Ritratto (provvisorio) di Anacleto Verrecchia - "Ferraris"

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Ritratto (provvisorio) di Anacleto Verrecchia - "Ferraris"
Natalia Rigoni1
Ritratto (provvisorio) di Anacleto Verrecchia
Giovane filosofo tra gli stambecchi del Paradiso.
Vagabondo sulle tracce delle antiche civiltà. Germanista nella città-teatro
A Silvana Gariglio e Bruno Giovannini,
en fidèle amitié
Verrecchia a Cogne, inverno
1950-1951 (Diario del Gran Paradiso)
(Vagabondaggi culturali)
Premessa
Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un’altra in cui si insegna
ciò che non si sa, e questo si chiama cercare.2
Ho letto soltanto tre libri di Verrecchia, anche se intendo proseguire. Ho evitato quelli più
specialistici,3 che lascio agli addetti ai lavori. Non ho consultato alcuno studio completo e
autorevole su di lui. Da una sommaria ricerca ne inferisco l'inesistenza, al momento, come
1
Docente di Lettere del Liceo Scientifico Statale "G. Ferraris" di Varese.
Dalla lezione inaugurale del corso di semiologia letteraria, tenuta da Roland Barthes il 7 gennaio 1977 al
Collège de France, pubblicata su "Le Monde" e, l'anno seguente, in volume dall'editore Seuil (Marco Dotti,
Tra il sapere e il potere il legame della colpa, "Il Manifesto", marzo 2010). E’ barthesiana anche la formula
in epigrafe, con cui il semiologo amava dedicare i suoi libri.
3
Si veda la nota biobibliografica riportata in appendice.
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se fosse stato a bella posta ignorato4, nonostante il numero non irrilevante delle sue
pubblicazioni. Così almeno dopo una rapida consultazione degli indici di alcune riviste
filosofiche disponibili in rete. Non molto ho ricavato da quarte di copertina, recensioni,
interviste, profili pubblicati on line, soprattutto a cura dei suoi appassionati estimatori, 5
spesso giovani adepti. Si aggiunge una certa difficoltà, o piuttosto, nell'era del commercio
telematico, lentezza nel procurarsi i suoi libri, alcuni dei quali pubblicati con eleganza
essenziale da Fogola editore (Torino), nella collana "La Torre d'avorio". Altri sono reperibili
nel catalogo dell'editore Donzelli.6 A secco di fonti e interpretazioni complessive della sua
opera e figura, esporrò qualche personale riflessione, appoggiandomi soprattutto alla diretta
voce dell'autore, depositata nei suoi libri. Il presente ritratto è più un'approssimazione che
un bilancio. Una specie di scommessa.
I. Diario del Gran Paradiso, 1997 (2012 2a ediz.)
Il parco7 fu il luogo ideale per leccarmi e curarmi in silenzio le ferite ancora aperte
... feci come l’animale, che si isola per leccarsi e rileccarsi la ferita, fin quando non
sopraggiunga la guarigione o magari la morte. Dividere il cielo con gli stambecchi,
ma anche con i camosci e le marmotte, è un’esperienza molto gradevole e unica nel
suo genere: l’anima si allarga, lo spirito si arricchisce e l’innocenza degli animali fa
dimenticare la malvagità degli umani. ... Più che di un diario nel vero senso della
parola, si tratta di pensieri sparsi e di impressioni sulla fauna del parco, Ci sono
anche molti guizzi e sfagli, forse suggeritimi dai balzi improvvisi dello stambecco o
dal rapido sfrecciare dei corvidi. Il manoscritto è riaffiorato come per caso dalle mie
vecchie carte.8
Proprio per caso? Nel libro si fa cenno a un progetto, poi accantonato, di realizzare una
rivista del Parco. Anche in vista di essa Verrecchia aveva cominciato ad accumulare
osservazioni e descrizioni, che sono state rimaneggiate a distanza, probabilmente integrate
con altre e condensate in apoftegmi che riflettono un'esperienza esistenziale ormai incline a
"tirare le somme".
Non la pretendo a naturalista, ... , ma non è detto che per leggere nel libro della
natura o negli occhi di un animale occorra una specializzazione. ... La lotta spietata
per la sopravvivenza ... è un tema eterno e quindi sempre attuale. Anche il cupo
pessimismo di certe annotazioni non è legato a circostanze particolari o a motivi
personali, ma è il frutto che si ricava osservando attentamente la natura e i suoi
fenomeni. ... Ho frequentato industriali e quattrinai, scrittori e professori, diplomatici
e gente di mondo. Ma giuro, e prego il lettore di credermi, che non ho mai incontrato
una creatura più nobile, più fiera e soprattutto più onesta dello stambecco, che vive in
4
Con qualche eccezione. Il suo libro La tragedia di Nietzsche a Torino, Torino, Einaudi, 1997, risulta per
esempio incluso all'interno dell'elenco delle Opere su Nietzsche in un manuale di filosofia largamente
adottato nelle scuole superiori: Nicola Abbagnano - Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia,
vol. D, tomo 1, nuova ed. a c. di G. Fornero, Milano, Paravia, 1999, p. 33.
5
Marco Lanterna, Anacleto Verrecchia, venerando e terribile, Pulp libri, n° 88, nov./dic. 2010, pp. 68-71.
Gianmario Ricchezza, In ricordo di Anacleto Verrecchia, letteratitudinenews, 4 febbraio 2012.
6
Cfr. nota 3.
7
Il Parco Nazionale del Gran Paradiso fu istituito, primo in Italia, nel 1922. Si sono da poco chiuse le
manifestazioni e iniziative per la celebrazione del 90° anniversario della sua fondazione.
8
D'ora in avanti si riportano in corsivo esclusivamente i passi tratti dai tre libri di Verrecchia commentati in
questo testo.
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alto e disdegna le bassure.9
La ferita che non si è mai rimarginata è quella prodotta dalle bombe sganciate su Cassino
dagli Alleati nel 1944, giusto settant'anni fa. Anacleto era allora un ragazzo di 17-18 anni, la
cui vita è stata incisa in modo indelebile dal male storico. Esso assume la dimensione di un
male universale, procurato in questo caso a vittime inermi ed estranee da altri uomini stolti e
incauti. Alle pagine 210 - 213, oltre i due terzi del Diario, si legge la testimonianza, resa
malgrado la riluttanza a parlarne. La trascrivo di seguito integralmente: non saprei che cosa
tagliare.
Ceresole Reale, 15 febbraio 1952
Il 15 febbraio di otto anni fa ero sotto i bombardamenti di Montecassino. Il ricordo
di quell'infamia, per giunta inutile e quindi doppiamente esecrabile, è vivissimo in me.
Conservo ancora alcuni appunti presi in quell'inferno. All'alba fummo svegliati, come
al solito, dall'artiglieria pesante. Il giorno si era annunciato con un mattino splendido,
che consentiva la vista su tutta la valle di Cassino. Ma a un certo punto, con nostra
grande meraviglia, le artiglierie tacquero e sulla valle calò un silenzio insolito. La
celebre abbazia era ancora là, intatta e solenne. Pareva quasi che, con la sua
maestosità, volesse indurre a miglior consiglio gli uomini che si combattevano
rabbiosamente e si trucidavano ai suoi piedi. Le poche cannonate che vi erano cadute
sopra avevano appena scalfito le sue mura possenti e secolari. I monaci benedettini,
frammisti a una folla cenciosa di civili affamati e terrorizzati, recitavano l'antifona
mariana. L'abate Gregorio Diamare, simpatico vegliardo, sperava ancora, in cuor suo,
che nessuno volesse distruggere un luogo di pace e di meditazione. "Pro nobis
Christum exora": queste furono le ultime parole della preghiera recitata in ginocchio.
Subito dopo, verso le ore 9.30, la terra sussultò come per una violentissima scossa
sismica. Le valli cominciarono a rifrangere l'eco di boati terrificanti, mentre su
Montecassino si levavano altissime colonne di fumo. Tremava anche l'aria, i cui
spostamenti formavano dei cerchi concentrici simili a quelli che si disegnano sulla
superficie dell'acqua quando vi si butta un sasso. Uno spettacolo da "Dies irae"! Per i
poveri monaci, abituati a vivere nella quiete e a parlare sotto voce, quelle esplosioni
furono un battesimo terribile, anche se avevano fatto l'orecchio ai proiettili che da
mesi scoppiavano nei dintorni del monastero. Atterriti, s'inginocchiarono tutti insieme
in un angolo e si prepararono alla morte, mentre l'abate, come un automa, impartiva
loro la benedizione. Gli stormi di fortezze volanti spuntavano sui Monti Aurunci e,
dopo aver sganciato le bombe sull'abbazia, facevano un ampio giro sulla valle e
ritornavano indietro. Volavano a bassa quota, perché non c'era reazione contraerea. Il
bersaglio, posto su uno sperone calcareo alto più di 500 metri, era difficile a colpirsi;
tuttavia le bombe, che chi come me era fuori del monastero poteva seguire con l'occhio
durante la caduta, andarono per la maggior parte a segno. E io seguivo anche i
successivi crolli di quelle mura secolari, che si abbattevano al suolo come giganti
fulminati. Dopo ogni ondata, la sagoma dell'abbazia appariva sempre più sventrata e
irriconoscibile. Ma la lotta fu dura, come è sempre dura la lotta contro lo spirito: le
mura, alte una cinquantina di metri e lunghe circa duecento, avevano uno spessore,
specialmente alla base, quale non si troverebbe in nessuna fortezza. Il bombardamento
durò fin verso le prime ore del pomeriggio. Il lavoro di "rifinitura", per così dire, fu
poi fatto dalle artiglierie. Dal punto di vista strategico, quella pioggia di fuoco non
servì a niente, tranne che a uccidere degli innocenti e a distruggere uno dei più insigni
monumenti della civiltà occidentale. Anzi fu un errore tattico di prima grandezza. I
tedeschi, che prima si erano tenuti rispettosamente lontani dal monastero, mettendone
anche in salvo la preziosa biblioteca, vi si fortificarono dopo la distruzione, ben
9
A. Verrecchia, Diario del Gran Paradiso, Torino, Fogola, "La Torre d'avorio", 2012, Premessa, pp. 7-8.
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sapendo che è molto più facile difendersi in mezzo alle macerie che in un edificio
intatto. Questo lo sapevamo e ne facemmo lunga esperienza anche noi civili. Possibile
che non lo sapessero i comandanti dell'esercito alleato? Qui parlo di tattica e non di
cultura, perché sarebbe eccessivo pretendere che un generale americano o
neozelandese conoscesse la storia di Montecassino. Bastava guardarne le facce per
capire che quella gente non se intendeva molto con la cultura. Quando il nembo passò,
dopo tante battaglie e carneficine, l'occhio di chi guardava dall'alto di Montecassino si
smarriva, tutt'intorno all'orizzonte, in un mondo silente e morto. Era come se vi si fosse
sprofondato il tavolato dell'esistenza. Le stesse montagne sembravano piegate dal
dolore, anche perché erano tutte scorticate dai proiettili d'artiglieria. In mezzo alle
macerie dell'abbazia affiorava, qua e là la testa di qualche statua che pareva guardarti
con occhi sbarrati. Sui fianchi del monte, invece, la smorfia atroce di qualche cadavere
ancora insepolto ti riempiva di orrore. Ma poi la natura pietosa incominciò a far
rifiorire le ginestre, che furono a un tempo omaggio ai morti e indizio di nuova vita. E
su Montecassino, luogo di culto da oltre trenta secoli, come attestano le mura
ciclopiche e i resti archeologici, risorse un altare, quasi a invocare la riconciliazione
tra il cielo e la terra. Ci sarebbe poi da raccontare l'orribile storia dei civili che, come
me, rimasero per lunghi mesi intrappolati tra i due fronti, quello tedesco da un lato e
quello alleato dall'altro. Ma le grandi sventure rendono muti. Infatti io non parlo mai
di mia madre, morta sotto i bombardamenti degli alleati: preferisco smaltire da solo un
sì atroce ricordo. Comunque ognuno può immaginare che cosa significhi trovarsi nel
bel mezzo di due eserciti che si combattono rabbiosamente e sotto un continuo uragano
di fuoco. Per giunta l'inverno era molto rigido e non si poteva neppure accendere il
fuoco per riscaldarsi: il fumo di giorno e la fiamma di notte avrebbero
immediatamente richiamato l'attenzione di qualche pilota o di qualche mitragliere.
Dall'ottobre del 1943 alla primavera dell'anno successivo vivemmo rintanati sotto una
roccia come le marmotte. Alla fine fummo posti dinanzi a questa bella alternativa: o
sfidare le bombe o morire d'inedia. Scegliemmo la prima soluzione e, come fantasmi,
andammo verso gli alleati. I tedeschi, che erano stati sempre abbastanza umani con
noi, non ci spararono addosso, come altri avrebbero sicuramente fatto al loro posto, e
ci lasciarono proseguire. Ma l'incontro con gli alleati, per la precisione con le truppe
francesi comandate dal generale Juin, segnò l'inizio di una nuova odissea, sotto molti
aspetti peggiore della prima. Spesso i "liberatori" dimostravano di saper liberare la
povera gente anche dalla vita. La mia fu risparmiata dal caso, solo dal caso. E qui mi
fermo. Dopo un'esperienza simile si è vaccinati contro qualsiasi avversità.
Il Diario contiene la sua filosofia personale, è uno zibaldone di pensieri. Osservando con la
lente di Verrecchia la lotta per la vita all'interno del Parco, il lettore di oggi viene preso da
quella nostalgia dell'Eden che prova al vedere, nei documentari di ambientazione più esotica
a cui è avvezzo, la gazzella sbranata dal leone, il vecchio pachiderma morente abbandonato
dal branco. Ma questi raffinati prodotti su tale impatto emotivo speculano abilmente; basta
far caso alle colonne sonore. Non Verrecchia, che pare non credere ad alcuna armonia
originaria.
Le due destinazioni all'interno del Parco sono: Plan Pessey, sopra Vieyes, nella valle di
Cogne (versante valdostano del Parco Nazionale del Gran Paradiso), e Ceresole Reale, non
molto distante da Torino (versante piemontese). Protagonisti sono gli stambecchi, le
marmotte, i corvidi. Ci sono poi i laghi alpini, i torrenti, le vette inaccessibili ai più.
Ammirevole il suo coraggio di alpinista non particolarmente esperto, che tuttavia non si
sottrae ad alcun impegnativo cimento. Per non parlare dei focosi riti in onore di Venere
celebrati nelle soste presso qualche casotto del Parco o su un ghiacciaio come alcova. Lassù,
fra la natura alpina, Anacleto in qualche modo guarisce. Non tanto si rappacifica con gli
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uomini, né scopre un senso o un riscatto
al destino di dolore che accomuna tutti i
viventi. Piuttosto riscende dal Parco
dopo tre anni irrobustito da nuovi
anticorpi.
Ma per raccogliere le idee, stenderò una
sorta di inventario del pensiero
dell'autore, in cui è riconoscibile,
accanto all'annotazione propriamente
diaristica,
quella
polverizzata,
asistematica della riflessione senza
tempo, occasionale e rapsodica,
L'abbazia di Montecassino distrutta (www.veja.it)
dell'ammonimento, del motto. Alle
radici di questa forma testuale, oltre che
habitus mentale, non solo gli aforismi del fisico tedesco Lichtenberg10 o del principale
referente filosofico di Verrecchia, Schopenhauer, e dell'imprescindibile Nietzsche in una
certa fase dell'evoluzione del suo pensiero e della sua espressione. Anche gli "improvvisi" di
Leonardo da Vinci, i Ricordi di Guicciardini, alcuni Pensieri e tratti dello Zibaldone di
10
“L'aforisma [...] è una frase che compendia in un breve giro di parole il risultato di precedenti riflessioni,
osservazioni ed esperienze. Il suo nome deriva dal greco aphorismόs e propriamente significa «definizione».
Di fatto, della definizione l'aforisma ha sia la essenzialità perentoria sia la funzione, che è quella di delineare
in modo chiaro e «definitivo» un concetto, una norma o una legge. [...] Quando è perfettamente riuscito, è un
perfetto meccanismo espressivo che, in equilibrio tra eleganza e sostanza di pensiero, a metà strada tra il
gioco di parole e la massima filosofica, aspira a divertire e a far riflettere: fa riflettere il lettore sulle cose
piccole e grandi della vita, attirandolo con la brillante eleganza della scrittura”, da Il libro degli aforismi, a c.
di Federico Roncoroni, Oscar Mondadori, Milano 1989, pp. 5-6. All'interno della silloge figura anche
un'antologia di Osservazioni e pensieri di Georg Christoph Lichtenberg - (Oberramstadt, 1742 - Gottinga,
1799); professore universitario di matematica e fisica, cultore di arti figurative, autore di aforismi sparsi
originariamente in almanacchi, raccolti e pubblicati in volume solo all'inizio del Novecento, ora leggibili in
G.C. Lichtenberg, Osservazioni e pensieri, a c. di Nello Sàito, Torino, Einaudi, 1966. Solo un modico saggio
della sua acuta, scettica ironia, improntata alla polemica illuministica contro ogni superstizione e
conformismo:
“- Quando doveva far uso della mente era come quando qualcuno abituato a usare la destra è costretto a usare
la sinistra.
- Lo spirito e la bizzarria vanno adoperati con cautela, come tutte le sostanze corrosive.
- Una tomba è pur sempre la miglior fortezza contro gli assalti del destino.
- Se gli uomini divenissero di colpo virtuosi molte migliaia di individui morirebbero di fame.
- Dare l'ultima mano alla propria opera significa bruciarla.
- Niente contribuisce di più alla quiete dell'animo del fatto di non avere alcuna opinione.
- Tutto va imparato non per esibirlo ma per adoperarlo.
- Ci sono moltissimi uomini che sono più infelici di te: questo non ti dà un tetto sotto al quale abitare,
d'accordo: ma la frase è sufficiente perché vi si possa trovare riparo durante un temporale.
- Ci sono molti uomini che leggono per non dover pensare.
- Prima di biasimare bisogna cercare di vedere se non si può scusare.
- Non è singolare che si possa arrivare alle maggiori cariche onorifiche (re, per esempio) senza esami, mentre
li si pretendono da un qualunque medicuzzo?
- La gente che non ha mai tempo fa pochissimo.
- Chi ha meno di quanto desidera deve sapere che ha più di quanto vale.
- Nessuna invenzione è stata più facile per l'uomo di quella del Cielo.
- Il buon Dio deve volerci proprio bene: viene da noi sempre col cattivo tempo.
- Credete voi che il buon Dio sia cattolico?”
(Il libro..., a c. ... Roncoroni, ..., pp. 139-149).
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Leopardi. O, ancora, i Colloqui con se stesso di Marco Aurelio; sicuramente la scrittura dei
vari moralisti11 francesi: Montaigne, La Rochefoucauld, Pascal, La Bruyère, etc.
- Guardiaparco:
Vista dall'esterno, la vita dei custodi del parco somiglia o dovrebbe somigliare a
quella dei banditi o dei ricercati. Questi Jean Valjean volontari dovrebbero vedere e
non essere visti, sì da poter sventare i piani dei bracconieri. [...] I regolamenti
esistono solo in teoria. Nella pratica, ognuno si comporta come se fosse in
villeggiatura.12
- Solitudine:
La solitudine? A parte il fatto che qui non si vive proprio come gli asceti e gli
eremiti, c'è da dire che nella solitudine uno deve sopportare solo se stesso, mentre chi
vive in società deve sopportare anche gli altri, il che è ancora peggio. [...] E poi il
silenzio è una condizione indispensabile per pensare e riflettere. Chi non ama il
silenzio non ama neppure la libertà.13
Nella solitudine non ci sono che due possibilità: o ti spari o impari a vivere. La cosa
più difficile è rimanere soli con se stessi. [...] L'uomo non si sopporta e cerca in tutti i
modi di dimenticarsi o di stordirsi, non importa come e con quale mezzo. Perfino il
leggere disordinatamente è spesse volte solo un mezzo per sfuggire a se stessi.14
- Uomini e animali
Ciò che rende gli animali così gradevoli a vedersi è soprattutto la loro naturalezza.
Essi vivono attaccati al filo del presente e hanno per così dire l'innocenza del
divenire. L'uomo, viceversa, è sempre affettato nei suoi atteggiamenti, proprio perché
ha perso la naturalezza. A differenza degli altri animali, ha la capacità di simulare e
di dissimulare. Vive nell'opinione altrui e per questo si sforza di apparire diverso da
quello che è. Vive anche nel futuro, più ancora che nel presente. Provate a fotografare
un animale da vicino e noterete che nella fotografia c'è la stessa naturalezza che c'è
nell'originale. L'uomo invece, assume atteggiamenti che non gli sono propri o sono
addirittura falsi.15
Un'intima parentela lega tutti gli esseri viventi, fenomeni diversi di un'unica
sostanza universale, e tra l'animale e l'uomo c'è se mai una differenza di quantità, non
di qualità. Lo dice anche Giordano Bruno. Infatti l'intelletto, sia pure proporzionato
ai bisogni dell'individuo, è comune a tutti gli esseri viventi. Forse che lo stambecco
non sa distinguere la relazione tra causa ed effetto? Anzi da questo punto di vista gli
animali ci sono addirittura superiori. Il bambino cadrebbe dalla sedia, se non lo
sorreggeste, mentre lo stambecco, appena nato, è in grado di muoversi da solo sulle
rocce a picco. Ciò che veramente distingue l'uomo da tutti gli altri animali è la facoltà
di riflettere "in abstracto". Ma attenzione perché barlumi di tale facoltà si notano
11
Moralisti o letterati o psicologi o filosofi tout court? Perché negare la qualifica di filosofia alla meditazione
sull'indole e sui costumi umani? non perché - si spera - appare brillante e risulta facile alla lettura anche in
virtù della sua costruzione essenziale, asistematica e poco organica.
12
Diario..., p. 67.
13
Id., p. 10-11.
14
Id., p. 87-88.
15
Id., p. 12.
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anche negli animali superiori e perfino in certe specie di uccelli. [...] E' pura cecità
considerare l'uomo qualche cosa di completamente avulso dal resto del regno
animale.16
Si avvicina il periodo dell'amore e gli stambecchi si preparano al grande cimento,
nel quale prevarrà quello più adatto a perpetuare la specie. Infatti l'amore è lotta. E
non si dica che l'amore riguarda solo l'uomo, mentre gli animali si accoppierebbero
meccanicamente. Ho visto lucertole farsi tante di quelle carezze quante non ne
immaginerebbe il più raffinato dei dongiovanni.17
Due cose, soprattutto, distinguono l'uomo dagli altri animali: il ridere e l'urinare su
due zampe. Il cane urina su tre zampe, anziché su quattro come tutti quanti gli altri,
ed è per questo che è l'animale più vicino all'uomo.18
Che cosa sappiamo, in fondo, degli animali? Niente. Si continua a ripetere il
vecchio ritornello: l'uomo ha la ragione e l'animale ha l'istinto. Ho molti dubbi sulla
razionalità dell'uomo, ma lasciamo perdere. Piuttosto, come la mettiamo con il cane
che gioca e sogna, con il mulo che si rifiuta di passare su un ponticello insufficiente a
sostenere il suo peso, con il gatto che apre la porta tirando la maniglia con le zampe,
con l'asino che gira con la bocca la chiave nella toppa o con il riccio che fa cadere le
mele sugli aculei dei compagni che aspettano sotto per portarsele via? La risposta è
sempre la stessa: istinto. Ma questo puzza tanto di sacrestia. Gli animali hanno
coscienza empirica, memoria e anche immaginazione, altrimenti non sognerebbero e
non giocherebbero. Hanno anche l'intelletto per distinguere tra causa ed effetto. E'
probabile, invece, che non abbiano coscienza astratta, ossia la facoltà di fissare in
concetti astratti ciò che intuiscono nella vita quotidiana. Ma anche in questo non sarei
molto dogmatico. Il fatto che l'animale, come si sostiene, non viva nel passato e nel
futuro, ma solo nel presente, non basta per segnare un confine netto tra l'uomo e gli
altri animali. Del resto l'esperienza ci insegna che le forze che spingono l'uomo ad
agire sono per lo più irrazionali o passionali, non razionali. Siamo tutti programmati
dalla natura, i teologi dicano quello che vogliono. Ogni essere vive e deve vivere la
sua vita. L'uomo non fa eccezione. Anche noi nasciamo, viviamo e moriamo. O lo
abbiamo dimenticato? E non ditemi che la cenere di un uomo, nonostante lo sfarzo dei
cimiteri, sia diversa da quella di un gatto o di una volpe.19
- La società umana e la Storia
Non fidatevi troppo di quelli che dicono di fare "opere di bene". Generalmente essi
agiscono in vista di qualche ricompensa, fosse pure quella del Paradiso. Oppure lo
fanno per vanità e per obbligare il beneficiato alla riconoscenza, il che è ancora
peggio. La virtù programmata è la peggior forma di ipocrisia.20
Di tanto in tanto anche l'umanità, come i terreni coltivati, si mette a gerbido e
ritorna al selvatico. E così abbiamo guerre, rivoluzioni, carneficine, massacri,
imbestiamenti e via enumerando.21
16
Id., p. 39.
Id., p. 52.
18
Id., p. 57.
19
Id., p. 92-95.
20
Id., p. 56.
21
Id., p. 57.
17
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A sentire certi ciarlatani, gli uomini sarebbero tutti uguali, mettiamo come i
maggiolini o come i lecci potati a quadrangolo lungo le strade. Oppure come le siepi
di bosso. Si può dire una sciocchezza più grande di questa? E' vero esattamente il
contrario. Lungi dall'essere tutti uguali, gli uomini sono invece diversissimi tra di
loro. La natura non produce in serie e usa uno stampo particolare, che qui potremmo
chiamare "principium individuationis", per ogni singolo individuo. Di ogni essere
vivente essa tira una sola copia numerata. [...] Più si sale in alto nella scala biologica,
più la differenza tra un individuo e un altro aumenta. [...] Anche i bisogni cambiano
da individuo a individuo. C'è chi non potrebbe vivere senza libri e chi ai libri darebbe
volentieri fuoco. Uno passa il suo tempo nella cantina, l'altro preferisce passeggiare
in mezzo al bosco. Socrate non sapeva che farsene dei gioielli che vedeva nei negozi
di Atene, altri farebbe carte false per procurarsi un anello o un ciondolino.22
- Montagne
Scalato il Gran Nomenon (quasi 3500 metri) in compagnia di tre alpinisti del
Gruppo Alpino Italiano. E' stato il mio vero battesimo alpinistico. Scalata piuttosto
pericolosa, perché la roccia era bagnata, [...] Perché poi l'uomo senta il bisogno di
arrampicarsi sulle rocce a picco, come e più degli stambecchi, lo sa il cielo. Forse è
un modo come un altro per sfuggire a se stessi. O per sfuggire agli altri? [...]
Zarathustra non salì forse sui monti per godere "del proprio spirito e della propria
solitudine"? E' probabile, però, che la fantasia di Nietzsche trasformasse in alta
montagna il promontorio di Portofino, anzi è certo. Anche se pazzo, egli teneva molto
alla propria pelle e si sarebbe guardato bene, lui sempre così pieno di acciacchi, dal
salire sul Gran Nomenon.23
I ruscelli di alta montagna: la pipì dei monti.24
Oggi Guidi ed io siamo venuti qui a Chantel, che è più basso del Nomenon: circa
2000 metri. [...] Laggiù all'orizzonte il Monte Bianco: non ci si stanca di ammirarlo.
Schopenhauer, che lo vide dal versante francese, lo paragonò al genio. Né meno
impressione fece a Byron. Solo a Hegel le montagne non dicevano niente. E poi
parlava di estetica! [...] Letto con il cannocchiale l'ora sull'orologio del castello di
Saint-Pierre. Molte macchine sulla strada del fondovalle. Vista dall'alto, la vita degli
uomini sembra una giostra di pazzi; e forse è tale veramente.25
La vista delle montagne agisce beneficamente sul nostro spirito. Ci rallegra e ci
sublima immediatamente. Questo, forse, dipende dal fatto che i monti, non essendo in
nessun rapporto con i nostri interessi e bisogni personali, impressionano solo la parte
obiettiva della nostra conoscenza e ci sollevano fino alla pura contemplazione
estetica. Osservando tutti quei monti che chiudono l'orizzonte, ci si dimentica di se
stessi e non si pensa più a quale parte si rappresenta nella grande mascherata della
convenzione sociale. E' come se si uscisse da se stessi e ci si confondesse con lo
spirito del tutto.26
Scalato la Grivola! L'«ardua», la «bella» Grivola, che ho corteggiata con gli occhi
fin dal mio primo giorno di vita nel parco. Eravamo in quattro. [...] Prima abbiamo
22
Id, p. 58.
Id., p. 18.
24
Id., p. 31.
25
Id., pp. 30-31.
26
Id., pp. 59-60.
23
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raggiunto il ghiacciaio e poi abbiamo preso la via più difficile, cioè la parete nord.
Un'impresa tremenda, almeno per chi non è alpinista di professione. C'era da tremare
a vedere quelle pareti di ghiaccio a strapiombo. [...] A un certo punto, non so bene
come, mi sono ferito la mano sinistra e perdevo sangue come una vittima sacrificale
[...]. Molto più rischiosa è stata una scivolata poco prima di arrivare in vetta.
Stavamo per partire, come si dice eufemisticamente in gergo alpinistico; ma Guidi,
con prontezza fulminea, ha retto la fune e ci ha salvati tutti.[...] Avremmo potuto
seguire quella via anche all'andata, ma l'alpinismo senza brividi e senza rischi mortali
non appaga. Per dirla con le parole di Guidi, «non sarebbe remunerativo» [...] Guidi
è a modo suo un contemplativo e ha anche qualche cosa di poetico.27
I libri degli alpinisti sono dei gusci vuoti. Vi si parla di ascensioni, di ore di marcia,
di pareti, di arrampicate e di gradi, ma non ci scappa mai un pensiero. Questa è gente
che pensa con i piedi.28
- Valligiani e montanari
I contadini e i montanari sono spesso di una crudeltà rivoltante e abietta. Basta già
vedere come trattano i cani e gli animali da soma. Altro che vita idilliaca dei campi!
Bisogna piuttosto parlare d'inferno, almeno dal punto di vista degli animali. Se
esistesse per davvero la metempsicosi, e fossi costretto a reincarnarmi, vorrei
diventare tutto tranne che un animale nelle mani di un contadino.29
Nella valle di Cogne ho conosciuto un signore di circa settant'anni, il quale si vanta
di non aver mai fatto il bagno in vita sua. In compenso ho visto un'aquila che faceva il
bagno in un laghetto alpino a oltre tremila metri d'altitudine.30
Qui c'è gente di una bruttezza insigne. E non sono certamente il primo a notarlo.
Per avere un campionario completo bisogna scendere ad Aosta quando c'è il mercato
e vi affluiscono quelli che abitano nelle valli laterali. Volti così brutti non ne avevo
mai visti: sembrano confezionati da un guastamestieri della natura. Non credo che ciò
dipenda dalle fatiche, cui pure questa gente è sottoposta, o dagli incesti, come si sente
dire. La causa principale, forse, è l'alcolismo. Inoltre, vivendo per secoli in un
ambiente chiuso e poco adatto agli scambi o alle penetrazioni da altre parti, qui è
stato isolato un certo tipo somatico.31
- Italiani
Alla scuola di Pitagora i discepoli dovevano tacere per cinque anni. Gli italiani
dovrebbero tacere per almeno dieci. Una cura di silenzio è quello che ci vuole. Uno
dei grandi vantaggi di vivere quassù è di non sentire gli schiamazzi politici della città:
democrazia, progresso sociale, libertà, ecc. Quanti redentori! In Italia si parla
troppo, come è nella nostra indole. Ma c'è un altro motivo: gli italiani cercano di
supplire con le parole ai fatti. Chi è veramente democratico o libero non lo va
sbandierando in ogni angolo di strada. Non cercare mai la libertà dove si parla
troppo di libertà. E questo vale anche per tutto il resto.32
27
Id., pp. 139-142.
Id., p. 160.
29
Id., p. 17.
30
Id., p. 39.
31
Id., p. 53.
32
Id., p. 35.
28
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- Fauna
[...] Poi abbiamo una lunga schiera di creature alate: avvoltoi delle Alpi, gracchi,
rondoni alpini, rondini montane, merli alpini, codirossi, culbianchi, merli acquaioli,
pispole, ballerine ossia cutrettole, venturoni, cincie, fringuelli della neve, pernici,
coturnici e via enumerando. Insomma l'arca di Noè fu probabilmente sbattuta
quassù.33
L'animale più simpatico è la marmotta. Ha un'andatura piuttosto goffa e
impacciata, specialmente quando cammina sulla neve. Le marmotte pascolano a
gruppi e c'è sempre una che fa la guardia. La figura di questa sentinella è stata forse
un po' romanzata, resta comunque il fatto che una marmotta vigila più delle altre e
che, in vista del pericolo, dà l'allarme con un fischio acutissimo. [...] Spesso guardano
con la coda dell'occhio, cioè fingono di guardare da una parte e guardano invece
dall'altra. Talvolta hanno addirittura la testa rivolta verso l'alto, pur continuando a
tenere d'occhio il pericolo che è invece in basso. In altre parole, sono rivolte a monte
e guardano a valle. E' come se avessero un angolo visuale a trecentosessanta gradi.34
Mentre alcune femmine di stambecco pascolavano tranquillamente, nel cielo è
comparsa un'aquila, subito segnalata dal fischio assordante della marmotta. I piccoli
sono schizzati come il vento sotto la pancia delle rispettive madri, che a loro volta
hanno fatto quadrato, pronte ad accogliere a cornate il rapace. Ma questo, vista la
mala parata, ha ritenuto opportuno girare alla larga e riprendere le vie del cielo. [...]
Le corna della femmina di stambecco sono corte, ma appuntite come pugnali; e questo
il rapace lo sa. Nondimeno riesce a cibarsi anche di stambecchi e di camosci adulti.
Come? Facendoli precipitare con un colpo d'ala dalle rocce. E' la lotta per la
sopravvivenza. Guai ai deboli! Allo stato naturale la selezione è feroce. Per questo gli
stambecchi che si vedono sono tutti belli e floridi.35
La lunga e folta coda serve allo scoiattolo non solo da timone, quando fa lunghi
salti da una pianta all'altra, ma anche per ripararsi dal sole. Infatti, quando il sole
picchia forte, lo scoiattolo si porta la coda sulla testa. Proprio come facevano le dame
di una volta con l'ombrellino. Ma anche le sue smorfie e le sue civetterie sono degne
di una dama. Saltella da un ramo all'altro, va su e giù per i tronchi, ammicca, spia e
sembra che faccia tutto questo per essere ammirato. Ma perché si arrampica sempre a
spirale sui tronchi degli alberi? Qui il motivo sembra essere un altro: salendo a
spirale, anziché diritto, lo scoiattolo sfugge più facilmente all'assalto dei rapaci. E'
un'arma di difesa.36
Re delle Alpi: così è stato definito lo stambecco. Nonostante il nome, di origine
chiaramente tedesca (Steinbock), si tratta di un re tutto nostro. Gli stranieri ce lo
invidiano: forse questo fiero cornuto ci rappresenta meglio di tanti papaveri della
politica e della vita ufficiale. In un paese di lacché e di pappataci come il nostro, lo
stambecco è l'unica figura veramente nobile e fiera. Lo dimostra già il fatto che non si
è mai lasciato addomesticare, come se avesse a disdegno gli uomini e il basso mondo.
Chissà che la natura non lo abbia posto in Italia per legge di compensazione.
Morirebbe di fame, piuttosto che scendere a valle e limosinare il cibo dalla mano
33
Id., p.160.
Id., p. 24.
35
Id., p. 27.
36
Id., pp. 43-44.
34
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dell'uomo, per il quale è difficile dire se abbia più disprezzo o diffidenza. Ama stare in
alto, nel suo regno; e se lo si porta oltre i confini, in Francia o in Svizzera, cerca di
ritornare in Italia, dove pure è stato sempre cacciato e perseguitato. Così paga a caro
prezzo il suo amor di patria. Ma questo non vale solo per lo stambecco. [...] La forza e
la robustezza dello stambecco sono formidabili. I più grandi, le cui corna superano il
metro di lunghezza, possono pesare anche centoventi chili. Due uomini, mi dice Guidi,
non riuscirebbero a tenere per le zampe posteriori uno di questi stambecchi. Quanto
al freddo, che qui diventa micidiale, soprattutto ai piedi della Grivola, essi neppure
l'avvertono. E quando urla la tempesta, apportando onde minacciose di vento e di
neve, essi restano immobili come se niente fosse e non si curano minimamente della
furia degli elementi. Lo stambecco è anche cavalleresco. Quando, per esempio, il
gruppo si sposta da una valle all'altra, mettiamo dalla Valsavara alla valle del
Nomenon, a fare da battistrada sulla neve e quindi da capogruppo è sempre
l'individuo più robusto. Anzi lo pretende. I più piccoli o i più deboli, ammesso che qui
si possa parlare di deboli, vengono dopo. Marciano in fila indiana. Può anche
capitare che gli individui più robusti si diano il cambio nel battere la pista. Altra cosa
degna di nota circa il carattere dello stambecco: quando è vecchio e avverte di essere
ormai vicino alla fine, si isola e va a morire in disparte con la dignità di uno stoico. E'
come se avesse il pudore del male e non volesse farsi vedere dagli altri durante
l'agonia. Una creatura siffatta merita il massimo rispetto.37
- Flora
Capisco perfettamente perché Beethoven preferisse le piante agli uomini. Le piante
non parlano e non ti affliggono con i loro problemi. Soprattutto non interrompono il
corso dei nostri pensieri, anzi lo favoriscono.38
I fiori di alta montagna sono bellissimi, ma non profumati come quelli che crescono
in basso. Probabilmente ciò dipende dal fatto che sulle vette non ci sono puzze da
neutralizzare.39
- Bracconieri e caccia selettiva
E' venuto quassù, a cavallo du mulo, un industrialone lombardo. E' grasso come un
suino e metterebbe a dura prova le bascule dei pesi pubblici. E' un mastaccone, una
montagna di ciccia. La mia solidarietà va tutta al povero mulo che ha dovuto portarlo
da Vieyes a qui. Questo signore è uno di quelli che ottengono il permesso di caccia
dietro pagamento di una somma cospicua. Per giustificare la cosa, si ricorre,
ipocritamente, all'idea di "caccia selettiva", come se non si sapesse che gli animali
che vivono nel parco vengono già selezionati dalla natura. Nessuno ha mai visto uno
stambecco impotente o un camoscio asmatico o un fagiano ipocondriaco. Si abbia
dunque più pudore e non si ricorra a queste menzogne per giustificare i privilegi
accordati a questo o a quel riccone, a questo o a quel papavero politico. Ho parlato a
lungo con l'industriale lombardo e ho dovuto constatare che il suo cervello è
inversamente proporzionale alla massa lardosa del suo corpo. Che miseria morale e
intellettuale! Non ho niente contro i ricchi, anzi li ritengo necessari, a patto che
sappiano mettere bene a frutto la loro ricchezza. L'industria non è stata forse creata
dai ricchi? Ma quando si spendono forti somme per divertirsi a sparare a un povero
animale, ossia quando, per uccidere la propria noia, si ricorre all'uccisione di altri
37
Id., p. 60-61.
Id., p. 53.
39
Id., p. 26.
38
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esseri viventi, allora la condanna morale dev'essere inesorabile. Così ho detto al
grassone. Egli è anche commendatore (ma di che?) e durante tutto il tempo non ha
saputo parlare d'altro che di fucili, di cartucce, di partite di caccia, di penne di
fagiano e di escrementi di selvaggina. Ma il mondo è fatto di questa gente. Gli uomini,
dice Pascal, si divertono a inseguire una lepre e questo è perfino il piacere dei re. Il
commendatore ha dato distrattamente un'occhiata al titolo di uno dei miei libri
("Mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer) e poi ha detto: "Ah, io
non ho tempo per queste cose!". Lui preferisce gli escrementi di fagiano.40
- Scrittori, letteratura, critica letteraria
Un libro dev'essere un cordiale. Se non vi tonifica, gettatelo via.41
La femmina del cuculo depone le uova nel nido altrui. E il piccolo cuculo, appena
nato, distrugge le altre uova e reclama per sé il cibo dei genitori adottivi. Le uova
sono diverse da femmina a femmina, sì da poter essere deposte nei vari nidi di uccelli
che facciano uova simili. I critici letterari sono più discreti, perché cercano solo di
fare cucù da qualche nicchia del tempio della gloria di questo o di quel poeta. Però
non depongono nessun uovo, perché sono sterili.42
Le donne brutte e insignificanti, che sanno di non poter interessare gli uomini con le
attrattive naturali, per esempio un bel seno o un paio di belle gambe, cercano di
richiamare l'attenzione su di sé con gli artifici: vesti sgargianti, cappellini messi di
sghimbescio, acconciature stravaganti dei capelli e via di seguito. La stessa cosa
fanno gli scrittori che non hanno niente da dire, i quali cercano di farsi notare con
atteggiamenti stravaganti: rifiuto del lessico e della sintassi tradizionali, metafore
inattese, giri di parole, frasi incomprensibili, mode, avanguardie, ecc. Basta non farci
caso. Le transumanze degli intellettuali.43
- Il dolore universale o male di vivere e la polemica contro l'antropocentrismo
Animali, insetti, fiori, piante, boschi, stelle, cascate e via enumerando i fenomeni
che ci si presentano allo sguardo: sono tutte cose belle a vedersi, ma esserlo è
diverso. Chi può dire che cosa provi il camoscio costretto a vivere in mezzo a mille
pericoli o l'uccello che deve procurare il cibo ai piccoli che pigolano nel nido? A volte
par di avvertire il dolore di vivere perfino nelle piante. La natura va osservata a una
certa distanza come i quadri. Se ti avvicini troppo scopri la ferocia e la lotta spietata
per la sopravvivenza. La marmotta, che sembra così bonacciona, impedisce
all'individuo malato di entrare nella tana invernale e lo lascia morire sotto la neve o
tra le grinfie dei rapaci. [...] Si dice che per vivere bisogna tenere gli occhi ben aperti,
ma spesso bisogna anche chiuderli, se non si vuole che il dolore dei poveri figli della
terra ci dilani il cuore. Aristotele dice: "La natura è demoniaca, non divina".44
Se Leibniz si fosse guardato attorno, anziché vivere solo in mezzo ai libri, forse si
sarebbe trattenuto dal dire che questo è il migliore dei mondi possibili. Ma come, voi
chiamate opera di Dio o regno di Dio questa specie di campo di battaglia, anzi questo
vero e proprio macello universale, dove il più forte sopraffà il più debole e il sano il
40
Id., p. 36-37.
Id., p. 40.
42
Id., p. 50.
43
Id., p. 52-53.
44
Id., p. 31-32.
41
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malato? La vita è la risultante di una spietata lotta reciproca. E questo non accade
solo nel mondo animale, ma anche in quello vegetale. La cuscuta caccia i suoi aculei
nelle altre piante e ne succhia la linfa. Le piante da essa aggredite muoiono in poco
tempo. Ho visto diversi cespugli d'erba morti in questo modo, mentre la cuscuta vi
troneggia in mezzo come un vampiro. E non parliamo delle vittime della volpe e di
altri animali. In mancanza di altre prede, c'è sempre il topo, che può esser
considerato il pane del regno animale. Per questo è così prolifico: deve fare figli su
figli perché vengano divorati dagli altri animali. In questa carneficina universale non
mancano neppure i becchini. Sono i corvi, che fanno il repulisti di tutto quello che
avanza alla voracità dei predatori. Tutto questo lo si chiami pure, se si vuole,
equilibrio naturale; ma dov'è il migliore dei mondi possibili? Il topo non sarebbe
assolutamente d'accordo con Leibniz. Ma non lo sarebbero neppure lo stambecco e il
camoscio, costretti a vivere in mezzo a mille pericoli, la faina, che viene presa con la
tagliola, la volpe, che viene avvelenata con bocconi contenenti cianuro, la marmotta,
che è costretta a guardare con un occhio l'erba da brucare e con l'altro il nemico in
agguato. Voltaire con il "Candide" e Byron con il "Caino" risposero in maniera molto
efficace a Leibniz. Ma ancora meglio, mi sembra, gli rispose Schopenhauer: "Se un
Dio ha fatto questo mondo, io non vorrei essere al suo posto, perché l'estrema miseria
di chi ci vive mi dilanierebbe il cuore." 45
L'uomo è la misura di tutte le cose? No, l'uomo è soltanto un minuscolo insetto in un
mondo infinito. Dovunque io volga lo sguardo, mi sento sovrastato da cose
infinitamente più grandi di me: spazi sterminati, montagne immani, ghiacciai e
cascate perenni, boschi a perdita d'occhio, esseri capaci di sopravvivere a
temperature micidiali. E poi di notte, con le montagne che si stagliano come un'ombra
bruna all'orizzonte e con la volta stellata che pare poggiarci sopra: è allora che
maggiormente vien fatto d'interrogarsi su se stessi e sulla propria miseria. Di fronte a
tanta immensità, che importanza può avere l'uomo? I suoi balbettii non turberanno
mai le stelle e le sue smanie lasceranno indifferente il corso del sole.46
Ho visto lo sguardo della povera vecchietta che arrancava sul ghiaccio con un peso
sulle spalle; ho visto il merlo con le zampette stecchite dal freddo e dalla fame, che
cercava invano qualche cosa da beccare sulla distesa di neve; ho visto il cane con i
fianchi scavati e gli occhi imploranti, al quale davano più bastonate che tozzi di pane;
ho visto la gatta incinta, che non sapeva come sfamare se stessa e i nascituri; e ho
visto anche il camoscio vicino al figlio morto di stenti. E ancora: ho visto la faina
morta di fame e di dolore con una zampa nella tagliola posta dall'uomo. Ma in una
trappola, una volta, c'era solo la zampa: il povero animale se l'era forse staccata con
i denti per riprendere, così mutilata, l'aspro sentiero dell'esistenza. Tutto ho visto, la
morte e la disperazione, il dolore e la lotta cruenta per la sopravvivenza. E chi dice
che anche le piante non soffrano la loro parte? Spoglie e coperte di gelo, ora
sembrano anch'esse piegate al dolore universale. No, meglio non guardare troppo a
fondo nelle cose. Come il silenzio aiuta la tranquillità dello spirito, così una certa
opacità tra noi e il mondo circostante impedisce alla nostra coscienza di fare
naufragio. Se la natura non ci mettesse davanti agli occhi una specie di cataratta e
fossimo capaci di guardarci bene attorno, inorridiremmo. La vita è un compromesso.47
- Dio
45
Id., p. 45-46.
Id., p. 55.
47
Id., p. 84-85.
46
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Fortissimo tuono nel cielo: si è forse sparato il Padreterno? Motivi per farlo, se è
stato veramente lui a creare questo mondo, ne avrebbe parecchi.48
- Suicidio
Nomenon, 28 agosto 1950. Il mio cane mi ha appena portato i giornali e leggo che
a Torino si è ucciso lo scrittore Cesare Pavese. Io non condanno il suicidio, i preti
dicano quello che vogliono. Sono d'accordo con gli stoici e con David Hume, autore
di una profonda trattazione sull'argomento. Ci mancherebbe solo che in questo triste
mondo non si avesse neppure il diritto di farsi saltare le cervella con un'oncia di
polvere, se così facesse piacere. Vivere è difficile, ma vivere controvoglia sarebbe
addirittura orribile. Chi si uccide merita già della considerazione. Se poi a uccidersi è
un italiano, la considerazione dev'essere doppia, Perché? Perché la storia insegna
che l'italiano difficilmente viene in conflitto con la propria coscienza o con i propri
ideali, ammesso che ne abbia qualcuno, fino al punto di ammazzarsi.[...] Siamo un
popolo di pappataci o di "mammamia", non di Catoni. Tutt'al più si va dal prete, il
risuolatore di coscienze; e questo spiega perché la coscienza degli italiani è spesso
molto più sfilacciata di quella dei protestanti. Ma perché Pavese, per uscire dalla
scena del mondo, ha scelto proprio un albergo centrale di Torino? Egli ha lasciato
scritto di non fare commedie intorno alla sua morte, e questo suona molto nobile; ma
uccidersi in un grande albergo è un gesto troppo vistoso per non suscitare rumori e
commenti. Chi lo fa può anche dare l'impressione che non abbia rinunciato del tutto
alla vanità del mondo.49
- Filosofi
Leggo Nietzsche, che a confronto del suo maestro Schopenhauer fa una magra
figura. Stordisce, ma non nutre. E' come il latte scremato, che i pastori di qui
chiamano "brossa". Nelle sue opere si sentono tuoni e fulmini, ma non cade mai un
po' di pioggia. E' un temporale a secco. Parla spesso di alta montagna, ma ho
l'impressione che la conoscesse come conosceva la vita e gli uomini, cioè poco.
Rincorreva solo i suoi fantasmi. Certo, soggiornò ripetutamente nell'Alta Engadina;
ma quello che dice sulle montagne è più una proiezione del suo stato d'animo che
un'osservazione diretta della natura. Ma poi: un filosofo deve dimostrare, non gridare
parole al vento.50
I pensatori originali, quelli che in tedesco si chiamano Selbstdenker, sono rarissimi.
I più prendono le idee a prestito. Ora, se una cosa non la si è pensata da se stessi, è
facile cambiarla o barattarla, in quanto si tratta di una semplice appiccicatura
intellettuale. Questo spiega perché molti, nel campo filosofico come in quello politico,
cambino facilmente idea. Commerciano e trafficano con quello che hanno preso dagli
altri, e per loro un'idea vale l'altra. Rispettare tutte le idee va bene. Ma quanti hanno
veramente un'idea propria?51
- Musica
Mi sono portato quassù l'ottavino e, quando si fa sera, suono volentieri qualche
brano. Questa sera, per esempio, ho suonato la serenata di Schubert. Chi mi
48
Id., p. 46.
Id., pp. 32-33.
50
Id., p. 32.
51
Id., p. 50.
49
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ascoltava? Una mucca! Come se la musica le piacesse più dell'erba, ha alzato la testa
ed è rimasta in ascolto.52
- Scienza "empirica"
La biologia cerca di sapere come si vive, la filosofia perché si vive. E' una bella
differenza. La prima indaga il fenomeno, la seconda il mistero. Talvolta il filosofo, per
esempio Kant, è anche uno scienziato; ma è difficle che uno scienziato empirico sia
anche filosofo. Il biologo ricorda un po' gli antichi aruspici, i quali credevano di
scoprire la verità squartando gli animali e osservandone le interiora; il filosofo,
invece, ricorda un po' i mistici.53
- Apologhi
Un giorno trovai un riccio e gli dissi: Perché non ti apri e non fai prendere un po' di
sole anche alla tua pancia? Qualcuno potrebbe forse farti delle carezze, se tu non
fossi sempre così raggomitolato e non mostrassi gli aculei". Mi rispose: "Provai a
farlo una volta nel paradiso terrestre, illudendomi che quello, come dicevano, fosse un
luogo di pace e che nessuno facesse del male agli altri. Ma quando vidi che perfino il
fratello ammazzava il fratello, divenni saggio, rinunciai per sempre all'illusione delle
carezze e decisi di non esporre mai più la parte senza aculei del mio corpo. Guai a chi
è senza difesa, perché nel mondo ci sono più morsi che carezze. Se non l'hai ancora
capito, peggio per te".54
II. Vagabondaggi culturali, 2008 55
I Vagabondaggi sono viaggi, per lo più organizzati, compiuti tra la fine degli anni Sessanta
e i primi del Duemila, in Italia, ma soprattutto in Europa, Medio Oriente e nord Africa,
insieme con la moglie Silvana, premurosa compagna nel "viaggio della vita" 56, e/o altre
persone (amici, amiche).
I viaggi, come il matrimonio, mettono a dura prova la convivenza. Se non si vuole
che il viaggio diventi una tortura, bisogna scegliersi compagni che abbiano la nostra
stessa direzione spirituale e i nostri stessi interessi culturali.57
Sì, viaggiare ...
Coerente con se stesso, viaggiatore (non turista) colto e curioso, esigente ma non
ipocondriaco, capace anzi di adattarsi, amabile e signorile, rivolge uno sguardo peculiare sul
mondo, sulle civiltà antiche e sull'attualità internazionale, sulle etnie, le loro usanze e
52
Id., p. 17.
Id., p. 57.
54
Id., p. 34.
55
Nel 2010, edito dalla stessa casa editrice torinese Fogola, è uscito La stufa dell'Anticristo. Altri
vagabondaggi culturali, un altro diario di viaggio nel quale, "attraverso luoghi suggestivi e scorci naturali, si
ripercorrono la storia e le riflessioni di grandi pensatori del passato, da Eschilo a Platone a Schopenhauer,
passando per Giordano Bruno e, ovviamente, per Friedrich Nietzsche" (informazioni tratte dall'annuncio
della presentazione del volume da parte dell'autore presso l'Aula Goldoniana del Collegio Ghislieri di Pavia,
5 dicembre 2011).
56
A. Verrecchia, Vagabondaggi culturali, Torino, Fogola, "La Torre d'avorio", 2008, Dedica, p. 5.
57
Id., p. 47.
53
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culture, sulle varietà dei paesaggi naturali e antropici.
Se poi si tratta di paesi di antichissima civiltà, dove le pietre parlano, viaggiare
significa soprattutto porgere l'orecchio alla voce del passato. E' il caso, per esempio,
dell'antico Egitto. Né c'è bisogno, per ascoltarvi la voce dei millenni, di essere
specialisti in egittologia e di saper leggere i geroglifici: basta la sensibilità. Allo
stesso modo non occorre saper leggere le note per ascoltare una bella musica. Anzi il
più delle volte gli specialisti contraggono la frigidità professionale come le fallofore.
Del resto i geroglifici, giustamente definiti la più bella scrittura del mondo, hanno un
valore tanto semantico quanto estetico.58
C'è anche una crociera da Amsterdam a Genova - Ogni tanto la filosofia serve a qualche
cosa59 -, oggi quasi un obbligo del turismo nazionalpopolare, organizzata dalla stessa
compagnia di navigazione a cui apparteneva la nave coinvolta in un recente, clamoroso
incidente. Sulla "Romantica" Verrecchia salpa nel settembre del 2000 accettando l'offerta di
un viaggio completamente gratuito per due, la cui rotta doveva inizialmente essere il più
allettante Mar Baltico. In cambio il filosofo avrebbe dovuto "intrattenere" i passeggeri, sul
palco, alla stregua di canterini e ballerini60, tenendo due conferenze, una in italiano su
Nietzsche e una in tedesco su Giordano Bruno: ça va sans dire. Entrambe si svolgono poi in
italiano, in quanto i passeggeri tedeschi, almeno la maggioranza di quelli che intraprendono
una vacanza del genere nel Sud Europa, hanno diverse aspettative e disertano l'incontro in
programma. In entrambi i momenti i non numerosi ascoltatori partecipano con domande
pertinenti e indugiano, trattenendo il relatore, ben oltre i tempi previsti.
Il personale di bordo proviene da sessanta nazioni diverse; poi ci sono i passeggeri, tedeschi,
italiani, francesi.
E' un piccolo universo variopinto, eppure sulla nave si forma una sorta di
solidarietà. E' come se, in mezzo all'oceano, ci si rendesse improvvisamente conto di
essere accomunati dallo stesso destino.61
Orientano il libro alcuni punti fermi della sua Weltanschauung, i capisaldi del suo "modo
fondamentale di giudicare e di essere"62. Oso piegarli a uno schema, sperando di non tradire
o falsare l'uomo e l'intellettuale-scrittore.
- Principale "idolo polemico" di Verrecchia sono le religioni.
Sono sempre più dell'avviso che la religione sia una forma di pazzia o, se si
preferisce, una patologia della mente.63
Iran, maggio1998, a Yadz, la città degli zoroastriani - Ma perché le religioni
"rivelate" sorgono sempre nelle grillaie? Qui quella di Ahura Mazda, nel Sinai quella
di Jahvé, ma ce ne sono delle altre. Non sarebbe stato meglio rivelarsi all'uomo nella
pianura padana o nella valle del Reno? Già, ma nelle grillaie è più facile avere delle
visioni o delle allucinazioni. Ogni religione ha i suoi profeti e la sua verità rivelata; e
la gente, balorda com'è, ci crede. Non c'è niente di più facile che menare per il naso la
58
Id., Prefazione, p.7.
Id., p. 267.
60
Id., p. 269.
61
Id., p. 274.
62
Dalla recensione sul risvolto di copertina del Diario ..., a c. di Arnaldo di Benedetto.
63
Vagabondaggi..., p. 265.
59
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gente.64
Reiterata è in particolare la polemica contro il monoteismo, quello cristiano, che ha ormai
perso slancio
Turchia, dicembre 1991 - Penso alla chiesa cattolica. Fino a qualche secolo fa, per
imporre i suoi dogmi, ricorreva alle forche, ai roghi e alle mannaie. Ora è diventata
melliflua e sentimentale, adattandosi alle circostanze come la salamandra. Ma sempre
dannosa è, perché se prima bruciava viva la gente ora la snerva. I preti sono una
categoria di persone cui non bisognerebbe concedere niente, perché ne approfittano.65
rispetto a quello islamico, le SS del cielo.66
Siria, 26 dicembre 1981 - Visto un funerale musulmano, ma non ci sono donne.
Infatti mi si dice che le donne non partecipano ai funerali e non accompagnano i
morti. [...] Chissà, forse i musulmani sono gelosi perfino dei morti ancora caldi. [...]
Non si sa mai: meglio aspettare che i morti siano ricoperti di terra. Solo allora le
donne possono rendere tributi di pianto alla buonanima. Tanta diffidenza non mi
sorprende, se ripenso al musulmano che all'aeroporto di Baghdad volle accertarsi che
nella toilette per donne non ci fossero uomini, prima di permettere alla moglie di
entrarci. Se muore un marito così geloso e opprimente, è giusto che la moglie non lo
accompagni al cimitero: le basta vederlo morto o magari farlo morire.67
Avversione impenitente, dissacrante, vera e propria idiosincrasia, per le le Madonne, i
profeti, i preti, i santi (Pacomio, Simeone, Paolo di Tarso, Gregorio Nazianzeno, Benedetto
da Norcia, Giacomo, Domenico, ecc.), tacciati di impostura, oscurantismo, fanatismo,
vandalismo, notte.
Siria, 23 dicembre 1981 - A Damasco san Paolo avrebbe avuto l'illuminazione per
salire al cielo. Probabilmente sono più santo di lui, cosa del resto non molto difficile,
dato il tipo. Comunque sia, non mi piacerebbe incontrare, neppure in cielo, un uomo
così fanatico, perché non mi sentirei al sicuro. Era un stanasso in chiave teologica.
Meglio stare alla larga. [...] Obiettivamente però bisogna riconoscere che i più pazzi
di tutti erano i crociati, che per liberare un sepolcro vuoto, ne scavarono almeno
centomila.68
Siria, 29 dicembre 1981 - Il "martirologium" cristiano è pieno di fandonie. I
cristiani hanno fatto delle lacrime un'industria.69
Chi sta scrivendo questo testo non si riconosce in tanta acredine, senza dilungarsi a
spiegarne i motivi; basti per tutti il fatto che tali accuse sembrano debolmente argomentate
dall'autore. D'altra parte anche chi si dissocia dal suo assunto è consapevole del fatto che
l'uomo, di qualunque statura morale, in qualsiasi veste o ruolo, è soggetto a sbagliare, anche
in modo eclatante; del fatto che è storicamente esistito e ancora dilaga un fondamentalismo,
religioso o ideologico, oppressivo e accecante, scambiato sciaguratamente con la luce del
64
Id., p. 253.
Id., p. 172.
66
Id., ibid.
67
Id., p. 124.
68
Id., pp. 113-114.
69
Id., p. 132.
65
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Vero. Verrecchia, che forse si sente emulo di Zarathustra o del "libero pensatore" bruciato
dall'Inquisizione, Giordano Bruno, suole definirsi non religioso, un laico, al limite un
estimatore dei culti e degli dei del mondo classico o degli antichi Egizi, plurali e perciò
tolleranti, a suo dire, a differenza di un dio geloso della sua unicità. Altrove accenna al
demiurgo, plasmatore della materia del mondo, oppure gli tornano alla mente le parole di
Buddha, che pensava alla redenzione di tutti gli esseri viventi. "Tutto è impermanente".70 In
un altro libro ammette comunque di non essere indifferente, almeno sul piano estetico,
all'aria mistica che si avverte nelle chiese cattoliche, così diverse dalle sale d'aspetto dei
paesi protestanti.71
- Riecheggia da un libro all'altro e culmina in questo, dedicato a viaggi e paesi, il topos
verrecchiano del primato della civiltà romana, per la solidità strutturale e imponenza delle
sue opere architettoniche (i ponti, gli acquedotti, le strade), per le cura dell'igiene del corpo
(le terme).
Turchia, dicembre 1991 - Nessuna civiltà ha lasciato un'impronta così profonda e
vasta come quella romana. Certo, prima di loro ci furono i greci; ma la civiltà
romana è più moderna, più vicina al nostro modo di vivere. Fino a un centinaio d'anni
fa non ci sono stati grandi cambiamenti rispetto alla civiltà romana.72
Ma, visitando la città-santuario di Olimpia, deve riconoscere che
Grecia, 10 luglio1975 - La grandezza dei greci era soprattutto nel loro sentimento
estetico e religioso. Lo si capisce osservando questi monumenti. Nulla veniva fatto
sotto la spinta dell'utile, ma del bello. Olimpia è una poesia cristallizzata. Quando un
popolo antepone a tutto la categoria dell'utile, cade prima in quello che oggi si
chiamerebbe filisteismo e poi nella barbarie.73
- L'autore non manca di esprimere la sua ammirazione per gli individui e i popoli fieri,
come i turchi, i libici, i portoghesi (Madonne a parte), per le culture antiretoriche.
Conseguente è la condanna dei regimi autoritari, in particolare quello socialista (Romania) o
quelli teocratici (Iran), ma anche delle democrazie fragili e litigiose o bombardiere.
Efeso, 29 dicembre 1991 - I turchi sono anche fieri e marziali. Ieri, vicino alle
rovine di Pergamo, ho visto dei soldati che marciavano come tanti tedeschi. [...] A
proposito dell'aspetto marziale dei turchi mi viene in mente ciò che mi ripeteva il mio
vecchio amico Prezzolini: "I popoli che non sanno fare la guerra non sanno fare
neanche il resto". Il che non significa che Prezzolini fosse un guerrafondaio, questo
proprio no. Alludeva semplicemente alla capacità organizzativa.74
Mamaia, Costanza, luglio 1967 - Difficile bere qualche cosa al bar, perché non c'è
niente. Si vedono delle bottiglie allineate, ma sono vuote. Stanno là solo per far
figura. Abbiamo anche provato a chiedere un panino, ma è seguita una scena
surreale. La donna prima ha pesato il pane, poi la fettina di salame, poi il pane e
salame insieme. E non una, ma due o tre volte. Ha detto che il prezzo del salame è
70
Id., p. 190.
A. Verrecchia, Rapsodia viennese, Roma, Donzelli, 2003, p.265.
72
Vagabondaggi..., pp. 160-161.
73
Id., pp. 51-52.
74
Id., p.161.
71
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diverso da quello del pane e che quindi doveva stabilire esattamente quanto valesse la
fettina di salame e quanto il pane. Risultato: abbiamo rinunciato al panino marxista.75
Egitto, 19 e 20 marzo 2003 - La guida mi fa capire che nel Cairo ci sono sommosse
per la guerra degli americani contro l'Iraq e teme di portarci nel mercato, dove ci
potrebbero essere dei pericoli. [...] Le cose si mettono male. Possibile che gli
americani non capiscano che, così facendo, si mettono contro più di un miliardo di
musulmani? [...] Gli americani hanno certamente la forza, ma mancano
completamente di diplomazia e di intelligenza politica. Non credo assolutamente che
Saddam Hussein abbia le pericolose armi di cui si parla, così come non credo che sia
quel mostro che ci viene descritto dai giornali. Quando visitai l'Iraq [nel dicembre
1978, ndr] non ebbi l'impressione di trovarmi in un inferno. Il regime della ex DDR
era di gran lunga peggiore. E allora? Gira e rigira, nelle guerre in fondo non si tratta
che di rubare, come diceva Voltaire.76
- Verrecchia denuncia instancabilmente la sofferenza inflitta dall'uomo (malvagio),
all'animale (innocente ma non idealizzato), entrambi soggetti alla legge naturale della
violenza e dello sterminio (pessimismo cosmico). Può essere che si reggano a fatica, in
generale, gli approfondimenti dedicati al comportamento degli animali fatti da studiosi
dell'argomento, ma le descrizioni di Verrecchia - filosofo amante della natura, di cui è
conoscitore e non scienziato - affascinano per l'empatia, la compassione, la sensibilità non
stucchevoli da cui sono animate.
[...] in Africa, dove fu sempre sconosciuta la pietà per gli animali. Perfino nella
Bibbia non viene mai spesa una parola in loro favore. Preferisco mille volte il
buddhismo. Finché si continuerà a scannare e a torturare come se niente fosse gli
altri esseri viventi non ci potrà essere redenzione per questo basso mondo.77
- Apprezza e sottolinea - con fine gusto, si direbbe, non senza qualche punta di misoginia le bellezze muliebri; è convinto che l'attrazione erotica, il turbinio delle passioni, l'eterno
femminino siano l'unico vero carburante dello spirito,78
Notato che le donne, quando si alzano dalla sedia, si assestano il sedere, cioè si
passano la mano sul sedere, mentre gli uomini si aggiustano la cravatta. Ognuno cura
la parte che più gli sta a cuore: le donne il sedere e gli uomini la cravatta (o il
cappio?).79
Le forze di quella donna che si pavoneggia sono sul punto di commutarsi da
attraenti in respingenti. La cosmetica è l'arte con cui la donna cerca di cancellare la
data di scadenza dei suoi articoli sessuali.80
Teheran, 14 maggio 1998 - Ma la cosa più piacevole è l'alta percentuale, se così
posso dire, di belle donne. Hanno visi e occhi meravigliosi. Il chador, contrariamente
a quel che si pensa, conferisce loro qualche cosa di solenne. Solo a Nuova Delhi
75
Id., p.10.
Id., pp. 332-333.
77
Id., pp. 231-232. Ritorna Schopenhauer, "senz´altro il miglior apostolo del Buddha in Europa. Ma al tempo
stesso ... forse, anche, il suo peggior allievo. Malgré lui." (Franco Marcoaldi, E Schopenhauer incontrò
Buddha, "La Repubblica", 28/05/2007).
78
Id., p. 46.
79
Id., p. 177.
80
Id., p.274.
76
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avevo visto tanto belle donne insieme. Ma mentre le indiane sembrano delle divinità,
le iraniane sembrano delle Urí trapiantate sulla terra. L'incarnato è bianco e i sorrisi
incantevoli. Le donne occidentali, al confronto, fanno la figura di culone bitorzolute.
Qualcuno ha detto giustamente che in Iran c'è la più bella razza umana. Qui non vedo
donne con il sedere a pomodoro.81
Costanza (Romania), luglio 1967 - Il proverbio dice che pescare una brava moglie è
come mettere la mano in un sacco di vipere e sperare di trovarvi un'anguilla. [...]
Probabilmente è ereditaria anche l'inclinazione a contrarre matrimoni sbagliati.82
- Esibisce la sua distanza dai cattedratici paludati, dalle liturgie vuote e altezzose di un
certo mondo accademico. A tal proposito Gianmario Ricchezza riferisce che Verrecchia
soleva definirsi un Selbstdenker, un pensatore libero e autonomo.83 Ma anche l'amato
Schopenhauer aveva sbugiardato la filosofia ufficiale e polemizzato contro gli intellettuali
inseriti.
Grecia, 11 luglio 1975 - Schliemann non è mai stato ben visto dalla cosiddetta
"scienza ufficiale". La solita storia: se uno non fa parte delle cricche universitarie
viene aggredito dagli "specialisti". Ma questa boria non serve a niente: le grandi
scoperte non sono mai state fatte dagli specialisti, ma dai dilettanti e dagli
appassionati come Schliemann.84
L'autore, di cui per dovere di cortesia avevo acquistato il libro, mi ha detto: "Per lei
voglio scrivere una dedica speciale. Mi lasci un po' di tempo, perché devo pensarci".
Ed è rimasto a ponzare per un bel po' con la testa fra le mani. Alla fine mi si è
avvicinato con aria trionfale e ha esclamato: "Ecco qua!". Credevo che avesse scritto
un sonetto, invece ho letto solo queste parole: Für Anacleto Verrecchia, herzlichst
(per A.V., cordialmente). Forse soffre di stitichezza intellettuale. Gli accademici, che
sono afflitti dallo spirito della pesantezza, arricciano il naso dinanzi alla pagina ben
scritta e parlano di "giornalismo". Per la stessa ragione le donne brutte accusano di
leggerezza quelle carine".85
In occasione del centenario [di Hermann Hesse, ndr] è stata fatta anche un'edizione
speciale al prezzo di 48 marchi. Il modo migliore di onorare uno scrittore è proprio
quello di ristamparne le opere e di metterle a basso prezzo. I discorsi ufficiali ed i
congressi non servono a niente. Sono solo dei tornei di chiacchiere.86
Un grande spirito, poeta, musicista o filosofo che sia, è sempre un isolato, perché
suona su un registro che non è quello della generalità degli uomini. Come è caduta in
basso la letteratura tedesca, che al tempo di Goethe era egemone! Oggi in Germania,
come del resto altrove, abbiamo solo ruminanti: critica, storia della critica e critica
della storia della critica. Abbiamo una letteratura di seconda e terza fienagione.
Meglio ancora: abbiamo solo i fatturisti della letteratura.87
81
Id., p.237.
Id., p.12 (a proposito delle tre mogli di Ovidio).
83
Cfr. nota 5.
84
Vagabondaggi..., p. 53.
85
Id., p.64 (a un congresso su Lichtenberg in Germania, incontrando a Darmstadt altri partecipanti, fra cui
Hans Ludwig Gumbert, l'"autore" in questione).
86
Id., p. 78.
87
Id., p. 85.
82
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- Detiene una posizione defilata, latamente critica, nei confronti delle ideologie dominanti
nell'intellighentia italiana da circa sessant'anni, come verso gli atteggiamenti mentali e
sociali consueti, i giudizi storici inappellabili. Che Verrecchia sia stato forse ignorato o
sottovalutato anche per questa collocazione non convenzionale? Assunta, ci pare, non in
nome di una militanza o di un investimento di segno opposto o di un provocatorio
revisionismo, nemmeno presi in considerazione, ma per rivendicare il diritto a dissentire da
ciò che i più professano o approvano scontatamente, ad andare contro-corrente, a
salvaguardare l'integrità della propria coscienza. Il tutto senza l'autocompiacimento e la
presunzione di un bastian contrario.
Il vero colore di Hölderlin, che parla sempre di cielo e di etere, è l'azzurro. Azzurro
o celeste: colore degli angeli. Ma chi è stato allevato con ghiande ideologiche vede
tutto con occhi arrossati come i cisposi.88
Oporto, 13 settembre 2000 - Città non bella. Ci dev'essere anche molto bigottismo,
ma le chiese non sono belle. Più i popoli si allontanano dalla religione e più
diventano prosperi e civili. Questo in generale. Però ci sono delle eccezioni e non
credo che Max Weber abbia ragione nel considerare il calvinismo un propulsore di
benessere. Questa teoria, piuttosto strana, è stata smentita ripetutamente.89
Chissà come giudicheranno i posteri i giudici del processo di Norimberga. Nelle
guerre riesce difficile distinguere tra buoni e cattivi. Lo potrebbe fare solo un angelo,
ma gli angeli esistono solo nella fantasia. La realtà, bruta, è che non ci sono guerre
giuste e guerre ingiuste, ma solo guerre perse e guerre vinte. E' storia vecchia.90
- Esercita la sua ironia sferzante verso i quattrinai rozzi e annoiati, i turisti gonzi che con la
macchina fotografica attaccata sugli occhi si risparmiano la fatica del pensare e persino del
guardare o che si intruppano in viaggi organizzati, di cui si sobbarcano le immancabili
fregature e gli inevitabili strapazzi, per riempirsi di carabattole, per poter dire agli altri di
essere stati in questo o quel posto. Ma le tipologie di viaggiatore sono assai varie:
intellettualmente misero o inaspettatamente colto, maleducato o ammodo, sorprendentemente paziente, puntualmente spennato. Le guide non fanno eccezione: permalose, ben
preparate o chiacchieroni senza sostanza. Le hostess di aerei e navi tendono rispettivamente
all'indifferenza e alla malinconia.
Questo andar correndo, senza mai avere il tempo di riflettere sulle cose che si
vedono (spesso non c'è neppure il tempo di annotare nel taccuino ciò che si è visto), si
riduce a uno stupido strapazzo. [...] E' un modo come un altro per smaltire la noia.91
Questi viaggi organizzati sono tutti, più o meno, delle fregature.92
L'aereo per Tunisi parte alle 6. Durante il tragitto, prendo in giro il milanese ma lui
non se ne accorge. Gli dico: "Lei dev'essere un vero artista della fotografia. Glielo
leggo anche in fronte che lei ha qualche cosa di artistico". Interviene la moglie che
prima abbozza un sorriso ebete e poi esclama: "Oh sì, lo può ben dire! Ha scattato
tutti i rullini che ci eravamo portati, ed erano molti, mi creda". E lui, tutto soddisfatto,
88
Id., p. 80.
Id., p. 278.
90
Id., p. 77.
91
Id., p. 102.
92
Id., p. 273.
89
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mi dice: "Se viene a Milano le farò vedere tutte le fotografie che ho fatto. Ma
veramente. Questo è il mio indirizzo. Mi farebbe molto piacere. Tenga anche presente
che le fotografie saranno tutte ingrandite". Lui non dice "scattare", ma "sparare"
fotografie.93
- Tema spesso associato è quello della ineducazione dei bambini italiani, della vitalità,
scaltrezza o dignità di quelli cresciuti nella miseria ma non per questo infelici.
Le donne tedesche partoriscono dei bambini e li educano come tali, ma non c'è
donna italiana che non creda di aver messo al mondo un messia. Di qui vizi a non
finire. Naturalmente i bambini italiani ne approfittano e si comportano come le
scimmie sacre di Benares, le quali, consce della propria intangibilità, si permettono
qualsiasi cosa. In Germania i bambini vengono mandati a letto presto, affinché non
disturbino l'ospite. E in Italia? Frignano, scorrazzano e magari ti mettono le dita
negli occhi; e tu, ospite, devi far finta di estasiarti. E lasciamo stare gli insulsi e
insopportabili discorsi che i genitori fanno sulla "straordinaria" intelligenza dei loro
marmocchi, anche se questi, a vederli, hanno un'aria coglioncella. In Germania non
mi è mai capitato niente del genere.94
Siria, 30 dicembre 1981 - A Ebla paese, nugolo di bambini che chiedono il
"bakshish". Che non li abbiano viziati gli italiani? Infatti qui lavorano archeologi
italiani. Fa freddo e questi ragazzini sono scalzi. Ma non se ne curano e appaiono
vispi. Alcuni sono biondi. Comunque sono scalzi e i miei compagni di viaggio si
divertono a fotografarli, rubando loro perfino l'immagine. Almeno li ricompensassero.
Il turista sazio e opulento che si diverte a fotografare poveri ragazzini scalzi dimostra
una sensibilità da facocero.95
- Il suo è un umorismo che sprigiona guizzi venati di intelligenza acuta, di pessimismo
godibilissimo, di singolare conoscenza degli uomini e delle donne. Da persona vitale, non
immodesta ma sdegnosa della mediocrità.
La gente è portata a creder che i libri nuovi e freschi di stampa siano anche i
migliori, come se si trattasse di uova, di fragole e di fichi. Che scempiaggine! Bisogna
invece leggere il meglio di tutti i tempi, vale a dire i libri che sono passati al vaglio
dei secoli.96
- Anche sui Vagabondaggi incombe la triade Giordano Bruno - Schopenhauer Nietzsche, non a caso tre figure dalla biografia o personalità variamente passionale, tragica,
malinconica o eroica. Il più congeniale e arieggiato è senz'altro il filosofo del Wille, la cieca
volontà di vivere riconosciuta nel ciuffo d'erba secca che trova il modo di affermarsi anche
in pieno deserto siriano.97 L'immagine del filosofo di Dioniso viene invece ridimensionata,
ricondotta a impacci e ossessioni varie.98 Da aggiungere l'influsso del già citato fisico
Lichtenberg, da Verrecchia tradotto e studiato, argomento anche della sua testi di laurea.99
93
Id., p. 234.
Id., p. 66.
95
Id., p. 135.
96
Id., p. 256.
97
Id., p. 141.
98
Come già in A. Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Torino, Einaudi, 1978.
99
A. Verrecchia, Lichtenberg und Volta, Wiesbaden, Franz Steiner, 1967. Verrecchia, Georg Christoph
Lichtenberg: l'eretico dello spirito tedesco, Firenze, La Nuova Italia, 1969. Verrecchia, Un amico di
Lichtenberg: Tommaso Bassegli, estr. da: "Studi germanici." - a. 13, n. s., n. 1 (febbraio 1975). Verrecchia,
94
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C'è poi Wagner, anello di congiunzione tra Schopenhauer e Nietzsche. Ma ogni spunto è
buono per richiamare Max Weber, Goethe, Heiddeger e persino Vico, che non a caso
premette 114 Degnità, cioè assiomi formulati come aforismi, alla trattazione della sua
Scienza nuova.
III. Rapsodia viennese, 2003
Verrecchia ha trascorso una parte della sua vita a Vienna, svolgendovi la professione di
addetto culturale presso l'ambasciata italiana. In Rapsodia viennese,100 libro alla cui
sistemazione hanno collaborato Luisa e Gianmario Ricchezza, egli sfata come stucchevole e
tutto italiano il mito della Mitteleuropa. Dipinge con estrosi ghiribizzi una sua Vienna
difficile e volubile, il cui fascino è fatto più di seduzione che di rapimento. Dedica qualche
tratto anche ad alcune cittadine o località nei dintorni. Racconta con spirito frizzante, a tratti
pensoso, le vicende note e meno note di musicisti, scrittori, filosofi, imperatori, nobildonne.
I personaggi evocati entrano in scena nella città teatro soprattutto con le loro debolezze,
stravaganze, dissolutezze, tragedie. Anche lo stereotipo della felix Austria e del Walzer
viene ribaltato in quello dell'Austria infelix, dove prosperano nevrosi, paranoie e suicidi.
L'Austria che, vista sulla carta geografica, [...] somiglia a un prosciutto spolpato. Prima
era lei che azzannava gli altri. Dopo la caduta dell'impero, gli altri hanno azzannato lei.101
Il lettore si lascia allettare e, mentre centellina le pagine del libro, immagina di passeggiare
con l'autore, lo segue docilmente "di pensier in pensier".
Sale sul Kahlenberg riempiendosi l'occhio del vasto panorama sulla città e sul Danubio,
l'orecchio del concerto sfrenato degli usignoli, degli zigoli e dei merli. Percorre il viale della
Gloriette nel parco di Schönbrunn, battendo forte due noci l'una contro l'altra102 per far
accorrere gli scoiattoli; quasi si convince, con Konrad Lorenz, della vita interiore103 delle
cornacchie o delle tortore, nonché della bestialità104 di molte azioni umane.
Si familiarizza con la popolazione, affetta, qui più che altrove, dalla titulitis, il vezzo di
fregiarsi, da vivi e da morti, di titoli ufficiali come fonte di prestigio nella convenzione
sociale. Popolazione statisticamente dominata da arzille vedove: linde e pinte, non hanno
davvero l'aria di chi si maceri nel ricordo della buonanima.105
Vuole riascoltare la nobile musica, le cui note qui riecheggiano eccezionalmente copiose:
Mozart, Beethoven, Schubert, Liszt, Brahms, oltre naturalmente a Johann Strauss (figlio), le
cui biografie sono variamente implicate nelle vicende di questa città o che vi hanno
bazzicato come ospiti.
Assiste con salutare disincanto alla recita del potere: Maria Teresa e Giuseppe II, Francesco
Giuseppe ed Elisabeth-Sissi. O alle pagliacciate degli arricchiti, come il monte degli eroi,
dove un castellano ebreo si costruì un personale Walhalla, aggiudicandosi prima del decesso
il corpo del feldmaresciallo Radetzky al quale aveva pagato tutti i debiti di gioco.106
Scopre la follia e la vigliaccheria celate dietro la normalità e la menzogna: il principe
Di un recente studio sul Lichtenberg, Ravenna, Longo, 1981. Cfr. anche nota 10.
100
Opera citata alla nota 71.
101
Rapsodia..., p. 287.
102
Id.., p. 20.
103
Id., p. 55.
104
Id., p.171
105
Id., p. 32.
106
Id., pp. 71 e sgg.
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Rudolf, erede al trono e figlio di Sua Maestà Apostolica Franz Joseph imperatore d'Austria,
protagonista del fosco omicidio-suicidio perpetrato insieme alla giovanissima Mary Vetsera
il 30 gennaio 1889 nella palazzina di caccia di Mayerling, poi distrutta e trasformata in un
convento di suore carmelitane.
Si stupisce che un tale capitale storico107 possa essere qui concentrato: per esempio, la
biblioteca del principe Eugenio di Savoia, così sconosciuto all'italiano medio, che prese
parte alla battaglia per la liberazione di Vienna dall'assedio dei turchi, il 12 settembre
1683.108
Sosta davanti a molte lapidi disadorne, causa l'incuria di concittadini ignari o irriconoscenti
o smemorati, come quella dell'orientalista e traduttore in tedesco dei discorsi di Buddha,
Karl Eugen Neumann.
In un piccolo borgo alla periferia di Vienna incappa in certe case, come quella, trasformata
in sanatorio privato, dove morì, accudito con celestiale dedizione da Dora Dymant, il
pensionante Franz Kafka,. O quella viennese abitata da Stalin, con tanto di targa. O in quella
del diavolo,109 nella cittadina di Leonding, alla periferia di Linz. Vi trascorse la sua infanzia
Adolf Hitler, di fronte a un cimitero, forse mitridatizzandosi con l'idea della morte.110 O
quella dove visse il medico e scrittore Arthur Schnitzler, che doveva essere un ottimo
stratega, se riuscì a destreggiarsi in mezzo a tutto quel traffico erotico e a impedire che gli
piombassero contemporaneamente addosso due o tre amanti.111
Nella Rapsodia non possono mancare le istituzioni della città danubiana. Si assapora la
panna montata servita dalle demeline, dalla rigorosa divisa bianco-nera, nell'esclusivo caffépasticceria, le cui leccornie già gustavano l'imperatore Francesco Giuseppe (onnipresente) e
i membri della corte che, dopo essersi ristorati l'anima con le funzioni religiose nella
Michaelerkirche, dove tra l'altro è sepolto Metastasio - poeta cesareo per cinquantadue
anni! -, andavano a rifocillarsi lo stomaco nel Demel. Anzi, più era grande il dispendio di
devozione, più si sentiva il bisogno di ristabilire, ingozzandosi di dolciumi, l'equilibrio tra
spirito e corpo.112 Si viene introdotti nell'hotel Sacher, fondato dal figlio del cuoco di
Metternich, inventore della famosa torta, dove si ballava e si gozzovigliava, al tramonto
dell'impero.
Ogni pretesto è colto per combattere le consuete battaglie. A proposito di Musil, autore di
un messianico proclama contenuto nella bozza programmatica di una rivista (che non fu
pubblicata), dove si invocava l'abolizione dell'esame di maturità e si rivendicava la scelta
dei professori da parte degli studenti, Verrecchia denuncia l'instupidimento ad opera dei
professori, che spargono volute di fumo sulla testa dei loro allievi [...], gli accademici che
trebbiano paglia vuota e per giunta scadente. Nelle loro bazzoffie, scritte quasi sempre in
uno stile da seppia letteraria, si sente il rumore del mulino, ma non si vede la farina. [...]
Senza voler generalizzare ... .113 Poi rientra in argomento.
Dà da pensare il fatto che le grandi intelligenze, di solito, non combinino niente né a scuola
né all'università. Camminano per vie proprie e spesso non prendono neppure la laurea.114 E'
il caso, ad esempio, del poeta decadente Georg Trakl, nato a Salisburgo nel 1887 da padre
107
Id., p.57
Id., p. 62.
109
Id., p. 175.
110
Id., p.176.
111
Id., p. 195.
112
Id., p. 256.
113
Id., pp. 218-220. Verrecchia stronca L'uomo senza qualità: ha soltanto un movimento, che però non
finisce mai, come le sinfonie di Mahler (ibidem).
114
Id., p. 180.
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ungherese e madre slava e trasferitosi a Vienna. Spirito tormentato da una micidiale
malinconia, uccisosi a soli ventisette anni in un ospedale di Cracovia con una overdose di
cocaina, imitato tre anni dopo dalla sorella-amante Grete, che scelse la rivoltella.
Non voleva andar via da Vienna Freud, i cui pazienti - racconta la governante Paula Fichtl,
rintracciata in un ospizio vicino a Salisburgo da Verrecchia - entravano nello studio del
patriarca della psicoanalisi [...] con aria depressa e uscivano con aria ancora più depressa
[...]: conoscere se stessi significa non riconoscersi.115 La Fichtl racconta che Sigmund,
almeno fino al giugno 1938, non fu molestato dai tedeschi; a facilitarne poi l'uscita
dall'Austria fu il Duce, a cui anni prima Freud aveva dedicato queste parole: "A Benito
Mussolini, con il devoto saluto di un uomo anziano che nel detentore del potere riconosce
l'eroe della cultura. Vienna, 26.V.1933".116
Con la complicità di un parroco arrivò a costruirsi una patacca anagrafica che lo dava per
nato nel Burgenland, cioè nell'attuale Austria, anziché a Brody in Galizia, il Santo bevitore
Joseph Roth, che alcol aiutando, spesso affabulava, senza tener conto dei confini tra la
fantasia e la realtà.117
Trasportato nella cittadina di Esztergom (l'antica Solva dei romani), a nord-ovest di
Budapest, sulla riva destra del Danubio, il lettore rivive con qualche scossa la fosca vendetta
realizzata da Krimilde su Hagen, traditore e assassino di Siegfried.
Il grande fiume, scendendo il quale, dalle sorgenti al Mar Nero, Claudio Magris aveva già
mirabilmente ripercorso le stagioni della sua vita e della cultura contemporanea,118 è lambito
anche dal libro di Verrecchia, il fiume carico di storia, di poesia e di mito, le cui acque
torbide (non è mai stato blu) trascinano detriti e illusioni umane, le impalcature e gli altari
dei loro regimi, i sogni infranti smantellati dai sei paesi comunisti da esso bagnati. Panta
rei, l'eterno fluire di tutte le cose.119
E l'eterno dolore universale, il Weltschmerz, risuona in un commovente sonetto di Lenau,
ufficialmente Nikolaus Niembsch von Strehlenau, rumeno per i rumeni e ungherese per gli
ungheresi, ma per gli austriaci uno dei loro [...], bello, geniale famoso e circonfuso di
malinconia120 sepolto nel cimitero di Weidling, una vita fuori e dentro dai manicomi, una
bella donna che lo tenne lungamente sulla corda (Sophie von Löwenthal, che si adornava
intellettualmente dell'amore di lui, ma che non voleva perdere la sua rispettabilità borghese):
Io porto nel cuore una profonda ferita
E voglio portarla, muto, fino alla morte.
Sento che rode incessantemente sempre più a fondo,
Sento che la mia vita cede di ora in ora.
Solo una io conosco, cui il mio segreto
Vorrei confidare e dirle tutto:
Potessi al suo collo singhiozzare e gemere!
Ma quell'una giace sepolta nella terra.
O madre, vieni, muoviti alle mie suppliche!
115
Id., p. 211.
Id., p. 214.
117
Id., p. 207. Il grande scrittore Joseph Roth, con i suoi romanzi La cripta dei cappuccini e La marcia di
Radetzky, entrambi pubblicati da Adelphi, offre un' epica e disperata rappresentazione dell'impero asburgico
e della civiltà ebraica dell'Europa orientale.
118
C. Magris, Danubio, Milano, Garzanti, 1986. Per altre concomitanze con le cose viennesi di Verrecchia si
veda per esempio il cap. Café Central, pp. 193-253. Ma si tratta di due libri e di due scrittori toto caelo
diversi.
119
Rapsodia..., pp. 292-293.
120
Id., pp. 23-24.
116
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Se il tuo amore ancor veglia nella morte
E se tu puoi, come una volta, aver cura di tuo figlio,
Allora fa' ch'io possa presto accomiatarmi da questa vita!
Anelo una notte silenziosa.
Oh, aiuta il dolore a svestire questo figlio stanco.121
La ferita di Anacleto torna a far male.
IV. Verrecchia scrittore
Il Diario e i Vagabondaggi hanno in comune la forma del diario: le annotazioni sono in
prima persona e si riferiscono a esperienze e considerazioni dell'autore. La disposizione dei
testi segue un criterio cronologico. Il senso d'immediatezza è dato nei due libri dalle
puntuali indicazioni temporali, a cominciare dalle date e dai nomi dei luoghi, quasi sempre
segnalati, a cui si riferisce la singola annotazione. D'altra parte i testi sono stati raccolti,
rivisti e pubblicati a posteriori, anche di molti anni, rispetto ai soggiorni, viaggi e situazioni
narrati.
Non sto attendendo a una ricostruzione agiografica dell'autore e pertanto confesso che,
soprattutto leggendo i Vagabondaggi, ho provato dopo le prime pagine un po' di delusione.
Sono stata addirittura propensa a giudicare che la scrittura rasentasse la banalità. Sono
elenchi di città, monumenti, siti archeologici, paesaggi, usi e costumi, qualche aneddoto
(piccola avventura o contrattempo) di viaggio, trascrizioni di appunti registrati
frettolosamente su un taccuino, aggirandosi fra templi e scavi, incalzato dall'affannoso
ruolino di marcia, in conflitto con il proprio entusiasmo e desiderio di darsi tutto al vedere e
al saziarsi gli occhi.122 Senza perseguire intenti di trasfigurazione mentale, con frequenti
evocazioni-digressioni di carattere storico o letterario, accurate ma abbastanza risapute. Nel
Diario, viceversa, le intuizioni poetiche sono più frequenti e intense.
Estraneo a ripensamenti e smentite, Anacleto scrittore persevera e imperversa nelle sue
simpatie e antipatie. Lo stile impressionistico e denotativo, a volte prevedibile, si fa però
apprezzare per l'esaustiva schiettezza. Una prosa pugnace e leggera, aliena da enigmi e da
fronzoli. Come già si è detto, Verrecchia opta per la forma aforistica, cogliendo al volo
situazioni e caratteri. Ma condensare un pensiero sotto forma di sentenze può indurre a
ripetersi: talvolta gli accade, nei tre libri qui considerati.
Ciò che sbalza con nitido rilievo dai suoi taccuini di viaggio è il "personaggio Anacleto",
con le sue moralità iconoclaste e beffarde, i saporiti commenti, conditi da qualche metafora
o eufemismo che alludono a realtà anche rasoterra. Come di seguito:
Visitando le rovine dell'antica Mactaris, in Tunisia, sotto la pioggia: Un vecchio, che
si è accodato al gruppo senza sapere che si trattava di un viaggio archeologico, a un
certo punto scivola e cade a terra. Bestemmia in piemontese: "Christ dla madona,
al'han purtame nmès a ste père". Silvana gli dà un fazzoletto di carta per asciugarsi e
lui, dopo averlo adoperato, lo getta vicino a una spledida colonna romana. Non solo è
un tanghero, ma è anche maleducato.123
Ovidio [...] non fu mai sboccato come Catullo e altri poeti dell'epoca. A lui spetta
anche il merito di aver cantato solo l'amore bisessuale, tra maschi e femmine,
121
Id., p. 30
Vagabondaggi..., p. 283.
123
Id., p. 193.
122
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battendo sempre alla porta tradizionale e non a quella di servizio, il che, per un
restauratore di costumi quale voleva essere Augusto, non era piccola cosa.124
A proposito di Cervantes: Quando mai gli scrittori si sono aggirati in ricchi
palazzi? Si direbbe che le Muse vogliano tenere i loro figli a stecchetto, forse per
timore che ingrassino e che la loro ispirazione si tramuti in flatulenze.125
Nei rimandi, una deliberata genericità di riferimenti, come a ostentare l'inanità di ogni
scrupolosa pignoleria da filologo. Qualche esempio tratto dal Diario:
Il critico, non importa di quale arte, ... Tutti pensano ... Gli autori tedeschi ... Dicono che ...
Ho letto da qualche parte ... Ho letto alcune cose su ... Ho alcuni libri con me,
specialmente di filosofia ... Se, come si sente dire ... .
Frequenti i periodi che poggiano sul participio passato in posizione incipitaria (Ammirato
l'abilità di questi commercianti ...; Osservato attentamente una coppia di italiani ...; Visto
alcuni portali in stile arabo-turco ...)126 o ellittici del verbo principale (All'ingresso anziano
libico che parla italiano e dice ...; Grande voglia di tuffarmi nel mare, ma non ho ...).127
Rapsodici e variegati, e tuttavia mai virtuosistici o sussiegosi, sono il respiro e la musica del
terzo libro, articolato in agili capitoli, preceduti da due o tre aforismi-spunti. Ciascun
capitolo è dedicato alla rievocazione-descrizione di luoghi e personaggi celebri della
capitale danubiana. Con l'abituale verve un po' sulfurea, ma sotto un'ispirazione
particolarmente felice, che gli detta una prosa semplice e insieme forbita - forse il miglior
saggio della sua scrittura -, Verrecchia conduce il lettore nelle sue peregrinazioni davanti e
dentro case, hotel, cimiteri, monumenti, lungo strade e parchi e cittadine poco distanti. In
questo libro esercita al più alto livello la virtù, che non è di tutte le persone colte, di
raccontare e spiegare in modo chiaro e rigoroso, ma
anche leggero e intrigante. Il lettore, anche quello non
interessato o non intendente di cose viennesi, procede
senza tedio, con gusto, e alla fine ringrazia.
V. Ai piedi della Grivola: vagabondaggio sulle
orme di Verrecchia
I libri, specialmente quelli che parlano di luoghi,
destano curiosità buone. Talora spingono i neofiti ad
una goffa emulazione. È stato così che a luglio...
Basta, Prismi non è un social network. Solo questo:
profusione di rododendri in fiore, sagoma inquietante
della Grivola, incontri ravvicinati ed emozionanti con
la fauna del parco.
La Grivola (foto N. Rigoni)
124
Id., p.14.
Id., pp. 40-41.
126
Id., pp. 177, 179.
127
Id, p. 220.
125
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VI. La metà di Anacleto come specchio. Intervista alla signora Silvana ...
Capitolo ideato, ma svolto solo in pectore, perché l'ipotetico incontro non si è ancora
realizzato, né è stato ancora sollecitato (per mia discrezione o inerzia), né mai forse avrà
luogo.
Conclusione
Svelo infine come sono arrivata ad Anacleto Verrecchia (ma perché si è tenuto stretto un
nome simile?). Per via di un borgo che non dico nel Ponente ligure. Come me e come
Silvana (omonima della moglie) Gariglio e Bruno Giovannini, due amici che l'hanno
personalmente conosciuto e a cui devo la scoperta del Diario, Verrecchia soleva trascorrervi
parte delle sue estati. Si lamentava della temperatura dell'acqua marina, rigida persino in
agosto a differenza del clima, caldo torrido nei mesi centrali dell'estate. Si inerpicava
ostinatamente nei suoi ultimi anni sulle erte scale che salgono al centro storico. Osservava
con impietosa curiosità l'ambiente, frequentato da villeggianti lombardi e piemontesi.
Caustico e indulgente, stigmatizzava vezzi e vizi degli habitués, la loro chiacchiera
autoreferenziale.
Mi piacerebbe poter affermare come Dante nel Convivio che ai piedi dei veri filosofi ho
raccolto le briciole, ma ribadisco in chiusura che in quanto ho preteso di scrivere non c'è
nulla di filosofico. Anacleto e chi lo ha davvero conosciuto non me ne vogliano. Verrecchia
per giunta deplorava i libri che parlano di altri libri e paragonava il sovrapporsi dei critici
agli autori all'assalto dei piccioni ai monumenti o della mosca carnaria alle carcasse.128
Ottobre 2013 - Marzo 2014
128
Rapsodia..., p.251.
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Nota biobibliografica
Ricavo questi cenni, che ho riscontrato con altri profili pubblicati on line, dal blog "Poesia, di
Luigia Sorrentino" sul sito di RaiNews (Addio al filosofo Anacleto Verrecchia, 5/2/2012):
Nato a Vallerotonda (Frosinone) il 15 settembre 1926, si è trasferito da giovane a Torino, dove ha
studiato laureandosi in germanistica. Ha poi vissuto in Germania (Berlino) ed è stato a lungo
addetto culturale all’ambasciata italiana di Vienna, esperienza testimoniata in Rapsodia viennese:
luoghi e personaggi celebri della capitale danubiana (Donzelli, 2003) e Incontri viennesi (Marietti,
1990). Ha collaborato con articoli e recensioni alle pagine culturali di giornali italiani, tra cui “Il
Resto del Carlino”, “La Stampa”, “Il Giornale”, e tedeschi come “Die Presse” e “Die Welt”. E’
stato traduttore di Georg Christoph Lichtenberg e Arthur Schopenhauer, su cui ha scritto numerosi
saggi, tra i quali Schopenhauer e la Vispa Teresa: l’Italia, le donne, le avventure (Donzelli, 2005).
Tra i suoi libri figurano quelli editi da Fogola di Torino: Giuseppe Prezzolini, l’eretico dello spirito
italiano (1995), Vagabondaggi culturali (2008), La stufa dell’Anticristo. Altri vagabondaggi
culturali (2010) e Diario del Gran Paradiso (1997). Per Donzelli ha pubblicato anche Giordano
Bruno. La falena dello spirito (2002). Uno dei suoi libri più noti è la La catastrofe di Nietzsche a
Torino (Einaudi, 1978), tradotto in tedesco con il titolo Zarathustras Ende: die Katastrophe
Nietzsches in Turin (Bohlaus, 1986), e ripubblicato con modifiche come La tragedia di Nietzsche a
Torino: la catastrofe del filosofo che sognava un superuomo al di là del bene e del male (Bompiani,
1997) e “La catastrofe di Nietzsche a Torino”, con prefazione di Vittorio Sgarbi (Bompiani, 2003).
E' morto a Torino il 4 febbraio 2012, all'età di ottantacinque anni.
Segnalo due ricordi, dedicatigli "a caldo" e leggibili on line, che ci consegnano un ritratto vivido e
commovente dell'umanità di Verrecchia:
Gianmario Ricchezza, In ricordo di Anacleto Verrecchia, nel blog letteratitudinenews, 9 febbraio
2012.
Marco Lanterna, Anacleto Verrecchia, venerando e terribile, "Pulp Libri", n° 88,
novembre/dicembre 2010.
Si veda anche Ugo Dotti, I vagabondaggi culturali di Anacleto Verrecchia, "451" (rivista
contenente gli articoli della "The New York Review of Books"), n° 5, aprile 2011.
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