I Tumori della Tiroide aspetti epidemiologici, quadri clinici

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I Tumori della Tiroide aspetti epidemiologici, quadri clinici
I Tumori della Tiroide: aspetti epidemiologici, quadri clinici
e semeiologici
B. Trinti
Istituto di Ingegneria Biomedica, sezione di Tecnologie Biomediche, CNR. Dipartimento di Medicina Sperimentale
e Patologia, Università “La Sapienza”, Roma.
Introduzione
Il carcinoma tiroideo rappresenta la più frequente neoplasia maligna del sistema endocrino e si può ritenere
che esso sia presente nel 2-3% delle lesioni nodulari riscontrabili nella popolazione generale. L’istotipo follicolare prevale nelle aree di endemia gozzigena mentre in aree non endemiche prevale l’istotipo papillifero. L’evoluzione naturale della proliferazione tiroidea, nella stragrande maggioranza dei casi, è caratterizzata da un decorso del tutto asintomatico; pertanto il riconoscimento della lesione accrescitiva di tipo neoplastico costituisce
un problema di rilevante impegno diagnostico non essendo agevole discriminarla dalle lesioni nodulari benigne
che costituiscono un’evenienza di frequente riscontro nella patologia tiroidea.
Premesse morfofunzionali
La tiroide, sul piano morfofunzionale, è strutturata in due differenti compartimenti cellulari; quello
follicolare di derivazione endodermica, anatomicamente preponderante, preposto alla sintesi delle iodotironine, e quello delle cellule C, di derivazione
neuroectodermica deputato alla sintesi della calcitonina.
La trasformazione tumorale della tiroide si differenzia, sul piano fisiopatologico e clinico, da quella
delle altre ghiandole endocrine, poiché, non essendo
contrassegnata da una esaltata attività funzionale del
tessuto neoplastico,è per lo più caratterizzata da uno
stato clinico di eutiroidismo.
D’altronde il sistema delle cellule C calcitonina-secernenti può essere coinvolto, su basi genetiche, nella
trasformazione tumorale, indipendentemente da ogni
compromissione dell’epitelio follicolare, risultando
spesso associato ad altri tumori neuroendocrini.
I carcinomi della tiroide sono da considerarsi
neoformazioni tumorali ad andamento relativamente
benigno anche se, soprattutto nelle rare forme indifferenziate, ed in quelle che coinvolgono il sistema delle
cellule C, si assiste talora al rapido progredire della
proliferazione tumorale.
La lesione tumorale spesso si esprime clinicamente
con la comparsa di un nodulo e/o adenopatia locoregionale, usualmente asintomatici, non disponendosi, a
tutt’oggi, di specifici markers clinicamente diagnostici
per riconoscere nella sua fase iniziale l’erroneo processo replicativo dei singoli tireociti.
Va inoltre sottolineato che, a motivo della lenta
evoluzione il carcinoma tiroideo è da considerare tra
le neoformazioni tumorali, endocrine e non endocri-
ne, ad andamento relativamente benigno, anche se di
rado, soprattutto nelle forme che coinvolgono il sistema parafollicolare ed in quelle indifferenziate, si assiste al rapido progredire del processo tumorale. Ed infatti i rilievi statistici sulla mortalità dimostrano che il
carcinoma tiroideo, se tempestivamente diagnosticato, può essere eradicato, anche nelle fasi di iniziale disseminazione metastatica, prescindendo dalla genesi
uni o plurifocale della lesione neoplastica.
Epidemiologia
Il carcinoma tiroideo rappresenta la più frequente
neoplasia maligna del sistema endocrino, ma costituisce un’evenienza relativamente rara, rappresentando
lo 0,5-1% di tutti i tumori maligni dell’uomo.
L’incidenza varia ampiamente sia in funzione delle
diverse casistiche cliniche che per distribuzione geografica. Si può ritenere che il tumore primitivo clinicamente manifesto sia annidato nel 2-3% delle lesioni
nodulari riscontrabili nella popolazione generale. Tale
valore non si modifica sostanzialmente tenendo conto
anche delle lesioni occulte, di dimensioni inferiori a 10
mm, alle quali concordemente non è da attribuire alcuna rilevanza clinica..
Le evidenti discrepanze registrate tra incidenza e
mortalità per carcinoma, sono da attribuire al netto
prevalere delle forme più differenziate ed alla lenta
progressione dell’istotipo papillifero e di quello follicolare, caratterizzati da elevata sopravvivenza media,
rispettivamente del 90% e 60%. Per interpretare tali
discrepanze è stato inoltre invocato il ruolo della endemia gozzigena quale possibile fattore di rischio carcinogenetico.
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L’analisi epidemiologica del carcinoma tiroideo deve tener conto di altri elementi, in particolare la distribuzione per istotipo, notevolmente variabile da
Paese a Paese. La frequenza elevata del carcinoma
follicolare, segnalata in aree di endemia gozzigena
(Svizzera, Colombia) e la sua apparente riduzione in
seguito a iodoprofilassi (dal 42 al 30% e dal 37% al
15%), ove si considerino i valori assoluti, anziché le
percentuali, potrebbe essere dovuta non ad una diminuzione del carcinoma follicolare, bensì ad un aumento reale del carcinoma papillifero. Ed infatti il carcinoma è frequente anche in aree non endemiche, ove
prevale l’istotipo papillifero (USA), e la frequenza relativa del carcinoma follicolare è analoga in paesi endemici e non endemici.
Accanto alle forme differenziate di carcinoma tiroideo, che si esprimono con un ampio spettro di evolutività clinica, sono da considerare le rare forme altamente aggressive, quale il carcinoma anaplastico, che
colpisce soprattutto soggetti in età avanzata, ed è contrassegnato da una prognosi infausta, con sopravvivenza inferiore ad un anno.
Per quanto riguarda la distribuzione del carcinoma
tiroideo in relazione al sesso è stata riportata una maggiore frequenza nel sesso femminile, sia negli USA
(F/M = 2,7), che in Europa (F/M = 2,9), pur essendosi
osservata una sensibile variazione in rapporto all’istotipo. Per il carcinoma occulto, invece, non esiste una
significativa differenza rispetto ai due sessi.
Negli ultimi decenni, si è rilevato un progressivo
incremento di incidenza, pur osservandosi una concomitante riduzione dell’indice di mortalità. E tale
rilievo è da riferire all’impiego di sussidi diagnostici
più accurati, che consentono il riconoscimento precoce della lesione neoplastica e la conseguente più
incisiva efficacia dei provvedimenti terapeutici instaurati. Nel contempo si è registrata una riduzione
delle forme più invasive e maligne, quale il carcinoma anaplastico.
L’incidenza globale del carcinoma tiroideo non appare sostanzialmente influenzata dalla carenza iodica
alimentare; peraltro in Italia è stato osservato che l’incidenza di questo tumore in zone a carenza iodica risulta 2 volte superiore rispetto a zone non carenti, con
una maggiore frequenza delle forme follicolari o delle
forme scarsamente differenziate.
La percentuale di sopravvivenza a cinque anni per
la malattia carcinomatosa è molto elevata, circa il
90%, con una cuspide di quasi il 99%, ove sia considerato solamente l’istotipo papillifero. Il tumore
può, tuttavia, recidivare anche molti anni dopo la
diagnosi, talvolta oltre i 20. Pertanto, ove ricorra il rischio di recidiva, assumono un determinante ruolo
prognostico sia la tempestività della diagnosi, sia un
rigoroso protocollo clinico-terapeutico, incentrato su
un follow-up periodico, protratto per tutta la vita del
paziente.
Dalla analisi epidemiologica emergono due ordini
di elementi che sono statisticamente associati alla genesi della lesione neoplastica, i fattori endogeni e
quelli esogeni, ai quali può essere attribuito il significato di momenti causali, o quanto meno concausali.
• Fattori endogeni
I fattori genetici: alcuni rilievi epidemiologici dimostrano che la maggior frequenza del carcinoma occulto è assai significativa e non dipende da fattori ambientali.
La predisposizione familiare: è suggerita dal riscontro di casi familiari in alcuni istotipi; sono stati
infatti descritti accanto a casi sporadici, anche rari casi familiari di carcinoma papillifero, mentre è da tempo nota quella per il carcinoma midollare, geneticamente trasmessa come carattere autosomico dominante ad alta penetranza. Si tratta di una non comune
forma di tumore tiroideo (3-5%) spesso associato ad
altri tumori endocrini, ed in particolare al feocromocitoma, che costituiscono il gruppo delle cosiddette
MEN (multiple endocrine neoplasie) e che sul piano
istogenetico derivano dalle cellule C la cui etiopatogenesi è oggi riconosciuta nelle mutazioni del protooncogene RET.
I fattori ormonali: vanno sempre menzionati nell’ambito delle cause endogene, anche per interpretare
l’elevato rapporto F/M che si osserva nella patologia
tumorale della tiroide per cui sono stati invocati l’influenza degli ormoni sessuali femminili. La patologia
tumorale tiroidea inciderebbe con frequenza più elevata nelle donne che hanno fatto uso di estrogeni,
quali contraccettivi orali.
• Fattori esogeni
Le radiazioni ionizzanti: svolgono un ruolo determinante quale fattore etiopatogenetico del carcinoma
tiroideo. Il rischio carcinogenetico è particolarmente
espresso se l’esposizione alle radiazioni avviene in età
infantile, risultandone un effetto lesivo più intenso
sulla tiroide in fase evolutiva. Le risultanze epidemiologiche sono assai eloquenti dimostrando una elevata
incidenza sia nei sopravvissuti a Hiroshima e Nagasaki, sia nei bambini delle Isole Marshall esposti accidentalmente alla ricaduta di radioattivi dello iodio,
così come più di recente a seguito dell’incidente di
Cernobyl.
È interessante notare che la maggior parte dei carcinomi erano tumori solitari della tiroide e che per il
carcinoma indotto dalle irradiazioni (dose correlata)
non si osserva la spiccata prevalenza nel sesso femminile, che invece si riscontra nei carcinomi spontanei. Il
tempo di latenza tra l’irradiazione e la diagnosi istologica di carcinoma è in genere 10-12 anni.
I dati epidemiologici inducono a ritenere che il
carcinoma tiroideo possa essere legato ad una duplice mutazione genica. La prima è, spesso, ereditata,
comportando una sorta di predisposizione all’insorgere di questo tumore; la seconda è, in genere, acquisita, ed è da riferire all’effetto delle radiazioni,
soprattutto se l’esposizione avviene nella età infantile.
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L’iperstimolazione da parte del TSH, in sinergismo
con altri fattori di crescita, evocata da cause gozzigene
o da altri fattori endogeni, ad esempio l’iperestrogenismo, o di altri fattori esogeni potrebbe, infine, agire da
concausa o da cofattore.
Aspetti clinico-evolutivi
Il carcinoma tiroideo può esordire con ampio spettro di quadri clinico-semeiologici apprezzabili: dal
quadro del tutto asintomatico del cosiddetto carcinoma “occulto”, che può repertarsi quale riscontro occasionale esclusivamente istologico, (postoperatorio o
autoptico), all’esordio con colonizzazioni metastatiche, sino alla rara evenienza di un tumultuoso accrescersi del carcinoma anaplastico, dotato di minacciosa
aggressività, e rapidamente letale, con sopravvivenza
a 12 mesi praticamente nulla.
Nella stragrande maggioranza dei casi l’evoluzione
naturale della proliferazione tiroidea, , è caratterizzata
da un decorso del tutto asintomatico, e con tendenza
alla disseminazione metastatica in un arco di tempo
protratto, tanto da registrarsi una mortalità assai limitata. Pertanto il riconoscimento della lesione accrescitiva di tipo neoplastico costituisce un problema di rilevante impegno diagnostico, soprattutto nelle fasi
iniziali, non essendo agevole discriminarla dalle lesioni nodulari benigne, che costituiscono un’evenienza di
frequente rilievo, occasionalmente reperibili, sia in
ambienti specialistici, così come in strutture cliniche
di prima istanza.
Infatti, un nodulo clinicamente apprezzabile, di diametro superiore al cm, è riscontrabile nel 4%-5% della popolazione adulta, e al rilievo semeiologico di un
nodulo tiroideo solitario, che rappresenta la più frequente manifestazione iniziale del tumore, non è dato
assegnare valore patognomonico, almeno sino a quando il processo neoformativo sia confinato entro la capsula ghiandolare.
I tradizionali parametri semeiologici, clinici e strumentali, adottati in passato quali elementi di sospetta
malignità, debbono essere attentamente valutati e
possono, talora, assumere il ruolo di aspecifici elementi orientativi, ma a nessuno di essi può essere conferito il significato diagnostico di marker di potenziale malignità. L’età ed il sesso, così, non rappresentano
elementi significativi, anche se l’età giovanile o presenile costituiscono due coorti a rischio, soprattutto se
all’indagine anamnestica si registri la esposizione a radiazioni ionizzanti.
Pur prevalendo nettamente la patologia nodulare
nel sesso femminile, (F/M=4,3/1), il riscontro di un nodulo singolo, o dominante, nel paziente di sesso maschile è gravato da maggiore rischio di malignità e da
una prognosi meno favorevole.
In età evolutiva il nodulo tiroideo non è un’evenienza frequente, infatti, il 10% dei carcinomi tiroidei si manifesta prima dei 21 anni e rappresentano il
5,7% di tutti i tumori del collo in età infantile. Peral-
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tro il carcinoma tiroideo è il più frequente dei carcinomi diagnosticati in età inferiore ai 15 anni e la sua
incidenza aumenta sensibilmente in bambini sottoposti a precedente irradiazione alla regione anteriore del collo.
Negli anziani il nodulo è evenienza molto più comune, ma il rischio di malignità non differisce rispetto
all’adulto, mentre in caso di neoplasia il decorso e la
prognosi possono risultare molto meno favorevoli per
la maggiore aggressività del tumore.
In definitiva il carcinoma tiroideo, pur riscontrandosi in tutte le età, è più frequente nell’età adulta, con
una netta prevalenza nel sesso femminile, colpito con
una frequenza 3-4 volte superiore rispetto al sesso
maschile. L’indice di mortalità per carcinoma tiroideo
è spiccatamente inferiore all’indice di incidenza e,
inoltre, se tempestivamente diagnosticato può essere
eradicato, anche nelle iniziali fasi metastatiche, prescindendo dalla genesi uni o plurifocale della lesione
neoplastica.
Aspetti Semeiologici, clinici e strumentali
• Esame obiettivo
I tumori differenziati si possono manifestare sia come nodulo solitario in una ghiandola normale che come nodulo nell’ambito di un gozzo multinodulare;
può essere, a volte, accompagnato da una linfoadenopatia nella regione del collo.
La tumefazione uninodulare è la più frequente e la
distinzione fra cancro e nodulo benigno (adenomatoso o cistico), non emerge con chiarezza dall’esame clinico, almeno per quelle lesioni confinate entro la capsula tiroidea. La citologia agoaspirativa ha permesso
di riconoscere la prevalenza della lesione maligna nel
nodulo singolo in circa il 2-3 %.
Solo raramente la presenza di alcuni sintomi irritativi o meccanici possono indurre a porre il sospetto di
patologia a carattere espansivo e/o infiltrativo. Peraltro la sintomatologia a carattere compressivo od
ostruttivo, è assai variabile e sintomi aspecifici quali
disfagia, dispnea, tosse, disfonia, si riscontrano anche
in presenza di altre patologie benigne.
L’aumentata consistenza della formazione nodulare, sia essa a superficie liscia o finemente granulare, non è un elemento di sospetta malignità, così come la sfumata demarcazione dal tessuto extranodulare non assume valore semeiologico significativo.
La fissità del parenchima ghiandolare data da una
infiltrazione dei tessutiti peritiroidei, superficiali e
profondi, pur non potendo escludere un processo infiltrativo non neoplastico, quale la tiroidite di Riedel, costituisce un elemento semeiologico di sospetta malignità così come l’improvviso aumento di volume del nodulo non sostenuto da un processo
emorragico.
Nei soggetti anziani, un nodulo con accrescimento
rapido e doloroso e consistenza aumentata, deve esse-
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re considerato sospetto di lesione anaplastica; quando
esso è sostenuto da un processo non neoplastico, con
il tempo, il dolore si attenua e, in genere, la tumefazione regredisce.
Nella maggioranza dei casi, il carcinoma tiroideo
presenta un lento ritmo accrescitivo e le sue dimensioni possono rimanere costanti per un lungo periodo,
rendendo sempre necessaria una attenta valutazione
diagnostica.
La presenza di uno o più linfonodi in sede laterocervicale o sopra-claveare fissi, duri, dolenti sono da
considerare con sospetto, indipendentemente dalle dimensioni della ghiandola, dall’età del paziente o dai
rilievi anamnestici.
• Accertamenti di laboratorio e markers tumorali
Gli esami di laboratorio non forniscono indicazioni
sulla benignità o malignità della lesione nodulare infatti la neoplasia è generalmente associata a valori normali degli ormoni tiroidei e degli anticorpi, ed anche il
dosaggio della tireoglobulina non assume valore di
specificità. Il dosaggio della tireoglobulina è, invece,
un utile marker nel follow-up di pazienti trattati chirurgicamente per carcinoma differenziato della tiroide: i valori di tireoglobulina rientrano nella norma, o
al di sotto dei valori normali dopo intervento di tiroidectomia totale, mentre si elevano successivamente
nel caso di recidiva neoplastica.
La calcitonina è elevata in oltre il 75% dei soggetti
affetti da carcinoma midollare ed è impiegata quale
marker tumorale nello screening familiare per questa
patologia. Il CEA risulta elevato solo in pochi pazienti affetti da carcinoma della tiroide. Per quanto attiene alle indagini genetico-molecolari, seppur di sempre
maggiore importanza, sono ancora appannaggio di
pochi qualificati centri di ricerca.
• Esami strumentali
L’ecografia - l’elevato potere risolutivo di trasduttori da 10-13 mHz consentono di ottenere immagini
che individuano aree di alterata morfologia parenchimale di non oltre 2 millimetri di diametro. Tali sofisticati reperti ecografici debbono essere correttamente
interpretati per discriminare la non infrequente
espressione della fisiologica disomogeneità morfofunzionale del tessuto tiroideo dalla lesione nodulare.
Pur non essendo disponibili specifici patterns ecografici che consentano di discriminare la lesione benigna da quella maligna, alcuni parametri ultrasonografici quali la presenza di microcalcificazioni “a cielo
stellato”, l’ipoecogenicità, la marezzatura solido-cistica della lesione rispetto al parenchima, l’irregolarità
dei margini e, soprattutto, l’invasione extraghiandolare, orientano verso un sospetto di malignità da verificare citologicamente. Il nodulo solido è il più spesso
benigno, ma la struttura solida può con maggiore frequenza risultare carcinomatosa.
Riassumendo, all’indagine ecografica deve essere
attribuito un valore limitativo nella definizione della
natura della lesione, ma essa è assai utile nell’offrire
elementi affidabili che consentano di valutare l’evoluzione del nodulo; infatti, permette di verificarne le variazioni volumetriche, di identificare la contemporanea presenza di linfonodi e/o lesioni intraghiandolari
che alla citologica risultino espressione di processo
neoplastico.
Inoltre l’ecotomografia rappresenta un irrinunciabile presidio diagnostico, quale supporto metodologico per consentire il prelievo “mirato” di tessuto tiroideo, mediante aspirazione con ago sottile.
L’eco-color-Doppler - è un utile presidio diagnostico, integrativo della ecografia tradizionale, per lo studio comparativo della vascolarizzazione della patologia nodulare tiroidea. Tale metodologia, sempre più
diffusamente utilizzata è valsa a descrivere diversificati patterns di flusso, da I a IV, del tessuto tiroideo
ma, a tale catalogazione iconografica, non corrisponde alcuna classificazione nosografica di ordine anatomopatologico e quindi deve essere considerata del
tutto avulsa da qualsiasi implicazione diagnostica.
Purtuttavia, va segnalato che il carcinoma tiroideo è
per lo più caratterizzato dai seguenti aspetti: nodulo a
struttura solido-disomogeneo, iso-ipoecogeno, con
calcificazioni interne, e ricca vascolarizzazione intra e
perinodulare.
La scintigrafia – l’impiego di radioisotopi come lo
ed il 99Tc, utilizzati per una valutazione funzionale
della lesione nodulare, differenziando i noduli iperattivi da quelli ipoattivi, consentono di impostare l’ulteriore algoritmo diagnostico; infatti i noduli “caldi”,
che captano avidamente il radioiodio, sono solitamente sostenuti da lesioni benigne; mentre i noduli “freddi”, che concentrano il radionuclide con ridotta efficienza, e che possono potenzialmente annidare una
lesione cancerosa, esigono ulteriori precisazioni diagnostiche, essendo la lesione ipocaptante sostenuta da
processi alterativi di diversa natura. Un ruolo importante potrà avere, in quest’ottica, la sperimentazione
di un nuovo prototipo di sonda scintigrafica (Imaging
Probe) nella caratterizzazione funzionale di noduli tiroidei sub centimetrici che sfuggono al potere risolutivo della gamma camera.
Il limite principale dell’esame scintigrafico risiede
nella sua aspecificità nel definire la natura maligna del
substrato lesivo che si evidenzia come area non captante; la ridotta capacità iodofissatrice è espressione
dello stato funzionale del tessuto alterato e non riflette la probabilità di rischio di malignità. Ed infatti la
maggior parte dei noduli “freddi” è sostenuta da lesioni benigne. Anche l’esame con gli indicatori positivi è
scarsamente specifico, rappresentando tali traccianti
potassio-mimetici, esclusivamente un indicatore di
ipercellularità.
Altri radioisotopi come il Cesio 131, il Gallio 67 e il
Selenio 75 sono stati utilizzati come markers di malignità ma il loro impiego può fornire solamente elementi utili per definire una lesione ipercellulare che,
rappresentando un quadro indeterminato di neopla-
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sia follicolare, potrà essere sia di natura benigna che
maligna.
Accanto alla tradizionale indagine scintigrafica sono stati recentemente utilizzati nuovi radioisotopi. La
scintigrafia con indio111 octeotride (In111), tracciante
specifico nella diagnostica dei tumori neuroendocrini,
è utilizzata nella diagnostica della patologia nodulare
tiroidea per l’elevata affinità della molecola per i recettori della somatostatina. La metodica, utilmente
impiegata nella diagnosi di carcinoma midollare della
tiroide è dotata di una sensibilità del 71% ed è indicata nei casi risultati negativi allo studio con tecniche
tradizionali, consentendo l’individuazione anche di
carcinomi midollari di minime dimensioni non riconosciuti alla TAC. Sempre per la diagnostica scintigrafica del carcinoma midollare può essere utilizzato lo 131I
meta-iodio-benzil-guanidina (MIBG), originariamente applicato per lo studio funzionale del feocromocitoma.
Ultimamente, altre tecniche radioisotopiche, prerogativa di strutture sanitarie d’elite, si sono affiancate a
quelle tradizionali per la caratterizzazione delle neoplasie tiroidee e sono la tomografia computerizzata a
singola emissione fotonica (SPECT) e la tomografia
ad emissione di positroni (PET). Quest’ultima offre,
rispetto alla SPECT, il vantaggio di fornire immagini
quantitativamente più accurate e dotate di migliore
risoluzione spaziale.
La tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN) sono indagini che
forniscono informazioni di tipo morfostrutturale e
trovano indicazione nel caso di masse dislocate in regione mediastinica, quindi non raggiungibili ecograficamente, per una valutazione preoperatoria, come nel
caso di gozzo intratoracico e/o stadiazione delle neoplasie maligne tiroidee immerse. Come l’ecografia la
TAC e RMN non sono in grado di differenziare tra
neoplasie benigne o maligne della tiroide, sono tuttavia di grande aiuto nel definire i rapporti topografici
dei tumori di maggiori dimensioni e nel valutare la
presenza di linfoadenopatia metastatica. La RMN
consente di meglio definire l’aspetto dei tessuti molli
e, inoltre, non richiede l’impiego di radioiodio quale
marker metabolico trovando applicazione, da sola o
in associazione con l’indio111 octeotride, in pazienti
con anamnesi positiva per carcinoma midollare della
tiroide.
L’esame citologico eseguito mediante aspirazione
con ago sottile (FNA - Fine Needle Aspiration), rappresenta l’indagine prioritaria di screening da inserire
nell’algoritmo diagnostico del nodulo tiroideo, essendo dotato di attendibilità diagnostica nettamente superiore alle metodiche tradizionali, assume il significato di indagine selettiva e specifica nella caratterizzazione preoperatoria della patologia nodulare tiroidea. Tecnica non invasiva, di esecuzione ambulatoriale, è del tutto priva di qualsiasi rischio e complicanze,
dal costo irrilevante, può essere ripetuta senza perico-
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lo offrendo una notevolissima accuratezza diagnostica. L’esame citologico permette di porre con assoluta
attendibilità la definizione diagnostica, di benignità o
malignità, in oltre l’80% della lesioni esaminate; mentre il restante 20% corrisponde a quadri citologici definiti non diagnostici sia per inadeguatezza del prelievo che per quadri citologici indeterminati (proliferazione follicolare).
La diagnosi di malignità è posta nel 5% dei reperti
citologici diagnostici, e l’esame permette di descrivere
quadri corrispondenti al carcinoma papillifero, al carcinoma indifferenziato anaplastico, al carcinoma midollare ed a forme di carcinoma metastatico. Per la
diagnosi di carcinoma follicolare, l’esame citologico
non offre elementi patognomonici, in quanto la lesione pur presentandosi con elevato numero di cellule,
aggregate in strutture follicolari, talora con anisonucleosi, non evidenzia le più peculiari caratteristiche
differenziali tra adenoma e carcinoma follicolare cioè
l’angioinvasività e il superamento della capsula. La
mancata disponibilità di elementi citostrutturali specifici che consentano di poter differenziare la lesione
ipercellulare benigna, sostenuta da iperplasia follicolare e da adenoma follicolare, da quella maligna propria del carcinoma follicolare rappresenta il limite
principale della metodica rendendo necessaria, in
questi casi, la verifica chirurgica della lesione.
In conclusione, considerando l’elevata frequenza
della tireopatia nodulare, che raramente annida una
lesione carcinomatosa, diventa fondamentale attenersi ad un rigoroso percorso diagnostico che preveda accertamenti dotati dei requisiti di un’elevata sensibilità, specificità ed accuratezza. In tale ottica l’esame
citologico eseguito sotto monitoraggio ecoguidato, ed
integrato dagli esami morfofunzionali ed immunologici, consentendo un inquadramento nosografico della tireopatia nodulare, rappresenta l’indagine più discriminante della lesione carcinomatosa che, soprattutto nelle fasi iniziali, costituisce un problema di rilevante impegno clinico nel differenziarla dalle più frequenti lesioni benigne.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Biagino Trinti
Redazione Il caduceo
Via N. Machiavelli, 22
00185 Roma
e-mail: [email protected]
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