega se era un nascondiglio di qualche animale, piccolo visto che le prede degli animali che aveva mangiato erano piccole. I passi erano sempre più veloci. Spinse Jerry dentro quella fessura, lui ci passava e poi entrò lei. Aveva la faccia rivolta verso l’esterno. Ebbe il tempo di vedere un enorme branco di Ceratosauri grandi quanto un elefante in corsa. Scappavano saltando sulle rocce. Perché? Dietro vide un Tirannosauro più grande di un palazzo di dieci piani. Aveva letto dei libri quando era in terza elementare e sapeva bene che un Tirannosauro Rex era ancora più alto e cicciotto. Quello, certo era enorme ma, me no male un Tirannosauro e basta. I Ceratosauri erano 33 veloci ma due, i più vecchi rimasero indietro e anche un cucciolo che era inciampato. Il Tirannosauro ne braccò uno e graffiandolo con gli artigli, lo uccise. Iniziò a mangiarselo velocemente ma gli altri due erano già scappati. Vide l’altro Tirannosauro caduto per terra e si diresse verso quello pensando “Uh, oggi preda facile”, il Tirannosauro però, cercò di alzarsi e riuscì a mordere la gamba dell’altro Tirannosauro che stava diventando suo predatore anzi che suo simile. Il dinosauro decise che non valeva la pena di ferirsi per mangiare il suo simile e cercò di ucciderlo, finalmente ci riuscì con un morso alla gola letale. Iniziò a strappare brandelli di carne della carcassa per mangiarsela. Non ebbe il tempo di finirla che vide un altro Tirannosauro che veniva a mangiare quello morto. Non voleva sprecare energie per un duello, lasciò perdere e decise di cercare cibo fra le rocce. Angelica sbirciò e, appena vide che il Tirannosauro stava salendo sulle rocce, gli venne un botto al cuore, c’era il rischio che la trovasse e, spostando il macigno la mangiasse o 2 salisse sul suo macigno ed, essendo pesante, spaccasse il macigno schiacciandola con la zampa. Sentiva sempre più vicino il rumore dei pesanti passi, il suo cuore andava a mille, non riusciva a respirare e a tranquillizzarsi, stava andando in trance. La scena di quel mostro che mangiava un suo simile in quel modo le aveva dato un tale disgusto che aveva paura di impazzire. Si restrinse al lato più buio di quella conca tenendo stretto Jerry in braccio e tappandogli il muso sussurrandogli “shh, stai in silenzio”. Nascose Jerry a fianco a sé, quello rivolto verso la fine della conca, così che, se gli veniva di alzare il muso e vedere ciò che succedeva, era coperto dal lato della gamba di lei. Arrivò il momento… Il Tirannosauro, vedendo la fessura che portava dentro quel rifugio, vi avvicinò l’occhio. Sentiva un rumorino di cuore caldo e vivo che batteva veloce veloce e cercava di tacere ogni momento. Vedeva tutto blu, non scorgeva parti rosse nel nascondiglio (Per capire questa frase, bisogna sapere che tutti i rettili vedono in blu gli oggetti non animati, senza vita e in rosso quelli in vita, che gli scorre sangue puro all’interno). Rimase lì finché non sentì più quel rumorino, era affamato, voleva mangiare qualcos’altro di grosso non di piccolo, com’era il rumore di quel cuoricino. Così se ne andò. Angelica aveva visto di sottecchi quell’enorme occhio giallo con un’enorme pupilla nera al centro e sospirò di sollievo quando non lo vide più e non sentì più i passi. Aspettò ancora lì riprendendosi dalla debolezza 34 e asciugandosi le goccioline di sudore che le imperlavano la fronte. Fuori l’altro Tirannosauro aveva finito la preda e se n’era andato più che soddisfatto. Accarezzò il cane e sorrise aprendo lo zainetto per tirare fuori la bottiglietta d’acqua per bere, ma non ebbe un minuto di più per tranquillizzarsi. 35 11 Sentì un rumore che proveniva dalla fessura. Jerry s’era messo a ringhiare verso quella parte. Voltò gli occhi alla fessura e vide… la testa di un enorme serpente marroncino. Lei odiava i serpenti e ne aveva anche paura. Il serpente era enorme. Fissò prima il cane poi lei e aprendo la bocca, mostrò i denti soffiando. Aveva i due denti enormi. Angelica prese dallo zainetto un accendino che vi aveva lasciato da un bel po’ di tempo all’interno. Lo accese mostrandolo al serpente. Lui fregandosene, strisciava lento, dopo si vide il perché, quando entrò tutto per la fessura aveva una grossa protuberanza sulla schiena. Aveva appena mangiato. Sospirò di sollievo. Non voleva ucciderlo. Cercò un rametto per appiccarci il fuoco e spaventare almeno un po’ il serpente. Trovò un rametto per terra, piccolo e flessibile, a quello vi appiccò il fuoco. Una fiamma divampò come un’anima imbizzarrita prima piccola poi sempre più grande e maestosa. Il serpente iniziò a guardarla più attentamente sibilando. Angelica prese in braccio Jerry che, con bassi uggiolii si lamentava della fiamma vicina ma nello stesso tempo lontana dal suo naso. Angelica sapeva che, se si sarebbe tirata in dietro, il serpente non avrebbe avuto paura di lei. Avanzò con il fuoco arrabbiato appiccato al suo ramo. Il serpente si fermò. Angelica sapeva che i serpenti erano molto veloci ad azzannare anche se avevano già mangiato. Voleva farlo indietreggiare per poi bruciarlo. Doveva cercare di ferirlo gravemente per essere sicura di riuscire a uscire dal nascondiglio di morte e scappare per tornare al suo piano di cammino. Si avvicinò al serpente pronta a bruciargli la testa ma il serpente fu velocissimo. Si alzò e l’azzannò al braccio. Stranamente non si ritirò, ma rimase attaccato come un bulldog. Jerry provò a morderlo ma in un secondo il serpente staccò la presa, sfiorò il cane con i denti e tornò all’attacco. Angelica fece cadere il cane per il dolore e avvicinò il braccio con il bastone infuocato. Lo avvicinò alla testa del serpente e lo sfiorò una la fiamma. Il serpente si staccò. Il taglio sul braccio di Angelica era profondo ma non c’era veleno, il serpentone non era velenoso… unica 36 cosa positiva della situazione. Angelica strinse i denti per trattenere un urlo. Il sangue le colava, il serpente aveva una bocca enorme, le aveva infilzato i denti vicino alla bocca profondamente. Il serpente si era già ripulito i denti insanguinati. Pronto ad afferrare questa volta l’altra mano per farle cadere la fiamma. Jerry cercava di distoglierlo mordendogli il fianco ma, la pelle era dura. Angelica stava attraendo il serpente dentro la cava sul fondo, così, se gli avesse dato fuoco, aveva spazio per spostare la pietra e scappare. Il sudore le colava in continuazione dalla fronte, strinse i denti sfigurando il viso in un’espressione di dolore. La mano ferita, la stringeva fortemente tanto che le nocche le divennero bianche. Sapeva che non sarebbe durata tanto in piedi, doveva agire. Cercò di affondare il bastone sul serpente ma quello si spostava troppo velocemente. Angelica con la fiamma, costrinse il serpente nell’angolo e provò ancora a dargli fuoco. La fiamma stava mangiando il bastone. Il serpente si era arrotolato su se stesso raggiungendo un metro di altezza, Jerry non poteva più aiutarla. Angelica era pronta con la fiamma sul bastone e l’accendino nell’altra mano. Mise da una parte l’accendino, davanti a sé per non farsi mordere il viso e a destra il bastone con la fiamma, il serpente scappò a sinistra, secondo il piano di Angelica. Così lei, essendo il serpente ancora un po’ lento, gli lanciò addosso l’accendino, così il serpente si fermò a guardarla volendo provare a morderla ma lei, con il bastone e la fiamma, lo lanciò sulla testa del serpente. Esso si allontanò nell’angolo in preda al dolore prima della morte. Angelica prese l’accendino rimasto per terra e, assicuratasi che il serpente stava accogliendo la morte. Uscì dalla fessura richiamando Jerry che le corse in contro. Jerry sentiva il dolore e l’orrore dentro la sua padroncina, le uggiolò preoccupato “sorella, cos’hai, stai bene?”. Jerry sapeva che la sua sorellina conosceva il suo linguaggio quanto bastava e se non gli rispondeva significava che stava davvero male. In risposta, cadde a terra. Jerry le si avvicinò e scoprendo la ferita, gli si avvicinò e gliela leccò. Lei lo scacciò via in malo modo, di sicuro non voleva scacciarlo così, si vede che stava davvero male. Le si sedette vicino uggiolando piano e iniziò a leccargli la ferita per stoppargli l’influsso di sangue. Lei si strinse con l’altra mano quella ferita. Jerry le sentiva oltre allo schok e al dolore tanta ansia. Doveva avere paura dei predatori attratti dal sangue vivo. Lei si strappò un pezzo di manica di maglia e se la strinse alla ferita legandola con la stessa benda stringendola tanto. Dentro l’anima di Angelica le 37 turbinavano mille emozioni. Non sapeva che fare, come continuare in quel mondo terribile, sanguinante, debole, piccola, indifesa. Che fare? Non voleva mica morire lì in un’isola mostruosa, senza i genitori il vero mondo in quell’isola terribile dove si sentiva sperduta… sarebbe impazzita se non si fosse detta “Sangue freddo Angelica, respira. Se Dio ti ha aiutato a rimanere in vita fino ad adesso, cercherò di continuare a farlo”. Strinse i denti e si asciugò con il braccio intatto le perline di sudore che le gocciolavano dalla fronte. Angelica iniziò a preoccuparsi anche di Jerry quando il suo dolore diminuì di una tacca. Prese con la mano intatta il corpicino del cane. Quando gli sfiorò il fianco destro, il cane le si girò ringhiando involontariamente ma poi si lasciò toccare con uggiolii di dolore. Quando gli iniziò a scostare i peli per vedere la ferita, si girò e le diede un morsetto per avvertirla che gli faceva male. Angelica riuscì a vedere impressa la forma della punta della coda del serpente che l’aveva frustato su di un lato. Angelica non sapeva cosa fare, non aveva pomate, niente. Come guarirlo… un dolore lancinante alla mano fasciata interruppe per un attimo i suoi pensieri, la guardò fulminante e strinse il nodo. Porca, il sangue stava trapassando il pezzo di maglia… sfiga, sfiga, sfiga. Di sicuro Jerry non poteva riprendere il cammino conciato così. Non sapeva cosa fare, prenderlo in braccio era troppo lungo. Doveva riprendere il cammino prima che arrivassero dei dinosauri attratti dal sangue. Si alzò faticosamente con la cartella in spalla, oh non si era lavata la ferita, però ormai non importava, Angelica voleva andarsene al più presto. Prese il cane in braccio (dalla parte sana) e riprese il cammino verso il centro dell’isola. Camminò nei posti meno abitati nascondendosi, se doveva dietro altri alberi o larghi massi grigi. Però, Angelica aveva bisogno di riempire scorte d’acqua e mangiare qualche frutto oltre alle poche rimaste merendine. Doveva tornare nella foresta. Cambiò direzione, proseguendo verso la parte più abitata, a mano a mano che seguiva i molti dinosauri arrivavano gli alberi, sempre di più, finché non entrò in un’enorme radura lussureggiante. C’erano un branco di Stegosauri, un Triceratopo e i progenitori degli uccelli, rettili con le ali e poche penne sparse per il corpo che a mala pena sapevano volare. Più avanti andava e più dinosauri si presentavano, in un angolo sentì il muggito di un branco di brontosauri, alzò la testa, i loro colli si vedevano stagliati nel cielo. Sentì un canto nasale, l’aveva già sentito, doveva essere quel dinosauro erbivoro che sta ritto su due zampe e che i maschi, per chiamare le femmine cantano, non le veniva il nome. Ad un certo punto sentì il rumore sperato: acqua. Sempre 38 proseguendo dietro massi e punti coperti per non destare sospetto, si avvicinò verso il rumore sperato e, finalmente lo vide: un fiume largo due metri, di acque pulite che scorreva veloce dividendo la radura verso un’altra parte, sempre pianura ma paludosa. Zeppa di coccodrilli enormi, abbastanza distante però. Angelica, stremata mise Jerry per terra che, avvicinandosi alla sponda, attento a non cadere, allungò la linguetta rosea per bere. Angelica si sedette sull’erba togliendosi la cartella. Si lavò la mano intatta fino al gomito e con essa si pulì la faccia. Si slegò la benda sporca e, sciacquandola nel fiume, strinse i denti e si pulì con essa la ferita perché, il fiume scorreva troppo veloce e se lei vi avesse messo la mano, la forza l’avrebbe o tirata dentro o graffiata. La ferita adesso non poteva infettarsi. Me no male il fiume era veloce, se no il sangue lasciato avrebbe attratto carnivori. Lasciò la fascia ad asciugare e, intanto riempì le bottigliette svuotate: 4 e le mise in cartella. Poi si spostò in un angolo meno esposto e si mise ad accarezzare il cagnolino che le stava accoccolato al fianco guardando il fiume. Si rimise la benda quasi asciutta e lavò il fianco ferito di Jerry. Adesso doveva fare la scorta di cibo prima di tornare al terreno secco. Decise di seguire il fiume verso l’alto non verso il basso e prese a camminarvi a fianco con Jerry che le zampettava meno dolorante intorno. Ad un certo punto Angelica sentì un rumore, tanti passi veloci che correvano verso di lei in lontananza. Qualunque cosa sia, Angelica decise di farsi un covo su di un albero, ma senza una mano disponibile e un cane non ce l’avrebbe fatta, come fare? Una scala?… troppo lunga da costruire… scappare?... erano troppo vicini… una buca?... sì, per terra, coperta da un masso lasciando passare solo una fessura. Ma dove trovare il masso? Senza ragionare scelse il correre via e poi cercare un masso per nascondersi. Corse lontano dalla riva e trovò un cespuglio non molto fitto e senza insetti perché era un cespuglio che aveva frutti velenosi di un verdino chiaro. Angelica in tutta fretta sfilò i due coltelli e in mezzo al cespuglio cercò di fare una buca che poi girava sotto il terreno come quelle dei conigli perché, se avesse fatto una buca dritta e i dinosauri avrebbero schiacciato il cespuglio, avrebbero rischiato di metterci una zampa dentro e toccarla per poi fermarsi e grattare la superficie. Era per quello che aveva girato a destra sotto il terreno, così che i dinosauri non l’avrebbero toccata. Il terreno era duro, Angelica sudava e Jerry capendo ciò che doveva fare la padroncina s’era messo a scavare poderosamente sollevando zolle di terra 39 piene di lunghi vermi rosa che scocciati se ne strisciavano via. Alla fine riuscirono a fare il buchetto e proseguirlo per poi girare a destra sotto il terreno. Lì la terra era più morbida da smuovere. Il terreno, me no male reggeva. Il rumore si avvicinava velocemente. Non c’era tempo per migliorare il rifugio. Prese dei frutti e li spalmò vicino al buco per mascherare l’odore. Spinse il cane dentro e dietro lei con lo zaino. Si girò ed ebbe il tempo di vedere un branco di velociraptor che camminavano allargando le narici per sentire odore di preda. Camminavano guardandosi in giro e tendendo le orecchie per captare buoni odori di cibo. Uno di questi corridori, si avvicinò al cespuglio dai frutti velenosi allargando le narici. Aveva sentito un odore di cibo mai sentito, uno dolce e pieno di sangue, un altro caldo e saporito mischiati all’odore amaro e pungente dei frutti. Angelica teneva stretto stretto Jerry che si dimenava come un forsennato ringhiando sommessamente. Angelica aveva messo davanti a Jerry lo zainetto mentre lei era appoggiata alla fine del muro di terra. Il velociraptor si fiondò sul cespuglio e trovato il buco si affacciò. Vedendo due prede che lo guardavano spaventati, si mise a scavare come un forsennato non entrandoci. Altri due velociraptor lo affiancarono ma lui non si spostava, allora gli altri iniziarono a dargli di dosso coi fianchi e con la bocca per spostarlo avendo paura di non riuscire a condividere la preda. La testa enorme del corridore egoista uscì dalla tana e fissò gli altri due severamente. Il branco in poco tempo aveva accerchiato la tana e ognuno voleva raggiungere le prede nascoste, allora iniziarono tutti a farsi guerra attaccandosi con potenti morsi e laceranti unghiate. In poco tempo iniziarono a uccidersi, in dieci minuti ci furono tre velociraptor morti per terra, tra questi anche il nostro egoista che aveva causato il tutto. Intanto Angelica aveva iniziato di nuovo a scavare con Jerry che, staccato gli occhi dalla buca, aveva iniziato ad aiutarla. Continuarono a proseguire scavando e distanziandosi notevolmente dalla buca. Quando sentirono un rumore dietro di sé. Un cucciolo di velociraptor era riuscito a entrare. Era ferito da unghiate al dorso. Lo spazio era ancora molto piccolo. Il cucciolo lo riempiva tutto. Angelica tenette Jerry e prese il coltello pronta a proteggersi ma, gli venne in mente un piano più semplice, aspettare il dinosauro e scagliare il coltello come una freccia. Il velociraptor si avvicinava. La sua pelle verde presentava qua e là lunghi tagli che facevano fuoriuscire un liquido denso, di un rosso quasi viola. I grossi artigli grigi e pieni di terriccio secco, graffiavano dolorosamente il povero 40 terreno. La bocca viola era spalancata mostrando una lingua nera da vipera e tanti affilati denti. Gli occhi erano gialli come quelli dei gufi, ma piccoli e con una pupilla minuscola, numerose vene rosse lo attraversavano. Adesso la distanza fra lui e Angelica era di un metro. Lei, non sopportando quello sguardo, scagliò il coltello. Il cucciolo non ebbe il tempo di muoversi che la lama gli entrò nella pancia sbudellandolo. Il corridorino cadde a terra, morto. Angelica estrasse il coltello e pulendolo nel terriccio, trattenendosi il vomito che le penetrava all’interno, continuò il percorso. Quando fu distante dalla buca un kilometro, scavò sopra di lei per uscire. Jerry però ringhiava, Angelica non capiva il perché, sembrava la stesse avvertendo “Non qui, non qui”, decise di scavare più avanti ma Jerry continuava a ringhiare. Superò dieci metri, sempre sotto terra e, finalmente decise che lì poteva scavare. Jerry borbottava. Quando bucò il terreno in superficie, entrò dell’acqua. Lei prese Jerry e con lo zaino in spalla, nuotò fuori. Si ritrovò sulla sponda di un lago. L’acqua era bassa. Camminò fino alla riva e sotto ad una felce immensa si sedette. Di fronte a lei, un immenso lago si estendeva calmo cerchiato da altissimi alberi. 41 SECONDA PARTE Un mondo spettacolare: il Neolitico 42 1 Angelica aprì lo zaino. Di cibo rimaneva solo una merendina e un mucchio di crocchette, bastanti solo per altri due giorni. Bevve lunghe sorsate d’acqua e da una ci fece bere il cane. Ad un certo punto, al centro del lago, si alzò un altissimo collo grigio perla e una faccia da serpente conosciuta si stagliò nel cielo. Un Plesiosauro. Angelica aveva iniziato a odiarli dal più profondo del cuore, ma quella faccia era uguale a quel Plesiosauro che l’aveva portata lì in quell’isola. Si nascose dentro una conca di sabbia che era piena di altissime rocce bianche e ovali. Le toccò erano lisce. Il sole si alzò nel cielo e colpì le rocce. Angelica urlò dallo stupore quando un raggio del sole colpì una roccia, intravide all’interno un corpicino con il collo lungo, un cucciolino di Plesiosauro dentro… uova! Erano uova di dinosauro. Il Plesiosauro aveva allungato il collo verso di lei e la guardava con due grandi occhi argenti. Jerry stranamente non gli ringhiava contro. Il Plesiosauro aprì la bocca e… disse con voce umana: “Angelica, il destino ti ha portato qua. Adesso, se vuoi tornare nel tuo mondo, com’è giusto che sia,devi salire su di me, io ti porterò in una nuova dimensione, quella dopo i dinosauri, lì il tuo destino ti porterà all’acqua che ti porterà nella terza dimensione, a mano a mano, via acqua, tornerai alla tua dimensione”. Angelica non credeva alle sue orecchie, l’aveva immaginato quel discorso? Ma poi il Plesiosauro riaprì la bocca e disse: “Vuoi venire?Rispondi ”. Angelica annuì tremante dall’incredulità – Verrò. Poi le venne un pensiero che chiese al dinosauro – Ma quel pazzo ha detto che, per tornare alla mia dimensione dovevo prendere dei fiori gialli. Il Plesiosauro le rispose – Non era necessario, poi quello è impazzito. E sembrò sorridere della cattiva sorte dell’uomo. Poi abbassò la testa – Sali. Angelica mise il ginocchio sul testone e con Jerry in braccio lo cavalcò ma il dinosauro disse – Sali in bocca, sarai al sicuro… tranquilla non ti mangio. Angelica, insicura entrò dentro la bocca e si attaccò a un dente. Il dinosauro abbassò il collo e, lentamente lo tuffò nell’acqua. Per rilasciare 43 la superficie limpida e piatta dietro di se. Angelica sentiva fuori dall’enorme bocca del dinosauro il gorgoglio lieve dell’acqua e il frusciare delle alghe. Era spaventata. Jerry teneva le orecchie attaccate al cranio: era nervoso e spaventato. I denti e la lingua da vipera erano rugosi e viscidi di saliva. Il viaggio sembrava non finire mai, se l’era immaginato il discorso di questo enorme stupido dinosauro che la teneva dentro le fauci e stava per inghiottirla o era la verità. Non sapeva che scegliere. Inoltre era stanca, sanguinante, ammaccata, affamata e voleva tornare nel suo mondo. Gli mancavano enormemente parole umane, adesso che il dinosauro, forse, aveva parlato, si sentiva meno sola, ma sempre sperduta in un mondo senza fine eppure molto rischioso. Non era abituata ad affrontare viaggi lunghissimi ogni giorno, non era mica un indiano nelle tribù. Evidentemente, però, era dentro un libro dove il suo destino era già segnato e finiva con una parola vita o morte. doveva affrontare numerose vicende. Adesso che ci pensava, non era a caso che l’aveva morsa un serpente, l’aveva fatto per farla avvicinare all’acqua informandola con un metodo molto doloroso che “stava sbagliando strada”. Prese lo specchietto, era da tanto che non lo prendeva e si guardò, aveva grosse occhiaie, i suoi capelli però più brillanti e nutriti dalla salsedine del mare e rinvigoriti dalla luce. Jerry stava un poco peggio, però era un Chihuahua molto robusto. Il suo problema era solo quello del freddo e del riposo, anche lui era molto stanco, sfiaccato dalle innumerevoli passeggiatine in un mondo diverso. A lui gli mancava soprattutto il suo divano, le serate fra i cuscini a poltrire al calduccio con fuori le intemperie che lo guardavano insoddisfatte del suo “sfotterle” in continuazione. Adesso, invece, notava che il suo fiuto diventava giorno per giorno più robusto e il suo udito più fine, era più robusto anche di fisico, stava cambiando. Ad un certo punto Angelica cadde a terra per via di un brusco scossone. La bocca si aprì e li lasciò uscire dentro una cupola d’aria nel più profondo del lago. Fattoli entrare dentro la cupola disse – Alla fine della cupola troverete una porta. Entratevi, vi porterà alla prossima dimensione. Addio Il dinosauro se ne andò. Angelica si fermò a vedere quella cupola che al centro dell’abisso più profondo rimaneva senz’acqua, forte e flessibile come il suo stato d’animo. Un enorme pescione degli abissi, nero con due occhi bianchi senza vita, sentiva la presenza di un’altra vita dentro un punto remoto: aria e provò ad entrarvi. Iniziò col muso. Angelica vide questo enorme e orribile pesce che stava attraversando la cupola d’aria, sapeva che si sarebbe ritratto subito dopo averla mangiata. 44 Jerry ormai non ringhiava più agli esseri che vedeva più forti di lui. Corse davanti alla padroncina-sorella per indicargli la via della porta. Lei si mise a correre dietro più velocemente che poteva mentre lui, saettando come una lepre smuoveva la sabbia che gli toccava le zampe, si fermò a guardare la sorella alta che stava dietro di lui e proseguì la corsa. Giunse davanti ad una porta invisibile che faceva vedere nell’altra dimensione. Angelica vide un prato fiorito e i primi mammiferi. Numerose scimmie sugli alberi. Spinse Jerry che era insicuro dentro la porticina e dietro lei e si ritrovò sul prato. Si girò verso la porticina, vedeva il pescione che si stava ritirando non sentendo più nessun odore. Si sdraiò nell’erba. Doveva farsi un rifugio. Come? Aveva numerosi libri quali i sei libri iniziati con La Magia del Lupo di Michelle Paver. Non aveva modo di legare i tronchi per comporre una tenda e manco pelli per coprirla o la forza di arrivare a tagliare i rami. Si avvicinò ad un albero e si fece un riparo ai suoi piedi. Una conca nell’erba. Mise a portata di mano i coltelli e si addormentò con Jerry accoccolato al petto pronto a svegliarsi a rumori sospetti. Quando si svegliò, tutto era tranquillo. Jerry s’era addormentato molto profondamente, non riuscì a svegliarlo. Aprì lo zaino e prese l’ultimissima merendina che aveva nello zaino, la trangugiò e bevve tant’acqua. Si accorse di un altro animale solo quando quello le toccò lo zaino. Era una scimmietta molto curiosa con un viso da “un cucchiaino di cervello in zucca”. Ad Angelica le venne la nausea quando si ricordò che quella scimmia o sarebbe rimasta scimmia o sarebbe diventato uomo. Mentre ragionava su ciò, la scimmietta prese dall’erba il coltello meno affilato per studiarlo. Angelica se n’era accorta e gliel’aveva quasi sottratto ma quella si arrampicò velocemente sull’albero. Ad Angelica saltarono i nervi, Jerry si svegliò e si fiondò addosso all’albero. Angelica si arrampicò ma quando saliva, la scimmia andava nei bordi dei rami e lei era troppo pesante. Gli venne un flashback. Quella scimmia aveva qualcosa di familiare, uh sì, gli ricordavano gli stupidoni del primo liceo che si facevano grandi, erano uguali. Le venne da ridire e riscese dall’albero. La scimmia si mise a guardare il coltello ma, quando lo strinse troppo si ferì la mano e lasciò cadere l’arma che cadde sul prato. La scimmia offesa se ne andò saltando su un altro albero a fianco. “Ben ti sta”, pensò e si sedette. Le crocchette Jerry non le voleva, bene non avrebbe mangiato. Doveva trovare del cibo però, quindi doveva cacciare. Ma per farlo ci voleva un arco. Sapeva farlo, era andata in una gita scolastica alle medie e gliel’avevano insegnato. Prese il coltello e salì sull’albero. Staccò i rami sottili ma robusti che 45 caddero a terra spaventando Jerry che, come una lepre corse a nascondersi dietro un cespuglio, poi cauto, tornò. Angelica si mise a modellare il ramo per farlo assomigliare ad un arco, ma non aveva fili robusti per fare l’elastico per mirare e manco le frecce. Beh, le frecce le poté fare ma non poté attaccarci piume per non far sentire la freccia che volava verso l’animale. Andava bene lo stesso però. Si sentiva un indiano di una tribù delle foreste. Jerry le camminava rumoroso al fianco, lei gli fece capire che doveva stare in silenzio e seguirla da vicino. Jerry ad un certo punto drizzò le orecchie ad un suono imminente. Non capiva quegli odori, erano tutti diversi, di sicuro era una preda buona da mangiare. Un istinto lupesco s’impossessò di lui e sentì il sapore del sangue in bocca, sorrise in un modo particolare né canino né umano e portò Angelica in un posto dove poteva scoccare quel grosso artiglio che teneva perché, in cuor suo sperava che lei l’avesse creato per cacciare, aveva ragione. Angelica si vide davanti uno strano animale, simile ad un cavallo ma piccolino e senza artigli, aveva le zampe, era marrone con grandi occhi posti ai lati da erbivoro. Angelica scoccò la freccia che andò a conficcarsi fra le costole dell’animale. Esso non se l’aspettava, cadde a terra sanguinante. Ad Angelica faceva impressione vedere tutto quel sangue per terra ma non voleva infliggere altre pene allo strano animale. Mise un’altra freccia dentro il ventre e diede l’addio al povero animale. Non era abituata a far così, il corpo le faceva impressione, non era un macellaio. Jerry abituato a fiondarsi sul cibo, iniziò a mangiare, poi però si fermò e guardò con aria di scusa la padrona-sorella, era lei il capobranco, doveva mangiare per prima. Angelica con tanta nausea. Scuoiò l’animale, ripulì la pelliccia dalla carne e quei bocconi li diede al cane. Come tenere recipienti per mangiare la carne? Non lo sapeva. Tagliò un pezzo di pelliccia e preparò fili di tendini, erano molto robusti, il povero corpo le diceva “Mi hai ucciso, colpevole!”. Continuò però il suo lavoro provando a non sporcarsi. Affettò un pezzo di fegato che diede al cane che, se lo masticò nella bocca. Angelica credeva che il cane non l’avesse mangiato, invece, adesso lo vedeva più robusto, più cane e anche lei si sentiva più cacciatrice anzi che umana. Nella sua mente si allenava sempre nello studio per non regredire mentalmente. Tagliò il fegato a fettine e lo mise sulla pelliccia. Con un ramo di legno, riuscì a farci una mini scodella e metterci cuore fegato e il resto della carne lo mise sulla pelle. Non aveva ghiaccio per conservarla ma, per qualche giorno avrebbe durato. Con la pelliccia ci ricavò un porta archi e una corsettina per il cibo fresco. Angelica sostituì la parte elastica che serviva 46 per scoccare frecce che aveva fatto in legno e lo sostituì con quello spessissimo tendine. Aveva lavorato abbastanza e secondo lei benissimo. Prese le ossa più grosse per costruirci delle ciotole. Mise le ossa in cartella, in memoria dell’ormai estinto animale, lasciò testa, cervello e una fetta di fegato nell’erba agli strani dinosauri alati che erano accorsi come avvoltoi a mangiare carcasse. Angelica nella pelle vi mise la carne e se la portò in un luogo più appartato. Lo trovò in riva al fiume e lì finì di preparare la carne. Non aveva ancora mangiato. Me no male aveva l’accendino. Appiccò un fuoco e mise la carne a cuocere infilzata ad un rametto. Mangiò bene e dette un pezzo di cuore cotto a Jerry che lo mangiò lentamente gustandolo. Angelica bevve e guardò in lontananza: c’erano alberi più fini in lontananza: alberi da frutta. 47 2 Angelica aveva perso tutta la mattina a usare la pelle marrone e ispida dell’animale, adesso, anche se era stanca doveva raggiungere la pianura di alberi da frutta e seguire il suo istinto per arrivare alla terza dimensione. La seconda non gli stava dando notevoli problemi, c’erano solo tante prede strane, moltissime scimmie di tutti i generi e strani predatori. I rettili erano molto pochi ma ancora grandicelli. Nelle acque dei fiumi c’erano ormai i pesci ma ancora ricoperti da dure scaglie e con musi troppo appuntiti a cono e inoltre, oltre alla grandezza, alcuni non avevano la coda e altri una cosa deformata ricoperta da dure scaglie di un colore molto scuro. Angelica vedeva che in quelle dimensioni c’era sempre il sole e fino a quel momento Jerry non aveva avuto mai bisogno di cappotto, era solo un po’ stanco ma l’erba che schiacciava con le zampine era morbida, non liscia come il pavimento di cemento delle strade. Odiava però l’erba alta, lì non riusciva a superarla, cadeva nel terriccio e doveva andare d’udito per seguire la padroncina nell’erba, perché non la vedeva. Sentiva un sacco di odori strani e nuovi, ma quello che gli faceva più impressione, erano quegli animali con lunghe braccia che sapevano arrampicarsi, erano pelosi e avevano il muso, perché oltre al loro odore: foglie di ginepro e sudore, odoravano di uomo. Era sempre più stanco di quel viaggio, le zampine gli facevano male, la sorella alta era stanca e lui non voleva esserle un peso. L’unica cosa in cui non si rammaricava era: il poter avere sempre a disposizione la padroncina per le coccole e il poter mangiare cibo appena fatto, con gli odori della foresta. Adesso, camminava pian piano a fianco alla sua sorella alta che stava andando verso un odore ancora nuovo: meno alberi, più insetti e animali e strano cibo non molto allettante attaccato agli alberi. Aveva già sentito l’odore di quel cibo, doveva essere frutta ma, nuove tipologie di frutta, strane. Proseguì dietro Angelica quando sentì un rumore: grosse zampe munite di artigli che correvano verso di loro da Est. Provò ad avvertire la padrona che erano in pericolo, avvisarla. Lei non capiva, però, sia ringraziato il cielo lo seguiva sperando in qualcosa. Lui la 48 portò di corsa davanti ad un albero dove una minuscola scimmia dagli occhi grossi: notturna, dormiva indisturbata. Angelica finalmente capì. Si arrampicò sull’albero svegliando la scimmia che andò a ripararsi in una buca dentro il tronco. Angelica lasciò sul ramo più spesso la cartella e scese a prendere Jerry. Aveva ancora problemi a salire con la mano ferita ma, sudando non poco, alla fine ce la fece e in poco tempo si ritrovò sul ramo con Jerry. Lei doveva mirare con la freccia qualunque predatore ci sia stato, ma Jerry dove metterlo? Spaventò con la freccia la scimmietta che era già sveglia avendo già captato il rumore e la fece uscire dalla tana nel tronco dove ci fece andare il cagnolino che sembrava sempre più nervoso. La mini-scimmia, salì più rami e si fermò su di uno, nascosta dalle foglie dell’albero. La buca era molto grossa nel tronco. Vi mise stretta stretta anche la cartella con la borsa che teneva le frecce e gli archi che aveva costruito lei con la pelle dello stranissimo animale e vi prese un arco e quattro frecce. Adesso le sentiva anche lei, tante zampe che correvano veloci facendo schizzare la terra. Dopo un interminabile momento lo vide. Sembrava un progenitore della “tigre dai denti a sciabola”, ma era a strisce e con una quinta gamba, meno robusta delle altre ma con una zampa più grossa fornita di sette artigli sotto la pancia. Di sicuro uno scherzo della natura. La strana tigre, si fiondò sull’albero e per raggiungere la ragazza spiccò dei salti sulle cinque zampe. Le mascelle quasi riuscivano a sfiorare il ramo dove c’era Angelica. Di sicuro era un animale senza predatori, che non aveva paura di niente, ma destinato a estinguersi. Era una specie mai vista. Angelica incoccò la freccia e la puntò con braccio tremante alla schiena della bestia che continuava a saltare e scorticare il tronco dell’albero facendo uscire il suo sangue dai profondi graffi che gli infliggeva. La freccia come un uccello volò dritta tra le scapole. L’animale non fece una smorfia, niente. Solo si girò, si guardò la schiena e, imbufalita più che mai cercò di arrivare ad Angelica. Lei incoccò un’altra freccia e la fece volare dritta verso il dorso dell’animale. Questa volta il sangue fuoriuscì nero e denso. L’animale tentò lo stesso di azzannare la caviglia di Angelica ma lei vi scoccò l’ultima freccia che aveva. Mirò il petto e l’animale, questa volta cadde a terra sbavando e, dopo un ultimo sguardo rabbioso in direzione di Angelica, esalò il suo ultimo respiro. Angelica solo dopo essere certa che l’animale fosse morto veramente, buttò per terra zaino, sacca con dentro il cibo e sacca dove prima c’erano anche le frecce belle pulite, adesso solo l’arco. Poi prese Jerry e iniziò la lunga discesa verso il basso. Giunse a 49 terra e riprese la sua roba. Poi levò le frecce dal corpo stranissimo dell’animale. La quinta gamba, si era come rimpicciolita fino a sparire. Ad Angelica faceva molto senso quegli strani corpi, anche troppo. Voleva tenere anche quella pelle e dare un boccone a Jerry ma esso le ringhiò contro e ringhiò anche contro la carcassa. Aveva capito, quell’animale era velenoso per gli uomini e per gli animali in generale, ecco perché non aveva predatori. Voleva tenere un ricordino di quell’animale ma le faceva troppo senso, era uno scherzo della natura quello. Ripulì le frecce sull’erba e le sistemò nella sacca con l’arco. Doveva essere ora di pranzo (l’unica cosa che Angelica non aveva perso era l’abitudine dei suoi orari, quelli le dicevano quando nel mondo umano era notte e quando doveva andare a scuola la mattina). Angelica cercò dei rametti e con l’accendino vi appiccò il fuoco, poi prese a cuocerci il cuore rimasto della vecchia preda erbivora cercando di non pensare che l’aveva ucciso lei e di non pensare che era l’organo che non aveva mai mangiato: il cuore. Assaggiò, non era male, masticò e mandò giù. Non voleva attirare altri strani scherzi della natura oltre a quegli uccelli strani che andavano a mangiare le carcasse, mangiò velocemente. Jerry non doveva ancora mangiare. Lo prese in braccio e tornò sui suoi passi. Doveva raggiungere quella collinetta con alberi da frutta. Era molto distante, più di quel che credeva all’inizio. Jerry era stato sempre in braccio a riposare mentre lei camminava vigile nella foresta. Le scimmie la guardavano dagli alberi. Vide un animale simile all’orso che però stava mangiando l’erba e un grosso uccello che però aveva la faccia di un serpente. Angelica giunse davanti ad un basso alberello. Era pieno di piume. Ecco, ciò che gli serviva da mettere nella punta dell’arco per farlo volare silenzioso. Ne prese quattro. Erano di un blu intenso, dure e taglienti, in grado di sferzare l’aria velocemente e silenziosamente. Le appiccicò alla freccia con della terra e la linfa di quell’albero strano, in fatti aveva la linfa appiccicosa come colla. La carne di riserva stava finendo, pensò di cacciare l’indomani. Ormai, cammin cammin il tempo scendeva, era ormai sera. Appiccò il fuoco e riscaldò la carne che in seguito mangiò e un po’ la diede a Jerry che, stanco morto, si era sdraiato su una sacca, ovviamente il suo vizio di dormire su tutto tranne che per terra s’era mantenuto… e benone. 50 3 Angelica si svegliò il giorno dopo di buon’ora e iniziò il cammino. Si fermò solo quando vide che Jerry si era fermato e non la seguiva più zampettando. Aveva drizzato le orecchie per captare un qualche suono. Angelica gli si avvicinò e s’inginocchiò accanto a lui che aveva una faccia un po’ preoccupata e stava allargando le narici per sentire un qualche odore. Finalmente lo sentì anche lei, un corno piuttosto affilato che scorticava la corteccia di un ramo. Quell’essere nascosto dalla vegetazione aveva un odore forte, di bacche di ginepro e fango mischiato a sudore. L’essere si avvicinava. Angelica non sapeva che fare, Jerry s’era accucciato su di un sacco peloso facendosi più piccolo che poteva diventando minuscolo, Angelica lo copiò. Adesso lo vide, un testone da rinoceronte, sì era un rinoceronte a parte una cosa, quell’animale era ricoperto da una fitta peluria marroncina-grigia. Non sapeva che fare, decise di non guardarlo e stare immobile dov’era, senza muovere un muscolo. Il rinoceronte uscì dai cespugli, era grosso e massiccio. Si avvicinò a lunghi e lenti passi fino a essere distante dalla faccia di Angelica di una mano. Allungò il muso e allargò le narici per captare quell’odore che non aveva mai sentito: odore di uomo. Decise che quei due esseri non erano pericolosi e aggirandoli se ne andò sempre osservando quella strana creatura che non aveva mai visto, quell’umano. Angelica riprese la passeggiata solo quando Jerry iniziò ad alzarsi. Il cagnolino stava diventando sempre più sporco di terra e fanghiglia, poiché faceva molto caldo, Angelica decise di fargli un bagno in un fiumiciattolo. Il problema era: dove trovarne uno? Decise di proseguire, se aveva avuto fortuna fino a quel momento, sarebbe durata ancora. Jerry era stanchissimo quando si fermò sotto un enorme quercia. Angelica si sedette sui sacchi vicino a Jerry e decise di nutrire il cagnolino, finito che ebbe, si accorse di un rumorino in lontananza: il gorgoglio di un fiume sempre dritto. Prese in braccio il cane e proseguì il cammino sotto il peso di tutto il carico che aveva in spalla. Finalmente lo vide, un fiumiciattolo dall’acqua pulita e 51 splendente. Si levò il carico dalle spalle e la giacca che aveva addosso. Vide la maglia con cui era partita all’inizio di quell’inaspettato viaggio, portava la marca Armani. Oh quanto le mancava la sua vecchia vita. Si lavò le mani e la faccia. Poi iniziò a lavare Jerry. Non aveva mai visto che il cagnolino aveva un sacco di fanghiglia e zolle di terra addosso, anche insetti. Adesso l’acqua glielo rivelava tingendosi di marrone e sporcizia. Jerry dapprima non voleva un bagnetto, si sentiva i peli appiccicati e pesanti che lo portavano verso il basso, ma poi si sentì molto più leggero notando che erano le zolle di terra a farlo appesantire. Adesso si sentiva molto più libero e pulito. Il clima era caldo, poté asciugarsi al sole. Per non farlo sporcare di nuovo, Angelica lo mise dentro la sua giacca che era rimasta sul sacco degli archi. Jerry iniziò ad abbassare le palpebre stanco come uno che torna da una lunga gara alle Olimpiadi e dopo un bagno caldo, finalmente si può dedicare al relax. La ragazza, per non svegliarlo e proseguire il cammino, decise di fare anch’essa un bagno. Iniziò a spogliarsi, faceva molto caldo. Iniziò a immergersi e si sciacquò. Anche dal suo corpo cadevano zolle di terra e insettini, perfino un grosso moscone. A mano a mano che si sfregava la pelle con le mani bagnate, si sentiva leggerissima, in grado di volare nel cielo e molto più pulita. Ovviamente non aveva shampoo ma l’acqua era bastata. Bella lavata, rimase in piedi ad asciugarsi al venticello caldo e, sfregandosi i capelli per aiutare il processo di asciugazione. Che leggerezza, che piacere. Anche la foresta sembrava non volerla disturbare. Non vedeva animali a parte una famiglia di topi oltre la riva del fiume dove sarebbe dovuta andare anche lei per proseguire il cammino e tanti strani uccelli che emettevano canti strani con voci indescrivibili, non si sapeva dire se i loro canti fossero belli o brutti, non si capiva. Finita di asciugarsi, si rimise le sue cose, però decise di lavare la maglia e il pantalone. Li lasciò asciugare al sole alla fine. Questi erano un po’ più lenti da asciugare. Il sole stava tramontando. Angelica si sedette sulla giacca vicino a Jerry. La consapevolezza di essere in un mondo senza umani la travolse di botto. Iniziò a parlare con Jerry solo per sentire una voce umana. La tristezza passò dopo un po’. Si rimise i suoi vestiti ormai asciutti e puliti. Si sentì meglio e mangiò le ultime provviste serbandone un po’ per Jerry. Era stufa di assaggiare carni che avevano un sapore sempre diverso, voleva adesso biscotti, pesci, frutta. Quando Jerry si svegliò gli diedi ciò che aveva serbato per lui e, finito che ebbe, lavò la pelliccia della sua prima preda che era sporca del suo stesso sangue. Voleva tutte le cose pulite. La pelliccia dell’animale si mostrò la 52 più sporca. Nell’acqua affogarono milioni di moscerini, ragni e zecche. Adesso la pelliccia era pulita, poteva usarla come coperta. Arrivò molto presto la notte, quando non aveva ancora sonno. Guardò il cielo blu scuro coperto da miriadi di stelle luminose. Si mise a dormire molto presto per risvegliarsi la mattina dopo che c’era già sole. Un ippopotamo enorme la stava guardando. Jerry gli abbagliava contro evidentemente preoccupato. Mentre l’ippopotamo se ne fregava altamente. Adesso Angelica notò la differenza fra quell’animale e un vero ippopotamo. L’animale aveva gli zoccoli e non aveva le orecchie, solo due fessure ai lati della testa. Evidentemente, non era aggressivo ma solo curioso. Stava annusando la cartella. Se la ragazza si fosse alzata però, l’avrebbe aggredita. Decise che quello sarebbe stato il suo pasto. Le dispiaceva molto, le era molto simpatico, però non aveva più carne. Prese gli archi, l’animale si girò di scatto e la fissò, poi tornò alla cartella. Angelica incoccò la freccia. Stava per scagliarla contro un fianco dell’ippopotamo quando vide dietro di lui un animale simile alla lince ma senza le orecchie e la coda, aveva gli zoccoli ed era di un marroncino terra. Stava per scagliarsi contro l’ippopotamo quando Angelica le scoccò la freccia contro. L’ippopotamo fece un balzo e stava per attaccare Angelica quando, finalmente, vide il predatore in preda alla morte. Sembrò capire e per un po’ fissò Angelica, poi se ne andò di corsa. Jerry era già vicino al corpo dell’animale e la ragazza lo seguì. Iniziò con lentezza esasperante e nausea (non riusciva a farsela passare, sapeva che se non avrebbe ucciso sarebbe morta lei) a scuoiare come poteva l’animale. Con la pelle dell’animale decise di farci il sacco del cibo, vi lasciò la carne all’interno e prese solo il fegato che mangiò. Era dolciastro, legittimamente buono. Il resto lo lasciò nel sacco staccando la testa e le zampe. Se la caricò in spalla e proseguì. Finalmente al tramonto giunse nella pianura. Scaricò il tutto e decise di preparare cibi che sarebbero durati a lungo con quei frutti. Non sapeva però quali erano mangiabili e quali no. Non era sola in quella pianura, c’erano molti uccelli, questa volta veri uccelli e scimmie, ma adesso non le sembravano più solo scimmie, avevano molto meno pelo. Si radunavano in gruppi, avevano le braccia davanti più corte di quelle dietro e avevano iniziato il lungo lavoro di provare ad alzarsi su due zampe, per adesso camminavano come dei gobbetti ma già su due zampe. La prima tipologia di uomo è infatti l’Australopiteco, una scimmia che ha deciso che alzarsi su due zampe e più favorevole. 1 si potevano raccogliere bacche e frutti facilmente e in maggior quantità; 53 2 si potevano afferrare pietre e bastoni secondo le necessità. Quando videro Angelica e Jerry, parvero molto curiosi. Cautamente mandarono due australopitechi a controllarla. Vide note somiglianze con gli umani in quei visi. Gli occhi marroni intelligenti, una sottile peluria pronta a cadere, la pelle delle mani stava cambiando colore, era meno spessa, non più nera ma di un rosa tenue, il muso molto meno accentuato, quasi quanto quello di un carlino. I due australopitechi le si avvicinarono e la annusarono, soprattutto le sue cose. Jerry era confuso, quegli animali sembravano umani e lui non poteva ringhiare contro umani, se ne stava zitto vicino alla sua padrona pronto ad agire. Un australopiteco aprì lo zaino e ne prese dall’interno una cartina vuota di merenda (Angelica non le aveva buttate per tenere il ricordo delle vecchie merendine), la guardò e con un’espressione da stupido da – Uh, ma che cos’è sta cosa. Non trovando rischi nella cartina e sentendo odore di un materiale mai sentito, la lasciò per terra e scappò, ad Angelica le venne da ridere. Poi, l’australopiteco tornò a piccoli passi per riprendere la cartina e si mise ad applaudire col sorrise fra le labbrone. Decisero di lasciar stare Angelica ma tenendola d’occhio da lontano. Ella iniziò a prendere i frutti dagli alberi facendoli annusare a Jerry che, a volte ringhiava, così lei capiva quali frutti erano velenosi. Ne riconobbe solo due di frutti che conosceva nella vita terrena: il limone e pesca. Decise che col limone ci avrebbe fatto una limonata da portarsi dietro e berla e con la pesca un succo di frutta. Assaggiò ogni frutto, ce n’era uno che era grosso e viola che sapeva di lampone misto a ciliegia, veramente buono; un altro verde scuro che aveva un sapore fresco e frizzante; un altro ancora arancione ma dalla forma schiacciata che sapeva di un mandarino; un altro marrone che aveva un sapore strano ma buono ecc. iniziò a provarli con la carne per farci dei tortini saporiti. Con la carne dell’animale che aveva ci stava bene il frutto verde, quello marrone, quello arancione e anche il succo di limone. Il bordo dei tortini lo fece con una radice marrone che aveva trovata nella riva del fiume, molto buona, era piatta e flessibile di un gusto indescrivibile, perfetta per il bordo. All’interno il fegato dell’animale mischiato a limone e pezzi di frutta. Riuscì a fare un tortino super forte, ne bastava uno per un’intera giornata. Ne fece un sacco e fece la scorta di frutti. Gli australopitechi la lasciarono continuare. Angelica proseguì il cammino fra le colline da cui, a volte spuntavano alberi da frutta. Un fiumiciattolo scorreva fra due colline, un gruppo di australopitechi s’era radunato in una caverna, pronti a riposare. Sembravano bambini, ogni famiglia dormiva in un angolo vicini 54 vicini per tenersi caldo, capì il perché, l’aria era sempre più fredda e il cielo era oscurato da numerose nuvole grigio che sembravano dire ACQUAZZONE, ACQUAZZONE. Angelica si riparò in una piccola caverna disabitata in intera pietra. Appiccò il fuoco all’entrata per non far entrare troppa umidità e si sistemò in fondo alla grotta. Jerry era stanchissimo, si ripulì le zampe nella caverna, unica cosa sporca e si accoccolò sulla coperta che era stata pulita. La caverna era pulitissima senza un insetto, niente. Angelica sistemò sulla roccia per terra la coperta scacciando Jerry che si rimise appena sistemata. Come cuscino ci mise la sacca che aveva fatto per gli archi che levò e mise per terra insieme alle frecce. Sistemò la sacca come cuscino. Mise la giacca per terra in un angolo e si mise a riposare con la pancia piena dal tortino. La sacca con il cibo l’aveva sistemata vicino agli archi e alle frecce. Fuori il cielo era imbufalito tuoni e lampi colpivano i rami degli alberi da frutta e le caverne. Il gorgoglio del fiume non si sentiva coperto dai tuoni. La pioggia cadeva ritmicamente nel paesaggio collinare, erano grosse gocce con una forza smisurata che bucavano i frutti caduti per terra. Gli alberi piangevano, il vento ululava come se stesse ridendo. Faceva molto freddo, sembrava di essere in inverno a Milano. Jerry tremava come una foglia leccando ritmicamente le mani alla padrona per riscaldarla. Lei si mise sopra come coperta la giacca e mise a Jerry il giubottino che aveva messo nella cartella all’inizio della sua avventura. Jerry accoccolato fra Angelica, il giubbotto e la giacca, riuscì ad addormentarsi, così anche la sua padroncina. 55 4 Angelica si svegliò quando un raggio di sole la colpì in pieno viso. Jerry stava sognando sul cuscino-sacca muovendo le zampette in avanti come se stesse correndo e producendo bassi mugolii che sembravano simili ad un – Aspettami, sto arrivando. La ragazza si alzò. Il fuoco si era spento nella notte, fuori il cielo era sereno, un albero era stato ridotto a un mozzicone di sigaretta, un altro aveva perso la chioma e i suoi frutti erano a terra bruciacchiati. Iniziò a notare il cambiamento negli australopitechi, vide che un gruppo stava nella caverna a fianco alla sua e avevano iniziato a prendere tante pietre, dopo le riconobbe, erano la Selce. Ovviamente, a chi non si ricorda ciò che aveva studiato in terza, gli farò un riassuntino: In quel periodo gli australopitechi per proteggersi e scuoiare le carcasse scoprirono di poter utilizzare alcune pietre chiamate choppers ovvero sassi o ciottoli scheggiati in modo rudimentale e resi più taglienti battendoli contro un altro sasso. Il loro cervello si ampliò, impararono a camminare perfettamente su due zampe, sulla testa crebbero molti più peli simili ai capelli, comparvero fine era Cenozoica inizio Paleolitico vennero chiamati Homo Habilis. L’Homo Habilis per parlare con gli altri emetteva suoni articolati, non ancora un vero linguaggio ma un “vocìo”. Viveva in piccoli gruppi per non attirare predatori, stavano sugli alberi la notte e, durante il giorno scendevano per mangiare. I più piccoli raccoglievano bacche. Altri aiutandosi con i bastoni, cercavano radici commestibili. I maschi adulti andavano in cerca di carcasse che scuoiavano, come ho detto prima con le rocce. Vivevano soprattutto nelle savane. E non erano nomadi. Per adesso mi stoppo qui e torno al racconto. Angelica uscì dalla caverna seguita da Jerry che, come una freccia, correva sul pendio della collina per poi tornare da lei per invitarla al gioco. Angelica si mise a inseguirlo. Correva spensierata ma, in un modo e da qualche parte doveva proseguire il cammino. Il Plesiosauro le aveva detto 56 che avrebbe proseguito dimensione tramite il mare. Bene ma se seguiva l’istinto, altra cosa che le aveva detto il Plesiosauro, come trovare il mare? superò le colline seguita da Jerry che le trotterellava intorno fermandosi a volte per annusare in giro. Superata quella collina si estendeva una montagna più alta della collina di qualche metro, non vedeva ciò che si trovava dietro di essa ma sentiva dopo di essa regnava un gran caldo. Decise di salire la montagna, non era molto ripida, né alta. Disturbò un uccello simile all’aquila che volò via e ben presto arrivò in alto. Da lì poteva vedere ciò che si nascondeva dietro il monte: una distesa di erba secca: la savana. Gli alberi erano radi, di acqua vide solo un fiumiciattolo che scendeva dalla montagna scorrendo beato. Lì numerose caverne erano state scavate nel fianco della montagna dalle intemperie. Vedeva la savana piena di animali ma anche di Homo Habilis. Erano più o meno alti, camminavano ballonzolando non avendo ancora sviluppato al massimo il pollice opponibile. Facevano impressione. Il muso era quasi sparito, come naso v’erano ancora le narici della scimmia, piedi e mani non avevano peli ma le gambe e il corpo era ricoperto di pelo. Giravano in gruppi come gli indiani, tenendo bastoni e lame di selce pronte fra le mani, a volte si fermavano per scavare e mangiare radici, cacciare prede o controllare il perimetro. Le madri tenevano in braccio i cuccioli, o meglio, bambini che avevano meno pelo dei genitori e assomigliavano a neonati. I maschi più forti stavano nel bordo del gruppo raggruppandolo protetto al centro. Vide un gruppo che si era fermato davanti ad una caverna e si era seduto sulle pietre per mangiare. La carne la mangiavano ancora cruda, non avevano scoperto il fuoco. Angelica non voleva incontrare gli antenati dell’uomo, non sapeva che cosa sapevano fare in quel periodo e che cosa avrebbero pensato vedendo lei. Decise comunque di scendere a valle. Non vedeva l’ora di tornare nel suo mondo. Si ricordava che finita la Neozoica iniziava l’Era Glaciale. Come affrontarla era un punto di domanda. Dopo l’Era Glaciale l’uomo iniziò a commerciare, scrivere, disegnare sui muri e parlare per comunicare con gli altri. Si ricordava anche che in Europa, dopo l’Era Glaciale il clima era normale. Ma in Italia dopo l’Era Glaciale e il periodo delle tribù, c’erano alcune popolazioni come Liguri, Celti, Camuni, Etruschi, Sardi ecc. sarebbe terminato lì il viaggio o ancora prima? Oppure, prima di arrivare alla sua di dimensione avrebbe proseguito dal d.C in su? Avrebbe avuto la possibilità anche di incontrare Gesù poiché conosceva il periodo? O il viaggio terminava prima? Decise di proseguire senza pensare troppo verso la savana. Decise di imparare 57 anche lei a fare lame appuntite. Però non sapeva com’era la selce e né dove si trovava. Gli uccelli in quel periodo erano diventati normali e nel volo imparavano sempre di più, non facevano più solo voletti, questo lo notò, mi dispiace dirglielo quando una grossa aquila le fece la cacca addosso che cadde dal cielo atterrando sulla mano di un’arrabbiata e schifata Angelica. L’uccello sembrava divertito, parecchio divertito. Angelica gli urlò contro spaventandolo e facendolo volar via. Anche Jerry pareva divertito, la sorella alta gli intimò un “E tu che ti ridi, eh?”. Angelica si diresse verso il ruscello poco lontano e si pulì la mano dalla cacca bianca e densa. Poi proseguì il cammino meno disgustata di prima. Stava alla larga dagli strani animali carnivori. Vide una specie di elefante meno tozzo e col collo lunghetto, con le orecchie molto piccole; vide anche un gruppo di cavalli, questa volta normali che correva spensierato e un orso che si avvicinava al fiume, di sicuro per mangiare pesci. Angelica aveva timore degli orsi già dalla nascita. Si allontanò velocemente dal fiume. Jerry a tratti la conduceva lui dove voleva perché sentiva che quella era la parte giusta da prendere, non sapeva come, ne perché ma era così, lo sapeva. Angelica lo seguiva sperando in qualcosa. Vide anche un cane selvatico che ululò a Jerry qualcosa di strano. Esso si arruffò come un gatto e ringhiò. Il cane selvatico se ne andò. Chissà che cosa avevano detto. Non l’avrebbe mai saputo. Proseguì il cammino quando venne vista da un piccolo di Homo Habilis, significava che il gruppo era lì vicino. Esso mostrò i denti e si rifugiò dietro ad un masso tenendo ben strette fra le dita le bacche che aveva trovato. Angelica non voleva sembrare una minaccia ma non voleva manco andarsene in quel momento con un animale estinto da secoli davanti agli occhi. Voleva toccarlo. Jerry si era avvicinato curioso e il piccolo gli aveva ringhiato contro. Jerry allora s’era messo a rispondergli anch’esso. Angelica lo calmò e si sedette provando ad essere dell’altezza del piccolo. Esso era diffidente, non capiva. Angelica lo toccò, il pelo era morbide come i capelli ma nello stesso tempo ruvido. Il piccolo le morse un dito. Aveva i denti affilati ma non strinse, lasciò subito e si dette alla corsa con dietro Jerry ululante. Angelica si leccò il dito e poi chiamò Jerry, lui però s’era dileguato. Seguendo le sue tracce lo trovò. Era davanti ad una schiera di Homo Habilis armati di selce, aveva gli occhi spaventati ma facendosi coraggio continuava a ringhiare abbassando le orecchie e mettendo la coda fra le zampe come per dire mi arrendo, però se vi avvicinate troppo vi mordo. Angelica si trovava dalla parte di Jerry, si nascose dietro ad un albero e lo afferrò così velocemente 58 che quasi gli cadde dalle braccia. Gli scimmioni bipedi urlarono arrabbiati. Uno scagliò la sua roccia contro il suo viso ma la mancò di un pelo. Il maschio più grosso e feroce, quello dominante in pratica, si mise ad inseguirla ma era lento a terra, si arrampicò sugli alberi. Non poteva saltare da un albero all’altro come in una foresta perché erano radi e la loro distanza l’uno dall’altro era enorme. Decise quindi di tornare indietro. Quando Angelica fu al sicuro dietro ad un masso mise Jerry per terra e gli urlò – Ma ti sembra il caso di fare sta scemata, non dovevi spaventarlo e manco metterci in pericolo, ti avrei dovuto lasciare nelle grinfie di quegli scimmioni! – Jerry s’era accucciato con le spalle al masso con la coda fra le zampe e le orecchie appiattite con il muso rivolto verso il basso con un aria da “cane bastonato”. Angelica proseguì il cammino e si ritrovò da dov’era iniziato il suo cammino, nel fiume. L’orso non c’era più e lei decise di seguire la via del fiume senza mai perderlo di vista. Sarebbe stato il suo punto di riferimento per portarla al mare. era stanca mangiò un tortino che subito la riempì e un pezzo lo diede a Jerry che stanco si addormentò sulla sacca degli archi per terra. Angelica si sdraiò in riva al fiume e vide parecchi pesci che vi nuotavano. Alcuni li riconosceva, come tonni, trote ecc. decise di pescarli in modo semplice attaccando una roccia scheggiata ad un bastone, però non aveva una selce da scheggiare o già fatta. Prima pensava di rubarne una da un gruppo di scimmioni distraendoli, però adesso se ne era appena andata da quel gruppo. Decise che, doveva cacciare per procurarsi delle pelli, con esse costruirci capanne e, dopo riposare per poi, andare a cercare la selce, sì avrebbe fatto così. Svegliò Jerry che a malavoglia si alzò e, mise in cartella la sacca dove prima ci dormiva Jerry e tutto il resto. Fra le mani tenne solo l’arco e le frecce. Decise di adescare un preda mettendo i tortini vicino al fiume. Aspettò dieci minuti buoni prima che un animale abboccasse. Era un’animale che mangiava i piccoli animali, aveva la criniera nera di un cavallo, le corna del cervo, la testa di un cane e il corpo di un daino, aveva la pelliccia cortissima. Angelica da dietro un masso a cinque metri di distanza scoccò la prima freccia che arrivò dritta alla pancia mentre l’animale stava già trangugiando il secondo tortino indisturbato e felice. L’animale cadde a terra. Per non farlo soffrire troppo, Angelica gli scoccò un’altra freccia. L’animale morì senza troppo soffrire. La ragazza corse verso l’animale e iniziò a scuoiarlo. Tagliò via la testa vedendo il cervello, era così piccolo che poteva stare in un cucchiaio. Lo conservò insieme alla carne, sembrava buono, non un normale ammasso molle. Prese il cuore e il 59 fegato mettendoli per terra, dopo li avrebbe puliti. Decise di prendere pezzi di carne anche dal corpo, era enorme, bastarono quattro pezzi, lasciò lì la carcassa. Mentre tagliava l’intestino vi trovò i tortini intatti, disgustoso. Si avvicinò al fiume e pulì gli organi mettendoli sulla sacca dei tortini. Voleva fare anche in quel caso dei tortini, assaggiò un pezzettino di tutto ciò che aveva preso con la frutta, la carne sapeva di una bistecca alla brace, squisita, stava bene da sola. Il cervello le faceva disgusto a mangiarlo ma, senza volerlo lo portò alla bocca e assaggiò, più buono di quanto pensasse. Fece tanti tortini, lavò la pelle nell’acqua del fiume e, dopo averla asciugata decise di farci una capanna. Sapeva farla, era andata in una gita in cui gliel’avevano insegnato. In poco tempo riuscì a fare una capanna piccola ma resistente. Faceva caldo, decise di dormire sul cappotto ormai inutile che si portava dietro. Jerry le si accoccolò a fianco e si addormentò beato. Si svegliò prima Jerry, vedendo che la sorella alta dormiva ancora, si rilassò a pancia in su. Quelle giornate erano sempre attive, la noia ne stava alla larga. Finalmente le notti dormiva come un sasso senza svegliarsi e il giorno, quando voleva sgranchire le zampe camminava. Il relax però gli mancava, però poteva sopravvivere. Perfino quei cibi non gli facevano male, lui che aveva uno stomaco molto delicato. Non si sentiva strapazzato perché la maggior parte delle volte Angelica lo teneva in braccio. Quando la sorella alta si svegliò, fu subito pronta a riprendere il cammino per tornare dagli Homo Habilis e sottrargli una pietra che le sarebbe servita per pescare: la selce. Decise di continuare la strada seguendo il fiume e poi guardarsi in giro per vedere un gruppo di Homo Habilis. Più continuava il percorso più la savana si faceva secca e arida, il cielo era azzurro senza una nuvola, gli strani animali la guardavano con circospezione, gli “scimmioni” non si vedevano e il clima era di un caldo, insopportabile, i pesci che nuotavano nell’acqua sembravano beffarsi di lei. Continuò a camminare fino a tardo pomeriggio. L’aria s’era rinfrescata, la savana si stava inumidendo. Finalmente Angelica dopo vari allarmi falsi vide un gruppo di Homo Habilis che stava venendo verso il fiume con un aria sfiaccata e assetata. Erano in cinque: un cucciolo, due femmine e due maschi. Le femmine sembravano due gobbette, una aveva in braccio il cucciolo e l’altra un bastone, i due maschi invece erano più attrezzati avevano bastoni e rocce di selce. Si mossero verso il fiume, s’inginocchiarono e iniziarono a portare alla bocca con le mani ancora un po’ pelose lunghe sorsate 60 d’acqua. Il piccolo s’era addormentato per terra dopo aver bevuto con le manine a coppa. Una femmina lo svegliò e con un fitto vocìo lo fece riavvicinare all’acqua per bere, sembrava gli volesse dire “devi bere perché poi non potrai più farlo”. Il piccolo stanco morto, mise le mani a coppa e si avvicinò di più al bordo del fiume. Ad un certo punto si sbilanciò e cadde nell’acqua con un tonfo sordo schizzando acqua da tutte le parti. Jerry guardava la scena non sapendo cosa fare. Subito gli scimmioni si avvicinarono lasciando le loro armi dov’erano. Angelica vide che il più grosso aveva lasciato due rocce di selce ben affilate vicino ad un cespuglio. Si sarebbe dovuta esporre ma non le importava. Era anche lei armata e al massimo li avrebbe tutti feriti gravemente. Ordinò a Jerry di star fermo dov’era, vicino ad un albero rinsecchito classico del paesaggio “savana”. Il cane si accucciò a terra, pronto a disubbidire se necessario, non era sicuro di potersi fidare di quegli animali-uomo, non gli davano per niente fiducia. Angelica fece piano per avvicinarsi al cespuglio, fu sentita, subito con uno scatto le afferrò e corse indietro senza guardarsi alle spalle. Jerry s’era messo a ringhiare, la ragazza gli intimò un – seguimi! – e subito si mise a correre dietro di lei. Gli scimmioni dopo aver lanciato bastoni e pietre si misero a correre, erano troppo lenti, camminando a quattro zampe però potevan farcela. Un maschio prese la sua pietra-selce e la scagliò con violenza addosso ad Angelica. La pietra la toccò però non la punta ma bensì il manico, il colpo però le fece lo stesso male perché lo scimmione aveva una forza innata e gliel’aveva scagliato troppo forte. Decise di non piegarsi e raccoglierla perché avrebbe perso tempo. il percorso che stava facendo era sempre a fianco al fiume ma non era quello di prima perché aveva aggirato gli scimmioni continuando a correre per la sua strada. Incontrò un branco di animali simili a leoni ma coi denti molto sporgenti e di un colore rosso-rosa. Erano carnivore e affamate. Il capo-branco aveva più pelo nel petto e sul collo, capendo di non sferrare un colpo a sorpresa si mise a correre. Il branco come i leoni si sparsero attorno ad Angelica e alla scheggia, Jerry che adesso si sentiva veramente in pericolo e correva a perdifiato dietro la sua sorella-alta. Gli piaceva però correre su quel terriccio secco smovendo zolle di terra con le zampe, l’erba non c’era più ma solo arbusti, cespugli verde-scuro e alberi di oggi della savana, solo alcuni erano diversi, più alti, con forme strane, radici fuori dal terreno che si intrecciavano con le altre senza toccare terra perché prendevano il cibo solamente dalla luce senza bisogno di espellerlo e l’acqua dalla pioggia non dal terreno. Alcuni alberi erano carnivori, avevano il tronco molto 61 corto sembrava tagliato, il centro era appiccicoso e conteneva un buco con del nettare fra due tenaglie rosa simili a petali di fiore. Angelica aveva visto uno di questi alberi carnivori solo quando un enorme zanzara portante di sicuro qualche malattia le era volata incontro e lei spostandosi aveva controllato che non la pungesse, la zanzara era volata indisturbata verso lo strano albero posandosi al centro fra le due tenaglie, subito esse scattarono e si rinchiusero per far esalare alla zanzara il suo ultimo respiro. Torniamo però al racconto: gli strani leoni avevano accerchiato Angelica che, vedendo di non poterseli togliere di dosso, si era arrampicata su di un enorme albero con Jerry. Sapeva che i leoni sapevano arrampicarsi ma aveva troppa paura per riuscire a pensarlo solo quando fu sull’ultimo ramo guardando un leone che con agilità si stava arrampicando, scoccò una freccia che uccise subito l’animale. Si arrampicò questa volta una femmina, scoccò un’altra freccia ed ella morì. Adesso i leoni erano veramente arrabbiati e si arrampicò il capo-branco. Volò l’ultima freccia alle scapole ma l’animale non sanguinava e non fece una piega. Ok, sarebbe morta lì, seduta stante mangiata da un animale che col tempo s’era istinto. S’era completamente scordata del branco dei cinque scimmioni. Essi erano arrivati su due zampe, con la faccia livida di rabbia, avevano appuntito i bastoni e presi di più. Ognuno teneva una o più pietre pronte fra le dita. Erano stupidi, non gli era saltata in mente l’idea che la ragazza che li aveva derubati sarebbe morta lo stesso, volevano ucciderla loro. Si scagliarono contro i leoni impreparati. Angelica scese subito dall’albero, staccò le due frecce dal corpo dei leoni morti, la terza purtroppo era irrecuperabile. Solo due leone continuavano a tenerla sotto controllo, partirono all’inseguimento ma smisero vedendo di non poter allontanarsi troppo. La pazzia degli scimmioni durò un minuto, la prima a ritirarsi fu la femmina col cucciolo. Gli strani leoni volevano a tutti i costi mangiare, non persistevano. Uccisero tre scimmioni, gli altri riuscirono a scappare feriti gravemente. Angelica quando fu molto lontana si buttò a terra e si bagnò mani, braccia e faccia per rinfrescarsi. Anche Jerry si mise a bere l’acqua a lunghe sorsate per poi sedersi sfiaccato. Senza volerlo Angelica aveva proseguito così tanto che, se avesse camminato avrebbe fatto meno della metà. Il fiume era cambiato l’acqua era più limpida, i pesci più normali. Angelica prese un robusto bastone e con i tendini che aveva messo in disparte legò la roccia di selce che aveva preso al bastone, l’aveva fatto per una buona causa, adesso sapeva qual’era la pietra, gli altri scimmioni avrebbero 62 potuto prendersene altre, riguardo alla battaglia non era colpa sua se si erano lasciati offuscare dalla rabbia, d’altronde questo comportamento orribile l’avevano ereditato dagli uomini cui l’istinto stava cercando di mettere a bada quello scimmiesco. Fece un’esca un po’ rude però, poteva andare lo stesso. Non sapeva pescare, non l’aveva mai fatto. Infilzò tre volte il bastone con la pietra nell’acqua, toccò il letto del fiume ma non riuscì a prendere niente, dopo la quinta volta che infilzò l’amo a vanvera, finalmente prese qualcosa: un pesce azzurro, con le scaglie piccole e delicate, gli occhi gialli, non era molto grosso. Lo prese e lo mise sul terreno. Jerry vi leccava il sangue piacevolmente soddisfatto dal sapore. Perfetto, non era velenoso. Prese il coltello che aveva e scuoiò il pesce tagliando testa e coda, poi levò tutte le spine. Jerry non aveva mai mangiato il pesce, eppure quel sangue gli piaceva, provò a dargli un pezzettino, esso dopo averlo annusato e spinto col musetto, allungò il collo e, dopo averlo preso lo masticò lentamente. Gli piacque, perfetto. Angelica pulì il pesce nell’acqua limpida dopo aversi lavato le mani. Lo tagliò a pezzettini che prese, ci mise pezzi di frutta che aveva conservato, ci fece dei tortini coprendo l’esterno con una radice che aveva scoperta perché Jerry s’era messo a masticarla volenterosamente. Mangiò un tortino, il pesce era buono, sapeva lontanamente di sogliola e qualcos’ altro in più. Ci ricavò solo tre tortini, non importava. Ne mangiò uno e uno lo diede al cagnolino che masticò lentamente sputando tutti i pezzi del frutto blu che vi avevo sistemato. Proseguì il cammino, doveva trovare il mare 63 5 Più andava avanti più entrava nella siccità incredibile, gli Homo Habilis stavano cercando di raddrizzarsi bene su due zampe per saperci correre e saltare; alcuni animali erano molto più simili a quelli di oggi, tra questi tutti gli animali grossi a parte alcuni, i piccoli mammiferi erano uguali a quelli d’oggi, anche i rettili e ormai quasi gli uccelli, vedeva ancora strani animali volanti e sempre più carnivori-mangia-carcasse. Si vedeva morta vicino al fiume di stanchezza e caldo con Jerry che senza capire ciò che succedeva le leccava disperato mani, faccia, corpo. Oppure sbranata da qualche strano animale. L’immagine più disperata era quella di lei sola sempre lì in quel mondo. Gli alberi stavano scomparendo, faceva sempre più caldo e la terra si mischiava a sabbia. Camminava stremata a testa bassa. Quando alzò la testa si rese conto di non trovarsi più nella savana ma in un deserto. Le dune altissime sovrastavano il cielo di un azzurro vivo. Jerry aveva difficoltà a camminare come lei d’altronde che stanca morta continuava. Nel fiume, fedele compagno di viaggio c’erano ancora i pesci, non era naturale poiché nelle rare acque dei deserti non esistono fiumi che portano pesci. Aveva sempre cibo e acqua così. Però notò una cosa strana su quel fiume, era innormale che non fosse sfociato su di un lago o un fiume e che non avesse avuto degli affluenti. Il silenzio le attanagliava le viscere come un animale che la stesse uccidendo dal dentro. L’acqua nella cartella era bollente, la rinfrescava a volte in quella del fiume che rimaneva sempre fresca. lì c’erano pochi animali, rettili, topi, insetti. Era stanca e aveva molto caldo, le pesava la borsa e tutto ciò che si portava dietro. La mattina faceva caldo ma la notte si gelava completamente. I giorni eran sempre uguali. Lei parlava con Jerry, pregava il signore e studiava l’habitat che non aveva mai visto e mai avrebbe voluto. Non aveva niente a trasportarla solo le sue gambe e la volontà d’animo. Non si arrendeva, doveva continuare l’avventura che le era capitata, non per caso se no il signore l’avrebbe fatta tornare nel suo mondo o fatta morire. Continuava imperterrita alzando i piedi e 64 trascinando le sue cose. La notte moriva di freddo, me no male non aveva ancora preso un mal di gola. Non aveva prede da cacciare oltre a due coperte non aveva niente, i faceva il bagno il giorno e lavava il resto per averlo pronto pulito e caldo per la notte. Tenendoli al sole erano bollenti tanto che una volta le capitò di bruciare quasi la sacca con gli archi, poi però l’aveva subito messa in acqua togliendo gli archi e dall’acqua s’era alzato del fumo segno che se non avesse avuto lì vicino il fiume la sacca ben fatta si sarebbe bruciata fino a diventare polvere. Era triste, le mancavano voci umane. Si sentiva sola e annoiata. Aveva tempo per ascoltare i suoi pensieri, la sua mente fin troppo, a volte parlava con se stessa, si faceva domande, si rispondeva. Quando doveva fare qualcosa ci ragionava molto su affinando la saggezza e l’intelligenza. Si allenava con le cose scolastiche anche tra sé col timore di dimenticarle. Pensava lo stesso di essere molto fortunata, era riuscita a superare l’epoca più affascinante ma anche difficile: quella dei dinosauri. Era la più pericolosa, adesso non avrebbe avuto troppe difficoltà a parte il sopravvivere e l’impressione di vedere i suoi antenati. Era scombussolata, dentro di lei la bufera. Avrebbe potuto scrivere un libro sulle sue emozioni, forse anche due. Jerry si deprimeva, aveva tanto freddo la notte e caldo il giorno, nel resto stava bene. Non aveva mai visto tutti quei posti, anche a lui mancava la sua prima dimora e dentro le si scatenava una bufera di pensieri e sentimenti. Aveva molto da fare per ascoltarli tutti. Il deserto gli aguzzò l’udito e il tatto. Sembrava di sentire come un lupo, un vero lupo. Invece nella padrona notava che l’olfatto le si stava sviluppando come l’udito e la vista. Sembrava di cambiare il corpo e trasferire l’anima in un altro. Era strano. Continuavano a camminare sulla sabbia rossa, il sole colpiva il deserto con forza. Angelica aveva caldo, avrebbe continuato il cammino, certo, ma non sapeva quanto il deserto fosse stato enorme, non sapeva se avrebbe potuto continuare il cammino a piedi senza un cammello a portarla, le serviva un animale. Non sapeva che animali esistevano nel deserto nel Neolitico, di sicuro qualcosa dovrebbe essere esistito. Il deserto era una distesa di morte, non si sentiva il rumore di un animale, niente. Sapeva che dovrebbero essere esistiti serpenti e piccoli mammiferi che vivevano sotto la sabbia, però non vedeva niente. Si sentiva sola, lei, Jerry e il deserto, nient’altro. Si trascinava dietro la sacca con gli archi, il giaccone, la sacca del cibo e le coperte. Non aveva più forza, il cibo era troppo consistente e l’acqua del fiume non la rinfrescava. Jerry camminava sempre più piano con la lingua di fuori, gli antenati del 65 Chihuahua vivevano in Messico e nelle zone calde, Jerry non aveva mai sentito il carattere dei suoi bis bis nonni, adesso, invece, gli stava sbucando. Si stava abituando al caldo, beveva sei volte al giorno, la padrona quindici, sentiva tanti spiriti che vivevano fra le dune anche se non li vedeva, non si sentiva solo. Quegli spiriti gli volevano comunicare qualche cosa. Vedeva la sorella alta sempre più stanca, la comprendeva, portava un sacco di cose e non era abituata a quel caldo. Gli venne un’idea, l’istinto gli diceva che doveva fare così, era la cosa giusta. Mentre Angelica camminava piano piano, afferrò la giacca di Angelica e le coperte tese. Lanciò con parecchia difficoltà le coperte di pelliccia, sopra il giaccone. Angelica era così stupita che non s’era mossa, era rimasta paralizzata. Le coperte con sopra il giaccone non affondarono come immaginava Angelica ma rimase a galleggiare in superficie nuotando sull’acqua pian pianino continuando l’andata spinto dall’acqua. Angelica si riprese, per la gioia, strinse al seno Jerry baciandolo e dicendo: << Tu sapevi che quelle pelli galleggiavano, potevi farla prima sta mossa! >>. Proseguì il cammino dietro le pelli mosse dall’acqua e vi buttò sopra la sacca con gli archi, si tenne solo quella del cibo. Le coperte ondeggiarono poi si ripresero e sfilarono sull’acqua lentamente. Ad Angelica tornò la voglia di continuare l’avventura, camminava più arzilla di prima, avrebbe potuto prendere le coperte prima della notte, asciugarle al sole pronta per coprirsi con quelle nella notte gelida. Continuò il cammino, sarebbe stato meglio però trovare un animale ad aiutarla. Continuò a camminare fino a tardo pomeriggio, poi prese tutto ciò che aveva e lo sotterrò nella sabbia bollente per farlo asciugare. Ci vollero cinque minuti, aveva iniziato a fare freddo. L’acqua nella sacca degli archi non era penetrata, che strane pelli, che strani animali. Aprì la cartella ormai logora. Vi prese il giubbotto più pesante che aveva per Jerry. Glielo mise bello stretto per riscaldarlo. Lei si mise il giubbotto e si coprì con le pelli degli strani animali che la notte non si gelavano ma rimanevano tiepide come se contenessero ancora il sangue. Jerry si accucciò accanto al suo petto coperto anche dalle coperte. Riscaldava anche Angelica come una piccola stufa. Si accucciò divenendo piccola piccola nella posa di quando era nata. Si preparava al gran gelo. Si addormentò distrutta. Quella notte sognò che continuava il cammino e superata una duna vi trovava un cammello che la trasportava continuando il cammino. 66 6 Si svegliò il giorno dopo di buon’ora. Mise in acqua le coperte, sopra il giaccone con la sacca degli archi e la cartella. Mangiò un tortino alla carne e si rifocillò in cinque secondi, un pezzo lo diede a Jerry. Il sole non era ancora salito. Faceva ancora un po’ freddo. Dopo aver levato il giaccone a Jerry continuò il cammino. Me no male non aveva ancora caldo. Stava bene. Camminava bella riposata. Il cielo era grigio-azzurro, il sole era nascosto da una duna. Girava un vento forte. Non sapeva niente sul deserto, però il tempo era diverso dagli altri giorni più cupo e fresco, umido. Non sapeva ancora dire per certo se ci fosse stato un temporale o una pioggerella rinfrescante. Stava abbastanza bene però. Vide un serpente che sbucò all’improvviso dalla sabbia per tuffarsi su un enorme insetto nero, antenato del coleottero. Jerry si fermò ai bordi del fiume e allungando la lingua rosa si mise a bere avidamente. Angelica si avvicinò ad una duna dalla sabbia delicata di un arancione-rosso delicato. Sentì uno strano verso simile a un muggito. Non ebbe il tempo di girare la duna che vide un testone affacciarsi e guardarla, aveva la testa di un cammello, Angelica pensò subito a cavalcarlo. L’animale si mostrò, aveva il corpo di un cavallo del colore del cammello. Sembrava molto tranquillo, perfetto per farsi cavalcare. Jerry s’era avvicinato alle zampe del cammello-cavallo annusandolo con i denti in mostra pronto a mordere. Il cammello abbassò il muso e diede una leccata al corpo di Jerry, esso si rintanò dietro le gambe di Angelica, poi si fece coraggio e le tornò davanti pronto a mordere. La ragazza allungò una mano. Il naso del cammello gli toccò la mano e si sedette. Angelica corse a prendere la sua roba dal fiume e buttò un tortino al cammello-cavallo per farlo rimanere là mentre lei recuperava la sua roba. Tornò di corsa seguito da Jerry che era parecchio confuso. Il cammello rimaneva seduto. Aveva mangiato in un boccone il tortino. Decise che l’avrebbe domato con quelli. Provò a mettervi le sacche. Lui non faceva niente, la guardava come se sapesse cosa stesse per fargli. Si lasciò sistemare il tutto, le coperte sul giaccone, la sacca del cibo dentro la 67 cartella insieme a quella degli archi. Prendendo in mano Jerry, cavalcò lo strano cammello. Esso si alzò di botto facendola traballare e si girò avvicinandosi al fiume. Sembrava sapere dove doveva andare. Angelica non sapeva se aveva fatto bene a fidarsi in quel modo. Jerry era scombussolato. Guardava spaesato il paesaggio, lo strano cammello e il pavimento. Angelica diede un calcetto al fianco dell’animale per farlo avvicinare di più al fiume. Il cammello-cavallo muggì disturbato ma obbedì. Angelica era molto sorpresa, sembrava addestrato quell’animale e sapeva già dove andare, anzi ne era certo. Camminava senza problemi come se non caricasse niente e non avesse problemi col caldo. Il pelo era corto e ruvido. Aveva anche la criniera. Jerry sembrava voler scendere. Angelica teneva in mano una bottiglia d’acqua che aveva riempito al fiume e da lì beveva e dava da bere a Jerry. Si rinfrescava anche la fronte e le mani con cui bagnava Jerry, per rinfrescarlo. L’animale sembrava non gradire l’acqua. Cercava di evitare qualunque goccia d’acqua. Quando voleva un tortino faceva una specie di sibilo come un serpente. Sembrava non essere mai stanco. Continuava a camminare, sempre dritto senza preoccuparsi del sole, anzi sembrava sorridere quando guardava il paesaggio in cui era nato. Un gruppo di uccelli si posarono per terra. Avevano il corpo di un corvo ma il colore era diverso: becco nero, petto bianco e dorso marrone-verde. Beccavano la sabbia con il lungo e affilato becco. Angelica capì il perché solo quando un uccello tirò fuori col becco un lungo serpentello rosso, sembrava velenoso ma l’uccello, lo lanciò in aria, aprì il becco rimanendo per terra e il serpente ricadde preciso preciso dentro il becco dell’uccello che con sguardo beato era volato via. Il cammello-cavallo continuava a camminare ondeggiando i fianchi. Verso mezzogiorno, s’inginocchiò per terra, avevano fatto parecchio cammino. Rimase per terra finché Angelica non scese dal dorso con Jerry parecchio scombussolato in braccio. Il cavallo-cammello, chiamiamolo solo cammello, si rialzò e avvicinandosi al fiume piegò la grossa testa e allungando il muso leccò l’acqua con una lunga lingua blu scuro. Aveva una lingua a cucchiaio, la immergeva e vi rimaneva dentro dell’acqua, poi l’attorcigliava per chiudervela dentro e portando la lingua in bocca, la ingoiava. Evidentemente al cammello non bastava bere ogni tanto per rinfrescarsi, perché l’animale fece un salto e si ritrovò al centro del fiume facendo fuoriuscire un enorme onda. Quando l’acqua si dissolse nella sabbia del deserto, attorno al letto del fiume rimasero cinque grossi pesci grigi rimasti lì grazie all’onda provocata dagli zoccoli dell’animale che 68 adesso, beato s’era seduto al centro del fiume, era così poco profonda l’acqua che l’animale rimaneva tutto fuori bagnandosi solo gli zoccoli. Jerry corse a vedere i pesci annusandoli e toccandoli con la zampa, allungò la lingua e ne leccò uno. Angelica subito lo scacciò e con i pesci iniziò a scuoiarli per farli diventare dei tortini. Intanto faceva tardi, l’aria si raffreddava e il cielo si scuriva. Angelica si Fece una conca nella sabbia, la coprì con una coperta e si sdraiò sopra coprendosi con la coperta. Subito Jerry si mise sotto le coperte tenendo solo la testa fuori. Il cavallo-cammello, per riscaldarsi si accoccolò a fianco ad Angelica tenendo caldo sia a sé sia alla ragazzina. 69 7 Angelica cavalcava il cavallo-cammello con Jerry che, continuava a guardare di qua e di là nervoso, a volte annusava la testa dello strano animale, a volte grattava con la zampina il collo enorme e massiccio dell'animale dal pelo corto. Esso, invece s'era innervosito solo quando Jerry gli aveva morso l'orecchio, allora aveva provato a disarcionarli facendo cadere la piccola rottura pelosa che l'aveva morso e disarcionando, quasi, la femmina con due zampe e senza coda. S'era lasciato assalire dai due perchè aveva sentito che doveva farlo, aveva provato a non farlo ma c'era quel qualcosa che l'aveva bloccato come il predatore che blocca la preda in un angolo prima d'assalirla. Era fastidioso sopportare quel peso ma aveva continuato il cammino. Gli piacevano solo due cose: il cibo gratis e una cosa che non aveva mai provato, rilassanti e belle: le carezze che gli faceva a volte Angelica. Quando aveva disarcionato i due, la due zampe gli aveva parlato contro in tono arrabbiato e la formica pelosa s'era rialzata zoppicando leggermente e ringhiando a lui, colui che li aveva portati fin lì. La senza coda aveva preso tra le zampe davanti la palla pelosa accarezzandola, poi aveva messo la sua zampa sul suo dorso e con parole dolci aveva iniziato ad accarezzarlo, lui s'era subito calmato. Dopo un po' avevano ripreso il cammino a fianco all'acqua veloce. Era da quattro giorni che Angelica cavalcava lo strano animale che sembrava sapere già dove andare. Il fiumiciattolo aveva continuato la sua via, il pomeriggio del secondo giorno, peró, era sparito. Era andata fuori di testa, quando avesse finito l'acqua, non avrebbe più potuto riempire le bottiglie e sarebbero tutti morti di sete, tranne lo strano animale. Poi, il quarto giorno, dopo essersi risvegliata da un sonno popolato da incubi aveva visto di nuovo il fiume in lontananza verso destra. Doveva essere lo stesso fiume che era sparito sotto terra si disse. La temperatura non doveva superare i 50 gradi, meno di quello che era all'inizio che sfiorava quasi i 70. Beh, certo, sudava sempre ma riusciva a sopravvivere. Ogni giorno che passava ascoltava il suo cuore attentamente. 70 Era nel deserto da una settimana e iniziava a pensare che non sarebbe mai finito, quando, tutt' a un tratto vide in lontananza una macchia verde piccola ma finalmente qualcosa che non sia stato del colore del deserto. Provò a spronare l'animale strano che stava cavalcando. Lui, in risposta, s'impennò sbuffando per poi riprendere il cammino più lentamente per far vedere che non si sarebbe fatto comandare da degli ospiti inaspettati. Appena l'animale fu lontano di un chilometro dalla fonte verde, Angelica un po' delusa notò che non era la fine del deserto ma un enorme oasi. Tanti strani uccelli colorati cantavano sugli alberi simili a palme, il fiumiciattolo si rimpiccioliva e attraversava l'oasi. Ad una curva, il fiume si allargava e il bordo diventava una palude solcata da lunghe e alte piante, simili a canne. Erano simili a bastoni dritti, a cilindro, sulla punta tre gambi robusti di un verde tenero con attaccati dei fiorellini a tre petali di tutte le sfumature di blu. Si muovevano al vento tintinnando come piccoli campanellini. Un uccello altissimo col collo corto da cui parteva una testa piatta con una piccola cresta rosso fuoco al centro e un lungo becco viola. Le zampe erano azzurre come le ali ma ciò che colpì Angelica furono gli occhi di un azzurro ghiaccio quasi bianco. L'uccello di punto in bianco infilzò la testa nell'acqua facendo volare una miriade di goccioline che spaventò Jerry che corse a ripararsi dietro le gambe della padroncina, la testa ne uscì bagnata con due pesci in bocca che ancora vivi si dibattevano ferocemente. Di punto in bianco l'uccello spiccò un balzo verso l'alto evidentemente troppo in ritardo, un testone da coccodrillo afferrò la zampa dell'uccello che si dibatteva freneticamente, lo tirò verso il basso e lo uccise affogandolo. Angelica decise di allontanarsi leggermente dal fiume. Il cavallo-cammello ci pensò subito anche senza richiesta di allontanarsi di quattro metri continuando il cammino più velocemente. Aveva superato di un chilometro il tratto paludoso quando inaspettatamente, sbuffando si bloccò e si nascose dietro un enorme tronco caduto abbassandosi a terra. Angelica capì il perché un secondo dopo. Dall'altra sponda del fiume un masso si mosse, solo dopo constatò che non era un masso. Subito si aprirono due occhietti neri e sbucarono quattro zampe, le prime due più lunghe e tozze e le altre dietro più corte come un gorilla. Prima aveva creduto che le chiazze verdi fossero stato dei licheni sul masso, adesso vedeva che le chiazze erano in realtà parte della pelle. Aveva la testa piatta e i canini lunghi quanto una mano. Era simile ad un trholl. Ma non dovevano esistere quegli animali, vero? Era enorme, due volte il 71 cammello-cavallo. Angelica si piegò il più possibile, non sapeva se avrebbe potuto scappare perchè il mostro poteva essere più veloce. Avrebbe lasciato fare all'animale che stava cavalcando. Lo strano animale, chiamiamolo trholl, si stiracchiò e sbadigliò mostrando i dentoni. Angelica non sapeva che fosse esistito veramente un animale del genere, magari era uno scherzo della natura o un dinosauro non ancora estinto. La pelle sembrava troppo dura per riuscire a strapparsi quando vi si conficcava un coltello. Lo osservò di nascosto molto attentamente, la parte che sembrava meno protetta e più debole era la pancia, sì ma come colpirla se vi teneva le braccione davanti? Angelica voleva sparire mangiata dalla terra. Il cavallo-cammello non sembrava più volerla ospitare, adesso. Era piuttosto seccato di dover portare un peso in più perchè, se avesse dovuto scappare, sarebbe stato più lento. Evidentemente non voleva aspettare dietro quel tronco marrone bianco la sua fine. Mentre il trholl sbadigliava, s'alzò di scatto e si mise a correre schizzando da tutte le parti il terriccio perchè marcava il terreno con una forza speranzosa di vivere e piena di paura. Il trholl subito scattò in piedi e si mise alla rincorsa. Era più lento, ma conosceva l'oasi e il deserto. Il cavallo-cammello correva più veloce che poteva. Aveva cambiato direzione per non far capire che lui seguiva il corso del fiume. Il trholl scavalcava i tronchi caduti, imprimeva le sue impronte con forza sul terreno. Quando passava gli uccelli volavano via, un topino che mangiucchiava una radice sporgente dal terreno corse subito a ripararsi nella sua tana, i serpenti che prendevano il sole, si nascondevano fra le pietre seccati. Il cavallo-cammello era avvantaggiato di qualche metro. Tornò a seguire il corso del fiume e uscì di volata dall'oasi. Il trholl evidentemente non voleva perdere la preda grossa e succulenta. Continuò a correre anche nel deserto, con più difficoltà però. Angelica aveva già provato a scagliargli una freccia che gli aveva colpito il collo, s'era subito staccata non potendo penetrare in una pelle dura come il ferro, allora aveva preferito non sprecare altre frecce. Jerry per la prima volta sentiva il bisogno di scappare, non di proteggere il suo branco. Quell'animale gli incuteva troppo timore come il Tirannosauro quando era nella prima dimensione. Il cavallo-cammello superò due dune, si ritrovò a correre nel fiume che in quel tratto non era per niente profondo, disturbando qualche pesciolino. Angelica vide nel deserto un altro cavallocammello con un piccolo, le dispiaceva per quella famigliola ma doveva spingerli verso il trholl che non li aveva nemmeno notati. Non sapeva come attirare l'attenzione del mostro sulle altre prede. Costrinse il cavallo72 cammello che cavalcava a girare verso il piccolo branco dei suoi simili spaventandolo con il coltello. Finalmente il trholl vide le altre prede che nel frattempo anch'esse avevano visto lui. Il mostro decise di mangiarli tutti iniziando dalla mamma con il piccolo, li avrebbe uccisi, lasciati lì per andare a uccidere l'altro e poi mangiati separatamente. Intanto Angelica fece deviare il cavallo-cammello per tornare a seguire il fiume. Credeva di essersi liberata del mostro. Il corso del fiume girò nascondendosi fra due dune. Angelica non era ancora sicura di volersi fermare, anche l'animale che cavalcava non voleva fermarsi, anzi voleva nascondersi fra le dune e per un po' smettere di seguire il corso del fiume. Angelica lo lasciò fare, si fidava dell'animale che stava cavalcando, l'avrebbe lasciato fare, a patto che non perdesse di vista il fiume che scorreva indisturbato. L'animale si allontanò e parecchio, verso l'orizzonte, verso sera decise di deviare e tornare verso il fiume, Angelica era preoccupata, lei non si sapeva orientare in una distesa di sabbia sempre uguale, sperava che l'animale che stava cavalcando avesse pratica. Voleva a tutti i costi tornare in città ma evidentemente doveva vivere tra foreste e deserti, lei non ci sapeva vivere, aveva inventato parecchi menù, provato a sopravvivere da sola e fatto un sacco di cammino, lei non era abituata. S'era arrangiata costruendosi un arco, tre frecce, si diceva fortunata e sperava che la fortuna le durasse ancora. Si sentiva sola, incompleta, aveva solo Jerry e un’ avventura da compiere. Il cavallo-cammello continuò a cavalcare anche la notte con il freddo che gli sferzava il corpo, era stanco ma ancora in forze. Sentiva la sete di sangue del bestione che aveva preso a inseguirli all’inizio e che continuava ancora adesso. Era spaventato, non aveva mai visto una tale sete di sangue e, inoltre mai visto un animale del genere. Era triste, avrebbe voluto fare una pausa nell’oasi e gli dispiaceva per la famiglia dei suoi simili che era stata attaccata. All’inizio non aveva capito perché la ragazzina che stava portando l’aveva spaventato con il coltello facendogli cambiare rotta, poi aveva capito che lo faceva per salvare la vita a sé e a lui. Per la prima volta aveva un predatore, strano. La temperatura s’era alzata e lui stava magnificamente, sudava pero, non era abituato a correre, però era felice di essere più veloce del troll. Non vedeva l’ora di non sentire più il suo odore e la sua brama di sangue, s’era stufato di correre. Però aveva quella sensazione che lui e chi portava sarebbero sopravvissuti solo se lui avesse seguito il percorso del fiume. Quell’acqua gli dava sicurezza, forza e speranza. Sentiva che i passeggeri che stava portando li avrebbe dovuti 73 lasciare fuori dal deserto, lui sapeva come sarebbe finito il deserto, i suoi passeggeri avrebbero dovuto faticare a continuare la strada. Si accorse di camminare solo quando sentì di nuovo l’odore di quella strana bestia che li stava inseguendo, non sazia della famiglia che aveva mangiato li stava inseguendo, poteva capire perfino dov’era. Seguiva le sue tracce come un branco di lupi che hanno visto le tracce di un numeroso branco di cervi. Decise di deviare la strada e tornare al fiume più tardi, lui aveva un orecchio finissimo, poteva sentire il gorgoglio dell’acqua a chilometri di distanza, o l’odore di un predatore a un giorno di distanza. Conosceva il deserto perché era casa sua e anche se un enorme mostro in tutto e per tutto lo stava inseguendo, l’avrebbe fregato, una punta di coraggio gli si presentò nell’animo. I suoi passeggeri s’erano addormentati, male, era difficile non farli cadere nella sua corsa sfrenata. Nella notte si distanziò di un giorno dal fiume, quando i suoi passeggeri si svegliarono sembrarono piuttosto nervosi, lui sbuffò, il loro nervosismo lo sentiva anche lui e non gli piaceva. Sbuffò e nitrì per rassicurarli ma evidentemente soprattutto il passeggero più alto non capiva. Il cavallocammello non provò più a spiegare niente. Era stanco e nervoso, sapeva che avrebbe sprecato solo forza per far capire qualche cosa ai suoi passeggeri. Di punto in bianco deviò rotta e si fiondò nella via per tornare al fiume. Ci avrebbe camminato all’interno per non far vedere le sue tracce. Per tutto il giorno faticò per tornare al fiume, l’odore del troll non l’aveva più sentito, non sapeva se fosse stato un bene o un male. Sperava in meglio. Purtroppo non fu così… 74 8 Il mostro s’era reso conto del piano solo dopo, non poteva esserne certo ma pensava che se, l’animale fino allora aveva seguito il corso del fiume, sarebbe tornato e lui sarebbe stato lì, pronto all’attacco. Era pomeriggio, sonnecchiava nascosto da una duna vicino al fiume quando sentì un odorino, la sua preda, sangue che scorreva caldo e dolce nell’animale. Si alzò di scatto e si mise a correre in quella direzione. Il cavallo-cammello sentì l’odore del predatore, era stato fregato, ma non per molto. Tornò sui suoi passi a distanza di due chilometri dal fiume, si rilassò solo quando sentì che il trholl era parecchio lontano e seguiva il fiume. Il mostro, me no male, aveva un olfatto ed un udito più debole, quindi non poteva sentire il suo odore e quello dei suoi passeggeri. Sperava che il mostro se ne sarebbe tornato in dietro al più presto. Aveva ragione. Angelica non capiva perché il cavallo-cammello, nella notte aveva deviato la strada e adesso non seguiva più il fiume. Non aveva avuto il coraggio di allontanarsi perché adesso che non aveva più il corso d’acqua a indicarle la strada, si sentiva persa, allora era meglio rimanere con quell’animale. Jerry era sempre più stanco, anche lui era nervoso come lo strano animale, tutti e due sentivano qualche cosa che anche lei avrebbe dovuto sentire. Il pomeriggio, mentre si stava raffreddando l’aria, inaspettatamente il cavallo-cammello s’era buttato a terra, sfiaccato. Lo poteva capire, aveva corso tutta la notte. Gli porse un tortino, lui lo catturò con la lingua e lo portò in bocca prima di masticarlo. Jerry aveva tanta sete, bevve grossi sorsi d’acqua. Angelica notò qualche cosa di strano, Jerry aveva fatto i bisogni e li aveva ricoperti come fanno i gatti, perché? Ragionò un attimo e subito gli venne la risposta per nasconderla da un predatore che evidentemente ci sta cercando. Subito dopo gli venne un’altra risposta il trholl era sulle loro tracce e, subito dopo un’altra il cavallo-cammello sarebbe tornato al fiume solo quando sarebbe stato sicuro. Perfetto, 75 finalmente aveva capito anche lei. Decise di rilassarsi nella notte, se lo strano animale s’era fermato, era perché il trholl era molto lontano, lo sperò ardentemente. La mattina dopo il cavallo-cammello non sentì più l’odore del trholl, finalmente se n’era tornato indietro. Non ne era sicuro però. Decise che sarebbe tornato alla scia d’acqua che proseguiva fuori dal deserto sola quando ne fosse stato certo, cioè quel pomeriggio. Iniziò ad incamminarsi a trotto, non vedeva l’ora di liberarsi dai passeggeri. Arrivò la mattina dopo alla scia d’acqua mentre ancora i passeggeri che portava dormivano. Per primo si svegliò la palla pelosa, poi vedendo che la palla pelosa non svegliava l’altra femmina senza peli, la svegliò lui, con un muggito. Angelica si svegliò di butto e quasi le scappò un urlo di gioia quando vide il fiume. Adesso era molto più tranquilla. Si rimisero presto in cammino dopo che la specie di “macchina-animale” che li portava si fu rifocillata e riposata. La notte, tutti e tre erano svegli e proseguivano il cammino alla luce della luna e delle stelle. Solo più tardi, verso mattina inoltrata, Angelica con grande stupore e gioia notò una cosa. 76 9 Una linea verde in lontananza, non corta come quella di un’oasi ma estesa, parecchio estesa. Terra e non più sabbia, verde e non più arancione, persone e non più animali. A quest’ultimo pensiero errato Angelica singhiozzò, non c’erano città o umani ad aspettarla ma solo stupidi scimmioni, i suoi antenati e qualche predatore feroce. Non vedeva l’ora di arrivare all’ultima dimensione, quella sì che l’avrebbe gustata, con gioia e spirito. Non ne poteva più, al diavolo vedere cose nuove. Beh, si replicò fortunata aver finito il deserto, una parola che pare colorita ma che in realtà è una tortura spenta senza nessuno. Adesso mi rivolgo a voi, provate ad andare in un deserto soli oppure con il vostro animale ma senza nessuna persona a farti compagnia. Magari la prima settimana la sopporterai ma poi basta. La protagonista di questo libro è stata nel deserto per ben tre settimane. La linea verde era distante un giorno di cammino. Il cavallo-cammello si stava abbeverando al fiumiciattolo, si sdraiò e si mise a dormire. Angelica sapeva che la notte, mentre lei dormiva l’animale continuava sempre a camminare, lo lasciò riposare. Jerry, felice di rilassarsi si arrampicò con difficoltà sul corpo dell’animale. Esso provò a scuoterselo via ma alla fine, troppo stanco, rinunciò. Era da parecchio che Angelica aveva ritirato tutte le sue sacche dal fiume, quando all’inizio aveva scoperto che potevano galleggiare. Si sedette e guardò il deserto, il sole stava tramontando. Decise di lavarsi. Quand’ebbe finito. Si sedette e prese dalla sacca tre frutti, ognuno diverso dall’altro. Erano gli unici che non erano stati messi nel tortino. Prese la lente d’ingrandimento e provò a studiare quei frutti. Ad un certo punto, un raggio di sole colpì il frutto che stava tenendo in quel momento, perfettamente ovale, pesante e grosso, viola. subito il fiore s’illuminò come se fosse stato fatto di piccoli diamanti violetti. All’interno del fiume si vedeva un fiore. Sembrava di giglio. Il colore non si vedeva. Il fiore era tenuto immobile da un liquido più scuro che gli si attorcigliava attorno. La polpa sembrava trasparente. Con la lente d’ingrandimento vide 77 una cosa spaventosa. Le cellule del frutto erano così grosse che bastava una lente per vederle. Erano simili a piastrelle ovali, una attaccata all’altra, o meglio scaglie. Angelica prese la punta del coltello e bucò una cellula. La piastrella si divise per poi avvicinarsi alla metà staccata e ricongiungersi. Subito sopra quella piastrella, se ne creò un’altra, come se il frutto volesse essere sicuro di rinsaldare per bene la cellula. Angelica si chiese come la strana cellula potesse essere all’interno. Si ripromise di tenere quel frutto e qualcun altro per farlo vedere quando sarebbe tornata nella sua dimensione… quando sarebbe tornata nella sua dimensione. Si tirò su di morale e esaminò un altro frutto, rosso e schiacciato con dei puntini gialli. Le cellule di questo frutto erano più piccole, non brillavano ma si vedeva attraverso. Questa volta all’interno non c’era un fiore ma un altro frutto minuscolo uguale dentro una sacca liquida. Si stoppò là di esaminare perché il cavallo-cammello si alzò facendo scivolare giù dal dorso un Jerry parecchio offeso. Così riprese il cammino. Non vedeva l’ora di proseguire in un’altra dimensione. Quando cavalcò l’animale lo spronò ad avanzare più velocemente con un po’ di maleducazione data dall’ansia. Si risvegliò il giorno dopo a un metro da una linea verde, subito si destò e, aguzzando lo sguardo osservò. Erano arrivati ad una savana. Non era una foresta ma lei sapeva che si trovava meglio in una distesa di terreno arido e secco. Il suo fiume continuava imperterrito. Lei si ricordava le parole del dinosauro: seguire l’acqua. Lo aveva fatto e adesso si ritrovava fuori dal deserto. Sapeva che adesso, avrebbe dovuto salutare l’animale che doveva ringraziare di più, colui che l’aveva portata fuori da una distesa di sabbia più presto di quanto ci avrebbe messo lei: la sua macchina-animale, il cavallo-cammello. S’inginocchiò affianco all’animale che stava bevendo tranquillo. Gli prese il viso tra le mani e lo accarezzò cercando di mettere nella sua memoria ben impressa l’immagine di quello strano animale. Esso chiuse gli occhi ed emise un gorgoglio soddisfatto, come fusa. Decise di continuare il cammino. Lo accarezzò sul dorso da cavallo, poi, caricandosi le sacche in spalla riprese il cammino con Jerry al seguito. Baciò il tronco del primo albero che vide come saluto al cammino nuovo che stava per prendere. Poi, proseguì il cammino sul terriccio secco bruciato dal sole. Jerry parve felicissimo quando toccò il terreno e seguiva zampettando allegramente la padroncina. Angelica era ben allerta. Quando era stata nel 78 deserto, aveva anche scheggiato le selci facendoci delle belle lame affilate. Non vedeva l’ora di proseguire verso la dimensione nuova. Il suo fiume che l’aveva condotta fin lì era sparito sotto terra e lei non sapeva dove andare. Vide un branco di animali simili a tigri sdraiati sul terriccio all’ombra di un albero. Si sentì di nuovo sperduta. Era sola, con un po’ d’armi e un cagnolino. L’erba era molto secca, sembrava fieno. Le arrivava alle cosce coprendole le gambe. Jerry non si vedeva nemmeno. Angelica si abbassò quasi fino a terra con il coltello pronto per proteggersi a qualsiasi eventualità. Vedeva grossi insetti simili a coleotteri, insetti grossi, ovali e viola e molti altri ancora. Erano stranissimi e più Angelica li vedeva, più non ne conosceva uno. Ad un certo punto fermò la sua camminata a carponi sul terriccio. Jerry le si era avvicinato ringhiando verso la sua destra. Angelica si fece piccola piccola sperando di non attirare l’attenzione ma, questo accadde. Si ritrovò davanti il muso di una strana iena. Era nera con una macchia bianca al petto, sulla testa e sulle zampe. Il petto non era peloso ma la testa era incavata. La differenza che più colpì la protagonista fu l’altezza dell’animale. Era un adulto eppure le arrivava appena alle gambe. Si alzò in piedi per spaventarlo ma l’animale non se ne andava. Sperò che Jerry non attaccasse la iena perché i denti dell’animale, anche se basso, erano lunghi e affilati. Prima che Jerry avesse il tempo di sferrare il suo colpo, Angelica ferì il muso alla iena ma non prontamente, la iena le morse la mano che teneva il coltello. Aveva anche sbagliato a mordere la mano perché si era ferita col coltello tenendolo quasi in bocca. Insomma la iena scappò a gambe levate e la ragazza si ritrovò un morsetto così superficiale che non sanguinava nemmeno. Si riabbassò a terra per continuare a gattonare. Sbucò davanti ad una caverna che sembrava parecchio confortevole. Dentro la tana però, vi trovò un semi-umano. Era molto cambiato dall’ultima volta. Si teneva completamente eretto anche se era parecchio basso. Aveva meno peli sul corpo e sulla faccia ma sempre tratti parecchio scimmieschi. Ormai della coda era rimasta una protuberanza. Era nel periodo degli Homo Herectus. Gli scimmioni avevano imparato a stare in posizione eretta senza più stare a quattro zampe. Vicino all’Homo Herectus si trovava un piccino. Era carino ma parecchio impressionante. Il faccino non era molto peloso, la faccia era completamente senza peli nella parte degli occhi, del naso e della bocca. Le mani non avevano peli e le braccia pochissimi. Il piccolino doveva camminare già bello dritto. Dormivano uno vicino all’altro. Amorevoliiii. Chissà se l’avrebbero accettata nella loro tana. Angelica ci 79 avrebbe provato lo stesso. Svegliò i due scimmioni che in pochi secondi si ritrassero spaventati. La madre mostrò i canini affilati e strinse il piccolo. Jerry si mise a ringhiare e lei lo zittì. Non voleva spaventare la famiglia, solo farsi accettare. Entrò nella caverna celando il nervosismo. La scimmiona si restrinse dall’altra parte della caverna col piccolo. Io mi sedetti e le lanciai un tortino che lei, esitante, prese, annusò e mangiò. Era ancora stupida, si fidò subito. Dopo un’ultima occhiata si sdraiò e si addormentò. Non aveva pensato nemmeno ad attaccare l’estranea col cane mentre dormivano. Niente. Avrebbero ancora dovuto imparare. Angelica sbuffò, erano ancora ai primi passi. Si può notare che fin qui la protagonista era rimasta ancora con istinti parecchi umani e aveva ucciso solo per proteggersi. Adesso però, il deserto le ha cambiato la mente e, come si può notare, oltre alle sapienze umane, non prova più ripugnanza a uccidere se dovere. Si sentiva più forte e in grado di terminare quell’avventure di lì a tra poco. Aveva imparato a capire di più il mondo del suo cane e adesso, quando si trovava di fronte ad animali che non conosceva, pensava sempre alla sua avventura nella prima dimensione. Era riuscita a sopravvivere a veri mostri, adesso sarebbe sopravvissuta fino alla fine. Peggio, era la condizione di Jerry. Lui era abituato a dormire di più, mangiare cose specifiche e a volte più saporite e dormire su divani, letti o cuscini. Le sue zampine non erano molto abituate all’erba e alla terra anche se presto, lo saranno. Quella notte, i suoi sogni erano popolati, per la prima volta dai suoi antenati. Il suo sogno fu molto lungo. Dopo aver visto e leccato i propri genitori, iniziò a salutare tutti i suoi antenati fino alle radici più profonde dei cani: i lupi. Li vedeva seduti su un’alta roccia, col muso alla luna, in quel momento piena, che ululavano con una gioia magica. Quella notte passò così, fra istinti e sogni. Quando Angelica si svegliò, si ritrovò il corpo di Jerry sulla schiena. Si rendeva conto del cambiamento del suo comportamento. Così quella mattina quando si alzò, prese un frutto che teneva nella sacca, lo aprì e, con il coltello vi fece un buchino. Il succo iniziò ad uscire. Angelica non voleva sprecarlo. In fretta e furia, col dito prese il succo rosso che fuoriusciva come sangue da una ferita e veloce, iniziò a disegnare sul muro della caverna. I suoi pensieri, dalla mente scivolavano giù fino al dito per uscire sulla parete della caverna. Angelica adorava disegnare. Era particolarmente dotata. Si accorse alla fine ciò che aveva disegnato: un tirannosauro che mangiava uno stegosauro, un orango rosso che mangiava una banana, il trholl che aveva visto nell’oasi che 80 inseguiva il cavallo-cammello che l’aveva aiutata nel suo viaggio e infine lei, con in braccio Jerry che stava cavalcando sul cavallo-cammello. Ad un certo punto, fece un gesto involontario. Prese il telefono dalla tasca dello zaino e provò ad accenderlo. Quando si riprese e vide che teneva il suo telefono in mano, fece per rimetterlo nella cartella ma, d’improvviso, s’accese. Con estrema meraviglia, senza dire una parola, digitò il codice pin per entrare. Baciò lo schermo quando vide la foto che aveva messo come sfondo. Lesse tutti i messaggi e le chiamate perse che aveva. Quarantadue chiamate e venti messaggi. Aprì ognuno. Vedendo che poteva leggere i messaggi, non ci pensò due volte a chiamare la madre. Un’onda di delusione le cadde addosso quando, con immenso dispiacere vide che non poteva chiamare, mandare messaggi e andare su internet. Si consolò guardando le immagini che aveva scattato. Fu un sollievo rivedere il volto di sua madre. Se l’era quasi scordato. Appena vide tutte le foto, si ricordò di tutto, tornò più umana e decise subito di scattare una foto al disegno che aveva fatto alla caverna e l’ambiente di fuori. Fotografò ad uno ad uno i frutti strani che aveva e un tortino. Solo quando si girò, si ricordò della famiglia di Homo Herectus. Ebbe il tempo di scattare una foto prima che la famigliola si svegliasse. Il piccolo si strinse alla madre e guardandola si mise a mugolare come se gli stesse parlando. La madre non sembrava molto preoccupata. Adesso che si vedeva viva e vegeta dopo una notte con due animali parecchio strani che potevano essere nemici, iniziò a fidarsi senza considerarli cattivi. Mosse un passo in piedi verso di me ma, Jerry si svegliò di punto in bianco e si scagliò contro la scimmia ringhiando. Il piccolo si mise a girare in tondo in un attacco nervoso. Angelica prima che Jerry potesse toccare la scimmia, lo afferrò tirandolo indietro e lo zittì. Dopo dieci secondi Jerry smise di ringhiare, dopo altri dieci secondi smise di brontolare e si zittì. La scimmia-umana era parecchio scioccata. Prese in braccio il piccolo e se lo strinse al seno peloso. La ragazza gli lanciò delicatamente due tortini. Lei non li mangiò e non si avvicinò. Aveva gli occhi solo per gli, ormai, nemici. Angelica si sedette con Jerry in grembo. Solo dopo cinque lunghi minuti, si avvicinò ai tortini con lo sguardo fisso verso i nemici e, portandone uno alla bocca, si ritirò di nuovo, molto lentamente, verso il piccolo. Gli porse l’altro tortino e si sedette. Che impressione! Più la ragazzina guardava la famiglia più s’impressionava. Erano troppo simili a lei. Più brutti, certo, molto più brutti di qualunque umano super brutto sulla terra ma, certo, tra di loro si ritenevano belli. Angelica uscì lentamente dalla caverna e si ritrovò sotto il 81 sole cocente. Accarezzando Jerry tornò al suo cammino. Superò una grossa pozzanghera. L’acqua così pulita che non si vedeva. La tradiva il sole che si rifletteva su di lei. Dopo aver superato la pozza, camminò sul terreno arido. Un’enorme lucertola, più grande di un attuale Drago ma più piccola di un coccodrillo, si mise a scavare con forza per entrare dentro la tana di una possibile preda. Continuando a camminare, vide un grosso uccello marroncino con le lunghe piume a strisce nere. Jerry corse incontro all’uccello facendolo scappare via terra. Iniziò la rincorsa. Jerry correva velocissimo ma l’uccello era ancora più veloce. Alla fine decise di lasciare in pace il povero volatile e tornò indietro da un’ Angelica parecchio divertita. Continuarono il cammino fino a tardi senza problemi. Sempre all’erta di eventuali predatori. A sera tardi, si fermarono stremati sotto un alto albero. Faceva parecchio caldo. Ad un certo punto, mentre la ragazzina stava facendo foto all’habitat e Jerry dormiva. Si scosse preoccupata quando sentì qualcosa di morbido toccarle la gamba. Si girò di scatto e vide la causa di ciò. Un animaletto simile ad un echidna ma con il muso più corto, il corpo più piccolo e senza spine, stava cercando di aprire la sacca con il cibo. Quando vide che la ragazza lo stava osservando. Si appiattì al suolo come se volesse scomparire ma i suoi occhi neri e vispi lo tradivano. Angelica gli porse un tortino. L’animale allungò la lingua e afferrò il cibo. Decise subito di fidarsi. Si avvicinò alla ragazza e le si arrampicò sopra le gambe. Jerry si svegliò e si mise a ringhiare. Non era spaventato dall’animale perché era perfino più piccolo di lui ma gli dava fastidio che l’animale toccasse la sua protetta. Lo strano echidna, indietreggiò lentamente e si mimetizzò col terreno. Angelica rise e lo toccò. Evidentemente quel gesto spaventò l’animaletto che si ritrasse. Nessuno l’aveva mai toccato. Jerry per avvertirlo che la sua protetta era solo sua, si mise fra le braccia di Angelica che lo strinse allegramente sussurrandogli nell’orecchio: <<Non essere geloso Je>>. Angelica diede un altro tortino all’animaletto. Vide in lontananza anche un piccolo gruppo di babbuini che attaccati ai rami facevano piroette. Uno struzzo correva veloce inseguito da uno strano animale simile ad un leone ma con le zanne poco più corte della “tigre dai denti a sciabola” e anche più corta. Lo struzzo si dirigeva verso di lei. Tra poco sarebbe stata un’altra facile preda dell’inseguitore. Si mise a correre con Jerry in braccio. Si girò un attimo e si accorse che lo strano riccio-echidna la seguiva. Lentamente ma la stava seguendo. Tornò indietro e si caricò nel braccio che tirava le sacche anche l’ echidna. Si ritrovò in una parte di savana più riparata ma anche popolata. 82 Uno strano rinoceronte peloso, stava scavando con la zampa una parte di terreno fangoso. Un uccello simile alla lira ma più piccolo e più brutto stava dentro la sua tana dentro un tronco sul muschio. Un coccodrillo prendeva il sole sulla sponda di un laghetto acquitrinoso e si pappò una rana viola che era uscita dall’acqua con un saltino. Vide anche una tartaruga che pesantemente si spostava verso un albero affamata di ombra e freschezza. Angelica si sedette sotto un albero vicino ad un sasso per riposare. Stava per prendersi un colpo quando vide che vicino al sasso c’era una tana minuscola. Ne uscì un enorme ragno nero. Angelica fece un balzo di lato schifata. Con immensa paura vide il ragno avanzare con le tozze zampe pelose verso la sua sacca per il cibo. Non riusciva a muoversi. Jerry non capiva cos’avesse la sua protetta, c’era solo un insetto che si stava avvicinando. Ad un certo punto dal cielo azzurro calò di volata un grosso uccello con il becco lungo e nero, gli occhi rossi e il corpo marrone a parte una chiazza bianca sul petto. Calò in direzione del ragno e prima che questi avesse avuto il tempo di nascondersi nella sua tana, non c’era più. Sparito nella bocca del grosso uccello. Angelica non si seppe trattenere, emise un urlino di gioia che fece spaventare l’uccello. Peccato lei avrebbe voluto dargli un tortino per mostrargli la sua grati dune. Il povero animaletto che teneva in braccio vicino a Jerry s’era rinchiuso a pallina come se fosse stato un armadillo, peccato che non aveva la corazza ma sottili aculei neri e bianchi. Lo posò per terra e lui si schiuse solo dopo essere stato certo di non veder altri predatori. Jerry saltò a terra dopo di lui e si scosse per pulire il pelo da una polverina rossa che aveva il terreno. Si sedette a terra. In quel momento sembrava proprio un vero Chihuahua proveniente dal Messico, tosto, coraggioso e instancabile. Angelica buttò a terra le sacche provocando una nuvola di polvere rossa. il rinoceronte si girò a guardarla, il coccodrillo non si degnò. Nella radura a farci compagnia arrivò un felino simile al ghepardo, più robusto, rossiccio e con i due denti sporgenti. Aveva sempre le macchie nere sul pelo però. Dietro al felino uscirono da un cespuglio tre cuccioletti ed un maschio adulto. La famigliola perfettamente radunata si sdraiò all’ombra. Non sembrava avessero voglia di cacciare, quindi Angelica decise di rimanere lì. Prima che si facesse tardi, erano tornati già in cammino e avevano percorso un chilometro e mezzo seguendo la via del fiume. Lo strano echidna li aveva sempre seguiti, lento ma instancabile. Si erano fermati tutti vicino alla foce di un fiume per riposare. L’aria era umida e piena di zanzare. Angelica si preparò un unguento con alcune foglie dall’odore molto forte e se le 83 spalmò addosso, così provò a fare anche con Jerry, senza molta riuscita. Si sdraiò su di una coperta fatta con la pelliccia del primo animale che aveva ucciso nella seconda dimensione. Si sentiva sola. Non c’era niente e nessuno di veramente umano. La mancanza più grande era sapere che aveva ancora molti altri passi da compiere per finire quell’avventura. Le mancavano estremamente la vicinanza di un umano. Soprattutto il suo migliore amico, o fidanzato, Federico, la famiglia, la città e i professori. Se si era ridotta a sentire la mancanza dei professori allora immaginate com’era forte il dolore che provava. Sapeva di essere stata l’unica a sopravvivere a quell’avventura. Prese il suo telefono. L’aveva tenuto pento fino a quel momento, non voleva scaricarlo. Mise della musica facendosi trascinare dalle note di Diamonds, Rihanna. In quel momento si accorse quanto le mancava veramente il suo mondo. Mai avrebbe voluto nascere qualche secolo prima, o millennio. Si perse nella musica con una tale passione che non si accorse più di niente. In quel momento sentì Jerry ringhiare e si distrasse un attimo per vedere un Homo Herectus con un bastone con attaccata una pietra venirle incontro. Dietro di lui un intero gruppo. Le rivolse un brusio. Non riusciva a capire, per lei poteva dire tutto ma niente. Si trovai un altro Homo Herectus dietro, decise di spegnere la musica. Lo scimmione che le stava dietro si mise ad annusarle la schiena e le gambe, era molto più basso di lei. In risposta alle sue attenzioni, gli rivolse un calcio alla gamba. Lo scimmione soffiò e mi mostrò due lunghi canini affilati. Presi la mia roba e con Jerry riuscì a fuggire via. Gli altri due erano più lenti. Non la raggiunsero. Angelica si appostò facendosi il covo di prima e si mise a riposare. 84 10 Il giorno dopo si svegliò ritrovandosi l’echidna a fianco che l’aveva raggiunta e Jerry fra le braccia. Il telefono spento nello zaino. Si ricordò del giorno prima e si rimise in marcia. Quando giunse il pomeriggio, si fermò sempre presso il fiume. Vide arrivare dalla foresta un gruppo di Homo Herectus. Si nascose dietro ad un cespuglio chiudendo la bocca a Jerry per non farlo abbaiare e gli sussurrò parole di conforto. Il cane smise subito di abbaiare e si affacciò cauto per vedere. Il gruppo s’era accovacciato a terra e, mettendo le mani a coppa, portava l’acqua del laghetto alla bocca. Ad un certo punto, vide un piccolo che si era staccato un dente. Lo vide anche Angelica. Il piccolo si mise a urlare col dentino in mano. Il genitore gli si avvicinò, gli tolse il dente di mano facendolo cadere a terra e prese il piccolo in braccio consolandolo con un fitto brusio. Quando il gruppo se ne andò, si avvicinarono cauti al luogo col dente. Angelica lo prese e, dopo averlo pulito nell’acqua del laghetto ed essersi pulita le mani, se lo mise in cartella. Adesso aveva parecchi pezzi magnifici e inestimabili. Il dente era ingiallito, grosso ma parecchio simile ad un molare. Continuò il cammino fino a tardi e come il giorno prima si riposò riparata da un cespuglio di rovi. Continuava a seguire il percorso del fiumiciattolo quando si perse in un lago. Ad un certo punto dalla superficie dell’acqua comparve uno strano muso. Cos’era, il mostro di Locness? Il muso si avvicinava a riva e uscì dall’acqua anche la superficie di una testa. Era l’alba e non si vedeva bene. Angelica non sapeva se andarsene o vedere cosa sarebbe arrivato dal lago. Si nascose meglio che poteva. Jerry non sembrava molto preoccupato, magari non si era neanche accorto del muso che si avvicinava alla sponda. Finalmente vide la causa delle sue agitazioni. Si mise a ridere quando vide che cos’era la causa della sua agitazione: un ornitorinco. Mamma mia, s’era presa quella paura per un ornitorinco. La sua risata spaventò l’animale che si ritirò da dov’era 85 venuto. Angelica continuò il cammino seguendo un fiumiciattolo che ripartiva dal lago. Verso sera il tempo si oscurò. Grosse nuvole nere e cariche di pioggia solcarono il cielo, l’aria si fece di punto in bianco gelida. Non si vide più un animale in giro. Niente. Angelica girò intorno per trovare qualche luogo ove nascondersi. Vide una caverna vicino al fiumiciattolo che, nel frattempo era parecchio agitato. La caverna era più vicina ad un laghetto. Non era quello dell’ornitorinco perché l’aveva superato da parecchio ma un altro. Si diresse correndo verso quella parte. Jerry era agitatissimo. Quando entrarono nella caverna, sentirono un forte tuono che solcava il cielo. Li raggiunse dopo poco l’echidna tutto fradicio e spaventato. In cinque secondi Angelica appiccò un fuoco per riscaldarsi. Era così ghiacciata che il caldo del fuoco riusciva a stento a farsi sentire. Stava riscaldandosi con i due animali quando sentì una voce: <<Angelica, brava hai seguito il tuo istinto. Adesso devi proseguire verso la prossima dimensione. Sbrigati! Oggi gli Homo Herectus sono diventati Homo Sapiens. Uno di loro ha scoperto il fuoco per sbaglio. Prima che iniziasse sta bufera e adesso si stanno riscaldando. Vieni se vuoi tornare nella tua dimensione..>>. Angelica non lasciò il tempo di finire la frase alla voce. Si gettò fuori dalla caverna dopo aver salutato lo strano echidna e avergli lasciato cinque tortini. Jerry era dietro di lei. Non sembrava agitato per la voce ma solo per il tempo. angelica si diresse verso il lago, le sue acque stavano straripando. In quel momento vide un lungo ed enorme delfino con i denti lunghi e acuminati. <<Sbrigati, entra in questa bolla d’aria>>. Era proprio il delfino preistorico che aveva parlato. Teneva sulla schiena una grossa bolla d’aria. <<Dai, il portale si sta chiudendo>>. Poiché la schiena dell’animale toccava la spiaggia, Angelica non toccò acqua. Mise tutto dentro l’enorme bolla d’aria come se fosse stata una valigia trasparente. Poi salì lei e prese il cane un secondo prima che il delfino si fosse inabissato. La bolla d’aria era parecchio figa. Sembrava di stare dentro una palla elastica e trasparente. Mancava solo la porticina. Jerry si sdraiò sul dorso piatto e liscio dell’animale. Angelica si guardò intorno. Vedeva alghe, coccodrilli, pesci enormi, uova, squali strani e spettacolari. Sembrava di stare in un film horror. <<Tra poco il portale si chiude!>>. Adesso lo vide il portale. Una luce bianca a forma di cerchio si stava per chiudere. Il delfino nuotò più veloce che poté e finalmente sganciò la ragazza e il cane, con tutte le sacche 86 dall’altra parte del portale. Si ritrovarono in un terreno arido bagnato da una sottile pioggerellina. Non ebbe il tempo nemmeno di ringraziare il delfino che già il portale s’era chiuso. Jerry si scrollò il pelo dalla pioggia. Cercarono velocemente un riparo ma non c’erano caverne. Si ripararono sotto ad un albero. Quando smise di piovere. Angelica iniziò ad addentrarsi nella savana. Per adesso nessun animale era ancora uscito. Adesso avrebbe dovuto incontrare uomini quasi normali. I sapiens, coloro che hanno scoperto tutto, coloro che erano come lei, o quasi. Adesso non sapeva proprio cos’aspettarsi. L’habitat era uguale a quello dove vivevano gli Homo Herectus. Proseguì il cammino seguendo il percorso di un fiume con Jerry che allegramente le zampettava dietro. Lui, quella notte aveva sentito l’ululato di sua madre che gli diceva: <<Tutto ciò che stai passando lo devi fare. Tutto ciò che ti accadrà è il tuo destino. Proteggi la tua protetta fino alla fine di tutto>>. Jerry non aveva capito a quale fine stesse parlando la madre ma aveva capito quasi tutto. Adesso, non sentendo la presenza di nemici zampettava tranquillo sul terriccio fangoso. Aveva percepito un gran cambiamento, parecchio misterioso, qualcosa che nemmeno la sua protetta poteva capire. Quella sensazione l’aveva già avuta quando dai dinosauri era entrato nel mondo dei mammiferi. Angelica vide un grosso struzzo che stava covando. Non sapeva che gli struzzi fossero esistiti di già. Beh, magari non erano proprio struzzi. L’ultima e prima volta che ne aveva visto uno in quell’avventura era inseguito da un felino parecchio strano. Osservò a lungo lo struzzo. Ecco il cambiamento. Il collo non era completamente nudo ma peloso, la testa più massiccia e le zampe più corte e più pelose. Girò a larga dal grosso uccello. La savana era tranquilla. Ai margini del terreno arido, iniziava un terreno erboso, arido ma con molti alberi. Si addentrò. Vide un piccolo animale, doveva essere erbivoro, col muso da tapiro ma il corpo da cerbiatto. Stava sradicando una radice per mangiarsela. Quando vide dei possibili predatori, sparì dalla vista. Angelica vide anche, nascosta dietro una pianta, un becco nero. Si affacciò per vedere. Fu sorpresa dal vedere un Kiwi che stava covando un uovo grande quanto lui. I Kiwi nel suo mondo ormai erano estinti. Sorpassò l’uccello grosso e affascinante. Jerry era parecchio curioso, annusava di qua e di là spaesato. Il cielo si diradò e arrivarono, ad una spiaggia molto piccola. Che bella! Era dalla prima dimensione che non ne vedeva una. Quella spiaggia era rocciosa, al posto della sabbia aveva una fanghiglia grigia. Sembrava disabitata. Nel cielo 87 volavano uccelli molto misteriosi. Ad un certo punto, sulla fanghiglia della spiaggia, venendo dall’acqua, si fermò un Limulo a prendere gl’ultimi raggi del sole. È vero, Angelica non se l’era ricordata più ma aveva studiato che il limulo era stato uno dei primi animali a sopravvivere fin dal periodo dei dinosauri. Sembrava vedere una corazza che si muoveva. Il limulo afferrò un piccolo granchio e se lo pappò in un soffio. Angelica si avvicinò all’acqua, dietro di lei Jerry che, curioso e spaventato provava a toccare l’acqua. Era già stato in una spiaggia ma quel piccolo tratto era molto diverso. Il limulo non si spaventava, si vedeva che era abituato a vivere in mezzo a possibili predatori. Si accampò su uno scogli etto che spuntava dalla fanghiglia-sabbia. Lo scoglietto era asciutto, scuro e massiccio. Angelica vi si sdraiò sopra coprendo la superficie con il suo giaccone. Jerry con un saltino le fu accanto e posò il musetto sotto l’ascella calda della sua protetta. Lo scoglio era abbastanza alto da non toccare umidità e al sicuro da qualunque animale curioso. Si addormentarono verso pomeriggio inoltrato con i sensi all’erta ma un grande sonno che pesava su di loro come un pesante macigno. Si svegliò poco prima dell’alba e bastò un suo sospiro per svegliare anche Jerry. Si trovò da sola con il sole nascente. L’unico animale in vista: un uccello dal becco azzurro con la testa nascosta dalle sue ali perché stava dormendo. Quando Angelica si alzò, l’uccello drizzò la testa, la guardò e volò via per andare a posarsi su di un altro scoglio che spuntava dal mare. angelica era confusa. Quelle piccole spiagge fangose non dovevano esistere in Italia, da dove era spuntata o in America probabilmente. La fanghiglia-spiaggia era divisa dalla savana grazie ad un terreno molto morbido. Angelica tornò verso la Savana e trovò un fiumiciattolo acquitrinoso che scorreva vicino alla spiaggia. Decise di seguire quello che lo portò, ben presto, verso pomeriggio inoltrato, in un’aperta distesa di erba secca e alberi. Gli animali dormicchiavano sotto gli alberi, solo qualche uccello, serpente o insetto stava girando. Angelica col coltellino in felce si faceva strada tagliando l’erba e spostando gli uccelli pur di non toccarli. Vide in lontananza sei casette bianche e marroni a cupola, o almeno le parve. Vi corse subito incontro sperando di vedere case normali ma invece trovò casette fatte di alte ossa e rametti, coperte da pellicce legate tra di loro. Tanti uomini, donne e bambini stavano preparando utensili, pellicce da usare in vari modi, case e molte altre cose. Le parve veramente strano vedere che, in un villaggio di soli sei casette vivevano parecchi umani. Gli uomini erano andati a caccia, alcuni erano andati in 88 perlustrazione di grotte o nuove prede. Angelica si stupì per quanto quegli scimmioni s’erano sviluppati in una sola dimensione. Sembravano veri umani a parte facce dai tratti scimmieschi, lunghe e folte barbe marroni o nere e capelli lunghi per tutti. Indossavano solo gonnellini stretti da fasce sempre in pelle. I bambini cercavano bacche e aiutavano le madri, sembravano molto simili a quelli di oggi ma tutti o bruni o dai capelli neri, la pelle però era per tutti uguale: marrone terra. Si sentì puntare un’arma contro la schiena, si girò spaventata. Jerry era attaccato con i denti ad un lungo bastone con attaccata una punta di selce. L’uomo scosse il bastone colpendo il cagnolino che rotolò a terra. Tornò in attacco ma questa volta svenne. Angelica tirò fuori due coltelli di selce, non voleva perdere per poi farsi ritirare i suoi coltellacci, estremamente utili che non avrebbe mai dovuto perdere. Affianco all’uomo ne comparirono altri tre e due donne. Angelica dopo aver preso in braccio Jerry e preso le sue sacche venne trascinata al centro del piccolo villaggio e costretta ad inginocchiarsi davanti ad un uomo tozzo, basso e muscoloso, doveva essere il capo. Parlò con una voce ben distinta, Angelica non capiva. <<Ciao>>, fu capace di dire ma purtroppo non venne capita. Le sue sacche e anche la giacca vennero sequestrate, anche le sue due punte di selce. Era nei casini, in grossi casini. Adesso per non farsi uccidere, avrebbe dovuto far leva sulla paura del popolo. Come se non la capivano? Ci pensò ben presto quando fu costretta dentro una casetta in ossa coperta di pelli come se fosse una capanna. 89 11 Jerry era ancora svenuto e stava sdraiato in un angolino della capanna. Angelica adesso non aveva niente, sarebbe dovuta uscire da quella capanna. La “tenda” era molto piccola, per starci dentro e non sbattere, sarebbe dovuta rimanere in ginocchio. La porta era intrecciata con rami lunghi ed elastici, il contorno della porta invece era fatta di ossa collegate fra loro tramite fango seccato al sole, foglie e rametti. La porta era fatta molto bene, impossibile da sorpassare se non con un’arma o qualcosa di appuntito. Lei aveva la punta delle sue scarpe che erano affilate. Ciò che apriva la porta era un filo collegato ad un ossicino, avrebbe dovuto tagliare il filo. Poiché l’apertura era molto bassa, le bastò stare seduta, allungare il piede e con il calcagno tagliare il filo. La porta si aprì con un TAC. Aveva aperto la porta in un modo sbagliato, avrebbe dovuto slegare il filo legato ad un osso anzi che tagliarlo. Adesso, pezzo per pezzo la capanna stava cadendo. Angelica ne uscì con entrambe le mani occupate. In una teneva un Jerry che, appena svegliato era molto confuso, nell’altra un… osso. Quando lo vide, lo scagliò in aria parecchio schifata. Le ossa poteva vederle solo quando facevano parte di una bella e succosa coscia di pollo. Le venne fame, la mattina non aveva ancora mangiato. Tutta la tribù si girò verso di lei parecchio spaventata. Aveva fatto centro! Fu condotta nella capanna del capotribù. Non aveva una porta ma in compenso era molto spaziosa, come una tenda. Venne fatta inginocchiare e la costrinsero a rinchiudere Jerry in un’altra capanna. Lasciato Jerry, venne di nuovo portata nella tenda del capotribù. A fianco ad esso c’era un uomo mingherlino dall’espressione cupa, immaginò dovesse essere lo stregone e altri tre uomini, indubbiamente gli Anziani. Lo stregone si girò verso un Anziano e si mise a parlare in tono concitato. Poi si girò verso la ragazzina e provò a parlarle, senza successo. Allora chiamò una donna, bassa dai capelli neri, vestita con un semplice gonnellino. La donna appena arrivata 90 s’inchinò di fronte agli uomini e ascoltò i loro ordini. Angelica era parecchio disturbata, come poteva una donna farsi trattare così? La donna uscì e tornò con due ciotole fatte in osso. Li porse alla ragazza che, non poco stupita per essere accettata così, li afferrò e vi guardò dentro. Non sembrava avvelenato il cibo. C’erano due grosse fette di carne mischiate a semi dall’aspetto immangiabile e nell’altra ciotola dell’acqua. Angelica era non poco schifata di dover mangiare la carne con le mani ma non aveva alcuna scelta. Prese una fetta e iniziò a masticarla lentamente e con educazione, buona. Si avvicinò la ciotola alla bocca e bevve lunghe sorsate. La sua gola era molto secca prima, fu un sollievo sentirla rinfrescata e soddisfatta. Non finì la porzione enorme e la ridiede alla donna con un sorriso accompagnato da un “grazie”. La donna non poteva capire ma immaginò che la stesse ringraziando. Si stupì non poco, nessuno l’aveva mai ringraziata e adesso quella straniera di cui aveva paura notando la sua intelligenza avanzata la stava ringraziando per un cibo che le aveva portato ad un ordine del capo. Angelica sentì il tono parecchio offeso che usciva dalle voci esili degli anziani, anche se dovevano avere solo trent’anni. Capì di aver fatto un errore e s’inchinò di malavoglia. Sapeva di doversi adattare a quella specie di monarchia, anche se la temevano l’avrebbero uccisa se non si sarebbe abituata alle loro regole, almeno in parte. Provò a mostrare alla piccola tribù la sua richiesta: voleva tornare dal suo cane e lasciata libera. Venne capita e infatti due uomini barbuti con un gonnellino anche più corto degl’altri l’accompagnarono nella tenda di Jerry e ve la rinchiusero. Di liberarla, niente da fare. Angelica era un po’ scocciata, perché non era finita in Egitto? Almeno gli egiziani in quel tempo eran già molto avvantaggiati di scoperte e anche di case. Accarezzò Jerry e pensò all’avvenire. Lei rivoleva la sua roba, non avrebbe dormito sul terreno pieno di erba secca e insetti della tenda. Questa volta, non distrusse la nuova tenda ma aprì la porta slegando il nodo seguita da un Jerry così impettito che pareva un soldato. Venne accolta dalle lance di quattro soldati. Prese Jerry in braccio che intanto ringhiava a chiunque volesse toccarla. Lei non si fermò. Girò la punta di una lama che le premeva troppo il petto e con uno schiaffetto altre tre. I soldati allora la circondarono e le piazzarono ogni lama puntata alla schiena e al petto. Finalmente arrivò un altro uomo della tribù che ad un ordine fece abbassare le lance e senza toccarla la seguì con la lancia puntata alla sua schiena nella capanna del capo. L’uomo la fermò e andò a chiamare un suo compare che la tenesse di guardia mentre lui entrava nella 91 capanna per chiedere al capo se volesse ricevere un’altra visita della sconosciuta. Finalmente tornò e condusse la ragazza all’interno. Angelica si mise in ginocchio e spiegò a gesti che rivoleva la sua roba indicando la sua maglia, i pantaloni attillati, le lance che le stavano puntate addosso per poi avvicinare un dito al suo petto toccandolo dicendo – mio – finalmente il capo capì e andò a chiamare lo stregone. Si misero a parlare sussurrando. La loro lingua era stranissima, semplice ma impossibile da capire. Si trovavano in America, di questo Angelica ne era certa perché in Italia era già il periodo dell’Era Glaciale, ma non capiva un h di ciò che dicevano. Perché non parlavano il Latino? Lo stregone le rivolse la parola ma con tono negativo, non gli avrebbero dato niente. Non si fidavano ancora di lei. Venne scortata di nuovo nella capanna con a bada dell’entrata tre guardie munite di lance. Angelica si sedette e appoggiandosi alla tenda con Jerry sulle ginocchia, si era stupita perché il cane non aveva mai ringhiato nella capanna del capo, si addormentò. Si svegliò all’alba con due ciotole a fianco e Jerry sdraiato sulla sua scarpa. Mangiò e bevve dalle due ciotole e svegliò Jerry porgendogli gli scarti. Lui non parve accettare ma bevve soltanto. Faceva caldo, l’aria secca penetrava nella capanna facendo sudare sia lei che Jerry. Decise di uscire. Fece rumore per avvertire che stava uscendo e si ritrovò fuori in un mare di frecce di felce. La portarono, non in una capanna ma in una grotta, questa volta già abitata da una famiglia: un uomo, una donna ed un bambino di circa due anni. Il bimbo corse incontro ad Angelica felice di vedere un nuovo arrivato e curioso dagli abiti che portava la ragazza, venne respinto dal padre bruscamente ricevendo una pesante sculacciata. Jerry aveva smesso di ringhiare, la sua paura era solo diretta all’uomo. Angelica venne accompagnata dalla donna in un angolo della grotta su di una montagnetta di pelli. Angelica la sistemò a mo di sedia e subito Jerry le fu a fianco per sdraiarsi su qualche cosa che gli ricordava, anche seppur minimamente, un cuscino. L’uomo uscì dalla grotta per andare a caccia dando alla donna un coltello in selce in caso di necessità. La donna si avvicinò ad Angelica e con diffidenza la toccò, Jerry le ringhiò contro ma lei lo tranquillizzò. La donna con parecchio timore provò a spogliarla per lavarla in un catino fatto in osso all’angolo più remoto della grotta. Angelica capendo il pensiero si spogliò da sola e lasciò tutto sulle pellicce. La donna era molto curiosa di vedere quello strano abbigliamento tanto che si soffermò a guardare a lungo la maglia, il reggiseno, i pantaloni, i calzini e perfino le mutande. In tanto Angelica, trovando nel catino acqua 92 pulita e non usate, dopo giorni si lavò come faceva di solito, senza saponi però, anche i capelli che strofinò accuratamente prima di uscire ed asciugarsi coprendosi con le pellicce per terra. Poiché le facevano schifo per asciugarsi, le usò solo come copritore. Bastò una folata di aria calda per farla asciugare accuratamente. Si rimise mutande, reggiseno e andò a sedersi sulla sua solita pelliccia per asciugarsi definitivamente. La donna dopo aver studiato ogni suo movimento, si sedette di fronte ad Angelica ma dalla parte opposta appoggiata alla calda roccia della caverna e si mise a lavorare più pellicce per farci tanti vestiti. Assomigliava alla “sarta del villaggio”, o poteva essere. Solo in quel momento, mentre la ragazza stava guardando il viso scuro della donna e le abili mani, si ricordò di avere un bene prezioso in tasca: il telefonino. Subito, dopo essersi vestita lo accese e, fece una foto di nascosto alla donna che non se ne accorse poiché non era in modalità flesh. Si mise ad ascoltare la musica seguendo le note di Katy Perry. La donna alzò la testa di scatto e smise il suo lavoro irruppe in un’esclamazione stupita e spaventata. Angelica sperò di non aver cambiato il futuro ancora di più, sperò che quell’avventura fosse solo un suo sogno o più probabilmente, perché dal canto suo non aveva sognato, un’avventura destinata a lei come le aveva detto lo strano delfino preistorico e spaventoso per portarla lì. La donna le si avvicinò col coltello sfoderato ma Angelica non le mostrò il minimo segno di aggressione, anzi le fece spazio per farla sedere, cosa che fece quasi subito per curiosità. Angelica provò a mostrarle il telefono ma voleva anche spaventare la donna e farle capire che quel telefono era un’arma molto preziosa che solo lei la poteva toccare, chi l’avesse fatto al suo posto, sarebbe morto. Dopo tanti gesti, espressioni spaventose e indicazioni, la donna capì e si tenne alla larga, sempre guardando lo schermo luminoso. Angelica sentì un po’ di musica, guardò a lungo le foto che aveva nell’album e poi spense il telefono per non scaricarlo. Era da cinque minuti che aveva spento il telefono e si era sistemata quando sentì un urlo provenire da un’altra grotta, erano voci di bambini. Si alzò di scatto precipitandosi fuori seguita dalla donna e si affacciarono alla grotta a fianco. Era piena di bambini. Angelica si fece l’argo e vide verso un’altra entrata ad Est una donna che veniva assalita da un’enorme felino preistorico dalle fauci sporche di sangue della donna. Gli uomini non erano ancora arrivati. Angelica non ci pensò su, strappò il coltello dalle mani della sua compare donna della grotta a fianco, si fece spazio fra i bambini e si gettò sul felino preso di sorpresa. Gli conficcò la lama nell’occhio e poi nelle fauci che si spalancarono lasciando la gamba 93 della donna, l’animale scappò ma venne assalito dagli uomini che intanto erano arrivati. Angelica rimase così, in piedi col coltello insanguinato fra le mani. Si riprese quando Jerry le appiccicò una leccata sulla gamba e un’altra sul ginocchio. Un uomo le si avvicinava, era il capo seguito dalle stregone. Sulle mani del capotribù c’erano parecchie sacche. Le riconobbe quando, con un gesto elegante gliele mise ai piedi con un sorriso sulla faccia barbuta. Erano le sue sacche. Fece cadere il coltellino che aveva in mano e si mise le sacche in spalla. La donna assalita era accerchiata da tanti adulti e i bambini stavano tutti schiacciati in un angolo. Angelica venne accompagnata nel centro del villaggio seguita da grida di gioia. Aveva salvato la vita ad una donna e a molti bambini. Un soldato le mise davanti la carcassa dell’animale che poco fa aveva accecato ucciso dagli uomini. Le dispiaceva ma sapeva che non l’aveva ucciso lei, s’era occupata soltanto di accecarlo per farlo scappare. Adesso si fidavano di lei. 94 12 Angelica sfilò subito dalle sue sacche i suoi coltelli per poi analizzare gli strumenti. Nessuno li aveva rovinati ma capì che gli anziani, il capo e lo stregone li avevano analizzati molto attentamente. Quella sera tutto il piccolo popolo (quindici persone), si era radunato in cerchio intorno ad un focherello acceso dopo molte peripezie da più uomini. Angelica non aveva voluto mostrare l’accendino per paura di non trovarlo più rubato dal popolo. Era felice di trovarsi dopo tanto tempo in mezzo a umani, non molto sviluppati ma sempre persone capaci di tenerle compagnia. Si sentiva però molto esclusa, lei non avrebbe dovuto partecipare a quel fuocherello allegro. La compagnia dell’allegria della gente le tirò su il morale. Aveva sempre tenuto le sue sacche con sé per paura che qualche persona del popolo, mal contenta di un’estranea, andasse a rubare le sue cose, quindi adesso prese dalla sacca del cibo un tortino, lo spezzò in due e metà la diede a Jerry che, stanco della lunga giornata allungò solo la linguetta per afferrare l’offerta sulla mano della sua protetta. Lei si trovava a fianco ad un anziano e ad una donna. L’anziano, un uomo sui cinquanta con la barba grigia con alcuni peli neri rimasti e con pochi capelli rimasti in capo. La guardò con gli occhi scuri e le toccò un ricciolo che, come una molla, dopo essere stato tirati si arrotolo di nuovo. Era parecchio ammirato dall’estranea, perfino più dello stregone. Credeva che quella ragazza più alta perfino di lui dai capelli chiari, la pelle bianca e gli occhi verde-azzurri fosse una Dea mandata da Tiraka, la dea della bellezza e della bontà per accompagnarli al viaggio che di lì a poco avrebbero compiuto. Era un po’ triste perché la voce della ragazza nessuno la capiva però si sapeva spiegare molto bene a gesti, era la voce della dea quella. Era una decisione che avevano scelto già prima che arrivasse la ragazza, volevano spostarsi per esplorare nuove terre e conoscere il mondo. Per adesso credevano che tutto il mondo fosse solo Savana, mare e caldo. Di lì a poco il capotribù le 95 avrebbe provato a spiegare ciò che dovevano fare e l’avrebbero seguita come guida. Lei si girò verso di lui e le sorrise, si sciolse. Lui aveva già una moglie, non poteva permettersi niente, quella ragazza era una dea, niente di normale. Il suo animale era spettacolare, mai visto un essere come lui, lo reputava carino anche se molto protettivo. Quella sera erano lì per raccontarsi leggende e storie, lei non le avrebbe capite poiché non parlava la lingua umana. Angelica si mise ad accarezzare Jerry che le dormiva in grembo col musino nascosto sulla sua maglia. Non sapeva cos’aspettarsi da quella serata in falò. Aveva visto che nessuno aveva ancora mangiato, neanche i bambini che stavano fra le braccia dei genitori. Numerosi uomini muscolosi facevano la guardia al “villaggio” in caso di attacchi da animali. Parecchi carnivori cacciavano di notte. Alcune donne della tribù che non si erano ancora sedute portarono una ciotola per ogni famiglia riempita di ocra rossa e altri colori per pitturarsi il viso. Angelica non l’accettò, la donna insistette e allora per non offendere nessuno prese la ciotola e osservando gli altri si truccò nello stesso modo. Molto meno certo, un’ombra degli altri visi truccati. Dopo che tutti furono truccati in viso con segni multi colori fluorescenti vennero altre donne portando due coppe di cibo. Gli uomini se le passarono di mano in mano passandole al proprio vicino. Ognuno prendeva dalle due coppe un po’ di cibo. Quando la coppa arrivò a lei, non le accettò. Il dentro non sembrava molto buono e poi le facevano schifo le facce burbere e sapere che ognuno aveva toccato quelle coppe… insomma non accolse le coppe vedendovi all’interno in una dell’acqua, nell’altra un miscuglio verde-marrone. Non voleva offendere ma nemmeno accogliere tutto. Sospirò di sollievo quando vide che nessuno pareva offeso. La procedura del rituale continuò, ben presto gli uomini dalla lingua più sciolta e dalle parole semplici ma belle avrebbero raccontato i miti e le leggende del villaggio. Un uomo alzò le braccia al cielo cantando qualcosa che Angelica non poteva capire. Quel canto era rude ma misto a gioia e antichità. L’uomo iniziò a parlare di molti miti e leggende che la protagonista non capì. La dea madre Un giorno la dea che aveva dato vita al mondo: Abitshrin volle creare l’uomo. Voleva qualcuno che avesse la capacità di un’intelligenza più sviluppata. Un giorno si consultò con il dio della vegetazione: Turama e il dio degli animali: Custafà per parlare di ciò che voleva creare. I due dei annuirono, volevano vedere anche loro 96 cos’avrebbe creato la dea Abitshrin. Ella però radunò tutti gli dei nella sua capanna per chiedere consigli e pareri. Aveva la tenda più bella di tutti. Il pavimento era fatto di fuoco viola e blu, l’alto era fatto d’aria e le sue cose erano fatte di acqua. La sua tenda era così grande che vi potevano stare due villaggi interi. Vennero tutti, perfino il dio della guerra: Cumakici. Egli voleva dare un po’ della sua ferocia e di coraggio ai nuovi esseri, non voleva farli rimanere deboli e buoni. Abitshrin lo accolse con diffidenza e iniziò la riunione. Quel giorno stesso decise di creare l’uomo avendo avuto tutti mormorii di approvazione. Gli dei le avevano lasciato nella sua capanna un quarto dei loro poteri per donarli alla nuova creatura che doveva nascere. Iniziò a creare l’uomo prendendo dell’acqua. Voleva fare l’uomo simile a lei ma dall’aspetto meno animale, poiché lei aveva le unghie, gli occhi e le orecchie di una tigre. Modellò l’acqua ma sapeva che la sola sostanza non poteva rimanere in piedi per sempre. Coprì l’uomo con la pasta degli alberi mischiata alla sua saliva e alla terra. La spalmò sopra il modello in acqua e la pasta marrone si appiccicò al modellino diventando la pelle, quella marrone che abbiamo noi. Ne creò diversi dalla pelle chiara, nera, marrone, ambrata e rossa. fabbricò gli occhi con gocce di rugiada ognuna di un colore diverso per creare l’iride e fece un taglio per la bocca. Poi distanziò gli umani da piccoli segni fatti di pasta della terra per mostrare chi era maschio e chi femmina. Vedendo che gli umani erano brutti così pelati e non si potevano coprire la parte più delicata: la testa. Prese dell’erba la tinse dei colori dell’autunno e li attaccò alle teste. Costruì così i capelli. Poi, per gli uomini prese altra erba e l’attaccò sotto il mento creando così la barba. L’uomo era fatto, parlava, si muoveva. Aveva solo alcuni difetti, niente anima, né cervello e né capacità di proteggersi e cacciare. Si ricordò in quel momento degli spiriti e uno ad uno li fece entrare dalla bocca e dal naso dentro i corpi. In ultimo prese un millesimo della sua intelligenza e saggezza e la mise dentro i corpi degli umani. Quella sera, dopo avergli spiegato le storie del mondo, li portò dagl’altri dei che avrebbero insegnato agli umani a cacciare, proteggersi, fabbricare e usare l’intelligenza che gli aveva donato. Il giorno dopo fu un giorno di riposo. Verso sera, chiamò tutti gli umani nella sua tenda, erano tantissimi, più della lunghezza del mare (a quel tempo gli umani quando guardavano il mare, non vedendone la fine credevano che oltre il mare non ci fosse più mondo ma si trovava il regno degli dei) gli disse che avrebbero dovuto dividersi in gruppi e ad ogni gruppo dovevano scegliere fra di loro dei capi. Tra questi gruppi scelse altri uomini, uno per ogni gruppo. Questi uomini erano particolarmente intelligenti e gli ordinò – Voi farete gli stregoni. Dovrete curare il vostro popolo, predire il futuro e aiutare il capotribù nelle sue decisione – dopodiché, li mandò sulla terra. Così si compì la creazione dell’uomo che cacciava per sfamarsi, era un alleato degli animali e delle piante ma dovevano venerare i loro creatori e rispettare le loro leggi se no sarebbero stati riportati nel mondo degli dei e annientati per poi creare altre creature più superiori Le donne dopo questa leggenda a cui ognuno tranne la ragazzina ed il suo cane credeva fortemente si misero a cantare con voci melodiose varie 97 sinfonie grottesche, animalesche ma nello stesso tempo dolci e potenti. Dopodiché iniziò a parlare un altro uomo, questa volta era un giovane che pareva avere quasi vent’anni. Raccontò quest’altra storia: Il terribile peccato L’uomo viveva in pace con tutti: animali e piante. I capotribù erano saggi e ascoltavano i consigli degli stregoni prima di dettare leggi e guidare il popolo. Non litigavano mai fra di loro. Poi però Amigdu un uomo del popolo volle uccidere il capotribù per prendere il suo posto. Colui era stato troppo toccato dallo spirito del male Abisù che, doveva per forza esserci in ogni creazione poiché quasi tutti gli animali della terra erano stati toccati da lui e, anche se non usavano il suo potere: la cattiveria, ce l’avevano dentro, nascosta, pronta ad essere usata o scacciata da uno spirito più forte, quello dell’animale. Amigdu purtroppo aveva fatto crescere le spine della cattiveria dentro di lui. Non era più in pace con il mondo e con gli altri. Ben presto mise su una banda di uomini, ragazzi, ragazze e donne. Gli unici che non avevano partecipato erano i bambini. Questa banda era stata coltivata da lui, vi aveva fatto crescere le spine della cattiveria. Con questa banda avvelenò il capotribù e poi lo stregone. Non voleva infatti che egli lo incolpasse di avere ucciso il capotribù. Mise al posto dello stregone, quindi, un suo della banda e lui si mise al posto di capo. Questa cattiveria purtroppo non era nata solo in quella tribù ma anche in altre. Uccidevano per il gusto di uccidere, umani, piante, animali; si credevano superiori e voltavano le spalle alla dea madre. Ella sapeva che a quel punto li avrebbe dovuti eliminare tutti, come aveva promesso ma non ce la faceva. Non tutti in fatti si erano comportati male. Scese sulla terra e radunò le tribù. Dapprima esse non volevano venire ma poi, dopo che li ebbe spaventati prendendo le sembianze di una tigre alta sei metri, tutti furono convocati. Li punì facendo cadere le malattie e la morte su di loro. Infatti, gli umani, dapprima erano immortali e non avevano malattie. Adesso potevano morire e ammalarsi come qualunque animale. Gli unici che non punì furono i bambini, ad essi non mostrò le cattiverie del mondo e, se c’erano bambini troppo sensibili per affrontarle, lei veniva con la morte e, senza fargli sentire niente, se lo portava via. I bambini però, quando crescevano diventavano come i grandi, così alcuni morivano per non diventare mai sporchi dei peccati, altri crescevano e così potevano ammalarsi e morire. L’uomo, dopo quella dura lezione si pentì, non offese più gli animali per paura di venire aggrediti e furono più deboli. Adesso sì che dovevano mettere in pratica lo spirito della guerra per proteggersi. dopo quest’altro racconto, questa volta furono gli uomini a cantare. E così proseguì la serata fra canti e storie. Angelica non aveva capito una parola quindi si era persa nei suoi pensieri sempre accarezzando Jerry. Quando si scosse, fu perché alcuni uomini la sfioravano mentre si stavano alzando. 98 Era notte già da tanto e i bambini più piccoli si erano addormentati. Svegliò Jerry per alzarsi e, prendendolo in braccio si avvicinò ad un anziano per cercare di fargli capire a gesti dove sarebbe andata a dormire. Non ci fu bisogno di chiederlo. L’uomo che le era stato seduto a fianco e che le aveva sfiorato i capelli, si mostrò come un membro degli Anziani e l’accompagnò alla solita caverna abitata dalla famiglia. Dopo un breve saluto fatto di gesti e un – Ciao – che venne capito solo per il significato grazie alla situazione, si sdraiò sulle solite pellicce e, dopo averle sistemate a mo’ di letto si addormentò stringendosi Jerry al petto. 99 13 Il giorno dopo, Angelica venne condotta dall’uomo della famiglia che l’aveva ospitata dal capotribù. Lo seguì con non poca curiosità. Si fermò davanti alla tenda. L’uomo le fece segno di andare avanti, dentro la capanna. Lei si abbassò ed entrò. Salutò con un gesto della mano il capo. Proprio non sapeva cos’aspettarsi. Il capo chiamò lo stregone dietro di lui. Lui venne e si fermò davanti alla ragazza. Le toccò la mano e chiuse gli occhi. Cosa stesse facendo proprio non si capiva. Angelica sobbalzò quando una voce che parlava la sua lingua ma del tono dello stregone le entrò in testa. - Sono io che ti sto parlando Saram. Sono lo stregone di questo popolo. Sono entrato nella tua testa per comunicarti una cosa che dovrai fare con noi dea, appena entrato nella tua testa, posso comunicarti le cose che penso nella mia lingua, a te si trasmetteranno nella tua lingua. Ti ringrazio del potere che mi hai donato e mi scuso del fatto che ti sto dicendo cose che tu già sai, nostra dea. Voglio comunicarti una cosa che non so se sai… tu ci devi condurre nelle terre da noi mai viste, verso l’aria più fredda che a volte arriva da noi. Questo viaggio ha aspettato una guida e, finalmente ella è arrivata. Ben arrivata per aiutarci dea – lo stregone aprì gli occhi e la guardò. Adesso Angelica aveva capito. Quegli stregoni avevano la capacità di parlare con la natura e avevano un filo conduttore con tutti, uno dei poteri che si è perso nel tempo. nonostante il loro potere credevano che lei, una ragazza normalissima, fosse stata una dea scesa dal cielo per aiutarli. Qualcosa le diceva che avrebbe aiutato a portare a compimento quel viaggio portandoli in Europa che, in quel tempo era tutta ghiacciata, il periodo dell’Era Glaciale. Pregò Gesù di aiutarla, voleva al più presto tornare a casa e sperava sempre di più che, quel’avventura fosse stata solo un sogno, oppure qualcosa che Dio aveva voluto compisse. Beh, di sicuro avrebbe sempre preso dieci in storia 100 andando di questo passo. Si riscosse dai suoi pensieri e annuì allo stregone che, dopo aver ricevuto risposta, andò a consultarsi con il capo. Lo stregone tornò da lei e le indicò l’uscita della tenda. Capì che doveva uscire e tornarsene alla sua grotta. Jerry ormai, non era più tanto diffidente poiché, fino a quel punto nessuno aveva fatto male né a lui né alla sua Angelica. La ragazza era seduta sulla pelliccia, la donna stava fabbricando ciotole e il bambino stava preparando delle more schiacciate in un’altra ciotolina, Jerry dormiva su di una pelliccia nera, molto scura ma morbida. Angelica era parecchio scombussolata, dopo aver fatto entrare nella sua mente un tizio sconosciuto aveva avuto paura, ma sapeva che nessuno le avrebbe fatto male considerandola una dea. Però, tale doveva comportarsi. Sarebbe dovuta partire costretta dal popolo ma anche dalla certezza che lei sarebbe andata. Prese dal suo zaino lo specchio, si specchiò e si sistemò. Era sempre uguale a parte qualche graffio e i capelli più rossi e selvaggi, dentro gli occhi la solita luce di vita. Come potevano considerarla una dea? Solo perché era diversa di carnagione, di capelli e portava accessori mai visti? Beh, se un umano sarebbe venuta nella sua dimensione con cose mai viste, avrebbe detto di certo che veniva da un altro mondo ma mai che fosse un Dio. Lei era Cristiana e aveva molta fiducia nella religione. Prese le carte delle numerose merende mangiate che le avevano fatto compagnia e osservò le marche e le carte colorate. La donna ormai sapeva che la sua “ospite” era magica e aveva tante cose nuove, perciò non si disturbò per alzare lo sguardo e guardare ciò che Angelica tirava fuori da quella grande sacca fatta in un materiale misterioso. La ragazzina intanto continuò a tirare fuori tutto ciò che aveva e ad osservarlo per ricordare il suo vero mondo. Lì in quella caverna si sentiva protetta ma voleva tornare in una vera casa. Di una cosa ne era certa, qualunque avventura le sarebbe capitata di nuovo, l’avrebbe compiuta. Rimase assopita nei suoi pensieri fino a quando, stanca, si sdraiò e si mise a riposare a fianco a Jerry. Aveva intuito che il giorno dopo sarebbero partiti, per quello tutti costruivano nuove cose da usare nel viaggio. Lei avrebbe preparato le sue “valigie” composte da una sacca del cibo piena di tortini, una giacca, uno zaino e altro ancora. Peccato che non esistevano ancora dei cavalli normali che avrebbero trasportato lei e le sue cose nel lungo viaggio. Beh, con la scusa di essere una dea, quando sarebbe stata stanca avrebbe lasciato le sue cose in mano di qualcuno. L’unica cosa che avrebbe tenuto, sarebbe stato: una 101 bottiglia d’acqua, due tortini in tasca e lo zaino. Di tortini ne erano rimasti solo dieci. Avrebbe cacciato al momento. Due tortini li avrebbe tenuti da parte per mostrarli quando sarebbe tornata e…se. Abbandonò i suoi pensieri e si addormentò, finalmente molto bene e senza più pensieri. Il giorno dopo pensò alla strana vita di quegli uomini. Prima aveva pensato a quegli uomini come degli stupidi ma poi si ricordò di ciò che aveva studiato alle elementari. Gli uomini sapiens vivevano molto raramente in gruppi, non avevano capi, sciamani, non viaggiavano insieme, non sapevano cantare e nemmeno raccontare storie. Beh, era finita in un gruppo di Homo Sapiens che aveva sfruttato quasi appieno la sua intelligenza. Sarebbe stata felice di viaggiare con quasi uomini che sviluppavano molto velocemente le loro capacità mentali, l’unica cosa che le mancava era un cavallo su cui viaggiare. Si alzò trovando la famigliola ancora addormentata. Si avvicinò al piccolo catino di osso da cui l’acqua che scivolava dall’alto della caverna da varie fessure, cadeva copiosa al suo interno facendo fuoriuscire l’acqua sporca e rimanere quella pulita e si lavò le mani delicatamente. Jerry si svegliò quando lei tornò a sedersi a fianco a lui. Si preparò le sue sacche e mangiò due tortini, l’ultimo lo divise in due e diede una metà a Jerry che, dopo aver allungato la lingua, lo mangiò lentamente. Si alzò e si avvicinò all’uscita della caverna per fare pipì, poi tornò indietro e si riaddormentò sulle pelli. Angelica accese il telefono e, dopo aver guardato una foto della sua famiglia, si alzò e si avvicinò all’uscita della caverna. Fuori non c’era un filo di vento. Sobbalzò e si girò di scatto quando sentì un brusio distinto. L’uomo s’era svegliato. Si diresse al catino e si sciacquò viso e mani poi svegliò la moglie ed il figlio e uscì dopo averla guardata attentamente per farle un cenno di saluto. La donna si mise a pulire il figlio e sé stessa. Il marito tornò dopo poco con un cervo sulle spalle. Lo lasciò nella caverna. Jerry non parve molto attratto poiché il tortino l’aveva riempito. L’uomo accese un focherello allegro mentre la donna si mise a scuoiare l’animale. Il bimbo intanto stava preparando un succo di more schiacciate con le sue manine. La donna riscaldò la carne poi vi applicò il succo di more e divise il cibo in più parti dando più fette a ciascuno. Le diede a tutti tranne ad Angelica e a Jerry che la rifiutarono. Il sole coprì il cielo illuminando tutto ciò che incontrava. La famigliola di punto in bianco si alzò e uscì facendole cenno di seguirli. Angelica li seguì e si ritrovò sotto il sole cocente. La accompagnarono nella tenda del capo dove trovarono lo 102 stregone. Lui le si avvicinò senza dire niente, le toccò le mani e lei risentì la sua mente che si apriva, come le porte di un castello. Oggi partiamo. Tu ci seguirai e sarai subito dietro di me. Andiamo, seguimi. Lei allora provò a collegarsi alla mente dell’uomo. Tenne ferme le sue mani e provò a fargli capire che voleva parlare con lui. Subito la mente dello stregone si aprì per percepire ciò che le voleva comunicare. Gli disse col pensiero: Sono una dea, lo so, per motivi che non vi riguardano però, non posso portare tutte le mie sacche. Qualcuno dovrà aiutarmi ma senza curiosare. Chiunque toccherà le mie cose senza permesso, si ammalerà per poi morire Così, toccando la paura dello stregone, si fece valere e ottenne subito una risposta affermativa. Diede allo stregone alcune sacche. Lui si alzò e in quel momento vide i suoi muscoli. Non li aveva mai notati. Prese le sue sacche con una semplicità innata, se le mise in spalla e uscì. Lei lo seguì e si mise in cammino. A mano a mano che avanzavano tutto il popolo si accodò con le armi in spalla mentre invece le donne tenevano solo una o due ciotola. I bambini camminavano felici a fianco alle madri. Angelica aveva parecchio caldo ma sopportò il tutto. Stava tenendo adesso, solo lo zainetto. Jerry le zampettava a fianco. A volte si accucciava impaurito quando incontrava qualche ostacolo, allora lo aggirava e continuava a camminare seminando pipì ogni dieci metri fino a esaurire l’ultima goccia. Angelica continuava a camminare. Seguiva lo stregone che, a dorso nudo, continuava il cammino pieno della sua roba. Camminarono fino a tardi. Gli uomini nel loro cammino facevano la guardia e spaventavano le brutte bestie che volevano attaccare. Angelica ben presto dovette prendere in braccio Jerry per paura di farlo finire nelle fauci di qualche predatore vedendolo così piccolo e indifeso. Per la seconda volta fu felice di ritrovarsi in un gruppo più intelligente. Gli Homo Sapiens mai avevano viaggiato in gruppi così vasti. Massimo cinque individui e così la maggior parte essendo in troppo pochi per proteggersi venivano mangiati da gruppi di predatori carnivori. Finalmente si sentiva protetta non dovendo pensare a scacciare i predatori. 103