26 novembre 2015

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26 novembre 2015
ANICA
26 novembre 2015
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INDICE
ANICA CITAZIONI
26/11/2015 Il Secolo XIX - Genova
"A Bigger Splash "
5
ANICA SCENARIO
26/11/2015 La Repubblica - Nazionale
Peppino 'o malamente
8
26/11/2015 La Repubblica - Torino
Pronti alla "british invasion" In arrivo Davies e Temple
10
26/11/2015 Panorama
Inafferrabile Cate Blanchett
11
26/11/2015 La Stampa - Nazionale
117 ragazze posson bastare per rinascere dopo Bergen-Belsen
13
26/11/2015 La Stampa - Nazionale
Calopresti: vi svelo Panariello drammatico
15
26/11/2015 La Stampa - Nazionale
Se l'atterraggio sulla Luna è un complotto alla Lebowski
16
26/11/2015 La Stampa - Torino
Barbera: "Il mio ritorno al Tff? Non faccio passi indietro"
17
26/11/2015 La Stampa - Torino
"Da Venezia a Torino? Io non faccio passi indietro"
18
26/11/2015 Il Messaggero - Nazionale
Roger Waters diventa regista: «La mia vita in un film»
19
26/11/2015 Il Giornale - Nazionale
Siani: «Teatro, libri e web: vi farò ridere ovunque»
20
26/11/2015 Libero - Nazionale
IL SIGNORE È TRA NOI
21
26/11/2015 Il Fatto Quotidiano
" Uno per tutti " non basta se il passato presenta il conto
22
26/11/2015 Il Manifesto - Nazionale
Hansel e Gretel 2.0 sperduti nella casa degli orrori
24
26/11/2015 Il Manifesto - Nazionale
Morricone per Tarantino
25
26/11/2015 Il Manifesto - Nazionale
«Bella e perduta» smontato, Cinecittà protesta
26
26/11/2015 Il Manifesto - Nazionale
Il film censurato sulla fine del Duce
27
26/11/2015 Il Manifesto - Nazionale
Un dinosauro nel Far West
28
26/11/2015 QN - Il Giorno - Nazionale
Se la pellicola stimola il dibattito: il cineforum non passa di moda
30
26/11/2015 Il Tempo - Nazionale
Per colpa dell'Isis non ci si diverte più
31
26/11/2015 Famiglia Cristiana
Il mio duello a colpi di parole
35
26/11/2015 Il Tirreno - Nazionale
Il primo cinepanettone è "Babbo Natale non viene dal nord"
37
26/11/2015 Messaggero Veneto - Nazionale
«Il mio film in basco l'Oscar l'ha già vinto difendendo le lingue»
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26/11/2015 Grazia
UN FILM FIRMATO GRAZIA
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ANICA CITAZIONI
1 articolo
26/11/2015
Pag. 38 Ed. Genova
diffusione:50924
tiratura:71724
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Da oggi nelle sale italiane
"A Bigger Splash "
"A Bigger Splash " Un cast internazionale e un regista comunicatore hanno gi à creato un caso Ma piacer à
al pubblico? Arriva il film "cool " che ha gi à diviso i critici
MICHELE ANSELMI
«POCHE storie. "A Bigger Splash" è il film più sexy, più politico e più interessante del momento» sentenzia
Marco Giusti su Dagospia, con l'aria di chi non ammette repliche. Vedremo se le platee risponderanno, è
da oggi in sala con 152 copie. Ma in effetti spira un venticello "cool" attorno al film di Luca Guadagnino:
regista palermitano, classe 1971, cinefilo accanito, pasoliniano temperato e sfegatato discepolo di
Bertolucci, nonché sodale di Tilda Swinton. Lui deve molto a lei, che sulla fiducia nel 1999 disse s ì al
giovanotto sconosciuto per "The Protagonists"; da allora la collaborazione con l'attrice, guai a chiamarla
"musa", è andata avanti, tra film, pubblicità, mondanità. Del resto Guadagnino sa comunicare bene:
provoca, ironizza, pratica il paradosso e l'iperbole. «Chiunque stronchi un mio film è legittimato a farlo. Lo
dico dall'alto del mio piacere di stroncare ciò che vedo» ha confessato a Malcom Pagani del "Fatto
Quotidiano". Ma subito dopo ha rilanciato cos ì : «Chiunque ami le serie tv contemporanee per me è uno
stolto, un poveretto». Ogni opinione è lecita, in materia. Ed è pur vero che Guadagnino, dopo "Io sono
l'amore" che incassò ben 5 milioni di dollari negli Usa senza nemmeno esser stato designato per l'Oscar
dall'Anica, è tra i pochi registi italiani capaci di affaccio internazionale, con Sorrentino e Muccino. La
dittatura degli "ino"? Non a caso, "A Bigger Splash" è stato girato in inglese, con attori di nome: Ralph
Fiennes, Dakota Johnson, Matthias Schoenaerts e Tilda Swinton. Al Lido c'è chi lo trovò un guscio vuoto,
un nevrotico esercizio di stile gravato da un pessimo finale buffo incardinato sullo smarrito Corrado
Guzzanti. Ma in molti ne scrissero come di un capolavoro, insinuante e seduttivo, che raccoglie la lezione,
s'intende, di Rossellini e Godard. La parola, come si diceva, passa ora al pubblico vero, pagante. Intanto
Guadagnino, al quale piace rifare i film che non gli piacciono granché, sta per buttarsi nel remake di
"Suspiria", perché - parole sue - «mi interessa approfondire il tema della maternità, della rimozione e della
colpa collettiva». Anche "A Bigger Splash" è un rifacimento. Guadagnino si ispira per contratto a "La
piscina", il must cine-erotico del 1969 con Alain Delon e Romy Schneider, col piacere goloso di
strapazzarlo, cambiando di segno non solo l'epilogo. Rock e opera lirica, da "Emotional Rescue" dei Rolling
Stones e "Falstaff" di Verdi, rimbombano nell'affresco salmastro, arso dallo scirocco, con riferimenti sparsi
a quella che il regista chiama «l'alterità del Mediterraneo, con la presenza dei migranti che irrompono nella
storia». Però il tema vero sarebbe un altro: «Lo stato della politica dei desideri nell'età adulta, il desiderio
come forza e sostanza che muove tutto e produce conseguenze estreme». Rubando il titolo al ciclo
pittorico di David Hockney, "A Bigger Splash" ci porta a Pantelleria, dentro un rustico dammuso dove la
leggenda del rock Marianne Lane e il fidanzato Paul si godono sole, sesso e cibo. A rovinare la festa pensa
Harry, geniale produttore discografico ed ex di Marianne, il quale piomba sull'isola vulcanica insieme alla
figlia ventenne Penelope avuta da un'americana. Il quartetto è male assortito: Marianne, reduce da un
intervento alle corde vocali, finge di essere afona per non parlare con i due ospiti sgraditi, mentre Harry,
survoltato e gaudente, pare provare una nostalgia delirante nei confronti della padrona di casa. Mentre
Penelope, sorta di Lolita bionda con occhialini esagonali, si mette nuda sugli scogli per sedurre
l'insofferente Paul. Naturalmente una morte inattesa bolle in pentola, anzi in piscina. Tutti e quattro sono un
po' "mostruosi", ma si vede che il regista molto li ama, li coccola, li desidera. In ciascuno mette qualcosa di
sé. Come gli piace quel mondo di anglofoni fresconi...
Foto: Il manifesto del film con i quattro protagonisti
ANICA CITAZIONI - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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26/11/2015
Pag. 38 Ed. Genova
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tiratura:71724
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Foto: Dakota Johnson e Ralph Fiennes
Foto: Schoenaerts e Fiennes
Foto: ENGLISH
Foto: Tilda Swinton nel film
Foto: KOPP
ANICA CITAZIONI - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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ANICA SCENARIO
23 articoli
26/11/2015
Pag. 44
diffusione:289003
tiratura:424634
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R2 SPETTACOLI / Il cantante è un gangster nella commedia "Natale col boss", in sala il 16 dicembre Dal
palco diviso con i Beatles a "Champagne", successi e cadute di un'icona pop
Peppino 'o malamente
"Basta twist e giacca di lamé ho 76 anni e divento cattivo"
ARIANNA FINOS
NAPOLI LA giornata uggiosa a Napoli non smorza l'umore di Peppino di Capri che si racconta senza rete in
un bar sul lungomare. 76 anni di età e 57 di carriera, il cantante si lancia come attore nella commedia
Natale col boss, duetta con Gué Pequeno in un rap ispirato a Champagne e debutta in una web serie.
«Lillo e Greg hanno avuto l'idea dell'errore di due chirurghi che invece di rifare la faccia al boss come quella
di Leonardo DiCaprio lo trasformano in Peppino di Capri. Aurelio De Laurentiis un giorno mi convoca
all'Hotel Vesuvio, pensavo volesse qualche consiglio sui giocatori del Napoli e invece mi propone il film.
"Dai, firmiamo". Io "Ma me lo fai leggere il contratto?". "Ma dai, tra amici ci mettiamo a perdere tempo, c'è la
partita tra mezzora"».
Com'è andata sul set? «I colleghi mi hanno gasato e mi sono lasciato andare. In una scena in macchina io
e il boss con la mia faccia ci incontriamo: recitare tutte e due le parti non è mica facile. Perché il boss ci
prende gusto e vuole diventare davvero Peppino di Capri. Per recitarlo ho tirato fuori la voce da boss che
uso nelle barzellette».
Suo figlio Dario fa l'attore, le ha dato consigli? «Mi ha detto: "Papà ti devi far rispettare, ti devono mandare
la macchina sotto casa". A me pareva brutto, volevo farmi trovare alla stazione».
Chi glielo ha fatto fare? «Di certo non i soldi. Conoscete Aurelio, tiene il braccino corto, "Chiedi cifre che
neanche a Hollywood...", "Aurelio, dammi quello che vuoi"».
Ha partecipato a molti film.
«Solo come cantante. Usavano i miei brani, nel Sorpasso ce ne sono sette. Da attore ho recitato con
Arena in Maurizio, Peppino e le indossatrici. Un filmaccio che passano i canali privati».
Che cinema le piace? «Film d'azione. Il cinema italiano di oggi è diverso da quello che ho vissuto io, ai
tempi di La dolce vita ero nei locali, quando il film veniva girato. La mia prima donna recitava in quel film,
Nico dei Velvet Underground.
Avevo 16 anni e suonavo a Capri, lei il giorno dopo mandava fiori a casa mia. E mia madre: "Ma che vuole
questa?". I miei idoli sono stati Robert DeNiro e Eduardo De Filippo. Eduardo l'ho incontrato all'Hotel de
Londres. Leggeva il giornale in poltrona. Mi fa: "guagliò, arapete nu ristorante". Resto interdetto: non gli
piace come canto? Dopo un po' aggiunge: "La gente dovrà mangiare sempre". Sei anni dopo, stessa scena
: senza alzare lo sguardo mi dice "Te sei araputo 'o ristorante?". A quattro anni si esibiva per l'esercito
americano.
«Mio zio mi portò a suonare per il generale Clark, certe canzoncine americane che avevo imparato alla
radio. Sul piano c'era un piatto d'argento, a fine serata era pieno di AM-lire, a casa svuotavo le tasche e
crollavo.
L'emozione più grande, alla Carnegie Hall di New York, nel '61.
La sera andammo in un locale ad Harlem, 11 bianchi, lo speaker ci fece fare l'applauso. Entrando un tizio
disse: "Who is this monkie?": ero secco secco, con gli occhialoni...».
Ha suonato prima dei concerti dei Beatles.
«Guardavo i loro amplificatori giganti e pensavo che fossero armadi. Hanno smosso il mercato, ma noi
abbiamo esagerato: dal giorno dopo tutti con le chitarre e i capelli lunghi».
E lei è entrato in crisi.
«Non mi chiamava più nessuno. Ci facemmo prestare tre chitarre elettriche. Mi ritrovai sul palco a cantare
She loves you.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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26/11/2015
Pag. 44
diffusione:289003
tiratura:424634
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Poi la sera mi guardavo allo specchio: ma che stai facendo? Sono tornato alla mia musica, ho calato i
prezzi. Qualche collega accettava due lire pur di rubarti una piazza». Anche lei ha lanciato la sua moda: la
giacca di lamè.
«Vivevo a Capri, coccolato da grandi stilisti. Mi sono messo la giacca di lamé, la gente impazzì. Mi feci
arrivare dalla Cina una stoffa con alberi e uccelli per una giacca su misura: me la rubarono a Maranello a
fine serata.
La poggio su una sedia, firmo un autografo, mi giro e non c'è più. Ogni tanto la rivedo su qualche foto.
Vorrei mettere un annuncio su Internet...».
Tanti italiani si sono innamorati con le sue canzoni. «Negli ultimi anni è più la gente che mi minaccia,
"mannaggia a te", che chi mi ringrazia».
Ha fatto quindici Sanremo e ne ha vinti due.
«Ci andrei in eterno: in una sera becchi 15 milioni di spettatori. Ora puntano sui giovani, ma troppi sono
costruiti a tavolino.
Mi piace Tiziano Ferro, timbrica vocale inconfondibile. Non amo la generazione che "pausineggia", pallide
imitazioni della caposcuola». Il suo Sanremo migliore? «L'anno di Il sognatore. Mi arrivò un telegramma di
Dalla: "Stupenda esibizione". Mi ero illuso di arrivare tra i primi, non fu così, non so se per qualche
inghippo. Ora ho un brano meraviglioso: la mia 500ª canzone».
Andrebbe in concorso? «Ogni anno mi chiedono una canzone, io ci casco, poi non se ne fa niente. Conti
l'ultima volta ha detto "è una canzone alla Peppino di Capri". E che volevi, un rap? Ora vorrei solo un
premio alla carriera: 5 minuti sul palco, una canzone, un grazie al pubblico e via. Mi rifiuto di fare l'Al Bano
della situazione, che vive per apparire. Gli ho detto "non ti tingere più i capelli, fai schifo". E lui "Sei pazzo,
io giro per i paesi in cui devi avere i capelli corvini"».
Cosa le piacerebbe? «Le pare normale che non abbia mai avuto un sabato sera mio, magari con ospiti
Mariah Carey e Lady Gaga?».
Cosa pensa dei talent show? «Soffro per gli esclusi. So che significa pensare di cambiare mestiere». Lei
non lo ha fatto.
«Dopo la crisi post Beatles, con le ultime 250 mila lire aprii la mia etichetta. Era il 1970. Il primo 33 giri
vendette 20 mila copie. Mi comprai una Mercedes coupé. Anni dopo la ritrovo in un garage e la ricompro.
La porto da un carrozziere ad Agnano e scordo l'indirizzo. Sono passati dieci anni. Il carrozziere era un
vecchietto, sarà morto».
Una vita piena di ricordi.
«Vivo il presente, un po' il futuro. Mi piace la tecnologia, seguo i miei figli».
Uno fa l'attore. Gli altri due? «Uno è musicista, gira il mondo con le cover degli U2: non sa quanto mi costa
di attrezzatura, tutto quello che ha The Edge lo deve avere anche lui. Ma è bravo».
Il terzo? «Vaga, da un baretto a Palma di Maiorca ai led di una fabbrica in Montenegro. Igor, il figlio di
Roberta, la mia prima moglie, ogni tanto mi dice "ho avuto un'idea", e io tremo. La mamma era così, mi
faceva cambiare continuamente i mobili. E lui è uguale a sua madre».
IL SET
I colleghi mi hanno gasato e mi sono lasciato andare avevo fatto solo musicarelli e un film con
Maurizio Arena
LA TELEVISIONE
A Sanremo ci andrei ma scartano i miei brani, ora mi piacerebbe un sabato sera tutto mio con
grandi ospiti FAB FOUR Un giovane Peppino di Capri insieme ai Beatles: suonò come supporter nel 1965
a Milano. Sopra, attore nel film ATTORE In "Natale col boss" Peppino di Capri affianca un quartetto di
comici: Lillo & Greg, Paolo Ruffini, Francesco Mandelli. La regia è di Wolfango De Biasi
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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26/11/2015
Pag. 15 Ed. Torino
diffusione:289003
tiratura:424634
Pronti alla "british invasion" In arrivo Davies e Temple
CLARA CAROLI
EFINALMENTE una star arriva al Tff: la meravigliosa Valeria Golino (in città per girare "La vita possibile" di
Ivano De Matteo) che questa sera alle 20.30 riceve dal Museo del Cinema il neonato Premio Cabiria,
all'interno dell'evento benefico "Stelle per Thanksgiving" al Mauto. Golino che, citando Emanuel Carrère, è
un'attrice per la quale «vale la pena andare al cinema» è un'habituè del festival, dove è stata giurata e ha
presentato, nel 2010, il suo corto di esordio nella regia. Oggi ha inizio anche la "british invasion": sbarca al
Tff il regista inglese di "Voci lontane, sempre presenti", Terence Davies. Che alle 19 al Reposi 3 presenta il
suo nuovo "Sunset Song" e riceve dal direttore Emanuela Martini il Gran Premio Torino alla carriera. Tratto
dal romanzo "Canto del tramonto" di Lewis Grassic Gibbon, un film elegiaco, storia di radici e di
attaccamento alla terra nella campagna scozzese, con Agnyess Deyn e Peter Mullan. «Ho voluto
fortemente che fosse al Tff», sottolinea Martini. Bisognerà invece aspettare fino a domani per avere in città
il guest director Julien Temple, che dopo essere apparso nel videomessaggio all'inaugurazione, non si è
più visto. «Sta girando tra il Messico e Cuba», lo "giustifica" Martini. Il "guest director perfetto", come lo ha
definito, il più adatto all'atmosfera metropolitana dell'ex Cinema Giovani, domani sarà in sala alle 20 al
Massimo per presentare "The Ecstasy of Wilko Johnson", docudrama dedicato alla storia vera del cantante
dei Dr.
Feelgood, malato di cancro, dato per spacciato e poi sopravvissuto: «Un esorcismo musicale che
sbeffeggia l'ineluttabilità della morte». E infatti è nella sezione "Questioni di vita e di morte" curata dal
regista inglese.
In attesa dei divi, la giornata di ieri ha acceso i riflettori su due antidivi: Daniele Segre e Daniele Ciprì. L'
autore alessandrino, al Tff con la black comedy "Morituri", si è scagliato contro "mamma Rai": «Mi ha
abbandonato. I miei documentari non li vuole nemmeno Raitre». Dal film al festival, girato tra i loculi dell'ex
cimitero di San Pietro in Vincoli («Una commedia di morti viventi, come siamo tutti noi»), dice ironicamente:
«Ho provato a superare il tabù della morte con la comicità. Ora vorrei riposare in pace, ma con tanto
lavoro». L'inventore, assieme a Maresco, di "Cinico Tv" è intervenuto ad un incontro dedicato ai direttori
della fotografia. «Quando lavoro per un altro regista cerco di mettermi al suo servizio - spiega Ciprì - In
questo, essere un regista mi aiuta. Quando ho lavorato con Ascanio Celestini, ad esempio, ho fatto di tutto
per non snaturare il suo film.
Doveva restare Ascanio».
Foto: Daniele Segre con le attrici di "Morituri"
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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IL REPORTAGE
26/11/2015
Pag. 120 N.48 - 2 dicembre 2015
diffusione:202678
tiratura:282958
Inafferrabile Cate Blanchett
Stefania Berbenni
La bellezza di Cate Blanchett sta nel fatto che ancora non si è capito veramente chi sia, se una signora
algida e composta o un'irriverente ragazza cresciuta. Tre figli e una bambina da poco adottata, una vita
coniugale vergine di gossip, i ruoli più disparati al cinema e a teatro, compresa la Blanche DuBois di Un
tram che si chiama desiderio. Chi l'ha sentita dal vivo racconta che quando ha pronunciato la famosa
battuta, «ho sempre confidato nella gentilezza degli estranei», il teatro ha vibrato di commozione. Forse
perché anche lei ha confidato nella bontà del mondo, malgrado a dieci anni la vita le si presentò in tutta la
sua crudezza, con la morte del padre. Per dare forma alla rabbia, da adolescente, si rasò i capelli come
voleva la fede punk da lei abbracciata. Parolacce, look da maschiaccio, musica: tutto per nascondere una
timidezza senza appello. Se uno scorre la lunga lista di ruoli interpretati, si accorge che è come sfogliare
l'intero pantone del mestiere d'attore, e non a caso qualcuno l'ha definita «la Meryl Streep della sua
generazione», paragone ingombrante assai. Alla fine l'unica definizione che ci sembra calzarle è «ghiaccio
bollente», freddo che brucia. Il 5 gennaio uscirà Truth, dove lei interpreta un'altra donna dura, in prima
linea, Mary Mapes, produttrice di 60 minutes della Cbs, che mise alla berlina George Bush jr.. Suo partner
nel film è Robert Redford. Del quale dice: «La chimica fra me e Robert è stata totalmente sessuale».
Ghiaccio bollente. INFANZIA DOLOROSA Cate era al pianoforte quando suo padre uscì di casa salutando
con un ampio gesto del braccio. Lei lo seguì con lo sguardo e lo vide accasciarsi a terra: era morto per un
infarto. Cate aveva dieci anni. Forse per questo, ha voluto una famiglia solida una volta diventata adulta: da
18 anni è legata a Andrew Upton ( foto ), sceneggiatore e scrittore. Galeotto fu un tavolo da poker dove i
due, che si erano già incontrati ignorandosi, si innamorarono. La numerosa famiglia, tre maschi naturali e
una bambina adottata, ha scelto come base l'Australia, dove la coppia ha anche la direzione artistica della
prestigiosa Sydney Theatre Company. I GIOCHI DEL CASO È il 1990, Cate è in vacanza in Egitto, nel suo
hotel girano alcune scene di un film. Ha 21 anni, è già bella come poche, viene scritturata come comparsa.
Quando torna a casa, si iscrive a un corso di recitazione. Da allora, con pervicacia tutta femminile, decide
che farà solo l'attrice. Il successo arriva otto anni dopo con Elizabeth di Shekhar Kapur. Da quel momento,
la sua sarà una carriera da star di Hollywood. Tratto da un libro scritto dalla stessa protagonista della storia,
Mary Mapes, Truth racconta che cosa successe veramente dietro le quinte di 60 minutes, la trasmissione
della Cbs di cui la Mapes era produttrice. Il film uscirà il 5 gennaio, protagonisti la Blanchett e Robert
Redford ( insieme nella foto con Bruce Greenwood ).
LE ATTRICI MITO Regola vuole che ogni attrice abbia un modello al quale rifarsi. colleghe blasonate che
l'hanno preceduta. Nel caso di Cate Blanchett i nomi sono due: Greta Garbo, che guarda caso è stata
un'algida dea dei set ai suoi tempi; e Katharine Hepburn ( foto sopra ), alla quale ha prestato il volto in
Aviator di Martin Scorsese, guadagnandosi la sua prima statuetta agli Oscar. Oggi quarantaseienne, l'
attrice australiana è stata paragonata a Meryl Streep, che di anni ne ha 20 in più. Ha ancora quattro lustri
per raggiungere la collega che ha 19 candidature all'Oscar e tre statuette vinte.
FORSE BISEX? Alla vigilia dell'ultimo Festival di Cannes, Cate Blanchett rilasciò una lunga intervista a
Variety (a destra, la copertina) per promuovere Carol che sarà sui nostri schermi dal 5 gennaio (singolare
coincidenza: stesso giorno di uscita dell'altro suo film Truth ). In quell'intervista l'attrice dichiarò di aver
amato molte donne nella sua vita. Apriti cielo: ma allora la Blanchett è bisex? Un rincorrersi di voci fino alla
puntualizzazione dell'attrice: lo diceva in senso lato.
ARMANI STYLE Adesso che è stata in prima fila a molte sfilate, che ha conosciuto di persona Giorgio
Armani e che è stata testimonial di un suo profumo, sembra lontano il tempo in cui il grande desiderio
dell'australiana dalla pelle candida era possedere un abito dello stilista italiano. E invece fu proprio così. Se
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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LINK _DEE MODERNE
26/11/2015
Pag. 120 N.48 - 2 dicembre 2015
diffusione:202678
tiratura:282958
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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lo comprò con il primo cachet da attrice. L'abito è tuttora nell'armadio di Cate.
2005
2014 È Martin Scorsese che la porta al primo Oscar con Aviator come miglior attrice non protagonista.
Miglior attrice protagonista di Blue Jasmine: ed è la seconda statuetta. Un film sofisticato, che ci trascina
negli intrighi della corte inglese di metà '600 e insieme nei dilemmi sentimentali della famosa regina.
L'interpretazione della sovrana guadagnò a Cate Blanchett notorietà e la prima nomination all'Oscar come
miglior attrice protagonista.
SPECCHI Li evita quando può, ma non ne ha paura: «Non vado nel panico per una ruga. Nessuno
vorrebbe invecchiare, però preferisco avere una faccia con una storia che una rifatta». Corbis (2)- Getty
Images (3) - Alamy (3) - Mondadori Portfolio Foto: Cate Blanchett, 46 anni.
26/11/2015
Pag. 23
diffusione:189394
tiratura:278795
Il regista ungherese Péter Gárdos racconta il romanzo di suo padre, ebreo scampato al Lager, che trovò
moglie scrivendo a tutte le giovani della sua città
EGLE SANTOLINI
Miklós aveva «una calligrafia bellissima: lettere aggraziate, occhielli eleganti, uno spazio appena
percettibile fra una parola e l'altra. Dopo aver finito la lettera si procurò una busta che chiuse e appoggiò
contro la brocca di vetro piena d'acqua sul comodino. Due ore più tardi un'infermiera di nome Katrin prese
la busta e la portò alla posta insieme alle lettere degli altri pazienti». Di quegli occhielli eleganti l'ebreo
ungherese venticinquenne scampato a Bergen-Belsen aveva riempito in effetti non una ma 117 lettere,
destinatarie tutte le ragazze della sua città, Debrecen, accolte come lui dagli ospedali svedesi. Miklós si
voleva fidanzare. Soprattutto da quando un medico gli aveva preannunciato pochi mesi di vita. Non
sarebbe stato deluso. Lili lo aspettava, pronta a ricevere il suo messaggio nella bottiglia: con i suoi
diciott'anni, «i capelli castani e gli occhi grigioblu, le labbra sottili, l'incarnato olivastro». Storie così sono
possibili soltanto in un mondo che vuole rinascere dopo la catastrofe. Ma spesso restano «irraccontabili,
confinate all'aneddoto», come ci suggerisce Péter Gárdos, autore del libro Febbre all'alba che ora esce in
Italia per Bompiani. I suoi personaggi stanno arrivando anche al cinema, in un film pure quello diretto da
Gárdos, in programmazione in patria e forse presto anche in Italia. Con un altro protagonista del nuovo
cinema ungherese, quello del Figlio di Saul che quest'anno ha vinto il Grand Prix della giuria a Cannes ,
Miklós d i v i d e un'esperienza indicibile: nel campo, i nazisti gli hanno fatto bruciare i cadaveri. Da
quell'incubo ha deciso di estraniarsi: non ne parlerà più. Una nave lo ha sbarcato a Stoccolma, la guerra
finita da tre settimane: in mare ha rischiato di morire, non per il Baltico in tempesta ma per un versamento
nella pleura. Vince la speranza Un esordio da romanzo di appendice, ma presto sono i toni della speranza
a prendere il sopravvento. La diagnosi infausta («la malattia sta divorando i suoi polmoni. Esiste il verbo
"divorare" in ungherese?») non sconvolge il ragazzo. È sicuro che lo aspetti un finale diverso e bisogna
dare una mano al futuro. Scrivere gli risulta facile, e non è soltanto questione di calligrafia. Compone
poesie; e per aver lavorato una settimana in una redazione, prima delle leggi razziali, può definirsi
giornalista. Appena l'ufficio del registro rifugiati gli manda l'elenco si mette al lavoro: «Cara Nora, cara
Erzsébet, cara Lili, cara Zsuzsa... sarà sicuramente abituata al fatto che gli sconosciuti le rivolgano la
parola quando la sentono parlare in ungherese solo perché sono ungheresi anche loro. Stiamo diventando
maleducati. Io per esempio mi sono permesso di chiamarla per nome perché siamo conterranei». Questo
impasto irresistibile d'impudenza e di eleganza mitteleuropea fa breccia in chissà quante delle 117 (sarà
poco romantico, ma a un certo punto ci viene rivelato come molte corrispondenze parallele siano
continuate, anche dopo l'incontro fatale). Ed è subito Lili la prescelta, anche lei sfuggita a Bergen-Belsen,
anche lei senza notizie della famiglia, protetta e curata con qualche rudezza da volontari svedesi. Seguono
impacciati tentativi epistolari di passare dal «lei» al «tu», scambi di fotografie, con lui che si fa riprendere
sfocato per non mettere in mostra le protesi dentarie eredità di guerra, coraggiosi progetti d'incontro.
Quando alla fine si guardano in faccia, il coup de foudre è rimandato di mezz'ora, anche per colpa di quel
sorriso pieno di metallo. Poi, con la sua «piacevole voce da baritono», Miklós si lascia andare: «Ti ho
sempre immaginata così. Sempre. Nei sogni». A Lili «cade un peso dal cuore». Il ragazzo le ha portato in
regalo un taglio di cappotto. Un blocco psicologico Sì, è andata a finire bene. Tanto che Péter Gárdos di
Miklós e Lili è il figlio. Racconta: «Nel 1998, alla morte di mio padre, la mamma mi consegnò due fasci di
lettere. Pensai subito di ricavarne un film, ma scrivere la sceneggiatura mi riuscì impossibile, una specie di
blocco psicologico». Che si sciolse soltanto per interposta persona, quando andò a trovare una compagna
di prigionia della madre. Per dargli l'avvio, dopo 17 anni, gli bastò «il racconto di quelle navi dei
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117 ragazze posson bastare per rinascere dopo Bergen-Belsen
26/11/2015
Pag. 23
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sopravvissuti da Lubecca a Malmö, le donne in bicicletta che aspettavano i rifugiati sui moli con i biscotti nel
cestino». Sua madre ha letto il libro? Visto il film? «Del libro abbiamo parlato a lungo, molti dilemmi la
tormentavano, soprattutto l'opportunità di rivelare come, a un certo punto, avesse pensato di convertirsi al
cristianesimo. Ha accettato che ne parlassi, ma ha voluto che le cambiassi il nome. Il film? Sono stato
crudele con lei, l'ho invitata a una proiezione e le ho proibito di piangere. Lo ha fatto solo un pochino. Ma è
così brava nel lavoro di rimozione che, più tardi, mi ha confessato di non ricordarne neppure un
fotogramma».
Foto: Miklós Gárdos con Lili il giorno delle loro nozze. Nel campo di BergenBelsen il giovane era stato
costretto dai nazisti a bruciare i cadaveri. Dal Lager era uscito con una grave malattia polmonare
Foto: Oggi a Milano Il regista Péter Gárdos, nato a Budapest 67 anni fa, pubblica da Bompiani Febbre
all'alba . Il libro (con spezzoni del film che ne ha tratto) sarà presentato oggi alle 18,30 al Circolo dei Lettori
di Milano, Fondazione Pini (c. Garibaldi, 2). Con l'autore, Laura Lepri e Cristina Battocletti
26/11/2015
Pag. 31
diffusione:189394
tiratura:278795
Calopresti: vi svelo Panariello drammatico
Esce "Uno per tutti", resa dei conti di un'amicizia
[F. C.]
La resa dei conti di una grande amicizia, sullo sfondo di una città fascinosa e insondabile come Trieste,
dove il ricordo di un passato seppellito con fatica riem e rge i m p e t u o s o, co m e i l vento, come il mare.
Diretto da Domenico Calopresti, liberamente tratto dal romanzo omonimo di Gaetano Savatteri (Sellerio 2008), Uno per tutti prende le mosse da «un plot classico del cinema internazionale, un fatto del passato
che si ripresenta ai suoi protagonisti ora adulti», ma lo sviluppa seguendo passioni e interessi del regista:
«Il film è un po' un apologo, per me era importante parlare di come certi cicli si ripetano, di come gli errori
ritornino a galla, e di come, per raggiungere la vera maturit à , s i a n e ce s s a r i o p aga re i l prezzo per
gli sbagli compiuti». La notte brava del figlio di uno dei tre amici, una rissa violenta e un ragazzo in fin di
vita sono il motore del racconto, l'episodio che costringe gli ex inseparabili compagni a ritrovarsi faccia a
faccia con i loro conti da saldare: «Ho scelto di raccontare la parte centrale della storia, quella che riguarda
un gioco stupido, fatto da ragazzini, ispirato a un film di successo come Il cacciatore e finito in tragedia.
Quel momento ha mutato le esistenze dei protagonisti e li ha legati per sempre». Accanto a Fabrizio
Ferracane (Gil) e a Thomas Trabacchi (Saro) recita, nei panni di Vinz, il poliziotto, un Giorgio Panariello
inedito e drammatico: «Appena l'ho incontrato - racconta Calopresti - ho capito che dentro ha tante cose,
un dolore pazzesco che lo attraversa. Sul set ha accettato le mie condizioni, è un allievo diligente, si
meravigliava quando gli chiedevo di fare poco e niente, e ha portato al film qualcosa di potente». Il ragazzo
che deve pagare per la sua colpa è Lorenzo Baroni, un esordiente che lascia a bocca aperta per bravura,
bellezza, incisività: «È una specie di James Dean italiano, mi è piaciuto subito molto, è potente». Il suo
personaggio esprime uno dei temi che stanno a cuore a Calopresti: «I ragazzi di oggi hanno un problema di
responsabilità, sono molto più viziati di come eravamo noi, e poi le grandi possibilità di comunicazione di
cui dispongono finiscono per avvalorare in loro una visione irreale del mondo. Sono poco abituati al
contatto diretto, a crescere per strada, e così succede che, quando si svegliano, capiscono che devono
iniziare a vivere sul serio». Con Uno per tutti Calopresti torna al cinema dopo un'assenza durata sette anni:
«Esattamente l'età di mia figlia; invece di fare film, mi sono occupato di lei. E poi sono sempre a caccia di
cose diverse, nuove». Il prossimo impegno dovrebbe essere un documentario su «una fabbrica di prodotti
contraffatti, non solo alimentari».
Foto: Il regista Domenico Calopresti con Giorgio Panariello sul set di «Uno per tutti», in sala da oggi
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Colloquio
26/11/2015
Pag. 31
diffusione:189394
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Se l'atterraggio sulla Luna è un complotto alla Lebowski
Il curioso "Moonwalkers" tra viaggi psichedelici, hippie e risate
FULVIA CAPRARA
Se c'era un modo per imm a g i n a r e i l d i e t r o l e quinte del famoso complotto lunare, il regista di
Moonwalkers (ieri in cartellone al Tff ) Antoine Bardou-Jacquet, ha trovato il migliore. Il punto di partenza è
la teoria secondo cui le missioni del programma Apollo non avrebbero mai raggiunto l'obiettivo
dell'atterraggio sulla Luna. Le prove sarebbero state manipolate dalla Nasa e i filmati con le sequenze
celeberrime di Neil Armstrong che mette piede sul polveroso terreno sarebbero state girate in uno studio
cinematografico e rese credibili grazie a un sapiente uso degli effetti speciali. Il perchè della messa in
scena sarebbe, secondo i complottisti, legato alla guerra fredda, al fatto che le prime tappe della corsa nello
spazio erano state vinte dall'Unione Sovietica e alla necessità degli Usa di riacquistare punti. Il primo ad
alzare il velo sull'eventuale imbroglio planetario era stato, nel 1976, l'americano Bill Kaysing, autore di Noi
non siamo mai andati sulla Luna. Proprio nel suo libro si affermava l'idea alla base di Moonwalkers , e cioè
che i vertici d e l go v e r n o s t a t u n i t e n s e avrebbero ingaggiato il genio del cinema mondiale Stanley
Kubrick per girare le finte sequenze dell'epico avvenimento. D'altra parte, chi meglio dell'autore di 2001
Odissea nello spazio avrebbe potuto portare a termine un simile compito? «Così mi è venuta in mente
l'idea del film - spiega Antoine Bardou-Jacquet -, mandare un agente della Cia nel bel mezzo della swinging
London per filmare il falso atterraggio, insieme a un gruppo di hippie che detesta». Il cocktail fra i due
mondi è esilarante, da una parte il corpulento veterano del Vietnam incaricato dalla Cia di contattare
Kubrick (Ron Perlman), dall'altra Jonny il manager squattrinato di una rock band senza fortuna (Rupert
Grint) che prima tenta di mettere le mani sul compenso offerto al grande regista e poi si ritrova costretto a
organizzare un set con vere riprese cinematografiche: «Una miscela del genere ha un enorme potenziale
comico, tutto è reso più esplosivo da personaggi bislacchi alla Grande Lebowski e da una struttura ricca di
azione». Dopo aver tentato di accreditare un falso Kubrick truccando e vestendo il compagno Leon (Robert
Sheehan) nello stile dell'autore, Jonny si rivolge a Renatus (Tom Audenaert) che si considera maestro della
cinematografia e dà il via alle riprese. Tra viaggi allucinogeni, travestimenti strampalati, ammucchiate hippie
e inseguimenti tra bande criminali, il filmato prende vita. Naturalmente è impresentabile, ma, nel frattempo,
come mostrano le immagini di repertorio con il Paese in festa davanti alle tv, gli americani sulla Luna ci
sono arrivati davvero.
Foto: Strampalati Sotto, da sinistra, Robert Sheehan e Rubert Grint in «Moonwalkers»
Foto: Qui sopra, Ron Perlman: nel film è un veterano del Vietnam incaricato dalla Cia di contattare il grande
regista Stanley Kubrick per filmare un falso atterraggio sulla Luna
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torino film festival 2015
26/11/2015
Pag. 39 Ed. Torino
diffusione:189394
tiratura:278795
Barbera: "Il mio ritorno al Tff? Non faccio passi indietro"
Gabriele Ferraris
Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco. Questo articolo riguarda il Torino Film Festival, non i futuri
assetti del Museo del Cinema. Il tema quindi non è se Alberto Barbera, direttore del Museo che concluderà
il suo mandato tra un mese, si aspetta una riconferma. Immaginiamo che se l'aspetti, come chiunque ha
lavorato bene tenendo ferma la rotta pur tra bufere non da ridere.
Quin di, come ovvia conseguenza, bisogna aggiungere che ha le chance per essere riconfermato.
Nell'incontro che abbiamo avuto con lui a pranzo però non è stato questo l'oggetto della discussione.
Anche perché a questa domanda avrebbe risposto «no comment»: la decisione spetta a Chiamparino e a
Fassino e non è facile tentare di entrare nella testa di quei due. «Nessun conflitto»
L'incontro con Barbera è avvenuto nel corso di un pranzo alla Mole. Abbiamo parlato con leggerezza
dell'unica, faticosa «polemica» che anima un Torino Film Festival perfetto sotto ogni profilo ma carente sul
piano della conflittualità che eccita i media.
Alberto Barbera un po' s'è incavolato, quando s'è ritrovato sui giornali nel ruolo di rosicone che critica la
direttrice del Tff. «Il Festival è una creatura del Museo del Cinema - dice -. Quindi io sono in qualche modo
l'editore del Festival».
«Il Festival va bene, ha successo, piace al pubblico e alla critica; e questo è merito in primis della direttrice
Emanuela Martini, no. E te lo vedi un editore che cerca di fare le scarpe al direttore che gli fa vendere il
giornale? Sarebbe uno scemo». I troppi film
Non è sicuramente scemo, uno che riesce a dirigere, insieme, il Museo del Cinema e la Mostra di Venezia.
Però l'uscita sui «troppi film» al Tff c'è stata. «Un conto - fa notare Barbera - è un'opinione personale
buttata lì in una conversazione, altro è una mezza frase fuori contesto e stampata nero su bianco». Quella
frase però ha innescato molte dietrologie, compresa quella che Barbera critichi la Martini perché vuole
tornare a dirigere il Torino Film Festival. Su questo tema il direttore del Museo del Cinema ride di gusto.
«Critico Emanuela? Ma per favore! E poi, scusate, il direttore di Venezia che trama per dirigere Torino?
Con il massimo rispetto: Torino è un grandissimo festival, ma Venezia è ancora un passetto avanti... Da voi
nei giornali ci sono tanti direttori che ambiscono a diventare vicedirettori?».
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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Il torino film festival
26/11/2015
Pag. 44 Ed. Torino
diffusione:189394
tiratura:278795
"Da Venezia a Torino? Io non faccio passi indietro"
Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco. Questo articolo riguarda il Torino Film Festival, non i futuri
assetti del Museo del Cinema. Il tema quindi non è se Alberto Barbera, direttore del Museo che concluderà
il suo mandato tra un mese, si aspetta una riconferma. Immaginiamo che se l'aspetti, come chiunque ha
lavorato bene tenendo ferma la rotta pur tra bufere non da ridere. Quin di, come ovvia conseguenza,
bisogna aggiungere che ha le chance per essere riconfermato.
Nell'incontro che abbiamo avuto con lui a pranzo però non è stato questo l'oggetto della discussione.
Anche perché a questa domanda avrebbe risposto «no comment»: la decisione spetta a Chiamparino e a
Fassino e non è facile tentare di entrare nella testa di quei due. «Nessun conflitto»
L'incontro con Barbera è avvenuto nel corso di un pranzo alla Mole. Abbiamo parlato con leggerezza
dell'unica, faticosa «polemica» che anima un Torino Film Festival perfetto sotto ogni profilo ma carente sul
piano della conflittualità che eccita i media.
Alberto Barbera un po' s'è incavolato, quando s'è ritrovato sui giornali nel ruolo di rosicone che critica la
direttrice del Tff. «Il Festival è una creatura del Museo del Cinema - dice -. Quindi io sono in qualche modo
l'editore del Festival».
«Il Festival va bene, ha successo, piace al pubblico e alla critica; e questo è merito in primis della direttrice
Emanuela Martini, no. E te lo vedi un editore che cerca di fare le scarpe al direttore che gli fa vendere il
giornale? Sarebbe uno scemo». I troppi film
Non è sicuramente scemo, uno che riesce a dirigere, insieme, il Museo del Cinema e la Mostra di Venezia.
Però l'uscita sui «troppi film» al Tff c'è stata. «Un conto - fa notare Barbera - è un'opinione personale
buttata lì in una conversazione, altro è una mezza frase fuori contesto e stampata nero su bianco». Quella
frase però ha innescato molte dietrologie, compresa quella che Barbera critichi la Martini perché vuole
tornare a dirigere il Torino Film Festival. Su questo tema il direttore del Museo del Cinema ride di gusto.
«Critico Emanuela? Ma per favore! E poi, scusate, il direttore di Venezia che trama per dirigere Torino?
Con il massimo rispetto: Torino è un grandissimo festival, ma Venezia è ancora un passetto avanti... Da voi
nei giornali ci sono tanti direttori che ambiscono a diventare vicedirettori?».
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Il Festival raccontato da Alberto Barbera
26/11/2015
Pag. 1
diffusione:135752
tiratura:185831
Roger Waters diventa regista : «La mia vita in un film »
Francesco Alò
Pink Floyd Roger Waters diventa regista: «La mia vita in un film» a pag. 25 è un muro che non si riesce ad
abbattere: The Wall , doppio album dei Pink Floyd datato 1979 portato di nuovo in tour dal suo creatore
Roger Waters attraverso una serie di concerti sempre esauriti. Da Buenos Aires a Parigi. Ma c'è di più. Il
settantaduenne bassista, separato ma meno in tensione rispetto al passato con gli ex membri del gruppo
Nick Mason, Richard Wright e David Gilmour, ha deciso di esordire come regista. Dopo aver fatto
arrabbiare Stanley Kubrick ed essere quasi arrivato alle mani con Alan Parker, Waters è passato dietro la
macchina da presa, in compagnia di Sean Evans, per Roger Waters The Wall (dal 2 dicembre disponibile in
home video anche in Italia). Si tratta di riprese splendide di quei trionfali concerti di un album vecchio
trentasei anni alternati a un eccezionale viaggio in macchina di Waters in Italia per commemorare la morte
del papà. Mr. Waters perché è venuto nel nostro paese per filmare il suo primo film? «Perché The Wall
nasce da quello che è successo a mio padre. Oggi lo so. Ero già stato al Cimitero di Guerra di Cassino ma
mai sulla spiaggia di Anzio dove mio padre sbarcò per combattere e morire». Nel documentario la si vede
anche piangere leggendo la lettera che sua madre ricevette in cui la avvertirono circa la sorte di suo marito.
Come è riuscito a realizzare una scena così forte? «Ho avvertito il coregista Sean Evans che all'improvviso
avrei letto quella lettera su cui non posavo più gli occhi da circa dieci anni. Non avrebbe avuto alcun senso
girare più di un ciak di quel momento. E' stato straziante». Ogni concerto di quel tour era ricco di omaggi ai
soldati mentre nel piccolo road movie verso l'Italia la si vede con i suoi figli ricordare anche suo nonno,
morto durante la I Guerra Mondiale. Perché The Wall, ora, parla di guerra? « The Wall è un'opera che puoi
adattare a vari contesti storici ed esistenziali. Nel 1979 era un album su una rockstar in crisi con se stesso.
Oggi, per me, è una metafora delle divisioni tra i popoli che creiamo al fine di isolarci e ucciderci l'un l'altro.
Oggi sento che The Wall parla di mio padre, parla di Anzio, di Roma città aperta di Rossellini e di questa
folle tensione nel mondo». C'è un segreto per cui quest' opera è ancora così attuale? «I bambini muoiono
ancora sotto i bombardamenti o no? E ci si uccide per la religione. Mio padre morì combattendo i nazisti. A
me sembra sempre la stessa dannata faccenda». Come è stato passare alla regia dopo aver fatto
arrabbiare tanti cineasti in passato? «Con Alan Parker siamo adesso in ottimi rapporti. Kubrick non
apprezzò il fatto che non gli diedi una canzone per Arancia meccanica. Se la legò al dito. Antonioni fu un
tesoro d'uomo per la colonna sonora di Zabriskie Point. Era inevitabile che sarei finito a dirigere un film».
Ne farà altri? «Non penso proprio. Ho tanti progetti musicali che vengono prima. Amo il cinema. Ma più da
spettatore. Il mio film preferito è vostro: Ladri di biciclette di De Sica».
Foto: IL SET Roger Waters in un fermo immagine del film A destra lo sfondo del palco del concerto di "The
Wall" SUL PALCO Roger Waters in un concerto «NEL 1979 ERA UN ALBUM OGGI È LA METAFORA
DELLA DIVISIONE TRA I POPOLI AL FINE DI ISOLARCI»
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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Pink Floyd
26/11/2015
Pag. 24
diffusione:83734
tiratura:155835
Siani: «Teatro, libri e web: vi farò ridere ovunque»
L' attore , a teatro con «Il principe abusivo», pubblica «Troppo Napoletani» e invade i Social
Pedro Armocida
«Una risata ci ha sempre salvato, io vorrei che la mia fosse una "app" a cui il pubblico si possa collegare
anche in questi momenti così difficili». A parlare è un Alessandro Siani effettivamente multimediale, con
una comicità che dalla sua Napoli raggiunge tutto il pubblico sparso per l'Italia attraverso l'utilizzo di tutte le
forme espressive a sua disposizione. Un libro, Troppo napoletani , appena uscito per Mondadori in cui si
sono anche i «cinguettii» di 140 caratteri su Napoli di Maradona, Fazio, Bisio, Pieraccioni, Ficarra e Picone,
Claudio Baglioni, Maria De Filippi, un film dal titolo omonimo di cui è produttore, e uno spettacolo teatrale.
Ossia la versione per i palcoscenici della sua opera d'esordio da regista, Il principe abusivo , che due anni
fa ha incassato più di 15 milioni di euro solo nei cinema. Accanto a lui, che interpreta il ruolo del «povero»
Antonio De Biase, ci sarà sempre Cristian De Sica ciambellano di corte mentre la principessa sarà Elena
Cucci. «Abbiamo già venduto 25mila biglietti, è una gioia immensa sapere che c'è questo affetto. Noi ci
abbiamo messo tanto impegno», dice Siani che ha presentato lo spettacolo proprio dove il film si
concludeva, a Castel dell'Ovo a Napoli dove sarà per tutto dicembre al Teatro Augusteo per poi passare a
Bari dal 19 al 21 febbraio, al Forum di Assago il 27 febbraio e a marzo al Teatro Sistina di Roma. È un
ritorno sui palcoscenici proprio dove il comico è nato: «A teatro, che è parola mentre il cinema è immagine,
ci sono dei canoni che vanno rispettati, ma la fortuna de Il principe abusivo è che il soggetto nasceva
proprio come spettacolo teatrale, poi con l'aiuto dello sceneggiatore Fabio Bonifacci l'abbiamo pensato per
il cinema. Sul palco ci saranno battute e scene completamente nuove, come quella in aereo che non avevo
inserito nel film, e in più alcuni momenti musicali dal vivo con Cristian De Sica. Ma non è un musical». Il
motore della vicenda è sempre la storia del guitto interpretato da Siani che si innamora di una principessa e
del ciambellano De Sica che si innamora di una popolana (Stefania De Francesco). Da qui nasce pure il
film in cui Siani esordisce come produttore con Cattleya Lab, Troppo napoletano con la regia di Gianluca
Ansanelli le cui riprese si sono svolte da poco a Napoli: «Dove - ricorda Siani - le differenze sociali sono
forti. E' la storia di un bambino del rione Sanità che si innamora di una ragazza bene di Posillipo. Ci sono
molti quartieri che hanno difficoltà, ma ci sono anche persone straordinarie e per me il senso più bello di
questa operazione è aver girato nel quartiere Sanità con protagonista un bambino di 11 anni cresciuto lì,
Gennaro Guazzo, già visto nel mio precedente Si accettano i miracoli ». Perché «le radici sono un
boomerang, torni sempre da dove sei partito», come scrive nel suo libro l'attore che ha da poco compiuto
40 anni e quando si guarda indietro vede sempre la stessa cosa: «Mio padre operaio che tornava stanco la
sera. Io a letto dormivo con mia sorella e sentivo che accendeva la tv in cucina e magari c'era un film di
Totò e lui rideva. Ecco, in millesima parte, mi auguro di riuscire sempre a far ridere e a far distrarre le
persone che fanno tanti sacrifici». Così, sempre insieme a Fabio Bonifacci, ha già scritto il nuovo film che
uscirà a Natale 2016: «Non posso anticipare molto, lo girerò a marzo in Svizzera ma non sarò un
emigrante». MULTIMEDIALE Raggiungo tutta l'Italia anche con i «cinguettii»
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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Comicità Dalle sale al palco
26/11/2015
Pag. 29
IL SIGNORE È TRA NOI
Un vecchio maniaco del pc in realtà è il Padreterno Tanta satira pasticciata, ma assolutamente geniale
GIORGIO CARBONE
Necessaria premessa. La Bruxelles di questi giorni, infestata dai terroristi, non c'entra nulla. Il film è stato
girato un anno fa e la prima mondiale l'ha avuta al festival di Cannes lo scorso maggio. Neanche nella
rassegna principale. Infilato nella «Quinzaine des Realisateurs» ha avuto commenti entusiastici («Paranoia
allo stato puro» ci disse un collega che trova il tempo di infilarsi nelle «Quinzaines»). Il regista Jaco Van
Dormael dice di aver scelto la città perchè «la più brutta e noiosa del mondo» (ci volevano i bombaroli a
movimentarla). Ciononostante l'Europa l'ha eletta a sua capitale. E quindi non è il caso di stupirsi se da vari
anni oltre che dalla CEE, è stata scelta come residenza dal Padreterno in persona. Un padreterno che più
blasfemo non è mai stato rappresentato su carta o pellicola. È un ometto ripugnante e maligno, il cui
passatempo principale, dalla sua dimora di Bruxelles, è giostrare i destini del mondo attraverso un suo
computer vecchio e scassato (quindi non c'è da stupirsi se le cose al mondo vanno come vanno).Dio ha
una moglie noiosa e svampita. E una figlia Ea, precoce e d'ambizioni smisurate. Tra queste, quella d'imitare
il mitico fratello, cioè Gesù Cristo. Riscrivendo magari un Nuovo Testamento. Il primo suo atto di ribellione
però ha conseguenze catastrofiche. Ea s'impadronisce del computer del padre e va on line rivelando a
miliardi di esseri umani la data della loro morte. Il che equivale a distruggere in anticipo miliardi di vite (Dio
in fondo faceva meno danno, si divertiva a manipolare, lasciando ai poveri uomini almeno la chance del
libero arbitrio). Il mondo comunque non finisce. Risorgerà come fu con Gesù Cristo coll'aiuto di nuovi
apostoli radunati per l'occasione da Ea. Certo, il destino dell'umanità prenderà una piega diversa. Una
Messia donna lascerà un'impronta decisamente femminista. PIACERÀ Diciamo subito a chi non piacerà. A
chi crede seriamente e quindi farà fatica a digerire una divinità trattata alla stregua di un cialtrone di Luna
Park. Ai laicisti ad oltranza per il quale la favola ribalda messa in scena da Van Dormael è un modo
comunque, anche se un po' contorto, di ribadire l'esistenza della divinità (insomma Jacop ci fa la figura del
credente). Non piacerà infine a chi al termine di una satira a ruota libera s'attende (legittimamente)
conclusioni di qualche spessore intellettuale (la svolta femminista del finale non ha logica, non ha rigore, è
solo trippa di gatto buttata nel gran calderone). Ma c'è pure un pubblico che al cinema non va appesantito
da bigottismi di vario tipo, e che non chiede (almeno non chiede ogni settimana) il rigore. A quel pubblico,
certo, non mancheranno le occasioni di divertimento nelle quasi due ore. Tra le occasioni il reclutamento
degli apostoli, radunati da Ea con i criteri selettivi del coach di una squadra di base ball (l'aspirante Messia
è una fanatica dello sport nazionale americano, ma non si capisce molto bene perchè). Poi c'è Dio. Che è
Benoit Poelvoorde, un altro grosso attore del cinema franco belga che in Italia non è ancora conosciuto
come dovrebbe (se non dai frequentatori di festival) e che ora un film come Dio esiste e vive a Bruxelles
dovrebbe imporre come merita. Il suo Padreterno è decisamente indimenticabile, meschino, maligno,
velenoso come solo i paterfamilias della provincia francese sanno essere.Per concludere, il siparietto
dell'icona per eccellenza del cinema d'oltralpe, Catherine Deneuve. Van Dormael l'ha costretta ad
accoppiarsi con un gorilla. Per noi l'ha fatto con dolo. Dio esiste e vive a Bruxelles REGIA Jaco Van
Dormael CAST Benoit Poelvoorde GENERE satira DURATA ore 1.53 VOTO
Foto: Una scena del film «Dio esiste e vive a Bruxelles» con il protagonista Benoit Poelvoorde. Il film è da
oggi nelle sale
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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CINEPRIME/«Dio esiste e vive a Bruxelles»
26/11/2015
Pag. 18
diffusione:41548
tiratura:96288
" Uno per tutti " non basta se il passato presenta il conto
Il nuovo lavoro di Calopresti: un costruttore, un poliziotto e un medico uniti da un ' antica amicizia ma alle
prese con le sorti di un figlio Rischio incubi Bisogna ancorarsi alla forza della memoria, mentre tutti parlano
di un futuro non verificabile
FEDERICO PONTIGGIA
erdersi per una coltellata, una puncicata. Una cosa da ragazzi, ma le conseguenze si frangono su più
generazioni. Succede a Trieste, è la solita rissa, ma di due ragazzi uno rimane a terra e l ' altro fugge: corre
tra i vicoli, scappa dalla polizia. Invano. Non è abituato alla violenza: se la sa fare, non sa disfarsene, e quel
coltello sporco di sangue e con le sue impronte sopra non lo butta, mal consigliato se lo tiene addosso. Non
incidentalmente, Teo (Lorenzo Baroni) è un " ragazzo di buona f a m i gl i a " : finisce dentro, e la sua
detenzione è un congegno a orologeria, innescato trent ' anni prima. GIÀ, LA FAMIGLIA: il padre, Gil
(Fabrizio Ferracane), ha fatto i soldi con le costruzioni e, diremmo, incastri non sempre adamantini; la
madre, Eloisa (Isabella Ferrari), ha la bellezza delle donne levigate dal dolore e stordite dall ' indecisione.
Ma il triangolo non è solo familiare, ce n ' è un altro: amicale, di q u e ll ' amicizia cresciuta e coltivata da
bambini che non se ne va più, qualunque cosa succeda. Fosse pure un segreto di sangue spartito ancora
con i calzoncini corti negli anni ' 70, nella Trieste raggiunta dalla nostra emigrazione interna: " terroni " , dal
Sud per (ri)farsi una vita con le proverbiali valigie di cartone e uno stuolo di ragazzini al seguito.
GIOCAVANO in cortile, sfioravano - e qualcosa di più ... - gli anni di piombo e legavano i propri destini,
erano tre: Gil, il poliziotto Vinz (Giorgio Panariello) e il medico Saro (Thomas Trabacchi). Ebbene, la
capacità attrattiva di Gil affonda ancora in quel segreto, e sia Vinz che Saro non possono sottrarsi: devono
aiutare, almeno, devono esserci. A fare il primo passo è Vinz, che in quel Teo ravvisa il figlio dell ' amico:
riusciranno i nostri a evitargli la prigione? Non sarà facile, soprattutto, non sarebbe giusto, ma l ' amicizia ha
delle regole che la legge non conosce: se non tutti per uno, sarà Uno per tutti , il nuovo film di Mimmo
Calopresti, prodotto da Minerva Pictures con Rai Cinema, da oggi nelle nostre sale distribuito da
Microcinema. Liberamente ispirato a l l ' omonimo, fortunato romanzo di Gaetano Savatteri (Sellerio), segna
per Calopresti il " ritorno alla finzione, dopo i documentari che ho girato per interpretare la realtà " , da La
maglietta rossa del tennista Adriano Panatta (2009) a La fabbrica dei tedeschi , docu-fiction (2008) sulla
tragedia della Thyssen. QUI CAMBIA lo statuto, la finzione prende il testimone dal cinema della realtà, ma
non mutano le focali corte sul nostro essere qui e ora, l ' hic et nunc ita liano: " Oggi tutti vogliono occuparsi
del futuro, ma per me è incomprensibile. Bisognerebbe ancorarsi alla forza del passato, alla memoria,
mentre tutti parlano di un futuro non verificabile, di idea della speranza, retorica del sogno. Piuttosto, stiamo
attenti a non finire negli incubi " . La politica fa da costante sottotesto all ' intero film, affiorando nelle
aderenze più o meno criminali di Gil, l ' in certezza della pena e le lamentazioni del poliziotto Vinz,
separato, un figlio a carico e con stipendio da fame: " Pensavo avrei fatto qualcosa di simile a True
Detective o Gomorra , viceversa, questo è un poliziotto reale, con la difficoltà di arrivare a fine mese e
mezzi inadeguati a combattere il crimine " . Ma anche il malessere senza distintivo è molto contemporaneo,
è quello di " do nn e che han fallito come mogli e madri: la mia Eloisa - dice la Ferarri - fa buddismo e tai chi
per trovare pace, ma dentro ha una sofferenza insanabile " . Non casualmente, il genere d ' elezione di Uno
per tutti è il noir , Trieste una Marsiglia in sordina, i tre sono ex amici divisi dalle alterne fortune, riuniti dalla
co nsap evol ezza che il meglio sia comunque alle spalle, siano pure quelle di ragazzini distrutti dal caso:
Calopresti gira senza fronzoli, mette il metronomo tra Storia e storie, tira dritto su qualche incongruenza e
giro a vuoto di sceneggiatura, si fida dei suoi attori, compreso il Panariello che non t ' aspet ti, poliziotto
vinto e verosimile. NO, LA COMICITÀ non abita qui, perché i bambini sono divenuti padri, e quel piombo
ricade sulle puncicate dei figli: altro che Uno per tutti , si salvi chi può. Ma la gioventù, di oggi come di
allora, è sempre fottuta. 1 Hunger Games 4.008. 398 euro Tot id. in 4 gg 2 Spectre 1. 274.100 euro Tot
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Cinema IL FILM DA VEDERE
26/11/2015
Pag. 18
diffusione:41548
tiratura:96288
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10.988.772 euro in 3 sett 3 Matrimonio al sud 946.127 euro Tot 2.645.937 euro in 2 sett 4 Pan 781.672
euro Tot 2.301.365 euro in 2 sett Box Office Il cast Giorgio Panariello Fabrizio Ferracane. Con loro Isabella
Ferrari
26/11/2015
Pag. 12
diffusione:10709
tiratura:41364
Hansel e Gretel 2.0 sperduti nella casa degli orrori
Il regista del «Sesto senso» utilizza lo stile finto doc alla «Blair Witch Project» per raccontare i disagi di una
famiglia disfunzionale
G.D.V.
Dai tempi gloriosi di Il sesto senso , Unbreakable e Signs , quando gli studios facevano a botte per lavorare
con lui, e dopo che la sua love story con l'industria si è conclusa con un flop di troppo, Lady in the Water , e
l'infelice idea di autorizzare un libro su quell'esperienza, Man Who Heard Voices, M. Night Shyamalan
esiste in uno strano purgatorio del cinema hollywoodiano, inspiegabilmente esiliato tra film per bambini più
belli di quello che sembrano ( L'ultimo dominatore dell'aria) , le grinfie di Will Smith e famiglia (lo
stranissimo After Earth) e una serie Tv ( Wayward Pines ) che non è male anche se molto rubacchiata da
Twin Peaks di David Lynch. L'ultima incarnazione del regista di Philadelphia arriva targata Blumhouse
Productions, l'inventiva factory di Jason Blum, specializzata in horror micro budget come Insidious , The
Purge e i Paranormal Activities , e in indie di qualità come Whiplash. Si tratta di uno strano abbinamento
per un autore di serie A come Shyamalan. Ancor più strana, per questo formalista, cresciuto ispirandosi ai
raffinatissimi meccanismi della paura di Hitchcock, la scelta di buttarsi nel filone «sporco» del found footage
, reso celebre da The Blair Witch Project , e stra-sfruttato da allora con risultati quasi sempre poco
interessanti. Fortunatamente, Shyamalan è riuscito a fare di The Visit un film abbastanza suo, e quindi
notevole. Intanto la premessa, dietro a cui si celano un bel po' di Cappuccetto rosso e di Hansel e Gretel
(fiaba ripresa magistralmente anche da John McNaughton l'anno scorso): una mamma single e un po'
distratta (la brava attrice teatrale newyorkese Kathryn Hahn) decide di mandare i suoi bambini, Becca e
Tyler, in visita dai nonni, che loro non hanno mai visto né conosciuto, e con cui lei, per ragioni misteriose,
ha rotto da molti anni. Prototipi perfetti della selfie generation, i due bambini decidono di trasformare
l'esperienza in un film, che è quello che noi vediamo sullo schermo. Ben presto, seguiamo i giovanissimi
filmmakers, e il loro irrequieto occhio elettronico, nella fattoria dei nonni, sperduta in mezzo alle campagne
nevose della Pennsylvania che hanno fatto da sfondo a parecchi dei film di Shyamalan. Il gotico americano
alla Grant Wood incontra i monologhi interminabili e lo stile shaky-cam del finto doc da terzo millennio.
Nana e Pop Pop, sembrano due vecchietti da cartolina, secchi e austeri, eppure affettuosi. Ma, ovviamente,
c'è qualcosa sotto. Cosa fa Pop Pop in quella legnaia in cui a loro non è concesso di entrare? E quale
creatura sghignazzante sfreccia veloce sotto gli assi del pavimento? Cosa sono quei rumori orribili che si
sentono di notte? Un sorriso sinistro e un'aria assente appaiono cominciano ad apparire sul volto della
nonna. Il nonno spiega contrito che è malata. Lei spiega contrita che lui è incontinente. Siamo vecchi,
dovete capire...Dal ponte dell'orribile nave da crociera su cui si è imbarcata con il fidanzato, la mamma
saluta via skype, sempre un po' alticcia perché si diverte, e con le lacrime agli occhi perché le mancano i
bimbi. Sentendosi un mix tra Orson Welles e Nancy Drew, Becca decide di trasformare il suo film in una
detective story. Anche se terrorizzato, Tyler le da man forte con una seconda telecamera. Shyamalan si
diverte a forza di corridoi, scale, porte e cunicoli -i luoghi chiusi gli sono sempre piaciuti. Il suo è come un
rimpiattino con se stesso. Il film ha momenti decisamente sinistri e paurosi, specialmente nell'ultima parte.
Un che di impietoso nello sguardo, sia sulla vecchiaia che sull'infanzia, alza ulteriormente la posta. Ma, si
sente, per Shyamalan, The Visit è come ingannare il tempo. In attesa di qualcosa che meriti veramente il
suo talento.
Foto: THE VISIT DI M. NIGHT SHYAMALAN, CON OLIVIA DEJONGE E ED OXENBOULD, USA 2015
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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Horror /STRANIANTE FIABA NERA A PICCOLO BUDGET
26/11/2015
Pag. 13
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tiratura:41364
Morricone per Tarantino
Annunciata per il 18 dicem bre la pubblicazione della colonna sonora di «The Hate ful Eight», il film di
Quentin Tarantino che uscirà nei cinema americani il 25 dicembre. Si tratta di musiche composte da Ennio
Morricone commissionate - ed è la prima volta che accade - direttamente dal regista di «Pulp Fiction». Fino
ad oggi, infatti, Tarantino aveva utilizzato brani già editi del compositore romano nei suoi precedenti lavori.
Per Morricone, poi, è un ritorno a un film western a 45 anni di distanza dal «Buono, il brutto e il cattivo» di
Sergio Leone. Oltre alle musi che originali, l'album contiene una selezione di canzoni e parti dei dialoghi del
film per un totale di 28 tracce. JENNIFER LAWRENCE REGISTA Ora che ha chiuso definitiva mente con la
saga di «Hunger Games», Jennifer Lawren ce ha in progetto di dedicarsi alla regia, almeno per il prossimo
capitolo della sua carriera: «Sto per girare una commedia - ha raccontato al settimanale Entertainment
Weekly». «Si intitola 'Project Delirium' e si ispira a un arti colo dedicato a un esperimento di psichiatria
avvenuto negli anni '60». L'attrice premio Oscar ha inoltre annunciato di stare contemporaneamen te
scrivendo la sceneggiatura di una commedia insieme a Amy Schumer: «Nella storia siamo due sorelle.
L'abbiamo quasi ultimata». Il suo prossimo film - il terzo con il regi sta David O. Russell, si intito la «Joy» e
sarà nelle sale il giorno di Natale.
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COLONNA SONORA
26/11/2015
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«Bella e perduta» smontato, Cinecittà protesta
-Uscito giovedì scorso «Bella e Perduta» di Pietro Marcello, che ha chiuso il week end con una media copie
di oltre 2 mila euro - è stato smontato da alcune sale: «senza giustificazione in rapporto ai risultati ottenuti»,
si rammarica Roberto Cicutto, presiden te e Amministratore delegato Istituto Luce-Cinecittà, che in una
nota ricorda che l'Istituto Luce per atto di indirizzo del Ministro dei Beni e delle Attività culturali, distribuisce
opere prime e seconde sostenute dal contributo statale e coprodotte da Rai Cinema, «che però trovano
spesso nell'esercizio cinematografico il più grande ostacolo alla propria circolazione». E continua: «È diritto
degli esercenti scegliere i film da programmare, ma non è giustificato il pregiudizio con cui molto spesso le
opere prime e seconde vengono accolte. O si creano le condizioni per attivare e migliorare tutti gli strumenti
possibili (Schermi di qualità, sostegno da parte del circuito FICE...) risolvendo una gra ve stortura nel
sistema della distribuzione in sala, oppure si produce solo spreco di danaro pubblico». E chiosa: «In queste
condizioni il LUCE non può garantire una dignitosa distribuzione in sala ed è evidente che le condizioni
date innescano un corto circuito per cui film sostenuti da soldi pubblici difficilmente recuperano
l'investimento».
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LUCE
26/11/2015
Pag. 13
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Il film censurato sulla fine del Duce
Giuliana Muscio
Tragica alba a Dongo era un film perduto prima ancora di esistere, nel senso che non era mai stato
proiettato. Girato nel 1950 dal giornalista Vittorio Crucillà e restaurato ora dal Museo del Cinema di Torino,
racconta la cattura di Mussolini (e di Claretta Petacci) a Dongo e la notte da loro trascorsa nella casa dei
De Maria prima della fucilazione. Questa «pagina di storia visiva» come dice la didascalia iniziale, è una
docu-fiction rigorosa nella cronologia e nella messa in scena, visto che utilizza alcuni partigiani che
avevano partecipato all'azione e gli stessi coniugi De Maria nella loro la casa. Sgradito sia alla famiglia di
Mussolini poiché la donna accanto al Duce nell'ora fatale era la sua amante, che ai paesani di Dongo, in
quanto la fucilazione era opera di partigiani venuti di fuori (per non parlare della sparizione del bottino che il
duce si portava dietro, l'«oro di Dongo») il film, dalla strana durata di 38 minuti, non fu mai proiettato in sala
. La censura di Andreotti gli negò persino il visto per l'esportazione, con la motivazione che avrebbe portato
disdoro alla patria. Così si era ridotto infatti in guerra fredda il ricordo della Resistenza, qui proposta senza
retorica garibaldina (nella colonna sonora citazioni di canti risorgimentali) e con la scelta di mostrare
Mussolini e Petacci solo di spalle o come ombre, per preservare la qualità documentaristica del film - un
neorealismo alla De Santis, con monumentalizzanti primi piani sovietici, dal basso, dei partigiani, contrasti
di luce e ombra e il dramma sentimentale della Petacci aggrappata al suo uomo (quando lo storico
Giovanni De Luna ha ricordato invece come la pubblicazione del suo epistolario la riveli lucida compagna di
strada.) Prima che la vita cambi noi di Felice Pesoli racconta il cosmopolitismo del movimento hippy
milanese prima degli anni di piombo, con materiali di repertorio, filmini amatoriali e interviste: il salotto
alternativo di Pivano, le reazioni della stampa borghese ai «capelloni», la musica, le droghe, le comuni, i
viaggi in India e soprattutto le attività di «Re Nudo», la rivista perno del movimento - una cultura che ha
inciso sulla storia sociale molto più della «lotta armata» con cui ha finito per essere sussunta. Per quel che
concerne il concorso Torino 33, per ora niente di eccezionale, ma neppure da lamentare; fresco e ben
scritto il messicano Sopladora de Hojas, in cui tre ragazzini (il grasso, il bello e il buono) cercano in un
mucchio di foglie secche un mazzo di chiavi, svelando la loro inadeguatezza generazionale e il distacco
emotivo dai «grandi»; e d'altro canto il cinema messicano ben figura al festival con Te prometo anarquia,
già apprezzato a Locarno, o dovremmo dire il cinema latinoamericano, perché si distingue in concorso
anche La patota Paulina che affronta con sensibilità nuova e provocatoria la violenza sulle donne.
L'americano God Bless the Child segue cinque bambini dall'infante alla teenager (strepitosi interpreti)
lasciati a casa da soli da una mamma depressa, nelle loro esplosioni di violenza e in momenti di
commovente tenerezza.
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TFF · Archivi e sorprese
26/11/2015
Pag. 13
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tiratura:41364
Un dinosauro nel Far West
Immersi in una natura iperrealistica e a volte violenta, gli strani incontri dei due protagonisti : un bimbo
bestiale e un grande rettile civilizzato
Giulia D'Agnolo Vallan
Cosa succederebbe se l'asteroide non avesse colpito la terra? La risposta alla domanda da cui è nato Il
viaggio di Arlo, viene anticipata nel prologo, con un'unica, impagabilmente flemmatica, inquadratura
notturna, che segna subito il mood ellittico, buffo e irriverente del film, uno dei più strani, spericolati, e
carichi di energia che la Pixar ha realizzato negli ultimi anni. E, con i dialoghi ridotti al minimo e i suoi
magnifici panorami foto realistici, ispirati al Tetons National Park del Wyoming, scarto molto netto rispetto
all'universo stilizzato e parlatissimo di Inside Out. Al dinosauro timido di questo nuovo film, gli adulti
preferiranno le emozioni colorate al femminile del grande successo di Cannes (favorito all'Oscar per
l'animazione di quest'anno). I bimbi forse no. La storia, ci spiega un cartello, si svolge parecchi milioni di
anni fa. Siccome l'asteroide che avrebbe dovuto sterminare la loro specie ha deviato rotta, i dinosauri non
solo popolano la terra, l'hanno colonizzata, come i vecchi pionieri del Far West. In una conca luminosa, ai
piedi delle montagne innevate e delle valli ripide che hanno fatto da sfondo - tra gli altri - a Il cavaliere della
valle solitaria di George Stevens, Il grande cielo di Howard Hawks e Il grande sentiero di Raoul Walsh e Fai
come ti pare con Clint Eastwood, una famiglia di apatosauri conduce una pacifica esistenza agricola -papà,
mamma e tre figli, di cui l'ultimo, Arlo, è così pavido che persino le spennacchiate abitanti del pollaio
riescono a terrorizzarlo. La scelta del paesaggio, riprodotto nel cartoon in tutta la sua grandiosità e con
verisimiglianza fotografica straordinaria (che contrasta deliberatamene con il disegno semplificato dei
dinosauri), non è casuale: articolato - come tanti film Pixar - nell'arco di un viaggio, e ricco di citazioni colte
dalla miglior tradizione disneyana, Il viaggio di Arlo è soprattutto un western, traboccante dell'amore che il
cinefilissimo gruppo di Emeryville ha per il genere - dai bisonti, ai bivacchi notturni che ricordano quelli di
Pecos Bill in Melody Time, alle musiche, fino ai dettagli delle inquadrature inerpicate sui sentieri rocciosi e
lungo torrenti arrabbiati. Un pauroso temporale colpisce Arlo e suo padre nel corso di una delle spedizioni
in cui il genitore tenta di metter fine alla codardia del figlio minore. Travolto dal torrente in piena, Arlo si
ritrova ferito e paralizzato dalla paura, parecchie miglia giù a valle (la natura del film è bellissima e terribile,
come quella dei romantici). Il viaggio per tornare a casa gli sembra insormontabile, anche perché l'unico
essere che si presenta in suo soccorso è un feroce bambino cavernicolo con gli occhi verdi, che invece di
parlare ringhia o ulula (ancora Pecos Bill) e, camminando a gattoni, divora tutto quello che gli passa
davanti. L'accoppiata tra il dinosauro civilizzato e il bimbo bestiale è una classica trovata Pixar, intorno a cui
si inanella il resto del film, prevedibilmente fatto di strani incontri, come quello con un malinconico
styracosauro, Pet Collector, addobbato di creature esotiche, come un albero di Natale, con degli avvoltoi
preistorici che ricordano quelli di Il libro della giungla (solo più cattivi) e con una famiglia di T-Rex
rancheros, impegnati nella caccia ai pennuti (!) ladri di bestiame che si sono impossessati della loro
mandria. Agli incontri diversi corrispondono paesaggi diversi -deserti, pianure, specchi d'acqua cristallina,
conche di calcare bianco/rosa.. È chiaro che parte del divertimento di chi ha fatto il film è stata l'animazione
iperrealistica della natura (tecnologia già accennata in A Bug's Life-Megaminimondo ma qui evolutissima).
E l'enfasi sul mondo naturale (oltre al leit motiv della perdita di un genitore) ha ricordato a molti Bambi. In
realtà, il film Disney a cui Arlo somiglia di più è probabilmente Dumbo, di cui riprende, oltre al tocco comico,
e al temporale come evento traumatico, anche la sequenza lisergica, quando Arlo e il bimbo selvaggio
fanno una scorpacciata di bacche rosse. I dialoghi ridotti al minimo, lo scarto frequentissimo tra risata,
dolore e paura, il film produce spontaneamente quel roller coaster emozionale tutto di testa che in Inside
Out ci era sembrato fosse rimasto sulla pagina. Molti dei critici americani (a cui in genere è piaciuto) lo
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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ANIMAZIONE · Un viaggio nella preistoria, spericolato e energico, prodotto dalla Pixar
26/11/2015
Pag. 13
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tiratura:41364
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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hanno definito «semplice» e, in alcuni casi, un Pixar di serie B. Ma la semplicità (solo apparente) delle idee
è sempre stata una delle filosofie portanti dello studio di Lasseter, e la voglia di sfruttare a fondo le
possibilità di ogni gag, anche la più transitoria (stupenda la sequenza con le talpe) che si ritrovano qui,
ricordano i momenti migliori della storia dello studio. Quello che il film forse non ha, rispetto a capolavori
come i Toy Story o Wall-e, è la cura incredibile nei dettagli del disegno o l'uniformità del tratto. È la prima
volta che la Pixar distribuisce due film in uno stesso anno -e il taglio dei tempi di produzione si sente e si
vede...In più, durante la produzione, il regista originale di Arlo, Bob Peterson, è stato rimpiazzato dal suo
co-regista Peter Sohn -il che avrà contribuito alla disomogeneità del film. Ma, anche per il pixariano più
convinto, queste imperfezioni sono un prezzo molto piccolo da pagare a fronte di un'esperienza della
visione ricchissima.
Foto: IL VIAGGIO DI ARLO DI PETER SOHN, USA 2015
Foto: «IL VIAGGIO DI ARLO» A DESTRA UNA SCENA DA «TRAGICA ALBA A DONGO»
26/11/2015
Pag. 21
diffusione:48518
tiratura:74334
di SARA CUSARO - LEGNANO - IL CINEFORUM Pensotti Bruni compie sessant'anni. Un'esperienza nata
dalla volontà di un gruppo di ragazzi uniti dalla passione per il cinema. La stessa che tanto tempo dopo
tiene uniti i tredici membri dell'esecutivo attuale. Una realtà dietro la quale si nascondono 400 tesserati che
prendono parte alle proiezioni proposte il mercoledì e il giovedì alla Sala Ratti. Arrivati a sessant'anni ci si
può vantare che «anzi quest'anno abbiamo anche dovuto rimbalzare soci perché non c'erano più
disponibilità; siamo molto contenti! Questo è significativo del fatto che la nostra proposta è apprezzata»
racconta il presidente Sergio Grega, al suo terzo anno in questo ruolo. «Ho iniziato ad interessarmi e sono
entrato nel cineforum con l'università - spiega -. Mi ha insegnato ad apprezzare anche film diversi.
Attraverso questo mi sono creato una cultura di cinema più ampia ed è molto bello impegnarsi in un
progetto culturale che coinvolge così tante persone e che mette al primo posto il gruppo». Sono questi i
valori che si vogliono far conoscere. Tra gli obiettivi prossimo si vorrebbe cercare di tornare nelle scuole. «Il
fatto che sia nato per le scuole e che per anni ci siano state collaborazioni ci spinge a fare in modo di
proporre cinema ai ragazzi. I ragazzi, anche non per causa loro, non sono più molto portati a guardare
cinema di qualità - osserva Grega -. Noi vogliamo far vedere ai giovani che esiste un cinema diverso. Un
cinema che non è fatto solo di visione ma anche di condivisione e dibattito». Perché è questo che
differenzia il cineforum. Il dibattito. E oggi sempre di più sembra che questo stia riprendendo piede. Perché
è necessario «far capire che esiste Netflix ed è giusto, ma non esiste niente di meglio che guardare un film
insieme e parlarne, così poi appaiono aspetti più interessanti; è un modo per comunicare con altri. Non
esiste una ricetta, semplicemente bisogna cercare di proporre film interessanti e far capire il perché della
scelta». PER QUESTO si vuole affiancare le nuove tecnologie, tanto preferite dai ragazzi tra i 14 e i 18
anni. Come? «I modi sono diversi: uno, il cercare di creare un programma (di 30 film) che sia una
mediazione di una serie di aspetti. Film e commedie intelligenti da alternare a film drammatici per avere un
programma eterogeneo ma che rispecchi il criterio della qualità». Ancora. «Proporre serate che siano
sempre più evento» puntando sulla partecipazione di critici ed esperti ad animare la conversazione. Senza
poi dimenticare una delle iniziative che distinguono il cineforum di Legnano da tutti gli altri: "Cinestesia", un
concorso aperto a giovani registi dando la possibilità di proporre i loro cortometraggi».
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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Se la pellicola stimola il dibattito: il cineforum non passa di moda
26/11/2015
Pag. 2
diffusione:26396
tiratura:43828
Per colpa dell'Isis non ci si diverte più
Autodifesa Partiti i corsi di Prefettura e Camera di Commercio Confcommercio Oltre la metà degli esercenti
chiede più sicurezza
Damiana Verucci
Hanno paura, si sentono insicuri e ora, con l'allarme Isis, il senso di smarrimento è ancora più forte. I
commercianti romani stanno peggio di un anno fa. Temono per la loro incolumità e per l'azienda. Non
hanno fiducia nelle leggi che contrastano i fenomeni criminali e percepiscono come problema principale,
onnipresente, l'abusivismo. La fotografia scattata dalla Confcommercio Roma, nella giornata sulla legalità e
sicurezza, su un campione di oltre 6 mila imprenditori è a dir poco allarmante. Rispetto alla media nazionale
Roma è la città dove i protagonisti del mondo produttivo fanno maggiore fatica a sentirsi protetti e al sicuro
nella loro routine quotidiana. A cominciare dalle dirette o indirette esperienze con i vari fenomeni criminali.
Diciannove imprenditori su 100, ad esempio, hanno avuto un'esperienza sia personale che attraverso
parenti o amici di criminalità, soprattutto furti e dalle rapine, e poi a seguire usura ed estorsione. Ben 16 su
100, invece, hanno avuto a che fare con la criminalità indiretta e la percentuale è in aumento rispetto allo
scorso anno, mentre 8 su 100 l'hanno subita. Se poi domandi loro se si sentono più o meno al sicuro
rispetto ad un anno fa, il 32% risponde meno e solo il 2% di più. «È un dato, quest'ultimo - ha commentato
il presidente di C o n f c o m mercio Roma, Rosario Cerra - che deve far riflettere. La dice lunga sull'aria
che si respira nella Capitale e che dopo gli attentati di Parigi è diventata molto più pesante. Ma è un dato
dal quale bisogna ripartire chiedendo allo Stato una maggiore presenza delle forze dell'ordine sul territorio,
che può servire da forte deterrente per il contrasto alla criminalità». I commercianti tentano di difendersi da
soli e il 79% di loro ha assunto negli ultimi tempi almeno un'iniziativa, dalle telecamere all'assicurazione fino
alla vigilanza privata, perché il 55% (contro il 45% a livello nazionale) ritiene assolutamente non efficaci le
leggi che contrastano i fenomeni criminali. Tra i problemi principali vissuti da chi ogni giorno alza la
saracinesca del proprio negozio c'è la presenza di abusivi, nomadi, negozi sfitti, tossicodipendenti, spaccio
di droga. Insomma degrado che si somma a degrado e che, come sostiene Cerra, «aumenta la percezione
di insicurezza della città». Gli attentati a Parigi non hanno fatto che peggiorare le cose. I dati diffusi dalla
Confcommercio, anche in questo caso sono allarmanti: -6% di disdette negli alberghi; -25% nei ristoranti
con punte del 50% in centro; -20% nei cinema. Una situazione che preoccupa anche il Campidoglio. «La
legalità è un diritto che dobbiamo assicurare alle tante imprese romane che operano nelle regole - ha
dichiarato il sub commissario del Comune di Roma con delega alle attività produttive, Giuseppe Castaldo per questo c'è la piena disponibilità del Comune e della gestione commissariale a lavorare su questi temi.
Domani (oggi, ndr) alle 16 ci sarà un incontro in Campidoglio con le associazioni di categoria rapp r e s e n
t a t i ve». Intanto sono partiti i corsi di formazione/auto difesa per i commercianti organizzati da Camera di
Commercio e Prefettura: all'inizio coinvolgeranno gli esercenti che hanno l'attività sui percorsi giubilari.
Cinema
Niente file al botteghino Al grande schermo si preferiscono i musei A dare i dati sul calo nei cinema
capitolini è direttamente il presidente della Confcommercio Roma, Rosario Cerra. E quel -20 per cento di
presenze nelle sale cinematografiche di tutta la Capitale risuona forte e chiaro in mezzo ad altri dati
snocciolati ieri nel corso della giornata della legalità e sicurezza organizzata dall'Associazione. «Il calo c'è
stato - dice Cerra - ed è relativo alla prima settimana dopo gli attentati di Parigi. La situazione sta tornando
lentamente alla normalità anche grazie alla massiccia presenza delle forze dell'ordine sul territorio. Ma la
paura c'è così come la sensazione generale di insicurezza tra le gente e gli operatori commerciali.
Situazione che quantomeno rende più difficoltose scelte prima semplici come uscire, andarsi a vedere un
film o un concerto». Nei botteghini non ci sono più le file di un paio di settimane fa. L'Agis-Anec Lazio
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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Dossier La paura di attentati svuota locali e musei A Roma crolla del 50% il consumo di cultura e svago
26/11/2015
Pag. 2
diffusione:26396
tiratura:43828
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
sostiene che molto è dipeso dal blocco programmato delle auto e da una programmazione cinematografica
di livello più basso rispetto alla settimana prima. Fatto sta, basta girare questi giorni tra i cinema più
importanti della Capitale per accorgersi che molte poltrone restano vuote. Difficile parlare invece dei
concerti e dei musei legati all'allarme Isis. La manifestazione Musei in Musica ha registrato 25 mila
presenze, inferiori a quelle dell'anno scorso ma non direttamente riconducibili agli attentati, secondo gli
organizzatori. Quanto ai concerti è presto per dire se ci sono state ripercussioni negative visto che i live più
importanti hanno fatto sold out. C'è da dire che i biglietti dei concerti che si tengono in questi giorni a Roma
sono stati acquistati mesi fa. Dunque, per essere sicuri di eventuali cali di vendite, bisognerà aspettare le
prossime settimane. D.V.
Movida
Chiusure anticipate pochi i giovani nelle piazze e nei locali I locali notturni sono stati tra i più colpiti
dall'effetto Isis. Fin dalle prime ore dagli attentati di Parigi, romani e turisti hanno preferito restare a casa e
anche una semplice passeggiata sotto le stelle è stata avvertita come un pericolo. Il risultato sono state le
piazze della movida semi deserte e un calo sensibile della clientela e di conseguenza degli affari. I dati
diffusi dalla Lupe -Confesercenti sono chiari. «Registriamo decrementi di incassi tra il 30 e il 40 per cento
da lunedì scorso rispetto a solo una settimana prima - spiega Fabio Mina, presidente Lupe - alcuni locali di
Campo de' Fiori, ad esempio, hanno chiuso prima del solito. C'è da dire che il freddo pungente di queste
sere non ha aiutato, ma secondo i gestori il calo è dovuto più che altro alla paura di attentati perché è
quello che raccontano i frequentatori abituali dei posti al chiuso». I luoghi del centro sono senza dubbio
quelli ad aver subito le peggiori conseguenze di questo stato generale di pre allerta. In particolare Ponte
Milvio, dove lo "struscio" notturno è pressoché sparito, ma anche a Campo de' Fiori, Trastevere, San
Lorenzo. A Trastevere sabato scorso già da mezzanotte i locali erano semi deserti, fatto piuttosto insolito il
sabato e alcuni hanno preferito chiudere molto prima delle "solite" due di notte. A San Lorenzo, altra zona
molto frequentata dai giovani, non c'era il via vai che contraddistingue le notti del weekend anche d'inverno.
Per non parlare dei locali più in periferia: il calo degli incassi in questo caso ha sfiorato il 50% in soli dieci
giorni. D.V.
Negozi e centri commerciali
Strade del centro vuote Shopping travolto dalla paura degli attentati Non solo non c'èla minima aria
natalizia in giro per i negozi capitolini, ma lo shopping è stato letteralmente travolto dalla paura degli
attentati. Soprattutto in centro sono pressocché spariti anche i turisti. È David Sermoneta, presidente
dell'Associazione Piazza di Spagna, a confermarlo: «In giro la gente non c'è e dal giorno degli attentati la
situazione è visibilmente peggiorata. È vero che i negozi erano già semi vuoti prima per colpa della crisi,
ma ora è evidente che i consumatori hanno paura». Il problema è anche il degrado di Roma e del suo
centro storico, secondo Sermoneta. «Quando ci si guarda in giro e si vede abusivismo, sporcizia per terra,
scritte sui muri, non si invoglia certo la gente a girare per le strade in centro o a comprare nei negozi.
Bisogna cominciare dalle cose piccole per far tornare a romani e turisti il desiderio di appropriarsi della loro
città». Camionette dell'esercito, forze dell'ordine in giro per il centro disincentivano fenomeni come
l'abusivismo, secondo il presidente di Piazza di Spagna, ma non bastano: «Si vedono per lo più fuori dalla
stazione delle metro, molto meno in giro. E poi bisogna vedere se questi militari sono preparati a
contrastare il terrorismo. Mi viene anche il dubbio che concentrando i presidi in centro, in periferia cosa
resta?». C'è molto da fare anche secondo Valter Giammaria, presidente di Confesercenti Roma.
«Purtroppo i negozi sono in costante perdita. La paura di attentati a Roma non aiuta e non invoglia lo
shopping. Stiamo in periodo pre natalizio e non c'è la minima aria di festa. La speranza è che i
commercianti tornino ad essere sereni e che il terrorismo non intacchi più di tanto le loro abitudini ma certo
non è facile vedere la luce infondo al tunnel». D.V.
26/11/2015
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tiratura:43828
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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-50% Ristoranti in centro Sensibile il calo della clientela nei ristoranti del centro, in periferia la diminuzione
registrata è del 20%
-20%
Cinema
La paura di attentati ha tenuto i romani in casa, colpiti i grandi multisala e non solo del centro storico
-6%
Alberghi
Dopo gli attentati di Parigi le prenotazioni hanno subito prima un arresto e poi il calo per fortuna non a 2
cifre
Teatri
Spettacoli deserti per giorni Allarmismo rientrato Il pubblico torna in platea Dai teatri la gente ha
iniziato a stare alla larga subito dopo gli attentati di Parigi, disertando prime, spettacoli, in qualche caso
chiedendo perfino se c'era la possibilità di bloccare gli abbonamenti. Ora, piano piano, si cerca di tornare
alla normalità ma una prima fase di grande disorientamento c'è stata, inutile negarlo. Valerio Toniolo è
l'amministratore delegato dell'Auditorium Teatro Conciliazione. Il teatro si trova a due passi da uno dei
maggiori punti ritenuti più sensibili nella Capitale, San Pietro. «Abbiamo vissuto una fase di sbandamento
generale i primi due, tre giorni dall'attentato - conferma Toniolo - anche se abbiamo riscontrato da subito
una grande attenzione da parte delle forze dell'ordine, che del resto c'era anche prima dei fatti di Parigi,
visto che siamo comunque in una zona particolare. Il teatro ha continuato con la sua programmazione di
sempre, tenendo però gli occhi ben aperti senza comunque mai dare l'impressione alla gente che potesse
esserci pericolo. «Le forze dell'ordine hanno l'elenco degli eventi e dei concerti in programmazione, è
chiaro che la zona è grande e non si può controllare a 360 gradi - continua Toniolo - ma lavoriamo per
garantire la massima sicurezza ai nostri frequentatori e siamo tranquilli con la massiccia presenza della
polizia in giro per le strade». Insomma, dopo una prima fase di allerta ora paura e allarmismi sembrano
essere rientrati: i biglietti nei teatri si stanno ricominciando a vendere sebbene la cautela regni ancora
sovrana, quasi come se gli habitué di teatri e spettacoli culturali avessero ancora bisogno di un po' di tempo
per riprendersi. D.V.
Ospitalità
B&B, case vacanze e 5 stelle I turisti dei tour europei hanno annullato i viaggi Ha influito anche sugli
arrivi nella Capitale l'effetto Isis. Secondo i dati diffusi dalla Confcommercio si sono registrate circa il 6%
delle disdette alberghiere e anche tutto il settore dell'extralberghiero ne ha risentito, a cominciare dai b&b e
case vacanze. A mancare sono stati soprattutto i turisti del sud est asiatico che avevano programmato il
loro viaggio nella Capitale accanto a mete come Londra o Parigi. «Subito dopo gli attentati di Parigi
abbiamo istituito un osservatorio per monitorare la situazione negli alberghi - fa sapere Giuseppe Roscioli,
presidente Federalberghi Roma - purtroppo ci sono state moltissime disdette soprattutto da parte di turisti
che avevano organizzato un tour nelle capitali europee, quindi Parigi, Londra e Roma e dopo gli attentati
hanno deciso di fermarsi. Anche se proprio nelle ultime ore mi risulta che chi aveva programmato un giro
nelle capitali europee abbia tolto Parigi ma lasciato Roma». La situazione coinvolge in particolar modo le
strutture alberghiere del centro, che sono poi circa l'80% del totale degli alberghi a Roma e riguarda un po'
tutte le categorie da una fino a cinque stelle. Soltanto negli ultimi due tre giorni la situazione sembra essere
tornata sotto controllo anche se, dice Roscioli «è come se in generale i turisti stessero riflettendo se è il
caso di venire a Roma oppure no. In un certo senso si stanno dando del tempo per vedere cosa accadrà
nei prossimi giorni». Questo è importante alla luce del Giubileo straordinario ormai prossimo. «L'andamento
è già piuttosto negativo - continua il presidente Federalberghi - la speranza è che la paura dell'Isis resti un
ricordo nella mente di tutti e si possa ripartire con la domanda turistica». D.V.
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Ristorazione
Dalla colazione alla cena cala il numero degli avventori in bar e trattorie Anche la colazione al bar e la
cena al ristorante subisce il contraccolpo Isis. Sono diminuite le vendite del classico cappuccino e cornetto,
sono crollati, in alcuni casi, i coperti al ristorante. Le scene della sparatoria nei bistrot di Parigi non hanno
lasciato di certo indifferenti i romani che dai primi giorni dopo l'attentato in Francia la colazione e la cena
hanno preferito, evidentemente, consumarla all'interno delle proprie mura domestiche. Fabio Spada,
presidente Fipe-Confcommercio Roma, lo conferma: «Abbiamo registrato una diminuzione degli incassi
solo per i ristoranti del 20-30 per cento con punte del 50% in centro. A calare è stata soprattutto la clientela
adulta, molto meno quella giovanile, che forse osserva tutto quello che c'è intorno con maggiore ottimismo.
Si pensi soltanto che in alcuni locali del centro si è passati dai 240 coperti di media a settimana a 180 e
questo in soli sei, sette giorni. Basta poi guardarsi in giro queste sere, c'è poca gente nelle piazze e in giro
per le strade». Ad averlo notato è anche Claudio Pica, dell'associazione bar e gelaterie di Roma e
provincia. «Nei bar in questi giorni non si parla d'altro anche se la diminuzione degli incassi è minore
rispetto a quella nei ristoranti, siamo intorno al 15% in meno. È comunque significativo di uno stato
generale di paura che ha modificato, almeno in parte, le abitudini dei romani». Questo si nota anche nel
momento della pausa pranzo. «Sono calate le file nei posti dove si fa tavola calda - continua Pica - il calo è
molto più evidente negli esercizi pubblici del centro e delle zone vicine ai punti cosiddetti sensibili».
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Pag. 76 N.48 - 29 novembre 2015
diffusione:327984
tiratura:382575
Il mio duello a colpi di parole
NEL FILM TRATTO DA UNO SPETTACOLO TEATRALE, L' ATTORE E REGISTA METTE IN SCENA
UNA BATTAGLIA TRA DUE COPPIE. E SOPRATTUTTO TRA DONNE E UOMINI. «PERCHÉ L'AMORE
DA SOLO NON BASTA»
Eugenio Arcidiacono
Sergio Rubini arriva con passo svelto all'appuntamento in una libreria nel cuore di Roma. Dobbiamo
parlare, proprio come recita il titolo della sua nuova commedia. Qui si tratta di un'intervista, ma di solito
questa frase viene rivolta dalle donne agli uomini e per loro non preannuncia nulla di buono. «Mi è capitato
di sentirla parecchie volte», dice l'attore e regista. «E da maschio sono stramazzato al suolo e sono fuggito
per la paura di sapere cosa si nascondeva dietro queste parole. Noi siamo più abituati a parlare di sponda,
questa frontalità è tipicamente femminile». Ma il dirsi tutto fa bene all'amore? Attorno a questa domanda
ruota il film, che prima di approdare al cinema è stato "rodato" a teatro e a teatro tornerà, sempre con lo
stesso gruppo di attori: oltre a Rubini, che interpreta lo scrittore Vanni, ci sono Isabella Ragonese (la sua
compagna Linda), Fabrizio Bentivoglio (il motore comico del film nei panni di Alfredo, un cardiochirurgo che
parla solo in romanesco, di inarrivabile cinismo) e Maria Pia Calzone (la "donna Imma" della serie Gomorra,
qui nei panni di Costanza, la moglie del luminare). Il film inizia con Alfredo e Costanza, una coppia di ricchi
borghesi di destra, in crisi perché lei ha scoperto il tradimento di lui, che piomba a casa degli amici Vanni e
Linda, intellettuali di sinistra e apparentemente innamoratissimi. Eppure si scoprirà che sono proprio loro i
più fragili. Perché? «Hanno fatto della parola il loro lavoro e sono convinti di aver costruito il loro rapporto
sulla reciproca lealtà, sul fatto di dirsi sempre tutto. Mentre nel corso della serata si scoprirà che questa
realtà è fittizia e basata solo sugli aspetti più superficiali del loro vivere insieme, come il fatto di condividere
gli stessi interessi». Lei a un certo punto rimprovera lui di non aver voluto un figlio... «Fino a quella sera
sono stati convinti di vivere in una perenne avventura, in cui ci si sceglie giorno per giorno, in cui l'amore
basta a tutto. Invece Linda si accorge di aver vissuto in una sorta di limbo di irresponsabilità. Il non aver
fatto scelte importanti le ha impedito di crescere e di realizzarsi nel lavoro e come donna. Lei, la più
giovane dei quattro, si assume il ruolo di guastafeste con il suo desiderio di autenticità che squarcia il velo
di bugie e di ipocrisie su cui si reggevano fino a quel momento tutti i rapporti». A proposito di menzogne, lei
è stato lanciato da Fellini con "Intervista". Il regista era noto per essere un grande bugiardo. Lo fu anche
con lei? «Nel film interpreto lui stesso, ma Fellini non me lo disse mai. Si raccomandò solo che mi depilassi
per darmi un'aria meno da "terrone" perché dovevo sembrare un riminese... Poi mi chiese: "Di che segno
sei?", "Sagittario", risposi io. Ma quando mi 4 * presentava agli altri ripeteva sempre: "Questo ragazzo è del
Capricorno come me". Fellini era un giocherellone che attraverso le sue bugie, mai dette con malizia,
costruiva un mondo». Andrea Camilleri è invece stato suo insegnante all'Accademia di arte drammatica. Di
lui che ricordo ha? «Una volta ci raccontò che quando andò via da Porto Empedocle fece un patto con sé
stesso: sarebbe tornato solo quando avesse dimenticato il numero delle colonne del Palazzo Comunale.
Quel racconto mi ha accompagnato quando ho deciso di seguire questa strada. Per molti anni è stato
difficile tornare in Puglia perché anch'io, come tutti quelli che dal Sud si trasferiscono al Nord a cercare
fortuna, avevo il timore di non farcela. Per questo dovevo trovare la forza di staccarmi dalle mie radici». Ha
interpretato uno dei due ladroni in "La Passione di Cristo" di Mel Gibson. È stata una bella esperienza?
«Per niente, l'ho vissuta con grande sofferenza. Mentre ero sulla croce, sotto di me c'era una pletora di
sacerdoti lefebvriani che ci mostrava l'ostia consacrata. Mel Gibson poi mi invitava tutti i giorni ad andare a
Messa con lui, cosa contro cui non ho nulla in contrario in sé, ma lui lo faceva perché pensava che così il
film sarebbe venuto meglio. Se sono Robert De Niro e devo interpretare il pugile Jack La Motta, ha senso
che ingrassi trenta chili per assomigliare a lui. Ma lo stesso metodo non si può applicare con Gesù. Quando
il film uscì con grande successo, mi arrivò una busta: dentro c'era un biglietto da visita della casa di
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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• IN ITALIA E NEL MONDO / SERGIO RUBINI IN "DOBBIAMO PARLARE"
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produzione di Gibson che ha come logo il Cristo, accompagnato da un assegno. A prescindere dal mio
rapporto con la fede, io una cosa così non l'avrei mai fatta. Per uno come me, a cui hanno insegnato che
quando ti cade un pezzo di pane bisogna raccoglierlo da terra e baciarlo, il sacro è un'altra cosa». •
ASSUNTA SERVELLO
COMMEDIA FATTA IN CASA Da sinistra: Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese e
Sergio Rubini, protagonisti della commedia "Dobbiamo parlare", interamente girata da Rubini in un
appartamento romano.
DAL TEATRO AL CINEMA AL TEATRO A sinistra, dall'alto: Sergio Rubini con Margherita Buy (che è stata
sua moglie) in "La stazione"; con Vittoria Puccini in "Colpo d'occhio" e con Stefano Accorsi in "La nostra
terra". Sopra: ancora il cast di "Dobbiamo parlare" che, dopo il cinema, tornerà a teatro.
26/11/2015
Pag. 45
diffusione:50768
tiratura:66494
Il primo cinepanettone è "Babbo Natale non viene dal nord"
Il primo cinepanettone è "Babbo Natale non viene dal nord"
da oggi nelle sale
ROMA Un padre sconclusionato, molto distratto e dichiaratamente del Sud. Una figlia irrisolta, che sogna
di fare la cantante (ma è identica ad una artista vera) e che piomba alla vigilia delle vacanze di Natale per
risolvere i suoi problemi con gli uomini. Arriva oggi nelle sale italiane, distribuito in cento copie, il film 100
copie "Babbo Natale non viene da nord", la prima delle pellicole italiane a scendere nell'arena 2015 dei
cinepanettoni. Si tratta del secondo film "di genere" che porta la firma del regista Maurizio Casagrande. Nel
film debutta come attrice anche un volto noto della musica, la giovane cantante Annalisa, che recita
insieme a Giampaolo Morelli, Eva Grimaldi, Milena Miconi, Angelo Orlando e Maria Grazia Cucinotta, che
ha un ruolo nella storia e della pellicola è anche produttrice. «Si tratta di un film low budget che è diventato
love budget - ha scherzato alla presentazione il regista Casagrande - E con la comicità che piace a me:
fatta di dialoghi a due e capace di suscitare divertimento e piacere con la delicatezza».
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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Il primo cinepanettone è "Babbo Natale non viene dal nord" da oggi nelle sale
26/11/2015
Pag. 47
diffusione:43507
tiratura:53907
«Il mio film in basco l'Oscar l'ha già vinto difendendo le lingue»
«Il mio film in basco
l'Oscar l'ha già vinto
difendendo le lingue»
Parla Itziar Ituño attrice di "Loreak" e candidata alla statuetta
Oggi a Udine per il festival delle realtà minoritarie d'Europa
di Anna Dazzan wUDINE Un film interamente girato in euskera, la lingua dei paesi baschi, che conquista
prima la Spagna, poi il mondo intero. Già, perché essere candidato all'Oscar come miglior film straniero per
"Loreak" significa averE già vinto. "Loreak" ("Fiori") è un intenso e coinvolgente dramma sul dolore, sulla
perdita e sull'assenza, temi affrontati in modo originale, con tratti surreali, che ieri è stato proiettato per la
prima volta in assoluto in Italia al Visionario, per il "Suns Europe", l'unico festival europeo delle arti
performative in lingua minoritaria. «Credo che in un film l'aspetto principale sia la storia, una storia scritta
bene. In questo caso, però, il fatto che "Loreak" sia parlato interamente in una delle tre lingue minoritarie
della Spagna ha un forte valore aggiunto». Itziar Ituño, quarantunenne attrice protagonista, era presente in
sala durante la proiezione e ha potuto toccare con mano la forza di un movimento che, come quello basco,
lotta per difendere il suo patrimonio linguistico di origine. «Sono contentissima di essere qui - ci racconta la
Ituño, per la prima volta a Udine - e anche se non conoscevo il festival ne apprezzo moltissimo la natura, lo
scopo. Difendere la lingua minoritaria di appartenenza.. so che anche qui ce n'è una che non vedo l'ora di
ascoltare, è fondamentale per la cultura di ogni paese». E "Loreak", che ha aperto ufficialmente la quarta
edizione della "Mostre dal Cine" il festival europeo sul cinema nelle lingue identitarie organizzato nel quadro
di "Suns Europe", è proprio come il festival friulano che lo ospita. Un piccolo gioiello che fa della tenacia e
della qualità i suoi punti cardine. «Questo è un film che parla di come i fiori vengano usati nella nostra
società per comunicare. Con i fiori si parla di amore, di tristezza, di felicità, loro simbolicamente
attraversano tutti i sentimenti. In "Loreak" si intrecciano delle storie, che gli attori hanno interpretato in
maniera sublime, arrivando al cuore del pubblico di tutta la Spagna, a prescindere dalla lingua usata». Itziar
Ituño, che rimarrà a Udine per l'intera durata del festival, incontrerà il pubblico oggi, alle 16.30, al caffè del
Visionario per continuare a raccontare che «questo film rappresenta un passo, piccolo, ma importante, per
l'accettazione delle lingue minoritarie a livello internazionale». La quarta edizione della "Mostre del Cine",
organizzata dal Cec con il partenariato della Mòstra de Cinèma Occitan e con il Babel Film Festival di
Cagliari, continuerà poi fino a domenica. Tra i titoli in cartellone figurano anche il catalano "La Por" di Jordi
Cadena, il groenlandese "Sume - Mumisitsinerup Nipaa" di Inuk Silis Høegh, il gallese "Y Syrcas" di Kevin
Allen, l'occitano "La Barma" di Fredo Valla - noto anche come sceneggiatore del film di Giorgio Diritti "Il
vento fa il suo giro" - e "Âf Blu", originale opera di animazione in lingua friulana di Serena Di Blasio e Giulia
Spanghero, che affronta con delicatezza il tema del rispetto della diversità. Tra le produzioni in lingua
friulana anche lo spot "+FigoxFurlan, +Sklet/XtremeTV" di Giorgio Cantoni e "Felici ma Furlans" di
Tommaso Pecile e Alessandro Di Pauli. L'ingresso è libero a tutte le proiezioni. Dal 3 al 7 dicembre il
festival Suns Europe proseguirà con "Sunsûrs", la sezione, dedicata a prosa, poesia e teatro, prima della
serata di venerdí 11 dicembre con l'esibizione, sul palco del Giovanni da Udine, di oltre una decina di
gruppi e solisti espressione di altrettante comunità linguistiche d'Europa. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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«Il mio film in basco l'Oscar l'ha già vinto difendendo le lingue» Parla Itziar Ituño attrice di "Loreak" e
candidata alla statuetta Oggi a Udine per il festival delle realtà minoritarie d'Europa
26/11/2015
Pag. 77 N.49 - 2 dicembre 2015
diffusione:195147
tiratura:266048
UN FILM FIRMATO GRAZIA
Si chiama How I Feel ed è il primo cortometraggio realizzato dal nostro giornale con dei giovani talenti .
Protagonista: una coppia che attraversa tutte le emozioni dell'amore. Siete curiosi di vederlo? Leggete qui
come fare
Lucia Valerio
Lui e lei sono seduti al tavolo della cucina, uno di fronte all'altro. Stanno per mangiare, ma qualcosa va
storto e inizia una discussione animata. Ti aspetti che, prima o poi, uno dei due scaraventi un piatto per
terra, ma poi accade qualcosa. E non sei più sicuro che tutto finirà male. Comincia così How I Feel ("Come
mi sento"), il primo film firmato da Grazia che sarà presentato il 30 novembre. Siete curiose di vedere
questo cortometraggio unico? Potete farlo in due modi: richiedendo un posto per la proiezione speciale, in
collaborazione con Bionike, che avrà luogo al Samsung District di Milano (vedi riquadro nella pagina
precedente), oppure collegandovi alle 20,50 su Grazia.it . Ma oltre alla trama raccontata sul grande
schermo, How I Feel è anche una grande storia di ragazzi di talento. È iniziata quando il direttore di Grazia
, Silvia Grilli, ha affidato il compito di realizzare un corto a OffiCine, il laboratorio dedicato alla ricerca
cinematografica nato dalla collaborazione tra Anteo Spazio Cinema e Istituto Europeo di Design. A essere
scelti per realizzare il progetto sono: Marco Gradara , regista, Federico Farci al montaggio, Diego Diaz alla
fotografia, Fabiana Maria Lavezzi alla produzione, tutti partecipanti alla scuola di Alta formazione
FashionFilmLab, sotto la direzione artistica di Marco Pozzi e la collaborazione di Paola Rota. Invece la
sceneggiatrice Alessandra Salvoldi è stata scelta dopo una selezione alla quale hanno partecipato
centinaia di lettrici. Lei stessa si è proposta quasi per gioco, ma il suo coraggio e il suo talento sono stati
premiati: «Sono stata catapultata in un'esperienza bellissima e dalla fine di settembre ho iniziato a lavorare
con il team di OffiCine», racconta lei. «Rappresentare Grazia non è stato semplice: è un settimanale che
definisco "rock", al passo con l'attualità e la moda, che dà una visione sfaccettata del nostro tempo e che
non si rivolge a un solo tipo di donna. L'esperienza più bella, per me, è stata collaborare a tutte le fasi del
progetto e non solo alla scrittura del cortometraggio». OffiCine, infatti, ha seguito per un mese i cinque
"prescelti" nell'ideazione, nelle riprese, nel montaggio, passando per la scelta degli interpreti, della location,
della fotografia, mentre il team di Grazia ha incontrato la troupe nelle varie fasi di lavorazione. «Abbiamo
deciso di raccontare una storia di due persone che vivono diverse emozioni in varie situazioni», racconta il
regista Marco Gradara, che ha costruito la trama concentrandosi sugli sguardi degli attori e raccontando i
loro repentini cambiamenti d'umore cambiando i colori via via nel cortometraggio. «Le tonalità delle diverse
scene sottolineano la forza delle sensazioni dei nostri protagonisti. La loro è una vicenda che parte da un
conflitto e che poi si risolve», dice. «Il tipo di donna che viene rappresentato è determinata,
contemporanea, creativa e molto curata. Racchiude tutte le donne che Grazia racconta ogni settimana. Una
figura carismatica: durante il cortometraggio, ti senti sempre più attratto da lei», conclude il regista. Gli
interpreti del film sono l'attrice francese Caroline Bourg , che vive in Italia da tempo, e l'attore Alessandro
Mor, che ha studiato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. I due sono stati vestiti dalla stylist di Grazia
Emanuela Cipriani, che si è unita alla squadra che ha lavorato per il film: il fonico Andrea Gobbi , gli aiuti
Hooman Gheydi e Giuseppe Valerio Scandiffio , il coordinatore Mattia Colombo e l'assistente per il
montaggio Valentina Cicogna . Come set sono stati scelti da Pachira Location gli spazi di Piano B, a
Milano. «Siamo stati molto liberi nello sperimentare e da parte di Grazia c'è stata una grande apertura e
dimostrazione di fiducia nei nostri confronti. Tanto che ho scritto tantissime versioni del film», racconta oggi
Alessandra Salvoldi. «Alla fine è stata scelta quella che inglobava tutte le emozioni del mondo femminile.
Credo che in molte si immedesimeranno nella vicenda che raccontiamo. La protagonista è la sintesi di tante
donne». MONDADORI PORTFOLIO, HAIR AND MAKE UP: MONICA MIGLIAVACCA@SIMONE BELLI
ACADEMY, MICHELE GARZIANO@AURA PHOTO AGENCY TUTTI INSIEME La troupe e gli assistenti
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Le 10 NOTIZIE
26/11/2015
Pag. 77 N.49 - 2 dicembre 2015
diffusione:195147
tiratura:266048
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 26/11/2015 - 26/11/2015
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sul set del film How I Feel . In piedi, da sinistra: Nicole Marc, Michele Garziano, Alessandra Salvoldi,
Hooman Gheydi, Marco Gradara, Federico Farci, Diego Diaz, Giuseppe Valerio Scandiffio. Seduti, da
sinistra: Francesca Lecce, Monica Migliavacca, Caroline Bourg, Fabiana Maria Lavezzi, Alessandro Mor e
Andrea Gobbi.
il tuo posto Prenota
Il 30 novembre siete invitati a Milano per la serata della première. Scriveteci VOLETE PARTECIPARE
ALL'EVENTO DI PRESENTAZIONE DI HOW I FEEL , IL PRIMO FILM DI GRAZIA ? LUNEDÌ 30
NOVEMBRE ALLE 19,30 INVITIAMO LE LETTRICI ALLA PROIEZIONE DEL CORTOMETRAGGIO AL
SAMSUNG DISTRICT (VIA MIKE BONGIORNO 9, MILANO). PRENOTATE SUBITO IL VOSTRO POSTO
INVIANDO IL VOSTRO NOME, COGNOME E NUMERO DI TELEFONO ALL'INDIRIZZO EMAIL
GRAZIAFILM@ MONDADORI.IT . POTRETE INCONTRARE GLI ATTORI, LA TROUPE CHE HA
REALIZZATO IL FILM E IL DIRETTORE DI GRAZIA SILVIA GRILLI. LA PARTECIPAZIONE AVVERRÀ IN
BASE ALLA DISPONIBILITÀ DEI POSTI. E, SE NON POTRETE ESSERE CON NOI, VI ASPETTIAMO
ONLINE SUL SITO GRAZIA.IT : IL CORTOMETRAGGIO SARÀ TRASMESSO SEMPRE IL 30
NOVEMBRE ALLE 20,50.
Foto: foto di Orlando Salmeri
Foto: VITA SUL SET Sopra, a sinistra, Alessandro Mor e Caroline Bourg, protagonisti di How I Feel . In
alto, a destra, il regista Marco Gradara e sopra, a destra, sul set con i due attori. Accanto, Federico Farci
dietro la macchina da presa con (da sinistra) il fonico Andrea Gobbi, Marco Gradara, Giuseppe Valerio
Scandiffio, Caroline Bourg.