“O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA” poesie
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“O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA” poesie
“O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA” poesie a cura di Angela Donna Nota introduttiva Vorrei che questo fosse un libro di preghiera. Anche per chi non prega. Soprattutto per chi non crede. Alimento e sostanza per la mente, l’anima, lo spirito. La Morte nella vita e la Vita nella morte restano un “mistero laico”. Anche per il credente, il limite del mai più è una cosa tangibile, una perdita corporea, fisica, prima che simbolica. Un dolore immenso, senza il fondo. Senza il senso. In questo, ritengo, l’incontro con la morte è identico per tutti, credenti e atei. L’attraversamento della porta stretta ( la morte dell’altro è sempre anche un richiamo alla nostra morte) ci pone di fronte, tutti, alla domanda del Significato. Quello che cambia sono le risposte. Individuali. Tutte da rispettare. Visibili e invisibili percorsi mi hanno portato, nella vita, ad incontrare la morte e la poesia. A viverne l’intreccio, la possibilità per quest’ultima, di illuminare l’altra. Di essere balsamo, linimento, o lama incandescente che cauterizza. Cura per la ferita. Poesia come “utensile dello spirito” (E. Cavalli, Archinto 2003) Nelle poesie di uomini e donne - poeti famosi, meno famosi, sconosciuti - ho rispecchiato il dolore, il vuoto, la finitudine e la paura. Mie. Nostre. Non mi sono sentita più sola. Ho anche imparato a sollevare lo sguardo in alto. Verso l’azzurro. Verso l’infinito. Verso Dio? La scelta delle liriche, o anche solo di alcuni versi - essenziali in quanto folgoranti - al loro interno, segue un criterio, tutto personale, di scoperte, di legami sottili ed evocativi, di incontri con autori e testi, noti e meno noti, richiamati da un “bisogno” interiore nel suo rivelarsi, plasmarsi modificarsi nel tempo. Non è, dunque, un’antologia nel senso classico del termine. Le voci sono diverse perché lo sono gli sguardi. Alcuni nomi ritornano più e più volte. In questi scrittori, il tema della morte è – oppure lo è stato in una fase della vita - tema ricorrente, basso continuo, scavo, cifra dominante nella loro ricerca umana e poetica. Per altri, forse, si è trattato di una manifestazione, un’epifania, una rivelazione fulminea ed acuta, ma non per questo meno profonda. La costruzione del testo, così come si presenta, risponde a un criterio di progressione che dal buio e dalla gravezza, tenta di salire verso la luce e la rarefazione. La prima parte “Assenza, più acuta presenta”, raccoglie versi che sottolineano la perdita come mancanza di una persona specifica. Il dolore dell’assenza dell’amato: madre, padre, genitori in particolare, ma anche figli o compagni, amici. La seconda parte “Sii la misura, sii il mistero” contiene poesie che ci interrogano sul tema della morte in generale, sia per evidenziarne gli elementi di sgomento e di evento insondabile, sia per trovarvi una spinta a guardare con occhi nuovi alla vita stessa e al Mistero del divino. Vi dono tutto questo. 11 agosto 2003 * I titoli del libro e dei diversi capitoli sono tra virgolette poiché si tratta di versi di poesie riportate nel testo. A Marilena. A lei che, quasi presaga della sua morte, ha scritto: Riposo Sole caldo sul viso gioca la luce tra i quadri scintillano i vetri brillano i muri bianchi nel silenzioso mattino. E’ allegro anche il mobile nuovo ancora un po’ spaesato esagerato? Gioca la luce giocano i pensieri nel sole, nel tempo fermo, caldo come un abbraccio. Anche la sedia e il tavolo sono riposo nella luce. E quando piove ci vorrebbe un camino. (1996) “Ho una fanciullesca speranza di riunire insieme tutti quelli che amo – e sedermi accanto a loro e sorridere” Emily Dickinson “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso; perché se noi viviamo viviamo per il Signore se noi moriamo moriamo per il Signore” S. Paolo, Romani 14, 7-14 “ASSENZA, PIU’ ACUTA PRESENZA” Caligaverunt oculi mei Caligaverunt oculi mei a fletu meo quia elongatus est a me qui consolabatur me. Videte omnes populi si est dolor similis sicut dolor meus. O vos omnes qui transitis per viam Attendite et videte si est dolor similis sicut dolor meus. (I miei occhi sono offuscati dal pianto se tu ti sei allontanato da me, chi mi consolerà? Vedete, o voi tutti, se c’è un dolore simile al mio. Voi che passate per questo luogo Guardate e considerate se vi è un dolore simile al mio) Tomas Luis De Victoria (1548 – 1611) Responsori delle Tenebre Assenza, Più acuta presenza. Vago pensier di te Vaghi ricordi Turbano l’ora calma E il dolce sole. Dolente il petto Ti porta, Come una pietra Leggera. Attilio Bertolucci, Le poesie, Garzanti, Milano 1998, p. 26 Preghiera (…) Anima mia, sii brava e va in cerca di lei. Tu sai cosa darei se la incontrassi per strada. Giorgio Caproni, Poesie, 1932-1986, Garzanti, Milano 1989, p. 201 Nella vita dei giorni. Quella quotidiana più non mi lascia il passo della morte stria parallela che mi corre accanto da quando stesa per terra sotto il lavamano tu fosti muta: ictus cerebrale ed il mai più ed il silenzio eterno resero fermo il viso ed il vigore in quel rigore mentre ti vestivo del ventre glabro e leggermente enfiato che mi portò fedele nel tempo mio passato del sesso scuro e sacro da cui ti fui uscita madre in quel mentre mi sfuggì la vita e il senso suo ed ora che come prima ancora muovo il mio corpo dentro questi giorni accarezzando un padre antico e solitario cantando inni ed al necessario anche risate forti è un vuoto buco che non si può riempire quel che mi resta dentro il tuo morire Angela Donna ,1996 Ella morì: questa fu la sua sorte. E quando fu cessato il suo respiro, ella prese i suoi semplici vestiti e si mise in cammino verso il sole. E la sua lieve figura alla porta gli angeli devono aver osservato, perché mai più ho potuto ritrovarla qua nel versante dei mortali. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 77, trad. Margherita Guidacci In morte di mia sorella O anima che scavi la terra adesso giustamente perduta resta in noi il tuo modesto cammino, anima di sempre: ascolta ora il nostro babelico linguaggio colmato di silenzio, tu che sei ormai santa parola e forse parola imperfetta ma che certo cammini sull’acqua col piede di un amante Alda Merini, Superba è la notte, Einaudi, Torino 2000, p. 27 Ora che più non ci sei, padre Ora che più non ci sei, padre, (non ti fermavi mai, salutavi sempre…) l’aria della tua anima è rimasta, ti ha liberato il viso, ora che più non ci sei, padre. Ogni notte mi parli, ora tu sai quel che cercavo in te, da amico a amico. Si dice “ci troveremo lassù”. Lassù andremo come in quel sogno di ragazzo. “Era al tramonto che uscimmo sul sentiero del bastione ridendo…” Ma fu soltanto un sogno. Io non conosco, padre, il viso del tuo bene, so che parlavi di me, talora, agli amici, ai vecchi seduti, d’estate, nel villaggio infelice lungo i muri succhiati dal sole. Dicevi “Marcello, mio figlio, gli hanno stampato un libro ma non sa cosa vuole…” Ma tuo figlio sentiva, quando il sole nasceva Come tu fossi lontano. (Una parola per il tarlo del figlio, una parola per la lunga inquietudine…) Ogni notte mi parli, ogni notte mi parli: ora tu sai, se toccheremo il cielo insieme, un giorno, e prenderci per mano, ora che più non ci sei, padre. Marcello Landi, in: Luciano Luisi (a cura di), A mio padre…le più belle poesie dai poeti italiani, Newton & Compton editori, Roma 1996, p. 30 Dove ti troverò? Parlami La morte è venuta col fresco della notte. Mascaro ha gelato i tuoi occhi come cristalli di chiesa. Tu ora sei gioco dei vénti. Ti fermi sul cancello a sentire la sarabanda. E a maggio verranno a portarti le rose. Anch’io verrò e vecchi amici saremo. Nella casa dei grilli e delle nostre voci discrete ricordi quando mi dicevi dei fuochi? Eri paziente alle mie sortite d’incredulo e al mio astruso frugare nelle tue pene, poi ne ridevi col trucco dell’ora tarda e del sale che diventa zucchero. Ora dove sei? Parlami della tua morte. Il tempo è a disarmo in questo aprile già sodo, e non mi basta che tu sia capitano ormai sulla tua tolda, a ritessere i fili di quelle storie di mare e d’Africa che ti facevano eroe - un po’ eroe – nei miei smarrimenti d’infanzia. Dove ti troverò? Parlami del baleno improvviso che ha sciupato in fretta il tuo mondo prima di affogarlo nell’ignoto, e dell’abisso parlami, della luce o delle tenebre, se puoi, dell’arca segreta che non avrà altro porto né umano ritorno 2 aprile 1970 Vito Moretti , in: Luciano Luisi (a cura di), A mio padre…le più belle poesie dai poeti italiani, Newton & Compton editori, Roma 1996, p. 84 Memoria Gli uomini vanno e vengono per le strade della città. Comprano cibi e giornali, muovono a imprese diverse. Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene. Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso. Ti chinasti a baciarlo con gesto consueto. Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto. Solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre. E le scarpe erano quelle di sempre. E le mani erano quelle Che spezzavano il pane e versavano il vino. Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo A guardare il suo viso per l’ultima volta. Se cammini per strada nessuno ti è accanto. Se hai paura nessuno ti prende la mano. E non è tua la strada, non è tua la città. Non è tua la città illuminata. La città illuminata è degli altri. Degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali. Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra E guardare in silenzio il giardino nel buio. Allora quando piangevi c’era la sua voce serena. Allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso. Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre; E deserta la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa. Natalia Ginzburg in: “Mercurio”, rivista mensile di economia, arte e cultura, Roma 1944 Quando lontano sono andati i morti dapprima non vediamoe ci sembra possibile un ritorno durante lunghi anni appassionati. E poi abbiamo il sospetto- o la certezza – di averli già seguitida tale intimità siamo legati all’amato ricordo. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 440, trad. Margherita Guidacci Ambulanza (a mio padre) Ancora mi risuona nelle orecchie quel suono stridulo e potente di quando ti accompagnavo a morire così senza parole. Tutte le volte che passando un’ambulanza… non posso che pensarti lì da solo nella tua attesa silenziosa chissà di che cosa e di tanto in tanto la malinconia mi perfora fino a farmi lacrimare. Marcella Saggese, Terra arata, 2001 Nell’azzurro e nell’oro, nella gloria d’oro del mezzogiorno risplendente, come un eroe va verso la vittoria, sacro, immobile innominabilmente, varchi la notte e fermi la tua storia, e fermi il sole d’oro eternamente nel cuore forte che li terrà forte per tutta la durata della morte. O cantico dei cantici, ti canto, corpo senza più corpo dell’amore, dolore senza grido senza pianto senza corpo senza età del dolore, cantico della morte, io ti canto, cuore che continui nel mio cuore che tutti i giorni a mezzogiorno muore perché non può invecchiare il mio dolore! Patrizia Valduga, Requiem, Marsilio, Venezia 1994, pp. 55 e 57 Oh! Angeli del tempo, vi scongiuro, ridategli il suo volto e la sua voce, ditegli di venire al limbo oscuro dove fluisco verso la mia foce; che senta la sua voce, vi scongiuro senza più tempo, senza terra e croce, che non mi senta più così insensata quando la mente si sarà calmata. Patrizia Valduga, Requiem, Einaudi,Torino 2002 pp. 55 Vado – dicesti Ed io: - ho scarpe per seguirti, verrò con te dovunque, non temo lontananze di terre sconosciute, sapranno valicare mondi nuovi la ferrea volontà la mia speranzaLe scarpe invece tradirono i miei passi e presto affondarono nel fango, non divennero ali per seguire i tuoi cieli. Di qui ti cerco ancora con i piedi inchiodati nella terra, e un desiderio immenso d’infinito. Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria, Savona 2001, p. 12 Mia madre Le dicevo buonanotte al telefono. Rispondeva un sussurro, buonanotte. La sua voce staccata dal suo volto. E a tradimento io la registravo. Sapeva, la gentile, a che cosa pensavo? Che un certo aprile era già all’agguato, che presto l’aspettava un chissà dove, oltre la terra e il tempo. Un aprile? In che anno? Avevo letto che aprile è il più crudele dei mesi. E venne la sua voce, un buonanotte ultimo il giorno cinque. Mi resta quella voce registrata. Viene da altre ere, da altri pianeti. Pura essenza in cui lei si trasfigura, profumo vivo di fiore sprofondato. Maria Luisa Spaziani, I fasti dell’ortica, Mondatori, Milano 1996, p. 115 Il paesaggio livido del mattino di marzo mi attendeva distratto quando scesi dal treno. Toglievano la neve dai binari, la traccia della vita si ritraeva pietosa nella nuvola di nebbia. Salii la scalinata con ali falcate dal delirio, le tempie martellate dal rifiuto di quella inconfessata verità, a te vicina ancora, e tu lontana ormai, tu già rapita all’immortalità. Fu quel ritorno un penetrare nuda nel tuo grembo, una muta discesa alla matrice della mia irriducibile ragione, un oscuro rientro alla radice dove deporre l’anima bruciata, la percezione della mia nullità. Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria, Savona 2001, p. 14 Madre madre strazio ricondotta allo spazio delle origini resta sopra di noi rotante il cielo furibondo cassa di risonanza senza il fondo del dolore madre vuota rubata come un furto dalla vita dentro l’assenza la strada è ancora lunga ed è in salita mi manca il fiato Angela Donna, 1994 Salmi in onore di mio padre e di mia madre 1 Ma ora che i miei genitori son morti, ora che mio padre e mia madre sanno ogni cosa di me, non posso più oltre tacere le parole che per loro pudore fingevo non mie. Attendevo quel giorno, lo contavo sul mio almanacco, come, fanciullo, la festa della venuta di Dio. Così attendevo d’imparentarmi alla Morte. Era il mio cuore nella lunga attesa un campo di battaglia seminato a bandiere, come il suo passo avanzava; ma erano sempre case di amici e vicini visitate. Ora, ora invece, pure la casa nostra è invasa dal vuoto immane. Il nostro orto abbandonato (mia madre non più curva a cogliere la ruta; ora diritta, orizzontale, immensa di sotto due metri di terra), e il cortile e il campo, l’unico campo tenuto a giardino da mio padre. Ora Morte è venuta. Ghirlandata come una sposa. Ed io la coltivo quale mia creatura, la cullo al grande letto delle mie memorie, l’abbevero del mio sangue, divenuta alfine e padre e madre ed amica, ed è lei ora ad attendere di farsi me stesso. Oh, la lingua paziente della Morte! Li avrei portati sulle braccia come due colombi alla nuova colombaia, forse a primavera o forse d’estate ché sentissero il caldo della Morte. Invece lei, più giovane, d’autunno; ed egli, più maturo, d’inverno. Avanti la sposa, più confidente; dietro l’uomo, che ha più cose d’abbandonare. A lei è bastato un soffio di vento: non aveva più corpo; a lui invece la vita sostenne guerra fino all’ultimo istante. E il sangue intorno scalpitava, ed il respiro era d’eroe, e conquistò la Morte. 2 O Morte, o chiara Morte, mai i loro volti furono così giovani e belli (mia madre ancora le trecce intatte e bionde e mio padre ancora l’ampia dentatura); mai così docili e tenere mani ed occhi sì sereni e lucenti come il giorno che ti degnasti sostare nella nostra casa di poveri. Mai tanti fiori ebbero a mensa lungo tutta la vita quanti sopra le loro bare, navi salutate da tutto il paese. Ed io a cantare dietro, a cantare sul loro silenzio perché tu eri divenuta e mio padre e pia madre e sorella, Morte, o giardiniera divina. (…) David Maria Turoldo, O sensi miei, BUR, Milano 2000, pp. 135-139 La Tigre Assenza pro patre et matre Ahi che la Tigre, la Tigre Assenza, o amati, ha tutto divorato di questo volto rivolto a voi! La bocca sola pura prega ancora voi: di pregare ancora perché la Tigre, la Tigre Assenza, o amati, non divori la bocca e la preghiera… Cristina Campo, La Tigre Assenza, Adelphi, Milano 1991, p. 44 Ecco un ricordo di Emi C. (...) Forse i morti diventano nel tempo meno morti: prima o poi saranno solo introvabili o perduti. Ma la memoria ci basta e disimpegna dal cercarli ancora. E allora li chiamiamo assenti. (… ) Mario Santagostini, L’idea del bene, Guanda, Parma 2001, p. 28 Condomino Al Signor S. Cammino piano, qua sotto al terzo piano dorme un condomino morto. E’ tornato morto stasera dall’ospedale, gli hanno salito le scale, gli hanno aperto la porta anche senza suonare, ha usato per l’ultima volta il verbo entrare. Ha dormito con noialtri condomini essendo notte sembrava a noi uguale ha dormito otto ore ma poi ancora e ancora e ancora oltre la tromba mattutina dei soldati, oltre il sole alto nel cielo, ora che noi ci muoviamo non è più a noi uguale. E’ un condomino morto. Scenderà senza piedi le scale. Era gentile, stava alla finestra aveva un canarino, aveva i suoi millesimi condominiali, guarda gli stanno spuntando le ali. Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 193 Oggi mi sento triste per i morti. Hanno ore così liete i vecchi dietro gli steccati. E’ la stagione del fieno. Ed i grossi, abbronzati conoscenti scambian parole in mezzo alla fatica e ridono – una razza casalinga che rallegra perfino gli steccati. E sembra duro giacere lontano dal rumore dei campi, dai carri affaccendati, dai fragranti covoni – e il canto di chi falcia insinua un’ansia, quasi nostalgia, pei contadini con le loro spose, allontanati dal lavoro dei campi, da tutte le esistenze dei vicini. Mi chiedo se le tombe non abbian troppa solitudine quando uomini e ragazzi con i carri ed il giugno vanno pei campi a fare il fieno! Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, 1961, p. 189, trad. Margherita Guidacci Cara Daniela Cara Daniela scrivendo poco fa una emme un po’ gobbuta come facevi tu ti ho vista con la penna in mano, con i calzettoni al ginocchio, ultima di noi tutte a passare al nylon (non volevi eri speciale) prima di tutte noi a scendere all’Ade, Daniela i tuoi bambini piccoli sono cresciuti ma non oso guardarli perché dicono che una è uguale a te, uguale, mi fa troppo male. Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002, p. 208 (…) E’ una minuscola massaia tra l’erba, ma da quando è scomparsa di sul prato qualcuno più non trova il volto che della vita faceva una patria! Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, 1961, p. 78, trad. Margherita Guidacci Arrivò silenziosa come rugiada al suo fiore ma non come rugiada se ne andò alla sua ora. Cadde soffice come una stella dalla vigilia della mia estate – esperta non ancora della vita Com’è triste da credere! Emily Dickinson, Le stanze d’alabastro, Feltrinelli, Milano 1983, p. 41, trad. Nadia Campana A D. morta a 36 anni Sogno che sei viva che ti consolo della morte di un altro invece il morto sei tu povera animella che non sente che ricomincia aprile. Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 207 Quattro giorni (…) Fammi investire dalla tua luce che filtra con discrezione dalla porta che tu hai socchiuso, così, in silenzio, perché le cose più belle sono nutrite dalla bambagia delle nuvole, proprio quelle dove giocano gli angeli Mario Parodi, Caro Marco, Euphorbia, Torino 1990, p. 22 Quando gli amici muoiono la cosa più pungente è il ricordo di come si muovevano da vivi - in qualche precisa occasione; come vestivano certe domeniche, una pettinatura, qualche piccolo gesto che essi soli facevano e che ora è perduto nel sepolcro. Come furono vivaci un certo giorno: quasi potresti ritrovar la data tanto sembra vicina: ma per loro son passati secoli – come gradivano quel che dicevi; tu cerchi di toccare quel sorriso, e le dita s’immergono nel ghiaccio. Sapresti dire il giorno in cui tu li invitasti per il tè, solo un gruppo di amici, e parlasti con questa cosa immensa che più non ti ricorda? Lontano dagli inchini e dagli inviti, lontano da colloqui e desideri, e lontano da ciò che noi sappiamo – Questa è la spina più profonda. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 177, trad. Margherita Guidacci (…) Perché mai non potemmo trattenerli? Con un sorriso i cieli ruotano sopra il nostro capo deluso e non ci degnano di sillaba. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 113, trad. Margherita Guidacci Ma per ora dovrò contentarmi di custodire il suo umile giardinetto con questo muto segno di marmo e il lumino tremolante sempre acceso. Per fortuna ha dei buoni vicini E ho piantato anche il mirto odoroso, la lavanda, il pepolino, la cedrina; loro a ogni nuova stagione risorgono e forse ogni volta là sotto tremerà qualche cosa. Chissà se nel gelo dell’inverno per riscaldarsi sotto tanta neve in quelle povere case diroccate dei loro corpi senza pace anche i morti possono almeno stringersi insieme. Veniero Scarselli, Piangono ancora come bambini, Campanotto editore, Udine 1994, p. 51 Mi tradirà forse l’ora ma ti vedrò un giorno, chiara, sul sentiero proibito dove si frantumò la mia speranza. Avanzerai con passo leggero, avrai un corpo libero e nuovo, diverso da quello che conobbi, e un raggio di luce trapasserà il tuo volto, donerà al tuo incedere la grazia immutabile di un’immortale giovinezza. Con gesto antico mi porgerai le bacche rosse del rovo quelle che un giorno raccogliemmo assieme nella valle velata dal primo torpore dell’autunno, quelle che un vento freddo strappò dalle mie mani lasciando solo il vuoto. Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria 2001, p. 39 Cresce l’onda, cresce Di voi, vicini e vivi senza eccessi di voi, dei vostri giusti gesti sodi, madre sommessa e grande padre-nido, resta una quiete accesa lampada a sera Angela Donna, La malarecchia de la biribana, Genesi editrice, Torino 1991, p. 79 “Quanto di morte noi circonda e quanto tocca mutarne in vita per esistere è diamante sul vetro” Elio Pagliarani “Lavoro a toni di luce” Dylan Thomas “SII LA MISURA, SII IL MISTERO” Animula, vagula, blandula Hospes, comesque corporis, Quae nunc abitis in loca Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut soles, dabis jocos…? Piccola anima, errabonda, scherzosa Ospite e compagna del corpo, Dove te ne andrai ora Così pallida, fredda, nuda E priva dei piaceri consueti…? Versi di P. Aelius Hadrianus, Imp., in Marguerite Yorcenaur, Le memorie di Adriano, Einaudi, Torino1974 Alcesti (…) Ma egli ruppe la scorza del dolore in pezzi e ne distese alte le mani, come per trattenere il dio fuggente. Anni chiedeva, solo un anno ancora Di giovinezza, mesi, pochi giorni, ah, non giorni, ma notti, una soltanto, solo una notte, questa notte: questa. Il dio negava. Gridò allora Admeto, gridò vani richiami a lui, gridò, come gridò sua madre al nascimento. (…) Rainer Maria Rilke, Poesie, Einaudi, Torino 1990, p. 25-27. Trad. Giaime Pintor Tutto ha sotto il cielo una sua ora Un tempo suo Il tempo di nascere e il tempo di morire Il tempo di piantare e il tempo di spiantare Il tempo di uccidere e il tempo di curare Il tempo di demolire e il tempo di costruire Il tempo delle lacrime e il tempo delle risa Il tempo dei gemiti e il tempo dei balli Il tempo delle pietre scagliate e il tempo delle pietre raccolte Il tempo delle braccia abbracciate e il tempo delle braccia lontane Il tempo del cercarsi e il tempo del lasciarsi Il tempo di tenere e il tempo di gettare Il tempo di lacerare e il tempo di ricucire Il tempo di tacere e il tempo di parlare Il tempo di amare e il tempo di odiare Il tempo della guerra e il tempo della pace Guido Ceronetti (a cura di), Qoélet o L’Ecclesiaste Einaudi, Torino 1988, pp.11-12 La clessidra Non d’acqua, di miele sarà l’ultima goccia della clessidra. Lucida, ingoiata dal buio. Addenserà le beatitudini che al rosso Adamo elargì Qualcuno o Qualcosa: scambio d’amore, la tua fragranza l’atto di cogliere universo e limiti, l’attimo in cui Virgilio si fonde con l’esametro l’acqua della sete, il pane di chi ha fame nell’aria la delicata neve la mano sul volume ritrovato a tentoni delirio di spade nella battaglia mare libero a fondamenta dell’Inghilterra speranza di udire oltre il silenzio un lusinghiero accordo, memoria preziosa sottratta a fatica l’istante di sonno che annienta Jean Luis Borges, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano, 1985, vol. II, p. 1019, trad. Cesco Vian L’incompiuta Anch’io lascerò la mia “Incompiuta”. Sarà semplicemente la mia vita. Lascerò nel senso che rimanga. Lascerò nel senso che la perda. Ogni uomo, ogni donna morendo Lascia da fare il più. La morte a tradimento Ci sorprende in un punto inatteso. Gabbiani per sempre feriti, colonne spezzate. Sta registrando, qualcuno, il “non scritto” ? Speranze ancora vive, libri da finire, corrente che singhiozza. Soprattutto i figli, destini a noi per sempre ignoti. Maria Luisa Spaziani, Poesie della mano sinistra, Archivi del ‘900, Milano 2002, p. 92 La rifrazione paterna Cos’è questa attenzione, questi veli pronti ad avvolgermi, questo silenzio pesante, queste parole senza un obiettivo preciso. La morte conserva tutta la magia della nascita un tempo non individuato un’esperienza da gustare.. E’ uno sfaldarsi leggero: la falce scende con battito di farfalle con la rifrazione paterna del sole. Al di là dell’orizzonte i sussulti vanificano l’ultima orgogliosa risacca. Mario Parodi, Caro Marco, Euphorbia, Torino 1990, p. 34 Cimitero Chissà cosa avremo da dirci quando saremo sotto le radici dei crisantemi magari in stato solido forse in stato polveroso. Riusciremo ancora a toccarci attraverso tutti quei muri e quei marmi freddi e lucenti nella nebbia di novembre? Non mi piacciono i cimiteri monumentali dove i morti – fanno fatica – hanno paura ad uscire la sera perché non vogliono tornare indietro. Ti troverò sotto l’erba di un grigio e sensuale lapidario in qualche anfratto fra tane di lucertole e radici di rovi. Marcella Saggese, Terra arata, 2001 Canto primo 1932 O sorella dell’ombra, Notturna quanto più la luce ha forza, M’insegui, morte. In un giorno puro Alla luce ti diè l’ingenua brama E la pace fu persa, Pensosa morte, Sulla tua bocca. Da quel momento Ti odo nel fluire della mente Approfondire lontananze, Emula sofferente dell’eterno. Madre velenosa degli evi Nella paura del palpito E della solitudine, Bellezza punita e ridente, Nell’assopirsi della carne Sognatrice fuggente, Atleta senza sonno Della nostra grandezza, Quando m’avrai domato, dimmi: Nella malinconia dei vivi Volerà a lungo la mia ombra? Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano 1986, p.181 La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore, Feltrinelli, Milano 1999, p. 17, trad. Antonio Tabucchi In caduta libera sondato il senso non ho della morte buco nell’eterno finito infinito silenzio che trancia di netto un discorso dal vivo Angela Donna, 1996 Ci aspetta Ci aspetta paziente in un angolino conosce il giorno e l’ora che noi non conosciamo ancora. (Era entrata chissà quando pianino, nessuno l’aveva vista o forse un bambino.) Vivian Lamarque, Poesie, Mondatori, Milano 2002, p. 207 De profundis del come e del quando non sapendo alquanto che fare per addomesticare la morte ? Angela Donna, 1996 Non sappiamo di andare quando andiamo. Noi scherziamo nel chiudere la porta. Dietro il destino mette il catenaccio e non entriamo più. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p.409, trad. Margherita Guidacci Annoda i lacci alla mia vita, Signore, poi son pronta a partire! Un’occhiata ai cavalli – alla svelta! Così potrà bastare. Mettimi dalla parte più sicura, perché non cada mai; viaggiamo verso il Giudizio, ed ha un tratto in discesa. Non mi curo dei ponti, non mi curo del mare, tenuta stretta nella corsa eterna per mia, tua scelta. Addio alla vita un tempo consueta e al mondo che mi fu già familiare! E date un bacio per me alle colline: son pronta per andare! Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p.111, trad. Margherita Guidacci Cantico di Frate Sole (Laudes Creaturarum) (…) Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale de la quale nullo homo vivente po’ sKappare: guai a queli Ke morranno ne la peccata mortali, beati quelli Ke troverà nelle tue santissime voluntate, Ka la morte seconda no ‘l farà male. Caudate e benedicete mi’ Signore et ringratiate Et serviate cum grande humilitate. Francesco D’Assisi, 1224 Tremendum et fascinans. dove nel cordone ombelicale della morte il senso inerpicato e austero trovare e sono pianti di disperazione e stridor di denti … Angela Donna, 2001 Questa polvere quieta fu signori e fu dame e giovani e fanciulle, fu riso, arte e sospiro e bei vestiti e riccioli. E questo inerte luogo fu la dimora estiva dove api e fiori il loro ciclo orientale compirono, poi anch’essi ebbero fine. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 281, trad. Margherita Guidacci Noi Noi da secoli uniti entrerà dalle nostre porte il Mare; dove giocavano i bambini gentili alghe, muti pesciolini. Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 209 Sei qui, in mezzo al campo verde, azzurra cineraria dell’aprile colma d’api e di polline, muovi le foglie al vento con la vaghezza estrema di una pianta gentile. Sei qui, leggero filo d’erba che sogna nella brezza un destino di linfa sempreviva, ma chini il capo troppo presto stanco tra le braccia di Gea che ti accarezza. Non temere, il prato ti accoglie con le sue ombre verdi d’insetti e di crisalidi impazzite, ospita il tuo cuore di madre, ti dona un’amaca per il riposo, ti offre le messi di Demetra, ti elegge regina della selva sull’altare dorato delle foglie d’autunno. Franca Maria Ferraris, Elegia per la madre, Editrice Liguria 2000, p. 37 Sicuri nelle stanze di alabastro dove l’alba e il meriggio non li sfiorano dormono i miti - per la Resurrezione sotto travi di seta con il tetto di pietra. Solenni vanno gli anni - in crescendo - sopra di loro mondi compiono ellissi e navigano firmamenti. Cadono le corone si arrendono i potenti silenziose come bruscoli sopra un disco di neve Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze 1961, p. 94, trad. Margherita Guidacci Sono spoglie le dita della morte sono piene di rughe maliziose e la vendetta nasce sulla fronte di questa tua indomabile vicina. Come mi è cara quest’ ombra che geme volendo un po’ di carne solamente oltre ai miei carmi che essa prosciuga. Ansima sull’anello del prodigio quello sponsale fatto dalla vita nel giorno della Pasqua. Alda Merini, Superba è la notte, Einaudi, Torino 2000, p. 44 La primavera Ecco il cielo si riapre all’azzurro, il vento cancella i tristi pensieri dell’inverno. Si offre il corpo alla pioggia per il rito della nuova nascita. Si è rapiti dalla vita. Mario Parodi, Caro Marco, Euphorbia, Torino 1990, p. 28 E ora, dopo un calo di forze, eccolo quell’occhio aprilino è la resurrezione, la resurrezione è quel fuoco d’acqua e di smeraldo, quelle ciglia, quella trasparenza implacabile. Se la sente puntata in viso quella luce – andata a prendere dove? – e quel vigore portato su da quale profondità di plancton? e ne brucia l’opacità presente, ne brucia a ritroso la passata, tutta, capillarmente. E quel soffio marino che l’accompagna, quei prati, quel vento che vi corre sopra con le sue criniere d’erba, quel gemmare alto, quel fogliante degli alberi… Oh vittoria, balbetta nel suo sgomento lei. Vittoria, vittoria impietosamente. Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano, 1985, p. 135 Portatemi il tramonto in una tazza contate le fiale del mattino e ditemi quante stillano rugiada quanto lontano si slanci il mattino – quando dorme il tessitore che ha filato le altezze d’azzurro. Scrivete quante note ci sono nell’estasi del nuovo pettirosso fra i rami stupiti – quanti sono i viaggi della tartaruga – e quante coppe beve l’ape la golosa di rugiade! E chi ha gettato i pilastri dell’arcobaleno chi conduce le docili sfere con fili di tenero azzurro? Quali dita tendono le stalattiti – chi conta il bracciale della notte perché nessuna perla manchi? Chi costruì questa piccola casa albana e chiuse le finestre così bene che il mio spirito non può vedere? Chi mi lascerà uscire in un giorno di gala con gli attrezzi adatti al volo oltre lo splendore? Emily Dickinson, Le stanze d’alabastro, Feltrinelli, Milano 1983, p. 37-39, trad. Nadia Campana E’ la morte un’aurora (…) Ma la morte è come varcar la soglia e uscire al sole. La morte, atto d’amore, ingresso all’universale Presenza. Quel farsi silenzio, intrisi di pietra, di radici, leggeri come la luce, non circoscritti, non più soli. E’ la Morte un attimo d’aurora (…) David Maria Turoldo, O sensi miei, Bur, Milano 2000, pp 143-144 Réquiem aéternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pace. L’eterno riposo dona loro, Signore, splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Preghiera per i morti Grazie Iddio Spirito dell’Immenso accetta questo semplice sorriso ancora terreno per coloro che sono con te. A loro dona pace e a noi apri le tue porte quando vorrai prenderci... Deo Gratis Anna Realini, 2000 Risvegli Ogni mio momento io l’ho vissuto un’altra volta in un’epoca fonda fuori di me Sono lontano colla mia memoria dietro a quelle vite perse Mi desto in un bagno di care cose consuete sorpreso e raddolcito Ricorro le nuvole che si sciolgono dolcemente cogli occhi attenti e mi rammento di qualche amico morto Ma Dio cos’è? E la creatura atterrita sbarra gli occhi e accoglie gocciole di stelle e la pianura muta E si sente Riavere. Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, 1986, p. 36 Vicini Quando mi ricordo della morte guardo diversamente i Fiori e l’Erba li accarezzo preparo la nostra futura amicizia saremo così vicini! I vicini più stretti guarderò tanto (dal basso) i loro steli perfetti. Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 209 Come se il mare separandosi svelasse un altro marequesto un altro- ed i tre solo il presagio fossero d’un infinito di mari non visitati da riva – il mare stesso al mare fosse rivaQuesto è l’Eternità. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Milano 1961, p. 242, trad. Margherita Guidacci (lettera a M.C.) “Questo non è il mio periodo migliore. Finisco le cose solo per liberarmi, ma alla sera sento una gioia immensa, che sale dal cortile fino a me stesso, e agli astri, veri e mentali astri: siano le stelle, a colpi di costellazioni l’altra parte del cuore, l’infinito. Mario.” Mario Santagostini, L’idea del bene, Guanda, Parma 2001, p. 20 Preghiera Quando mi desterò dal barbaglio della promiscuità in una limpida e attonita sfera Quando il mio peso mi sarà leggero Il naufragio concedimi Signore di quel giovane giorno al primo grido. Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano1986, p. 97 Portami il girasole ch’io lo trapianti Nel mio terreno bruciato dal salino, e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti del cielo l’ansietà del suo volto giallino. Tendono alla chiarità le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di tinte: queste in musiche. Svanire è dunque la ventura delle venture. Portami tu la pianta che conduce Dove sorgono bionde trasparenze E vapora la vita quale essenza . Portami il girasole impazzito di luce. Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mondatori, Milano 1991, p. 34 Vola alta, parola, cresci in profondità, tocca nadir e zenith della tua significazione, giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami nel buio della mente – però non separarti da me, non arrivare, ti prego, a quel celestiale appuntamento da sola, senza il caldo di me o almeno il io ricordo, sii luce, non disabitata trasparenza… La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza? Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano, 1985, p. 93 Genera azzurro l’azzurro, si sfalda e si riforma nelle sue terse rocce, si erge in obelischi, scende nelle sue colate e frane di buio e di trasparenza, migra nell’azzurro fumigando, azzurro in azzurro sempre – sale su, a volte, affonda il desiderio in quella luminosa carne di quel nume di quel caos ed ecco gli si apre, cielo, sì, e gorgo lo spazio da ogni parte – ma è lo spazio quello? O il tempo prima o dopo il tempo, l’onnipresente? o l’uno o l’altro o niente di questo?… oscilla e vi si perde, desiderio d’uomo lasciato dalla sua storia, oh sola felicità s’inebria egli di quella, non ha sede, non ha memoria (…) Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, Milano, 1985, p. 139 La Preghiera 1928 Come dolce prima dell’uomo Doveva andare il mondo. L’uomo ne cavò beffe di demoni, La sua lussuria disse cielo, La sua illusione decretò creatrice, Suppose immortale il momento. La vita gli è di peso enorme Come laggiù quell’ala d’ape morta Alla formicola che la trascina. Da ciò che dura a ciò che passa, Signore, sogno fermo, Fa’ che torni a correre un patto. Oh! rasserena questi figli. Fa che l’uomo torni a sentire Che, uomo, fino a te salisti Per l’infinita sofferenza. Sii la misura, sii il mistero. Purificante amore, Fa’ ancora che sia scala di riscatto La carne ingannatrice. Vorrei di nuovo udirti dire Che in te finalmente annullate Le anime s’uniranno E lassù formeranno, Eterna umanità, Il tuo sonno felice. Giuseppe Ungaretti, Tutte le poesie, I Meridiani, Mondatori, Milano 1986, pp. 174-175 Ma nell’aldilà Ma nell’ aldilà nessuno nessuno ci separerà: saremo due gocce di pioggia uguali o saremo due moscerini con le ali saremo due lumachine lente liete o due puntini splendenti di stelle comete saremo due granellini di terra rotondi o saremo due insettini vagabondi uno davanti l’altra dietro cammineremo cammineremo circumnavigheremo il vetro della finestra chiusa ma se aperta via via per l’alto del cielo punteremo di tanto in tanto Lei si girerà controllerà che anch’io ci sia ci sarò ci sarò anima mia. Vivian Lamarque, Poesie, Oscar Mondatori, Milano 2002 p. 187 Chi non trova quaggiù il Paradiso non lo troverà in Cielo. Gli angeli stanno nella casa accanto alla nostra, ovunque ci rechiamo. Emily Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Milano 1961, p. 412, trad. Margherita Guidacci Dall’immagine tesa Dall’immagine tesa vigilo l’istante con imminenza di attesa – e non aspetto nessuno: nell’ombra accesa spio il campanello che impercettibile spande un polline di suono – e non aspetto nessuno: fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto non aspetto nessuno: ma deve venire, verrà, se resisto, a sbocciare non visto, verrà d’improvviso, quando meno l’avverto: verrà quasi perdono di quanto fa morire, verrà a farmi certo del suo e mio tesoro, verrà come risorto delle mie e sue pene, verrà, forse già viene il suo bisbiglio. Clemente Rebora, Le poesie, 1913-1957, All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1961 Ci saranno squarci nello spazio che diano su un’altra parte… Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore, Feltrinelli, Milano 1999, p. 64, trad. Antonio Tabucchi Indice “O ANIMA CHE SCAVI LA TERRA” ⋅ Nota introduttiva “ASSENZA, PIU’ ACUTA PRESENZA” ⋅ Caligaverunt oculi mei, T.L.De Victoria ⋅ Assenza, A .Bertolucci ⋅ Preghiera, G. Caproni ⋅ Nella vita dei giorni. Quella quotidiana, A. Donna ⋅ Ella morì: questa fu la sua sorte, E. Dickinson ⋅ In morte di mia sorella, A. Merini ⋅ Ora che più non ci sei, padre, M.Landi ⋅ Dove ti troverò? Parlami, V. Moretti ⋅ Memoria, N.Ginzburg ⋅ Quando lontano sono andati i morti, E. Dickinson ⋅ Ambulanza (a mio padre), M. Saggese ⋅ Nell’azzurro e nell’oro, nella gloria, P. Valduga ⋅ Oh! Angeli del tempo, vi scongiuro, P. Valduga ⋅ Vado – dicesti, F. M. Ferraris ⋅ Mia madre, M. L. Spaziani ⋅ Il paesaggio livido, F. M. Ferraris ⋅ Madre, A. Donna ⋅ Salmi in onore di mio padre e di mia madre, D. M. Turoldo ⋅ La Tigre Assenza, C. Campo ⋅ Ecco un ricordo di Emi C., M. Santagostini ⋅ Condomino. Al signor S., V. Lamarque ⋅ Oggi mi sento triste per i morti, E. Dickinson ⋅ Cara Daniela, V. Lamarque ⋅ (Per tutti, tranne il cielo, ella più non esiste) E’ una minuscola massaia tra l’erba, E. Dickinson ⋅ Arrivò silenziosa come rugiada, E. Dickinson ⋅ A D. morta a 36 anni, V. Lamarque ⋅ Quattro giorni, M. Parodi ⋅ Quando gli amici muoiono, E. Dickinson ⋅ (Quanti uomini e Pleiadi rimangono)Perché mai non potemmo trattenerli?, E. Dickinson ⋅ Ma per ora dovrò contentarmi, V. Scarselli ⋅ Mi tradirà forse l’ora, F. M. Ferraris ⋅ Cresce l’onda cresce, A. Donna “SII LA MISURA, SII IL MISTERO” ⋅ Animula, vagula, blandula, P.A. Hadrianus, Imp. ⋅ Alcesti, R. M. Rilke ⋅ Tutto ha sotto il cielo una sua ora, Qoélet o L’Ecclesiaste G. Ceronetti (a cura di) ⋅ La clessidra, J. L. Borges ⋅ L’incompiuta, M. L. Spaziani ⋅ La rifrazione paterna, M. Parodi ⋅ Cimitero, M. Saggese ⋅ Canto primo 1932, G. Ungaretti ⋅ La morte è la curva della strada, F. Pessoa ⋅ In cadura libera, A. Donna ⋅ Ci aspetta, V. Lamarque ⋅ De profundis, A. Donna ⋅ Non sappiamo di andare quando andiamo, E. Dickinson ⋅ Annoda i lacci alla mia vita, Signore, E. Dickinson ⋅ Cantico di Frate Sole, F. D’Assisi ⋅ Tremendum et fascinans. A. Donna ⋅ Questa polvere quieta fu signori e fu dame, E. Dickinson ⋅ Noi, V. Lamarque ⋅ Sei qui, F. M. Ferraris ⋅ Sicuri nelle stanze di alabastro, E. Dickinson ⋅ Sono spoglie le dita della morte, A. Merini ⋅ La primavera, M. Parodi ⋅ E ora, dopo un calo di forze, eccolo, M. Luzi ⋅ Portatemi il tramonto in una tazza, E. Dickinson ⋅ E’ la morte un’aurora, D. M. Turoldo ⋅ Réquiem aeternam dona eis, Domine ⋅ Preghiera per i morti, A. Realini ⋅ Risvegli, G. Ungaretti ⋅ Vicini, V. Lamarque ⋅ Come se il mare separandosi, E. Dickinson ⋅ (lettera a M.C.), M. Santagostini ⋅ Preghiera, G. Ungaretti ⋅ Portami il girasole ch’io lo trapianti, E. Montale ⋅ Vola alta, parola, cresci in profondità, M. Luzi ⋅ Genera azzurro, l’azzurro, M. Luzi ⋅ La preghiera 1928, G. Ungaretti ⋅ Ma nell’aldilà, V. Lamarque ⋅ Chi non trova quaggiù il paradiso, E. Dickinson ⋅ Dall’immagine tesa, C. Rebora ⋅ Ci saranno squarci nello spazio, F. Pessoa