Diwali-Numero4-Donna Immagine In Divenire
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Donna NUMERO 4 Inverno 2014 Immagine in Divenire Sommario www.rivistadiwali.it Contatti: facebook.it/diwalirivistacontaminata [email protected] Direttore Editoriale : Maria Carla Trapani Direttore Responsabile: Flavio Scaloni Redazione: Pietro Bomba, Alessandra Carnovale, Arianna Degni, Laura Di Marco, Mario Lucio Falcone, Valerio Francola, Fabiana Frascà, Giulio Gonella, Letizia Leone Ufficio Stampa: Federica Venni Technical Consulting: Pierluigi Stifanelli Diwali - Rivista Contaminata Trimestrale di Arte - Poesia - Letteratura In copertina: Opera di Graziano Locatelli, Tecnica mista su tavola, 1995 In quarta di copertina: Fotografia di Giulio Gonella Errata corrige: Nel sommario del numero III su ‘Il Vuoto (in)colore’ si legge ‘Vacazio’ in luogo del corretto ‘Vacatio’. A pagina 5, nel saggio di Fabrizio Migliorati ‘Finestre come crinali sul vuoto’, il paragrafo tra ‘In questa miopia ermeneutica’ e ‘che essa sia irreale’ risulta ripetuto. Ci scusiamo con i lettori e con gli interessati. L’Editorial 3 InSistenze 4 Frida di Valerio Francola 5 Un brindisi per la Baronessa Elsa di Helmutt Schilling 10 Del fuoco femminile di Letizia Leone 13 Il palco nudo di @RisoDellaMedusa 15 InVerso 20 Rita Pacilio 21 Fabiana Frascà 23 Roberto Marzano 24 Monia Minnucci 25 Alessandra Carnovale 26 Andrea Borrelli 27 Davide Cortese 28 Marino Santalucia 29 Eugenia Serafini 30 Focus: Gli Haiku di Dona Amati 33 InStante 36 Giada Fettini 37 Clotilde Petrosino 39 Giulio Gonella 41 Veronica Coletta 44 Dema Nomakova 46 Paola Celi 49 InMobile 51 Femminilità: unicità o molteplicità? di Arianna Degni 52 InDicazioni 60 Aporia delle scorie di Fabiana Frascà 61 La ragazza dalle tredici anime di Arthur Schnitzler 62 Dimmi cos’è di Emiliano Bernardini 64 La lente scura di Anna Maria Ortese 65 InChina 67 L’Editorial Non cederemo alle sirene della metafisica, chiedendoci “che cos’è”, la donna. Noi, quest’orizzonte, che segna il limite, la fine e l’origine, della filosofia, intendiamo superarlo. Porci da un punto di vista radicalmente anti-filosofico, ove per filosofia si intenda il grande pensiero occidentale. Non definire, quindi, ma scorgere le linee di fuga, e lasciare che ci attraversino per moltiplicarle, abbandonandoci alle dissolvenze, amplificando le assonanze, fermando i germogli che rimarranno potenza e ponendo atti, che puri non conoscono inizio. Se c’è una possibilità di stare al mondo creando, è lì che si annida, nel margine e nell’eccedenza. Non cos’è la donna, ma la donna, posta appunto come disgiunzione di atto e potenza, come divenire a-dialettico, perché è in questo divenire che si dà la libera soggettivazione dell’individuo in quanto essere sessuato. O anche non sessuato, processo indefinito di soggettivazione che non conosce direzione. Saltare su un treno in corsa di cui non si conosce la destinazione, senza neanche chiedersi dove porti. Una vera rivoluzione, sarebbe rigettare il concetto stesso di direzione. Quel destino che per definizione da sempre ci segna e al quale pensiamo di non avere scampo: maschi e femmine, come marchio indelebile già prima della nascita: il nostro nome, che precede persino la nostra venuta al mondo… E ogni cambiamento di rotta è opportunamente registrato, se non dalla legge, da quel legislatore che è ancor più coercitivo dello Stato: la società, che della forza anonima dell’omologazione è costituita. Eppure, abbiamo la possibilità di scatenare processi inversi, inizialmente semplicemente liberi, poi di autodeterminazione della nostra sessualità. Ciascuno libero di assumere identità, o di disfarsene per sempre, alla ricerca continua di nuove espressioni, che passino per differenziazioni altre che quelle genitali. Se un altro mondo è possibile, passa anche da qui, dal nostro abbandonarci al flusso della nostra energia per riconvertirla in libera costituzione della singola individualità, per sottrarla per sempre all’impresa della ripetizione. Ripetizione, sì, sempre più stanca e disgustosa chiacchiera, che ormai non ci piove addosso solo dai media eterodiretti, ma anche dai cosiddetti social di cui apparentemente solo noi siamo i responsabili. E allora, se davvero è così, perché non provare, ognuno partendo da sé, a fermare lo scorrere del fiume identico del “si dice”, per affermare ciò che noi scegliamo di essere? Femminicidi, quote rosa e abusi di potere, si mischiano a un linguaggio sessista che ci fa arretrare spaventosamente rispetto alle altissime elaborazioni del femminismo degli anni ‘70, cancellando a fortiori il suo superamento nel discorso foucaultiano. In questo processo di liberazione per l’autodeterminazione della propria sessualità, l’arte gioca evidentemente un ruolo cruciale. In attesa che arte diventi il nostro stesso abitare il mondo, vogliamo almeno accarezzare e farci sfiorare dalle sue linee di fuga. Sta a noi ora cercarle, tra le pieghe infinite dell’arte… Diwali - Rivista Contaminata 3 “Donne non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.” (S. de Beauvoir, Il secondo sesso, 1949). E proprio al diventare donna Diwali dedica questo numero, mettendo in evidenza un processo che trova il suo punto d’origine nella volontà di esprimersi più che nei dettami sociali e culturali. Andiamo così, con Letizia Leone, sulle orme di Pinkola Estès, alla (ri)scoperta della donna selvaggia, archetipica, relegata troppo spesso alle profondità dell’inconscio, nonché a fiabe e leggende; Helmutt Schilling rende omaggio all’eccentrica figura della Baronessa Elsa von Freytag-Loringoven, alla sua arte e i rapporti che ha intrattenuto con artisti del calibro di Marcel Duchamp, mentre Valerio Francola ci illustra la ricca biografia e l’intenso linguaggio espressivo compreso tra realismo ed elementi surreali-fantastici della messicana Frida Kahlo. Infine, con @RisodellaMedusa si riflette, attraverso l’opera teatrale Orgia di Pasolini, sui temi del Maschile/Femminile, l’autenticità e i rapporti di forza (potere) vigenti nella società umana. Frida di Valerio Francola Dal 20 marzo al 31 agosto, alle Scuderie del Quirinale (Roma), verrà dedicata a Frida Kahlo una mostra che indagherà l’artista e il suo rapporto con i movimenti artistici della sua epoca, dal Modernismo messicano al Surrealismo internazionale, analizzandone le influenze sulle sue opere. Per comprendere la complessa personalità dell’artista sarà opportuno ripercorrerne rapidamente la vita. Nata nel 1907 da un fotografo tedesco e da una nobile messicana di origine spagnola, fin dalla giovane età si lega ai movimenti nazional-socialisti e a ideali rivoluzionari che la spingeranno anche a dichiarare di essere nata nel 1910, anno dello scoppio della rivoluzione messicana. L’avvicinarsi alla politica non rappresentava soltanto una sorta di moda per le donne messicane, ma Alessandra Carnovale InSistenze Fantôme de bordures, Emykat, 1999 una strada ben più importante per arrivare all’emancipazione. Anche per questo motivo Frida Kahlo si iscrisse al Partito Comunista Messicano (1928). Non fu però solo questo il motivo, seppur importante. Come testimonia la scrittrice Sarah M. Lowe, “il partito presentava anche un’altra attrattiva: la presenza e la militanza di numerose donne dinamiche la cui indipendenza e autodeterminazione possono aver incoraggiato la pittrice a unirsi a loro”. Questa testimonianza introduce un secondo della vita di Frida Kahlo che ha influenzato profondamente la sua sensibilità artistica: la sua straordinaria apertura culturale, che si ricollega al modello della “donna emancipata”, e che la porterà a vivere con molta libertà la sua vita sentimentale e sessuale, esprimendo questo sentimento attraverso legami di profonda ammirazione e intimità nei confronti di numerose figure femminili con cui si è relazionata nel corso della vita. Un modello di donna, quello che ha voluto incarnare Frida Kahlo, che si contrappone al tradizionale stereotipo misogino secondo cui la donna era oggetto del desiderio maschile, tanto da spingersi spesso a praticare con disinvoltura la pratica del travestitismo, “mi vestivo da maschio, con capelli cortissimi, pantaloni, stivali e giacca di pelle”. Un eccezionale vivere con diletto la propria sessualità, soprattutto per la mentalità dell’epoca in cui è vissuta, senza riluttanze o pentimenti, diritto che spettava per tradizione agli uomini. Arriviamo al terzo aspetto della vita di InSistenze 5 Frida Frida Frida Kahlo, tanto tragico quanto determinante nella straordinaria crescita interiore, caratterizzato dalle innumerevoli problematiche fisiche che l’artista patì fin dalla giovanissima età. Affetta da spina bifida, erroneamente scambiata per poliomielite, subì un terribile incidente il 17 settembre del 1925, quando l’autobus che da scuola la stava riportando a casa si schiantò contro un muro. Le conseguenze dell’impatto furono tremende, Frida Kahlo sopravvisse per miracolo riportando però innumerevoli fratture che la portarono a subire ben 32 operazioni negli anni successivi. L’evento drammatico si trasformò per Frida Kahlo in una sorta di incredibile opportunità. È da questo momento in poi infatti che Frida deciderà di iniziare un percorso in cui riverserà nell’arte tutte le sue vicende fisiche e sentimentali, trasformandole in simboli del suo irrefrenabile desiderio di affermarsi ed essere indipendente. “Io non sono malata, ma sono rotta, distrutta. Sono felice solo quando dipingo”, è forse una delle frasi più incisive di Frida. Per molti anni fu costretta a rimanere bloccata a letto, tanto da spingere i suoi famigliari a regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto che le permettesse di guardarsi. Sono gli anni in cui l’artista inizia a produrre una serie di autoritratti. Attraverso la pittura l’artista messicana racconta e descrive le sue sensazioni, i suoi sentimenti e i suoi stati d’animo ripercorrendo i momenti significativi della sua vita. La sua nascita, la sua adolescenza, il suo rapporto con gli uomini e con le donne, i dolori che i suoi problemi di salute le provocavano, la sua famiglia, la paura della morte, il suo legame col proprio Paese e con l’ideologia comunista, e molti altri ancora. Nel suo percorso artistico Frida Kahlo ha elaborato un linguaggio figurativo estremamente realistico a volte arricchito da elementi simbolici, surreali e fantastici. Il tutto senza abbandonare 6 Carl Van Vechten photograph collection mai completamente la realtà, motivo per cui, seppur argomento molto dibattuto, le sue opere non possono propriamente essere definite surrealiste. Anche in questo caso è una frase di Frida stessa a venirci incontro “pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”. Nel 1928 Frida è ormai del tutto decisa a fare dell’arte la sua unica ragione di vita, per questo motivo si reca dal pittore muralista messicano Diego Rivera per avere da lui un parere sulle sue opere. La scelta dell’illustre pitture messicano, molto celebre per alcuni lavori eseguiti negli Stati Uniti (il muro all’interno del Rockefeller Center di New York e gli affreschi per l’Esposizione Universale di Chicago) in realtà non è del tutto casuale: Frida infatti è già da tempo affascinata dalla figura di Diego Rivera, anche lui attivista del Partito Co- InSistenze munista Messicano. I due decidono di sposarsi nel 1929, iniziando una relazione molto particolare e complessa, fatta di numerosi tradimenti, da parte di entrambi, e divorzi (1939) e rappacificamenti (nel 1940 si sposarono nuovamente). In questi anni le opere di Frida Kahlo attirarono l’attenzione di André Breton, padre del surrealismo che la definì “una surrealista creatasi con le proprie mani” proponendole una mostra a Parigi. Pur lusingata dalle attenzioni dei surrealisti l’artista messicana non riuscì mai ad identificarsi completamente nello stile del movimento. Consapevole che una adesione al movimento surrealista probabilmente le avrebbe dato la spinta decisiva per entrare nei favori della critica, preferì intra- The blue House in Coyoacan, 2006 prendere un’altra strada, di artista indipendente. Una strada che scelse con forza e convinzione, come emerge ad esempio in opere come “Ospedale Henry Ford” (1932) in cui sono sintetizzati perfettamente elementi simbolici e reali. Frida in quest’opera si rappresenta dopo un aborto, uno dei numerosi che purtroppo caratterizzarono la sua vita a causa delle difficoltà del fisico martoriato e debole a portare a termine una gravidanza. L’artista è distesa su un letto d’ospedale sospeso in aria, col viso evidentemente segnato dalla sofferenza e dalle lacrime, per di più nuda e sanguinante con il ventre ancora rigonfio per la gravidanza sostenuta. Sullo sfondo un paesaggio industriale desolato, quello di Detroit, che rappresenta tristemente il luogo del tragico avvenimento. Nel quadro trovano spazio sei elementi simbolici raffigurati lungo il letto, disposti simmetricamente, sospesi in aria e collegati alla mano di Frida da cordoni rossi simili a vene. Elementi che rappresentano alcuni passaggi chiave della vita dell’artista messicana: il bacino lesionato nell’incidente sull’autobus, il feto appena perduto, una lumaca (simbolo della lentezza dell’aborto, o come nelle culture asiatiche, simbolo del concepimento), un macchinario dell’ospedale, e un’orchidea (simbolo del sentimento, ma anche il fiore che Diego le portò in occasione del ricovero). Un’altra opera emblematica è “Le due Frida” (1939) in cui l’artista esprime il dolore per il divorzio da suo marito. Frida si rappresenta due volte, da una parte la Frida lasciata da Rivera, vestita con un abito bianco sporco di sangue, con in mano una pinza emostatica anch’essa sanguinante. Dall’altra parte la Frida amata da Rivera, vestita con abiti messicani colorati, che tiene in mano un piccolo medaglione raffigurante Diego bambino. Le due Frida non si guardano, ma si tengono per mano e sono sedute sulla stessa panchina, hanno entram- InSistenze 7 Frida Frida be il cuore esposto e sono legate da una vena che collega il cuore sano, ovviamente quello della Frida amata, al cuore malato, quello della Frida abbandonata dal marito. Nell’opera si intravedono anche richiami all’iconografia religiosa, a partire dall’immagine del cuore spesso raffigurata nelle chiese messicane fino alla corona di spine rappresentata come una collana che cinge il collo e provoca ferite sanguinanti. suo onore, due film (uno di essi di Julie Taymor, protagonista Salma Hayek), diversi documentari, diverse biografie spesso romanzate, saggi, collezioni di moda, una grande quantità di gadget che ripropongono il suo volto e le sue opere. La sua straordinaria vita è la sintesi della forza di volontà, della tenacia di una donna che ha saputo affrontare il dolore non abbassando mai lo sguardo nella vita come nelle sue opere in cui ci guarda, sempre. Infine il tema del dolore, per forza di cose estremamente ricorrente anche nella vita artistica di Frida Kahlo, espresso attraverso opere dalla straordinaria drammaticità come “La colonna spezzata” (1944). In questo quadro il busto di Frida è imprigionato in una sorta di “armatura ortopedica” d’acciaio che ne impedisce i movimenti e che al contempo lo tiene insieme. Dal collo in giù parte uno squarcio che lascia intravedere una colonna classica, spezzata in più punti, che sostituisce simbolicamente la colonna vertebrale ormai deteriorata. Una numero imprecisato di chiodi sono conficcati nel suo corpo nudo, le lacrime scendono silenziose pur conservando lineamenti di una persona serena. Frida Kahlo muore il 13 luglio del 1954 nella stessa città dove è nata, Coyoacán in Messico. Gli ultimi anni della sua vita saranno anni di grave depressione che sfoceranno in una polmonite e infine in una embolia polmonare probabilmente provocata da una overdose di Demoral. Il suo successo, sia tra l’opinione pubblica sia tra la critica, crescerà progressivamente negli anni successivi alla sua morte: sono state realizzate molte mostre in *[Valerio Francola è uno storico dell’arte romano formatosi all’Università ‘La Sapienza’ specializzandosi negli studi dell’arte contemporanea. Collabora con diverse riviste come critico ed opinionista e negli ultimi anni ha avuto modo di approfondire il complesso tema dei beni culturali nell’ambito del lavoro di ricerca portato avanti dalla Fondazione Astrid e culminato con la sua collaborazione alla recente pubblicazione I beni culturali tra tutela mercato e territorio, a cura di Luigi Covatta, edita da Passigli Editore.] Homenaje a Frida Kahlo, GemDiaz, Tecnica Mista, 2012 8 InSistenze InSistenze 9 Un Brindisi per la Baronessa Elsa Un Brindisi per la Baronessa Elsa di Helmutt Schilling ‘Lei non è una futurista. Lei è il futuro’. Questa la definizione che Marcel Duchamp ci ha lasciato della Baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, artista rivoluzionaria e avanguardista del secolo scorso. Elsa von Freytag (1874-1927) fu amica e collaboratrice di Duchamp come di Man Ray, Djuna Barnes ed altri influenti artisti di inizio secolo. Negli Stati Uniti è considerata una delle prime dadaiste americane con notevole influenza sulla scena Newyorkese. Fu un’artista ad ampio spettro, spaziando dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alle street-performance. La sua opera fu da subito guardata con sospetto e diffidenza per la sua natura controversa e provocatoria, in particolar modo per quanto concerneva la libertà sessuale della donna. Nonostante la sua notorietà e la sua influenza in campo artistico, il suo personaggio è rimasto dimenticato, anche negli USA, per varie decadi e lo è tuttora in buona parte del vecchio continente. Il ritorno della Baronessa sulla scena artistica internazionale ha avuto luogo nel 2011 grazie alla raccolta ‘Body sweats: the uncensored writings of Elsa von Freytag-Loringhoven’ curata dalla studiosa americana Irene Gammel che ha scrupolosamente recuperato e portato alla luce gli scritti poetici della Baronessa. Uno degli aspetti più immediati della Baronessa fu il suo look e il suo gusto estetico, percepibili dalle fotografie pervenuteci, alcune delle quali riportate qui. Reggiseni composti da lattine di salsa o tazze da tè, orecchini ricavati da posate, accessori chic recuperati in discariche industriali, piume di struzzo in quantità. Le cronache dell’epoca riportano gli episodi più bizzarri, come quando si presentò ad una serata di gala indossando come copricapo una gabbia per canarini con all’interno un volatile vivo. 10 Prints and Photographs, Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti C’è molto del ‘ready-made’ che è passato alla storia come l’impronta di Marcel Duchamp. Torniamo indietro di qualche decennio. Elsa nacque in Germania da una famiglia alquanto modesta. Alcune fonti riferiscono che il padre, un operaio, abbia abusato dell’Elsa bambina sia verbalmente che fisicamente. Poco più che adolescente Elsa sentì immediatamente il richiamo dell’arte ed insistette per studiare in una scuola d’arte nei pressi di Monaco di Baviera. Nel 1901 si sposò con l’architetto berlinese August Endell con il quale intrattenne fin dal principio del matrimonio una relazione aperta molto chiacchierata. In seguito, nel 1910, partì per il Nord America con il suo amante, Paul Greve. Visse in diverse città tra cui Cincinnati e Philadelphia, dove guadagnava qualche dollaro posando come modella per pittori e fotografi. Nel 1913 arrivò finalmente a New York dove conobbe quello che sarebbe diventato il suo secondo marito, il Barone Leopold von FreytagLoringhoven. La neo-baronessa iniziò da subito ad utilizzare il titolo aristocratico come chiavistello per scardinare lo status borghese e nobiliare dell’upper-class newyorkese. Stabilitasi nel Greenwich Village, che cominciava ad emergere come centro nevralgico dell’arte contemporanea, conobbe vari artisti emergenti ed affermati intrattenendo con loro relazioni di amicizia e di collaborazione sempre più strette. La Baronessa divenne ben presto una personalità molto nota nel Village, anche e soprattutto in virtù delle sue street-performance che lasciavano i passanti a bocca aperta. I cronisti ci riportano di come passeggiasse per il quartiere seminuda, coperta ad esempio di sole piume, recitando versi a sfondo sessuale. Sembra che il primo film che venne realizzato da Man Ray e Marcel Duchamp fosse un omaggio ad Elsa, un corto-metraggio dal titolo ‘The Baroness shaves her pubblic hair’. Purtroppo di quest’opera non sono rimasti che dei fotogrammi e qualche rara fotografia di scena. Da questo momento la collaborazione con Duchamp si fece sempre più intensa, tanto che alcuni storici dell’arte hanno perfino sostenuto che l’ispirazione per la storica ‘Fontana’ (l’orinatoio) provenisse dalla Baronessa. L’ipotesi è suffragata da uno degli scritti dell’artista in cui è riportato che l’idea per l’opera gli fu trasmessa da una sua cara amica. La Baronessa fu accolta nei circoli culturali più in vista della città ed ebbe modo di conoscere autori del calibro di Wallace Stevence, Ezra Pound e William Carlos Williams, i quali la guardavano con un misto di ammirazione e diffidenza. I suoi eccessi, il suo gusto al contempo coraggioso ed oltraggioso attiravano su di lei un’enorme attenzione ma anche il timore di esserne travolti. In campo letterario viene ricordata come una delle prime dadaiste americane, con un linguaggio dissacrante, l’uso di nonsense, il ricorrere di tematiche libertine se non apertamente sessuali. Nella scultura fu pioniera dell’assemblaggio e del readymade. Non frequentava cave di marmo ma discariche dove recuperava ogni tipo di oggetto che stuzzicasse la sua creatività. Nel 1923 Elsa tornò a Berlino sperando di poter raccoglierefamaeconsensoancheinEuropa.L’accoglienza che le fu riservata, al contrario, fu molto tiepida tanto da spingerla a lasciare la Germania alla volta della Francia per incipienti difficoltà finanziarie. In questo periodo venne molto aiutata dalla rete di artisti ed intellettuali che le voleva bene come una sorta di ‘figlioccia’ stravagante; Peggy Guggenheim le fu molto vicina. Giunta a Parigi nel 1926 la sua salute iniziò a cedere sotto il peso delle continue difficoltà economiche. *[Helmutt Schilling nasce a Salisburgo da padre austriaco e madre italiana. Trasferitosi a Lugano per motivi di studio, si occupa come ricercatore di estetica del linguaggio. Pubblica il suo primo saggio ‘La vocazione cubista del tu’ a venticinque anni e prosegue nella propria carriera accademica per i successivi dieci anni. A volte affaticato dall’universo delle parole, evade nelle potenzialità del gesto: la recitazione e la scultura del bronzo come necessità fisiche di rappresentazioni visive e materiche.] 11 Un Brindisi per la Baronessa Elsa Le cronache riportano di una sempre più precaria stabilità mentale. Morì nel 1927 per soffocamento da gas lasciato ‘inavvertitamente’ aperto durante la notte. Già all’indomani dalla morte le voci di un plausibile suicidio iniziarono a rincorrersi ma le circostanze della morte non furono mai ulteriormente chiarite. La Baronessa Elsa è sepolta a Parigi, nel cimitero di Père Lachaise. Elsa von Freytag è stata indubbiamente uno dei protagonisti più ragguardevoli del movimento modernista, in un periodo storico in cui anche i più trasgressivi degli artisti mantenevano un certo approccio ‘maschilista’ alla cultura e all’arte. La Baronessa Dada si considerava un’opera d’arte vivente, pronta a rompere ogni tradizione e imposizione della sua epoca. Fu un’avanguardista, una ribelle, una femminista ante-litteram. La sua opera è rimasta per lungo tempo sepolta dalla polvere fino a quando nel 1996 il Withney Museum di New York non le ha restituito la giusta luce con una retrospettiva di enorme successo. Da quel momento e nei successivi 15 anni la popolarità della Baronessa è andata nuovamente crescendo e la sua figura è stata di ispirazione per film-makers, fotografi, designers e letterati. Una delle sue poesie più famose è ‘A dozen cocktails please’, di cui riporto i primi versi, una sorta di brindisi in onore della Baronessa Elsa: No spinsterlollypop for me-- yes-- we have No bananas I got lusting palate-- I Always eat them-- -- -- -- -- -- -They have dandy celluloid tubes-- all sizes-Tinted diabolically as a baboon’s hind-complexion. A man’s a-Piffle! Will-o’-th’-wisp! What’s the dread Matter with the up-to-date-AmericanHome-comforts? Bum insufficient for the Should-be wellgroomed upsy! That’s the leading question. There’s the vibrator-- -- -- 12 Coy flappertoy! I am adult citizen with Vote-- I demand my unstinted share In roofeden-- witchsabbath of our babyLonian obelisk. What’s radio for--if you please? “Eve’s dart pricks snookums upon Wirefence. “ An apple a day-- -- -It’ll come-- -- -- -Ha! When? I’m no tongueswallowing yogi. Progress is ravishlng-It doesn’t me-Nudge it -Kick it-Prod it-Push it-Broadcast-- -- -- -That’s the lightning idea! S.O.S. national shortage of-What ? How are we going to put it befitting Lifted upsys? Psh! Any sissy poet has sufficient freezing Chemicals in his Freudian icechest to snuff all Cockiness. We’ll hire one. Hell! Not that! That’s the trouble-- -Cock crow silly! Oh fine! They’re in France-- the air on the line-The Poles-- -- -- -- -- -Have them send waves-- like candy-Valentines-- -- -- -“Say it with-- -- -Bolts ! Oh thunder! Serpentine aircurrents-- -- -Hhhhhphssssssss! The very word penetrates I feel whoozy! I like that. I don’t hanker after Billyboys-- but I am entitled To be deeply shocked. So are we-- but you fill the hiatus. Dear-- I ain’t queer-- I need it straight -- -A dozen cocktails-- please-- -- -- -- InSistenze Del Fuoco Femminile di Letizia Leone Questo testo poetico, estrapolato da un più ampio poema storico, si colloca nell’ambito di una riflessione intorno ad un vasto ed inesplorato territorio psichico femminile affastellato di rovine. Guidata da una “cantadora” d’eccezione, Clarissa Pinkola Estès, ho ritrovato l’impronta sotterranea di un istinto potente e rimosso, quello di una donna archetipo, di una donna selvaggia. Pinkola Estès, analista junghiana, custode delle storie più antiche raccontate in trance intorno al fuoco, è grande esploratrice della mitologia mondiale, di simboli e archetipi e si definisce discendente “di un’antica e immensa comunità di santi, trovatori, bardi...poeti erranti, vagabondi, streghe e pazzi”. Le storie curano, le storie sono nutrimento, le storie fortificano e si possono anche mettere in versi per supportare il lavoro psichico finalizzato alla conoscenza, all’individuazione e alla libertà di una coscienza consapevole. La donna in cammino che segue una pista nel bosco (sia pur esso un caotico bosco metropolitano) chiama a sé anche gli animali, “la terra, i bambini, le sorelle, gli amanti e gli uomini”. Eppure come i lupi le donne sono state perseguitate, ci rammenta la Pinkola Estès, considerate specie pericolose e voraci: “sono state il bersaglio di coloro che vorrebbero ripulire non soltanto i territori selvaggi ma anche i luoghi selvaggi della psiche, soffocando l’istintuale al punto da non lasciarne traccia”. Allora resuscitare la voce della psiche profonda in questo farsi dell’anima appassionata richiede una facilità e felicità di scrittura che nel mio caso coincide con il ritmo, la danza grafica e grammaticale, la musica vergine incantatoria del verso. C’era una volta... Una vecchia, una strega, si! una Baba Jaga Magari irrompono dalle foreste con le rughe dei tronchi e i canti nelle ossa. Sono animali che amano, le pazze portandosi dietro teste o zampe come stendardi come grida vuote, lupe vaganti o Ecate con le ovaie impollinate. La nostra bellezza sta molto più avanti del nostro corpo, sembrano dire. Escono cariche dell’energia sanguinaria dei supplizi. È tutto in gioco ciecamente dal basso e bisogna scendere, risvegliare le massacrate con coraggio, con ragnatele bendarne gli scorticamenti per poi spiarne i crimini d’amore. Nei cenerari. Siamo curiose. Le cose spaventose cercano una dimora nelle fosse là, dove è pieno questo nome, Baba Jaga gigantesca teschia del caos strega sfasciata d’ombra, carne del vaiolo e verruca di rospo. InSistenze 13 Del Fuoco Femminile Il palco nudo Lei cavalca la scopa funeraria e ci ramazza il fango con i capelli sottoterra delle mummie diventati unghie e coltelli. Taglia così le sue tracce nel vuoto. Non vista la maledetta si chiude dentro la sua baracca e il chiavistello è mortaio di denti umani cariati. Serratura vivente ed affamata. Ode al sacchetto della vergogna – Omaggio a Pasolini di @RisoDellaMedusa C’è un uomo sul palco. È nudo. Nudo di tutti gli oggetti che hanno segnato una vita di appartenenza e rassegnazione. Nudo dei suoi abiti, nei quali, per un’esistenza intera, ha vissuto segnando il mondo e attraversandolo, sul limite incerto che segna consapevolezza e inconsapevolezza. Intanto la casa balla. E lei si gratta dentro. Una palafitta danza su i mille piedi freddi di pollo e di gallina, casa che ride, e lancia calci ai corvi. La vecchia si è spogliata nuda, che sesso gonfio e scabro, perde sangue guarda: dalla vagina pende carne viva attorcigliata che lei ramesta e impasta tra le cosce. Intanto balla e ride con la casa all’aria. Alza la polvere e le larve basta una rima la filastrocca una catena e il fantasma balena: È il 1968. Siamo al Teatro Stabile di Torino. L’uomo sul palco è l’Uomo, protagonista di Orgia, dramma teatrale di Pier Paolo Pasolini. Francisco Goya, Streghe in aria, Olio su tela, 1797 gli impiccati si sono accucciati fuori come cani. Gli omuncoli scalciano nelle ampolle desiderosi di vita. Poi cadono come macigni grida dalla nebbia dei crematori, quei forni di Siviglia, Los Quemaderos: pentoloni per quaranta dannati da cuocere a fiamma bassa in trenta ore di lancinanti “Non muori!! Non muori!!” Lei esce all’ora di cena comincia a veleggiare dentro un pesta sale il remo furioso della navigazione è il pestello. Da lontano fa orrore. Ah Ah Ah Favola che si racconta ai bimbi cattivi col carbone. 14 *[Letizia Leone ha pubblicato i seguenti libri: Pochi centimetri di luce (2000); L’ora minerale (2003), (seconda edizione 2004); Carte sanitarie (2008); La disgrazia elementare (2011). Numerose le antologie e i premi letterari: “Serenissima”, (a c. di Silvio Ramat) Università Ca’ Foscari, Venezia, 1995; Antologia “Grande Dizionario della Lingua Italiana Salvatore Battaglia”, UTET, Torino, 1995; Geografie Poetiche, ac. di W. Mauro, Giulio Perrone Editore, Roma, 2005; Sorridimi Ancora, (dodici storie di femminlità violate) pref. di Lidia Ravera, Giulio Perrone Editore, Roma, 2007. Da quest’ultima raccolta è stato messo in scena “Le Invisibili” (regia Emanuela Giordano) Teatro Valle, Roma, 2009. Letizia Leone è stata segnalata al Premio Internazionale Eugenio Montale nel 1997. Nel 1998 è stata premiata al premio del Grande Dizionario della Lingua Italiana Salvatore Battaglia, UTET, To; e Premio Nuove Scrittrici, edizioni Tracce, Pescara (1998 e 2002). E’ stata premiata e segnalata in altri premi letterari, ultimo dei quali “I miosotìs” edizioni d’if, Napoli, segnalazione 2009 e 2010. Menzione d’onore per la Poesia inedita- Premio Lorenzo Montano 2011- Edizioni Anterem- Verona. Tiene un “Liceo di poesia” presso l’editore Giulio Perrone.] InSistenze In scena c’è il mutismo di un’esistenza, consumata fino al fondo del dramma, fino a quel fondo che appunto lascia nudi, privati, tornati all’origine. Ai piedi dell’Uomo altri oggetti, muti e immobili. Anch’essi segni di altrettanta esistenza. Sono abiti, gettati a terra, vuoti del corpo che li ha abitati facendo di essi linguaggio che dice “chi-appartienea-cosa”. Ai suoi piedi, ammonticchiati, abiti di foggia femminile, simulacri, oggetti muti che parlano, però, un linguaggio codificato: scheletrito nel suo senso di appartenenza al sesso-femmina. Calze, reggicalze, sottoveste, mutandine, borsetta, cipria, rossetto. Ma il dramma non si è ancora consumato fino in fondo, ancora non è esploso col suo tonfo sordo, ancora non ha avuto il suo esito, che scardina segni, linguaggi e appartenenze. Sono stato vostro schiavo, oggetti della mia vita: di conseguenza, voi siete stati i segni della mia obbedienza. Ma ora, ora non sono più vostro schiavo! Ah, ah, ho del tutto stravolto la vostra normale funzione; e domattina, così, voi sarete i segni della mia nuova realtà. Quanto parlate, quanto urlerete, (impazziti) oggetti banali, parole del silenzio e della rassegnazione! (Estrae dalla borsetta il rossetto, la cipria, e comincia a truccarsi).1 Il dramma borghese dell’inautenticità, di quei rapporti di forza che segnano la logica del modello cui appartenere, dell’alienazione e della perdi- InSistenze 15 Il Palco Nudo Il Palco Nudo ta dell’umano: disciolto, rarefatto, inconsapevole ormai nel darsi e ridarsi dello stereotipo che ci richiede, inappellabile. Identificazione prestabilita nei modi e nella sostanza. Che ne è, allora, dell’autenticità dell’espressione, tutta, fino a giungere a quella più viscerale, radicata nel profondo dei grembi, sradicata forse dalle coscienze? Che ne è di quell’autenticità dell’espressione umana che investe la sessualità, e più in generale il rapporto con l’altro? Io, ardentemente obbediente a questa regola, alla fine della mia pubertà – come mi son già detto, nel presente, spiritoso monologo – fui un bravo adulto, che si sottometteva con la buona fede dello scolaro a tutte le regole del gioco (del potere): non solo: ma accettava addirittura, con diligenza, la condanna contro la SUA DIVERSITÀ! Incredibile!2 Fotografia da Wikimedia-Commons Ma ora i simulacri sono caduti, abbattuti al suolo, corpi morti al pari del corpo che li ha abitati, corpo che, improvvisamente consapevole di un destino insopportabile perché lontano dall’accettazione, ha scelto il suicidio, alla ripetizione consapevole.3 E ora perché finalmente, oh bella, mi ribello? (Comincia a raccogliere gli indumenti della ragazza, e a indossarli, per prime le calze).4 Eccoci, ci siamo. Siamo in ascolto, attenti osservatori. L’Uomo si sta vestendo, di nuovo abbandona la sua nudità, e raccoglie oggetti e significa(n) ti. Li raccoglie uno ad uno, riassumendoli nella sua storia, ribaltandoli, tirando fuori da essi le interiora di un passato in cui l’appartenenza è oggi storia da riscrivere. La marca di queste povere calze di piccola borghese di periferia dice con grande chiarezza due cose: primo la loro caducità, secondo: la loro appartenenza alla sfera del potere.5 La tra-vestizione è cominciata. Eppure questo non è un atto di protesta, non è una soluzione reale ai conflitti che emergono nello svolgersi deldramma.Piuttosto,èl’esploderedellecontraddizioni nella impossibilità di superarle all’interno delle condizioni materiali che le hanno generate. (si è infilato le calze, e ora prende il reggicalze.) Primo: la caducità; secondo: un posticino nel mondo del potere. Due belle scuse per essere diversi in pace. Cara morte, ah, ah, come mi eri utile per poter fingere che il tempo non era nulla; che non passava. E che quindi era giusto starmene fermo intento solo alle mie stupende, divine porcherie!6 16 InSistenze Un posticino nel mondo del potere. Cosa ci dici, Uomo? Cosa, narrandoci di oggetti che navigano nelle nostre vite guardandoci dal loro privilegiato punto di osservazione, oggetti che sentiamo come muti, ma che invece, come il territorio segnato con l’urina dagli animali, segnano il limite in cui muoverci, in cui sorridere, in cui amare, in cui essere come la ripetizione del gesto ci chiede. idea di novità. Infatti: quando eravate i segni della mia realtà vecchia, due erano le alternative: primo, con la scusa… della caducità (indi della rassegnazione) asservirsi all’autorità e fare quella magnifica vita da porci. Secondo, farla subito finita e darsi una magnifica morte (come è già accaduto in questa tragedia). Ma…ora…si apre una terza alternativa… un’alternativa…rivoluzionaria!8 (Si è stretti i reggicalze, e prende le mutandine.) E dunque, Uomo, siamo ancora qui, in attesa, ti osserviamo con il tremore nelle gole che ingoiano l’aria, vestiti nei nostri abiti che parlano di noi, dei nostri sessi chiusi in sacchetti della vergogna, dei quali nessuno vorrebbe parlare. Ancora oggi, quarantasei anni dopo la tua morte. Da quarantasei anni penzoli da quella corda, su quel palco vuoto, vestito da donna, e ci urli nelle orecchie, e il tuo grido attraversa la storia, e io vorrei che ci attraversasse i grembi. Ehi, mutandine di mia madre! Primo: la caducità – e quindi la rassegnazione. Secondo: l’onnipresenza del potere – e quindi l’ipocrisia. Mutandine cieche, sacchetto vergognoso. Ma sì, ma sì, torneremo polvere: ciò ci protegge, da una parte, nell’essere follemente porci, dall’altra nell’obbedire a chi vorrebbe che mai si parlasse di voi; e che voi foste fonte di silenzio. (si è infilato le mutandine, e prende la sottoveste.)7 La trasformazione è in atto, gesto reale e simbolico di rifiuto. E davanti a noi sta un corpo, che assume oggetti, fagocita oggetti: li digerisce, dopo che, per l’arco di un’esistenza intera, sono stati a sussurrargli piano all’orecchio di altro che non sia stato la morte della coscienza di una possibile diversità. Oggetti-funzione. Funzione della ripetizione dell’appartenenza a rapporti di potere, inautentici, mai innocenti. Opachi della mancanza di consapevolezza. (si è infilato la sottana.) Non è dai monti della luna che venite, segni della mia nuova realtà. Dico nuova: e non senza ragione. Così nuova da far decadere ogni già sperimentata (Estrae dalla borsetta il rossetto, la cipria, e comincia a truccarsi.)9 […] Il mio linguaggio diventerà muto per eccellenza, oltre che per l’eternità…Eppure chi domattina verrà, e alzerà gli occhi per decifrarlo capirà quale terribile forza, mai pensata finora, avrebbe avuto il mio desiderio di essere libero, se avessi vinto il mio istinto attraverso cui la morte aveva dichiarato inutile ogni speranza. Desiderio, e storia del desiderio. Quasi a trasmettere la violenza della contraddizione tra le nostre pulsioni e il loro essere già da sempre prese nei lacci dei rapporti inautentici che dominano le nostre vite. InSistenze 17 Il Palco Nudo Il gruppetto di gente che il sole porterà qui delegati dall’immenso mondo della storia (i vicini di casa, in silenzio, i poliziotti col loro triste sudore, gli infermieri venuti dalla campagna: come li vedo!) si troveranno davanti ad un fenomeno nuovo, così nuovo [da dare un grande scandalo e da smerdare, praticamente, ogni loro amore.10 Penzola ancora, Uomo. «un uomo / che ha fatto buon uso della morte»11. Fotografia da Wikimedia-Commons 1. P. P. Pasolini, Orgia, in Pasolini. Teatro, a cura di W. Siti, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2001, p. 311. 2. Ivi, p. 308. 3. Facciamo qui riferimento al suicidio della Donna, protagonista insieme all’Uomo del dramma teatrale. L’Uomo in Orgia è sì il carnefice, ma nello stesso tempo è anche vittima della Donna, che accetta ogni violenza con felicità ed obbedienza, complice del proprio sfruttamento. All’interno del complesso svolgersi delle azioni nel Teatro di Parola di Pasolini, la vera natura dei rapporti sociali viene svelata, e tanto l’Uomo quanto la Donna arrivano alla consapevolezza di come la violenza dei rapporti di potere sorregga ogni realtà sociale. Incapace di ripristinare una inconsapevole e tacita obbedienza al potere, la Donna si suicida. 4. Ivi, p. 308. 5. Ibidem. 6. Ibidem. 7. Ivi, pp. 309-310. 8. Ivi, p. 311 9. Ivi, p. 321. 10.Ibidem. 11.Ibidem. *[@RisoDellaMedusa è uno pseudonimo d’arte. È omaggio alla scrittura che conserva la carne e il sangue, senza scacciarli nel buio delle coscienze, nel silenzio della parola non detta. @RisoDellaMedusa è tributo a P. P. P., cui mai dire grazie sarà abbastanza.] 18 InSistenze P.P.P., Matita su carta, @RisoDellaMedusa Edgar Allan Poe considerava la donna un essere eternamente sospeso tra vita e morte, mutevole nell’aspetto, dai tratti dapprima sani e poi spettrali, vittima di sofferenze ma capace di rigenerarsi attraverso la procreazione, continuando dunque in un continuo ciclo, ad esistere. Anche quello che ci fanno vivere i nostri poeti è un viaggio mutevole, aggrappati ai loro versi, in esplorazione della femminilità e della consapevolezza di essa, che parte dai cieli dell’Olimpo dei miti greci, fino a giungere in picchiata nei vicoli oscuri di una realtà fatta di corpi venduti e consumate violenze. È donna anche la notte, dunque? Che osserva con angoscia consumarsi uno dopo l’altro i delitti perpetrati nel suo ventre buio, per poi cambiare il volto in quello del domani per tornare a risplendere? Rita Pacilio In queste quartine di Rita Pacilio che simulano la forma del sonetto, la musicalità del verso e la ricerca di compostezza formale amplificano il messaggio di un dramma civile come la schiavitù sessuale, la prostituzione, la violenza sulle donne. Già il titolo della raccolta “Quel grido raggrumato” dichiara l’intenzione di usare la parola potente della poesia quasi come il suono stridulo di un’unghia sul vetro che vuole scuotere e infastidire, per risvegliare le coscienze. Poesia che vuole essere “shock per i sensi” come disse la Sexton, e diventare strumento di lotta morale all’emarginazione e ai suoi mali. (Letizia Leone) Ci sono sentieri che nascondono l’inganno dei lastroni e le mani dei padroni sono daghe, punte venute dall’est. Inganna la zeppa nera, si abbevera alla macchia riccia di sole scruta l’iride abbassata il sonno del cliente, antico padre. Sono parole sacre le voci dei bambini, tiepide le fronti eppure i glutei hanno croste, boomerang colpiti nel segno fino ai fianchi pulsano inverni consumati domani intorpidite le rupi si muovono come nembi folli le bufere. Non si aprono fenditure ma canaloni indecifrabili un lappare lento, immaturo che giunge all’agitazione tra le natiche della bestia nel luogo livido di pianura chiuso in quel grido raggrumato. Laura Di Marco L’hanno tenuta in due come un foglio, un lenzuolo i polsi e le caviglie erano in una forma che si stira un mandarino intero riempiva la bocca e la gola nel chiarore del vicolo divaricato fra le trombe d’aria il suo esame di idoneità, la preparazione al primo cliente la rendeva frutto acerbo del cactus desiderato dalla censura di chi si apre i pantaloni e spinge guardandosi intorno che sia coperto InVerso dalla colpa che non si fermerà nella frusta dei reni ma sintonizza il morso e il liquido che cola dalle due bocche aperte lungo una linea comune in quel triangolo nero da cui escono periferie e disordine. Charles Mengin, Saffo, Olio su tela, 1877 InVerso 21 Deve aver penato tanto nel rovesciarsi sfacciata, pronta, passata in tutti quei giorni che sono ancora qui, senza risate. L’hai accompagnata fingendoti sorpreso, prato che ha sete incenerito dalla ripetizione delle regole, spuma bucata schizzata sul vetro che stupisce appena e impoverisce. Chiude. Ogni rovina conserva navate sgretolate nelle notti paurose dei motel addormentati dove finisce la tonalità romantica e si inclinano le tracce opache, nascoste nell’elenco corretto. Lì c’è stato il temporale dalle tinte ingenue, quasi monacali la rabbia del video passava sullo schermo un pompino fatto con la devozione del ringraziamento. Era stata un’altra la prima della lista. Chissà il colore dei capelli. La raccolta, che segue ‘Non camminare scalzo’ e ‘Gli imperfetti sono gente bizzarra’, chiude una trilogia sull’inquietante e doloroso cammino attraverso i temi dell’emarginazione. Il volume si presenta come un manuale del sopruso, contro chi ambisce variamente manovrare il corpo delle donne e dei fanciulli. Ovvero un trattato, balisticamente in versi, dove viene differenziato il mammifero maschio (e talvolta femmina) che la suddetta opera scellerata compie per piacere, lucro, lavoro, biologia, vendita carnale. Il corpo poetico, in questo libro, ricerca, enuncia e precipita, in modo finanche notarile, la pratica maneggiona di coloro che si condannano per un realismo moralmente e socialmente insignificante. Rita Pacilio, attraverso la poesia, nomina l’innominabile nella prospettiva dell’educazione, della rinascita, della ricostruzione. (dalla quarta di copertina) Fabiana Frascà Fabiana Frascà, con due componimenti che forse rappresentano gli apici dell’immaginario collettivo nella considerazione di femminilità: la bellezza statuaria ma fredda, tanto perfetta nell’aspetto quanto incapace di sentimenti e di vita, e quella arguta, d’intelletto, che dona a Penelope in un filo, la forza a cui aggrapparsi e tessere le proprie speranze. (Laura Di Marco) Statua Se non fossi che pietra, un granito stabile e fisso io saprei quelle braccia. Ma non ha carne la pietra, né fiori. Non conosce la terra, gli odori. Sa imitare soltanto nel tatto, simulare in quel freddo contatto parvenze di mani di bocche di denti. Inventarsi in un simulacro un’anima dura. Necrotica e pura. Penelope (I) Lenta col mio vigore e mio malgrado recidiva tesso dalle mie tempie l’attesa del ritorno. Quanti cantori muti dalle gole gozzoviglianti intessere non potranno raggiri ai miei più arditi! Sciogliere un filo di preghiera ai piedi del più beneficiato disertore. *[Rita Pacilio è nata a Benevento, Sociologo, Mediatore familiare e dei conflitti interpersonali ha lavorato nell’ambito dello Sviluppo delle Politiche del Lavoro e nelle progettualità della Casa Circondariale di Benevento trattando il disagio sociale e la Prevenzione delle dipendenze. Poeta, Scrittrice, Collaboratore editoriale si occupa di Poesia, di critica letteraria e di Vocal jazz.] *[Fabiana Frascà è nata a Napoli dove vive e lavora, alternando scrittura prevalentemente poetica e attività di progettazione grafica. Ha pubblicato poesie e racconti in diverse raccolte antologiche frutto di premi letterari o concorsi. È vincitrice della IV edizione del “Premio Internazionale Mario Luzi”, prima classificata per la Sezione Poesia Inedita. Nel dicembre 2009 a Roma, Giulio Perrone Editore, le pubblica la prima raccolta poetica dal titolo “L’Oscuro Centro – novantanove quartine di corpi e una prosa di anime”. Seconda classificata al Concorso “L’ottava poetessa per l’8 marzo” 2012 – Fusibilia Associazione, in collaborazione con la Città di Nettuno (Roma). È stata selezionata, alla V e VI edizione del Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Albero Andronico”, con le sillogi “Amore, varie ed eventuali” e “Cartoline dal fondo”. Nel febbraio 2014 pubblica, sempre per Giulio Perrone Editore, una nuova raccolta poetica dal titolo “Aporia delle scorie” con una prefazione di Antonio Spagnuolo e una nota di Letizia Leone.] InVerso InVerso 22 23 Roberto Marzano Monia Minnucci Quella che si annuncia nel titolo come una cartolina ricordo della riviera ligure, si rivela invece immagine deformata di una sosta nell’inferno della violenza. Così come il ritratto di donna che si annuncia nella poesia “Lizabeth” tenta di straniare il lettore per un attimo dalla descrizione, in versi duri ed icastici, di un corpo seviziato e gettato in un burrone. Un corpo-rifiuto che testimonia con le sue cicatrici la storia clandestina delle nuove schiave contemporanee, delle loro vite negate considerate dei vuoti a perdere. (Letizia Leone) La notte sfiorita di Monia Minucci è il luogo psichico di un vuoto e di un dolore femminile, è la mancanza di una promessa di felicità, è il tradimento presente e antico nello stesso tempo che lascia in eredità una dote, quella di una memoria atavica di sofferenza e ribellione che si può scontare solo “con un paio di secoli di ulivo”, come recita, a suggellare il testo, l’ultimo verso. L’abbandono o la solitudine sembrano aver piantato le radici nell’animo femminile, insieme ad una rabbia, a quella furia di “combattenti del pigiama” nella notte. (Letizia Leone) Ricordo della Riviera Ligure Lizabeth La notte sfiorita Chissà se l’ha capito che sono una ragazza oppure è proprio per questo che si accanisce ottuso a manganellarmi a peso morto la sua rabbia in faccia a vomitarmi addosso urla d’odio e calci nella pancia anfibio nero che sul mio corpo impazza … Come spiegherai Lizabeth alla tua mamma cosa ci facevi tutta nuda e fatta a pezzi disarticolata bambola-pupazzo riversa in un famelico burrone…? C’è una nebbia sottile che ghigliottina le mani dei combattenti del pigiama e sviluppa polveri sfinite da consumarsi in direzioni note e meno fiorite. Sfiorisce il profumo viola del rosmarino, mi rammenta un vuoto, un’assenza, un lume pio in lontananza e l’altezza sonora di un passo scordato. Un fiore e un arco, un armistizio di longevità. Mi esibisco su frequenze putrefatte, porto in dote un sogno vendicativo, dovrei scontare la giacenza dei ricordi con un paio di secoli di ulivo. Indifeso oggetto in balia della sua vendetta forse per un bacio non concesso o una sculacciata ingiusta di sua madre io “cagna rossa” e “troia comunista”, non so se da questo sacco a pelo ne uscirò viva se tornerò domani alla mia Brema oppure morirò per le ferite o per paura… Tutti gridano lì intorno è un bastonar con cura si picchiano i pensieri si rompono le braccia… Chi mai l’avrebbe detto? Tu, il più bello e delicato fiore da Ibadan ad Ogbomosho promessa cameriera presso certi signori dell’Europa dove il servizio l’hai prestato a suon di sberle con le mani e con la bocca con tutta te stessa sennò ti rompevano le ossa! Lizabeth occhi fuori dalla testa con un “puffo” intorno al collo che non ti lascia uscita le cinghiate date senza parsimonia tanto i lividi non si notano sulle puttane negre e si può continuare a venderle senza sconto a qualche onesto buon padre di famiglia… o buttarne i pezzi nei rifiuti se si ostinano a rifiutar ragione! *[Roberto Marzano, Genova 7 marzo 1959, narratore, poeta “senza cravatta”, chitarrista, cantautore naif e bidello “alternativo”. Barcollando tra sentimento e visioni, verseggia di vagabondi e di prostitute, di amori folli, di ubriachi e dei quartieri ultrapopolari dov’è vissuto. Meditabondo, si arrabatta tra città arrugginite, bar chiusi, televisori diabolici, supermercati metafisici, operai, nottambuli… e oggetti inanimati ai quali dà viva voce. Una poetare pregno di originalità e dell’ironia pungente che lo ha già contraddistinto nel campo della canzone d’autore. Come musicista (Roberto Marzano & gli “Ugolotti” e “Small Fair Band”) si è esibito in centinaia di concerti.] 24 InVerso Posseggo ancora la mia furia lanciata contro le infinite e svenevoli stelle, una fionda di casalinghe e sangue, quando l’apice delle ristrettezze si allarga in un pietoso ghigno che vorrebbe dirsi di soddisfazione. Vittoria! Vittoria! Esclamò la notte, bagnata da ripetuti lutti e splendidi rutti segnarono il cuore di una bottiglia vuota che discute ancora con le rimanenze di un incubo da dissidente. *[Monia Minnucci nasce a Sora e, attualmente, risiede a Frosinone. Sin da bambina coltiva la sua passione per le arti in generale, con una particolare attitudine per la scrittura. La poesia, nello specifico, è utilizzata dall’autrice come una sorta di auto-terapia per sublimare gli stati tensivi e le sofferenze, una catarsi rigenerativa, ove l’aspetto autobiografico non manca di tingersi d’universalità. I suoi testi sono stati selezionati in numerosi concorsi indetti dalle case editrici e pubblicati su svariate antologie poetiche. Vince il primo premio del concorso nazionale Virella A. Granese di Bellizzi con la poesia “Il libro degli spersi”; il racconto “Il bastardo” è primo classificato al concorso nazionale “I racconti dell’agenzia del perdono”, promosso dalla casa editrice Livello4. Pubblica la sua prima opera poetica “La bambola rotta” nel 2010 e, in attesa di pubblicare il suo secondo libro “Senza pelle”, prosegue con gli studi per specializzarsi nel campo delle relazioni umane.] InVerso 25 Alessandra Carnovale Andrea Borrelli Madre terra, dea della fertilità, dispensatrice di vita e morte, nei versi di Alessandra Carnovale, una madre che può donare ma anche, se risentita, togliere, rendere brullo, inaridire persino le sue spoglie di cui alla fine rimane solo il lamentoso tono del vento. (Laura Di Marco) Brandelli di donna descritti da Andrea Borrelli nelle mani impietose e ciniche di chi ne sfigura l’anima per ritagliarsi l’abito da (una) sera, ferite continue e sempre più ampie inferte ai sensi come a cenci, ne opacizzano, per assuefazione, il dolore. (Laura Di Marco) Demetra Seni freschi Tutto prosperava al tuo passo. Eri bella, Demetra, prima che ti rapissero i venti di vendetta. Hai assaporato il mosto cotto del ricatto e imposto a gran voce che cessassero di fiorire le messi, Demetra la possessiva, grembo ritorto che tutto re-inghiotte di ciò che ha generato, caverna intonacata a vinaccia. La terra, il deserto del tuo risentimento. Nervi distesi sotto posticci capelli. Ciglia finte che coprono corti indumenti, figlie del lavoro e strumenti in mano a sarti odiosi come forbici stringono e soddisfano piaceri taglienti. Squarci nell’anima, a poco a poco più grandi ma opachi. Pensieri e parole inesistenti, si chiude in silenzio l’abbandono totale dei cenci. Per una volta ancora Hanno urlato nulla i tuoi sensi. Donna in piedi con camicia a fiori, Egon Schiele, Tempera su carta, 1912 Demetra, da Oracle of the Goddess di Anna Franklin & Paul Mason Eri bella, Demetra, un tempo. Il tuo lamento ha ingrossato il vento. *[Alessandra Carnovale vive e lavora a Roma. Si divide tra manualità (modellazione, principalmente) e scrittura (poesia). Ha partecipato a mostre e concorsi letterari, ottenendo premi e riconoscimenti.] *[Andrea Borrelli nasce in un piccolo paesino della Puglia al centro della Pianura del Tavoliere. Affascinato dal mondo della poesia fin da bambino si decide a pubblicare i propri scritti solo una volta superata la soglia dei trentanni. Dopo una lunga permanenza romana dedicata agli studi all’Università La Sapienza, nel 2009 rientra in terra natìa dove tuttora vive. E scrive.] InVerso InVerso 26 27 Davide Cortese Marino Santalucia L’autore, una new entry nella scuderia di Diwali, ci propone un suo breve componimento accompagnato da un recente disegno realizzato sul tema della Donna. Sia nei versi che nell’immagine si percepisce un senso di disagio, quasi di colpa archetipica, dell’uomo nei confronti della sua Musa. (Flavio Scaloni) È una dichiarazione quella propostaci da Marino Santalucia, d’amore materno di donna verso il suo corpo l’affermazione che nell’io filosofico fonde essere e pensiero rendendola identità a sé stante, padrona di se stessa, e libera pertanto, di disubbidirsi. (Laura Di Marco) Donna Io sono Donna Sei ancora la strega. Bella come il demonio, arcana come la madre. Sempre vivo è il rogo per te: arde crudele sulle labbra di chi continua a infierire sul tuo nome. Io non voglio che chiederti perdono. Amo il mio corpo come una madre, sprofondo nell’essere slacciata alla vita senza redenzione. Poiché chi disobbedisce a se stessa ha il dominio assoluto e non deve inchinarsi. Disegno di Davide Cortese, dalla raccolta di poesia ‘Madreperla’, ed. LietoColle Studio per una testa di donna, Amedeo Mogliani, Matita su carta, 1911 *[Davide Cortese è nato nell’ isola di Lipari nel 1974 e vive a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Messina con una tesi sulle “Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane”. Nel 1998 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, titolata “ES” (Edas, Messina), alla quale sono seguite le sillogi: “Babylon Guest House” (Libroitaliano, Ragusa, 2004), “Storie del bimbo ciliegia” (un’autoproduzione del 2008), “ANUDA” (Aletti Editore, Roma, 2011), “OSSARIO” (Arduino Sacco Editore, Roma, 2012) e “MADREPERLA” (LietoColle, Como, 2013).] *[Marino Santalucia fa parte dell’ONG “Emergency” dal 2004. Nel 2010 ha pubblicato la silloge poetica Versi Riversi, Giulio Perrone Editore. Suoi testi sono inseriti in diverse antologie (Edizioni Progetto Cultura, Edizioni Ursini, Opposto.net, Fusibilia Libri, e Lietocolle Editore). Nel 2011 partecipa a “Teatri di Vetro Festival Ammaro Amore”, alla “Settimana della Poesia di Eboli” ed alla “Prima Edizione Mare in Vista Cultura”.] InVerso InVerso 28 29 Eugenia Serafini Eugenia Serafini, fedele alla sua poetica, organizza testi in espansione di grande forza fonico-lessicale progettati per la rappresentazione performativa. L’accentuazione visiva dei fonemi se da un lato costringe il lettore a rallentare la lettura, dall’altro carica il verso di un valore sonoro. Un’accentuazione del grido o del canto murato in un silenzio generazionale delle donne velate, siano esse le egiziane con candidi pizzi sulla fronte che le donne di Kabul, entrambe “obiettivi sensibili” di soprusi e sopraffazioni. (Letizia Leone) Obiettivi sensibili DoNne di Kabùl Delle infinite notTi e dei giorni inFiniti delle doNne vElate di Kabùl delle attese e dell’aMore dell’OdiO e della gUeRra della pARtenza senZa riTorno dei tRamonti che eRano finiti delle stElLe che tRamontarono senZa più riSOrgere della lUna che si vOLtò sUlla goBba e nOn volle più giRARsi ! delle tORri che volaRono via ! cOMe cORiandoli a ManHaTtan e dei fUochi nel ciElo di Kabùl che nOn 30 fUrono di giOia né di feSta ma di mOrte cHe veNne dal ciELo oh sì sì scOPpiavano a grAPpOli le bOMbe sulle pieTre dell’AfganisTan dei nostRi capoDANno che vennEro tra caNti e fUOchi d’aRTificio e della viTa cHe cOntinuAva nOnosTante tUTto e del manDORlo cHe fiOrì a geNnaio della vOLpe che lasciò le tRacCe sUlla neVe delle inFinite nOtti e dei giORni inFiniti delle dONne cHe si SvElarOno a Kabùl e dell’amORe e della mORte e dell’aMOre e dell’amoRe ‘Ambientazione artistica- Ho un sogno: la pace’, fotografie di Eugenia Serafini obiettivi senSibili donne di Kabùl InVerso 31 Il focus di InVerso: Gli Haiku International Airport Cairo BiaNcoVElate RoSaveLate NeRoVelate AvanZano le dONNe egiZiaNe i caNdiDi piZzi suLLa fRonte RoSaveLate BiaNcoVElate NeRoVelate feriScono l’aRia con i lOro sgUARdi NeRoVelate RoSaveLate BiaNcoVElate AttenDOno a stORmi il lOrO tempO al riSO di Mahra dOndOladOndOla sulle diTa di Yahsmin il teMPo delle DONne egiZiane i caNdiDi piZzi suLLa fRonte RoSaveLate BiaNcoVElate NeRoVelate INTERNATIONAL AIRPORT CAIRO ! dOndOladOndOla sulle pUnte deLLa LUNa dOndOladOndOla agli oCChi di Eba dOndOladOndOla al canto di Mahra dOndOladOndOla sotto le SteLle ATTenDOno a stORmi il lOrO teMPo le DONne egiZiane RoSaveLate BiaNcoVElate NeRoVelate Haiku tra meridiani e paralleli di Dona Amati dOndOladOndOla sOttO le SteLle dOndOladOndOla *[Eugenia Serafini dice di sé: ‘Amo le farfalle e le nuvole, amo scrivere, recitare e dipingere. Giro il mondo per confrontarmi con gli altri artisti, mi affascinano la loro creatività, i colori, i luoghi dove esprimono la loro cultura. Innamorata pazza dei miei nipotini,sono una viandante della fantasia..] InVerso InVerso Haiku tratti dal volume “Haiku - Tra meridiani e paralleli”, FusibiliaLibri ed. 2014 È prevista per fine maggio l’uscita del volume antologico “Haiku tra meridiani e paralleli – Seconda stagione”, scaturito anche questa volta dal concorso letterario bandito dalla casa editrice FusibiliaLibri, marchio editoriale della attivissima associazione culturale Fusibilia, fondata da Dona Amati e Ugo Magnanti. A differenza della precedente edizione, è stato chiesto ai partecipanti di cimentarsi in una forma più assoluta di haiku, in linea cioè con le regole tradizionali della poesia giapponese che, oltre al classico Kigo (l’elemento stagionale, ovvero l’osservazione della natura), considerano determinante l’inserimento dei quattro stati d’animo dell’haijin: Sabi (il distacco, la pace, il raccoglimento in solitudine), Wabi, (l’incanto e lo stupore per la semplicità dell’essere), Aware (il rimpianto, la nostalgia) e Yugen (il mistero ineffabile). I risultati, apprezzabili per impegno e suggestività, hanno premiato chi si è misurato con una forma di scrittura mirata alla contrazione, fino all’essenza massima, del pensiero e della forma, attraverso il rigore metrico, che ricordiamo, è fisso ad una terzina composta da un quinario, un settenario e un altro quinario, e l’assolutezza della concentrazione espressiva, dimostrando, ancora una volta, che meridiani e paralleli sono linee di intersezione non solo geografiche ma anche di incontri e confronti commisurati all’emotività profonda delle persone su una forma d’arte che proviene immutata dal medioevo orientale. Anche questa seconda edizione, curata da Dona Amati, si avvale delle splendide immagini del fotografo Hitoshi Shirota e della nota critica del poeta e saggista Francesco De Girolamo. 34 InVerso Haiku tratti dal volume “Haiku - Tra meridiani e paralleli”, FusibiliaLibri ed. 2014 EMILIA BARBATO Neve al tempio, la lanterna crepita nel vento bianco. FRANCESCA DI CASTRO Nel cardo il frullo: un’ala al sole brilla d’oro e magenta. UGO MAGNANTI L’anfora rotta s’ingrazia qualche sguardo coi fiori fuori. GABRIELE STELLA Grilli campestri: un ritmato frinire tra l’erba più alta. GUIDO BASILE Letteratura, altro non è che idee fatte di carta. RITA FANTINATO Brivido freddo chicchi bianchi sul prato. Tuoni d’agosto. LUCIANA MORETTO Intempestive fuori dalla clinica le pratoline. ANDREA TAVERNATI Nebbie d’autunno trafigge la lampara. Naufraga il mare. ROBERTO BIGOTTO Lungo ’l sentiero appassisce la sera, viene novembre. MARZIA GIANNELLI Sasso di vetro. Le mani raccolgono. Prisma riflette. MARIO PAROLA Come le pietre in fragile equilibrio – io mi rinnovo. MARIA GRAZIA TOMASSINI Solo silenzio nel becco del passero – stomaco vuoto. GLORIANA BRIZZI Sassi bucati trascina la risacca – custodi muti. LORIS GIOPP Vive tre giorni il fiore del ciliegio tre, ma perfetti. LORENZO POGGI Fior di ciliegio vivi solo un mattino se s’alza il vento. PAOLO CARLUCCI Oh tre arance il sole dell’inverno in una cucina. GIOVANNA IORIO Va un gabbiano fino al mare e poi torna: nel becco un’onda. MIRELLA RIGAMONTI È pazzo il vento. Mi solleva le gonne! Irriverente. ADA CRIPPA Sotto al foglio odore di lumache. Scrivo sul noce. ANTONIETTA LOSITO Presso il ruscello sciabordio di lavandaie a piedi nudi. FRANCESCA ROCCHETTI Ombre nel cielo, si affollano gli storni. Meglio scappare! Donna (Fujo), Nakamura Daizaburö, 1930. Paravento a due pannelli, inchiostro su seta. InVerso 35 Mata Hari, fotografia, 1910 Ogni categorizzazione porta con sé un conflitto. L’appartenenza è un fardello, una trappola nascosta di lacci, cancelli, muretti e confini arbitrari da espandere o difendere. È una distrazione dal vero più profondo. Ogni classifcazione di genere porta con sé, alla lunga, il rischio dell’autodistruzione. Divenire donna potrebbe essere la chiave per individuare quel sottile e labile confine che esiste tra artigianato ed arte, tra il saper fare ed il saper esprimere in un continuo sovrapporsi, affiancarsi, intersecarsi, completarsi, senza sterili contrasti. L’arte, la fotografa, ogni strumento di intima espressione, svolgono al meglio il compito di trasformare i confni in risorse. In fin dei conti le emozioni rendono tutti uguali e tutti individualmente diversi, unici sullo stesso terreno, senza artificiose sovrastrutture culturali e facili manipolazioni. La donna è un ossimoro accecante fatto di coraggio e fragilità, sofferenza interiore ed estetica superfcialità, irrequietezza e rassicurante pazienza, gelida spietatezza e calda, dolce e materna comprensione, incantevole ed insopportabile, mutevole e scostante eppure insostituibile punto di riferimento. Giada Fettini ‘Sarà così la vita, chiedesti, comincia in un punto come se fosse un petalo, e poi si disperde in tutte le direzioni?’ (Antonio Tabucchi) . Pietro Bomba InStante *[Giada Fettini è nata a Roma e vive e lavora a Parigi; le piacciono i libri, il caso e i curriculum brevi.] InStante 37 Clotilde Petrosino Passi. Sguardi. Colori. Notti. Leggera sogni ancora mani e petali taglienti e avidi di risvegli afoni. Lontana perdi attimi di vite fragili che pensi inutili. Lasciala la donna muta, che cieca e sorda ti ha reso vuota! Rinasci nuova. Antica fiamma di Vita intensa. È giunta l’ora! Note Calore Sguardi Parole. 38 InStante 39 Francesca Di Vaio Giulio Gonella Nella serie ‘Pola Nudes’ l’autore utilizza degli scatti Polaroid in maniera non convenzionale. La collezione è un tributo ai maestri del nudo dell ‘800 come Modigliani, Courbet e Delacroix. La modernità dei soggetti, nudi e liberi, è restituita attraverso un nuovo linguaggio. L’aspetto pittorico delle immagini deriva dal processo di manipolazione del negativo originale. *[Clotilde Petrosino ha 27 anni. Vive a Roma dove ha conseguito una laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo e un Master presso la Scuola Romana di Fotografia. Attualmente lavora, inoltre studia Psicologia alla LUMSA. Continuando la sua ricerca artistica attraverso molteplici mezzi di espressione.] 40 InStante InStante 41 *[Giulio Gonella è nato a Roma, classe 1983. E’ nella città eterna, con il suo patrimonio artistico e culturale, che sviluppa il senso per la bellezza e l’eleganza. A seguito di un’esperienza in India, le cui suggestioni hanno fortemente influenzato la sua vocazione per la fotografia, intraprende un corso professionale a Roma. Trasferitosi a Madrid collabora con diversi studi e si avvicina alla fotografia di moda. In questi anni inizia a sviluppare un proprio linguaggio personale e ad alimentare un proprio portfolio. Prosegue la propria carriera tra Londra e Roma esponendo in numerose gallerie e manifestazioni. Attualmente insegna fotografia in alcuni istituti superiori di Roma. Il suo lavoro gli è valso il premio ‘Nikon Talents’ per la categoria ritratti.] InStante 43 Veronica Coletta L’introspezione e il rapporto con l’obbiettivo sono il cardine di un progetto che dura da più di due anni. L’intimità che nasce tra autore e motore della creazione è dettata da un rapporto senza remore, vergogna, timidezza. Sono tutte e nessuna delle donne che incarno e la relazione che c’è tra me e la macchina è di pura fiducia. Il risultato è assolutamente legato al rapporto di solitudine e completa nudità artistica che nasce con la macchina. Uno sguardo altrui, uno sguardo estraneo ed esterno inquinerebbe un rapporto altresì perfetto.Per me la femminilità è qualcosa di intimo e al contempo profondamente violento e delicato. *[Veronica Coletta nasce in Pescara il 15 giugno del 1987 a Pescara. Sin da piccola le immagini ricoprono un ruolo importante e affettivo per lei. La macchina fotografica infatti è sempre presente, in tutti gli eventi importanti o vagamente belli. Così come la sua passione per il cinema, che nasce con lei e la accompagna negli anni dell’adolescenza. I suoi occhi crescono curiosi. Subito dopo il diploma le era tutto chiaro, voleva diventare una regista, ma con la telecamera in mano non faceva altro che collezionare snapshots. Da lì il passo è breve, e l’iscrizione all’ISFCi (Istituto superiore di fotografia e comunicazione integrata) di Roma è la scelta immediata che segue il conseguimento degli studi superiori. Terminati i tre anni di formazione, lavorando come fotografa di scena e al servizio degli attori per book fotografici, torna nella sua città natale e comincia un lavoro, attualmente in attivo, di autoritratti. Trovando affinità con Alex Prager e seguendo la sua ispirazione più grande: Martin Parr. InStante InStante 45 Dema Novakova L’ispirazione parte dalla tripartizione dell’Io di Platone, liberamente raccontato attraverso immagini che sono l’eco di percorsi professionali quanto umani, il residuo visuale di un voto d’arte. Soma (σῶμα) – corpo, limite fisico dell’io individuato. Limite alla tensione umana verso l’infinito, ma anche ponte, ed opportunità, per il benessere della mente. Attraverso la conoscenza del sé, l’accettazione e il sereno straniamento dall’ideale della simmetria e della perfezione. Attraverso il dialogo equilibrato con l’alimentazione e la soppressione delle patologie derivanti da un rapporto deviante con il nutrimento. Il duplice intreccio tra Maria Chiara Tascini, dietista, e Corinna Luce, modella. Maria Chiara rimane vittima di un incidente domestico all’età di sei anni, riporta gravi ustioni su parte del viso e del corpo e rifiuta, negli anni, l’intervento della chirurgia estetica. Corinna inizia a ventisette anni la propria lotta contro la leucemia, tra cartuccere di medicinali, trapianto di midollo e massicce dosi di cortisone continuando a posare nonostante la trasfigurazione che la malattia arreca. 46 InStante Sema (σημα) – significato, segno. O parola, come codice che identifica e legittima. Il perfezionamento dell’arte oratoria è chiave di volta per il completamento dell’individuo e il suo riconoscimento sociale. Affidato alla logopedista Giovanna Tarantino è il recupero delle difficoltà del linguaggio e il loro profondo effetto sull’integrazione degli individui nell’universo cognitivo e dialogico. InStante 47 Psychè (ψυχή) – psiche, o quel che si avvicina di più al concetto cristiano di ‘anima’. Passa attraverso l’autocoscienza e la percezione del sé in relazione alla dimensione sociale di appartenenza, con regole e strutture la cui lettura non può prescindere dall’imprinting, nella prima infanzia, ottenuto attraverso la collaborazione tra le autorità tipiche della fase: impianto genitoriale ed insegnanti. Elena Rapisarda è educatrice nell’atto del raccogliere e restituire, talvolta frenare, proteggere o far sbocciare, con lo scopo di strutturare l’autocoscienza e la percezione dell’ io sociale. Paola Celi Nello stile pittorico dell’artista Paola Celi, protagonista è la Donna come simbolo del divenire universale di vita, in cui la vita si raccoglie e si dona, con notevole espressione emotiva e psicologica che affascina l’osservatore nello stupore, nell’incanto, come nella drammaticità rivelata dall’immagine. Le emozioni sono vive, palpabili attraverso la tela, come già in attesa di cogliere lo sguardo del cuore e non frutto di una ricerca dell’osservatore. Una ricerca da parte dell’artista Paola Celi tesa sul particolare, che diviene sfumatura significante di una realtà vista dall’artista, con certosina osservazione. La gioia negli intarsi di materia e colore, la sensualità nel raffinato e morbido tratto disegnativo, dove anche nel bianco e nero, trattiene pura l’emozione, in assenza di colore. Una ricerca tecnica la sua sempre in continua sperimentazione, ed evoluzione, dove la realtà, si fonde con l’immaginazione diventando il sogno che nasce tra il suo sentire e la tela. (Miriam Pasquali- relatrice e pittrice) *[Novakova è nata ad Aprile molte ingenuità fa e detesta l’inverno. Vive e lavora a Roma alle dipendenze di Schopenhauer, il gatto che districa il vel(l)o di Maya.] 48 InStante InStante 49 Femminilità, molteplicità o unicità? La femminilità viene definita come un insieme di prerogative che idealmente sono attribuite alle donne e che le contraddistinguono, rispetto all’uomo. La cultura occidentale è sempre stata caratterizzata da una struttura primaria che gira intorno a una serie di coppie di categorie, tra cui quella “uomo/donna”. Questo dualismo concettuale non è mai simmetrico, ma è basato sul predominio di un elemento sull’altro. Il maschio - inteso come genere culturale - si sta estinguendo, mentre la donna sta sviluppando più risorse e capacità di adattamento nella società. Il nostro corpo fa da mediatore tra noi e il mondo, comunica agli altri la nostra identità, mostra le differenze anatomiche tra il maschio e la femmina, che nella nostra società sono alla base della classificazione per una distinzione culturale e sociale. Il percorso suggerito, ha come chiave di lettura proprio l’identità: cercarla, cambiarla, rifiutarla o affermarla? Dimentichiamo l’esistenza del “genere” e cominciamo il nostro viaggio! Arianna Degni / XxeNa *[Paola Celi nata a Grenchen (Svizzera) il 9/11/’68 risiede a Villa Rosa di Martinsicuro (Teramo,Abruzzo) e lavora presso la propria Bottega d’Arte in Via F. Filzi . “Paola Celi intende il proprio lavoro un ‘ avventura nell’universo femminile , cercando gli strumenti per un’ esplorazione in profondità nei territori dell ‘ inconscio e dell ‘ immaginario .Il segno-scrittura si trasforma in segno-immagine in un esito naturale tale da suscitare un ‘ impressione immediata e fluente . Il procedimento formativo dell’artista rivela una ricerca costante di equilibri e sollecitazioni dinamiche anche molte contraddittorie fra loro .” (Elio guerra,ritrattista e scrittore) Fra le varie forme pittoriche troviamo lavori di forte impatto cromatico , con materiali quali travertino, pietre , legno, etc.. Lavori eseguiti con tecniche miste.] 50 InStante InMobile Locandina del film ‘Man with a movie camera’, 1929 Orlan Un corpo in divenire Cos’è un corpo? Cos’è l’identità? Proprio su questi interrogativi Orlan, performer radicale francese e mutante contemporanea, imposta da anni il suo faticosissimo lavoro. Il suo progetto è quello di innestare se stessa in un processo di metamorfosi identitaria. Orlan trasforma radicalmente il concetto di performance, creando l’archetipo di “corpo in divenire” inedito e unico. Dal 1986 si sottopone ad una serie di interventi chirurgici, con lo scopo di trasformarsi in un nuovo “essere”, rivendicando la possibilità di riprogettarsi, oltre le imposizioni restrittive del controllo legale e di poter far così emergere la sua immagine interiore. Gli interventi vennero trasmessi in diretta televisiva, mostrando i passaggi della sua metamorfosi fisica; in questo modo la sofferenza avviene nel corpo di chi assiste… ed è proprio questo che conta: il percorso… non il risultato. Genesis Breyer P-Orridge Un involucro per il cervello Unica identità per Genesis Breyer P-Orridge e sua moglie Lady Jaye Breyer, che insieme iniziarono a fare degli esperimenti per sfuggire al concetto di “genere”. Per loro, corpo e genitali non rappresentavano altro che un involucro per il cervello. Estremizzarono questa visione al fine di distruggere l’identità per poi ricongiungersi in un’unica nuova entità. Lo scopo era quello di raggiungere un perfetto stato di ermafroditismo, anzi di “pandroginia”. Attraverso una serie di interventi di chirurgia plastica cominciarono ad assomigliarsi fisicamente, ispirandosi al “cut up” della letteratura di Burroughs: “Prendiamo due persone, le tagliamo a pezzi e le rimettiamo assieme facendole diventare una terza persona”. Vanessa Beecroft Aspettando la bellezza La scelta espressiva della Beecroft è quella di realizzare performance utilizzando il corpo femminile. Delle vere e proprie coreografie curate nei minimi dettagli, dei quadri viventi dove vengono rappresentate azioni mai portate a termine, nature morte dalla valenza psicologica. L’ossessione per il corpo femminile, la sua esibizione e i suoi cambiamenti sono una caratteristica inconfondibile della sua arte. All’inizio della sua carriera artistica cominciò a scrivere un diario (Despair) che poi decise di rappresentare: un vero e proprio autoritratto letterario. In quell’occasione scelse delle ragazze dalle strade della città e vestendole con i suoi abiti chiese loro di diventare “pubblico” del suo diario. Alla fine i ruoli tra lettrici e soggetto si confondevano al punto da creare una situazione tanto auto-referenziale quanto extra-referenziale. 52 InMobile 53 VALIE EXPORT & Marina Abramovic Aktionshose: Genitalpanik / Action Pants: Genital Panic Nel 1969, VALIE EXPORT entrò in un cinema porno di Monaco, imbracciando un mitra e indossando dei pantaloni con il cavallo tagliato che mettevano in mostra i suoi genitali. Camminava tra il pubblico seduto mostrando da vicino la sua femminilità. Gli spettatori, che si aspettavano di vedere immagini di nudo proiettate sullo schermo, si sentirono minacciati dall’arma, ma soprattutto turbati dai genitali di una donna “reale”. Il risultato fu una fuga totale dal cinema. Questa performance radicale è stata riproposta in tempi più recenti, in collaborazione con la sua amica artista Marina Abramovic. Mariko Mori Cyber spiritualità Fin da ragazza, ispirandosi a un cartone manga, sognava lo specchio magico che le consentisse di trasformarsi nel personaggio che più desiderava. Infatti nei suoi primi autoritratti appariva con identità diverse: dalla donna cyborg in abiti ipertecnologici all’idolo pop anni ’90, conservando sempre quell’immagine intermediaria tra cielo e terra che la contraddistingue. Successivamente cominciò ad arricchire, in maniera graduale, le sue opere tecnologiche inserendovi una grande dose di ricerca spirituale, spaziando dal buddismo giapponese allo scintoismo, ispirandosi sempre alla cultura tradizionale giapponese ma senza mai rinunciare alle sue acute visioni sul futuro. Il suo obiettivo? Unire il “celeste” al “terrestre”. Shirin Nestat Tra due mondi Iraniana, compie i suoi studi in California dove si trasferisce per diversi anni. Quando negli anni ’90 torna nella sua patria trova la condizione sociale fortemente cambiata con l’insediamento della repubblica islamica. Da quel momento comincia a rappresentare la condizione della donna in Iran e l’obbligo del chador nero. Nel suo film Turbolent utilizza due proiezioni poste una di fronte all’altra; un uomo e una donna iraniani che cantano rivolgendosi l’uno verso l’altra, alternandosi. Lui ha un pubblico di soli uomini, mentre lei nessuno. È un duello tra sessi che non potrebbe mai avvenire nella realtà islamica patriarcale, perché alle donne non è permesso cantare in performance di questo tipo. In questa invece, il prevalere della voce femminile, vittoriosa su quella del suo “antagonista”, simboleggia la necessità dell’annullamento dei limiti imposti da quel tipo di società. 54 InMobile 55 Rineke Dijkstra Identità e sguardo Nella sua prima video-installazione (The Buzzclub), Dijkstra si concentrò totalmente sulla relazione tra la percezione di sé dell’individuo e l’azione modellante della società. Per qualche anno filmò i frequentatori abituali di due discoteche, una in Inghilterra e una in Olanda, in un cubo bianco con sfondo neutro e videocamera diretta alle persone. Risultato? I protagonisti adolescenti di questa video installazione assumevano fondamentalmente due tipi di atteggiamenti, che variavano dallo sfacciato all’imbarazzato; ciò che non mutava mai era il divario tra quello che avrebbero voluto comunicare e come apparivano effettivamente. Una vera e propria discrepanza tra l’intenzione e l’effetto. Frida Kahlo Una doppia identità Appena separatasi dal marito, questa meravigliosa e tormentata artista, trova sfogo dipingendo il famoso autoritratto Las dos Fridas, affrontando così il tema della doppia identità. Si ritrae con due identità diverse: la Frida messicana (tanto amata da Rivera) in costume tradizionale e la frida europea (quella rifiutata) che rischia di morire dissanguata. La sua nuova indipendenza, viene successivamente raffigurata in Autorretrato con pelo cortado, dove si è appena tagliata i capelli con le forbici e indossa un vestito da uomo. Significativa è la presenza della strofa di una popolare canzone messicana, che aiuta a capire il perché di questo quadro: ‘Vedi, se t’amavo era per i tuoi capelli; adesso che sei rapata non t’amo più’. Matthey Barney Androginie postorganiche Oltre il maschile e il femminile, oltre gli schemi della sessualità politicamente corretta, oltre la piatta divisione binaria, completamente inventato, il corpo di Matthey Barney ha incarnato molteplici identità. Le sue video azioni raccontano sfide della natura fisica e invereconde disidentità, corpi costruiti, senza genere, età e forma, una sorta di androginia organica come chiave di lettura della sua incredibile capacità di metamorfosi. Tra i suoi personaggi idoli del football, satiri, drag queens e maghi; corpi che si staccano dal reale e sprofondano in un immaginario completamente visionario. Le sue videoperformance presentano segni di rottura con l’universo naturale; il corpo postumano ha solo sfide, sessualità simbiotica, frantumazione corporea e risignificazione dell’io. 56 InMobile 57 Adrian Acosta The Transformation Angelica Porrari La Couvade Una lezione pratica di trasformazione accessibile: una buona dose di make up e l’alter ego prende forma! Angelica Porrari è una giovane videoartista. Le sue opere sono da contemplare come fotografia in movimento piuttosto che come narrazione filmica con uno sviluppo temporale canonicamente inteso. Questa caratteristica nasce dalla sua intenzione di rendere eterno il frammento di un istante, dilatato ed amplificato. Il singolo gesto si fa portatore dl significato delle immagini. Le fonti cui attinge sono miti, riti antichi e leggende di qualsiasi paese, da lei rinnovate in chiave contemporanea. L’estetica del suo lavoro offre un frequente rimando alla pittura rinascimentale italiana. Luci forti e contrasti marcati isolano le figure nello spazio neutro dove ogni elemento nella composizione visiva è significativo. La suggestione ancestrale, il potente impatto visivo e la purezza estetica dei suoi lavori si fanno voce, anima e corpo in uno stile artistico chiaro e definito, inconfondibile. Ideazione e realizzazione di ogni opera sono curate dall’artista fin nel più piccolo dettaglio: scena, luci, performance, post-produzione, suono e montaggio. Angelica Porrari porta avanti dal 2007 il suo progetto Gloves’Stories, soffermatosi recentemente sulla ricerca del “limite”, impalpabile e mutevole luogo di conoscenza. In questo articolo si propone uno dei suoi ultimi lavori: Couvade. La Couvade è un antico rito durante il quale i futuri padri simulavano il parto della propria compagna ed è citato nelle Argonautiche di Apollonio Rodio. La gravidanza, per gli antichi, è il momento in cui la donna possiede un grande potere di cui gli uomini vogliono cogliere il segreto. Segreto ai giorni d’oggi ancora celato. L’artista attualizza questo rito sottolineando l’importanza dell’uomo nella gravidanza. Nove mesi in cui il futuro nascituro può sentire anche il padre oltre che la madre. Il dolore simulato dall’uomo si concretizza e diventa reale e percepibile nella donna che, pur mantenendo l’arcaico segreto, si apre alla condivisione di ciò che in quel momento le è più sacro. L’artista ha voluto proporne la narrazione attraverso una composizione visiva che rimanda alle pietà rinascimentali. Il camice azzurro, colore indossato dalla Madonna nell’iconografia classica, in questo caso è indossato dall’uomo. XXeNa Snow woman Un insieme di simbologie che si susseguono in un viaggio onirico, alla ricerca di me stessa. Tutto inizia e finisce con una colomba bianca, che col suo volo lento sotto la neve dipinge la traiettoria di un nuovo ciclo vitale. Uno specchio immaginario apre una porta, e un po’ come in Alice in wonderland iniziano una serie di brevi visioni. Guardarsi dentro osservandosi da fuori è un gioco a cui spesso non siamo preparati e rifugiarsi nella propria palla di vetro è una bellissima sensazione, ma a quali ostacoli ci sottoporrà la neve? Il confronto con il proprio ego è una sfida continua, un cerchio che non si spezza… una nuova colomba in arrivo! 58 InMobile 59 Con questo numero siamo felici di accogliere nella squadra diwaliana Michela Pistidda, attenta lettrice, che ci propone due note suggestive ed insolite. Siamo altrettanto lieti di dare spazio ad un’autrice affermata e ad un esordiente. Fabiana Frascà torna sulla scena poetica con una raccolta di notevole impatto emotivo, un lavoro complesso ed affascinante destinato evidentemente a lasciare il segno. Emiliano Bernardini è un giornalista e cronista alle prese con il suo primo romanzo: gli diamo uno spazio con l’augurio che possa essergli benaugurale. Buona lettura! Diwali – Rivista Contaminata Unknown Womanm,Thomas Wilmer Dewing, Pastello su carta, 1890 InDicazioni Aporia delle scorie di Fabiana Frascà Dietro la levigata superficie dei versi traspare la vigile coscienza del poeta che cerca la realtà anche dietro lo specchio, per miniaturizzare quei chip che la tecnica contemporanea ha saputo inserire nel proporre la quotidianità insita nel bosco della realizzazione. Anche se nessun versante sembra offrire una soluzione convincente e duratura della crisi della poesia italiana, inceppata da anni in sterili opposizioni fuorvianti, nella illusione che una nuova maniera di poetare potesse ridar credito e vita alla creatività, ecco che ritroviamo con stupore e legittima soddisfazione una costruzione musicale che sfiora con arguzia e rimandi il tessuto della scrittura, per rompere con insistenza l’isolamento della lirica. Da buona viandante Fabiana Frascà viaggia di gran carriera il viaggio della vita, sul ritmo di versi, di rime alternate, di ritmi leggeri, regolarmente battuti e di duplicazioni valevoli da itti e da impulsi. Il senso della ripetizione dona una visione che non riesce a rasserenare, anche se cerca ogni esorcismo per allontanare l’angoscia ed il pericolo di Thanatos. Frammenti, brevi aforismi, concisi e scarni, segnali mutevoli e precisi, si propongono nella ricerca esasperata della fine delle cose, sempre entro la dimensione della vita, quando la vita si renda lodevole di essere vissuta, in piano, con la matura coscienza che ne valga la pena, per un’apertura razionale e relazionale, che mai dovrebbe venir meno. Urlare per non piangere, urlare per sospendere l’angoscia, cercando di abbandonare ogni scetticismo per ironizzare quando è possibile, nel testo e nel reale, cercando con semplicità la distanza dell’ironico nel colloquio intimo e privato. Scrive l’autrice: “Anche le parole si ammalano e muoiono e a me piace curarle come un medico, confessarle come un prete, resuscitarle come un dio. E il processo è biunivoco perché a loro consento di fare lo stesso con me.” La pagina è arrendevole per una sua salvifica intenzione per la quale ogni porta si socchiude, e provare ad entrare è cosa facile perché la carica emotiva della narrazione ha una forza sua ineliminabile. Antonio Spagnuolo TITOLO: Aporia delle scorie AUTORE: Fabiana Frascà EDITORE: Giulio Perrone PREZZO DI COPERTINA: 12 euro (brossura) PAGINE: 104 ISBN: 9788860043177 InDicazioni 61 La ragazza dalle tredici anime di Hedy Kempny e Arthur Schnitzler Nella Ragazza dalle tredici anime viene alla luce un ritratto inedito di due personalità poliedriche e contraddittorie: quella del grande scrittore austriaco Arthur Schnitzler, prolifico autore di romanzi, racconti e opere teatrali di sottile indagine psicologica, e una giovane ragazza della media borghesia, Hedy Kempny, che intreccia con Schnitzler un rapporto ventennale di affettuosa amicizia, attraversato da una tensione erotica mai compiutamente realizzata. Si tratta di una testimonianza eccezionale che rivela il lato più intimo dei due protagonisti, offrendo una chiave di accesso preziosa alla loro vita interiore. Il carteggio è intercalato da estratti del diario di Hedy, che spiegano, ampliano e talvolta complicano l’intreccio di vicissitudini che la avvicinano o allontanano dal grande scrittore. Intelligente e anticonformista, Hedy è una ragazza che incarna tutte le antinomie e i drammi di un’epoca tumultuosa, sorta dalle ceneri dell’impero austroungarico e dalle conseguenze disastrose della prima guerra mondiale. Nel tentativo di tracciare un percorso di vita autonomo, libero e autentico, svincolato dal conformismo borghese e fedele alle proprie inclinazioni, Hedy è pronta a superare ogni ostacolo. Nonostante il grigio e monotono impiego in una banca, indispensabile per conservare un’effettiva indipendenza economica, si impegna a coltivare i molteplici talenti e le passioni che la caratterizzano: studia recitazione, segue un corso di ginnastica, assiste a concerti e spettacoli teatrali, legge moltissimo, viaggia il più possibile, cogliendo ogni occasione che le si presenti, se necessario con piglio spregiudicato. Il suo è un volo ad ali spiegate verso la maturità, talora oscillante e incerto, talora stabile e determinato. Nel 62 suo mondo interiore può capitare che la malinconia e la mutevolezza, come imprevedibili correnti d’alta quota, sopprimano gli impeti gioiosi e infantili, o al contrario che un’ingenua fiducia nel futuro rischiari un paesaggio desolato di solitudine e separazioni. Si tratta quindi di un processo evolutivo tortuoso, talora colmo di dolore, eppure mai offuscato dall’autoinganno, dalla negazione, dalla rimozione. Un processo che accomuna ogni individuo e con il quale una giovane lettrice (la specificazione di genere appare inevitabile) trova spontaneo identificarsi. Per Hedy il grande scrittore è sempre presente, con una parola di incoraggiamento o di conforto, a stringerle con calore la mano malgrado la distanza che spesso li separa, ad accompagnarla con sguardo attento e affettuoso nella costruzione di un’identità matura, in grado di scendere a patti con l’impossibilità della perfezione, l’incomunicabilità dei sentimenti, la solitudine connaturata all’esistenza. L’intesa fra i due, tuttavia, non si può incasellare nello schema frusto e prevedibile di un rapporto padrefiglia, perché sarebbe riduttivo oltre che impreciso. La natura di questa relazione è infatti eccezionale: si tratta di un incontro fra due anime che si mettono a nudo l’una di fronte all’altra. Un incontro che, come confermano le lettere, rappresenta un unicum nel vissuto di entrambi. Hedy è portata a stabilire rapporti improntati su una trasparente autenticità, e questa condizione, per una splendida e inspiegabile alchimia, si riesce proprio a concretizzare con Arthur Schnitzler. Incuriosito dalle “tredici anime” di questa ragazza sensibile e anticonvenzionale, lo scrittore la sprona a esprimersi, ad aprire cuore e anima, a raccontare tutto di sé. InDicazioni Di fronte a una vitalità tracimante, a un candore esuberante e insieme ingenuo, l’iniziale, apparente freddezza di Schnitzler si stempera negli anni in un amore costante, colmo di premure, accoglienza, comprensione. Proprio perché consapevoli che “l’anima è un vasto paese”, entrambi riescono a conservare la freschezza rivoluzionaria di un rapporto maturo, non esclusivo, in grado di accogliere i silenzi come le irrefrenabili loquacità dell’anima, un rapporto straordinario che giunge a conclusione solo per la morte prematura di Schnitzler, avvenuta il 31 ottobre 1931. Ai lettori resta un’immagine di ariosa libertà e l’impressione che la felicità, per quanto sia una chimera, possa balenare imprevista nei rapporti interpersonali. Questo, ovviamente, a condizione di essere disposti a mettersi in gioco, a interrogare le nostre paure più recondite e inconfessabili, a com-prendere gli altri. In sostanza è quindi indispensabile porsi nell’atteggiamento corretto che consente di “cercare e saper riconoscere”, come scrisse Calvino nelle Città invisibili, “chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Hedy Kempny e Arthur Schnitzler hanno saputo ritagliare questo spazio l’uno per l’altra nel vasto paese delle loro anime. TITOLO: La ragazza dalle tredici anime AUTORE: Hedy Kempny e Arthur Schnitzler EDITORE: Feltrinelli PREZZO DI COPERTINA: 25 euro (brossura) PAGINE: 336 ISBN: 8807070189 Michela Pistidda InDicazioni 63 Dimmi cos’è La lente scura di Emiliano Bernardini E’ dell’amore, e della paura di amare, che ci parla Emiliano Bernardini nel suo romanzo d’esordio “d’amore e disordine” intitolato “Dimmi cos’è”. Una domanda che le comprende tutte. Ma Annie, la protagonista del libro, cerca anche “la” risposta alla domanda che la tormenta da quando è bambina: “Abbandonarsi equivale ad essere abbandonati?”. Il limite che dalla morte dei genitori ha sempre avuto paura di superare. Annie è convinta che amare sia sbagliato, qualcosa che lei non si può permettere. Tutto procede come ha stabilito. Un solo ostacolo: qualcuno più ostinato di lei”. “Dimmi cos’è” (edito da Porto Seguro, 165 pagine) è un romanzo che ci pone di fronte all’importanza del tempo, all’amore in grado di spingersi oltre ogni ostacolo sconfiggendo la morte. E allora “abbandonarsi si trasforma in quella scelta difficile che tutti dovremmo fare per essere felici”. Con fine scrittura e sapienza nell’utilizzo delle descrizioni degli attimi Emiliano Bernardini ci pone di fronte all’importanza del tempo e di quel Carpe Diem di oraziana memoria. 64 TITOLO: Dimmi cos’è AUTORE: Emiliano Bernardini EDITORE: Porto Seguro PREZZO DI COPERTINA: 12 euro (brossura) PAGINE: 165 ISBN: N/A InDicazioni di Anna Maria Ortese Non ho difficoltà a immaginare Anna Maria Ortese, il volto coperto da un paio di lenti scure, in viaggio lungo le strade di ferro, d’asfalto e di terra battuta della penisola italiana e del continente europeo, quasi le ultime immagini che la ritraggono, ormai anziana, nella casa di Rapallo abbiamo soppiantato per sempre, nella mia immaginazione di lettrice assidua e innamorata, le pupille di triste e sognante attesa che immortalano le poche fotografie dell’autrice da giovane. In questa raccolta, che raggruppa reportage scritti fra il 1939 e il 1964 insieme a ben sedici scritti inediti, la lente scura è ovviamente il filtro attraverso il quale la scrittrice analizza e descrive la realtà: un velo di “malinconia e protesta” che le permette di trasfigurare il mondo in quadri astratti e visionari, permeati da metafore e ossimori, dove ad essere ritratta è la marginalità delle esistenze, il confino di classe, il fallimento della Ragione, l’irraggiungibile chimera della Verità. Il cammino della Ortese non conosce tregua, il suo sguardo continua ad aprirsi sul mondo e gli itinerari non appaiono mai prestabiliti. Quando ciò avviene, un imprevisto, l’ubbia di un momento, il terrore irrazionale dell’aereo (si pensi all’interminabile viaggio in treno per raggiungere la delegazione italiana a Mosca), introducono un elemento di instabilità, di variazione, di casualità. Questa dimensione caotica trova espressione anche nella prosa, definita dalla stessa autrice come una “scrittura sbandata e ansiosa, spezzata, esitante”, e nella struttura asimmetrica dei reportage all’interno del libro, organizzati secondo una tripartizione che resiste a ogni contiguità cronologica, geografica e perfino tematica. L’impulso che dà l’abbrivio al peregrinare, per quanto occultato sotto una plausibile pretesa o una scelta razionale, sia essa la composizione di un reportage oppure la ricerca di una casa da affittare per alcuni mesi, è sempre da individuarsi in una dimensione psicologica, strettamente intima. L’istigazione al viaggio è di natura emotiva, umorale, ondivaga come i cieli favolosi e variopinti su cui spesso indulge l’attenzione della scrittrice, perfino ai limiti della superstizione nel caso del soggiorno a Londra, che s’interrompe bruscamente per il muoversi di un gatto randagio. Nel microcosmo interiore della Ortese le distanze si piegano in torsioni paradossali (valga come esempio il biglietto Milano-Napoli-La Spezia per raggiungere la Liguria), mentre i paesaggi urbani rivelano una trama di rimandi e analogie, memorie e similitudini che aboliscono ogni categoria spazio-temporale. Su questo continuum, dove i confini di presente e passato si stemperano gli uni negli altri, aleggia l’impossibilità insanabile di sentirsi “a casa”: la precarietà, lo sradicamento sono il contraltare del desiderio disperante di un luogo in cui essere. Desiderio di fondo è quindi la ricerca di una patria, una terra dove avere cittadinanza in quanto donna, in quanto scrittrice, in quanto appartenente a una classe sociale svantaggiata. Come un fuscello spazzato da violenti flutti in mare aperto, la scrittrice si lascia trascinare dal silenzio piovoso di una Milano notturna all’ostilità sprezzante delle anticamere borghesi d’una Roma opulenta e indifferente, da una Napoli ch’è matrice immaginifica da cui prende consistenza l’identità ortesiana ai latifondi di derelitta umanità del Meridione, dove tra le pietre abbacinanti si conducono esistenze al limite della sussistenza. Così dirompente è l’esigenza di mettere radici che la scrittrice diviene vittima di un rapporto masochistico, squilibrato con i luoghi che vorrebbe eleggere a sua InDicazioni 65 dimora: quando avverte il rifiuto di una città, si scopre ad anelare il ritorno alla stessa metropoli dalla quale, solo pochi giorni prima, era fuggita al colmo della disperazione. Il suo peregrinare, com’è prevedibile, appare quindi come un nostos impraticabile: la patria tanto agognata non ha alcuna esistenza geografica, alcun addentellato con il reale. L’unica patria possibile esiste invece negli incontri con l’alterità minuta e umile del dopoguerra italiano o della Russia sovietica, nelle scarne parole sbocconcellate da una giovane tabacchiera pugliese, nelle orbite fameliche e scavate dei figli dei briganti siciliani. Identità marginale ed emarginata, la scrittrice può trovare la propria heartland immateriale soltanto nell’umanità dolente che popola il mondo, nel “poco” o nel “nulla”, negli “Occhi – Occhi - Occhi e Voci dolci, umane, chiarissime”; in ultima analisi, dunque, nell’utopia: “La vita si muove, viaggia; e alta sui paesi come sulle campagne perse - mentre i convogli del tempo continuano a inseguirsi - alta sui paesi deserti e campagne mute, resta la mirabile, cara, fedele Utopia”. InChina di Mario Lucio Falcone TITOLO: La lente scura AUTORE: Anna Maria Ortese EDITORE: Adelphi PREZZO DI COPERTINA: 24 euro (brossura) PAGINE: 501 ISBN: 8845918963 Michela Pistidda *[Michela Pistidda, traduttrice per una piccola agenzia milanese, è funambola di parole nel quotidiano ma perde l’equilibrio se si tratta di scrivere la propria biografia.] 66 InDicazioni *[Mario Lucio “the Marius” Falcone nasce a Napoli ma cresce tra le migliaia di pagine dei fumetti che custodisce gelosamente e che hanno dato una direzione alla sua voglia di disegnare, manifestatasi all’età di tre anni. Probabilmente vi ricorderete di lui per Violet l’eroina anticamorrra, per la webstrip Advanced Nerds o per la fanzine telematica PippaMentis.] 67