Le condizioni cliniche del cavo orale DEF.

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Le condizioni cliniche del cavo orale DEF.
Le condizioni cliniche del cavo orale
di più comune osservazione:
prevenzione e cura
Dott.ssa Maria Elisa Brambilla
Indice del corso
Introduzione
Richiami di anatomia e fisiologia del cavo orale
Composizione della saliva
I denti
La lingua
Il palato
Le tonsille
L’igiene orale
La prevenzione nel bambino
I disturbi della dentizione
La prevenzione nell’anziano
La prevenzione in gravidanza
Lo spazzolino da denti
Collutori, dentifrici e filo interdentale
La protesi dentaria
La carie
Classificazione della carie
L’influenza delle terapie farmacologiche sulla salute del cavo orale
Denti e diabete
L’influenza del fumo sulla salute del cavo orale
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L’alitosi
Le afte buccali
La xerostomia
La malattia parodontale
La glossite
La candidosi orale
I tumori del cavo orale
Bibliografia
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Introduzione
L’incidenza dei disturbi del cavo orale, nonostante i miglioramenti ottenuti in
termini di salute generale, è sempre piuttosto elevata. Le patologie della bocca,
dovute a una scarsa igiene orale, a un’alimentazione non corretta, al fumo, a
patologie sistemiche o all’assunzione cronica di farmaci, possono influire
negativamente sulla qualità di vita delle persone. Per questo motivo è
indispensabile mettere in atto un piano di prevenzione, rivolto soprattutto ad
alcune categorie di persone che si trovano in momenti particolari della vita,
come la gravidanza e l’età anziana.
Questo corso analizzerà l’igiene orale nelle diverse età e situazioni, per poi
soffermarsi sui disturbi di più frequente riscontro, come le malattie parodontali,
le afte buccali e la secchezza della bocca. Verranno poi prese in esame
patologie molto importanti per diffusione e impatto sulla salute, come il
tumore del cavo orale.
Richiami di anatomia e fisiologia del cavo orale
Il cavo orale costituisce il primo tratto dell’apparato digerente e svolge diverse
importanti funzioni. Con la masticazione il cibo solido viene trasformato in una
poltiglia semisolida (bolo), di consistenza adatta alla deglutizione. Per la
formazione del bolo è indispensabile un’adeguata quantità di saliva, secreta
dalle ghiandole salivari:
• le ghiandole parotidi, che hanno le dimensioni maggiori, si trovano
anteriormente e inferiormente all’orecchio, in corrispondenza del ramo
mandibolare;
• le ghiandole sottomascellari, di dimensioni inferiori rispetto alle
precedenti, sono situate internamente all’angolo della mandibola;
• le ghiandole sottolinguali, ancora più piccole, che si trovano nella parte
anteriore del pavimento della bocca.
Accanto a queste ghiandole principali, esistono numerose altre piccole
ghiandole salivari distribuite irregolarmente. La quantità totale di saliva
prodotta in un giorno è, nell’uomo, di circa 1500 ml; essa funge anche da
solvente per le sostanze capaci di dare sensazioni gustative.
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Composizione della saliva
La saliva è composta per il 99,5% da acqua. Il residuo secco, che costituisce lo
0,5%, è composto da sostanze organiche, tra cui mucopolisaccaridi,
glicoproteine, enzimi. Tra questi ultimi ricordiamo la ptialina (o amilasi
salivare), che scinde l’amido (polisaccaride) in maltosio (disaccaride), e il
lisozima, che contrasta la proliferazione batterica.
Oltre all’azione antisettica, la saliva ha anche il compito di lavare in
continuazione la cavità orale. Si comprende così perché, nei casi di ridotta
secrezione salivare, il cavo orale va incontro a fenomeni di infiammazione e
infezione.
I denti
Sono gli organi della masticazione, composti da dentina, smalto e cemento, e
sono infissi negli alveoli dei processi alveolari della mandibola e delle ossa
mascellari tramite la radice, mentre la parte sporgente viene detta corona,
ricoperta dallo smalto, tessuto di estrema durezza.
La zona di passaggio tra radice e corona viene detta colletto del dente.
Al suo interno il dente presenta una cavità ripiena di tessuto connettivo, la
polpa dentaria, ricca di ramificazioni vasali e nervose (trigemino).
Sotto lo smalto si trova un tessuto osseo compatto, la dentina o avorio, mentre
un insieme di formazioni connettivali ricche di vasi sanguigni, il parodonto,
connette la radice alla parete dell’alveolo.
Il cemento, varietà di tessuto osseo, rappresenta lo strato più periferico della
radice del dente.
L’uomo appartiene alla categoria degli animali eterodonti, poiché i suoi denti
sono morfologicamente diversi tra loro, e difiodonti, perché nella sua vita si
susseguono due generazioni di denti successive, la dentatura di latte, o caduca,
che comprende 20 denti, e quella definitiva, costituita da 32 denti.
La lingua
È un organo muscolare che occupa gran parte del pavimento della cavità
boccale ed è formato da tessuto muscolare striato avvolto da una mucosa.
La lingua è dotata di mobilità e si può spostare parzialmente dalla sua sede,
modificando la sua forma in relazione alle funzioni da essa svolte, che
interessano la masticazione, la deglutizione del cibo e la fonazione.
È inoltre sede delle strutture nervose per la sensibilità specifica del gusto.
La faccia superiore della lingua appare rossa e vellutata per la presenza di
numerose papille in rilievo, tra le quali si distinguono:
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• papille circumvallate, piuttosto voluminose, disposte a formare una V
aperta in avanti (V linguale);
• papille foliate, che si trovano ai lati della lingua;
• papille fungiformi, somiglianti a piccole teste di fungo, disposte su tutta
la lingua, in particolare all’apice e ai lati;
• papille corolliformi, a forma di piccoli bottoncini conoidi, prive di calici
gustativi, che esplicherebbero solo funzioni tattili.
Il palato
Costituisce la volta della cavità orale.
Nei due terzi anteriori si presenta di consistenza dura per la presenza di un
piano osseo di sostegno (palato duro), mentre la parte posteriore, priva di
piani ossei, è detta palato molle (o velo palatino o velo pendulo). Il palato
molle si incurva all’indietro e in basso, e presenta una sporgenza centrale detta
ugola e due bordi laterali ricurvi, diretti in basso, ognuno provvisto di due
pieghe, gli archi palatini.
Nello spazio tra i due archi si trova la tonsilla palatina o amigdala (così detta
perché la sua forma ricorda una mandorla), una struttura di tipo linfatico.
Le tonsille
Strutture linfo-ghiandolari disposte a formare l’anello linfatico del Waldeyer,
dispositivo anatomico posto a difesa dell’organismo.
Le tonsille si distinguono in:
• tonsille palatine, situate tra gli archi palatini;
• tonsilla faringea o adenoide, posta in posizione mediana sulla volta e
sulla parte posteriore della rinofaringe;
• tonsille tubariche, che circondano l’orifizio della tuba uditiva di Eustachio;
• tonsilla linguale, posta alla base della lingua.
L’insieme di queste formazioni ha una disposizione circa anulare, da cui il nome
“anello”.
L’igiene orale
La salute orale e la salute generale vanno di pari passo, anche se spesso sono
viste come “entità separate”.
Le patologie dei denti e del cavo orale più diffuse sono la carie e le malattie
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parodontali.
Il presupposto fondamentale per attuare una prevenzione è quello di
effettuare una pulizia accurata dei denti e una corretta igiene orale fin dall’età
infantile.
I denti devono essere spazzolati dopo ogni pasto, di solito tre volte al giorno,
dedicando all’operazione un tempo non inferiore ai tre minuti.
La prevenzione nel bambino
Fino ai tre anni l’igiene orale del bambino è affidata ai genitori.
Nel neonato, ancora privo di denti, è sufficiente l’utilizzo di garze umide per
rimuovere residui di cibo e batteri dal cavo orale.
Dopo i tre anni, compatibilmente con le sue capacità, l’igiene orale può essere
in parte demandata al bambino. La spazzolatura dei denti può essere vista
come un momento ludico, grazie ai giochi con l’acqua e all’utilizzo di spazzolini
raffiguranti personaggi dei cartoni animati.
Raggiunta l’età scolare, il bambino può diventare autonomo e può essere
sufficiente la sola, saltuaria, supervisione di un adulto.
Fin dalla più tenera età si può contribuire alla prevenzione della carie mediante
la fluoroprofilassi, che può essere sistemica, mediante somministrazione di
compresse o gocce, oppure per applicazione topica, di solito eseguita da
personale esperto presso lo studio odontoiatrico.
L’azione del fluoro è quella di sostituire, nella fase di formazione della struttura
minerale dello smalto, gli ioni idrogeno con ioni fluoro, formando la
fluoroapatite al posto dell’idrossiapatite. La fluoroapatite è più resistente
all’attacco della placca batterica e inoltre favorisce la remineralizzazione dello
smalto già lesionato dagli acidi della placca.
Il momento migliore per la somministrazione è la sera, dopo aver lavato i denti
prima di coricarsi, in modo che una certa concentrazione di fluoro possa essere
mantenuta in bocca più a lungo. Il fluoro non va assunto con il latte, poiché
reagirebbe con il calcio formando fluoruro di calcio, sale poco solubile e come
tale difficilmente assorbibile dall’organismo. Qualora si decida di utilizzare un
integratore a base di fluoro, si deve tener conto della quantità di fluoruri
ingerita con l’alimentazione e l’acqua potabile, per evitare di incorrere in
problemi di intossicazione da fluoro (fluorosi), poiché un’assunzione eccessiva
di questo minerale danneggia le cellule produttrici di smalto, che scurisce. Si
possono avere, inoltre, manifestazioni a carico delle articolazioni, delle
cartilagini e dei legamenti.
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I disturbi della dentizione
L’eruzione dei primi dentini è un evento fisiologico e spesso avviene senza
problemi.
Qualche volta, tuttavia, si presentano sintomi quali gengivite, con gengive
arrossate e dolenti, ipersalivazione, irritabilità, disturbi del sonno, piccoli
sfoghi cutanei, diarrea e febbre.
In realtà, non esiste una vera e propria “sindrome da eruzione dentaria”, ogni
bambino vive questo momento a modo suo, e spesso i genitori si rivolgono al
pediatra o al farmacista per avere un consiglio.
Se il genitore riferisce piccoli disturbi, il farmacista può consigliare l’utilizzo dei
massaggiagengive da refrigerare, oltre ad appositi gel lenitivi da applicare sulle
gengive irritate.
Qualche piccolo accorgimento per aiutare il bambino inappetente a causa
dell’irritazione del cavo orale è quello di proporgli cibi liquidi o, in estate, dei
gelati.
È molto importante che il bimbo beva per evitare la disidratazione, poiché
l’ipersalivazione determina perdita di liquidi.
Se invece il bambino presenta febbre alta o diarrea, sappiamo che non esiste
prova scientifica che colleghi questi sintomi all’eruzione dei primi dentini, per
cui sarebbe meglio consigliare una visita pediatrica per escludere problemi più
gravi, come per esempio una gastroenterite.
La prevenzione nell’anziano
Spesso si è portati a pensare che l’edentulia e i problemi del cavo orale siano
inevitabili nell’età anziana, come parte del processo di invecchiamento.
Il cavo orale subisce dei mutamenti durante l’invecchiamento, che ne
compromettono l’integrità e la funzionalità.
Una buona masticazione è fondamentale per una buona nutrizione. La sua
compromissione comporta problemi di alimentazione, con carenze,
dimagrimento e deperimento organico.
Le recessioni gengivali, che possono verificarsi in ogni età della vita, sono
frequenti negli anziani, e danno luogo alla formazione di sacche in cui
proliferano i batteri.
L’involuzione dei tessuti di sostegno dei denti, spesso aggravata da fattori
infiammatori, porta alla mobilità, e in seguito alla perdita, dei denti. Una volta
estratto il dente l’osso alveolare si atrofizza, in quanto esso è strutturalmente
condizionato dalla presenza del dente.
Anche la mancanza di salivazione, frequente nell’anziano, può compromettere
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la salute del cavo orale.
Nell’anziano possono essere presenti patologie che minano la capacità di
movimento e di concentrazione, come le demenze senili, gli stati di
depressione o il morbo di Parkinson. È necessario quindi verificare il grado di
manualità e consigliare lo strumento più adatto per una corretta igiene orale.
Va incentivato l’uso del filo interdentale e di collutori a base di clorexidina per
disinfettare, per periodi non lunghi per evitare effetti collaterali come macchie
sui denti o alterazione del gusto, o di fluoro per remineralizzare.
Se l’anziano non è autosufficiente, lo si può aiutare passando in bocca una
garzina imbevuta di collutorio.
Se sono presenti lesioni orali, come afte o ulcerazioni, sconsigliare
momentaneamente l’utilizzo della protesi rimovibile.
La prevenzione in gravidanza
Un vecchio detto recita: “A ogni figlio un dente in meno”.
Nel periodo della gravidanza si osserva un aumento delle patologie del cavo
orale, sia per le modifiche ormonali sia per la resistenza della futura mamma a
rivolgersi all’odontoiatra per timore di nuocere al nascituro.
La saliva diventa più densa e favorisce l’adesione della placca batterica,
rendendone difficoltosa la rimozione. L’ambiente diventa più acido, per
l’aumento dei batteri anaerobi, e la persistenza della placca rinforza l’ambiente
acido: si crea così un circolo vizioso. Ad aggravare il tutto, la frequente nausea
mattutina può rendere sgradita l’igiene orale.
Il secondo trimestre di gravidanza è il periodo migliore per un intervento
odontoiatrico, in quanto il primo trimestre presenta un certo rischio di aborto
ed è quindi preferibile evitare, se possibile, trattamenti terapeutici, mentre nel
terzo trimestre si evidenziano evidenti difficoltà posturali, oltre al rischio di
indurre contrazioni uterine.
L’utilizzo degli anestetici locali in gravidanza è possibile solo in stato di effettiva
necessità, mentre è controindicata l’associazione tra anestetico locale e
vasocostrittore, in quanto può provocare alterazioni del ritmo cardiaco fetale.
Per quanto riguarda i farmaci, il più utilizzato per il controllo del dolore è il
paracetamolo, mentre i FANS sono da evitare soprattutto nel terzo trimestre in
quanto possono aumentare il sanguinamento durante il parto o interferire con
la chiusura del dotto di Botallo del neonato.
Per la prevenzione riveste importanza anche l’alimentazione, con una dieta
equilibrata e uno scarso apporto di zuccheri.
La fluoroprofilassi è consigliata dal secondo trimestre di gravidanza fino al
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termine dell’allattamento, valutando il contenuto di fluoro nella dieta e
nell’acqua potabile, per evitare sovradosaggi.
Lo spazzolino da denti
Gli spazzolini da denti possono essere di vari tipi, in relazione alle necessità
individuali.
Lo spazzolino manuale non dovrebbe avere una testina con lunghezza
superiore ai 2,5 cm e una larghezza superiore a 1 cm, in modo da poter
raggiungere le superfici dei denti più difficilmente accessibili.
Le setole di nylon devono avere le punte arrotondate. In caso di problemi
gengivali, è preferibile l’utilizzo di setole morbide.
Gli spazzolini elettrici, con tecnologia oscillante-rotante, sono tra i più efficaci
nella rimozione della placca batterica, ma in Italia sono poco diffusi.
Lo spazzolino da denti, o la testina nel caso degli spazzolini elettrici, va
sostituito ogni due-tre mesi, a seconda del grado di usura delle setole, in
quanto setole ripiegate a ciuffi possono provocare lesioni e comunque non
svolgono bene il proprio compito di pulizia.
Tra le varie tecniche di spazzolamento, la più raccomandata è la tecnica di Bass
modificata, che consiste nel praticare con lo spazzolino, ruotandolo di circa 45°
rispetto all’asse lungo del dente, piccoli movimenti vibranti o circolari, senza
esercitare una forte pressione. Questo consente una migliore rimozione della
placca.
Alcune persone preferiscono usare spazzolini monociuffo, che si utilizzano
esercitando una leggera pressione che provoca la divaricazione del ciuffo, con
piccoli movimenti circolari. Essi consentono un’ottima pulizia anche delle
sezioni linguali, marginali e degli spazi interdentali.
Collutori, dentifrici e filo interdentale
I collutori possono avere:
• azione rinfrescante e deodorante, o di protezione dalla carie, a base di
fluoro. Questi possono essere usati tutti i giorni. I collutori a base di alcol
devono essere evitati nei pazienti che soffrono di bocca asciutta;
• azione antibatterica-antiplacca, che possono contenere per esempio
clorexidina allo 0,2%. Questi ultimi vanno utilizzati per un tempo limitato,
in quanto l’uso prolungato della clorexidina può portare ad alterazioni
del gusto e a chiazze marroni sui denti e sulle dentiere. Se sono richiesti
trattamenti a lungo termine è preferibile utilizzare una concentrazione di
clorexidina allo 0,12%.
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Fermo restando che la spazzolatura meccanica costituisce la fase fondamentale
per una corretta pulizia dei denti, anche il dentifricio contribuisce a una buona
igiene orale mediante l’azione meccanica dell’abrasivo, quella detergente del
tensioattivo e rinfrescante dell’alito dovuta agli aromi.
Un buon dentifricio destinato a un uso quotidiano e continuativo deve avere le
seguenti caratteristiche:
• pH intorno a 7;
• non irritare le mucose;
• avere un sapore gradevole;
• essere innocuo anche per usi prolungati;
• avere una percentuale di fluoro idonea, e quindi svolgere un’azione
preventiva della carie;
• non essere troppo abrasivo: l’abrasività del dentifricio è indicata sulla
confezione con la sigla RDA (Relative Dentine Abrasion). I valori medi
osservati sono compresi tra 60 e 110, ma sono ammessi fino a 200. Il
valore è riportato sulla confezione.
Per chi accusa ipersensibilità dentale e quindi lamenta dolori brevi e intensi
quando il dente va a contatto con cibi caldi o freddi sarebbe indicato l’uso di
dentifrici specificatamente studiati per i denti sensibili, poco abrasivi (RDA
basso) e con principi attivi che inibiscono l’ipersensibilità dentale.
Per le gengive infiammate o arrossate si possono utilizzare i dentifrici
contenenti, per esempio, alcune erbe medicinali, come camomilla, echinacea,
aloe vera, con azione decongestionante, lenitiva e antisettica.
I dentifrici sbiancanti hanno spesso un indice di abrasività piuttosto elevato:
ciò non significa che debbano essere evitati, ma solo che debbano essere usati
per un periodo di tempo limitato. Ci si può anche aiutare evitando
comportamenti scorretti che provocano macchie ai denti, come per esempio
l’abitudine al fumo.
I dentifrici medicati sono spesso a base di clorexidina, sostanza in grado di
ridurre i depositi di placca batterica. Solitamente sono prescritti
dall’odontoiatra per un tempo limitato.
A chi ha problemi di bocca secca si può invece consigliare un dentifricio, privo
di alcol, a base di un sistema enzimatico proteico e di polimeri idratanti, per
dare un po’ di sollievo.
Il filo interdentale andrebbe usato almeno una volta al giorno per raggiungere
e pulire gli spazi tra i denti che non possono essere raggiunti con lo spazzolino.
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Per un uso corretto del filo, si tagliano circa 40 cm e si arrotolano le estremità
attorno a ciascun dito medio. Tra i pollici e gli indici rimarranno circa 2-3 cm di
filo che deve essere fatto passare nello spazio tra due denti fino a raggiungere
il solco gengivale, mosso delicatamente avanti e indietro, e verso l’alto e verso
il basso; formare una “C” intorno al dente con il filo e tirarlo con attenzione dal
bordo gengivale fino all’apice del dente. Spostandosi da un dente al successivo,
srotolare progressivamente il filo nuovo dal dito di una mano, avvolgendo il filo
già usato sul dito dell’altra mano. Sciacquare poi accuratamente la bocca.
Il filo interdentale può essere:
• cerato (viene preferito per spazi interdentali piccoli),
• non cerato.
La forcella, strumento che serve a sostenere e tendere il filo al posto delle dita,
semplifica le operazioni e può essere di aiuto anche nell’igiene orale assistita.
Anche se non viene fatta una raccomandazione precisa per quanto riguarda
l’ordine dello spazzolino e del filo interdentale, l’uso del filo prima della
spazzolatura consente ai principi attivi del dentifricio di poter raggiungere
meglio gli spazi fra i denti. Se il filo viene, invece, utilizzato dopo la spazzolatura,
è necessario sciacquare di nuovo la bocca per eliminare tutti i residui rimossi.
Un altro ausilio per l’igiene del cavo orale è rappresentato dagli scovolini, o
spazzolini interdentali, che consentono la detersione degli spazi interdentali
particolarmente ampi, o qualora vi siano ponti, apparecchi ortodontici o
impianti. Sono costituiti da una piccolissima anima centrale in metallo o
plastica, sulla quale sono inserite tantissime setoline artificiali che fanno
assumere allo scovolino una forma cilindrica o conica. Vanno inseriti nello
spazio interdentale e fatti scorrere con movimenti delicati.
È consigliabile usare lo scovolino prima del normale spazzolino affinché, una
volta rimossa la placca batterica e i residui di cibo dagli spazi interdentali, sia
possibile il libero accesso sulle superfici dentali dei principi attivi contenuti nel
dentifricio.
La protesi dentaria
La perdita di un dente, anche solo di uno, implica variazioni a carico di tutto
l’apparato masticatorio, creando problemi che diventano sempre più evidenti
con il passare del tempo.
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Per questo motivo i denti persi devono essere sostituiti, con una protesi che
può essere fissa o mobile a seconda dei casi.
La protesi fissa viene cementata sui denti del paziente e non può più essere
rimossa dalla bocca, mentre la protesi mobile può essere rimossa dal paziente
per la pulizia quotidiana e dal dentista per interventi medici.
Le prime protesi di cui si è a conoscenza furono individuate in Egitto e a Saida,
l’antica Sidone, costituite da una banda metallica in oro che teneva in sede
denti privi di radice.
La dentiera mobile deve essere spazzolata, con un apposito spazzolino da
dentiere, regolarmente dopo ogni pasto e prima di andare a letto. La parte più
grande dello spazzolino si utilizza per la pulizia delle facce esterne della
dentiera, mentre la parte più piccola è indicata per le facce interne.
La sciacquatura preliminare è importante per eliminare le tracce di cibo e va
sempre eseguita.
Le gengive vanno a loro volta spazzolate, di solito con uno spazzolino morbido;
se però l’impiego dello spazzolino risultasse doloroso, si può provare con un
panno pulito e umido avvolto intorno a un dito e fatto passare delicatamente
sulle gengive, massaggiandole, e sugli eventuali denti naturali presenti.
È possibile utilizzare un dentifricio per spazzolare efficacemente la protesi,
purché sia privo di sostanze abrasive che possono danneggiare la superficie dei
denti artificiali.
Tutte le sere la dentiera deve essere messa a bagno nell’acqua calda con un
detergente apposito; alcuni consigliano l’utilizzo dell’aceto al posto del
detergente, ma solo se non vi sono parti di metallo sulla dentiera.
Trascorsa la notte, si risciacqua e si spazzola la dentiera prima di indossarla per
il giorno.
Sarebbe utile che le persone portatrici di dentiere utilizzassero gli appositi
spazzolini per la pulizia della lingua, per prevenire fenomeni di alitosi.
La carie
La carie è una malattia a carattere cronico-degenerativo, a eziologia
multifattoriale, che determina la distruzione dei tessuti duri del dente.
Secondo il diagramma di Keyes, che risale agli anni Sessanta, ma è ritenuto
ancora valido, sono tre i fattori che interagiscono per l’insorgenza della
patologia cariogena:
1) il terreno recettivo, cioè l’ospite e le sue difese immunitarie. La saliva
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gioca un ruolo importante nella protezione del cavo orale, grazie ai
sistemi tampone in grado di innalzare il valore del pH quando questo
scende al di sotto della soglia di rischio per la demineralizzazione. Inoltre,
la saliva è dotata di enzimi che contrastano la proliferazione dei microbi e
di fattori immunitari (IgA secretorie) che contribuiscono al controllo della
flora cariogena;
2) i carboidrati della dieta: gli zuccheri più cariogeni sono il saccarosio, il
glucosio, il maltosio, il lattosio e il fruttosio. Riveste maggior importanza
la frequenza con cui vengono assunti e non la singola dose. Essi
subiscono una fermentazione a opera dei batteri cariogeni, che porta alla
formazione di metaboliti acidi che dapprima causano una
demineralizzazione reversibile di smalto e dentina, i quali
successivamente vengono disgregati a opera di enzimi proteolitici;
3) la flora batterica cariogena: tra i batteri cariogeni il più importante è lo
Streptococcus mutans, anche se nelle lesioni cariose si possono rinvenire
molti altri batteri, tra cui altri streptococchi. Essi formano una nutrita
comunità che aderisce alla superficie dei denti, delle mucose e delle
gengive e qui si colonizza.
Classificazione delle carie
Esistono diversi tipi di classificazione delle carie.
La classificazione clinica, secondo la Scuola Dentale dell’Università di Ginevra, è
basata sul grado di penetrazione della carie:
• carie iniziale → interessa solo lo smalto, non presenta cavità ed è
reversibile con la fluorazione. Appare come una macchia biancastra e
ruvida;
• carie superficiale → interessa anche la dentina;
• carie profonda → penetra in profondità nella dentina;
• carie penetrante → determina una reazione dell’organo pulpo-dentinale
con formazione di dentina terziaria, che si produce in seguito a stimoli
patologici;
• carie perforante → comporta l’esposizione della polpa dentaria.
L’influenza delle terapie farmacologiche
sulla salute del cavo orale
I trattamenti farmacologici provocano spesso effetti collaterali che causano
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disagio al paziente, interferendo con la capacità di parlare, masticare e
deglutire il cibo e/o determinando dolori e infiammazioni.
L’effetto collaterale più frequente è la xerostomia (secchezza delle fauci), in
genere per azione sul sistema nervoso autonomo. Questo meccanismo
d’azione provoca riduzione del flusso salivare, mentre la saliva che viene
prodotta risulta più viscosa e determina una maggior adesione del cibo e della
placca ai denti. Il pH della bocca diventa più acido, aumentando così il rischio di
carie.
Classi farmacologiche che possono provocare
xerostomia e disturbi del cavo orale
Antiacne sistemici (isotretinoina): ridotta salivazione
Antispastici-anticolinergici: ridotta salivazione e alterazioni del gusto
Antiepilettici: ridotta salivazione e glossite
Antidepressivi: ridotta salivazione e glossite
Antidiarroici: ridotta salivazione
Antiemetici: secchezza delle fauci e disfagia
Anticinetosici: secchezza delle fauci
Decongestionanti: ridotta salivazione
Antistaminici: secchezza delle fauci e sete
Antipertensivi: secchezza della mucosa orale
Antiparkinson: ridotta salivazione
Antipsicotici: secchezza delle fauci
Broncodilatatori: secchezza delle fauci
Diuretici: secchezza delle fauci
Miorilassanti: secchezza delle fauci
Narcotici-analgesici: secchezza delle fauci, alterazioni del gusto
Antianginosi: secchezza della mucosa orale
Farmaci per il trattamento delle coliti ulcerose: stomatiti
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Corticosteroidi: secchezza della bocca, ritardata guarigione delle lesioni orali,
predisposizione alla candidosi
Farmaci per l’incontinenza urinaria (tolterodina)
Denti e diabete
Il diabete mellito è una patologia determinata da deficit assoluto o relativo di
insulina, per insufficiente secrezione di insulina da parte delle cellule beta delle
isole di Langerhans del pancreas o per insufficiente risposta dei tessuti
all’insulina circolante.
Il diabete di tipo I, o insulino-dipendente, è legato a un deficit assoluto di
insulina, è il tipo di diabete meno comune ed è quello che determina le
maggiori complicanze a livello parodontale.
Il diabete di tipo II, di più frequente riscontro, presenta un esordio clinico
graduale e l’intolleranza al glucosio può a volte migliorare con la riduzione del
peso corporeo, la dieta ipoglucidica e il movimento.
L’eziologia dei due tipi di diabete, che pure presentano la stessa sintomatologia,
pare non essere la stessa. Nel caso del diabete di tipo I si parla, infatti, di
patologia autoimmune, teoria che pare essere confermata dal fatto che questa
patologia si associa a geni della regione HLA, che regolano la risposta
immunitaria. Un’alterazione di questi geni potrebbe scatenare una risposta di
tipo autoimmune. Questo potrebbe spiegare la presenza di parodontite grave
in una bassa percentuale di pazienti diabetici, perché essa sarebbe legata a una
predisposizione genetica più che a un disordine metabolico.
Nei soggetti diabetici si ha un riscontro di problemi parodontali due o tre volte
maggiore che nei soggetti sani.
Addirittura nei bambini il diabete si manifesta inizialmente con fenomeni di
gengivite.
Diversi studi indicano che i batteri presenti nella tasca parodontale dei soggetti
diabetici non sono diversi da quelli presenti nei soggetti sani, anche se il
contenuto di glucosio nel fluido gengivale crevicolare (liquido extracellulare
che impregna i tessuti connettivi circostanti e che viene filtrato all’esterno e si
riversa, di solito in piccole quantità, nel colletto della gengiva) potrebbe
alterare la composizione della placca.
Il diabete, e in modo particolare il diabete scompensato, è una condizione che
impone grande attenzione all’igiene orale. Infatti le difese del paziente
diabetico sono inferiori rispetto a quelle di un soggetto sano, e quindi il
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diabetico è più esposto alle infezioni. È fondamentale che dopo ogni pasto
vengano ispezionate le gengive, soprattutto riguardo gli eventuali
sanguinamenti, dopo di che si prosegue con le normali operazioni di igiene
quotidiana, che tutti dovrebbero seguire e in particolare i diabetici.
Sono stati fatti degli studi a lungo termine che hanno evidenziato come non
solo il riscontro, ma anche la progressione della malattia parodontale sia
maggiore nei diabetici rispetto ai pazienti non affetti da diabete.
L’iperglicemia è una condizione che contribuisce a ridurre la proliferazione e la
crescita dei fibroblasti, con minor sintesi di collagene a livello gengivale e del
legamento parodontale. Inoltre, vi è una riduzione della produzione della
matrice organica dell’osso per inibizione degli osteoblasti e aumento della lisi
del collagene. In questi studi è stato dimostrato come l’utilizzo di batteri
probiotici, tra cui il Lactobacillus reuteri prodentis, in aggiunta all’accurata
igiene orale quotidiana, possa aiutare a riequilibrare la flora batterica della
cavità orale.
L’influenza del fumo sulla salute del cavo orale
La relazione tra fumo e salute generale è ben documentata, mentre è meno
considerata la relazione tra tabacco e salute orale. Tuttavia, sono ormai
numerosi gli studi che provano la correlazione tra il fumo e i problemi del cavo
orale. Il fumo rappresenta un fattore di rischio tanto più importante quanto
maggiore è il numero delle sigarette fumate.
Il numero dei denti sani è inferiore nei fumatori rispetto a chi non ha
l’abitudine al fumo, mentre è maggiore il numero dei denti cariati o otturati.
La conclusione è che il fumo costituisce un importante fattore di rischio per
carie, perdita dei denti e perdita di attacco, ossia riduzione o addirittura
scomparsa del tessuto connettivale che connette la radice del dente all’osso
alveolare, in genere causata da infiammazioni persistenti dei tessuti gengivali e
parodontali.
Ad aggravare il tutto contribuisce il fatto che i fumatori sembrano rispondere
meno favorevolmente dei non fumatori alla terapia parodontale.
L’unica cosa positiva in questo quadro sconsolante è che sembra che gli effetti
del fumo (per quanto riguarda il cavo orale) siano reversibili, e che dopo
qualche anno dall’abbandono del fumo (secondo alcuni autori da 1 a 3) la
situazione migliori fino a essere paragonabile a quella di un non fumatore.
Qual è il meccanismo d’azione del fumo sulla salute del cavo orale?
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La nicotina:
• ha azione vasocostrittrice sul circolo ematico gengivale, con conseguente
riduzione del flusso sanguigno;
• interferisce negativamente con la capacità di reazione immunologica,
determinando un’alterazione nel funzionamento degli anticorpi;
• inibisce la capacità dei fibroblasti di aderire al legamento parodontale,
indebolendolo;
• interferisce con il metabolismo dell’osso, che risulta più poroso; le donne
fumatrici con la menopausa vanno incontro più facilmente a osteoporosi.
Il fumo mostra anche una correlazione con i tumori del cavo orale, in
particolare con il carcinoma del pavimento della lingua.
L’alitosi
Con il termine “alitosi” si indica un odore sgradevole emesso durante la
respirazione.
Il problema è molto diffuso e si calcola che interessi oltre il 50% della
popolazione di ogni sesso ed età, includendo forme transitorie e forme
persistenti.
Importanti sono anche le implicazioni psicologiche del disturbo: per alcune
persone l’alito cattivo è fonte di preoccupazione nel momento in cui si
intrattengono relazioni sociali o affettive.
Le cause possono essere molteplici, correlabili a diverse condizioni fisiologiche
e patologiche, orali o no.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si ritiene che la causa sia la scarsa igiene
orale e il conseguente accumulo di residui di cibo che vengono trasformati dal
metabolismo dei batteri della placca. Quando aumentano la colonizzazione
batterica e/o la quantità di residui di alimenti, o in presenza di problemi del
cavo orale quali gengiviti, stomatiti, parodontiti, lesioni cariose non curate, di
solito si ha alitosi di variabile intensità.
Altre volte l’origine è una malattia sistemica, come il diabete mellito,
l’insufficienza epatica o renale, le riniti e le sinusiti croniche, le bronchiectasie e
gli ascessi polmonari.
Anche il consumo di tabacco contribuisce a conferire un alito cattivo.
La provenienza dell’aria espirata può dare un’idea della natura del problema:
• se l’aria dall’odore sgradevole proviene dalla bocca, l’alitosi è dovuta a
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problemi del cavo orale;
• se l’odore cattivo proviene solo dal naso si è in presenza di alitosi causata
da rinite o sinusite;
• se il cattivo odore riguarda l’aria espirata sia dalla bocca che dal naso,
probabilmente la causa sarà una malattia sistemica.
Anche l’odore dell’aria espirata può dare delle indicazioni: un odore di acetone
può far pensare ad acidosi diabetica e a una disidratazione, un odore urinoso si
può riscontrare nell’insufficienza renale con uremia, mentre un odore
dolciastro con componente ammoniacale deve far pensare a una insufficienza
epatica.
In alcuni casi non vi è nessuna causa identificabile e il problema potrebbe
essere dovuto all’emissione per via respiratoria di sostanze volatili per
problemi digestivi o del metabolismo dei grassi. Una dieta ipolipidica
potrebbe contribuire a risolvere il problema.
Alimenti alitogeni
Cipolla
Aglio
Porri
Verze
Caffè
Tè
Birra
Vino
Alcolici in generale
Gli alimenti alitogeni sono responsabili di odori sgradevoli dell’alito fino a 72
ore dopo l’assunzione, per la volatilizzazione nell’aria alveolare, attraverso il
circolo polmonare, di metaboliti solforati circolanti nel sangue in seguito
all’assorbimento e al metabolismo di tali alimenti.
Anche alcuni farmaci possono provocare situazioni transitorie di alitosi, come
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per esempio l’isosorbide, il disulfiram e alcuni farmaci citostatici.
Anche i farmaci che causano secchezza della bocca possono contribuire ad
aggravare il problema, così come le condizioni di ridotta produzione della
saliva. Quest’ultima ha infatti il compito di apportare ossigeno al biofilm orale,
cioè l’aggregazione di microrganismi sulle superfici dentali, inibendo così la
crescita dei microrganismi anaerobi che sono i maggiori responsabili della
produzione dei composti solforati volatili. Nello stesso tempo però la saliva
trasporta all’interno del biofilm i substrati ossidabili che causano un maggior
consumo di ossigeno e la sua conseguente riduzione, con aumento dell’attività
dei microrganismi che danno luogo ad attività metaboliche alitogene. Un
compito importante della saliva è quello di rimozione meccanica dei detriti
cellulari e dei residui di cibo: ecco perché il flusso salivare ridotto comporta
anche problemi di alito sgradevole.
Il trattamento dei disturbi di origine sistemica necessita di un consulto a livello
specialistico. Per tutti gli altri casi il farmacista può valutare con il paziente
alcuni aspetti importanti:
miglioramento delle pratiche di igiene orale, con appuntamenti
periodici presso un igienista dentale o un odontoiatra;
riduzione o abolizione dell’assunzione di alcolici e del fumo;
correzione della dieta con eliminazione degli alimenti alitogeni;
controllo della placca batterica mediante l’utilizzo delle pastiglie
rivelatrici di placca, che contengono coloranti atossici in grado di aderire
solo alla placca batterica e non ai denti puliti. Le pastiglie devono essere
masticate e fatte passare con la lingua sulla superficie di tutti i denti:
saranno colorate solo le zone dove è utile insistere con la pulizia. A
questo punto si risciacqua e si spazzola.
Può essere utile la masticazione di chewing gum senza zucchero che
favoriscono la produzione di saliva che permette la detersione del cavo orale.
Diversi studi indicano che il contenuto di zinco, salificato sotto varie forme,
nelle gomme da masticare, nei collutori e nei dentifrici è in grado di
contrastare la volatilizzazione dei composti solforati. Sono state proposte
diverse modalità per il meccanismo d’azione dello zinco. La cisteina e la
metionina sono aminoacidi contenenti solfuri che costituiscono un substrato
per la produzione batterica dei composti volatili solforati. È possibile che lo
zinco, con la sua affinità verso i solfuri, ossidi i gruppi tiolici (-SH) inibendo la
produzione dei precursori di tali composti. Inoltre, lo zinco reagisce con i
gruppi tiolo dei composti volatili solforati producendo sostanze non volatili e
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neutralizzando così i loro effetti.
Sono in commercio inoltre caramelle e spray salva alito, di solito a base di
menta piperita, salvia, basilico, cardamomo.
Utili possono risultare anche gli sciacqui e i gargarismi con collutori contenenti
clorexidina gluconato, efficaci nel ridurre la carica batterica orale e quindi
l’intensità degli odori sgradevoli.
Le afte buccali
Le afte sono delle piccole lesioni superficiali, simili a piccole ulcerazioni, che si
manifestano sulla mucosa orale.
Sono di frequente riscontro in farmacia e interessano maggiormente il sesso
femminile, i bambini e gli adolescenti.
L’afta si presenta come un’ulcera di pochi millimetri di diametro, di colore rosso
vivo ai bordi e giallastro nella parte centrale, a causa di uno strato di fibrina che
ne riveste il pavimento.
Le zone maggiormente interessate sono:
• la parte interna delle labbra,
• la superficie interna delle guance,
ma anche
• la lingua,
• le gengive,
• il palato, in particolare il palato molle.
Le afte possono essere singole o poco numerose e non hanno tendenza al
raggruppamento, a differenza di quanto avviene nella stomatite erpetica dove
le vescicole tendono a radunarsi a grappolo.
La loro comparsa è preceduta da una sensazione di fastidio. Durano
solitamente una-due settimane, dopo di che spariscono spontaneamente
senza lasciare segni; possono però presentarsi varie volte, anche nelle stesse
localizzazioni.
Sono dolorose e fastidiose e spesso, soprattutto nei bambini, portano
all’inappetenza per la sensazione di bruciore determinata dal contatto con il
cibo.
In base alle caratteristiche cliniche possiamo distinguere aftosi minore, aftosi
maggiore e aftosi erpetiforme.
• Aftosi minore: è la forma più comune di aftosi e interessa soprattutto i
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bambini e gli adolescenti. Le afte sono piccole, con centro giallastro
circondato da un alone iperemico. Sono singole o poco numerose;
guariscono spontaneamente in meno di due settimane, senza lasciare
alcuna cicatrice, ma possono recidivare a intervalli variabili.
• Aftosi maggiore: le afte sono molto più grandi delle precedenti, con
dimensioni che possono superare 1 cm di diametro, localizzate
preferibilmente a livello della mucosa labiale, nella zona dei pilastri
palatini e sul palato molle. Il decorso clinico è più prolungato, quattro-sei
settimane, e spesso quando guariscono lasciano cicatrici.
• Aftosi erpetiforme: le piccole ulcerazioni erpetiformi, molto dolorose, si
presentano in gruppi numerosi sul palato duro, sul bordo delle labbra, sul
dorso linguale e sulle gengive, ma possono interessare qualsiasi zona
della bocca. Compaiono dapprima come piccole papule che possono
confluire in lesioni più grandi. Colpiscono maggiormente il sesso
femminile e l’età giovanile.
Le cause delle ulcerazioni del cavo orale possono essere molteplici e spesso
non vi sono certezze in merito. Talune condizioni sembrano essere
predisponenti, come per esempio lo stress psicofisico, il periodo mestruale,
carenze alimentari, patologie del tratto gastrointestinale, come la celiachia o il
morbo di Crohn, patologie autoimmuni come il morbo di Behçet, eventi
traumatici di diversa natura (meccanica, chimica, termica), neoplasie.
I deficit alimentari che possono essere implicati nell’eziologia delle afte buccali
sono la carenza di ferro, di acido folico, di vitamina B12.
Il trattamento deve essere orientato alla correzione dei fattori predisponenti.
Il miglioramento dell’igiene orale, la correzione della dieta con l’esclusione di
alcuni alimenti che possono irritare le mucose, come kiwi, pomodori, limoni,
noci, cioccolato e spezie ad azione irritante, al contrario l’inserimento nella
dieta di alimenti ricchi di vitamine del gruppo B, possono rivelarsi sufficienti.
A volte però la sintomatologia dolorosa richiede un trattamento farmacologico
locale per alleviare il disturbo e facilitare la cicatrizzazione delle lesioni.
I rimedi utilizzati nella terapia delle afte sono:
clorexidina gluconato: esiste in commercio sotto forma di gel gengivali,
collutori e spray orali. La sua azione antisettica e antibatterica riduce la
gravità dei singoli episodi di afte buccali, ma non impedisce le recidive.
Dopo un uso prolungato, la clorexidina può provocare una colorazione
superficiale brunastra dei denti, che può essere però prevenuta con
l’impiego di un dentifricio prima dell’utilizzo del prodotto contenente
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clorexidina, avendo cura di sciacquare la bocca con acqua nell’intervallo
tra i due trattamenti. Questa precauzione si rende necessaria poiché la
clorexidina gluconato è incompatibile con composti anionici, che sono in
genere presenti nei dentifrici comuni;
acido ialuronico: è un componente fondamentale dei tessuti connettivi
dell’uomo e di altri mammiferi, ed è in grado di mantenere l’idratazione e
la plasticità dei tessuti grazie alla sua capacità di inglobare e trattenere
molecole di acqua. Le preparazioni a base di acido ialuronico riducono il
dolore provocato dalle afte e reidratano le mucose;
aloe vera: i preparati a base di aloe vengono utilizzati, sotto forma di gel,
collutori o dischetti bioaderenti, per le proprietà cicatrizzanti e
citoprotettive dell’acemannano, mucopolisaccaride in essi contenuto;
corticosteroidi locali: hanno proprietà antinfiammatorie, antiallergiche e
antipruriginose, ma non cicatrizzanti. Sono disponibili sotto forma di
toccature gengivali o di compresse che vengono fatte aderire alla
superficie lesa della mucosa. Sono controindicati in presenza di lesioni
erpetiche e occorre prudenza nei bambini.
Altri trattamenti comprendono l’utilizzo di sciacqui con sucralfato per la sua
capacità di protezione delle zone ulcerate o con sospensioni di tetraciclina per
l’azione antibatterica. Quest’ultima terapia è da evitare nei bambini al di sotto
dei dodici anni in quanto altera il colore dei denti in formazione.
La xerostomia
La bocca secca è la sensazione persistente di non avere sufficiente saliva in
bocca, il che rende difficile parlare e mangiare.
La saliva ha diverse funzioni: lubrifica e protegge la bocca dalle infezioni
batteriche, dagli agenti chimici presenti nell’atmosfera, ricopre i denti e li
protegge.
La produzione insufficiente può danneggiare i tessuti della bocca, causare carie
ai denti, predisporre alle infezioni da Candida e contribuire all’alito cattivo.
La diminuzione di flusso salivare è definita iposcialia se contenuta, si parla
invece di xerostomia (dal greco xerós, “secco” e stóma, “bocca”) se la
produzione di saliva è decisamente ridotta.
Il disturbo è molto diffuso: ne soffrirebbe quasi il 30% della popolazione adulta,
in particolare donne.
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Sintomi della bocca secca
Sensazione di irritazione e bruciore in bocca
Difficoltà a deglutire
Alito cattivo
Alterazione del senso del gusto
Labbra secche
Angoli della bocca appiccicosi al tatto e screpolati
Bocca rossa e inaridita o lingua molto ruvida
Difficoltà a mangiare cibi secchi o speziati
Difficoltà a parlare e tendenza a svegliarsi piuttosto spesso durante la notte
A volte l’interessato non si accorge immediatamente del proprio stato, se non
quando il problema è particolarmente manifesto.
La riduzione del flusso salivare può essere causata da diversi fattori:
1. medicinali: alcune terapie farmacologiche possono provocare, come
effetto collaterale, la riduzione della produzione di saliva. Il meccanismo
d’azione di solito è rappresentato dalla capacità del farmaco di interferire
con il sistema nervoso autonomo, responsabile della salivazione. Tuttavia
possono essere implicate anche altre azioni, come la vasocostrizione e
l’alterazione del bilancio elettrolitico sistemico. Tra i farmaci implicati nel
causare xerostomia ricordiamo gli antiparkinson, gli antidepressivi e gli
ansiolitici, gli antidiarroici, i farmaci per l’incontinenza urinaria, gli
antispastici e alcuni farmaci di libera vendita, come i decongestionanti
per il raffreddore;
2. alcune patologie sistemiche, come le ipovitaminosi, in particolare la
carenza di vitamina C, il diabete mellito non compensato, l’AIDS, l’anemia
perniciosa e l’anemia da carenza di ferro. Il diabete, in particolare, può
causare un aumento della diuresi o essere legato a un problema
metabolico o ormonale che ha come risultato la bocca secca. La
xerostomia può essere dovuta anche a un’infiammazione delle ghiandole
salivari, la sialoadenite, che può avere origine virale (si pensi alla parotite
epidemica), autoimmune, come nel caso della sindrome di Sjögren, o,
raramente, batterica (Staphylococcus aureus o Streptococcus viridans). Le
forme batteriche sono in genere secondarie alle sialolitiasi, formazioni di
calcoli dovute spesso a un’anomala secrezione degli elettroliti, che porta
a una precipitazione di sali che possono ostruire il condotto di uscita
23
della ghiandola. Le sialoadeniti vengono di norma trattate con antibiotici
e con una terapia sintomatica, come saliva artificiale nel caso della
sindrome di Sjögren, o con bendaggi umidi e dieta pastosa come nel caso
di infezioni virali;
3. terapia radiante dei tumori: la riduzione del flusso salivare in persone
affette da neoplasie dell’orofaringe costituisce la norma, poiché le
ghiandole salivari, organi altamente radiosensibili, vengono incluse nel
campo di trattamento;
4. l’età: una leggera diminuzione del flusso salivare è un evento naturale
legato all’invecchiamento, ma più che altro gli anziani pagano il prezzo
del diffuso uso di farmaci e della presenza di patologie sistemiche
concomitanti.
Come alleviare i sintomi della bocca secca:
bere molto, sia durante i pasti per facilitare la deglutizione che fuori
pasto;
evitare caffè e altre bevande contenenti caffeina e gli alcolici;
evitare il fumo;
utilizzare prodotti specifici per il problema (dentifrici, collutori e gel a
base di enzimi salivari e polimeri idratanti);
le gomme da masticare sembrano essere utili per stimolare il flusso
salivare, soprattutto nella xerostomia da terapia radiante;
evitare bevande, caramelle e chewing gum zuccherini, per non facilitare
l’insorgenza della carie;
respirare con il naso e non con la bocca;
utilizzare un umidificatore nella camera in cui si dorme.
La malattia parodontale
Questa patologia colpisce in Italia circa il 60% della popolazione, in particolare i
giovani adulti, ma solo in una minoranza di casi si osservano forme avanzate.
La malattia parodontale, che comprende le gengiviti e le parodontiti, ha
un’eziologia multifattoriale, la cui componente essenziale è l’infiltrazione
batterica.
La gengivite, che colpisce la gengiva vicina al dente, è caratterizzata da
arrossamento, edema, sanguinamento durante le pratiche di igiene orale. Se
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adeguatamente curata, guarisce completamente.
La parodontite si differenzia dalla gengivite, dalla quale è sempre preceduta,
per la perdita di attacco connettivale e per la distruzione dell’osso alveolare di
sostegno. Viene così a essere intaccata l’intera struttura di sostegno del dente,
in modo irreversibile.
In una persona in salute, la flora batterica del cavo orale si mantiene in
equilibrio, cosa che impedisce azioni distruttive sui tessuti. Qualora qualche
ragione vada a minare questo equilibrio, alcuni ceppi patogeni possono
prendere il sopravvento, riproducendosi e dando il via alla formazione di una
nutrita placca batterica, di solito composta prevalentemente da batteri Gram+.
Questa placca deve essere rimossa, altrimenti si ha un viraggio della sua
composizione verso batteri Gram- e si osserva vasodilatazione con fuoriuscita
di essudato e proteine plasmatiche, oltre alla presenza di un infiltrato
composto da neutrofili, monociti/macrofagi e alcune cellule linfoidi. Se lasciata
a se stessa, la placca si diffonde nell’ambiente subgengivale e si accumula,
provocando infiammazioni e sanguinamento, con recessione dell’epitelio
giunzionale. Il solco gengivale poi si approfondisce dando luogo alle
caratteristiche tasche, che si associano a mobilità dentale.
Perché la malattia parodontale (chiamata anche piorrea) si manifesti in fase
conclamata non è sufficiente la presenza di batteri, ma devono sussistere
altri fattori inerenti l’ospite, come la concomitante presenza di malattie
sistemiche e la predisposizione genetica.
Patologie sistemiche che possono modificare l’andamento delle parodontiti o
favorirne l’insorgenza:
• LAD (Leucocyte Adhesion Deficiency): è una grave patologia genetica
caratterizzata dalla deficienza o assenza di glicoproteine normalmente
presenti sulla superficie cellulare dei leucociti, le integrine, che
consentono l’adesione dei leucociti alle pareti vasali, prima fase della
migrazione leucocitaria verso il focolaio dell’infiammazione. Se le
integrine sono assenti, ciò può portare alla morte del paziente. Se il
deficit è parziale, e il paziente sopravvive, può andare incontro a diverse
patologie tra cui una forma piuttosto aggressiva di parodontite, la
parodontite prepuberale generalizzata.
• Sindrome di Papillon-Lefèvre: consiste in un’ipercheratosi psoriasiforme
del palmo delle mani e della pianta dei piedi, che può interessare anche il
dorso delle mani e dei piedi e gli arti. La cheratodermia si associa, fin
dalla prima infanzia, a gengivite grave con alveolisi e caduta precoce dei
denti decidui. Durante la seconda infanzia, la periodontite si ripete con la
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•
•
•
•
•
•
•
•
•
caduta, in tempi brevi, dei denti permanenti. Spesso si osserva
suscettibilità alle infezioni di vario tipo.
Neutropenie: sono caratterizzate dalla carenza o assenza di granulociti
neutrofili circolanti nel sangue periferico, con conseguente riduzione, a
livello dei tessuti periferici, della funzione di fagocitosi.
Ipofosfatasia: sindrome caratterizzata da una riduzione del livello di
fosfatasi alcalina nel siero, con pesanti conseguenze sullo sviluppo
scheletrico. Questa condizione è spesso associata con una forma di
parodontite prepuberale.
Sindrome di Down: è dovuta a una trisomia del cromosoma 21 e
comporta ritardo mentale da moderato a severo.
Leucemie: si tratta di diverse forme di patologie del sangue,
caratterizzate da proliferazione e sviluppo alterati di leucociti e loro
precursori nel sangue e nel midollo osseo.
AIDS: nel 1983 l’Istituto Pasteur di Parigi isolò l’agente eziologico
dell’AIDS e lo chiamò virus dell’immunodeficienza umana di tipo I (HIV-I).
La compromissione delle difese immunitarie che caratterizza questa
patologia fa sì che i soggetti che ne sono affetti siano più esposti
all’azione degli agenti infettivi, tra i quali quelli che provocano lesioni
gengivali e parodontali.
Morbo di Addison: si tratta di una rara malattia cronica che colpisce la
corteccia delle ghiandole surrenali, diminuendo o a volte azzerando la
sua funzionalità. Per questo è anche detta ipocorticosurrenalismo o
insufficienza corticosurrenalica.
Diabete mellito insulino-dipendente: se il diabete non è controllato, la
parodontite tende a manifestarsi in forma più grave, ma la stessa
malattia parodontale può aggravare il diabete, in quanto è una
infiammazione e può aumentare il fabbisogno di insulina. Quindi
parodontite e diabete sono legati in questo rapporto bidirezionale.
Morbo di Crohn: malattia infiammatoria cronica granulomatosa in
genere localizzata all’ileo terminale, con fibrosi e ispessimento della
parete, che spesso conduce a ostruzione intestinale e formazione di
fistole e ascessi.
Alterazioni nella funzionalità dei neutrofili: i neutrofili sono i leucociti
più comuni. Sono le prime cellule che intervengono nei processi
infiammatori e hanno azione fagocitaria soltanto su batteri e piccole
particelle.
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Tutte queste patologie possono aggravare la parodontite per due motivi:
aumentano la suscettibilità alle infezioni e modificano la capacità di
collaborazione del paziente.
A sua volta la parodontite costituisce un fattore di rischio per altre patologie,
come per esempio le endocarditi acute e subacute, le infezioni batteriche
sistemiche e, se contratta in gravidanza, rischio di parto prematuro e neonato
sottopeso.
L’odontoiatra che si trovi di fronte a un paziente con malattia parodontale ha
come primo obiettivo di arrestare la progressione della malattia e come
secondo obiettivo di prevenire le recidive. L’igiene orale è ancora una volta di
primaria importanza, mediante la pulizia a fondo e l’utilizzo di collutori e gel a
base di clorexidina per controllare la placca batterica.
La detartrasi, o ablazione del tartaro, è una manovra di igiene professionale
per rimuovere la placca e il tartaro dalle superfici dentali sopragengivali,
mediante l’utilizzo di strumenti manuali o meccanici (strumenti sonici o
ultrasonici).
La levigatura radicolare, cioè la rimozione del tartaro subgengivale a livello
delle tasche parodontali, viene fatta previa anestesia locale. A seconda dei casi,
può essere eseguita:
• a “cielo chiuso”, cioè senza scollamento della gengiva,
• a “cielo aperto”, cioè sollevando i lembi chirurgici gengivali per migliorare
sia la visibilità che l’accesso alla zona da sottoporre al trattamento.
La glossite
Se la lingua viene colpita da glossite, patologia infiammatoria, diviene rossa,
gonfia, dolorante, brucia e sembra liscia, dal momento che praticamente si
riducono fino a scomparire le papille che la rivestono.
Tutte le azioni che interessano la lingua, come il masticare, l’ingoiare e perfino
il parlare, diventano una vera e propria difficoltà.
La glossite può essere di tipo acuto o cronico e può essere secondaria a una
patologia sistemica oppure no.
Forme particolari di glossite sono:
• glossite atrofica di Hunter: la mucosa della lingua appare arrossata,
tumefatta e disepitelizzata, soprattutto ai margini e sulla punta, a volte
anche sul dorso, dove si osservano ragadi, ulcerazioni e vescicole; in
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seguito, con il progredire dell’atrofia e la riduzione della dimensione delle
papille, si presenta liscia e causa disturbi quali bruciore sia spontaneo sia
a contatto con alimenti di qualunque tipo, caldi o freddi, liquidi o solidi.
Questa forma di glossite rappresenta uno dei sintomi più precoci
dell’anemia perniciosa e può addirittura precedere la comparsa stessa
dell’anemia;
• lingua a carta geografica (glossite migrante benigna): non ha una causa
conosciuta, alcuni studi la associano a fenomeni di stress e altri alla
psoriasi. È caratterizzata dalla perdita delle papille in alcune zone della
lingua, in particolare a livello degli orli dorsali e laterali, che appaiono
lisce e arrossate. Non è una situazione statica, ma possono verificarsi
remissione e cambiamenti nelle aree depapillate e i pazienti lamentano
spesso un enorme fastidio. Di solito guarisce spontaneamente, senza
trattamenti, ma è possibile utilizzare, per alleviare i sintomi, blandi
antisettici da somministrare prima dei pasti sotto forma di collutori o
spray;
• lingua nera villosa (lingua pilosa nigra): la lingua appare irsuta e di colore
nerastro, a causa dell’allungamento e del cambiamento di colore, dovuto
a batteri cromogeni, delle papille filiformi. La causa di questa patologia è
sconosciuta, sono stati di volta in volta associati il tabacco, gli alcolici, gli
sciacqui con perossido di idrogeno, la cattiva igiene orale, ma senza
alcuna certezza. La malattia può seguire prolungate terapie antibiotiche
che alterano l’equilibrio tra flora batterica e micotica e si può osservare
in pazienti defedati o con patologie croniche del cavo orale. La
sospensione della terapia antibiotica, meglio se associata a
somministrazione di vitamine del gruppo B, può portare alla guarigione
in breve tempo. Qualunque sia l’origine, la situazione rientra di solito
spontaneamente nella norma, l’unico trattamento richiesto è lo
spazzolamento della lingua con uno spazzolino bagnato di acqua o con
un apposito puliscilingua, in modo da rimuovere i detriti.
Le principali cause che possono determinare una glossite sono:
• le infezioni virali, fungine o batteriche, da Streptococco o Stafilococco;
• l’esposizione ad agenti irritanti (tabacco, alcol, cibi troppo speziati, cibi
troppo caldi o troppo freddi);
• alcuni farmaci o terapie come per esempio la radioterapia;
• deficienza di vitamine del gruppo B o di minerali come zinco e ferro;
• altre patologie concomitanti (anemia perniciosa).
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Il trattamento locale è basato sulla somministrazione di antinfiammatori e
antisettici sotto forma di collutori, spray o pastiglie da sciogliere in bocca.
La candidosi orale
La candidosi (per alcuni autori candidiasi) orale è una infezione micotica in
genere circoscritta alle mucose del cavo orale e alla cute circostante.
È causata da miceti appartenenti a varie specie di Candida: la più comune è la
Candida albicans, ma vanno ricordate la Candida krusei, la Candida glabrata, la
Candida pseudotropicalis e la Candida lusitaniae.
Nel cavo orale di soggetti sani la Candida albicans si trova normalmente allo
stato di saprofita e per qualche ragione, come per esempio terapie
farmacologiche e/o radianti, o stati di debilitazione dell’organismo, passa dalla
forma saprofitaria a quella patogena.
Diverso è il caso del passaggio del micete dalla madre al figlio durante il parto
(candidosi pseudomembranosa acuta o mughetto).
La candidosi può essere favorita da diversi fattori predisponenti, tra cui la
scarsa igiene orale, la scarsa salivazione, l’utilizzo di protesi mobili, prolungate
terapie con antibiotici, cortisonici o immunosoppressori, terapie radianti,
malattie sistemiche come diabete mellito, leucemie e stati di
immunodeficienza.
I più esposti all’infezione sono i lattanti e le persone anziane per la ridotta
risposta immunitaria, e il sesso femminile, probabilmente per le oscillazioni
ormonali cui è sottoposto.
Si distinguono diversi tipi di candidosi, che si differenziano per le
manifestazioni cliniche.
1) Candidosi acute che comprendono una forma pseudomembranosa e una
forma atrofica:
• candidosi pseudomembranosa (mughetto) → è caratterizzata dalla
presenza di placche bianche, dette appunto pseudomembrane, formate
da ammassi di ife fungine, fibrina e cellule epiteliali desquamate. Le
placche hanno un aspetto simile alla ricotta e si presentano di solito sulla
superficie della mucosa labiale e geniena (rivestimento interno delle
guance), sul palato duro e molle, sulla lingua, sulle gengive e
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sull’orofaringe. Con una garza si possono rimuovere dalla superficie
mucosa lasciando un’area sottostante eritematosa. Possono dare
bruciore e gusto metallico. La candidosi pseudomembranosa si osserva
soprattutto nei bambini (mughetto), per cui è particolarmente
raccomandata la sterilizzazione di tettarelle e succhietti, e nei pazienti
sottoposti a terapia prolungata con antibiotici. Nei pazienti sottoposti a
chemioterapia o affetti da infezione da HIV la candidosi rappresenta una
delle infezioni orali più frequenti.
• candidosi atrofica (eritematosa) → è caratterizzata dalla presenza di zone
arrossate e dolenti, più frequentemente sulla lingua, che possono però
interessare anche altre aree del cavo orale. Può insorgere in seguito a
una terapia antibiotica.
2) Candidosi croniche iperplastiche che comprendono la leucoplachia
candidosica e l’iperplasia papillare del palato:
• leucoplachia candidosica → si tratta di una macchia o placca
prevalentemente bianca sulla mucosa orale. Non sempre è omogenea, a
volte si osservano frammentazioni in “isole” di varia grandezza. Si ritiene
che sia una delle lesioni precancerose più frequenti, riscontrabile
soprattutto nel sesso maschile oltre i 40 anni;
• iperplasia papillare → questa lesione si sviluppa a livello della volta del
palato e si osserva spesso in pazienti portatori di protesi. Il traumatismo
causa una reazione iperplastica dell’epitelio con formazione di piccole
escrescenze di colore rossastro. La superficie di estensione della lesione è
variabile.
L’iperplasia papillare del palato non è una lesione precancerosa ed è di
solito asintomatica.
3) Candidosi croniche atrofiche, che comprendono la candidosi cronica
atrofica, la glossite rombica mediana e la cheilite angolare:
• candidosi cronica atrofica → si localizza quasi sempre a livello del palato
duro, e si riscontra nei soggetti portatori di protesi. Si manifesta con la
presenza di aree atrofiche al di sotto della dentiera;
• glossite rombica mediana → il nome deriva dalla presenza di una zona
eritematosa di forma romboidale sul dorso della lingua, anteriormente
alle papille circumvallate. La zona colpita appare priva di papille e ben
delimitata;
• cheilite angolare → detta anche boccarola, consiste nella fissurazione e
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arrossamento in corrispondenza di una o di entrambe le commissure
labiali. È di frequente riscontro negli anziani edentuli con molta
salivazione e si associa spesso a forme micotiche del cavo orale.
La diagnosi di candidosi può essere fatta mediante la valutazione delle lesioni
ed eventualmente con l’ausilio di un tampone. È importante che la diagnosi sia
corretta in quanto queste forme, oltre a essere la spia di malattie sistemiche
importanti, possono dare luogo a trasformazione neoplastica.
Il trattamento varia a seconda della forma che si prende in considerazione,
tenendo presente che, a parte nei bambini e negli anziani, il cui sistema
immunitario non funziona a pieno regime, in tutti gli altri casi bisogna
sospettare un deficit immunitario.
I farmaci utilizzati per la terapia topica sono la nistatina e il miconazolo gel
orale associati a sciacqui con clorexidina allo 0,2%.
Nei più piccoli si può pulire la bocca con una garza imbevuta di soluzione di
bicarbonato di sodio. Le applicazioni devono essere estese anche al capezzolo
e all’areola se il bambino è allattato al seno. Se non vi fosse sufficiente risposta,
si deve ricorrere a un trattamento sistemico, di solito a base di fluconazolo.
I tumori del cavo orale
Il cavo orale è una sede colpita frequentemente da neoplasie: si calcola che,
insieme ai tumori di faringe e laringe, rappresentino il 10% dei tumori maligni
negli uomini e il 4% nelle donne.
In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 4.500 casi di tumori alla bocca e
si registrano circa 3.000 decessi. Questo accade perché, pur non essendo
tumori particolarmente rari, spesso ne vengono ignorati i segnali, preferendo
intervenire con farmaci o collutori che ne ritardano la diagnosi.
Possono ammalarsi individui di tutte le età, ma la fascia compresa tra i 50 e i
70 anni è la più colpita. In Italia si osserva una maggior diffusione nelle aree
del Nord Est, probabilmente per le diverse abitudini di vita quali il consumo di
tabacco e alcolici. Alcune neoplasie che colpiscono i soggetti più giovani
sembrano essere di origine virale (papilloma virus), correlate con le abitudini
sessuali (sesso orale). Le condizioni che predispongono all’insorgenza delle
lesioni neoplastiche possono essere le patologie come le glossiti croniche e le
leucoplachie, la scarsa igiene del cavo orale, che può portare a flogosi e
ulcerazioni, la presenza di denti rotti.
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Sembra, inoltre, rivestire una certa importanza il continuo microtrauma
causato per esempio da una protesi non ben collocata nella sua sede o dal
continuo mordicchiarsi la lingua.
Un altro fattore di rischio è rappresentato dal fumo di tabacco, che agisce sia
direttamente come stimolo irritativo, termico e chimico, sia indirettamente
tramite l’apporto di sostanze cancerogene. La masticazione del tabacco
determina un deciso aumento del rischio.
Vanno poi ricordati l’abuso di alcol, che ha azione disidratante sulla mucosa
della lingua, e alcune carenze vitaminiche, in particolare di vitamina A e del
complesso B.
Per quanto riguarda il tumore del labbro, un possibile fattore favorente è
l’eccessiva esposizione al sole, soprattutto per chi ha la pelle molto chiara.
Fattori di rischio per i tumori del cavo orale
Fumo
Alcol
Presenza di lesioni precancerose
Cattiva igiene orale
Eccessiva esposizione ai raggi solari
Carenze vitaminiche
Microtraumi ripetuti
Tra le lesioni precancerose, oltre alla già citata leucoplachia, vanno ricordate:
• eritroplachia, che si presenta come una macchia o placca di colore rosso
vivo, riscontrabile più frequentemente a livello del pavimento orale, dei
bordi della lingua, in zona retromolare e sul palato molle, ma anche in
altre sedi. Se non è ancora giunta in fase di trasformazione la lesione può
regredire;
• displasia lichenoide, lesione bianca o rossa caratterizzata da papule e
strie.
Il carcinoma della lingua e del pavimento orale sono le forme più frequenti che
si riscontrano nel cavo orale.
I tumori del pavimento possono restare a lungo asintomatici a causa della
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scarsa innervazione di questa zona, a differenza di quelli che colpiscono la
lingua, che danno tra i primi sintomi proprio il dolore, accompagnato da
sensazione di bruciore soprattutto a contatto con cibi caldi o acidi.
I sintomi si aggravano con la masticazione, la deglutizione e la fonazione, e
pertanto il paziente sarà portato a evitare queste azioni con rapido scadimento
delle sue condizioni di salute.
Il carcinoma squamoso è il tumore più frequente che può colpire il corpo della
lingua.
Altre forme neoplastiche di più raro riscontro sono il carcinoma basale,
l’adenocarcinoma e il carcinoma indifferenziato.
Il presupposto fondamentale per una guarigione completa è la diagnosi
precoce. Per questo è importante mettere in atto, con poche semplici regole,
una prevenzione:
evitare il fumo e gli alcolici;
eseguire una visita odontoiatrica una volta all’anno, finalizzata anche alla
ricerca di eventuali lesioni;
autoispezionare il cavo orale;
in caso di lesioni dubbie non tentare l’automedicazione con collutori o
altri farmaci per più di 14 giorni.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di considerare
potenzialmente maligne, e quindi da sottoporre ad accertamenti diagnostici,
tutte le lesioni della mucosa orale che non regrediscono spontaneamente
entro 14 giorni.
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