“O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA” poesie

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“O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA” poesie
“O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA”
poesie
a cura di Angela Donna
Nota introduttiva
Vorrei che questo fosse un libro di preghiera. Anche per chi non prega. Soprattutto per chi non
crede.
Alimento e sostanza per la mente, l’anima, lo spirito.
La Morte nella vita e la Vita nella morte restano un “mistero laico”. Anche per il credente, il limite
del mai più è una cosa tangibile, una perdita corporea, fisica, prima che simbolica. Un dolore
immenso, senza il fondo. Senza il senso. In questo, ritengo, l’incontro con la morte è identico per
tutti, credenti e atei. L’attraversamento della porta stretta ( la morte dell’altro è sempre anche un
richiamo alla nostra morte) ci pone di fronte, tutti, alla domanda del Significato. Quello che cambia
sono le risposte. Individuali. Tutte da rispettare.
Visibili e invisibili percorsi mi hanno portato, nella vita, ad incontrare la morte e la poesia. A
viverne l’intreccio, la possibilità per quest’ultima, di illuminare l’altra. Di essere balsamo,
linimento, o lama incandescente che cauterizza. Cura per la ferita.
Poesia come “utensile dello spirito” (E. Cavalli, Archinto 2003)
Nelle poesie di uomini e donne - poeti famosi, meno famosi, sconosciuti - ho rispecchiato il dolore,
il vuoto, la finitudine e la paura. Mie. Nostre. Non mi sono sentita più sola. Ho anche imparato a
sollevare lo sguardo in alto. Verso l’azzurro. Verso l’infinito. Verso Dio?
La scelta delle liriche, o anche solo di alcuni versi - essenziali in quanto folgoranti - al loro interno,
segue un criterio, tutto personale, di scoperte, di legami sottili ed evocativi, di incontri con autori e
testi, noti e meno noti, richiamati da un “bisogno” interiore nel suo rivelarsi, plasmarsi modificarsi
nel tempo. Non è, dunque, un’antologia nel senso classico del termine.
Le voci sono diverse perché lo sono gli sguardi. Alcuni nomi ritornano più e più volte. In questi
scrittori, il tema della morte è – oppure lo è stato in una fase della vita - tema ricorrente, basso
continuo, scavo, cifra dominante nella loro ricerca umana e poetica. Per altri, forse, si è trattato di
una manifestazione, un’epifania, una rivelazione fulminea ed acuta, ma non per questo meno
profonda.
La costruzione del testo, così come si presenta, risponde a un criterio di progressione che dal buio e
dalla gravezza, tenta di salire verso la luce e la rarefazione.
La prima parte “Assenza, più acuta presenta”, raccoglie versi che sottolineano la perdita come
mancanza di una persona specifica. Il dolore dell’assenza dell’amato: madre, padre, genitori in
particolare, ma anche figli o compagni, amici.
La seconda parte “Sii la misura, sii il mistero” contiene poesie che ci interrogano sul tema della
morte in generale, sia per evidenziarne gli elementi di sgomento e di evento insondabile, sia per
trovarvi una spinta a guardare con occhi nuovi alla vita stessa e al Mistero del divino.
Vi dono tutto questo.
11 agosto 2003
* I titoli del libro e dei diversi capitoli sono tra virgolette poiché si tratta di versi di poesie riportate nel testo.
A Marilena.
A lei che, quasi presaga della sua morte, ha scritto:
Riposo
Sole caldo
sul viso
gioca la luce
tra i quadri
scintillano i vetri
brillano i muri bianchi
nel silenzioso mattino.
E’ allegro anche il mobile nuovo
ancora un po’ spaesato
esagerato?
Gioca la luce
giocano i pensieri nel sole,
nel tempo fermo,
caldo come un abbraccio.
Anche la sedia e il tavolo
sono riposo
nella luce.
E quando piove
ci vorrebbe un camino.
(1996)
“Ho una fanciullesca speranza di riunire insieme
tutti quelli che amo – e sedermi accanto a loro
e sorridere”
Emily Dickinson
“Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso;
perché se noi viviamo viviamo per il Signore
se noi moriamo moriamo per il Signore”
S. Paolo, Romani 14, 7-14
“ASSENZA, PIU’ ACUTA PRESENZA”
Caligaverunt oculi mei
Caligaverunt oculi mei a fletu meo
quia elongatus est a me qui consolabatur me.
Videte omnes populi si est dolor similis sicut dolor meus.
O vos omnes qui transitis per viam
Attendite et videte si est dolor similis sicut dolor meus.
(I miei occhi sono offuscati dal pianto
se tu ti sei allontanato da me, chi mi consolerà?
Vedete, o voi tutti, se c’è un dolore simile al mio.
Voi che passate per questo luogo
Guardate e considerate se vi è un dolore simile al mio)
Tomas Luis De Victoria (1548 – 1611)
Responsori delle Tenebre
Assenza,
Più acuta presenza.
Vago pensier di te
Vaghi ricordi
Turbano l’ora calma
E il dolce sole.
Dolente il petto
Ti porta,
Come una pietra
Leggera.
Attilio Bertolucci, Le poesie, Garzanti, Milano 1998, p. 26
Preghiera
(…)
Anima mia, sii brava
e va in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.
Giorgio Caproni, Poesie, 1932-1986, Garzanti, Milano 1989, p. 201
Nella vita dei giorni. Quella quotidiana
più non mi lascia il passo della morte
stria parallela che mi corre accanto
da quando stesa per terra sotto il lavamano
tu fosti muta: ictus cerebrale
ed il mai più ed il silenzio eterno
resero fermo il viso ed il vigore
in quel rigore mentre ti vestivo
del ventre glabro e leggermente enfiato
che mi portò fedele nel tempo mio passato
del sesso scuro e sacro da cui ti fui uscita
madre in quel mentre mi sfuggì la vita
e il senso suo
ed ora che come prima ancora
muovo il mio corpo dentro questi giorni
accarezzando un padre antico e solitario
cantando inni ed al necessario anche risate forti
è un vuoto buco che non si può riempire
quel che mi resta dentro il tuo morire
Angela Donna ,1996
Ella morì: questa fu la sua sorte.
E quando fu cessato il suo respiro,
ella prese i suoi semplici vestiti
e si mise in cammino verso il sole.
E la sua lieve figura alla porta
gli angeli devono aver osservato,
perché mai più ho potuto ritrovarla
qua nel versante dei mortali.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 77, trad. Margherita Guidacci
In morte di mia sorella
O anima che scavi la terra
adesso giustamente perduta
resta in noi il tuo modesto cammino,
anima di sempre: ascolta
ora il nostro babelico linguaggio
colmato di silenzio,
tu che sei ormai santa parola
e forse parola imperfetta
ma che certo cammini sull’acqua
col piede di un amante
Alda Merini, Superba è la notte, Einaudi, Torino 2000, p. 27
Ora che più non ci sei, padre
Ora che più non ci sei, padre,
(non ti fermavi mai, salutavi sempre…)
l’aria della tua anima è rimasta, ti ha liberato il viso,
ora che più non ci sei, padre.
Ogni notte mi parli, ora tu sai
quel che cercavo in te, da amico a amico.
Si dice “ci troveremo lassù”. Lassù andremo
come in quel sogno di ragazzo. “Era al tramonto
che uscimmo sul sentiero del bastione
ridendo…” Ma fu soltanto un sogno.
Io non conosco, padre, il viso del tuo bene,
so che parlavi di me, talora, agli amici,
ai vecchi seduti, d’estate, nel villaggio infelice
lungo i muri succhiati dal sole. Dicevi
“Marcello, mio figlio, gli hanno stampato un libro
ma non sa cosa vuole…”
Ma tuo figlio sentiva, quando il sole nasceva
Come tu fossi lontano.
(Una parola
per il tarlo del figlio, una parola
per la lunga inquietudine…)
Ogni notte mi parli, ogni notte mi parli:
ora tu sai, se toccheremo il cielo
insieme, un giorno, e prenderci per mano,
ora che più non ci sei, padre.
Marcello Landi, in: Luciano Luisi (a cura di), A mio padre…le più belle poesie dai poeti italiani,
Newton & Compton editori, Roma 1996, p. 30
Dove ti troverò? Parlami
La morte è venuta col fresco della notte.
Mascaro ha gelato i tuoi occhi
come cristalli di chiesa.
Tu ora sei gioco dei vénti.
Ti fermi sul cancello a sentire la sarabanda.
E a maggio verranno a portarti le rose.
Anch’io verrò e vecchi amici saremo.
Nella casa dei grilli
e delle nostre voci discrete
ricordi quando mi dicevi dei fuochi?
Eri paziente alle mie sortite d’incredulo
e al mio astruso frugare
nelle tue pene, poi ne ridevi
col trucco dell’ora tarda
e del sale che diventa zucchero.
Ora dove sei? Parlami della tua morte.
Il tempo è a disarmo
in questo aprile già sodo,
e non mi basta che tu sia capitano ormai
sulla tua tolda, a ritessere i fili
di quelle storie di mare
e d’Africa che ti facevano eroe
- un po’ eroe – nei miei smarrimenti
d’infanzia.
Dove ti troverò? Parlami
del baleno improvviso
che ha sciupato in fretta il tuo mondo
prima di affogarlo nell’ignoto,
e dell’abisso parlami,
della luce o delle tenebre, se puoi,
dell’arca segreta che non avrà
altro porto né umano ritorno
2 aprile 1970
Vito Moretti , in: Luciano Luisi (a cura di), A mio padre…le più belle poesie dai poeti italiani,
Newton & Compton editori, Roma 1996, p. 84
Memoria
Gli uomini vanno e vengono per le strade della città.
Comprano cibi e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso.
Ti chinasti a baciarlo con gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto.
Solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre. E le mani erano quelle
Che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
A guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada nessuno ti è accanto.
Se hai paura nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri.
Degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra
E guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena.
Allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
E deserta la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.
Natalia Ginzburg in: “Mercurio”, rivista mensile di economia, arte e cultura, Roma 1944
Quando lontano sono andati i morti
dapprima non vediamoe ci sembra possibile un ritorno
durante lunghi anni appassionati.
E poi abbiamo il sospetto- o la certezza –
di averli già seguitida tale intimità siamo legati
all’amato ricordo.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 440, trad. Margherita Guidacci
Ambulanza (a mio padre)
Ancora mi risuona nelle orecchie
quel suono stridulo e potente
di quando ti accompagnavo
a morire così senza parole.
Tutte le volte che passando
un’ambulanza…
non posso che pensarti lì da solo
nella tua attesa silenziosa
chissà di che cosa
e di tanto in tanto la malinconia mi perfora
fino a farmi lacrimare.
Marcella Saggese, Terra arata, 2001
Nell’azzurro e nell’oro, nella gloria
d’oro del mezzogiorno risplendente,
come un eroe va verso la vittoria,
sacro, immobile innominabilmente,
varchi la notte e fermi la tua storia,
e fermi il sole d’oro eternamente
nel cuore forte che li terrà forte
per tutta la durata della morte.
O cantico dei cantici, ti canto,
corpo senza più corpo dell’amore,
dolore senza grido senza pianto
senza corpo senza età del dolore,
cantico della morte, io ti canto,
cuore che continui nel mio cuore
che tutti i giorni a mezzogiorno muore
perché non può invecchiare il mio dolore!
Patrizia Valduga, Requiem, Marsilio, Venezia 1994, pp. 55 e 57
Oh! Angeli del tempo, vi scongiuro,
ridategli il suo volto e la sua voce,
ditegli di venire al limbo oscuro
dove fluisco verso la mia foce;
che senta la sua voce, vi scongiuro
senza più tempo, senza terra e croce,
che non mi senta più così insensata
quando la mente si sarà calmata.
Patrizia Valduga, Requiem, Einaudi,Torino 2002 pp. 55
Vado – dicesti
Ed io: - ho scarpe per seguirti,
verrò con te dovunque,
non temo lontananze
di terre sconosciute,
sapranno valicare mondi nuovi
la ferrea volontà
la mia speranzaLe scarpe invece
tradirono i miei passi
e presto affondarono nel fango,
non divennero ali per seguire i tuoi cieli.
Di qui ti cerco ancora
con i piedi inchiodati nella terra,
e un desiderio immenso d’infinito.
Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria, Savona 2001, p. 12
Mia madre
Le dicevo buonanotte al telefono.
Rispondeva un sussurro, buonanotte.
La sua voce staccata dal suo volto.
E a tradimento io la registravo.
Sapeva, la gentile, a che cosa pensavo?
Che un certo aprile era già all’agguato,
che presto l’aspettava un chissà dove,
oltre la terra e il tempo.
Un aprile? In che anno? Avevo letto
che aprile è il più crudele dei mesi.
E venne la sua voce, un buonanotte
ultimo il giorno cinque.
Mi resta quella voce registrata.
Viene da altre ere, da altri pianeti.
Pura essenza in cui lei si trasfigura,
profumo vivo di fiore sprofondato.
Maria Luisa Spaziani, I fasti dell’ortica, Mondatori, Milano 1996, p. 115
Il paesaggio livido
del mattino di marzo
mi attendeva distratto
quando scesi dal treno.
Toglievano la neve dai binari,
la traccia della vita si ritraeva
pietosa nella nuvola di nebbia.
Salii la scalinata
con ali falcate dal delirio,
le tempie martellate dal rifiuto
di quella inconfessata verità,
a te vicina ancora,
e tu lontana ormai,
tu già rapita all’immortalità.
Fu quel ritorno
un penetrare nuda nel tuo grembo,
una muta discesa alla matrice
della mia irriducibile ragione,
un oscuro rientro alla radice
dove deporre l’anima bruciata,
la percezione della mia nullità.
Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria, Savona 2001, p. 14
Madre
madre
strazio
ricondotta allo spazio
delle origini
resta sopra di noi
rotante
il cielo furibondo
cassa di risonanza
senza il fondo
del dolore
madre
vuota
rubata come un furto
dalla vita
dentro l’assenza
la strada è ancora
lunga
ed è in salita
mi manca il fiato
Angela Donna, 1994
Salmi in onore di mio padre e di mia madre
1
Ma ora che i miei genitori son morti,
ora che mio padre e mia madre sanno
ogni cosa di me, non posso più oltre
tacere le parole che per loro
pudore fingevo non mie. Attendevo
quel giorno, lo contavo sul mio
almanacco, come, fanciullo, la festa
della venuta di Dio. Così
attendevo d’imparentarmi alla Morte.
Era il mio cuore nella lunga attesa
un campo di battaglia seminato
a bandiere, come il suo passo
avanzava; ma erano sempre case
di amici e vicini visitate. Ora,
ora invece, pure la casa nostra
è invasa dal vuoto immane. Il nostro orto
abbandonato (mia madre non più
curva a cogliere la ruta; ora
diritta, orizzontale, immensa
di sotto due metri di terra),
e il cortile e il campo, l’unico campo
tenuto a giardino da mio padre.
Ora Morte è venuta. Ghirlandata
come una sposa. Ed io la coltivo
quale mia creatura, la cullo al grande
letto delle mie memorie, l’abbevero
del mio sangue, divenuta alfine
e padre e madre ed amica, ed è lei
ora ad attendere di farsi me stesso.
Oh, la lingua paziente della Morte!
Li avrei portati sulle braccia
come due colombi alla nuova
colombaia, forse a primavera o forse
d’estate ché sentissero il caldo
della Morte. Invece lei, più giovane,
d’autunno; ed egli, più maturo, d’inverno.
Avanti la sposa, più confidente;
dietro l’uomo, che ha più cose
d’abbandonare. A lei è bastato un soffio
di vento: non aveva più corpo; a lui
invece la vita sostenne guerra
fino all’ultimo istante. E il sangue
intorno scalpitava, ed il respiro
era d’eroe, e conquistò la Morte.
2
O Morte, o chiara Morte, mai
i loro volti furono così giovani
e belli (mia madre ancora le trecce
intatte e bionde e mio padre ancora
l’ampia dentatura); mai così docili
e tenere mani ed occhi
sì sereni e lucenti come il giorno
che ti degnasti sostare nella nostra
casa di poveri. Mai tanti fiori
ebbero a mensa lungo tutta la vita
quanti sopra le loro bare,
navi salutate da tutto il paese.
Ed io a cantare dietro,
a cantare sul loro silenzio
perché tu eri divenuta e mio padre
e pia madre e sorella, Morte,
o giardiniera divina.
(…)
David Maria Turoldo, O sensi miei, BUR, Milano 2000, pp. 135-139
La Tigre Assenza
pro patre et matre
Ahi che la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…
Cristina Campo, La Tigre Assenza, Adelphi, Milano 1991, p. 44
Ecco un ricordo di Emi C.
(...)
Forse i morti
diventano nel tempo meno morti: prima o poi
saranno solo introvabili o perduti.
Ma la memoria ci basta e disimpegna dal cercarli ancora.
E allora li chiamiamo assenti.
(… )
Mario Santagostini, L’idea del bene, Guanda, Parma 2001, p. 28
Condomino
Al Signor S.
Cammino piano, qua sotto
al terzo piano dorme un condomino
morto. E’ tornato morto stasera
dall’ospedale, gli hanno salito
le scale, gli hanno aperto la porta
anche senza suonare, ha usato
per l’ultima volta il verbo entrare.
Ha dormito con noialtri condomini
essendo notte sembrava a noi uguale
ha dormito otto ore ma poi ancora
e ancora e ancora oltre la tromba
mattutina dei soldati, oltre il sole
alto nel cielo, ora che noi ci muoviamo
non è più a noi uguale. E’ un condomino
morto. Scenderà senza piedi le scale.
Era gentile, stava alla finestra
aveva un canarino, aveva i suoi millesimi
condominiali, guarda gli stanno spuntando
le ali.
Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 193
Oggi mi sento triste per i morti.
Hanno ore così liete
i vecchi dietro gli steccati.
E’ la stagione del fieno.
Ed i grossi, abbronzati conoscenti
scambian parole in mezzo alla fatica
e ridono – una razza casalinga che rallegra perfino gli steccati.
E sembra duro giacere lontano
dal rumore dei campi,
dai carri affaccendati, dai fragranti
covoni – e il canto di chi falcia
insinua un’ansia, quasi nostalgia,
pei contadini con le loro spose,
allontanati dal lavoro dei campi,
da tutte le esistenze dei vicini.
Mi chiedo se le tombe
non abbian troppa solitudine
quando uomini e ragazzi con i carri ed il giugno
vanno pei campi a fare il fieno!
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, 1961, p. 189, trad. Margherita Guidacci
Cara Daniela
Cara Daniela scrivendo
poco fa una emme un po’
gobbuta come facevi tu
ti ho vista con la penna
in mano, con i calzettoni
al ginocchio, ultima di noi tutte
a passare al nylon (non volevi
eri speciale) prima di tutte noi
a scendere all’Ade, Daniela
i tuoi bambini piccoli sono cresciuti
ma non oso guardarli perché dicono
che una è uguale a te, uguale,
mi fa troppo male.
Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002, p. 208
(…)
E’ una minuscola massaia tra l’erba,
ma da quando è scomparsa di sul prato
qualcuno più non trova il volto
che della vita faceva una patria!
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, 1961, p. 78, trad. Margherita Guidacci
Arrivò silenziosa come rugiada
al suo fiore
ma non come rugiada se ne andò
alla sua ora.
Cadde soffice come una stella
dalla vigilia della mia estate –
esperta non ancora della vita
Com’è triste da credere!
Emily Dickinson, Le stanze d’alabastro, Feltrinelli, Milano 1983, p. 41, trad. Nadia Campana
A D. morta a 36 anni
Sogno che sei viva
che ti consolo della morte di un altro
invece il morto sei tu
povera animella che non sente
che ricomincia aprile.
Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 207
Quattro giorni
(…)
Fammi investire
dalla tua luce
che filtra
con discrezione
dalla porta
che tu hai socchiuso,
così, in silenzio,
perché le cose più belle
sono nutrite
dalla bambagia delle nuvole,
proprio quelle
dove giocano gli angeli
Mario Parodi, Caro Marco, Euphorbia, Torino 1990, p. 22
Quando gli amici muoiono
la cosa più pungente
è il ricordo di come si muovevano
da vivi - in qualche precisa occasione;
come vestivano certe domeniche,
una pettinatura,
qualche piccolo gesto che essi soli facevano
e che ora è perduto nel sepolcro.
Come furono vivaci un certo giorno:
quasi potresti ritrovar la data
tanto sembra vicina: ma per loro
son passati secoli –
come gradivano quel che dicevi;
tu cerchi di toccare quel sorriso,
e le dita s’immergono nel ghiaccio.
Sapresti dire il giorno
in cui tu li invitasti per il tè,
solo un gruppo di amici,
e parlasti con questa cosa immensa
che più non ti ricorda?
Lontano dagli inchini e dagli inviti,
lontano da colloqui e desideri,
e lontano da ciò che noi sappiamo –
Questa è la spina più profonda.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 177, trad. Margherita Guidacci
(…)
Perché mai non potemmo trattenerli?
Con un sorriso i cieli
ruotano sopra il nostro capo deluso
e non ci degnano di sillaba.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 113, trad. Margherita Guidacci
Ma per ora dovrò contentarmi
di custodire il suo umile giardinetto
con questo muto segno di marmo
e il lumino tremolante sempre acceso.
Per fortuna ha dei buoni vicini
E ho piantato anche il mirto odoroso,
la lavanda, il pepolino, la cedrina;
loro a ogni nuova stagione
risorgono e forse ogni volta
là sotto tremerà qualche cosa.
Chissà se nel gelo dell’inverno
per riscaldarsi sotto tanta neve
in quelle povere case diroccate
dei loro corpi senza pace anche i morti
possono almeno stringersi insieme.
Veniero Scarselli, Piangono ancora come bambini, Campanotto editore, Udine 1994, p. 51
Mi tradirà forse l’ora
ma ti vedrò
un giorno,
chiara, sul sentiero proibito
dove si frantumò
la mia speranza.
Avanzerai con passo leggero,
avrai un corpo libero e nuovo,
diverso da quello che conobbi,
e un raggio di luce
trapasserà il tuo volto,
donerà al tuo incedere
la grazia immutabile
di un’immortale giovinezza.
Con gesto antico
mi porgerai le bacche
rosse del rovo
quelle che un giorno
raccogliemmo assieme
nella valle velata
dal primo torpore dell’autunno,
quelle che un vento freddo
strappò dalle mie mani
lasciando solo il vuoto.
Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria 2001, p. 39
Cresce l’onda, cresce
Di voi, vicini e vivi senza eccessi
di voi, dei vostri giusti gesti sodi,
madre sommessa e grande padre-nido,
resta una quiete accesa
lampada a sera
Angela Donna, La malarecchia de la biribana, Genesi editrice, Torino 1991, p. 79
“Quanto di morte noi circonda e quanto
tocca mutarne in vita per esistere
è diamante sul vetro”
Elio Pagliarani
“Lavoro a toni di luce”
Dylan Thomas
“SII LA MISURA, SII IL MISTERO”
Animula, vagula, blandula
Hospes, comesque corporis,
Quae nunc abitis in loca
Pallidula, rigida, nudula,
Nec, ut soles, dabis jocos…?
Piccola anima, errabonda, scherzosa
Ospite e compagna del corpo,
Dove te ne andrai ora
Così pallida, fredda, nuda
E priva dei piaceri consueti…?
Versi di P. Aelius Hadrianus, Imp., in Marguerite Yorcenaur, Le memorie di Adriano, Einaudi,
Torino1974
Alcesti
(…)
Ma egli ruppe la scorza del dolore
in pezzi e ne distese alte le mani,
come per trattenere il dio fuggente.
Anni chiedeva, solo un anno ancora
Di giovinezza, mesi, pochi giorni,
ah, non giorni, ma notti, una soltanto,
solo una notte, questa notte: questa.
Il dio negava. Gridò allora Admeto,
gridò vani richiami a lui, gridò,
come gridò sua madre al nascimento.
(…)
Rainer Maria Rilke, Poesie, Einaudi, Torino 1990, p. 25-27. Trad. Giaime Pintor
Tutto ha sotto il cielo una sua ora
Un tempo suo
Il tempo di nascere
e il tempo di morire
Il tempo di piantare
e il tempo di spiantare
Il tempo di uccidere
e il tempo di curare
Il tempo di demolire
e il tempo di costruire
Il tempo delle lacrime
e il tempo delle risa
Il tempo dei gemiti
e il tempo dei balli
Il tempo delle pietre scagliate
e il tempo delle pietre raccolte
Il tempo delle braccia abbracciate
e il tempo delle braccia lontane
Il tempo del cercarsi
e il tempo del lasciarsi
Il tempo di tenere
e il tempo di gettare
Il tempo di lacerare
e il tempo di ricucire
Il tempo di tacere
e il tempo di parlare
Il tempo di amare
e il tempo di odiare
Il tempo della guerra
e il tempo della pace
Guido Ceronetti (a cura di), Qoélet o L’Ecclesiaste Einaudi, Torino 1988, pp.11-12
La clessidra
Non d’acqua, di miele sarà l’ultima
goccia della clessidra.
Lucida, ingoiata dal buio.
Addenserà le beatitudini
che al rosso Adamo elargì Qualcuno o Qualcosa:
scambio d’amore, la tua fragranza
l’atto di cogliere universo
e limiti, l’attimo
in cui Virgilio si fonde con l’esametro
l’acqua della sete, il pane di chi ha fame
nell’aria la delicata neve
la mano sul volume
ritrovato a tentoni
delirio di spade nella battaglia
mare libero a fondamenta dell’Inghilterra
speranza di udire oltre il silenzio
un lusinghiero accordo, memoria
preziosa sottratta a fatica
l’istante di sonno che annienta
Jean Luis Borges, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano, 1985, vol. II, p. 1019, trad.
Cesco Vian
L’incompiuta
Anch’io lascerò la mia “Incompiuta”.
Sarà semplicemente la mia vita.
Lascerò nel senso che rimanga.
Lascerò nel senso che la perda.
Ogni uomo, ogni donna morendo
Lascia da fare il più. La morte a tradimento
Ci sorprende in un punto inatteso.
Gabbiani per sempre feriti, colonne spezzate.
Sta registrando, qualcuno, il “non scritto” ?
Speranze ancora vive, libri da finire,
corrente che singhiozza. Soprattutto
i figli, destini a noi per sempre ignoti.
Maria Luisa Spaziani, Poesie della mano sinistra, Archivi del ‘900, Milano 2002, p. 92
La rifrazione paterna
Cos’è questa attenzione,
questi veli pronti ad avvolgermi,
questo silenzio pesante,
queste parole senza un obiettivo preciso.
La morte conserva
tutta la magia della nascita
un tempo non individuato
un’esperienza da gustare..
E’ uno sfaldarsi leggero:
la falce scende
con battito di farfalle
con la rifrazione paterna del sole.
Al di là dell’orizzonte
i sussulti vanificano
l’ultima orgogliosa risacca.
Mario Parodi, Caro Marco, Euphorbia, Torino 1990, p. 34
Cimitero
Chissà
cosa avremo da dirci
quando saremo sotto
le radici dei crisantemi
magari in stato solido
forse in stato polveroso.
Riusciremo ancora
a toccarci
attraverso tutti quei muri
e quei marmi freddi e lucenti
nella nebbia di novembre?
Non mi piacciono i cimiteri monumentali
dove i morti – fanno fatica – hanno paura
ad uscire la sera
perché non vogliono tornare indietro.
Ti troverò sotto l’erba
di un grigio e sensuale lapidario
in qualche anfratto
fra tane di lucertole e radici di rovi.
Marcella Saggese, Terra arata, 2001
Canto primo 1932
O sorella dell’ombra,
Notturna quanto più la luce ha forza,
M’insegui, morte.
In un giorno puro
Alla luce ti diè l’ingenua brama
E la pace fu persa,
Pensosa morte,
Sulla tua bocca.
Da quel momento
Ti odo nel fluire della mente
Approfondire lontananze,
Emula sofferente dell’eterno.
Madre velenosa degli evi
Nella paura del palpito
E della solitudine,
Bellezza punita e ridente,
Nell’assopirsi della carne
Sognatrice fuggente,
Atleta senza sonno
Della nostra grandezza,
Quando m’avrai domato, dimmi:
Nella malinconia dei vivi
Volerà a lungo la mia ombra?
Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano 1986, p.181
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto
Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore, Feltrinelli, Milano 1999, p. 17, trad. Antonio Tabucchi
In caduta libera
sondato il senso non ho
della morte
buco nell’eterno finito
infinito silenzio
che trancia di netto
un discorso dal vivo
Angela Donna, 1996
Ci aspetta
Ci aspetta paziente
in un angolino
conosce il giorno e l’ora
che noi non conosciamo ancora.
(Era entrata chissà quando
pianino, nessuno l’aveva vista
o forse un bambino.)
Vivian Lamarque, Poesie, Mondatori, Milano 2002, p. 207
De profundis
del come e del quando
non sapendo alquanto
che fare per addomesticare la morte ?
Angela Donna, 1996
Non sappiamo di andare quando andiamo.
Noi scherziamo nel chiudere la porta.
Dietro il destino mette il catenaccio
e non entriamo più.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p.409, trad. Margherita Guidacci
Annoda i lacci alla mia vita, Signore,
poi son pronta a partire!
Un’occhiata ai cavalli –
alla svelta! Così potrà bastare.
Mettimi dalla parte più sicura,
perché non cada mai;
viaggiamo verso il Giudizio,
ed ha un tratto in discesa.
Non mi curo dei ponti,
non mi curo del mare,
tenuta stretta nella corsa eterna
per mia, tua scelta.
Addio alla vita un tempo consueta
e al mondo che mi fu già familiare!
E date un bacio per me alle colline:
son pronta per andare!
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p.111, trad. Margherita Guidacci
Cantico di Frate Sole
(Laudes Creaturarum)
(…)
Laudato si’, mi Signore,
per sora nostra morte corporale
de la quale nullo homo vivente po’ sKappare:
guai a queli Ke morranno ne la peccata mortali,
beati quelli Ke troverà
nelle tue santissime voluntate,
Ka la morte seconda no ‘l farà male.
Caudate e benedicete mi’ Signore et ringratiate
Et serviate cum grande humilitate.
Francesco D’Assisi, 1224
Tremendum et fascinans.
dove nel cordone ombelicale della morte
il senso inerpicato e austero trovare
e sono pianti di disperazione
e stridor di denti …
Angela Donna, 2001
Questa polvere quieta fu signori e fu dame
e giovani e fanciulle,
fu riso, arte e sospiro
e bei vestiti e riccioli.
E questo inerte luogo fu la dimora estiva
dove api e fiori
il loro ciclo orientale compirono,
poi anch’essi ebbero fine.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 281, trad. Margherita Guidacci
Noi
Noi da secoli uniti
entrerà dalle nostre porte
il Mare;
dove giocavano i bambini
gentili alghe, muti pesciolini.
Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 209
Sei qui,
in mezzo al campo verde,
azzurra cineraria dell’aprile
colma d’api e di polline,
muovi le foglie al vento
con la vaghezza estrema
di una pianta gentile.
Sei qui,
leggero filo d’erba
che sogna nella brezza
un destino di linfa sempreviva,
ma chini il capo
troppo presto stanco
tra le braccia di Gea
che ti accarezza.
Non temere,
il prato ti accoglie
con le sue ombre verdi
d’insetti e di crisalidi impazzite,
ospita il tuo cuore di madre,
ti dona un’amaca per il riposo,
ti offre le messi di Demetra,
ti elegge regina della selva
sull’altare dorato
delle foglie d’autunno.
Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria 2000, p. 37
Sicuri nelle stanze di alabastro
dove l’alba e il meriggio non li sfiorano
dormono i miti - per la Resurrezione sotto travi di seta con il tetto di pietra.
Solenni vanno gli anni
- in crescendo - sopra di loro
mondi compiono ellissi
e navigano firmamenti.
Cadono le corone si arrendono i potenti silenziose come bruscoli sopra un disco di neve
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 94, trad. Margherita Guidacci
Sono spoglie le dita della morte
sono piene di rughe maliziose
e la vendetta nasce sulla fronte
di questa tua indomabile vicina.
Come mi è cara quest’ ombra che geme
volendo un po’ di carne solamente
oltre ai miei carmi che essa prosciuga.
Ansima sull’anello del prodigio
quello sponsale fatto dalla vita
nel giorno della Pasqua.
Alda Merini, Superba è la notte, Einaudi, Torino 2000, p. 44
La primavera
Ecco il cielo si riapre
all’azzurro,
il vento cancella
i tristi pensieri dell’inverno.
Si offre il corpo
alla pioggia
per il rito della nuova nascita.
Si è rapiti
dalla vita.
Mario Parodi, Caro Marco, Euphorbia, Torino 1990, p. 28
E ora, dopo un calo di forze, eccolo
quell’occhio aprilino è la resurrezione,
la resurrezione è quel fuoco d’acqua e di smeraldo,
quelle ciglia, quella trasparenza implacabile.
Se la sente puntata in viso quella luce –
andata a prendere dove? – e quel vigore
portato su da quale profondità di plancton?
e ne brucia l’opacità presente, ne brucia
a ritroso la passata, tutta, capillarmente.
E quel soffio marino che l’accompagna,
quei prati, quel vento che vi corre sopra
con le sue criniere d’erba, quel
gemmare alto, quel fogliante degli alberi…
Oh vittoria, balbetta nel suo sgomento lei.
Vittoria, vittoria impietosamente.
Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano, 1985, p. 135
Portatemi il tramonto in una tazza
contate le fiale del mattino
e ditemi quante stillano rugiada
quanto lontano si slanci il mattino –
quando dorme il tessitore
che ha filato le altezze d’azzurro.
Scrivete quante note ci sono
nell’estasi del nuovo pettirosso
fra i rami stupiti –
quanti sono i viaggi della tartaruga –
e quante coppe beve l’ape
la golosa di rugiade!
E chi ha gettato i pilastri dell’arcobaleno
chi conduce le docili sfere
con fili di tenero azzurro?
Quali dita tendono le stalattiti –
chi conta il bracciale della notte
perché nessuna perla manchi?
Chi costruì questa piccola casa albana
e chiuse le finestre così bene
che il mio spirito non può vedere?
Chi mi lascerà uscire in un giorno di gala
con gli attrezzi adatti al volo
oltre lo splendore?
Emily Dickinson, Le stanze d’alabastro, Feltrinelli, Milano 1983, p. 37-39, trad. Nadia Campana
E’ la morte un’aurora
(…)
Ma la morte è come varcar la soglia
e uscire al sole.
La morte, atto d’amore,
ingresso all’universale Presenza.
Quel farsi silenzio, intrisi
di pietra, di radici,
leggeri come la luce,
non circoscritti, non più soli.
E’ la Morte un attimo d’aurora
(…)
David Maria Turoldo, O sensi miei, Bur, Milano 2000, pp 143-144
Réquiem aéternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.
Requiescant in pace.
L’eterno riposo dona loro, Signore,
splenda ad essi la luce perpetua.
Riposino in pace.
Preghiera per i morti
Grazie Iddio
Spirito dell’Immenso
accetta questo semplice sorriso
ancora terreno
per coloro che sono con te.
A loro dona pace
e a noi apri le tue porte
quando vorrai prenderci...
Deo Gratis
Anna Realini, 2000
Risvegli
Ogni mio momento
io l’ho vissuto
un’altra volta
in un’epoca fonda
fuori di me
Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse
Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito
Ricorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico morto
Ma Dio cos’è?
E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta
E si sente
Riavere.
Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, 1986, p. 36
Vicini
Quando mi ricordo della morte
guardo diversamente
i Fiori e l’Erba
li accarezzo preparo
la nostra futura amicizia
saremo così vicini!
I vicini più stretti
guarderò tanto (dal basso)
i loro steli perfetti.
Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 209
Come se il mare separandosi
svelasse un altro marequesto un altro- ed i tre
solo il presagio fossero
d’un infinito di mari
non visitati da riva –
il mare stesso al mare fosse rivaQuesto è l’Eternità.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Milano 1961, p. 242, trad. Margherita Guidacci
(lettera a M.C.)
“Questo non è il mio periodo migliore.
Finisco le cose solo per liberarmi,
ma alla sera sento
una gioia immensa,
che sale dal cortile
fino a me stesso,
e agli astri, veri
e mentali astri: siano le stelle,
a colpi di costellazioni
l’altra parte del cuore,
l’infinito. Mario.”
Mario Santagostini, L’idea del bene, Guanda, Parma 2001, p. 20
Preghiera
Quando mi desterò
dal barbaglio della promiscuità
in una limpida e attonita sfera
Quando il mio peso mi sarà leggero
Il naufragio concedimi Signore
di quel giovane giorno al primo grido.
Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano1986, p. 97
Portami il girasole ch’io lo trapianti
Nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
Dove sorgono bionde trasparenze
E vapora la vita quale essenza .
Portami il girasole impazzito di luce.
Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mondatori, Milano 1991, p. 34
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente –
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il io ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza…
La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?
Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano, 1985, p. 93
Genera azzurro l’azzurro,
si sfalda e si riforma
nelle sue terse rocce,
si erge in obelischi, scende
nelle sue colate e frane
di buio e di trasparenza, migra
nell’azzurro fumigando, azzurro
in azzurro sempre –
sale
su, a volte,
affonda
il desiderio
in quella luminosa carne
di quel nume
di quel caos
ed ecco
gli si apre, cielo, sì, e gorgo
lo spazio da ogni parte – ma è lo spazio
quello? O il tempo
prima o dopo il tempo, l’onnipresente?
o l’uno o l’altro o niente di questo?…
oscilla e vi si perde,
desiderio d’uomo
lasciato dalla sua storia, oh sola
felicità s’inebria
egli di quella, non ha sede, non ha memoria
(…)
Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano, 1985, p. 139
La Preghiera
1928
Come dolce prima dell’uomo
Doveva andare il mondo.
L’uomo ne cavò beffe di demoni,
La sua lussuria disse cielo,
La sua illusione decretò creatrice,
Suppose immortale il momento.
La vita gli è di peso enorme
Come laggiù quell’ala d’ape morta
Alla formicola che la trascina.
Da ciò che dura a ciò che passa,
Signore, sogno fermo,
Fa’ che torni a correre un patto.
Oh! rasserena questi figli.
Fa che l’uomo torni a sentire
Che, uomo, fino a te salisti
Per l’infinita sofferenza.
Sii la misura, sii il mistero.
Purificante amore,
Fa’ ancora che sia scala di riscatto
La carne ingannatrice.
Vorrei di nuovo udirti dire
Che in te finalmente annullate
Le anime s’uniranno
E lassù formeranno,
Eterna umanità,
Il tuo sonno felice.
Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano 1986, pp. 174-175
Ma nell’aldilà
Ma nell’ aldilà
nessuno nessuno ci separerà:
saremo due gocce di pioggia uguali
o saremo due moscerini con le ali
saremo due lumachine lente liete
o due puntini splendenti di stelle comete
saremo due granellini di terra rotondi
o saremo due insettini vagabondi
uno davanti l’altra dietro
cammineremo cammineremo
circumnavigheremo il vetro
della finestra chiusa ma se aperta
via via per l’alto del cielo punteremo
di tanto in tanto Lei si girerà
controllerà che anch’io ci sia
ci sarò ci sarò anima mia.
Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 187
Chi non trova quaggiù il Paradiso
non lo troverà in Cielo.
Gli angeli stanno nella casa accanto
alla nostra, ovunque ci rechiamo.
Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Milano 1961, p. 412, trad. Margherita Guidacci
Dall’immagine tesa
Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà, se resisto,
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come risorto
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.
Clemente Rebora, Le poesie, 1913-1957, All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1961
Ci saranno squarci nello spazio
che diano su un’altra parte…
Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore, Feltrinelli, Milano 1999, p. 64, trad. Antonio Tabucchi
Indice
“O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA”
⋅ Nota introduttiva
“ASSENZA, PIU’ ACUTA PRESENZA”
⋅ Caligaverunt oculi mei, T.L.De Victoria
⋅ Assenza, A .Bertolucci
⋅ Preghiera, G. Caproni
⋅ Nella vita dei giorni. Quella quotidiana, A. Donna
⋅ Ella morì: questa fu la sua sorte, E. Dickinson
⋅ In morte di mia sorella, A. Merini
⋅ Ora che più non ci sei, padre, M.Landi
⋅ Dove ti troverò? Parlami, V. Moretti
⋅ Memoria, N.Ginzburg
⋅ Quando lontano sono andati i morti, E. Dickinson
⋅ Ambulanza (a mio padre), M. Saggese
⋅ Nell’azzurro e nell’oro, nella gloria, P. Valduga
⋅ Oh! Angeli del tempo, vi scongiuro, P. Valduga
⋅ Vado – dicesti, F. M. Ferraris
⋅ Mia madre, M. L. Spaziani
⋅ Il paesaggio livido, F. M. Ferraris
⋅ Madre, A. Donna
⋅ Salmi in onore di mio padre e di mia madre, D. M. Turoldo
⋅ La Tigre Assenza, C. Campo
⋅ Ecco un ricordo di Emi C., M. Santagostini
⋅ Condomino. Al signor S., V. Lamarque
⋅ Oggi mi sento triste per i morti, E. Dickinson
⋅ Cara Daniela, V. Lamarque
⋅ (Per tutti, tranne il cielo, ella più non esiste) E’ una minuscola massaia tra l’erba, E. Dickinson
⋅ Arrivò silenziosa come rugiada, E. Dickinson
⋅ A D. morta a 36 anni, V. Lamarque
⋅ Quattro giorni, M. Parodi
⋅ Quando gli amici muoiono, E. Dickinson
⋅ (Quanti uomini e Pleiadi rimangono)Perché mai non potemmo trattenerli?, E. Dickinson
⋅ Ma per ora dovrò contentarmi, V. Scarselli
⋅ Mi tradirà forse l’ora, F. M. Ferraris
⋅ Cresce l’onda cresce, A. Donna
“SII LA MISURA, SII IL MISTERO”
⋅ Animula, vagula, blandula, P.A. Hadrianus, Imp.
⋅ Alcesti, R. M. Rilke
⋅ Tutto ha sotto il cielo una sua ora, Qoélet o L’Ecclesiaste G. Ceronetti (a cura di)
⋅ La clessidra, J. L. Borges
⋅ L’incompiuta, M. L. Spaziani
⋅ La rifrazione paterna, M. Parodi
⋅ Cimitero, M. Saggese
⋅ Canto primo 1932, G. Ungaretti
⋅ La morte è la curva della strada, F. Pessoa
⋅ In cadura libera, A. Donna
⋅ Ci aspetta, V. Lamarque
⋅ De profundis, A. Donna
⋅ Non sappiamo di andare quando andiamo, E. Dickinson
⋅ Annoda i lacci alla mia vita, Signore, E. Dickinson
⋅ Cantico di Frate Sole, F. D’Assisi
⋅ Tremendum et fascinans. A. Donna
⋅ Questa polvere quieta fu signori e fu dame, E. Dickinson
⋅ Noi, V. Lamarque
⋅ Sei qui, F. M. Ferraris
⋅ Sicuri nelle stanze di alabastro, E. Dickinson
⋅ Sono spoglie le dita della morte, A. Merini
⋅ La primavera, M. Parodi
⋅ E ora, dopo un calo di forze, eccolo, M. Luzi
⋅ Portatemi il tramonto in una tazza, E. Dickinson
⋅ E’ la morte un’aurora, D. M. Turoldo
⋅ Réquiem aeternam dona eis, Domine
⋅ Preghiera per i morti, A. Realini
⋅ Risvegli, G. Ungaretti
⋅ Vicini, V. Lamarque
⋅ Come se il mare separandosi, E. Dickinson
⋅ (lettera a M.C.), M. Santagostini
⋅ Preghiera, G. Ungaretti
⋅ Portami il girasole ch’io lo trapianti, E. Montale
⋅ Vola alta, parola, cresci in profondità, M. Luzi
⋅ Genera azzurro, l’azzurro, M. Luzi
⋅ La preghiera 1928, G. Ungaretti
⋅ Ma nell’aldilà, V. Lamarque
⋅ Chi non trova quaggiù il paradiso, E. Dickinson
⋅ Dall’immagine tesa, C. Rebora
⋅ Ci saranno squarci nello spazio, F. Pessoa