L`assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2012

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L`assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2012
LA COOPERAZIONE SOCIALE. TUTELA DEL SOCIO LAVORATORE
Stefania Ragnetti
INDICE
INTRODUZIONE
1 - Che cos’è l’impresa cooperativa e cosa non può essere
2 - Evoluzione storica
3 - Disciplina normativa
3a) Quadro legislativo
3b) La tutela contrattuale
3c) Il contratto integrativo delle Marche
4 - Uno sguardo all’Europa
4a) Le cooperative sociali: un modello che l’Europa apprezza ma stenta a diffondere
4b) La crisi come opportunità
CONCLUSIONI
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INTRODUZIONE
L’assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2012 ” anno internazionale delle
Cooperative”; questo modello imprenditoriale è stato riconosciuto come “ uno dei fattori principali
dello sviluppo economico e sociale, che promuove la piena partecipazione allo sviluppo economico
e sociale dei popolo del mondo sviluppato e in via di sviluppo”.
Detto riconoscimento conferma una progressiva ripresa d’interesse per questa forma
d’impresa,ciononostante i dati sulle reali dimensioni economiche, occupazionali,e sociali del
fenomeno cooperativo sono ancora scarsi e frammentari.
Sicuramente la grande crisi del 2008 ha fatto riscoprire il modello cooperativo, anzi si puo’
affermare che l’impresa cooperativa sia andata controcorrente.
Un ruolo particolare nel settore della cooperazione popolato da cooperative di credito, di consumo,
di produzione e lavoro ,agricole, edili, è svolto dalla cooperative sociali, le ultime nate in quel
settore ossia quelle cooperative costituite ai sensi della legge 381/1991 per perseguire l’interesse
generale della comunità mediante l’erogazione di servizi socio sanitari ed educativi(cooperative di
tipo A) oppure lo svolgimento di attività diverse agricole, industriali,commerciali o di servizi,
(cooperative di tipo B )finalizzate all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.
Secondo dati Euricse (European research Institute on Cooperative and Social Enterprises) il 31
dicembre 2008 (primo anno in cui si hanno dati precisi) risultano attive in Italia 13.938 cooperative
sociali, pari al 19,5% del totale delle Imprese cooperative; 8 cooperative su 10 svolgono attività nei
servizi, in particolare il 44% opera nel settore sanità e assistenza sociale. Oggi hanno superato il
limite di 14.000.
Dal censimento Istat del 2011 emerge che nel 2008 i Comuni hanno speso quasi 7 miliardi di euro
per spesa socio assistenziale; la spesa complessiva più elevata si registra in Lombardia,Lazio,
Emilia Romagna.
Vi è una netta differenza tra Regioni meridionali dove la spesa è bassa e le cooperative sociali sono
di piccole dimensioni e regioni settentrionali dove la spesa è medio alta e le cooperative sono di
grandi dimensioni.
Anche nelle cooperative sociali il lavoro rappresenta un tema di fondamentale importanza; si stima
che nel 2008 le cooperative sociali abbiano occupato circa 318.000 lavoratori,per la maggior parte
impiegato nel settore socio assistenziale, con piu’ occasioni di lavoro al nord piuttosto che al sud.
In Italia il mondo della cooperazione sociale è una realtà economica in continua crescita ed
espansione che gioca un ruolo sempre più centrale nell’economia del nostro paese che offre
occasioni di lavoro soprattutto
alle donne ( cooperative di seria A) e soggetti svantaggiati (cooperative di serie B).
Più precisamente le cooperative sociali sono organizzazioni economiche di piccole-medie
dimensioni ormai integrate nel tessuto sociale in cui si sono sviluppate e che agiscono a stretto
contatto con gli enti pubblici e la comunità in cui sono inserite, offrendo servizi socio educativi e
sanitari ed opportunità di integrazione lavorativa.
Tutto il mondo cooperativo,non solo le cooperative sociali, spesso pone degli interrogativi tra i
lavoratori coinvolti, tra i cittadini che usufruiscono di quei servizi, del tipo: come conciliare i
principi e i valori della proposta cooperativa, lo scopo mutualistico e solidale con le richieste di un
mercato globalizzato? Come garantire libertà agli amministratori e diritto-dovere dei soci di essere
informati e messi nelle condizioni di votare in modo consapevole?Come impostare il rapporto tra
cooperazione e finanza per sostenere la crescita delle cooperative? Altre domande spesso sono: le
cooperative pagano le tasse? Godono di vantaggi fiscali e privilegi?
Oggetto del presente lavoro è la situazione sotto il profilo legislativo e contrattuale del socio
lavoratore e la sua tutela.
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1 - COS’E’ UN’IMPRESA COOPERATIVA E COSA NON PUO’ ESSERE
Una prima definizione di cooperativa è quella data nel 1995 dall’ Alleanza cooperativa
internazionale:” Una cooperativa è un’associazione autonoma di persone che si uniscono
volontariamente per soddisfare i propri bisogni economici,sociali,culturali e le proprie aspirazioni e
le proprie aspirazioni attraverso la creazione di un’impresa a proprietà comune e democraticamente
controllata.
Se le cooperative d’impronta tradizionale hanno uno scopo mutualistico , cioè l’aiuto
reciproco,diverso è il mandato per le cooperative sociali , che sono tenute per legge a perseguire
l’interesse generale della comunità, come previsto dalla legge 381/1991 che mette in evidenza
questa alterità delle cooperative sociali.
I principi cardine delle cooperative sono:
 Adesione libera e volontaria: le cooperative sono organizzazioni volontarie aperte a
chiunque intenda farne parte; è questo il principio della porta aperta.;
 Controllo democratico da parte de i soci le cooperative sono organizzazioni democratiche
controllate dai propri soci in base al principio: “ una testa un voto”.
 Partecipazione economica dei soci: i soci partecipano alla formazione del capitale della
cooperativa in modo equo e lo controllano secondo democrazia.
 Autonomia e indipendenza: le cooperative sono iniziative autonome , di mutua assistenza,
controllate dai soci.
 Interesse verso la comunità:Le cooperative lavorano per lo sviluppo della comunità in cui
operano.
 Questo principio è forse il più impegnativo: le cooperative devono uscire dal ristretto raggio
del gruppo di soci e progettare politiche di sviluppo utili all’intera collettività.
Significativi accanto ai suddetti principi anche i valori a cui le cooperative si ispirano:l’autoaiuto,la democrazia,l’uguaglianza,la solidarietà,l’equità’.
Ogni tipologia di cooperativa persegue un obiettivo specifico , ma c’è un obiettivo che le
accomuna e le distingue dall’impresa for profit: nessuna persegue come finalità la
massimizzazione del profitto, infatti l’impresa cooperativa è un’organizzazione no profit.
Attenzione: questo non significa che non possa fare profitti, è bene anzi che ne faccia per
rafforzare l’impresa ,significa più semplicemente che alla cooperativa non compete fare utili per
distribuirli.
Non è e non può essere questo il suo mestiere, anche perché la prospettiva da cui muove
l’impresa cooperativa e diversa da quella dell’impresa for profit. Per quest’ultima inserirsi un un
determinato settore , dedicarsi ad un tipo di attività, produrre un certo prodotto, non fa
differenza.
La scelta avviene sulla base di una proiezione che la indirizza sulla base di un unico parametro
discriminante: il profitto.
La prospettiva da cui muove una cooperativa è diversa:vi sono dei bisogni da soddisfare.
Per caratteristiche proprie , l’impresa cooperativa non può che essere un soggetto collettivo:un
altro elemento che la distingue dall’impresa lucrativa; proprietaria di quest’ultima può essere
un’unica persona, il cosiddetto padrone della migliore tradizione italiana.
Per costituire una cooperativa ,al contrario, è necessario il coinvolgimento di più soggetti che
esprimono un medesimo bisogno da soddisfare e che si uniscono per raggiungere questo
obiettivo.
La cooperativa sociale è stata altresì definita una specie di Giano bifronte: un utile modello per
coniugare dimensione sociale e dimensione economica.
Naturalmente lo scenario è complicato: perseguire la sola dimensione economica significa avere
un’unica bussola di riferimento, quella del profitto; abbracciare la dimensione sociale vuol dire
essere obbligati ad un equilibrio tra queste due dimensioni: evitare che una crescita senza freni
sia controproducente sul piano della sostenibilità sociale.
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2 - EVOLUZIONE STORICA
Sino a fine Ottocento una parte significativa dell’assistenza era in mano a organizzazioni private , di
natura benefica e caritativa , per lo più a sfondo religioso.
Sono di questo periodo gli ospedali gestiti da opere pie , società di San Vincenzo de Paoli , le
confraternite.
Verso la fine dell’Ottocento, in sintonia con quello che stava accadendo in Europa, anche lo Stato
italiano assunse un ruolo maggiore nell’ambito delle politiche sociali.
Le realtà del privato sociale furono così ridimensionate, fino a scomparire.
D’altra parte , lo Stato italiano avrebbe garantito maggiori certezze per quanto riguarda la continuità
delle prestazioni, la loro sostenibilità economica e l’uniformità’ di trattamento da garantire, per
quanto possibile, sull’intero territorio nazionale.
Da qui la parabola ascendente dello Stato sociale, allargatasi via via fino agli anni settanta del
secolo scorso.
Quando iniziarono i primi scricchiolii e le difficoltà organizzative dello Stato sociale con la sua
difficile sostenibilità, ci fu una riscoperta del privato sociale, sulla falsariga dell’esperienza
ottocentesca che ormai dimenticata,aveva garantito cura e assistenza a buona parte della
popolazione.
Il terzo settore(il primo è lo Stato e il secondo il mercato)come termine fa la sua comparsa in Italia
verso la fine degli anni 80 e indica pratiche e soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla
produzione e allocazione di beni e servizi a valenza pubblica e collettiva.
Mentre il settore pubblico è incorporato nello Stato, il settore di mercato nell’economia,la sfera
informale nelle reti parentali e amicali il Terzo settore rappresenta la struttura intermedia
organizzata tra lo Stato, il sistema economico, e le reti informali.
Le organizzazioni che rientrano nel Terzo Settore oggi in Italia sono:i volontariato
organizzato,l’associazionismo sociale, la cooperazione sociale,le fondazioni,la mutualità.
La storia della cooperazione sociale in Italia è una storia recente;un fenomeno iniziato tra gli anni
’70 e gli anni ‘ 80 che però affonda le proprie radici nell’immediato dopoguerra ,negli anni della
ricostruzione, nelle case, negli oratori delle parrocchie dove giovani sacerdoti promossero
l’aggregazione giovanile.
Mentre lo scenario sociale mutava sotto la spinta di riforme sociali epocali come la chiusura degli
orfanotrofi e dei manicomi, la domanda di servizi più personalizzati e più di qualità saliva.
Un passaggio decisivo nel nostro paese fu la protesta giovanile della fine degli anni 60 , che per
molti aspetti coincideva con quella dei lavoratori e delle fasce deboli della popolazione; detta
protesta entrò in sintonia con il mondo cattolico che nel 1965 alla chiusura del Concilio Vaticano II
aveva messo in discussione la disciplina e il ruolo della Chiesa.
L’idea che carità è anzitutto giustizia sociale e che compito specifico dei laici è il suo
perseguimento nell’organizzazione civile,viene evidenziata dal Concilio, le cui linee guida
sensibilizzarono l’operato dei sacerdoti nelle loro parrocchie indirizzandoli verso l’inclusione dei
più deboli.
Tutto ciò contribuisce a creare una nuova cultura della responsabilità.
Singoli cittadini e gruppi nati spontaneamente incominciano a interrogarsi sul senso della giustizia e
sollecitano un intervento sociale più diffuso ed adeguato ai bisogni.
Sono gli anni in cui è convinzione diffusa che lo Stato possa e debba garantire il benessere a tutti i
cittadini,erogando direttamente i servizi necessari
Importante è in quegli anni l’azione dei gruppi di aggregazione giovanile, di movimenti come lo
scoutismo,l’associazionismo cattolico,gruppi di volontariato
Lo stile di vita delle famiglie intanto erano cambiate: genitori che lavorano entrambi,anziani che
invecchiano in solitudine,disabili e malati psichici non più rinchiusi in strutture.
I successivi anni ’70 si caratterizzano per l’acuirsi delle difficoltà dello Stato Sociale che non è
realisticamente in grado di far fronte a tutti i problemi che emergono nelle comunità.
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A cavallo degli anni 70 e 80 grande è l’impegno civile di volontari e associazioni,gruppi informali e
parrocchiali che si attivarono per cercare le risorse a livello locale.
Si parla di solidarietà e si sviluppano così le prime cooperative di solidarietà sociale: molti
trovarono nella cooperativa la forma giuridica e organizzativa più vicina ai principi che li avevano
motivati; solo più tardi vi fu un riconoscimento giuridico con la Legge 381/1991 e il contratto
collettivo di lavoro.
Gli anni ‘ 70 rappresentano anni importanti in cui prende corpo la stagione dei diritti sociali, è un
periodo di riformismo dirompente con una produzione legislativa collegata alla nascita della
cooperazione che declina per la prima volta alcuni principi costituzionali fondamentali.
La prima importante normativa risale al 1968 ed è la legge 482 sul collocamento obbligatorio, è la
prima che traduce nel sistema il diritto al lavoro per tutte le persone,indipendentemente dalla loro
condizione fisica.
Fu questo un primo fondamentale passo nell’Italia repubblicana perché riconosceva un diritto legato
alla persona e al suo stato dovuto a svantaggi causati da vicende sociali o patologie invalidanti;
possiamo fissare qui la prima tappa simbolica da cui è iniziato il progetto legislativo di
riconoscimento dei diritti sociali.
Dopo pochi anni arriva la legge sull’handicap la 118 del 1971 con la quale si fissano i diritti dei
soggetti diversamente abili, fino allora chiamati “menomati”: per la prima volta persone portatrici di
handicap venivano considerati cittadini portatori di diritti parimenti ad ogni altro individuo,esseri
umani che fino allora erano stati custoditi in istituti o ospedali.
Un terzo snodo normativo ha visto protagonisti i bambini e il loro diritto alla famiglia ,nella legge
sull’adozione speciale approvata nel 1967: la legge 431 finalmente afferma l’esigenza dei minori a
vivere in un nucleo composto da due genitori dove possono vivere serenamente.
Significativa è la Legge che nel 1972 ha cambiato al vita di molti giovani:la legge sull’obiezione di
coscienza; si tratta di un’innovazione: in alternativa al servizio militare i giovani possono scegliere
il servizio civile.
Da citare in questo quadro nel 1977 il decreto legislativo 517 del 1977 che proponendo l’istruzione
per tutti, rivoluzionò la scuola e la didattica; anche i bambini disabili fino allora destinati a scuole
speciali entrarono a pieno diritto nelle scuole insieme ai normodotati.
Le scuole speciali vennero abolite e partirono numerosi progetti per l’integrazione scolastica dei
disabili e vennero introdotte nuove figure professionali, quali gli educatori e gli insegnanti di
sostegno formati e specializzati per insegnare e comunicare adattando la didattica ai bisogni degli
studenti.
Infine l’ultima tappa delle riforme sociali si ha nel 1978 con la legge 180, la cosiddetta Legge
Basaglia :il provvedimento che impose la chiusura dei manicomi. Nella 180 è racchiuso una altro
significativo passo verso il riconoscimento dei diritti di tutti e l’introduzione nella società di nuove
richieste.
Come sopra accennato la stagione dei diritti sociali aveva dato ampio spazio ad una rigogliosa
domanda di servizi nel settore socio assistenziale, a cui le amministrazioni pubbliche inizialmente
risposero con l’aumento dell’impiego pubblico, coprendo con nuovi posti di lavoro gli addetti
necessari a fornire i servizi.
Nel 1978 il Governo con l’allora Ministro del Tesoro Stammati,introducendo il blocco della pianta
organica degli enti pubblici ,interruppe questo criterio di gestione del pubblico impiego che stava
producendo una crescita esponenziale del welfare state e determinò una nuova fase,quella delle
esternalizzazioni.
Ecco che la cooperazione di solidarietà sociale vive un ulteriore sviluppo determinato
dall’affidamento di servizi socio sanitari ed educativi da parte degli enti pubblici.
Questa situazione se da un lato ha favorito la consapevolezza nella scelta del modello cooperativo,
da un altro ha portato spesso a considerare le cooperative di solidarietà sociale come prestatrici di
manodopera a basso costo.
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Parallelamente prese forma la riorganizzazione dello Stato; nacquero le Regioni e i Comuni
divennero autonomie locali.
La lotta alla povertàe al disagio sociale era attuata fino agli anni ’70 nell’ottica di mantenere
l’ordine pubblico, di contenere le esigenze della gente; una filosofia politica e culturale ereditata
dalla Legge Crispi del 1890, eliminata completamente solo nel 2000 con la Legge 328,la Legge
quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, che introduce anche
il fondo per le politiche sociali.
Nuovi cittadini, nuova domanda e nuova spesa pubblica.
Un altro fattore da menzionare è la riforma sanitaria del 1978, in vigore ancora oggi,quale modello
di salute che istituì le unità sanitarie locali(USL) e che cancellò i consorzi sociosanitari e ancor
prima le mutue, enti che fungevano da forme assicurative legate alle categorie di lavoro pubblico o
privato; insieme allo stipendio il lavoratore riceveva anche la copertura della mutua, la cui qualità
dipendeva dal tipo di organizzazione che il lavoratore aveva alle spalle e all’area geografica in cui
era situata.
3 - DISCIPLINA NORMATIVA
3a) Il quadro legislativo
A ben guardare la storia della cooperazione sociale prende le mosse dalla nostra Costituzione; l’art.
45 recita: “La repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità’ e
senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più
idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”; ma come si è detto è con
la Legge 381/1991(Disciplina delle cooperative sociali) che la cooperazione sociale acquista
credibilità e legittimazione e comincia ad essere considerata da tutti una valida e credibile formula
sia nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati che nell’erogazione di servizi socio sanitari
ed educativi.
L’articolo 1 della suddetta Legge da la definizione di cooperativa sociale: essa ha lo scopo di
perseguire l’interesse della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini
attraverso: a)la gestione dei servizi socio educativi b)lo svolgimento di attività diverse
agricole,industriali,commerciali o di servizi finalizzate all’inserimento
lavorativo di persone svantaggiate.
I soci che aderiscono alla cooperativa possono essere volontari o soci lavoratori; I soci volontari
sono quelli che prestano la loro attività gratuitamente;ad essi non si applicano i contratti collettivi e
le norme in
materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle norme in materia di infortuni sul
lavoro e sulle malattie professionali.
Nella gestione dei servizi effettuati dalla cooperativa in applicazione dei contratti stipulati con gli
enti pubblici, le prestazioni dei soci volontari possono essere utilizzate in misura complementare e
non sostitutiva di operatori professionali; le prestazioni dei soci volontari non concorrono alla
determinazione dei costi di servizio.
La figura del socio lavoratore è disciplinata dalla Legge 142 del 2001, che si applica a quelle
cooperative nelle quali il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da
parte del socio.
Quest’ultimo stabilisce con la propria adesione un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma
subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma,ivi compreso il rapporto occasionale con cui
contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali.
Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la Legge 300/70 e le
disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro.
In relazione alla peculiarità del sistema cooperativo forme specifiche di esercizio dei diritti sindacali
possono essere individuate in sede di accordi collettivi tra le associazioni nazionali delle
cooperative,le cosiddette Centrali cooperative( attualmente in Italia sono quattro: Confcooperative,
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Lega delle Cooperative, AGCI e UNCI) e le organizzazioni sindacali dei lavoratori piu’
rappresentative.
Ogni cooperativa,sempre in base alla Legge 142, deve definire un regolamento,approvato
dall’assemblea, sulla tipologia dei rapporti che si intendono attuare con i soci lavoratori.
Il regolamento non può contenere disposizioni che deroghino in pejus i trattamenti retributivi e le
condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi nazionali:nel caso in cui il regolamento contenga
una disposizione che violi questo precetto, la clausola è nulla.
Il regolamento in ogni caso deve contenere il richiamo ai contratti collettivi, per ciò che attiene ai
soci lavoratori con contratto di lavoro
subordinato e le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci , in relazione
all’organizzazione aziendale.
L’assemblea dei soci ha la facoltà di deliberare all’occorrenza un piano di crisi aziendale nel quale
siano salvaguardati i livelli occupazionali e siano
altresì previsti la possibilità temporanea di riduzione dei trattamenti economici integrativi per l’
intera durata del piano, così come il divieto per l’intera durata del piano dei distribuzione degli utili.
La Legge 30/2003 prevede la possibilità per le cooperative di definire accordi territoriali con le
associazioni sindacali più rappresentative che rendano compatibile l’applicazione del contratto
collettivo nazionale di lavoro all’attività svolta.
La Giunta della Regione Marche ha promulgato nel dicembre 2001 la legge n° 34 sulla
“Promozione e sviluppo della Cooperazione sociale” con la quale viene istituito un albo regionale
delle Cooperative sociali,si determinano le modalità di raccordo con l’attività dei servizi sociosanitari e assistenziali, si fissano i criteri a cui debbono uniformarsi le convenzioni tra cooperative
sociali e gli enti pubblici.
3b) La tutela contrattuale
L’esperienza contrattuale nell’ambito cooperativo ha origine a Brescia( territorio ove è assai
rilevante la presenza cooperativa volta ai servizi alla persona e all’inserimento lavorativo) e
prosegue in Emilia Romagna ove Sindacato e cooperazione nel 1990 si posero l’obiettivo della
definizione di uno specifico contratto regionale di lavoro,sostituendolo presto con quello piu’
ambizioso di un contratto collettivo nazionale di lavoro. Impegno questo sottolineato anche dal “
Protocollo sul nuovo modello di relazioni industriali nel sistema delle imprese cooperative “
sottoscritto da CGIL-CISL-UIL e Centralo Cooperative sempre nel 1990 che sottolinea l’impegno
delle parti a far si che tutti i settori, ove sono presenti imprese cooperative, siano coperte da
contrattazione nazionale.
Il primo vero e proprio CCNL di settore fu siglato il 1° aprile 1992 sempre dalle Centrali
cooperative, le Confederazioni Nazionali di CGIL -CISL –UIL,dalla FP CGIL e dalla UIL Sanità.
Oggi sottoscrivono il CCNL con le OO.SS. confederali, FP CGIL , FPS CISL, FISASCAT CISL,
UIL FLP.
Vi era assoluta necessità di uno specifico CCNL dichiaratamente rivolto alle lavoratrici e ai
lavoratori delle Cooperative Sociali, non solo per dare una risposta alle loro legittime aspettative, in
ordine al trattamento economico e normativo, ma anche come necessario strumento di regolazione
del rapporto tra soggetto pubblico( che affida i servizi) e soggetto privato ( che li gestisce), che nel
caso di specie sono le cooperative.
Nell’intesa contrattuale è definito un modello di relazioni sindacali che prevede sia la costituzione
di Comitati Paritetici Territoriali, sia la Contrattazione di secondo livello; quest’ultima si articola in
accordi territoriali su salario, trasferta e indennità e su confronti applicativi a livello di singola
impresa cooperativa.
Un risultato molto importante e atteso per anni fu il superamento del pagamento dei contributi
previdenziali sul salario convenzionale.
L’orario ordinario settimanale di lavoro è di 38 ore, ma ormai la tipologia di orario più diffusa in
questo settore è il tempo parziale, in considerazione del fatto che i pesanti tagli effettuati sui servizi
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socio sanitari( case di riposo, servizio domiciliare per anziani, servizio educativo scolastico e
domiciliare ) per effetto della spending review hanno spesso comportato una diminuzione delle ore
a disposizione delle cooperative, a fronte di una crescente richiesta da parte dei cittadini,soprattutto
di tutti quei servizi rivolti ai cittadini anziani,posto che siamo una popolazione che ha un’ alta
percentuale di ultraottantenni che prima o poi diventano non autosufficienti a causa di patologie
legate all’invecchiamento.
Questa contrazione dei servizi ha comportato una certa difficoltà ad assicurare il rispetto del monte
ore contrattuale degli operatori e si è sopperito con la cassa integrazione in deroga,che a tutt’oggi è
sospesa per mancanza di fondi.
Dicevamo che la tipologia di orario più comune è quella del part time ,disciplinata dal D.lgs. n° 61
/2000 ed è disciplinato dall’art. 26 del CCNL vigente.
Il rapporto di lavoro a tempo parziale ha la funzione di:
 favorire la flessibilità della prestazione di lavoro in rapporto all’attività della cooperativa,
tutelando anche le esigenze assistenziali ed educative dell’utenza;
 consentire il soddisfacimento di esigenze individuali delle lavoratrici e dei lavoratori,ferme
restando le esigenze della cooperativa.
Il contratto a tempo parziale può essere di tipo orizzontale, verticale,misto, che è una combinazione
tra le due precedenti fattispecie.
Il rapporto a tempo parziale si attiva nelle singole cooperative secondo il principio della volontarietà
di entrambe le parti.
La prestazione lavorativa individuale sarà fissata tra le parti in misura non inferiore a 12 ore
settimanali, 52 ore mensili, 624 ore annuali.
Ai lavoratori a tempo parziale può essere richiesta una prestazione di lavoro supplementare.
L’eventuale rifiuto, adeguatamente motivato,non costituisce infrazione supplementare ,ne’ integra
gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
E’ ammesso il ricorso al lavoro supplementare nella misura del 50% dell’orario individuale
settimanale
di lavoro. Le prestazioni di lavoro supplementare potranno essere recuperate per un massimo del
50% delle ore supplementari prestate entro i sei mesi successivi; il rimanente 50% saranno retribuite
con una maggiorazione del 27%, che è comprensiva di tutti gli effetti sugli istituti di legge e
contrattuali.
Il lavoro supplementare è ammesso in presenza delle seguenti causali:
 garantire la continuità delle prestazioni rivolte all’utenza;
 punte di intensa attività con cui non sia possibile sopperire con il normale organico;
 per sostituzioni di assenze con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Ai sensi del D.lgs. 61/2000 sono ammesse le cosiddette clausole elastiche : il datore di lavoro ,a
fronte del consenso del lavoratore formalizzato con apposito atto scritto, ha il potere di cambiare la
collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale; le parti stabiliscono un arco
temporale all’ interno del quale può essere espletato il servizio da parte del lavoratore.
Qualora vi sia prestazione lavorativa con variazione nel mese della collocazione temporale
riguardante un orario complessivo superiore al 30% dell’orario mensile di lavoro derivante dal
contratto individuale, si applicherà una maggiorazione del 2% sulla retribuzione derivante dal
contratto individuale di lavoro; laddove tale percentuale sia inferiore o uguale al 30% si procederà
ad una maggiorazione sempre del 2% ma per le sole giornate nelle quali si sia effettuata la
prestazione lavorativa con variazione di collocazione temporale.
Il lavoratore può recedere dalle clausole elastiche qualora ricorrano:
 gravi esigenze di carattere famigliare;
 esigenze di tutela della salute certificate dal medico;
 necessità di attendere ad altra attività lavorativa subordinata o autonoma;
 attività di studio o formazione.
Con l’art. 74 del CCNL si fa riferimento in tema di sicurezza del lavoro al D.lgs 81/2008.
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Il tema della salute nella cooperazione sociale merita una particolare attenzione,soprattutto in
riferimento ad alcune figure professionali,operatori socio sanitari ed educatori, che si trovano a
stretto contatto con anziani o con portatori di handicap gravi.
Atteso che in ogni tipo di lavoro è insita potenzialmente una forma di stress,questi lavoratori sono
spesso sottoposti ad una particolar figura di stress,oggetto di studi da circa vent’anni, denominata
sindrome del burnout, che è caratterizzata da” esaurimento fisico, sentimenti di impotenza e
disperazione,svuotamento emotivo e dallo svilupparsi di un concetto di sé negativo e di negativi
atteggiamenti verso il lavoro, la vita e gli altri” (Pines, Aronson, Kafry 1981) ; questa sindrome
viene definita come una perdita progressiva di idealismo, energia motivazione e interesse,vissuta
dagli operatori come risultato delle condizioni del loro lavoro.
Questo senso di frustrazione porta ad uno stato di perenne fatica, dubbi sull’utilità’ e sul significato
del proprio lavoro,senso di impotenza del proprio lavoro (powerlessness) che si concretizza in un
distacco dagli utenti e dal proprio lavoro.
Il burnout si diceva si riscontra spesso nelle professioni d’aiuto che implicano un alto impegno
emotivo e si può considerare “come il risultato di una costante e ripetuta pressione emotiva
associata ad un intenso coinvolgimento con persone per lunghi periodi di tempo” (Pines).
Il prezzo del burnout può essere alto,sia per il lavoratore sia per l’utente è quindi indispensabile
saper gestire il problema.
Le tecniche di gestione del burnout operano su vari livelli: 1) individuale 2) sociale 3) istituzionale.
La prima tecnica di gestione riguarda l’importanza di lavorare meglio e non di più,effettuando
cambiamenti nel modo di gestire il lavoro in modo da essere meno stressati e più efficienti.
L’operatore si deve porre degli obiettivi realistici; ciò non significa che bisogna cancellare i propri
sogni, che sono buoni elementi di motivazione, ma una persona ha bisogno di sapere se c’è stato un
progresso perché l’ideale non sia fonte di frustrazione e di fallimento, ma deve essere
accompagnato da obiettivi minori concreti e raggiungibili.
Avendo scopi specifici l’operatore avrà realizzato qualcosa alla fine della giornata e potrà capire se
ci sono stati dei progressi.
Un ‘altra tecnica di gestione riguarda la capacità di fare la stessa cosa in modo diverso: può variare
la routine e avere un maggior controllo sul lavoro; fare le cose in modo diverso può cambiare anche
la concezione che ha si ha di sé.
Lo stress derivante dal lavoro a stretto contatto con la gente può essere ridotto prevedendo delle
pause o periodi di riposo a intervalli regolari; questi servono per prendere emotivamente fiato e per
prendere un po’ di distanza psicologica. Contrariamente accade spesso che gli operatori per ragioni
organizzative debbano lavorare oltre l’orario previsto e questo non aiuta.
Se il lavoratore decide di mettersi in malattia questo può provocare una riduzione del servizio e può
accadere che esso si senta in colpa anche per aver trascurato gli utenti e il senso di frustrazione può
aumentare.
Quando il coinvolgimento con la gente è eccessivo, i problemi degli utenti diventano dell’operatore:
occorre “prendere le cose con più distacco” ed “ evitare di portarsi il lavoro a casa”.
La prevenzione è fondamentale: occorre impiegare le soluzioni preposte prima che il problema
compaia,questo permetterà di rendere l’esperienza lavorativa meno stressante sin dall’inizio.
Il sistema migliore per individuare il burnout sono gli altri,che possono riconoscere quello che sta
accadendo e prendere dei provvedimenti.
Ma l’articolo del CCNL che nel mondo delle cooperative,caratterizzato da continui cambi di
appalto( ma anche convenzioni) per l’affidamento da parte del soggetto pubblico della gestione di
servizi pubblici, riveste per i lavoratori una particolare importanza è l’art. 37, che disciplina appunto
i cambi di gestione.
Ogni volta che si verifica un cambio di gestione ,il CCNL prevede che l’impresa uscente proceda
alla risoluzione dei contratti individuali di lavoro; questa fase è vissuta quasi sempre da lavoratori
con grande ansia e preoccupazione perché continui cambi di appalto danno un senso di
insicurezza,paura di perdere il proprio posto di lavoro o i diritti acquisiti e si verifica che una
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lavoratrice pur lavorando da anni in quell’asilo nido o in quella casa di riposo ,si senta sempre una
precaria.
Il senso di insicurezza scaturisce spesso anche dal dover cambiare,in caso di nuova aggiudicazione,
datore di lavoro.
Ecco che l’art. 37 del CCNL rappresenta una grande conquista e un’importante fonte di
tutela,poiché ha l’obiettivo di perseguire la continuità e le condizioni di lavoro acquisite del
personale.
Il punto b) del suddetto articolo è il punto più significativo:L’azienda subentrante,nel caso in cui
siano rimaste invariate le prestazioni richieste, risultanti dal capitolato d’appalto dalla convenzione,
assumerà nei modi e condizioni previsti dalle leggi vigenti , il personale addetto, garantendo il
mantenimento della retribuzione da contratto nazionale vigente ( retribuzione contrattuale ) ivi
compresi gli scatti d’anzianità maturati.
Il problema è che la garanzia alla riassunzione alle stesse condizioni( stesso monte ore contrattuale,
stessa qualifica professionale) sussiste appunto se rimangono invariate le prestazioni richieste dal
committente e risultanti dall’appalto ma in questo momento di crisi che vede soprattutto i Comuni
dover fare i conti con pesanti tagli, patto di stabilità, spesso le prestazioni richieste cambiano
eccome e ciò espone le lavoratrice e i lavoratori al rischio di vedere il proprio contratto di lavoro
individuale fortemente ridotto.
La lettera d) infatti prevede che in caso di modifica o mutamenti significativi nell’organizzazione
del lavoro da parte del committente che abbiano ripercussioni sul dato occupazionale o sul
mantenimento delle condizioni di lavoro, l’azienda fornirà le opportune informazioni alle OO.SS.
territoriali.
Le parti si attiveranno poi per cercare di impiegare il personale in altri servizi, Ma questa parte
dell’articolo 37 rischia di rimanere lettera morta:spesso l’azienda subentrante o non ha altri appalti
nella zona o ha del personale in cassa integrazione che aspetta di essere reimpiegato.
Ecco che si scatena la classica guerra tra poveri: troppi lavoratori che si devono dividere un monte
ore messo a disposizione dalla cooperativa che è insufficiente per tutti.
A dicembre 2011 si è rinnovato dopo un lungo tempo di trattative il contatto collettivo delle
cooperative sociali valido per il triennio 2010- 2013.
3c) Il contratto integrativo nelle Marche
L’obiettivo primario della contrattazione integrativa della cooperazione sociale del settore socioassistenziale ,educativo ed inserimento lavorativo è rappresentato dall’ impegno delle parti a
migliorare sempre più la qualità dei servizi offerti,individuando come scelta strategica la
valorizzazione del lavoro attraverso il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori
nell’organizzazione dei servizi ed assicurando la crescita economica e professionale degli addetti.
Il contratto integrativo della regione Marche è stato siglato nel marzo del 2013.
Nella piena consapevolezza che risultano ancora irrisolti alcuni problemi di natura gestionale e
legislativa riconducibili alle pubbliche amministrazioni e che persiste la prassi adottata dalle stesse
di perseguire il massimo risparmio nei bandi di gara per l’aggiudicazione degli appalti, talvolta
addirittura in violazione del D.lgs. 163/2006, il cosiddetto codice degli appalti, si ritiene necessario
un intervento congiunto presso le istituzioni, in particolare la Regione Marche, il cui operato è stato
stigmatizzato sia dalle OO.SS. che dalle Centrali cooperative per aver abolito il tariffario regionale,
sostituendolo con le tabelle emanate dal Ministero del Lavoro sul costo del lavoro.
Quest’ultima decisione della regione introduce ulteriori elementi di incertezza e di difficoltà in un
settore già pesantemente provato dai tagli alla finanza pubblica, e per questo le parti
successivamente alla stipula del contratto integrativo sigleranno un accordo per definire il costo
orario dei servizi svolti dalle cooperative, che tenga conto anche dei costi organizzativi ed
amministrativi.
Rilievo nel CCI è stata data alla qualificazione,riqualificazione e all’aggiornamento
professionale: fermo restando quanto previsto dal CCNL le parti concordano che dovranno
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essere sempre più incrementati gli investimenti e annualmente saranno concordati a livello
aziendale gli interventi formativi sul personale e le priorità da garantire sia sul fronte della
qualificazione professionale, che sull’aggiornamento e sulla formazione permanente.
Nel Contratto integrativo è previsto poi un rimborso chilometrico pari euro 0,20 ai lavoratori
che utilizzeranno il mezzo proprio per ragioni di servizio.
Vi è poi la specifica previsione che se una lavoratrice (più raramente un lavoratore) sia in
possesso della qualifica di operatore socio sanitario devono essere inquadrati nella categoria C2,
così come previsto dal CCNL. Nella pratica difficile è far rispettare questo dettato, poiché gli
enti appaltanti continuano a mettere a disposizione in caso di gara di appalto somme
corrispondenti alla qualifica inferiore C1, d’altra parte le cooperative non sempre sono in grado
di elargire la differenza di paga oraria.
Le parti nel CCI convengono di istituire un Elemento Retributivo Territoriale ( ERT), che ha le
caratteristiche di non determinabilità a priori e di variabilità per cui risulta essere incerto
nell’ammontare e nella corresponsione; il calcolo dell’ERT avviene con calcolo che tiene conto
di vari parametri individuali e collettivi: andamento dei tempi di pagamento della
committenza,le presenze effettive in servizio,periodi di servizio,rapporto tra costo del lavoro e
ricavi delle vendite e delle prestazioni.
Nelle Marche precedentemente alla stipula del suddetto CCI, erano in vigore una serie di
accordi, che si intendono prorogati.
Essi sono:
 accordo su criteri e modalità per la presentazione di progetti individuali rivolti a soggetti
svantaggiati di cui all’Art 2 del CCNL delle cooperative sociali, siglato il 5 maggio
1998;
 accordo sindacale regionale del 15 gennaio 2001 e successive proroghe;
 verbale d’accordo, solo per quanto previsto al punto 6, siglato il 1 marzo 1993, che
riveste da un punto di vista pratico una grande importanza e si ricollega all’art 37 del
CCNL: in merito al diritto tra i lavoratori delle cooperative sociali sulla precedenza al
diritto di assegnazione del lavoro, si procederà alla suddetta assegnazione secondo il
seguente ordine di priorità;
 condizioni contrattuali risultanti da appalti o convenzioni;
 anzianità di servizio nell’ambito dello stesso appalto;
 anzianità di servizio nella cooperativa;
 esigenze organizzative;
 situazioni famigliari.
Tale meccanismo si applica tanto per l’aumento quanto per la diminuzione del personale o delle ore
lavorate. Tale diritto permane all’interno dello stesso appalto o servizio anche quando per cambio di
gestione i lavoratori dovessero essere assunti sa un’altra cooperativa.
I criteri di cui sopra vengono intesi a parità di qualifica e verranno applicati tenendo presente criteri
di solidarietà.
Su questo punto in genere nascono dissidi,controversie che di solidaristico hanno ben poco: un
giorno di differenza nella data di assunzione può significare un diverso monte ore di ore da lavorare
in caso di tagli, e questo è cronaca quotidiana.
Purtroppo nel mondo delle cooperative vi è una mistificazione di fondo: si considera una lavoro a
ore.
Le amministrazioni pubbliche prevedono nei bandi di gara una serie di prestazioni che devono
essere fornite dalla cooperativa aggiudicatrice e parallelamente un monte ore ad essa a disposizione;
sta accadendo che questo monte ore venga di anno in anno tagliato per cui, come si diceva in
precedenza, ci sono troppo lavoratrici e lavoratori rispetto alle ore a disposizione.
Quindi per evitare di effettuare licenziamenti si procede ad una diminuzione delle ore per ciascun
contratto individuale.
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La posizione del sindacato è quasi sempre quella di applicare il criterio solidaristico: si tolgono un
po’ di ore, proporzionalmente al monte ore contrattuale individuale, a tutti le lavoratrici; ecco però
che la maggior parte delle volte c’è la contrarietà delle lavoratrici e lavoratori più anziani( da un
punto di vista del servizio) perché rivendicano il fatto che lavorano da più tempo di altre in quel
servizio e quindi la diminuzione di ore deve essere effettuata sulle lavoratrici assunte da meno
tempo (paradossalmente la differenza può essere minima perché tutti lavorano da molti anni in quel
servizio!).
In più il fatto di essere socie e soci da molti anni fa credere (rectius illudere) di essere tenuti
maggiormente in maggior considerazione dalla cooperativa.
Questo accade in tempi di crisi e conseguentemente aumenta il senso di precarietà e frustrazione
delle lavoratrici e lavoratori.
Da tener presente che se lavoro meno ore verrò retribuita non in base al mio contratto individuale di
lavoro, ma in base alle ore lavorate che a volte, sempre per via della contrazione dei servizi pubblici
socio sanitari, risultano essere poche e conseguentemente la retribuzione bassa e insufficiente a
soddisfare bisogni ed esigenze economiche minime.
Ad avviso di chi scrive questa prassi ormai consolidata è una sorta di “cottimo istituzionalizzato”:
vengo retribuito per le ore che lavoro, la cui entità può cambiare ogni giorno a seconda
dell’esigenza del servizio.
D’altra parte le cooperative vengono a loro volta pagate (anche con molti mesi di ritardo) dalle
pubbliche amministrazioni sulla base dei servizi forniti e delle ore fornite, e quindi non sono in
grado di retribuire di tasca propria la differenza delle previste dai contratti individuali.
Una soluzione tampone per un paio di anni è stata la Cassa Integrazione in deroga (le cooperative
non possono usufruire della cassa integrazione ordinaria) ma questa è sospesa dal maggio scorso per
mancanza di finanziamento da parte del Governo.
4) UNO SGUARDO ALL’ EUROPA
4a) Le cooperative sociali: un modello che l’Europa apprezza ma che stenta a diffondere
I numeri in Italia della cooperazione sociale sopracitati la rendono un’entità economica e sociale di
grande rilevanza,che non trova riscontri in altri paesi europei.
Molti paesi guardano con interesse a questa esperienza italiana,soprattutto come modalità di
integrazione di lavoratori svantaggiati, ma la politica europea tende a non valorizzare la
cooperazione sociale come modello da condividere in concreto.
Si è detto della definizione che della cooperativa sociale da la Legge 381/1991. Più significativa
appare la descrizione data in letteratura dell’ “impresa sociale”, che si distingue tra gli attori
dell’economia sociale per la marcata dimensione produttiva e per l’elevata partecipazione degli
stakeholders, ossia per una tendenziale gestione democratica, assente nell’impresa classica.
Quanto si ritrova questo modello nelle organizzazioni che gestiscono servizi socio-educativi o
promuovono l’inserimento di lavoratori svantaggiati nei paesi Europei, e nelle politiche
comunitarie?
Può essere utile tenere a mente che le cooperative nascono storicamente a fini di mutualità tra soci
che le costituiscono ( ad esempio le cooperative di credito e di consumo).
Per le cooperative sociali la mutualità , che è tutelata dalla nostra Costituzione, si estende
giuridicamente a tutta la comunità; ne deriva che esse siano un’anomali nel movimento cooperativo
tradizionale, avvicinandosi a organismi di diversa origine, quali le associazioni benefiche; da ciò
deriva che le cooperative sociali italiane siano sia “a mutualità prevalente” sia “ organizzazioni non
lucrative di utilità sociale” e in riferimento ad esse l’Italia è la punta più avanzata in Europa.
L’altra nazione che attualmente presenta una realtà avanzata di impresa sociale è la Spagna, anche
per il forte interesse nei confronti della cooperazione sociale, che a partire dal 1999 ha portato ad
una produzione normativa molto simile a quella italiana.
Anche la Polonia, ma solo per quello che riguarda l’inserimento lavorativo, ha promulgato delle
leggi specifiche sulla cooperative sociali: solo nel 2006 ne sono nate 140.
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All’estremo opposto, nella scala di rilevanza delle cooperative sociali,stanno quei paesi ove le
funzioni di queste sono storicamente assegnate allo Stato, o a enti mutualistici in senso stretto:
quest’ultimo è il caso della Germania ,mentre l’esempio del primo caso sono i paesi scandinavi,
dove però recenti dinamiche di riduzione del welfare state hanno aumentato l’interesse per il
modello di impresa sociale. Un caso esemplare della difficoltà della cooperazione sociale italiana
nel farsi modello di riferimento, ma anche della complessità del quadro in cui essa si muove
,riguarda le norme comunitarie sugli aiuti pubblici ammessi per l’inserimento lavorativo di soggetti
svantaggiati inserite nel regolamento UE n° 800 del 2008, che definisce “ posto di lavoro protetto”
quello in un’impresa nella quale almeno il 50% dei lavoratori è costituito da lavoratori disabili, con
una terminologia che richiama espressamente “ i laboratori protetti”, di origine più assistenziale che
imprenditoriale , diffusi in molti paesi europei.
Il suddetto Regolamento comunitario, in una logica di separazione, include tra i soggetti
svantaggiati un’ampia platea di categorie :poco scolarizzati,ultra 50enni, membri di minoranze
linguistiche,mentre i lavoratori disabili sono trattati a parte , seppure con un regime economico più
elastico. Altre tipologie di lavoratori svantaggiati, riconosciuti come tali dalla legislazione italiana,
non vengono neanche citati, come alcolisti ex detenuti, tossicodipendenti.
Il mondo della cooperazione sociale italiana non può riconoscersi in questa formulazione e vi è la
convinzione che la legislazione europea che si occupa di inclusione lavorativa di fasce deboli si rifà
ad altre esperienze, come quella francese e tedesca.
Indubbiamente per i lavoratori con disabilità la cooperazione sociale riesce a dare concretezza al
termine “ inclusione” al posto di “inserimento” : la costruzione di percorsi in cui la persona
svantaggiata può arrivare ad essere protagonista del proprio lavoro, quello che già è definito da
tempo come il passaggio dalla relazione di aiuto alla relazione di scambio.
Vi è un valore aggiunto della cooperazione sociale italiana rispetto ai laboratori protetti, che è
ravvisabile nella sostenibilità: l’impresa sociale italiana nella forma della cooperativa sociale
garantisce inserimenti lavorativi reali di soggetti svantaggiati con costi di sostegno (contributi
statali) ridicoli.
Le organizzazioni internazionali che rappresentano i laboratori protetti danno un giudizio positivo
della legislazione europea sopracitata, anche in considerazione del fatto che essa utilizza una
terminologia positiva: ai laboratori/aziende protette ci si riferisce come “imprese”, il che
corrisponde al loro ruolo di mercato oggi.
<diventa quindi difficile se a contrapporsi nell’azione di lobbyng comunitaria che ha portato alla
stesura del regolamento n° 800 ,siano due modelli culturalmente in antitesi o due posizioni basate
sugli attuali assetti giuridici nazionali, la cui armonizzazione in sede europea, non potrà mai
appagare tutte le realtà esistenti.
Rimane paradossale che , dopo trent’anni di trattati transnazionali in cui la cooperazione italiana è
stata conosciuta e apprezzata, l’ Unione Europea rimanga legata a opzioni di carattere più
assistenziale e meno in linea con gli obiettivi di Lisbona da essa stessa proposti
4b) La crisi come opportunità
La riduzione dell’occupazione in corso in questi mesi come effetto della crisi finanziaria , abbinata
ai tagli di spesa pubblica e alla riduzione delle commesse private , sembrerebbe una mannaia sotto
cui molte belle parole sul modello della cooperazione sociale rischiano di cadere.
Eppure gli operatori interpellati sembrano ottimisti trovando nell’impasse delle imprese no profit
una possibile opportunità di rilancio di altri modelli su scala europea.
Detti operatori sostengono che fino ad oggi ognuno si è tenuto stretto il proprio sistema più o meno
assistenziale, più o meno costoso, ma l’attuale situazione economica può rappresentare
un’opportunità di sviluppo per l’economia sociale , per le sue caratteristiche di attenzione alla
persona, alla comunità, al territorio, all’ambiente.
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La cooperazione sociale può offrire un modello anche per nuove fasce di emarginazione sociale,
purché si faccia trovare pronta al processo , ormai ineludibile, di estensione del perimetro dei
lavoratori svantaggiati.
La sfida è di riuscire ad esportare un modello di inclusione lavorativa come quello italiano , che ha
capacità di offrire alle persone progetti che integrano lavoro, formazione, partecipazione
consapevole all’impresa ,inserimento sociale.
Perché ciò avvenga all’azione della classe politica italiana deve affiancarsi un’autopromozione del
mondo della cooperazione sociale con adeguati investimenti in comunicazione e scambi
internazionali.
Inoltre la prassi delle cooperative dovrà tenere fede al modello valoriale che esse propongono,
evitando di incorrere nelle distorsioni cui le espone la loro natura di “terza via” tra impresa
tradizionale e servizio a gestione pubblica.
La diversità come risorsa, lavoro di rete, l’autogestione, le relazioni con il territorio, sono valori che
la cooperazione sociale italiana deve poter far arrivare in Europa.
CONCLUSIONI
Come insegna l’economista austriaco Joseph Schumpeter un’impresa avrà successo se se sarà
innovativa, se saprà precorrere i tempi e con un’innovazione rompere la stasi precedente.
Ma cosa innova veramente un’impresa, ancorché un’impresa cooperativa?E’ l’efficienza così come
comunemente intesa?Il contenimento dei costi? Il successo di un’ impresa può ridursi solo a questo
o bisogna considerare altri fattori come la partecipazione, la qualità delle relazioni umane , la
gestione democratica? Tutti fattori che l’architettura cooperativa se ben interpretata tende a
valorizzare.
Sono queste le qualità, e allo stesso tempo i limiti, di un’impresa democratica , sono la sua forza e la
sua debolezza :la rendono tutt’altro che decisionista, la fanno un’organizzazione inevitabilmente
lenta.
La partecipazione e il coinvolgimento sono fattori qualificanti e irrinunciabili della cooperativa
sociale, che si configura appunto come un’impresa economica e sociale.
Ovviamente anche nel mondo delle cooperative sociali (e più in generale in tutto il mondo
cooperativistico) delle zone d’ombra ci sono: la tentazione all’oligopolio e le rendite che ne possono
derivare, il che equivale a tradirne lo spirito.
Per essere autentica, sostiene l’economista Zamagni, la cooperativa ha bisogno di caratterizzarsi
come iniziativa economica , cioè come impresa, che produce però esternalità positive; ciò comporta
che la sua azione abbia una qualche ricaduta positiva su soggetti terzi , al limite dell’intera
comunità.
La sfida per questo tipo di organizzazione sta nel mettersi continuamente in discussione per
ricercare un equilibrio tra la dimensione sociale e la dimensione materiale:la prima completa la
seconda e viceversa.
Purtroppo appare sempre più evidente che soprattutto quando la cooperativa diventa grande, con
1500,2000e anche di più soci-lavoratori questo equilibrio salta.
In alcuni casi prevale il codice sociale ma sempre più spesso quello produttivo-economico, con il
risultato che la cooperativa sta perdendo il suo spirito autentico.
Anche tra gli stessi cooperatori italiani serpeggia serpeggia la convinzione che per essere a passo
con i tempi e con il mercato la cooperativa debba spogliarsi di parte dei valori e dei principi che da
sempre la caratterizzano.
Il modello di riferimento, il modello di successo diventa allora l’impresa lucrativa, ai cui modelli di
governance, alle sue pratiche organizzative , bisogna ispirarsi, cosi come alle finalità di profitto, il
tutto per non soccombere e per non essere fuori mercato.
Assumere dimensioni importanti senza introdurre correttivi per facilitare la partecipazione ,perdere
di vista la qualità delle relazioni,sacrificare la dimensione social sociale a favore della produttività
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porta la cooperativa ad avviare processi analoghi a quelli dell’impresa for-profit, al punto da non
distinguersi da questa.
La formula originaria si snatura e la cooperativa rischia di non essere più percepita come tale dai
suoi soci (che sono anche lavoratori).
La sfida , si è detto, è mantenere in equilibrio tra socialità e imprenditorialità.
Certamente non è una cosa semplice,soprattutto in uno scenario come quello attuale , dove
l’incertezza e instabilità regnano sovrane.
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BIBLIOGRAFIA






La cooperazione in Italia - primo Rapporto Euricse (European Research Institute on
Cooperative and Social Enterprises ) 2011
Psicologia del lavoro nelle organizzazioni sociali (Franco De Felice - Edizioni goliardiche
2012)
Contratto collettivo nazionale di lavoro delle cooperative sociali
Articolo tratto dalla rivista :Statistica & Società/anno 1 n° 2
Storia tascabile della cooperazione sociale - tratto dalla rivista: i quaderni dell’economia
civile (Franco Marzocchi)
Le cooperative (Alberto Ianes - Carocci editore 2011)
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