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Edizioni DrawUp
www.edizionidrawup.it
Collana Sentieri
Collana Sentieri
LEDANDZEPPELIN
Storia d’amore precaria
di Leopoldo Chiummo
Proprietà letteraria riservata
©2013 Edizioni DrawUp
Latina (LT) - Viale Le Corbusier, 421
Email: [email protected]
Sito: www.edizionidrawup.it
Progetto editoriale: Edizioni DrawUp
Direttore editoriale: Alessandro Vizzino
Grafica di copertina: Roberto Di Mauro per Edizioni DrawUp
I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.
Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta o diffusa,
con qualsiasi mezzo, senza alcuna autorizzazione scritta.
Seppure ispirato da una storia vera, ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
ISBN 978-88-98017-82-9
Leopoldo Chiummo
ledandzeppelin
Storia d’amore precaria
“Assurdo cosa accadde
quando ti vidi per la prima volta,
portavo un cuore entrando nella stanza
ma uscendo non lo avevo più.
Amore come vetro,
lo infranse al primo colpo.”
(Marco Castoldi)
ZERO
È paradossale. La fica spesso tira più del cazzo e i sogni delle volte si avverano. Mica sempre. Avere un vicino di casa che tiene la musica a palla
dalle dieci del mattino fino a mezzanotte circa, per esempio. E spesso ci
canta sopra con veemenza ed armonia devo dire, tutta musica di mio gradimento, è assurdo, a fine mese lo bacerò. Per la cronaca rientrato adesso
mi accoglie un Bowie d'annata invecchiato in botti di piemontese rovere,
sole giallo limone trasformato in arancio è sceso, per la seconda sera finti
temporali hanno inscenato teatrini di pioggia improbabile sopra le nostre
teste. In questa città vi è un inganno. Come in tutte le città. Ma qui appare
più evidente, l'ambiguità. E quanto ci dà fastidio quando non ci capiscono,
quando non ci ascoltano, e più non ci ascoltano e più parliamo forte, e più
parliamo forte e più ci dimentichiamo il suono dolce del piano, che non è
salita e non è discesa, è il tempo che spetta pure all’attesa, l’Arimo, semplicemente lo spazio in cui contemplare la possibile resa dei conti che dovrebbero tornare, son solo andati a fare spesa. Ed è proprio quando senti
che perdere il controllo potrebbe costarti caro che ti assale un desiderio
irrefrenabile nella carne che ti istiga a perderlo. Il controllo. È il potrebbe
che ci ammalia, il condizionale, cioè potrebbe essere pure gratis, potremmo persino farla franca, perché ci hanno sempre detto che perdere il controllo è brutto e cattivo. Il Babau. Bastava dire che era pericoloso, si poteva
stare un po’ più rilassati, tutto qua. Prontipartenzaevia.
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UNO
Sono le 18 in punto del primo di Agosto di ben duemiladieci anni dopo
quel buontempone di Gesù Cristo, io sono a Torino, e io sono Led. Parcheggio la macchina in corso Marconi e appena scendo guardo verso quella che era la finestra del suo bagno, cioè lì si faceva la doccia, pisciava, cacava, leggeva l’Internazionale, rifletteva sui massimi sistemi per ridurli al
minimo, si toglieva i peli dalle ascelle. In quel bagno anche io ne ho fatte
delle belle. Di cacate no, non mi riesce mai troppo bene andare di corpo
nei bagni degli altri poiché mi faccio un po’ di paranoie per l’odore che
posso lasciare, anzi che lascio, e talvolta raddoppio. Però ci ho fatto delle
belle riflessioni su quella tazza, magari dopo bevuto il caffè, senza fumare
però, altra cosa che non mi facilita la defecazione in ambienti estranei, dai,
la sigaretta sulla tazza del cesso mentre caghi al mattino è un lusso senza
pari talmente è dispari. Comunque, in quel bagno ci sono stato anche io,
parecchie volte, nel regno di Zeppelin, il dirigibile di morbida carne e zucchero che mi ha portato ancora una volta sotto questo palazzo, anche se lei
non abita più qua da Marzo, da quando i suoi genitori hanno deciso di
comprarle una casa nella zona di via Nizza e praticamente sbattercela
dentro, erano mesi che cercava una casa ed è probabile che ci avrebbe
messo anche tre anni prima di dire sì, prima di firmare il contratto, così i
suoi si sono rotti le palle e hanno scelto per lei. È che Zeppelin a volte pare
proprio sconnessa dal tempo, cioè, pare che non s’incontrino proprio, eppure sono in stretta relazione lei ed il tempo, Zeppelin è riuscita a fermarmi il cuore per quasi due anni, e pure il cazzo, senza dubbio alcuno.
Mi avvio con felpato passo verso il prato del Valentino dove mi attendono
Marisol e Syd and Barrett che mi terranno compagnia in questo Agosto
metropolitano torinese, o meglio, Sansalvariese, perché per me questo
quartiere, San Salvario, è il vero centro della città, il resto di Torino è periferia. Il fatto è comunque che da qualche tempo a questa parte ricomincio
a sentirmi sano, perché l’amore a volte è una patologia, saprò come estirparla
via? Alla radice, al quadrato, e in fondo e mica tanto in fondo posso ritenermi un uomo fortunato, o dovrei dire un ragazzo, perché a quasi trentott’anni questo mi sento nell’età del precariato. Mi lascio alle spalle Mar8
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coni ed ecco di faccia il Castello del Valentino, che città quadrata piena di
angoli tondi, Torino, la mia amica Marisol mi ha appena mandato un messaggio in cui dice che mi attende sul balcone principale sotto il sole sopra
il verde del giardino, insieme a lei mi darà il benvenuto per questo mese
piemontese anche Syd, mentre Barrett si vedrà forse domani, oggi ha portato altrove le sue mani. Il radiologo e il macchinista. Si prospettano leggere sere, che a volte ti sembra proprio di stare al mare qui, anche se circondato dalle Alpi, alcuni locali del Valentino ti danno persino la stuoia
per stenderti nel prato come su di una grande spiaggia verde, e ancora
oggi ciò che a volte mi fa sentire fortunato è il respirare l’aria da disteso
nelle notti estive a guardare le stelle senza troppe menate, risentimenti,
dolori. Attraversata la strada da macchine e tram avanzo spedito, ho voglia di abbracciare la mia piccola e dolce amica gianduiotta ma mi fermo
un istante ancora e riguardo il palazzo che fu dei miei sogni, perché sapete, io qui davvero l’ho vissuto il sogno, e davvero questo di Zeppelin era il
regno, lei era la mia regina e la regina si sa, può fare qualsiasi movimento
sulla scacchiera. Ecco cosa è che frega il Re, il non accettare di dover fare
un solo passo alla volta. Io volevo correre. Eppure eccomi fermo ancora
qui. A macinare sguardi e sorrisi. A ricordar di me. Di quello che poteva
essere e non è stato, di quello che pareva non avrebbe mai potuto esistere
ed invece ho vissuto, e che a dirla tutta poi, detto tra noi, i sogni quando si
avverano mica sono più sogni. Diventano realtà. Che è tutta un’altra storia.
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Primo Quadro
Urbino, Mensa Universitaria del Collegio Tridente
5 Agosto 2008 ore 20.43
È il ritmo a rapirmi lo sguardo.
Una macchia di rosa colore che si distingue in maniera netta e beffarda da
tutto il resto intorno, centinaia di ragazzi e ragazze colorate all’interno
della mensa ma io d’improvviso vedo lei seppur lontana, io vedo proprio
lei, seppur lontana, la macchia di colore dal ritmo inconsueto, che a tratti
è avanguardista e a tratti desueto.
“È lei” dico ad Eddie che sta seduto di fronte a me pazzo beone bergamasco, biondo vichingo rapace dall’acume sopraffino, si fa un sorso d’acqua
dal bicchiere di plastica guardandomi e facendolo come
se fosse vino, sia l’acqua, sia il mio sguardo, se non fossi così cazzutamente eterosessuale, se non mi piacesse così tanto la fica e tutto ciò che le fa da
contorno giuro che me lo scoperei, un diavolo angelico, un ometto da evitare, un ometto da incontrare.
Ecco. Forse io ed Eddie non ci dovevamo incontrare, o almeno non ad Urbino, un uomo sposato da qualche anno e naturalmente con la stessa moglie e con un pargoletto di cinque anni, Eddie, ed un uomo che da nove
anni convive con la stessa donna, Led, mica più un pargoletto, io.
Trentanove anni lui trentacinque il soprascritto, ad Urbino, la freschezza
del tempo si manifesta in maniera impietosa, qui, non puoi non sentir
l’odore fresco della rosa, non c’è congestione emotiva che tenga, qui gli
odori e i sapori ti rapiscono e difficilmente hai a disposizione il denaro per
il riscatto, nel Ducato del Montefeltro la moneta è d’altro tipo, e certamente fuori corso.
“Ti ha guardato anche lei” dice Eddie.
“Davvero?”
“Cazzo sì. Secondo me gli piaci.”
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Mi sa che piace anche a me, anche se è solo una macchia di colore con
forme conturbanti, ma cazzo sembra proprio lei. Lei chi? Zeppelin. Un
giorno lo diverrà ma è come se istantaneamente io lo sapessi già. Ci sono
delle cose che si comprendono in un istante, altre che seppure ti scervelli
una vita non arrivi a comprenderle mai.
Mistero dei neuroni, rendiamo grazie a Freud.
Continuo a fissare i suoi movimenti e sento che qualcuno bussa nel mio
petto e pare proprio che insista, senza ritegno, senza scomporsi. Bussa.
Che quando l’ormone dell’innamoramento parte rimane indietro chiunque ci sia in pista, non c’è motivo, non c’è ragionamento, è un portento,
lancia saette di fuoco e baci di pietra, ti dà uno schiaffo che ringiovanisce,
l’amore ti avvolge e ti porta via con sé. L’amore è un Dio a tempo.
L’amore è una puttana di lusso. L’amore è un libro in prestito e quando ce
n’è, di amore, è consigliabile farne abuso, mica buon uso, quello vien da sé
come il male o le nuvole o il moto del mare. E soprattutto, l’amore, non
perdona. Mentre l’odio si consuma.
Sii perfetto se precipiti.
Uscendo dalla mensa incrocio nuovamente il suo sguardo, è blu di un intenso imprevisto, io vibro e non è il cellulare, bensì cellule in fermento, costellazioni di aminoacidi in delirio con desiderio e passione e paura di
cemento, vado a darmi una sciacquata di faccia, al cesso, poi veloce ritorno da Eddie e basta uno sguardo complice e il motore è avviato,
ciak si gira, e tra l’altro, buona la prima.
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Quadro Secondo
Clusone, Bergamo
15 Agosto 2008 ore 18
“Certo che sei bello carico in questi giorni, l’Università ti sta facendo bene.”
Scorriamo tra i monti della Val Seriana io e Micol e due bestie pelose a
quattro zampe, scorriamo in macchina, a piedi, cantando e ululando e facendo quello che ci va, io son su di giri di brutto, arrivo da giorni di corteggiamento a Zeppelin che si sono coronati in un abbraccio alle tre del
mattino su di una terrazza del campus, niente di più, ma per me tutto.
Sento che è solo il primo passo, non devo avere fretta, peccato che poi ce
l’avrò e già lo so, spesso si fa così, ci diciamo delle cose e poi facciamo
tutt’altro, ma so che tra dieci giorni la rivedrò ad Urbino, mentre adesso
sono qui e questa attesa è carica di speranza, il delirio è tale che io posso
addirittura apparire innamorato della donna che in questo momento ho in
parte. Micol. Una donna buona, una donna mansueta e semplice, ha un
suo fascino che custodisce senza malizia, una donna su cui puoi contare e
da nove anni conto su di lei e lei conta su di me.
Le relazioni, talvolta, divengono matematica. Un insieme di numeri.
Cioè lei vede un uomo energico, entusiasta, che si ferma nei prati a fare il
giocoliere con tre limoni, che corre coi cani, che canta canzoni in macchina, gioca a carte, è gentile, premuroso, è l’uomo dei sogni insomma.
Però non scopa.
Son tanti davvero tanti giorni che io e Micol non facciamo all’amore, quasi
sei mesi, e possiamo dire e fare tutto quello che vogliamo ma quando un
maschio e una femmina convivono sotto lo stesso tetto e non scopano
qualcosa non funziona, cioè quando non è una scelta intendo,
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nel senso che non è che io mi scopo mia madre perché vive sotto il mio
stesso tetto o la fidanzata del mio migliore amico in casa durante una vacanza, anche se ammettiamolo il pensiero viene, non sulla madre, sulla fidanzata dell’amico, cioè è un istinto del tutto normale, sano, così come diventa insano il non saperlo gestire.
Certo,
se ti viene anche sulla madre, il pensiero, i casi sono due, o sei Jim Morrison o è meglio che ti fai vedere da qualcuno che ne capisce.
Ma uno bravo però.
Comunque quando un maschio ed una femmina che stanno insieme non
trombano più vuole dire che la musica sta finendo.
Se già non è finita. Dai.
Insomma poi da settimana scorsa che ho visto Zeppelin il mio cazzo è come un ago di bussola orientato verso Urbino ma tutta l’energia prodotta
da questo innamoramento io la posso usare per qualsiasi cosa, che potere
immenso, peccato che Micol lo scambi ancora per amore.
Per lei. Eppure io semplicemente sembra proprio che me ne fotta, perché è
pure questo in realtà, l’amore. Fottere.
Ma è diretto altrove, questo amore, quindi Micol è fottuta.
E così questo teatro colorato montano che stiamo vivendo io e lei presto si
potrà trasformare in un teatro degli orrori, come ci illudi Tom,
di essere ancora tutti vivi,
mentre guardiamo sempre dall’altra parte.
Interiori.
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L’ombra del tradimento incombe su di ogni coppia poiché la coppia è
formata da due singoli ed il singolo, per sua natura, è il frutto di un tradimento.
E poi succede che ci dirigiamo in macchina verso casa io e Micol spensierati anche se dissonanti, ma
non lasciar che il tuo percorso ti divori il ventre,
è la fine,
quella più importante.
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Quadro Terzo
Urbino, Collegio Universitario Il Tridente
23 Agosto 2008 ore 04.32
È come volare questa notte.
Precipitando nella profondità verso l’alto. Dopo cinque giorni in cui ha
provato in tutti i modi ad evitarmi ora è tra le mie braccia, la notte è fresca, giochiamo con mani e labbra nel piazzale davanti all’entrata del collegio, ed è una sensazione assolutamente naturale, intima, per me.
“Fammi dormire da te” le dico.
Non credevo che il mio primo tradimento lo avrei vissuto così, in realtà
pensavo non sarei mai stato in grado di tradire, diciamo non ci avevo mai
pensato sul serio, ed ora lo sto facendo e non mi sento per nulla imbarazzato, né colpevole, né un cazzo di niente, c’è solo questo momento, le sue
labbra, gli occhi che le si chiudono, il suo continuo ondeggiare tra il resistere e l’arrendersi che m’ingrifa come un tacchino giapponese che sente
l’odore dell’alba che significa cibo, sai carne fresca, non so dirti perché, ma è
dentro te che sei solo,
è dentro te che sei re.
“No dormire no, puoi venire da me per venti minuti” dice lei.
“Ma che vuol dire venti minuti scusa?” chiedo io ridendo.
“Vuoi che te lo dica in secondi? Queste son le regole. Nemmeno ti conosco” aggiunge serafica.
Io è la prima volta che tradisco, lei no. Si vede. Lei conosce le regole del
gioco. E quando siam dentro in pochi secondi ci spogliamo per metà, la
parte sopra, non c’è molta luce, solo quella della luna e ha due tette enormi, Zeppelin, la luna non so, le sfrego contro il petto e mi godo
l’abbondanza, la ricchezza e tutto questo morbido candore che mi rassicura l’animo e mi fa tirare il cazzo di brutto,
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mi struscio e glielo faccio sentire e ci abbandoniamo a letto, lei mi morde il
collo, animaletto domestico molesto, le infilo le mani nelle mutande e gioco con le maniglie della porta pelosa, è morbida e solo poco si bagna, sento qualche pelo tra le chiappe e il pensiero un po’ diminuisce l’eccitazione
ma è solo un pensiero e lo formatto e sento che anche il pelo poi in realtà
mi piace, la bacerei per tutta la notte, le mangerei le labbra,
le piccole e le grandi, berrei dalle sue gambe e le farei sentire tutto
l’entusiasmo del mio cazzo nell’averla incontrata fin su nelle pareti
dell’utero e farei tutte queste bellissime cose ed altro ancora se non fosse
che sul più bello dopo che aveva iniziato a toccarlo con lui tutto emozionato mi dice “ora devi andare.”
Io semplicemente vorrei venire.
“Abbiamo già sforato” dice con beffardo sorriso, ma che cazzo dai, un
amore a tempo sbilenco è cominciato, diciamo balengo, avrei dovuto capirlo subito,
ma io non seguo mai la prima strada,
e così quando esco dalla sua stanza senza fare troppe grinze inizia ad arrivare la luce, son tranquillo, e mica so tanto bene il perché ma mi sento
soddisfatto, forse perché parzialmente ripagato dall’investimento emotivo, anche il cazzo ed il cuore hanno la loro economia, vado sulla terrazza
e le colline del Montefeltro mi appaiono una immensa cornice variegata e
dolce che mi accoglie come in grembo, certe mattine, in Urbino, come questa qui, ti sembra proprio che puoi vivere in pace pure se il mondo è in
guerra. Me ne vado con il colpa in canna. Dunque tornerò. E lei lo sa.
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DUE
Suono di campanello. Ore 09.33 del due di Agosto sempre di duemiladieci
anni dopo quel bontempone di Gesù Cristo. Torino. No, lo dico per chi
magari tende a perdersi già all’inizio delle storie, è un fatto di solidarietà,
perché anche io sono così, cioè gli sbalzi temporali nei romanzi a volte mi
sbomballano, soprattutto se poi si tratta del romanzo della sera, di quelli
che praticamente non leggi ma li usi come sonnifero. Comunque. Non me
ne vogliano quelli svegli a cui sto rubando tempo, per i tardoni le cose
stanno più o meno così. Io ti sto scrivendo da Torino in presa diretta nella
data indicata in prima riga, sono Led, e questi capitoli sono indicati col
numero. Dopo ogni numero barra capitolo ci sono tre quadri. Del passato.
E sono sempre io che li scrivo che sono sempre Led, dal passato. Dai si capisce. Che il passato poi a volte ti fa quadrare il presente, perché mentre
vivi, qualcosa dentro di te rielabora ciò che è accaduto ed a volte è necessario fermarsi e dare un’occhiata all’elaboratore. Scrivere, ad esempio,
trovo che sia terapeutico. Di bestia. Comunque dicevamo, cioè dicevo io,
la struttura più o meno è questa. Lineare. Poi magari ci sarà qualche deviazione, una sbavatura, un’eccezione, ma è il bello dell’abbandonare ogni
tanto il copione. Comunque e insomma, Torino due di Agosto del 2010
ore noveetrentatrè. È la terza volta in mezz’ora. Che suona il campanello.
Io sono sul mio letto soppalcato e ciò che sento è la medesima cosa per la
terza volta. In mezza ora. Chico da dentro risponde: “Chi è?”. Qualcuno
da sotto pronuncia un nome ma non sento. Chico dice: “Scala centrale del
cortile, quarto piano.” Poi passano tipo tre minuti e si apre la porta e qualcuno entra e il dialogo è così: “Oh ciao.” “Bella.” “Ciao.” Come una canzone partigiana. Poi la persona esce e Chico chiude la porta d’entrata, frugola per un poco in cucina e poi si rintana nella sua stanza. Iersera ho dato
una sbirciata mentre era in bagno, Chico è un prototipo esemplare di eremita squatter, arredamento in legno, tappeti variegati, gabbietta con criceto di grandezza abnorme, la gabbia intendo, il criceto è minuscolo, televisore al plasma almeno 42 pollici messo a una distanza dal divano che se ti
allunghi ti ci perdi dentro. Ieri quando sono arrivato è stato lui a darmi le
chiavi della camera che ho affittato da Nancy e Stella, due studentesse co17
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nosciute un mese fa e che ora stanno in vacanza. Comunque quando sono
arrivato è successo così. Ho suonato. Chico dopo un bel po’ ha risposto.
“Chi è?”. “Sono Led” ho detto. “Quello della stanza, l’amico di…” e mentre ancora parlavo lui ha detto “scala centrale del cortile, quarto piano”.
“Lo so” ho aggiunto. Ma aveva già interrotto le comunicazioni. Quando
sono arrivato su con armi e bagagli e trafelato lui era sulla soglia e si è
spostato per farmi entrare e ha detto “oh ciao.” “Ciao” ho risposto. “Bella.” Ha detto lui mentre mi consegnava le chiavi. Poi ha sorriso ed è corso
in cucina dove qualcosa chiaramente cuoceva troppo. Dopo qualche minuto mentre sistemavo le cose è tornato e mi ha chiesto se avevo bisogno
di qualcosa e mi ha fatto vedere come funziona la lavatrice. “Cioè tranquillo è semplice la uso anche io cazzo” ha detto con un sorriso strano,
mezza canna in bocca spenta, pelle un po’ giallastra, svariati piercing e
sudore sparso sul viso. Sempre. Secondo me fa uso di oppio. Personaggio
interessante. Ma è un eremita squatter, per sua natura ermetico, non capti
molto da persone così, sono maschere a volte senza espressioni che solo
chi è in intimità con loro può carpirne il senso. Forse. Comunque la mia
stanza è bella, sulla scrivania mi ha accolto un biglietto delle due balorde
con dieci righe firmate dalle “piante del balcone” che mi chiedono poeticamente di essere trattate con amore. Era necessario un posto bello per
me, dopo due anni vissuti a mettere dinamite sotto le fondamenta dei miei
valori, con tutto l’amore nel pugno, e il peso sempre più scarso della mia morale.
Un posto bello ci voleva. Da dove ripartire. Sono due anni quasi esatti che
parto mi fermo e riparto, cambiando continuamente direzione, a volte
mantenendo la stessa ma tornando indietro a cambiare il mezzo. Che ha
spesso giustificato il fine. Ed il grosso mi ha divorato pezzi di anima che
credevo di aver costituito in pianta stabile, che come dice il buon Borges
tutto si edifica sopra la sabbia, nulla sulla pietra, ma è nostro dovere fare
come se fosse pietra la sabbia. Fosse facile, caro Borges. Dunque la stanza
è colorata e viva e vegeta, come le piante sul terrazzo che mi hanno scritto,
ce ne saranno una trentina e la cosa più buffa è che quasi la metà è secca,
pare che negli scorsi quindici giorni se ne sia curato Chico che me ne ha
parlato giusto appunto prima di salutarmi e chiudersi nella sua stanza.
Nel suo impenetrabile silenzio. Degli innocenti. Il letto è sopra un soppalco di legno pitturato di verde da Nancy e Stella, parquet per pavimento
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che fa sempre un bell’ambiente e poi una poltrona di quelle che ti invitano
sovente a mettertici sopra a riflettere. Magari la luce, che dalla finestra
sempre si fa strada, dal cortile variegato e sonoro. Iersera con Marisol e
Syd abbiam passato serata a base di birra in lattina sdraiati al Valentino,
Marisol era così contenta di vedermi che ha parlato ininterrottamente per
ore delle sue vicissitudini sentimentali, vabbè diciamo sessuali, perché parole sue ora si sta concentrando su farsi sane scopate piuttosto che perdersi dietro alle ondate anomale del cuore, il picco della serata è stato senza
dubbio all’ennesima lattina aperta quando ha detto che era stanca di
prendere la pillola e che anche i preservativi insomma non è che son così
sicuri e che devi star sempre in ansia perché magari si rompono o si sfilano e ti restano dentro, nemmeno il salto della quaglia la convince più, ce
ne sono alcuni che proprio non gliela fanno e di questi tempi mica c’è da
fidarsi. “E così ho deciso che mi faccio sborrare in faccia”. Ha concluso.
Problema risolto, con me e Syd che abbiamo sborrato birra dalla bocca alla
moda degli ubriaconi molesti da parco con tanto di tosse che quando fumi
e bevi tanto ti fa ridere ogni cosa ma ridere ti fa male al corpo. Che porco
il corpo. A volte. Ti chiede tossine e poi ti chiede di espellerle, bisogna
provarla per capirla quest’ambigua possibilità della natura umana. In
gran forma Marisol. Comunque. Sarà che fuma poco. In gran forma comunque anche Syd nella sua sfacciata incoerenza e in gran forma anche io
che ricerco la sostanza. Scendo dal soppalco e do un’occhiata alla stanza,
giornata lenta a ritmo reggae si prospetta, tre piccoli uccellini fatti di note
vibranti arrivano dalla finestra, metto pantofole e vado a farmi il caffè, poi
giuro che mi concentrerò per tutto il giorno soltanto su quello che c’è. Che
credetemi, è un lavoro certosino. Certo. Sì. No. Cominciamo bene. But
don't worry about a thing, 'cause every little thing, gonna be all right.
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Quadro Quarto
Stazione Centrale di Milano
7 Settembre 2008 Ore 15.03
Stazione Centrale di Milano.
Appunto. Evvirgola,
primo quasi secondo pomeriggio, almeno sette signori anziani ho visto,
vestiti con giacca e cravatta e abiti d'altri tempi e sguardi pieni di orgoglio
aggirarsi intorno ai contenitori della spazzatura ed ogni tanto allungare
una mano nella ricerca di qualcosa, che una volta vedevi i barboni fare
queste cose, questi invece la barba se la fanno ogni mattina, persone che
hanno lavorato decenni e che ora hanno una pensione da fame.
Perché una cosa è la scelta di fare il barbone, un’altra è essere obbligati
dalla situazione contingente. E la differenza si vede, la si sente, la differenza perlomeno non posso di certo non vederla io che son cresciuto a pane e Bukowsky, insalate di Kerouac, ostriche alla Henry Miller, champagne cantine Rimbaud e Cocteau, spumante cantine Tondelli e Baricco. Cose così. E ho passeggiato con la Fata Carabina per le vie di Belleville. E con
il cane. Autori che ti fanno sbarellare, che ti fanno vedere che si può vivere
diversamente da come ti è stato proposto. O propinato. Che ti aprono gli
occhi un pochino. Almeno.
Potere della parola. Potere della parola organizzata. Un forma di amore,
una stramba sostanza fatta di vocali e consonanti che portano luce laddove è necessario, laddove è richiesto.
E quando vedi che nel tuo paese i vecchi stanno così e i giovani pure peggio, se non che han dalla loro l’illusione del tempo e la tempra fisica, ti
rendi conto che è una crisi strana, che inibisce il cambiamento, perché da
sempre per mantenere le cose come stanno serve che tutto cambi. La forma. Che non ti fa arrivare a fine mese. No no. Con la forma non si campa.
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Questa è la crisi dell’ideologia più potente di sempre, il consumismo.
Per l’anima, soprattutto. Perché il consumismo a questo serve,
a consumare l’anima. De li mortacci vostri.
Centrale stazione di Milano. Dunque. Senza traccia di vergogna o preoccupazione son sbarcato, sempre una botta agli occhi la struttura imponente fascio lombarda, la vedo in piedi da lontano, Zeppelin, ha una gonna
improbabile di seta blu tendente al viola, un incrocio tra una tovaglia indiana ed un pareo da spiaggia, scarpe nere con un leggerissimo tacco e
con un’aria ed una suola molto antiche, sopra una maglietta senza un suo
senso compiuto e di quelle magliette che ti dimentichi di aver visto. E i
suoi capelli lunghi e mori.
Sopra tutto. I suoi assurdi occhi blu. Grandi.
È qualcosa che non ti aspetti in mezzo a tutto quel ciarpame armonico che
è Zeppelin nel suo insieme, sono la tipica ciliegina sulla torta ed è come se
cadesse dal cielo, sì, lo stesso blu del cielo messicano in certi pomeriggi
estivi, nuvole rapide in movimento soltanto ad intervallare per impreziosirlo.
Me lo ha fatto sudare questo incontro, Zeppelin, una maestria nella relazione che mi ha stupito e richiesto un sacco di energie ed attenzioni, si è
presa due settimane di coccoloni telefonici, ed è una donna a cui evidentemente mancano le coccole, l’ho subito capito, ma sia chiaro che lei può
vivere anche senza, le coccole, se il prezzo da pagare è divenire dipendente di un maschio. Anche questo ho capito. Purtroppo. E anche per fortuna.
Eppure è proprio lei che quando le arrivo accanto in questo pomeriggio di
fine estate milanese si lascia andare ad un abbraccio che lascia trasparire
un moto di passione interno non da poco ed insieme agli occhi blu ed alla
maestria nella relazione anche questo abbraccio mi stupisce.
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Questa donna sembra un uovo di Pasqua cazzo.
L’uovo di Pasqua cazzo è un elegante articolo per signore insoddisfatte,
non mi dilungherò in dettagli, non adesso. Ora c’è Zeppelin, ed il suo abbraccio un po’ mi imbarazza, per qualche attimo mi sembra di non avere
la più pallida idea del perché mi trovo qui in mezzo a tutta questa gente
con al fianco una donna con indosso una stramba tovaglia pareo che per
due settimane ha resistito senza tregua alle mie avances telefoniche ed ora
è più felice di me. Di esserci.
La vita è ironica, l’ironia è vita, e allora mentre camminiamo le guardo i
fianchi, ha un’eleganza selvaggia nel camminare, quasi
don
do
la,
e questo mi mette allegria, appena usciti dalla stazione le guardo fugacemente il seno ed istantaneamente mi ricordo un buon motivo del perché
mi trovo qui, me ne rallegro, e per il momento mi basta, prevedo che nel
giro di qualche ora potrei affondare la mia faccia in mezzo a due gran belle tettone.
O almeno credo. Mica tanto sicuro. Sta donna è imprevedibile.
Saltiamo in macchina dopo aver caricato la sua valigia e lei mi offre uno
snack dietetico, iniziamo a dirigerci verso l’autostrada ed io sento
l’abitacolo già rovente, parliamo e parliamo e smaniosi di vita, ci dirigiamo verso Sud, il Montefeltro magico, il Ducato, maciniamo chilometri e
parole e nel mentre stiamo entrando in Romagna ecco che arriva chiamata
di Micol. Uno squillo e rispondo.
“Dove sei?”
“In macchina.”
“Spiritosone…E che regione sta solcando la nostra macchina?”
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“Emilia Romagna! Un paio d’ore e sono arrivato.”
“Stai attento mi raccomando. Torna presto, già mi manchi.”
“Lo so. Dai ti chiamo quando arrivo. Bacio.”
Come se nulla fosse. Ma nulla fosse non lo è mai.
Zeppelin ascolta in silenzio con occhi sbarrati, poi si gira verso di me e dice “ma come fai? Pazzesco…Scusa eh, non voglio giudicare, è che non mi
son mai trovata in una situazione del genere, di amante ufficiale diciamo…Ne ho fatte anche io in passato, ma così mai…”
Ecco cosa è che attrae Zeppelin, che ha trovato un suo simile più sfacciato
di lei, Zeppelin ha tante facce ma certo io sono un circo,
e in quanto tale, itinerante.
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ledandzeppelin
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Quadro Quinto
Urbino, Collegio Universitario La Vela
8 Settembre 2008 Ore 01.08
“Certo che hai proprio un cazzo strano eh…
Queste due alucce di pelle ai lati…Sembra un po’ un angioletto di rosa
carne…Certo è grosso. In punta. La circonferenza dico. Largo, anche abbastanza lungo, un po’ floscio alla base però. E poi non ti sembra un po’
grigio? Secondo me è poco irrorato dal sangue…E l’odore. Sai che l’odore
mi ricorda i pop corn? Che roba! Ecco Led, il tuo cazzo sa di popcorn.”
Zeppelin è nuda tra le lenzuola bagnate di sudore e di sperma, è bellissima, una cosa mai vista, a vederla vestita non penseresti che ha un corpo
così, quando è nuda è uno schianto. Dei fianchi fini, cosce forti, due tette
belle grosse, le più belle che abbia mai visto e sono un intenditore eh, diciamo un amatore, le tette di Zeppelin sono assolutamente incuranti della
legge di gravità, spavalde e fiere, un culo un po’ piatto ma tutto sommato
generoso.
E seziona il mio cazzo Zeppelin, lo tiene tra le mani, lo osserva attentamente, e ad alta voce e divertita ne fa diagnosi accurata con ostentato accento piemontese che sembra sempre che ti pigliano un po’ per il culo.
Non le sono entrato dentro, stasera, abbiamo giocato tantissimo, io l’ho
baciata ovunque. È tanta. E mi sono perso spesso. Lei invece è sempre sul
pezzo, sostiene che quando scopa lei prende il cervello e lo mette in un
cassetto del comodino e se non c’è il comodino lo lancia per terra, chissà
se si ricorda sempre di rimetterselo però, che alcuni momenti sembra proprio sconnessa.
Nelle ultime due settimane mi ha fatto delle paranoie allucinanti, quando
le ho detto che convivevo da nove anni ancora un po’ le partiva un embolo, mi ha insultato per il fatto che non gliel’ho detto subito, io me la sono
cavata dicendole che mica me lo aveva chiesto,
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Leopoldo Chiummo
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ha insistito per quindici giorni sul fatto che non voleva più saperne niente
di me, che ero un falso e mi ero preso gioco di lei, nonché della mia convivente.
“E vabbè dai” le ho detto. “La stai mettendo giù dura.”
Poi a furia di sms ironici e graffianti ha dismesso la sua resistenza ed ha
accettato di venire giù in macchina con me. Una volta salita, a Milano, le
ho detto che avrei voluto passare cinque giorni insieme a lei, senza menate, senza doverla inseguire. Lei ha detto di sì, e dopo un’ora di viaggio mi
era già addosso.
“Sai che non avevo mai sentito nessun uomo urlare così per un orgasmo?”
dice lei ed aggiunge “una sega poi. Hai ululato quasi! Anzi senza il quasi.
Ma godi sempre così?”.
Io semplicemente la guardo, non mi sembra vero di essere qui, mi sento
assurdamente nel posto giusto nel giusto momento, eppure a meno di
cinquecento chilometri da qui una donna sta dormendo ed attende il mio
ritorno e mai si sognerebbe che son qui a far cose porno, sono qua per dare un esame dopodomani ufficialmente, antropologia culturale, ma non
ho studiato un cazzo,
in compenso c’è Zeppelin che studia attentamente il mio.
Dove sei stata fino ad ora? Penso.
“Ma a te piacciono i pop corn?” Dico.
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ledandzeppelin
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Quadro Sesto
Urbino, Collegio Universitario Il Tridente
12 Settembre 2008 Ore 15.30
Sì.
A quanto pare le piacciono i pop corn. E di brutto anche. Abbiamo scopato selvaggiamente per quattro giorni e ogni giorno sempre meglio, sto godendo come un pazzo, ho degli orgasmi sbalorditivi e riesco a durare anche tre ore, mai successa una roba simile.
Neanche trovarmi fuori dalla sala del medico di un campus universitario
in attesa di una donna che si sta facendo prescrivere la pillola del giorno
dopo. Mi era mai successo. Il preservativo. Mi sembrava a me che sentivo
troppo bene…La sua fica. Quando son venuto mi son reso conto subito
dopo che qualcosa non era andato per il meglio, dal punto di vista tecnico
eh, per il resto tutto bene. Gran bella scopata. Preservativo sventrato. Però.
Il mio seme dentro di lei.
“Non è un problema dai” le ho detto.
Ha iniziato a piangere ed urlare.
“È un problema” ho aggiunto. “Se la prendi così.”
“E come dovrei prenderla? Ti conosco da un mese e mi hai già ingravidata!”
“Ma chi ti dice che ti ho ingravidata?”
“Lo sento lo sento lo sentoooo!!!”
“Dai cosa urli...E poi vabbè, sei una psicologa cazzo, non vorrai mica dirmi che adesso basta una sensazione a dire che sei incinta…Daii…Stai calma…”
“C’è sempre l’aborto eventualmente…” dice lei a voce quasi bassa.
“No dico ma sei scema? Lasciamo stare tutta l’implicazione di natura etica
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Leopoldo Chiummo
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che non ho proprio intenzione di affrontare, dai dopo una scopata così
farsi ste menate…Ma hai idea di che evento interiormente devastante può
essere per una donna?”
“E tu che ne sai?”
“Ne ho conosciute. E poi cazzo dai prova a pensarci. No piuttosto se le cose non vanno me lo tengo io va bene? Sì se non lo vuoi me lo cresco io.
Senti come lo dovremmo chiamare?”
“Dai Led!”
“Ma dai che?”
“Dai che vediamo se troviamo una pillola. A me sembra proprio una cazzata rischiare…Manco ci conosciamo…”
“Un po’ si dai, facciamo all’amore da quattro giorni. Sono sempre dentro
di te e tu sei sempre dentro di me.”
“Sì, come l’alta marea che scompare e riappare portandoci via…Siamo seri dai
per favore…Senti, diamoci una mossa va, più tempo passa più le probabilità che un tuo spermatozoo attecchisca aumentano.”
“Cazzo però come sei scientifica. Più scienti che fica. Andiamo.”
“E dove?
“Mo’ vediamo.”
E così Zeppelin si è andata a dare una lavata e io mi son vestito così come
ero e ciò che sono in questo momento è un miscuglio di demenza, saggezza, lucidità e confusione. Fuori dalla sala del dottore. Chissà che cazzo le
sta raccontando. Dentro di me spero che le stia prescrivendo la pillola di
modo che si tranquillizzi, allo stesso tempo sogno che lei esca fuori e mi
dica “Led, ho cambiato idea, io questo figlio lo voglio”. Sto partendo per
la tangente. Io. Mi sa che son cazzi. Mi sa che sto sbarellando. Speriamo
che parta anche lei su questa tangente, speriamo che scenda dalla sua barella o altrimenti me la dovrò smazzare da solo. Questo è già chiaro.
Quando esce fuori sventaglia la ricetta tutta soddisfatta e sorride, poi mi
dà un tenero bacio.
“Andiamo in Farmacia?” dice.
“Andiamo in Farmacia!” dico.
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E così ci incamminiamo verso il centro di Urbino mano nella mano e un
po’ dementi ridiamo e scherziamo, ho addosso il suo odore e spero che a
lungo rimanga, tra poche ore riparto per Bergamo e son davvero frastornato ma leggero, mi sento paradossalmente ripulito, totalmente immune
dal senso di colpa, ogni pensiero di natura morale mi scivola addosso e
cade per terra e resta dietro di me, Zeppelin invece mi cammina al fianco,
io sto al suo leggiadro passo e non mi sento stanco, ecco la sensazione che
ho quando lei è vicino a me,
è che tutto mi appare possibile, passiamo sotto Palazzo Ducale, come
sempre dal collegio al centro si apre di bellezza il borgo Mercatale, che città fuori senso, che saliscendi medievale, quando arriviamo nell’unica
piazza urbinate la luce verde della Farmacia ci appare dinnanzi.
“Comunque sei sempre a tempo a cambiare idea eh” dico. “Se vuoi parliamone, per me non c’è problema, anzi” aggiungo.
“Adesso entro a prendere la pillola, poi la butto giù, e poi ancora parliamo
di tutto quello che vuoi prima che parti. Certo che se proprio fuori tu
eh…” dice Zeppelin sorridendo e dandomi una carezza.
“Senti chi parla…Ascolta, aspetta un attimo ad entrare dai, fumiamoci
una sigaretta qua seduti, guarda che teatrino sta piazza.”
“Va bene, minuto più minuto meno, mica attecchirà proprio adesso il tuo
spermatozoo. Che poi magari sei anche sterile. Magari lo sono io. Bo. Che
storia però eh?”
“Ma che storia cosa? Prenditi sta sigaretta...”
“Che ora è?”
“Le cinque.”
“No allora no.”
“Cosa no?”
“La sigaretta. Non fumo mai prima delle sei di solito.”
“Cazzo e poi sono io fuori, ma cosa vuol dire che non fumi prima delle
sei?”
“Mi dà fastidio. Non so perché. Poi alla sera mi piace. Dai, lo sai che ho le
mie stranezze. Senti tu fuma ed io entro, prima lo faccio prima mi tolgo il
pensiero.”
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Leopoldo Chiummo
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E così si alza e va, io mi accendo la sigaretta, tra poco scade il tempo ma io
mica c’ho fretta, “Zeppelin aspettaaaa!!!!” urlo d’improvviso, “i soldi. Ce li
hai i soldi?”
“No. Non li ho. Tu ce li hai? Cazzo se sono sbarellata.”
“Meno male…”
“Cosa meno male?”
“Che sei sbarellata.”
“E perché?”
“Poi te lo spiego. Basteranno venti euro? “
“Sì bastano.”
“E tu come lo sai?”
“Non è la prima volta che la prendo.”
“Come non è la prima volta che la prendi? Ma che si prendono così le pillole del giorno dopo? Ma che cazzo dai!”
“E dammi sti soldi su, stai tranquillo, mica ne ho prese quaranta, questa è
la terza volta. Magari speriamo l’ultima. Oh ma sai che è una bomba ormonale non da poco? Ben per te che parti…”
“Dai non la prendere allora…Lasciamo che anche il Fato faccia il suo mestiere, se facessero tutti come te sarebbe disoccupato, il Fato. E poi tu sei
bella come una fata…”
“Led la smetti di fare il coglione e mi dai sti venti euro?”
“E va bene. Torna presto. Divertiti e porta il resto. Senti poi prima che parto facciamo ancora all’amore?”
Zeppelin prende i soldi e scoppia a ridere, mi dà un bacio sulla guancia,
questa volta entra davvero. E quando lei ride a me si apre il cuore.
So mica il perché. Riaccendo il telefono, l’ho tenuto spento tutto il giorno,
messaggio di Micol.
“Ma si può sapere dove sei?”.
A saperlo. Ecco dove sono. Te lo direi.
Forse.
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TRE
Di Agosto. E sempre duemiladieci. È quasi mezzogiorno e mica riesco a
togliermi le lenzuola di torno, è che iersera tarda è comparso finalmente
Barrett di ritorno dal lavoro e abbiam fatto ore piccole che poi abbiam
chiuso bene bene in una buona bottiglia di vino proprio buona e svariati
San Simone, il dolce amaro piemontese. È in delirio. Barrett. Storie chiuse,
storie aperte ed altre socchiuse, ce ne siamo andati a mangiare in un localino egiziano e lì mi ha confidato che porca puttana non riesce ad avere
una relazione stabile. Gliela fa mica. Sarà che ha solo trentatré anni, sarà
che il precariato sociale si trasferisce anche nelle emozioni, sarà quel che
sarà ma Barrett al momento ha ben cinque baccagli attivi. Uno ancora in
embrione, due con limone duro e mani che correvano e due con chupa
chupa dance regolari. Per chi non fosse avvezzo allo slang torinese ora
traduco. Dicesi “baccaglio” il corteggiamento, in genere. Non soltanto tra
uomo e donna, anche se viene soprattutto utilizzato per questo, ma ad esempio se una persona ti può servire magari per un posto di lavoro, allora
te lo devi “baccagliare”. Quindi avere dei baccagli aperti significa avere
delle relazioni aperte che poi possono essere di varia natura, o diciamo
che hanno diversi stati e strati di evoluzione. Prendiamo tra un uomo ed
una donna che si attraggono. Ad esempio. Il primo stato è quello dello
sguardo, o del parlare, quello insomma dove non è successo ancora niente
ma si sente che qualcosa può succedere. È l’atto primo del baccaglio,
l’aggancio dell’istrice. Il secondo passaggio è il “limone duro” che solitamente è associato a “mani che correvano”, perché il limone duro è quando
ci si caccia la lingua in bocca e dai si sa che quando ti baci con una poi le
mani iniziano a correre, altrimenti non è un vero limone, o perlomeno non
è duro. L’ultimo stadio è il “chupa chupa dance”. Fantastico. Letteralmente, la danza del chupa chupa. Dai questa posso anche non spiegarla, si capisce. Insomma il baccaglio è l’arte della seduzione e la seduzione ha a che
fare con la cura del dettaglio e la cura del dettaglio senza visione
d’insieme è stupidità. Però. La visione d'insieme senza cura del dettaglio è
pigrizia. Avere visione d'insieme e poi curare il dettaglio è saggezza. Speziata di vanità. Quest’ultima condizione produce stabilità nella persona, in
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Leopoldo Chiummo
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una relazione, nell’economia emotiva di una famiglia, persino in
un’organizzazione. La cura del dettaglio fine a se stessa altro non è che
nascondersi dietro ad un dito, il mignolo peraltro, storto perfino. E per segno. Di segno in segno. Disegni. Rappresentando la vita a colori su foglio
bianco, che è così difficile comprendere che fosse un albero, prima. Quel
foglio bianco. Debilitare i polmoni della terra per disegnare, scrivere, pulirci il culo, soffiarci il naso, infilarci panini di farina putrida e tutto questo
senza rendercene conto, perché abbiamo la malsana convinzione che non
lo pagheremo noi, il conto. E qui sta l’errore, qui si nasconde gran parte
del delirio dell’uomo, perché credere che se i dettagli sono al loro posto
allora tutto va bene è pensiero magico e tra l’altro di mediocre fattura, un
tentativo di autoipnosi di bassa lega, quando vivi solo di dettaglio e dunque di forma generi dei mostri interiori davvero bizzarri. Ad esempio la
mia prima fidanzatina in terza media aveva una mamma con cui comunicava soltanto attraverso dettagli. Le domande della mamma erano tipo
“hai fatto i compiti? Hai piegato bene la tovaglia? Possibile che ti cambi
così tante mutandine? Non penserai mica di metterti quelle scarpe, vero?”.
Mai una cazzo di volta che le facesse una domanda tanto semplice tipo
“come stai? Cosa provi? Cosa senti?”. No, queste sono domande che necessitano di spazio emotivo ma sua mamma se lo faceva già riempire
dall’amante. Lo spazio emotivo. C’è stato un periodo che anche io son stato fissato col dettaglio, soprattutto in un corpo, che poi in realtà non cercavo un dettaglio qualunque, io cercavo l’errore, la disarmonia, la disillusione, se qualcuno non era perfetto non meritava il mio amore. La verità è
che mi faceva cacare sotto, l’amore. L’assenza del controllo. Perché il dettaglio non ha nulla ha che fare con un difetto, il difetto è giudizio. Universal provinciale. Che una cosa è trovare un difetto e dunque dare un giudizio dopo una conoscenza d’insieme, ed un’altra cosa è farlo prima. Per la
famosa pigrizia. Famosa perché ti vizia. Formosa, la pigrizia. Giudicare
prima è pregiudizio, il diletto rifugio della mente ottusa nell’etichetta del
luogo comune, un recinto per maiali molto spesso è, il luogo comune, perché sono i maiali che si mangiano di tutto e che quindi si bevono ogni cosa, e se ti fermi all’etichetta non assaggerai il contenuto, contento tu, con te
nuto. Festiti dai che fa freddo. Rifugiati. Rifuggi. Chiedi asilo politico. Perché è lì che devi andare, al limite, con il tuo cazzo di luogo comune,
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ledandzeppelin
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all’asilo. Lo zoppo. Il negro. Il down. L’albanese. Lo zingaro. L’antipatico.
Il brillante. Il napoletano. Il muratore. L’ebreo. Il frocio. La lesbica. La troia. La tettona. Il figo latino. La figa di Latina. Il culo delle brasiliane. In culo alla balena. Tutte etichette prive di profondità, senza briciola di conoscenza. Ora, non è che tutto debba andare approfondito, sarebbe assurdo
il pensarlo possibile, ma tutto quello che si può sì, dai. E le persone, almeno quelle, non trattiamoci come scatole di legumi relegati in corsie di supermercato con luci bianche e musiche da centro commerciale, e quanto ci
fa male la delicatezza che ci usiamo per non farci male? Se vogliamo incontrare
l’altro dobbiamo assaggiarlo. Almeno. Siamo tutti meccanismi
nell’ingranaggio ideologico del consumo, compratori e venditori d’anima,
frequentatori di balere vestite da disco dance d’avanguardia che poi chissà che cazzo ci avrà da avanguardare la disco dance, non lo capisco neanche un pop. Mentre ti uccide l’anima, proprio come tutto il resto fa. L’occidente
così come lo abbiamo conosciuto ha i giorni contati, finché ci saranno contanti, e pare proprio che ce ne siano pochi, con tanti, e chi non affronta mai
seriamente i problemi ma li rifugge diventerà esso stesso un problema.
Anzi. Il. Senza soluzione, senza peso specifico, con la capacità critica di un
coglione. E così parlando di donne e di uomini e di quanto spesso siamo
coglioni noi, a fare sempre gli stessi errori, a infatuarci sempre delle stesse
forme, a credere che un giorno cambierà mentre adesso stiamo legati a
denti stretti a quello che siamo, eccoci arrivati a cavallo della notte, e parlando e parlando io e Barrett siamo giunti a convenire in accordo alcolico
che uno dei segreti per mantenere l’armonia di coppia è quando uno dei
due arriva dove non arriva l’altro e viceversa. L’importante è non incontrarsi mai, o almeno non troppo spesso, che mica è sempre detto che bisogna entrare per forza nel mondo interiore di un altro, delle volte basta anche gravitarci attorno. E che per farla durare, una relazione, bisogna perdonare in continuazione, perdonare all’infinito. L’altro e se stessi. A riuscirci, però. E dunque Barrett ha scandagliato la sua situazione sentimental sessuale ed è stato un piacere ascoltarlo che poi ad un certo punto sfocato mi ha chiesto di Zeppelin. “Non lo so”, ho risposto. “Per adesso”. E
poi ci siam calorosamente salutati e ritirati nei rispettivi appartamenti, rifugi metropolitani, io Via Ormea e lui zona Lingotto, quando mi sono adagiato sul cuscino ero bello cotto, le ultime cose che ci siamo detti son
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Leopoldo Chiummo
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più o meno queste. “Senti Led, ma non è che sarebbe ora di diventare adulti? Cioè, io ho quasi trentaquattro anni, tu trentotto…No?”. “Cazzo
Barrett, è che bisogna diventare sì adulti, ma si dovrebbe anche continuare
a nutrire il bambino che c’è in noi…O forse dovremmo smetterla con sta
storia…”. “Quale storia?”. “Quella del bambino dentro di noi. Anzi, facciamo così, teniamolo anche vivo sto bambino dentro di noi, ma glielo vogliamo dare un padre e una madre?”.
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ledandzeppelin
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Quadro Settimo
Bergamo
13 Settembre 2008 Ore 00.45
È la prima volta che l’idea di fare un figlio mi ha davvero sfiorato.
Anzi toccato. Era una cosa a cui avevo oramai rinunciato e senza rinuncia
peraltro, poiché mi stava bene così. Quando ho conosciuto Micol lei aveva
quarantadue anni e due figlie, quindi ho sempre saputo sin dal primo
momento che non avremmo avuto figli, anche se nei primi tempi nella
botta dell’innamoramento ci avevamo pensato per poi metterci una pietra
sopra, come si suol dire, con il passare del tempo. Eppure con Micol credevo che alla fine ci sarei stato per sempre nonostante la differenza di età,
stavo bene con lei, davvero, non ho rimpianti né rimorsi, non cambierei
per nulla i nove splendidi e splendenti anni passati ad assaggiare ogni cosa, insieme.
Il fatto è che non ho mai tenuto conto della forza biologica dentro di me. E
dell’Estate Urbinate. E delle tette di Zeppelin. E degli occhi blu. Della ritrovata beata perduta gioventù. Della calma e della fretta. E chi più ne ha
più ne metta.
Sto viaggiando di ritorno verso Bergamo dove proprio Micol mi aspetta,
anzi sto scorrendo di modo di arrivare prima di lei che sta ad un corso di
Yoga, ho in testa soltanto di arrivare a casa, farmi una doccia, ficcarmi nel
letto e dormire o almeno fingere quando lei arriverà, son talmente pieno
di Zeppelin che se arrivo dopo di lei potrebbe persino vederla accanto a
me tanto è presente in questo momento, d’altronde, se vuoi indietro la tua
vita devi anche tradire,
tutto ciò che hai sempre amato giace in una fossa,
che han scavato le tue stesse ossa.
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Leopoldo Chiummo
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Questi cinque giorni son stati assurdi, ci siamo davvero risucchiati l’un
l’altro in un vortice che mi sa ci metterà un bel po’ prima di fermarsi, una
giostra di sensazioni ed emozioni che ci ha portato davvero in alto, poiché
siam stati praticamente quasi sempre a letto, da basso, nelle poche uscite
che abbiamo fatto per Urbino o al campus sembravamo ovattati da una
protezione invisibile che ci rendeva tutto distante e surreale, tutto era per
noi, e nulla poteva farci del male.
Ma ora giungo davanti al parcheggio di casa senza nessuna protezione,
cazzo quanto mi sembra già lontano questo luogo. È impressionante. Mi
sento improvvisamente, dopo nove, dico nove anni, un estraneo, mi tremano le gambe quando scendo, vorrei tornare indietro, giuro risalirei in
macchina e ripartirei per andare a baciare Zeppelin.
Mi incammino verso garage. La macchina di Micol non c’è. Sento i cani
che abbaiano da dentro. Mi riconoscono. Salgo veloce fugacemente e saluto le bestie, e questo per un momento mi fa sentire a casa, per il resto mi
guardo attorno ed ho la netta sensazione che a breve queste mura non mi
vedranno più. Certo adesso c’è da vedere il come.
Ci sarà da ridere. Ci sarà da piangere.
Mi spoglio e corro in doccia, butto i panni in lavatrice e mi centrifugo di
acqua calda e sapone, l’odore di Zeppelin, deve andar via almeno il suo
odore. Mi dispiace però.
Quando Micol rientra io sono sveglio nel letto, mi giro di fianco e fingo di
dormire come un angioletto, la sento che si avvicina e mi dà una carezza,
le ho detto al telefono oggi che non ho passato l’esame e lei mi ha pure
rincuorato come solo lei sa fare, porco cane tutto questo non lo avevo
messo in conto e presto sarà tempo di passare alla cassa e ho la vaga impressione che sarà salato, questo conto, Micol si infila nel letto e mi abbraccia, io sussurro qualcosa di incomprensibile così come si fa quando si
dorme. Ma son sveglio. Come un grillo ubriaco fornicatore. Il contatto con
la sua pelle mi ricorda dove mi trovo, ho un sussulto nella pancia,
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ledandzeppelin
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penso che non posso tirarla mica lunga questa storia, Micol non si merita
una cosa così.
Bel pensiero del cazzo. Dato che già gliel’ho fatta. È da più di un mese
ormai che ho una vita parallela che lei ignora. Forse. Micol è bella e cara
ma mica è scema, domani comunque troverò la forza di parlarle, non so
cosa dirò, di certo devo dirle tutto il prima possibile, prima però voglio
sentire Zeppelin e prima di chiudere gli occhi è a lei che penso, mentre
abbraccio Micol.
Sento di avere aperto una di quelle porte che poi non si chiudono mai più,
devo attraversare tutta la stanza e andare ad aprire anche quella sul fondo, ci vuole forza qui, e mica basta l’amore, ho da generare corrente, Micol
russa leggero, mi dispiace penso, ma lei mica mi sente, e poi non è così vero dai, che mi dispiace, della colpa nessuna traccia, e di cosa dovrei mai
sentirmi in colpa?
Di essermi innamorato? Di non sapere come si fa a gestire una cosa così?
Di non essere stato in grado di dirle subito che dopo nove anni di relazione ho visto un’altra donna e ho sbarellato? Di che cosa?
Che le voglio bene. Questo sì. Ma a quanto pare non so come si gestisce, il
bene. Figuriamoci il male. Che è quello che le sto facendo, alla fine della
fiera. Prima di addormentarmi annuso senza far rumore l’odore della sua
pelle, come sempre sa di rosa, è quell’olio che si mette, mi è sempre piaciuto eppure lo sento meno forte, stasera, ha meno presa.
Dolce Micol, chissà se sei pronta a quest’altra sorpresa.
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Quadro Ottavo
Bergamo
13 Settembre 2008 Ore 18.18
“Hai sentito di Tom?”
“E chi è sto Tom? Il navigatore?”
“Tom che se ne è andato via! ”
“Dai Led che cazzo dici? Raccontami di ieri…Cioè se vuoi eh…Non son
certo la persona più indicata per ascoltare questa storia.”
Zeppelin evidentemente al telefono non aspetta altro di sapere come è stato il mio ritorno a casa e la sento imbarazzata perché in effetti non è la mia
amica del cuore a cui confidare i miei moti interiori in relazione al fatto
che convivo con un’altra donna.
“Senti Zeppelin… Secondo te un bel Nero D’Avola o un Pinot Nero trentino da berci stasera sul filetto di manzo? Forse il Nero…”
“Ma dove sei?”
“Al supermercato. Spesa. Micol mi aspetta per cena. Non ci siamo ancora
visti, cioè ieri sera ma quando è arrivata io dormivo già.”
“E stasera come pensi di gestirtela?”
“Non ne ho idea…Quando sarò lì ci penserò…Micol è una donna intelligente. Ma ora sto al telefono con te…Sai che hai una voce bellissima al telefono? Mi attizza….”
“Non è vero…Adulatore…E poi a te ti attizza tutto! Sei un uomo sessuale!”
“Ma va là…Bè di te certamente mi attizza tutto…Ho già una voglia pazzesca sai?”
“Dai smettila di fare lo stupidino…E poi minchia mi sembri proprio incosciente, tra poco sei da Micol e stai qui al telefono con me ad adularmi…Come stai messo? Come ti senti?”
“Innamorato. Ecco come mi sento. Va bene come risposta?
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ledandzeppelin
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“A me sembri proprio in aria…Cioè sei qui al telefono a chiedere a me che
vino devi prendere per la cena con la tua convivente…Non è un po’ delirante?”
“L’amore è, delirante. E mi farà fare la cosa giusta.”
“Quale?”
“Ma che ne so Zeppelin! Di certo dovrò dirle come stanno le cose.”
“Ma sei scemo? Vacci piano dai. In fin dei conti ci siam fatti solo qualche
scopata. Credi sia la cosa giusta dirle tutto? Ma hai idea del male che puoi
farle?”
“Ah e allora per non farle del male devo raccontarle cazzate? Devo continuare a fingere che tutto va bene quando io ho nella testa nel cuore e nel
cazzo un’altra donna? Per la cronaca mia dolce. Tu. E non mi dire che è
stata solo qualche scopata, guarda che li ho visti i tuoi occhi blu come
scintillano! Li vedo anche ora. A proposito di ora. Come sei vestita? Che
mutandine hai?”
“Lo vedi che sei fuori?”
“E perché tu stai dentro invece…Che hai fatto oggi? Hai studiato?”
“Un po’ dormito e un po’ studiato, sono stanchissima, adesso era da due
ore che mangiavo mandorle e fissavo la parete. Ogni tanto la finestra. Belle le colline vero?”
“Sì, belle tesoro mio. Presto le rivedrò e rivedrò anche te. Ora vado, son
quasi alla cassa. In ogni senso…”
“Mi raccomando non fare cazzate dai…”
“Tranquilla. So quello che faccio.”
Metto giù il telefono,
nella tasca,
dopo bacio virtuale.
Evidentemente sono un inguaribile ottimista.
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Leopoldo Chiummo
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Quadro Nono
Bergamo
13 Settembre 2008 Ore 20.07
Micol è di fronte a me.
Siam seduti nel nostro bel salotto. Per terra, come nostra consuetudine sui
cuscini intorno al tavolino dell’Ikea, mobili vecchi ed essenziali ai lati della stanza, lampadario sempre dell’Ikea sopra la testa e sul fondo, eccolo là,
sul fondo, il nostro televisore nuovo 42 pollici a cristalli liquidi della Philips, tecnologia ambi light, una figata pazzesca, bisogna provarlo, ai lati
dello schermo ha dei micro faretti che illuminano la parete in movimento
a seconda dei colori che ci sono in onda,
su onda,
che ti sembra di essere un po’ al cinema.
Il quadro è rassicurante, in generale, è una delle tante serate in cui io e Micol ci concediamo del buon vino, carne presa dal macellaio di fiducia, un
bel film, qualche coccola sul divano e poi a nanna tranquilli, felici di quelle piccole cose che alla fine fanno grande una relazione, peccato poi ti accorgi che diventa così grande che ad un certo punto scoppia,
è dura da ammettere ma è difficile poi ritrovarsi tra noi con addosso dieci anni
insieme, l’abitudine sai, è il peggiore dei guai, si diventa come due vecchi comici,
che non ridono più, che non inventano più, che stanno lì a rassicurare il pubblico,
e io non so da che parte cominciare, mantengo un sorriso tranquillo e verso il vino, Micol sembra rilassata e felice di essere qui in questo momento,
negli ultimi tempi tra impegni di lavoro e studio mica ci siamo visti tanto,
ed ora eccoci qua e mentre io verso il rosso liquido di vite mi rendo conto
che una cosa è pensare di dire una cosa, ed un’altra è dirla. Questa cosa. E
cosa mai dovrei dirle mentre brindiamo con il Nero D’ Avola?
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Ah sai amore, ti ho mai detto che un mesetto fa ho visto una tipa ad Urbino che mi ha fulminato e che in sti giorni ci ho trombato come un riccio e
l’esame non l’ho passato semplicemente perché manco mi sono presentato? Cioè sai son cose che capitano amore mio, in fin dei conti in nove anni
non ti avevo mai tradita. E parliamoci chiaro, mica possiamo far finta di
negare che per quanto tu sia una donna attraente hai un bel po’ di anni
più di me. Prima o poi doveva succedere. E poi sai, l’incontro con
quest’altra mi ha fatto scattare pure il desiderio di paternità, e sempre parlandoci chiaro con te io questo desiderio mica lo posso realizzare. Dunque
tesoro mio è tempo che ci rendiamo conto dello stato delle cose. Non scopiamo da sei mesi. Io ti ho tradita. Io sento di avere nuovi bisogni ed aspirazioni e quindi sento che il mio tempo qui è finito. Io. Ma stai tranquilla
dai, mica ti mollo così. Cioè parliamone. Però è finita sai.
La verità andrebbe detta con parole semplici.
E allora decido di abbassare il volume della televisione, metto giù il bicchiere ma è Micol ad attaccare il primo bottone, “lo so cosa sta succedendo. Credi che non ti conosca?” e io ingollo un gran sorso di rosso, così, che
ce n’è di gran bisogno, “ora vediamo se indovino tesoro mio caro…” poi
conclude.
Anzi, diciamo pure che comincia.
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QUATTRO
La prima cosa che ti accoglie quando esci dal portone di Via Ormea sono
due tette immense incastonate in un corpo di sessantenne ben tenuta. È
una prostituta storica di San Salvario, anche se qui siamo quasi nella periferia del quartiere. Sta seduta imperturbabile nella sua Golf grigia che legge La Stampa. È che quando passi non riesci mica a non guardare tutta
quell’abbondanza che nonostante l’avanzare del tempo ha mantenuto la
sua creanza. Ovviamente le passo accanto e cerco di guardare senza far
capire a nessuno e tanto meno a lei che sto guardando, sarebbe da screanzato guardare tanta creanza, sarebbe sfruttamento della prostituzione, di
questi tempi poi, in cui sempre più forte si manifesta il desiderio di tante
donne di staccarsi finalmente da quel modello che per tanto tempo ci è
stato propinato, è questo il tempo in cui la donna sta riprovando a dare un
senso sociale al suo soggetto, perché ad esempio, per me, la donna è stata
per tanto tempo soltanto un oggetto. Da cui trarre soddisfazione. Peraltro.
Il nutrimento dei miei desideri, sin da piccolo, poi nel corso del tempo è
cambiata la forma ma mica la sostanza. Sono nato nel 1972 e faccio parte
di quella generazione che nel pieno dell’adolescenza si è ritrovata davanti
alla televisione al fianco di Lino Banfi a spiare Carmen Russo o Edvige
Fenech dal buco della serratura mentre facevano la doccia, ho passato intere serate a guardare in televisione uomini che se rispondevano alle domande con giuste risposte in un quiz con quel cinghialone di Umberto
Smaila potevano far spogliare le donnine. Donnine. Così le chiamavo.
Perché per me erano come le figurine. La televisione di quegli anni è stata
una delle pietre miliari di questa dittatura tecnologica in cui ci troviamo
ora, una dittatura digitale. Ovviamente terrestre. E a pagamento. Perché
tutta questa demenza di cui ci siamo nutriti per anni ora la paghiamo, e
nel dopo guerra e dopo aver patito la personalità di Mussolini e la demenza del fascismo, dopo aver sognato la rivoluzione sessuale ed il ribaltamento dei valori negli anni settanta, ci siamo fatti abbindolare dalla cultura della fica. Facile. Dei soldi. Ad ogni costo. Del successo. Ad esempio,
una volta se sapevi cantare ti facevi la gavetta, andavi in giro a fare serate,
ti facevi conoscere e se valevi qualcosa talvolta potevi emergere, nel frat41
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tempo ti divertivi e producevi qualcosa che per te aveva un valore al di là
del risultato, ora invece ci sono i talent show pieni di ragazzini in ansia da
prestazione soggiogati dalle logiche di mercato delle case discografiche
che li allevano come le trote nei laghetti artificiali, quando sono abbastanza grasse, poi, le pescano, le cucinano, le divorano. Queste trote. L’arte,
ovvero il commercio delle emozioni. Oggi. Ma torniamo alla femmina, al
corpo della femmina, in particolare. Prima di conoscere Micol non avevo
avuto tante esperienze con esse, se non quelle virtuali, ero così abituato a
vedere questi corpi ignudi dimenarsi in televisione che poi quelli veri mi
davano quasi fastidio. O meglio. Mi dava fastidio la vicinanza. L’odore.
Soprattutto. Quando baciavo una ragazza la lingua che mi entrava in bocca a volte mi provocava l’urto del vomito, per non parlare di quando mi
capitava di leccare la fica. Magari sudata. Non comprendevo perché dovevo sopportare tali torture quando per avere un bell’orgasmo mi bastava
sedermi sul divano e accendere la tv e vedere qualcosa di eccitante mentre
mi menavo lo strumento fino ad eruttare sperma. Perché poi diciamola
tutta. Oltre agli odori, quando entravi in intimità con una donna c’erano
poi tutte le implicazioni di natura sentimentale. Una palla al piede. Pesante. Cioè se baciavi una tipa poi mica potevi dileguarti il giorno dopo. Se la
trombavi poi non ne parliamo. E così facevo da me, ero il Leroy Merlin
della sega digitale, e più passava il tempo e più mi abituavo a stare da solo, perlomeno da questo punto di vista, le donne in quanto esseri umani
non mi eccitavano, non mi interessavano in quanto sostanza. Io mi soddisfavo di forma, e sovente quando mi trovavo in intimità con una donna il
pisello non tirava mica, ma per me non era un problema, solo che mi giustificavo in ogni modo, alterando completamente la realtà, magari sostenendo in maniera convincente ad una donna ingrifata che non me la portavo a letto perché avevo un forte senso etico ed un grande rispetto per la
donna e che mica ero uno che si accontentava di portarsela a letto, una
donna. Io scopavo solo per amore, dicevo. Ed ovviamente molte donne
erano affascinate da questo essere così raro. Un segaiolo errante. Ma poi
venne Micol e venni anch’io, al mondo. Del sesso. Degli odori. Dei sapori.
Del tatto. Micol mi portò con grande pazienza fin sopra il tetto. Partendo
dal letto. “Concentrati sul cazzo” mi disse. E m’illuminò. Dopo averle parlato di tutte le mie mezze paranoie sul sesso con una semplice frase mi
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sbloccò. Concentrarsi sul cazzo. E far venire il resto da sé. E scopare con
una donna è altamente rigenerante, farsi una sega è dispersione, questo
adesso posso dirlo alla mia veneranda età, anche se va detto che un sano
auto erotismo fatto bene è una fonte di emozioni non da poco. Ed oggi
posso anche affermare con serenità e consapevolezza che la donna non solo non è oggetto, bensì un gran bel soggetto da esplorare. Un mondo. E
così le son stato fedele per nove anni, a Micol, avevamo una vita sessuale
regolare, come in tutte le storie dai, passione sfrenata all’inizio, cazzo
sembravamo conigli allucinati, poi con il passare del tempo la frequenza
scende e dunque anche il ritmo. Che da rock diventa blues. Raramente
jazz. Spesso diviene musica classica. Con tutto il rispetto eh…È che una
schitarrata di Jimmy Page o una strombazzata di Chet Baker mi eccitano
di più di una sonata d’archi in re minore. C’è ciò che piace e ciò che non
piace, d’altronde si sa che non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che.
Punto. Progettare. Mi piace. Così come il cercare la pace. Il luogo dove
possa sorgere l’eccitazione pulita che mi spinge a realizzarla facendola
tornare al punto di partenza. E nel tempo del processo, breve, aggiungere
una pietra di coscienza. Sempre in quel luogo. Inattaccabile. Così’ lontano
e così vicino. Avvezzo a tutto ciò che è estremamente vivo. Non mi piace
l’incursione selvaggia del soldo nell’arte, il commercio delle emozioni.
Appunto. Ma dal momento che il mondo gira così devo in qualche modo,
seppur il meno possibile e seppur intellettualmente distante, asservirmi
ad esso. Adesso. Per campare. Per tirare a campare. Perché il mondo crede
ancora al suono delle campane, ed io pure, che mi giustifico senza la firma
dei genitori ma bensì con la firma dei genitali, all’interno del meccanismo
recalcitrante avanzo nella danza del non senso che si muove a ritmo di
salsa e di sesso, perché un mondo dove si scopa poco è un mondo sporco,
e che ben vengano dunque i cazzi in culo di Ginsberg e le fregne avariate
di Miller, le bottiglie di porto di Kerouac e che ben venga pure il talento
ossuto di Neal Cassady per portare un poco di verità dentro all’imbuto
catartico che riempie l’idiozia generale del perbenismo ipocrita, un mondo
fatto di fica e cazzo e numeri e giù a nascondere l’innascondibile, cercando
di trattenere il profumo in un anfratto della stanza e intenti a sublimare
ciò che andrebbe consumato, diviso, stipato ed imbarcato sulla nave fallica che incombe all’orizzonte. Abbiamo tutti una gran voglia di scopare. E
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chi non lo fa è perché ha paura. La maggior parte degli accoppiati si fa un
amante. La parte che non lo fa è perché non ha abbastanza coraggio. O fascino. I pochi caparbi che mantengono la fede è perché gli si ingrossa il dito e non riescono più a togliersela. La fede. Poi ci sono i pochi eletti che
riescono a convivere e scopare insieme per una vita senza altre ambizioni
poiché soddisfatti da ciò che hanno e ci sono persino alcuni che riescono a
vivere d’amore. E d’accordo. E che ben venga allora anche la poesia effimera dell’illusione, le poche righe che ognuno scrive sul suo diario, che la
doni al mondo un po’ di verità senza arzigogolo, con proprie parole, attingendo dalla profonda cisterna vaginale della conoscenza di lingua, di
sintassi registrate in settori del cervello, che ben vengano gli adoratori dei
piedi e dei calzini e di quanto altro li faccia eccitare ma per carità basta
con gli eunuchi emotivi religiosi che poi si scopano i bambini, basta con i
guru di seconda o terza mano e basta con i testi sacri che ci hanno frantumato i coglioni con le loro profezie fatte di carta e masturbazione, milioni
di parole per soggiogare il sesso, per domarlo, dogmi ben vestiti a far da
buttafuori nel grande golgota della menzogna, santo il cazzo dei marinai,
e santo il giorno in cui ho conosciuto Moloch, il Dio del potere che ti entra
negli occhi secco e vibrante caldo e interessato e intessuto di gloria profana testarda. Moloch. Che c’è d’alzare i pugni, da coltivare verità oggettive,
e basta con le pippe mentali di apocalissi e Dei e regine e marionette, ben
venga dunque il ritorno della parola che insemina grazia, pulita e immediata e senza fronzoli, elegantemente sporca, una parola semplicemente
porca. E che se ne vadano affanculo i moralisti. Gli attaccabrighe da tribunale. I censori del non si sa cosa e del non si sa che. Si fottano i corrotti e i
corruttori, gli ingegneri e i costruttori. E anche i dentisti e gli architetti, visto che ci siamo. Che ben venga che si alzi l’urlo dai tetti fino a scendere
giù nella strada, durante una sera di nebbia in cui il silenzio è l’unica voce
opportuna, prima dell’urlo, prima che cada la luna. Quando smetterai di
soffrire per ciò che di bello avevi e non hai più, quando riuscirai a percepirlo come qualcosa che è stato, quando riuscirai persino a sorridere
quando ci pensi, perché lo hai avuto, sia che ti sia piovuto dal cielo e sia
che tu l’abbia fortemente voluto, perché anche se non c’è più, è tuo. Finito.
Ed è con questa guerra in testa generatisi dalla visione delle due mammellone che m’incammino in Corso Raffaello dove c’è un mercatello, l’aria è
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calda, il cemento armato, io alzo le braccia davanti ad un semaforo rosso e
mi fermo aspettando il mio turno.
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Quadro Decimo
Montecalende, Urbino
21 Ottobre 2008 Ore 16.02
E poi tutto ha preso una piega talmente rapida da divenire improvvisamente ripida.
Che quando cominci a correre davvero e a provarne l’ebbrezza non ti ferma nessuno.
E lasci indietro cadaveri e regali.
Senza sosta ho cominciato a correre e qui mi son fermato. Davanti ai miei
occhi in questo momento campi e colline a perdita d’occhio a nascondere
l’orizzonte del mare a pochi chilometri da qui.
La casa che cercavo. Il posto dove avrei sempre voluto vivere. A volte ci
sono dei luoghi che pare ti scelgano, ti attirano prima, ti fan girare intorno
e poi si svelano, e pare che tu li stessi cercando da tempo.
Il tempo. A volte che scorre e sembra non ci sia motivo, nemmeno lo senti
e passano mesi talvolta persino anni prima che ti trovi a farti una cazzo di
domanda che abbia un certo spessore. Uno spessore certo.
Quelle domande che sai che le risposte ti faranno svoltare. O incamminare
quando sei fermo. O correre quando sei già in cammino da un po’.
Nell’ultimo mese con programma e dedizione chirurgica ho tagliato i ponti con.
Un lavoro decennale. Una donna novennale. Famiglia da sempre. Amici
di sbronze. Obiettivi e progetti. Due cani. Le certezze e le incertezze. I miei
valori e le mie credenze.
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