L`ESSERE DEL SOGNO: VALUTARE, INTEGRARE, ELABORARE

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L`ESSERE DEL SOGNO: VALUTARE, INTEGRARE, ELABORARE
L’ESSERE DEL SOGNO:
VALUTARE, INTEGRARE, ELABORARE
V. LAMARTORA
La scena in cui è nato questo sogno è una stanza. Una stanza che si
muove, che viaggia in autostrada, ma comunque una stanza. E un
gruppo, un gruppo di discussione clinica tra colleghi che va avanti da
anni. Credo sia giusto, per lo stesso oggetto dello studio – la funzione
valutativa, integrativa ed elaborativa del sogno come emozione complessa nata dal dolore delle perdite1 – chiarire la scena in cui è nato
questo scritto, i dettagli concreti, e non, che ne hanno determinato la
necessità e la forma. Viaggiando tra un Autore e l’altro, tra una memoria e l’altra, tra una fantasia e l’altra, ho cercato di studiare il sogno
attraverso il materiale clinico di molti colleghi, me stesso compreso. Ho
cercato di ripercorrere le orme di Freud non certo per emulazione o
delirio di onnipotenza, quanto perché qualche volta nella vita si deve
giocare, si deve poter fare del gioco la terra su cui facciamo germogliare le teorie, le riflessioni. Mi si perdoni se ho cucito liberamente
sogni diversi: l’intento è restituire l’atmosfera interna alla mente
dell’analista in seduta, quando dall’insaturo e incomprensibile del vissuto emerge un pensiero, su cui ulteriormente lavoriamo. Ho usato parole e concetti condensati non per partito preso, ma perché queste sono
le parole dei sogni, e a mio avviso rimangono le più efficaci nel ridestare emozioni: «Le ideologie, a volte, ci separano. I sogni e le angosce
1
«La rappresentazione in opera nei sogni scongiura, domina e così allontana una
minaccia. La minaccia da scongiurare è la morte, la perdita di sé o dell’oggetto
d’amore» (Petrella).
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Comprendre 20, 2010-1
L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
ci uniscono» (E. Ionesco). Ancora, seguendo la suggestione di Lorenzo
Calvi2, ho evitato una stesura troppo schematica dell’articolo, preferendo una versione nella quale le emozioni e i pensieri ricorrono e si
confondono: «Collocandosi fuori del senso comune, l’atmosfera
dell’incontro è assai più quella della notte che quella del giorno […]»
(Calvi, p. 56). Immagino che un’atmosfera onirica potrà rendere meno
agevole la lettura ma forse favorirà l’immaginazione e la libertà
associativa. Infine, “ho messo in nota” la biologia del cervello, perché
penso sia utile non dimenticare le radici dell’albero su cui descriviamo
le nostre psicopatologie.
I. L’ALTRA NOTTE HO FATTO UN SOGNO…
Sono sull’autostrada per Roma. A un certo punto la Citröen che mi
precede si schianta inesplicabilmente sul garde-rail. Freno immediatamente, esco. La donna che era al volante è stata sbalzata fuori
dall’abitacolo. Mi avvicino a lei. È distesa di fianco, il volto coperto
da un maglione viola scuro. È immobile. Le scopro il viso, la
guardo. Ha gli occhi mezzi aperti, mi guarda e non mi guarda.
Rantola. È paralizzata. Le prendo il polso, batte ancora. Mi alzo.
Chiamo subito i soccorsi. Mi chino di nuovo sopra di lei. Sono terrorizzato, dovrei farle un massaggio cardiaco. Sono terrorizzato ma
non me ne accorgo. Sono angosciato eppure sento di essere soltanto
preoccupato. Sono legato al suo viso eppure me ne allontano.
Dopo trenta secondi, questa donna smette di vivere. Non respira
più. Il corpo, il viso, gli occhi, sono gli stessi di un secondo prima,
ma qualcosa è cambiato. Mi dico che in fondo trenta secondi non
sono molti; che non deve aver sofferto molto. Ho appena guardato il
suo corpo: ha il cranio sfondato, un seno lacerato, la gola tagliata
dal vetro.
Salgo in macchina. È notte, mi accompagna una musica di sfondo, sulla
quale posso pensare liberamente. È un viaggio di ritorno, il mio, per cui
mi viene di partire da una risposta. Da una risposta sognata: il sogno è
la stessa mente che lavora di notte, è un’emozione3 complessa generata,
2
«Tra chi sostiene che il senso comune è il luogo della certezza rassicurante e chi
sostiene essere quello dell’ipotesi, tienti sempre dalla parte del relativismo e non
da quella dell’autoritarismo colpevolizzante […]» (Calvi, p. 56).
3
Come vedremo più avanti, Mark Solms definisce l’emozione come «l’esperienza
psichica del nostro stato interno, […] una specie di sesto senso, […] rivolto verso
l’interno col quale monitoriamo lo stato corrente del proprio Sé corporeo». Nel
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dall’angoscia della perdita, attraverso la quale la mente condensa diversi livelli funzionali: un livello valutativo, attraverso il quale assegniamo un valore alle esperienze vissute durante la veglia; un processo
integrativo, attraverso il quale stabilizziamo selettivamente le rappresentazioni più consolidate e integriamo nella nostra memoria inconscia
le esperienze che si sono rivelate più utili per il nostro equilibrio; e un
livello elaborativo, attraverso il quale la mente produce degli elementi
nucleari di base, i simboli linguistici e iconici, su cui la coscienza organizza le proprie narrazioni.
Più che generiche conseguenze sulla nostra omeostasi4 corporea e
psichica, a determinare la necessità del lavoro del sogno potrebbero essere proprio l’emozione e la pulsione associate alla rappresentazione di
una perdita, reale o immaginaria. Come diremo meglio più avanti, la
neotenia lega indissolubilmente la nostra sopravvivenza alle emozioni e
azioni altrui, per cui la perdita degli oggetti da cui dipendiamo è il problema che l’evoluzione ha dovuto affrontare. Se da un lato la tramatura
rappresentazionale dell’inconscio ha garantito una buona flessibilità di
strategie di fronte alle crisi provocate dalle perdite, dall’altro ha anche
comportato il prezzo di patire per l’angoscia di una perdita anche
quando questa perdita in realtà… non stia avvenendo!
Noi sogniamo con la stessa necessità con cui pensiamo, ci difendiamo, ci ammaliamo, ci innamoriamo. Il sogno è uno dei modi con cui
la mente lavora integrando esperienze vecchie e nuove, e attraverso il
quale produce nuovi significati e nuovi simboli.
La mente è un sistema funzionale che organizza, archivia e richiama
rappresentazioni5. Ogni emozione, ogni ricordo, ogni pensiero, ogni gesuo libro Il cervello e il mondo interno, Solms ha dedicato un intero capitolo a discutere l’evidenza di un’ampia sovrapposizione anatomo-funzionale tra sogno ed
emozione: un disegno a p. 229 mostra una coincidenza quasi geometrica, fondata
su studi di neuroimaging funzionale, tra cervello sognante e cervello emozionale.
Approfondiremo più avanti il significato di “emozione”.
4
François Ansermet e Pierre Magistretti rimarcano come l’“omeostasi” e il “piacere” non siano la stessa cosa: «La perturbazione dell’omeostasi provoca uno stato
di dispiacere, che viene risolto dalla scarica della pulsione. Questa scarica, che
giunge a neutralizzare lo stato di dispiacere, può infatti essere vista come un meccanismo di raggiungimento di piacere. Così il freudiano “principio di piacere”, che
mira alla riduzione di uno stato di dispiacere, è innanzitutto un principio di nondispiacere».
5
Le rappresentazioni sono circuiti di neuroni, organizzati tra di loro in modo da
scambiarsi energia e informazioni.
Una caratteristica funzionale dei circuiti rappresentazionali è che gli impulsi
nervosi che circolano e si riverberano al loro interno codificano semplici unità informative (per es. il colore di un oggetto, o la forma, o il movimento), le quali, as-
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L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
sto è il prodotto dell’integrazione di molteplici rappresentazioni interne,
ciascuna scaturita dalla trascrizione psichica, memorizzazione e rievocazione di esperienze interne (sensazioni ed emozioni, che ci informano
sull’equilibrio e l’integrità del nostro corpo) ed esterne, legate alle relazioni con i nostri familiari, amici, colleghi. L’influenza che il nostro
mondo inconscio esercita nella costruzione o ricostruzione delle rappresentazioni, fa sì che la “copia” intrapsichica dell’oggetto non sia mai
identica all’originale, e questo scarto in-pone la nascita di quel livello
soggettivo del Sé che è la mente, e che sostanzialmente è inconscia6. La
mente dunque non è il contrario del corpo, così come la coscienza non è
sociate funzionalmente e strutturalmente ad altri circuiti/informazioni, compongono rappresentazioni più complesse, fino ad arrivare a quelle più astratte, come
per esempio quella di “concetto” o di “narrazione”.
Una caratteristica strutturale dei circuiti è il fenomeno dei rientri, connessioni a
doppio senso tra neuroni e mappe di neuroni distanti, grazie alle quali le informazioni vengono continuamente lavorate e rielaborate.
La natura olistica della percezione esterna e interna, e la struttura rappresentazionale delle inscrizioni mnemoniche, costituiscono i presupposti biologici
dell’inconscio dinamico, il quale, proprio per la natura circuitale distribuita, presenta inevitabilmente un grado intrinseco di dis-associazione, di scissione interna.
Questa non omogenea integrazione interna è ciò che rende conto dell’infinita
complessità della mente umana (che per la maggior parte è inconscia): un sistema
in cui tutti i suoi circuiti, di ogni area, fossero perfettamente integrati, si comporterebbe come un unico semplice ganglio cefalico.
6
Jean Laplanche, nei suoi diversi scritti sulla “seduzione generalizzata” dalla fine
degli anni Sessanta a oggi (tra cui ricordo il bell’articolo: Tre accezioni del termine “inconscio” nella cornice della Teoria della Seduzione Generalizzata), ha
ripreso più volte il concetto della formazione di un rimosso “dinamico” e di un
rimosso “intercluso”. Secondo Laplanche l’universale ambiguità dei messaggi
materni (ambiguità, o contraddittorietà, generata dallo stesso mondo fantasmatico
della madre e che fa sì che il detto o il gesto materno esplicito possa essere accompagnato da un sotteso emotivamente incongruo) rende impossibile per il bambino tradurre chiaramente ed univocamente una sensazione, un’emozione,
un’intenzione o un gesto della madre, e questa difficoltà d’interpretazione si traduce, da un lato, nell’organizzazione intrapsichica di un mondo di rappresentazioni alterate della cosa, da un altro, nella creazione di un’area di inconscio intercluso, nel quale rimangono – poco integrate col restante psichismo – le “rappresentazioni di cosa” più traumatiche e intraducibili. Riprendendo questa argomentazione di Laplanche, in un mio scritto (2006) ho usato la metafora del pantografo,
con il quale la mano inconscia della madre copia il corpo (il primo oggetto) del
bambino sulla sua stessa tela psichica, ma l’interferenza conflittuale del suo
mondo fantasmatico, l’incostanza di variabili ambientali e la stessa plasticità di
risposta del bambino, fanno sì che l’oggetto interno emerga come una copia non
conforme all’originale.
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il contrario dell’inconscio: essa coincide sostanzialmente con il livello
rappresentazionale dello psichismo, livello intrinsecamente scisso7.
Un soggetto dipendente, neotenico, deve provvedere innanzitutto a
evitare il dolore delle perdite. Ma questo, archiviata per sempre la possibilità di un accoppiamento continuo o di un’incorporazione continua,
è possibile soltanto costruendo una mente sostanzialmente inconscia.
Se potessimo vivere affrontando i traumi col solo bagaglio dei nostri
meccanismi istintuali riflessi; se bastasse il nostro solo corpo per essere
in armonia con gli altri, non avremmo la mente8.
E il sogno?
Il sogno è un processo funzionale della mente. È innanzitutto
un’emozione complessa. La sua funzione valutativa delle esperienze –
funzione tipica dell’emozione/pulsione9, senza la quale nessun processo
7
Associando liberamente, ricordo il “Soggetto/barrato”, ovvero attraversato da un
discorso irriducibilmente altro, di Jacques Lacan, e – in altro campo di indagine –
Wilma Bucci, quando parla di una dissociazione fisiologica della mente.
Vorrei segnalare che Amedeo Falci, nel suo articolo Der Geist in the machine,
affronta la complessa questione della non esatta corrispondenza dei termini “dissociazione” e “scissione”, usati il primo in ambito cognitivista e il secondo in ambito psicoanalitico. “Scissione” rimanderebbe, secondo Falci, a una difesa attiva
attraverso la quale una rappresentazione viene sospinta e tenuta scissa, incistata,
isolata, rispetto al resto del mondo rappresentazionale dell’Io, mentre la dissociazione è uno stato di non integrazione verticale del Sé, non necessariamente difensivo, e che permette l’organizzarsi di tratti e capacità multiple del Sé, ciascuna
operante a suo modo e nessuna in reale conflitto con la coscienza. Credo vada
sempre apprezzato con stupore come la grandezza scientifica di Freud consista
proprio nell’aver creato un vocabolario concettuale insaturo, indeterminato, incompleto, incerto, che informa sia lo statuto stesso della Psicoanalisi come scienza
aperta che le caratteristiche di ogni definizione di inconscio, e che è anche la
conditio necessaria affinché due uomini si parlino in una stanza…
8
Donald Winnicott è stato uno dei più creativi analisti del ’900. Nel suo lavoro
L’intelletto ed il suo rapporto con lo psyche-soma Winnicott dice che, in presenza
di un accudimento da parte di una madre sufficientemente buona, esiste il soma ed
esisterà una psiche che acquisisce la funzione di elaborazione immaginativa delle
parti somatiche, dei sentimenti e delle funzioni; ma in presenza di un adattamento
ambientale insufficiente il bambino svilupperà una mente che si assume il compito
di assistenza allo psiche-soma che non viene svolto sufficientemente
dall’ambiente, cosa che in seguito avrebbe chiamato il “falso Sé”. Questa mente,
nella misura in cui supplisce alla mancanza di una funzione integrativa della madre, scinde il soma dalla psiche, conformandosi così, esperienza dopo esperienza,
come un livello di funzionamento scisso sia dal corpo che dalla vita emozionale.
Al di qua della riflessione, di pancia – come dicono i pazienti –, condivido profondamente la posizione winnicottiana.
9
Sigmund Freud (1915a) descrive la pulsione come «un concetto limite tra il
somatico e lo psichico, come il rappresentante psichico degli stimoli che traggono
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L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
psichico potrebbe risultare adattivo (come potrei selezionare due rappresentazioni se non in base al loro valore rispetto al mantenimento o al
ripristino dell’omeostasi del corpo e della mente?) – si intreccia alla sua
funzione integrativa10 – che opera quotidianamente riducendo il grado
di dis-associazione rappresentazionale, stabilizzando quelle esperienze
che risultano più integrabili rispetto all’insieme del proprio mondo, e
lasciando involvere quelle che invece risultano più difformi
dall’insieme del Sé –, e a una funzione elaborativa, grazie alla quale il
lavoro del sogno11 produce emozioni, simboli linguistici, immagini.
origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche, come una misura delle
operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione
con quella corporea», e la definisce in funzione della fonte, della spinta, della meta
e dell’oggetto. L’oggetto della pulsione (che Freud definisce: «ciò in relazione al
quale, o mediante il quale, la pulsione può raggiungere la sua meta») è certamente
l’elemento più variabile della pulsione, potendo essere di varia natura, interno o
esterno, reale o immaginario, proprio o altrui. La fonte è «il processo somatico che
si svolge in un organo o parte del corpo, il cui stimolo è rappresentato nella vita
psichica dalla pulsione», dunque un processo fisiologico del corpo, i cui effetti ci
vengono segnalati psichicamente attraverso le mete pulsionali. La meta di una pulsione è sempre il soddisfacimento, che può essere raggiunto sopprimendo lo stimolo che ne costituisce la fonte. La spinta della pulsione, infine, per Freud, costituisce l’elemento motorio della pulsione, elemento innescato dalla stessa meta
pulsionale.
Come già accennato al termine della nota 3, nella definizione di emozione da
parte di neuroscenziati quali LeDoux, Damasio, Panksepp, Denton et al., è evidente il grado di analogia o di coincidenza concettuale con la pulsione freudiana:
anche l’“emozione” è una sensazione impellente, geneticamente determinata
(“hard-wired”), relativa a un progressivo squilibrio di organi o apparati del corpo
(fonte); anche l’emozione innesca un processo (spinta) neurovegetativo e motorio
che ha come fine (meta) quello di estinguere lo stimolo interno o esterno che ha
determinato lo squilibrio fisiopatologico (fonte) e riportare il corpo in omeostasi.
Anche per l’emozione, infine, l’oggetto è la variabile meno determinata geneticamente, potendo essere un oggetto concreto o simbolico.
10
Su questa funzione vedi: J.L. Fosshage; R. Greenberg e C. Pearlman; D. Siegel.
11
Nella Traumdeutung, Freud definisce il “lavoro del sogno” come il processo di
trasformazione del contenuto latente in contenuto manifesto, fondato sui tre meccanismi della condensazione, dello spostamento e della rappresentatività. Il lavoro
del sogno opera secondo gli attributi funzionali del processo primario, e il suo
scopo è quello di permettere la prosecuzione indisturbata del sonno (legando gli
eccitamenti energetici a rappresentazioni preconsce), realizzando un compromesso
tra la necessità di appagare un desiderio inconscio e la realizzazione cosciente di
tale desiderio, che sarebbe censurata dall’Io e causerebbe conflitti: la soluzione
permessa dal lavoro onirico passerebbe dunque per un mascheramento di significato, attraverso un gioco delle carte in cui una rappresentazione impresentabile
all’Io viene rimossa, il suo affetto viene legato a un’altra rappresentazione meno
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Arricchendo l’inconscio e promuovendo integrazione, il sogno inscrive parole nuove e nuove frasi sulla pagina dello psichismo, facendo
emergere un testo del vissuto di sé più armonico, più coeso, più definito, sebbene non necessariamente cosciente.
Il sogno lavora ripulendo quotidianamente12 la mente da quelle
rappresentazioni dell’esperienza risultate meno efficaci nell’evitare
l’angoscia.
censurata e questa viene proiettata sullo schermo della visione, non potendo essere
agìta a causa della paralisi motoria del sonno.
12
Nella discussione sulla generazione del sonno, bisogna distinguere le strutture e
i processi che attivano il sonno REM da quelle correlate all’attivazione dei sogni.
M. Solms sostiene che nell’attivazione del sonno REM si registra un’attivazione
del tegmento pontino, del talamo sinistro, di entrambe le amigdale, del cingolo
anteriore e dell’opercolo parietale destro, accanto all’attivazione delle strutture
profonde del tronco cerebrale (quelle del sistema ERTAS, deputate all’attivazione
del sonno REM, e che agiscono come un orologio biologico) e le loro proiezioni
neuronali diffuse alle cortecce; mentre le strutture anatomofunzionali correlate alla
genesi dei sogni sono almeno due: la sostanza bianca frontale, ovvero il fascio dopaminergico mesolimbico-corticale, e le strutture dell’intero sistema limbico, incluse le componenti limbiche dei lobi temporo-parieto-occipitali.
Solms sottolinea come la giunzione parieto-temporo-occipitale sia coinvolta
nella generazione dell’immagine visiva spaziale, costituendo lo schermo su cui
viene proiettato il film onirico. A sua volta, il fascio mesocorticale-mesolimbico,
costituito da neuroni dopaminergici originati nell’area tegmentale ventrale, agisce
principalmente sulle strutture corticali e su quelle limbiche delle superfici mediali
del proencefalo. I suoi bersagli sono l’ipotalamo, il nucleo accumbens, il giro anteriore del cingolo e la amigdala, oltreché i lobi frontali in tutta la loro estensione.
Questo fascio dopaminergico è responsabile della generazione dei sintomi psicotici produttivi – deliri e allucinazioni – e la sua inibizione o attivazione attraverso
l’uso di neurolettici produce inibizione o recrudescenza sia delle allucinazioni psicotiche che di quelle oniriche, a testimonianza del fatto che il trait-d’union tra allucinazioni oniriche e psicotiche è il comune denominatore anatomofunzionale
dopaminergico.
Ma la cosa più importante sta nel fatto che con questo stesso fascio
dopaminergico coincide l’attivazione del “sistema di ricerca”, un “sistema
emotivo di base” che, se stimolato, attiva nell’animale e nell’uomo la ricerca
aspecifica di un oggetto “in cui o attraverso cui” scaricare la tensione pulsionale.
Pertanto il fascio mesolimbico-corticale costituisce il comune denominatore delle
allucinazioni visuospaziali del sogno, di quelle audioverbali delle psicosi e della
pulsione di ricerca (seeking), che appare il vero motore del sogno. «Se un residuo
diurno, o un ricordo, o una sensazione attivano l’interesse del sistema di ricerca,
allora si creerà la condizione sufficiente per cominciare il processo del sogno. […]
Quando si dorme non si può andare in giro a esplorare il mondo o a cercare ciò
che suscita il nostro interesse da un punto di vista motivazionale. Sembra allora
ragionevole ipotizzare che il sogno interviene per sostituire un’azione finalizzata;
invece di fare qualcosa nel mondo reale si comincia a sognare». Normalmente, i
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L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
Come nella bellissima poesia di Mario Luzi:
La notte lava la mente.
Poco dopo si è qui come sai bene,
fila d’anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.
Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.
Facciamo ripassare il filo del discorso.
II. IL SOGNO È UN’EMOZIONE COMPLESSA, CHE SVOLGE
UNA FUNZIONE VALUTATIVA
Un’emozione, secondo M. Solms, è una sensazione «diretta verso
l’interno che fornisce informazioni sullo stato corrente del proprio Sé
corporeo, stato che viene confrontato a quello del mondo oggettuale»13.
Insomma: le emozioni sono le rappresentazioni psichiche delle sensazioni originate dal corpo, i vissuti e le rappresentazioni coscienti di
queste sensazioni. L’emozione così definita presenta gli stessi caratteri
della “pulsione” descritta da Freud nel 1915 (cfr. nota 9). Ma il sogno è
dunque un’emozione complessa, che raccoglie simultaneamente inforlobi frontali sono la centrale operativa della coscienza della veglia, ma durante il
sonno sono ipoattivati e inibiti. Questo comporta che la scena d’azione si sposti
sulla corteccia parieto-temporo-occipitale; comporta che il sistema motorio è
inibito; comporta che l’inibizione del ruolo inibitorio dei lobi frontali sulle
rappresentazioni inconsce non possa più esercitarsi: l’energia può agganciare
qualunque rappresentazione, e il montaggio delle scene, dei singoli fotogrammi
rappresentativi, apparirà alterato rispetto alla veglia, proprio per l’inibizione del
centro di coordinazione e montaggio della corteccia prefrontale bilaterale. Il film
apparirà bizzarro.
13
«Il senso delle emozioni viene organizzato in modo molto diverso da quello
delle modalità sensoriali dirette verso l’esterno, perché le informazioni specifiche
sul nostro stato somatico pervengono alle strutture diencefaliche attraverso i canali
nervosi classici ma anche attraverso meccanismi meno sofisticati di trasporto chimico della corrente ematica e cerebrospinale. D’altro canto, le strutture diencefaliche di monitoraggio trasmettono le loro informazioni in uscita a tutto il proencefalo, esercitando così un’azione di massa su tutti i canali di elaborazione delle informazioni della coscienza» (Solms).
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mazioni provenienti da sistemi diversi: il corpo e la sua trascrizione
psichica, il corpo e la mente, il presente, il ricordo, l’inconscio e la coscienza, la mente del paziente e quella dell’analista.
La presenza, nella struttura del cervello, di un checkpoint affiancato
a una mappa completa del Sé corporeo14, permette al sogno di attribuire
un valore (più o meno buono/cattivo; più o meno piacevole/dispiacevole) alle esperienze vissute e “messe in latenza” durante
il giorno. Più estesamente, durante il sogno diverse emozioni “primordiali” o “secondarie”15, relative a diversi stati del corpo16, vengono
14
Tra le strutture cerebrali che generano le emozioni, le più importanti sono
probabilmente i nuclei della base (in particolare l’accumbens) e il giro periacqueduttale, un’area grigia situata nel tronco che è costituita da colonne verticali di
neuroni. Tali colonne sono divise in due categorie, quelle che generano una sensazione di piacere, e quelle che generano sensazioni di dispiacere. È importante ricordare che queste strutture profonde del tronco sono attigue a un’altra porzione
del tetto del tronco sul quale vengono disegnate, esperienza dopo esperienza, le
mappe dell’interno e della superficie muscolo-tendineo-epidermica del corpo.
Questa contiguità spiega come i meccanismi di base che generano le emozioni siano
inevitabilmente associati all’attivazione di reazioni neurovegetative e motorie.
15
Per Derek Denton sono “primarie” la fame, la sete, il bisogno d’aria, il bisogno
di urinare, di defecare, l’eccitazione preorgasmica, ecc.; sono “secondarie” la
paura, l’amore, la rabbia, la collera, la gioia, la tristezza, il disgusto, eccetera.
Jaak Panksepp invece descrive diversi “sistemi” emotivi: il sistema della ricerca
(Seeking), o della curiosità, dell’interesse, dell’aspettativa, dell’anticipazione,
fornisce un’attivazione che stimola a esplorare il nostro mondo interno o esterno: è
quello attivo nel sogno; il sistema del piacere produce una gratificazione degli
appetiti che attivano il sistema di ricerca: è il sistema implicato, quando
disregolato, nella dipendenza dalle droghe; il sistema della rabbia, è attivato da
stati di frustrazione, quando vengono ostacolate le funzioni finalizzate a una meta
importante; il sistema della paura, genera risposte di fuga o di paralisi; il sistema
del panico (o angoscia da separazione), è associato non solo con l’ansia da panico
ma con sentimenti di separazione e sconforto. Altri autori aggiungono a quelle
citate altre emozioni di base.
16
Oppure “marker somatici”, come li chiama A.R. Damasio: essi rappresentano un
valore (innanzitutto, buono/cattivo) associato ad una percezione esterna o ad una
rappresentazione interna. Questo valore, derivato dal confronto con analoghe
esperienze messe in memoria, ha il vantaggio di produrre risposte adattative a uno
stimolo ambientale ancora prima o senza che intervenga una valutazione cosciente
e complessiva della situazione. «La valutazione della situazione in cui ci troviamo,
le aspettative di rinforzo o di incentivi negativi, dipendono dal fatto che i gangli
della base, e in particolare il nucleo accumbens, attaccano a un’esperienza una serie di cartellini (post it) motivazionali che poi vengono valutati dalla corteccia prefrontale. Sono queste associazioni a definire una situazione in termini positivi o
negativi: una volta qualificate le esperienze, la memoria ne tiene conto e determina le aspettative di una persona. Se il processo di etichettatura è di tipo negativo
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L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
associate funzionalmente a rappresentazioni percettive, linguistiche e
motorie, e in quanto associate costituiscono dei post-it con
l’indicazione di un valore, appuntati sul petto delle rappresentazioni, sì
da determinarne la priorità d’accesso alla coscienza: quelle più importanti per la conservazione del Sé passano per prime, restano più tempo
alla coscienza e vengono memorizzate più stabilmente. In tal modo, lo
stato di sonno o di veglia determina il tipo di coscienza possibile del Sé
(una coscienza più distribuita e seriale nel caso della veglia, meno distribuita o più parallela nel caso del sonno), e questa determina sia il
tipo di simboli17 che verranno selezionati per il film della coscienza di
veglia o di sonno, sia il modo in cui i simboli vengono assemblati (il
modo in cui vengono organizzate le narrazioni), la cui emergenza alla
coscienza, comunque, resta determinata in base al valore per il mantenimento dell’omeostasi corporea.
III. LE DIVERSE FORME DELLA COSCIENZA NEL SOGNO
E NELLA VEGLIA
Nel corso degli ultimi trent’anni, la coscienza è stata al centro di
un’esplosione di studi.
È come se, dopo la sistematizzazione dell’inconscio e della mente
permessa dalla metapsicologia freudiana, e in assenza di altro corpus
teorico-clinico altrettanto sistematico, lo studio della coscienza fosse
diventato il solo ambito di ricerca possibile al di fuori del lavoro con i
pazienti. Quale che sia la definizione che se ne adotti, è necessario a
mio avviso partire da Freud e dall’evidenza che la coscienza rappresenta una porzione molto limitata della mente. Rispetto alla capacità
che l’inconscio dimostra di processare, interpretare e reagire a centinaia
di migliaia di stimoli al secondo, la coscienza si limita a trattenere e lavorare più o meno sette informazioni in uno stesso momento! Dunque,
sostanzialmente la mente è inconscia.
Quando si comincia a discutere della coscienza bisogna distinguere,
innanzitutto, uno “stato” della coscienza dai “contenuti” della co-
si verifica una disincentivazione del piano d’azione, se è al rialzo l’attesa positiva
spinge all’azione» (Oliverio).
17
Non tutte le rappresentazioni sono accessibili alla coscienza del sogno notturno,
e quelle associate a emozioni primarie intense – la fame, la sete, il bisogno d’aria,
il bisogno di urinare, di defecare – sono incompatibili con lo stato di sonno, e
pertanto non “entrano” nel film del sogno del sonno o lo interrompono (Denton).
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scienza. Un differente stato della mente18 è alla base della diversa forma
che la coscienza assume nel sogno o nella veglia.
Lo stato di coscienza rappresenta il livello della vigilanza e
dell’attenzione della mente: come dicono Newman e Baars, la coscienza come stato della mente è lo stato globale dell’essere attento,
consapevole e vigile. Le zone critiche nella generazione e conservazione dello stato di coscienza sono quelle del tronco e del talamo19.
Ora, queste strutture sottocorticali sono le stesse che regolano i nostri
stati viscerali: la temperatura, il glucosio, la volemia, la concentrazione
di CO2, cioè: l’omeostasi del corpo, tanto che Antonio Damasio ha sostenuto che se le cose di cui siamo coscienti sono il risultato delle funzioni sensoriali che sorvegliano l’ambiente esterno, gli stati della nostra
coscienza dipendono invece dalle strutture del tronco e ci informano
sulle variazioni della nostra situazione interna. Lo stato di fondo della
18
Daniel Siegel ha dato una definizione chiara: «Uno stato della mente è uno stato
funzionale nel quale la mente coordina le attività del momento e crea pattern di
attivazione cerebrale che, ripetendosi, possono diventare via via più probabili (per
es. la vergogna, la disperazione): possono diventare tratti dell’individuo. […] Nel
cervello esistono aree corticali come la corteccia orbito-frontale che è importantissima perché riceve e integra/coordina l’attività di tutta una serie di sistemi distinti:
stati del corpo, valutazione degli stimoli, attenzione focalizzata, percezioni complesse mediate dalle cortecce associative, rappresentazioni astratte, processi della
memoria (attraverso il lobo temporale mediale) e risposte motorie (attraverso i nuclei della base). Quando vengono attivati, questi circuiti processano informazioni
all’interno dei loro modi computazionali specifici. […] Ma che cosa significa in
realtà coordinare un’ampia gamma di attività cerebrali? Significa letteralmente
che le varie funzioni del cervello, da quelle inferiori e più semplici (come la registrazione e regolazione degli stati dell’organismo a livello del Sistema Nervoso
Autonomo) a quelle superiori e più complesse (come le rappresentazioni concettuali del pensiero nelle aree neocorticali) possono essere collegate e temporaneamente associate tra loro in un determinato stato della mente. “Collegati” significa
che i diversi sistemi che mediano tali processi sono sincronicamente attivati e si
influenzano reciprocamente a livello funzionale. Questo è uno stato della mente.
Ne sono esempi, la paura, uno stato di disperazione, uno stato di gioia, di eccitazione, di attesa, di fusionalità, di speranza. Ma anche la veglia e il sonno.
Stati della mente ripetitivi sin dall’infanzia e poco integrati con altri stati della
mente possono fossilizzarsi in modo cristallizzato e divenire degli stati del Sé, dei
Sé specializzati ma scissi da altri propri Sé.
19
L’ERTAS è un insieme di strutture sottocorticali che comprende: alcuni nuclei
talamici, parte dell’ipotalamo, l’area segmentale ventrale, i nuclei parabrachiali, il
grigio periacqueduttale, il nucleo del locus coeruleus, i nuclei del rafe e la formazione reticolare vera e propria del tronco. I neuroni del sistema ERTAS sono
all’origine di quei sistemi neurotrasmettitoriali (dopaminergico, serotoninergico,
noradrenergico, colinergico e istaminergico) che poiettano diffusamente a tutta la
corteccia, e che determinano lo stato globale di attivazione della coscienza.
132
L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
coscienza “ci” rappresenta, “ci” rispecchia, “ci” fornisce la rappresentazione del nostro Sé corporeo: «Questo sono io; io sono questo corpo
e, ora, mi sento così». Diciamo associativamente che lo stato della coscienza è il setting interno, mentre i contenuti della coscienza sono i
singoli pensieri o le diverse emozioni.
Il fatto che le strutture responsabili dello stato di fondo della coscienza coincidano con quelle che generano le emozioni, spiega come
la coscienza sia emotiva, insieme introspettiva («ci avverte del nostro
stato interno») e valutativa. E tuttavia, l’automonitoraggio del corpo
non basta: noi viviamo nel mondo e i nostri bisogni interni possono essere soddisfatti solo nel mondo esterno. La coscienza non può limitarsi
a segnalarci come ci sentiamo; deve anche permettere di farci un’idea
complessa dell’ambiente in cui viviamo, permetterci previsioni e adattamenti efficaci di fronte alle esperienze di relazione. Qualificare le
esperienze ed essere coscienti direttamente degli oggetti esterni (non
più solo degli effetti di questi oggetti sulla nostra omeostasi corporea)
ci permette più velocemente ed efficacemente di riadattarci ai mutamenti dell’ambiente. Questo aspetto funzionale della coscienza estesa
dell’ambiente e di noi stessi (legata alla capacità funzionale dei lobi
prefrontali) viene chiamata “memoria di lavoro”20. Le cose di cui siamo
coscienti sono quelle a cui attualmente sta lavorando la memoria di lavoro. Questa lavagna della mente focalizza l’attenzione sulle cose più
importanti al momento e tralascia le altre. In sintesi, la coscienza è legata alla memoria di lavoro. La funzionalità piena della corteccia prefrontale è indispensabile perché qualcosa ci si renda visibile, cosciente.
Ora, un telo, uno schermo, funzionale alla rappresentazione di contenuti mentali, esiste anche nel sogno del sonno. Anche nel sogno notturno ci si rendono visibili i contenuti della mente; anche durante il sogno sono attivi processi e sistemi di traduzione degli stimoli, e anche
nel sogno le rappresentazioni percettive, categoriali e linguistiche vengono associate a emozioni, a rappresentazioni di stati somatici.
Nonostante queste analogie, la coscienza che abbiamo nel sogno è
diversa da quella nella veglia. Ciò dipende dal fatto che durante il
sonno REM si ha un’alterazione o inibizione funzionale, sia di quelle
strutture che regolano lo stato basale della coscienza, sia di quelle che
regolano le emozioni, e questa alterazione fa che:
• la soglia percettiva per l’accesso alla coscienza della veglia si
elevi, dimodoché soltanto sensazioni intense provocano il risveglio.
20
Per una più ampia definizione della memoria di lavoro si veda J. LeDoux (pp.
243-247).
133
V. Lamartora
Questo innalzamento potrebbe spiegare come mai le rappresentazioni oniriche – visive, uditive e somatosensoriali – si associano soprattutto a emozioni quali la paura, l’eccitazione orgasmica, la rabbia,
la gelosia, l’invidia, l’amore, la nostalgia (Denton): è raro che in una
scena onirica il/i personaggio/i del film abbia/ano la sensazione
pressante di aver bisogno di urinare, di defecare, di aver sete o fame o
bisogno d’aria, e fino a quando tali emozioni “primordiali” sono o
diventano pressanti è impossibile entrare o restare in stato di sonno;
• l’usuale “processo secondario” della veglia è alterato: è alterata la
capacità della mente di integrare diversi tipi di rappresentazioni (sensoriali, percettive, mnemoniche, motorie, linguistiche) e portarli alla coscienza in modo intellegibile e sequenziato. Ciò spiega la confusa distribuzione spaziale della scena del sogno, la confusione dei personaggi, dei piani temporali, l’alterazione dei nessi logici, la mancanza di
freni inibitori: in poche parole la dominanza del processo primario su
quello secondario;
• lo schermo della coscienza del sogno è orientato all’interno della
propria mente, visibile soltanto dall’interno di sé. Purtroppo (o per fortuna!) solo ciò che diventa cosciente a noi stessi può essere vissuto
come la mia vita/la mia mente/Io/me/mio, e può essere differenziato
dagli altri: ciò che non accede alla coscienza, ciò che procede in modo
inconscio, pur costituendo la maggior parte della nostra vita e delle nostre analisi (in quanto pazienti e analisti), non può essere autonomamente, ulteriormente e secondariamente lavorato da noi stessi. Uno
schermo rivolto soltanto al nostro interno è uno schermo che produce di
continuo informazioni sulle quali, però, non possiamo lavorare fino a
quando non possano essere viste, registrate, rievocate e raccontate coscientemente: è solo allora che lo schermo viene voltato anche
dall’altra parte, e il suo testo viene visto anche dall’esterno, potendo
essere tradotto, interpretato, integrato e utilizzato.
La forma della coscienza del sogno notturno rende impossibile rirappresentare i singoli nuclei di coscienza onirici. La capacità
autoriflessiva, che ci permette di ri-pensare i pensieri, le emozioni, le
azioni (riorganizzandole sul filo del senso, del tempo, finalizzandole al
raggiungimento di un maggiore equilibrio) e di lavorare dall’esterno e
in un secondo tempo per trasformare le rappresentazioni inconsce di noi
stessi, questo attributo della coscienza, questa tastiera, è esterna al sogno. Il ricordo cosciente, e ancor più il racconto del sogno, rappresentano questa tastiera della coscienza, un presupposto per passare dal sogno come processo integrativo inconscio alla memoria del sogno e al
racconto cosciente del sogno, sulla cui pagina finalmente pubblicata
134
L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
possiamo lavorare après-coup e costruire non la vita, ma la storia, come
dice Ludwig Binswanger (2005, p. 90)21.
IV. IL SOGNO È UNA FUNZIONE INTEGRATIVA DELLO PSICHISMO
Integrare22 significa connettere diversi vissuti e diverse rappresentazioni parziali scisse, in modo da (ri)costruire oggetti più interi e
sfaccettati.
Nel lavoro del sogno, la rielaborazione rappresentazionale è rielaborazione della memoria di sé, in un processo elicoidale in cui la riattivazione di rappresentazioni psichiche richiama l’attivazione degli stati
somatici corrispondenti, e questa riattivazione emotiva ingenera nuovi
ricordi, nuove reazioni vissute e nuova angoscia; il lavoro integrativo
del sogno opera su questi rinnovati stati somatici, in modo da stabilizzare le rappresentazioni mnemoniche che li hanno ridestati e distribuirne il quantum affettivo (l’angoscia); attraverso la memoria, il sogno
rielabora la storia di sé, e questa memoria attualizzata, a sua volta,
cambia il nostro modo di percepire il mondo, di organizzare nuove rappresentazioni, di provare nuove emozioni, di pensare e agire. Dunque:
il sogno della memoria e la memoria del sogno sono le due direzioni di
un processo integrativo elicoidale, che passa continuamente attraverso
equinozi di amore, di eccitazione orgastica, di malattia, di compulsione,
di violenza.
21
«Fintanto che sogna, l’uomo “è – per riprendere una mia vecchia distinzione –
funzione di vita”, quando è desto egli fa “storia della vita”. E precisamente egli fa
la storia interiore della sua propria vita, che non va confusa con la storia esterna, con
la storia del mondo, perché la sua partecipazione o la sua astensione da
quest’ultima non dipende soltanto da lui».
22
La capacità del sistema cerebromentale di integrare si esplica in modo orizzontale – quando associamo sincronicamente e ripetutamente rappresentazioni (insiemi neuronali) di pari significato (per esempio quando integriamo diverse rappresentazioni percettive in modo da costruire un oggetto o una categoria più generale) oppure quando associamo rappresentazioni analoghe tra aree corrispondenti
dei due emisferi cerebrali – e verticale – quando integriamo aree e processi sottocorticali e corticali, com’è nel caso dell’integrazione cosciente delle emozioni,
cioè nel caso dell’integrazione delle informazioni processate dai sistemi enterocettivi con quelle processate dai sistemi percettivi, categoriali o linguistici. Accanto a questa capacità integrativa orizzontale e verticale, la mente ha acquisito
evolutivamente una capacità di integrazione spaziale e temporale delle rappresentazioni (Siegel).
135
V. Lamartora
Ricordare qualcosa di intensamente vissuto suscita nostalgia, ed è questo sentimento, questo desiderio rinnovato di un oggetto perduto che, a
mio avviso, muove il sogno.
Se gli attributi organizzativi del sogno sono quelli del processo primario, e l’attivazione biologica del sogno del sonno è dettata dalle
strutture anatomofunzionali del cervello, la spinta, il motore di questa
macro-emozione, di questa macro-pulsione che è il sogno, è il desiderio
proiettato verso il futuro di riavere l’oggetto perduto o ritornare ad
essere-con quell’oggetto. Il sogno è la grande emozione umana,
evolutasi dal buio dei millenni, per fronteggiare l’angoscia generata
dalle perdite affettive e continuare a pensare la speranza.
A un collega del gruppo torna in mente un sogno fatto da un paziente
anni prima.
Ricevo una sua telefonata. Lei mi chiede se può passare da me. Ha
la voce franta, emozionata. Guardo d’istinto l’orologio, le otto di
sera. Sono paralizzato dall’emozione: chi se lo aspettava! Dal fondo
oscuro di questa perdita, per me incolmata, ecco la sua voce che
riappare, a richiamarmi, e io sto lì, attaccato al cellulare, ad
ascoltarla.
«Ma certo, figurati! Vuoi venire da me?»
«Sì, posso passare fra mezz’ora?»
«Va bene, ti aspetto, mangiamo insieme una pizza»
«Sai, ho letto le lettere che mi hai scritto in questi anni in cui non ci
siamo visti e ho pensato che, anziché scriverci, forse possiamo finalmente parlarci, da adulti»
«Va bene, va bene, vieni, ti aspetto».
Un collega, e poi un altro, e un altro ancora, associano liberamente:
Sono rimasto stordito! Confuso. Ho abbassato le palpebre,
lungamente, sovrapensiero. Tutto il tempo del dolore, il lungo
lunghissimo dolore di una fine irreversibile, tutto l’amore vissuto mi
ha attraversato in un brivido. Mi sono sentito scivolare nel mio
corpo, come ubriaco, senza più forze. In quel corpo disteso, il tempo
è dilatato; puoi pensare e rivivere tutto in un solo istante, proprio
tutto. Ho ripercorso gli anni in cui siamo stati insieme, migliaia di
stati d’animo, di sensazioni, di vissuti, di attese, speranze, febbre,
palpitazioni. Alla fine ero prostrato. Sudato. Sono andato a sedermi.
136
L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
Poco a poco uno stato di tensione ed eccitazione ha cominciato ad
assalirmi. Dio mio! Non la vedo da molto, molto tempo! Sono stato
incollato a questo tavolo di lavoro, ho scritto lettere su lettere,
sognando che un giorno l’avrei rivista e lei mi avrebbe detto: «Sì
amore mio, anch’io non ho mai smesso di amarti. Il tempo non è
mai passato, voglio solo tornare da te». E adesso eccola! Tra
mezz’ora sarà qui. Cosa potrò mai dirle? Cosa mi dirà? Sarà venuta per comunicarmi che è finita per sempre, che è l’ultima volta?
Sono teso, ho paura; il mio sudore e il mio odore stanno cambiando.
Devo andare in bagno. Faccio una doccia, mi lavo, mi cambio.
Vado avanti e indietro per la stanza. Adesso mi accorgo del
ticchettio dell’orologio a muro. Per la prima volta. Mi fermo a
guardare la mia immagine riflessa, sul vetro del quadrante. Dietro
di me, le due lancette sono un bisturi immobile, verticale, che mi
separa in due. Aspetto. Senza più muovermi.
Fra un attimo busserà alla porta e ricomparirà.
Fra un attimo.
Entro in un’altra dimensione. Mi risveglio appena, mi riaddormento.
Sono in uno stato di sospensione, dissociazione; lo stato del desiderio,
nell’ora prima dell’amore. Ebbrezza, confusione. Posso entrare e uscire
da me, come attraverso una linea di scivolo. Posso sentire ogni rivolo di
sangue nel più lontano dei miei capillari; posso vedere nella mente la
vibrazione che accompagna i pensieri e le emozioni; posso sentire le
frequenze di noi due.
In questo stato di in-fusione e in-plorazione23, che la coscienza del
sogno permette, ho un’impressione profonda. L’impressione che il sogno e l’amore siano le due grandi emozioni che ci permettono di ricongiungerci con la dimensione più vera di noi stessi, sospendendo la coscienza organizzativa, seriale, della veglia. Se potessimo sognare profondamente e continuamente per un anno, per dieci anni, se potessimo
sostare a lungo in un sogno di fusione (col nostro amore, con noi stessi)
e parlarci come nel dormiveglia, come nell’ebbrezza, come
nell’infanzia, le nostre parole sarebbero di nuovo sensibili, di nuovo:
parolerespiro, parolesaliva, parolecalore, paroleforza, parolebocca,
parolebattiti.
23
Fausto Petrella dice (p. 47): «La struttura portante del sogno è di tipo autoscopico».
137
V. Lamartora
V. IL LAVORO DEL SOGNO HA UNA FUNZIONE ELABORATIVA24
Sto viaggiando di notte, in autostrada. Ho acceso la radio. Una musica
mi accompagna, in sottofondo: è la tromba coinvolgente di Chat Baker.
Ho appena letto un articolo di giornale su Baker, ma non sto pensando
propriamente a lui, sto viaggiando sopra la sua musica, e questo sfondo
sensoriale mi permette di pensare liberamente. Quell’onda emotiva mi
permette di rievocare, attraverso chissà quali associazioni, le belle serate passate anni fa a Napoli, a Santa Lucia, con un amico scomparso, e
la sua nostalgia mi fa rallentare, mi fa cambiare direzione. Lui è stato
speciale, e il suo ricordo mi fa pensare a un padre scomparso, e al sogno. Così, riprendo il filo dal 1891.
Nel saggio Sull’afasia Freud concettualizza per la prima volta la
“presentazione di cosa”, inquadrandola nella più generale costruzione
della psiche. Per Freud, la “presentazione” è la prima sensazione, raccolta e trasportata dalle vie nervose esterne e interne, alla psiche. Pertanto, le “presentazioni” non sono percezioni, non sono ancora delle
rappresentazioni percettive stabilizzate, sono sensazioni, impressioni
sensoriali. Le “presentazioni di cosa” sono impressioni sensoriali conglomerate attorno all’esperienza di qualcosa. Nello stesso scritto Freud
puntualizza che le “presentazioni di cosa” sono un complesso di diverse
sensazioni (visive, acustiche, gustative, tattili, olfattive, cinestesiche)
legate all’esperienza di qualcosa, mentre le “presentazioni di parola”
esprimono il processo di associazione di sensazioni visive, acustiche e
cinestesiche. Che siano associate o meno a elementi acustici, le presentazioni sono comunque un condensato di sensazioni, e il lavoro presentativo è un lavoro inconscio della mente, attivo nella veglia come
nel sonno. In seguito, ne Il progetto di una psicologia, Freud dirà che è
la ripetizione, la ri-presentazione dello stimolo, dell’esperienza, e della
sensazione da essa veicolata, a “facilitare” la memoria, ossia a produrre
24
Organizzare rappresentazioni complesse, trascrivendo e connettendo le unità
elementari delle percezioni provenienti dall’esterno e dall’interno, significa integrare dei complessi rappresentativi in cui sono sempre condensati un significato,
un’emozione, un’azione e (talvolta) un simbolo linguistico. Queste rappresentazioni condensate, questi circuiti complessi, se attivati sincronicamente ai circuiti
della memoria di lavoro, vengono portati alla coscienza del sogno e della veglia.
La funzione elaborativa è dunque il processo che conduce il materiale psichico
fino alla coscienza del sogno e della veglia, al di qua della quale i simboli vengono
prodotti/rimossi inconsciamente. L’eventuale lavoro d’interpretazione, svolto in
un secondo momento sulle rappresentazioni espresse dalla mente, permetterà di
discriminare tra i diversi aspetti/significati dei condensati espressi e di distribuirne
l’affetto veicolato, per esempio, tra paziente e analista. Un approfondimento sulle
modalità di lavoro del sogno e con il sogno è nello studio di Bolognini.
138
L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
quella “facilitazione sinaptica”25 che è alla base della saldatura di circuiti rappresentazionali. E ne L’interpretazione dei sogni Freud definirà
il lavoro onirico come un processo che opera condensando (integrando)
le presentazioni provenienti dall’interno e dall’esterno del corpo e spostando gli investimenti affettivi dalle une alle altre (associando alle diverse presentazioni un valore, una qualificazione buono/cattivo, piacevole/spiacevole), in tal modo trasformando le sensazioni inafferrabili
del corpo in rappresentazioni percettibili dalla coscienza. Per esempio,
stimoli generati dai processi fisiopatologici del corpo possono “entrare”
nella trama del sogno proprio come presentazioni visive di cosa (sogni
di inerzia, di volare, di caduta di denti, ecc.). Il lavoro elaborativo è un
processo inconscio, attraverso il quale la mente processa parallelamente
e impercettibilmente migliaia di stimoli, ingenerando migliaia di sensazioni che tuttavia non diventano automaticamente coscienti. La loro
percezione cosciente – dice Freud – è dovuta agli investimenti pulsionali inconsci che le intensificano, e che si spostano da una presentazione all’altra, condensandole con i dati percettivi della realtà (durante
la veglia) e con i residui diurni e/o mnestici (durante la notte).
Il lavoro elaborativo del sogno è un lavoro presentativo inconscio e
continuo (a differenza del lavoro discontinuo del Conscio), un lavoro
che prosegue nella veglia come “lavoro errante”, come lavoro che a
volte si inceppa (producendo quella psicopatologia della vita quotidiana fatta di dimenticanze, lapsus, strafalcioni, tic, ecc.), rivelando
com’è complesso il passaggio dalla condensazione di presentazioni di
cosa alla costruzione di rappresentazioni simboliche accessibili alla coscienza; un lavoro che tuttavia è efficacemente costruttivo, come
quando ci permette di condensare sensazioni e angoscia, altrimenti
fluttuanti nella mente, intorno a poche universali “presentazioni di fantasia”: separazione, scena primaria, seduzione, castrazione (Tre saggi
sulla teoria sessuale). Va sottolineato dunque che la funzione elaborativa del sogno è il segmento notturno di un lavoro più generale che la
mente svolge giorno e notte. Ed è un lavoro che si esplica su due piani:
dapprima condensando sensazioni effimere in presentazioni (percetti),
poi integrando diversi percetti in rappresentazioni (semplici o complesse) che costituiscono il contenuto autobiografico del Sé, in quanto
registrano in forme accessibili alla coscienza le esperienze di relazione
con gli oggetti interni ed esterni. La funzione elaborativa del sogno è
25
Nel 1949 lo psicologo canadese Donald Hebb ha suggerito che se due neuroni
sono attivati nel medesimo istante, e uno è in posizione presinaptica rispetto
all’altro, la connessione tra loro ne risulterà potenziata: «cellule che scaricano simultaneamente si connettono reciprocamente». Erik Kandel, alcuni decenni dopo,
ha ottenuto il Premio Nobel per gli studi sulla formazione della memoria sinaptica.
139
V. Lamartora
quella funzione specifica che permette di trasformare la tensione diffusa in angoscia primaria, e l’angoscia primaria in angoscia utilizzabile
alla salvaguardia di sé, proprio perché non più legata a presentazioni
inconoscibili ma a rappresentazioni coscienti; la stessa funzione elaborativa permette di organizzare rappresentazioni accessibili alla coscienza, simboli inconsci che l’accesso alla coscienza differenzierà (per
congruità rispetto allo stato mentale di quel momento e al contesto), sequenzierà secondo le dimensioni dello spazio, del tempo e del senso, ed
esprimerà in molte e differenti narrazioni (Ferro) grazie all’ausilio del
linguaggio, ma che di per sé costituiscono, appunto, simboli, condensati, costruiti a partire dalle sensazioni e percezioni presentate alla
psiche e processate dal lavoro errante della mente:
parole/respiro/tensione, parole/saliva/piacere, parole/battito/paura,
battito/spostamento del corpo/panico, fame/stanchezza/azione del
braccio, paura/paralisi del corpo/impoverimento del discorso, eccetera.
Proprio in quanto organizzato su una lingua condensata, il “contenuto latente” del sogno può essere integrato e tradotto: in realtà è integrato inconsciamente e continuamente sia durante la veglia che nel
sonno, ed è continuamente tradotto alla coscienza, nei diversi gradi e
forme di coscienza della veglia e del sonno. Con l’elaborazione delle
rappresentazioni nel sogno cominciano la vita emotiva dell’uomo,
l’angoscia, la percezione della propria separatezza e finitezza, e la possibilità di raccontare. Dopo Freud, Bion ha descritto questa funzione
elaborativa del sogno, nell’ambito di una più ampia analogia tra processo “metabolico” digestivo e funzione alfa, funzione che pro-duce,
alla capacità integrativa della mente gli elementi per pensare e agire in
modo adattativo: è soltanto il diverso stato della mente, la diversa
forma della coscienza nel sogno o nella veglia, che assembla in modi
diversi (processo primario o secondario) l’insieme di simboli continuamente espressi dalla mente, nel sonno e nella veglia, portando tali
sequenze alle rispettive forme possibili di coscienza. Su questo flusso
inconscio di sensazioni, raccolte dall’interno e dall’esterno di noi, il lavoro del sogno assolve alle sue molteplici funzioni servendosi
dell’accesso alla coscienza come ulteriore via di integrazione di sé.
L’accesso a qualche forma di coscienza è evidentemente un vantaggio evolutivo anche nel sogno. Avremmo potuto sognare al buio,
avremmo potuto evolutivamente dissociare del tutto la percezione visiva dal lavoro del sogno; oppure avremmo potuto associare il lavoro
del sogno a una modalità percettiva olfattiva, musicale, viscerale, o a un
tipo di coscienza a più dimensioni, com’è l’inconscio: avremmo potuto.
Ma l’ambiente ha selezionato questo tipo di processo vantaggioso per la
mente che sono il nostro inconscio e la nostra coscienza, che ci per-
140
L’essere del sogno: valutare, integrare, elaborare
mettono di costruire e rappresentare un senso e una storia di noi stessi.
E tuttavia, questa caratteristica della mente (inconscia) e questa capacità del Sé che è la coscienza, se da un lato ci difendono dalle esperienze traumatiche (garantendoci una flessibilità di risposte al trauma e
un secondo, mediato, meccanismo di lavoro sul trauma) dall’altro ci
dissociano internamente, ci rendono sostanzialmente scissi, esponendoci al continuo dolore psichico delle perdite anche al di là dell’esperienza concreta della perdita. Curiosa nemesi dell’Altro, simbolizzato
per non sentirne la mancanza, e che ritorna continuamente a bussare
alla finestra della coscienza! Proprio l’emozione del sogno ci fa rievocare e rivivere in presentia il dolore delle perdite. Proprio il sogno “riporta alla mente” il dolore del corpo che soffre per le separazioni, e ce
lo fa avvertire come “dolore” e nostalgia…
Sono arrivati a casa. Dopo un lungo viaggio associativo durato tre anni
o vent’anni, ritorniamo alla domanda originaria che ci aveva spinti a
viaggiare con la mente: perché soffriamo per amore? Perché la scomparsa di qualcuno che amiamo ci fa disperare? Perché siamo sempre divisi tra sogni, emozioni e memoria? La stessa domanda di sempre:
Che cosa c’è? So anzitutto che ci sono. Ma chi sono? Che cosa
sono? Tutto quello che so di me è che soffro. E se soffro è perché
all’origine di me stesso c’è una mutilazione, una separazione. Io
sono separato. Non so dire da che cosa. Ma sono separato. Se non
lo fossi, non soffrirei ogni notte questa angoscia nella carne, trafitto
dai rantoli del più oscuro rimorso. Non me ne andrei così, con gli
occhi vuoti e il cuore pieno di desideri. Sia chiaro. Tutto ciò che
nell’uomo vale la pena di vivere, tende unicamente verso un fine
ineluttabile e monotono: superare le frontiere personali, squarciare
l’opacità della pelle che ci separa dal mondo. Nell’amore, l’uomo
separato cerca di ricostituire la propria originaria integrità. Cerca
un altro fuori di sé, con cui fondersi, per ricomporre l’androgino
primordiale. Nella contemplazione, egli invoca quella luce d’abisso
che all’improvviso rende straniera ogni immagine familiare, quello
sguardo elettivo che dissipi le brume sordide dell’abitudine e restituisca ad ogni cosa visibile la sua purezza essenziale. Nella preghiera, egli si piega nel suo cuore verso l’altro, al più vero di se
stesso, eppure sconosciuto. Dietro tutto ciò che abitualmente
guarda, l’uomo cerca altro. L’uomo è sempre alterato. Alterato:
colui che ha sete, colui che desidera. Ma anche colui che è amputato
nella propria integrità, che è straniero a se stesso. “Alter” è sempre
l’altro, colui che manca.
(A. Adamov)
141
V. Lamartora
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Vincenzo Lamartora
Via Festaz, 14
I-11100 Aosta
Una prima versione di questo scritto è comparsa sulla rivista PASSAGES, 2009, 1:
10-49
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