La tragedia della nave da battaglia "Regina Margherita

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La tragedia della nave da battaglia "Regina Margherita
ASSOCIAZIONE NAZIONALE MARINAI D’ITALIA
Gruppo M.O.V.M. “Luigi Longobardi”
Castellammare di Stabia
11 dicembre 1916
la tragedia della nave da battaglia
Regina Margherita
A cura di Antonio Cimmino
Castellammare di Stabia 2008
La nave
Profilo longitudinale
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La nave da battaglia Regina Margherita costituiva una classe di unità pluricalibro assieme
alla gemella Benedetto Brin costruita a Castellammare di Stabia.
Il piano di costruzione delle due unità fu elaborato dall’Ispettore del Genio Navale
Benedetto Brin e, alla morte di questi, realizzato dal Generale del Genio Navale Micheli.
L’unità fu impostata nel 1898
nell’Arsenale di La Spezia, varata nel 1901
e consegnata alla Regia Marina nel 1904.
Il suo dislocamento normale era di
13.427 tonnellate, quello a pieno carico di
14.574 tonnellate.
Era lunga 138,6 metri, larga 23,8 e
con un’immersione di 8.9 metri.
L’apparato motore era composto da
28 caldaie che alimentava due motrici
alternative che sviluppavano un potenza di
20.000 cavalli per una velocità di 20 nodi.
Il combustibile era rappresentato da circa
1.000 tonnellate di carbone. I locali
carbonili erano sistemati in modo tale da
offrire protezione ulteriore in caso di attacco di artiglierie.
.La nave sullo scalo di costruzione a La Spezia
-
Lo scafo era così protetto:
una protezione verticale sulle murate spessa 150 mm. nella parte centrale che si riducevano
a 100 nelle estremità di poppa e prora;
una protezione orizzontale sul ponte di 80 mm.;
le artiglierie era protette da corazze di 220 mm e il torrione da 150 mm.
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Particolare della prora con rostro per lo speronamento
La prora era armata con un rostro per un eventuale speronamento delle navi nemiche, ancora
retaggio di un’antica concezione di battaglia navale, ormai superata dall’entrata in servizio delle
torpediniere e dei cannoni a lunga gittata che rendeva impossibile un incontro ravvicinato per
effettuate tale tipo di attacco. .
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Foto ufficiale
L’armamento principale era costituito da 4 cannoni da 305/40 mm accoppiati in due torri,
una a poppa ed una a prora; quello secondario da 4 cannoni da 203/45 mm sistemati in casematte in
coperta e da 12 cannoni da 152 mm, sei a dritta e sei a sinistra nel ridotto, nonché 20 cannoni da 76
mm, 2 pezzi da 47 mm, 2 pezzi da 37 mm e 2 mitragliere.
Costruzione di un cannone da 305
I 4 cannoni da 305, quelli da 203, quattro da 152 e 12 da 76 mm avevano la possibilità di
sparare per linea di chiglia, metà in “caccia” e metà in “ritirata”.
Bordate alle prove
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L’armamento subacqueo era costituita da 4 tubi lanciasiluri , sistemati due al di sotto del
galleggiamento e due al di sopra.
MitragliatriceVickers 1915
La velocità e l’armamento rendeva questa classe di navi interessanti per l’epoca ma il loro punto
debole era la vulnerabilità.
La corazzatura le faceva assimilare ad un sorta di incrociatore corazzato o di incrociatore da
battaglia invece che di nave da battaglia corazzata.
Cannoni in barbetta
La corazza di 150 mm della cintura, infatti, era perforabile da almeno 15-20 chilometri da un
cannone da 305 mm dell’epoca, oppure da 10 chilometri a circa 40 gradi di angolo d’impatto,
mentre un tiro perpendicolare rendeva la nave vulnerabile a 10 chilometri contro un pezzo da 203
mm e 5 chilometri contro un cannone da 152 mm dei cannoni secondari che armavano le corazzate
dell’epoca così come gli incrociatori.
L’inefficacia della protezione, però, non potè essere dimostrata in quanto le navi non furono
mai impiegate contro unità nemiche.
L'unità in navigazione
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. L’ATTIVITA’
La nave fu consegnata alla Regia Marina il 14 aprile 1904 e l’11
maggio dello stesso anno a La Spezia le fu assegnata la bandiera di
combattimento dalla Regina Margherita (foto a Sn) in persona e il suo motto:
“Per l’Onore d’Italia”.
Vista longitudinale ( notare i cannoni in batteria)
Fino al 1910 rivestì il ruolo di nave ammiraglia della flotta e prese parte a tutte le
esercitazioni che ritennero nel Mediterraneo.
Unitamente alle altre unità e a parte della flotta russa disloca nel Mediterraneo, partecipò
attivamente alle operazioni di soccorso delle popolazioni di Messina e di Reggi Calabria colpite dal
terremoto e maremoto del 1908.
Navi alla fonda nello Stretto di Messina dopo il sisma
Subito dopo arrivarono nello stretto anche navi della flotta francese, spagnola e greca in una
gara di solidarietà che solo la gente di mare sa dare.
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Durante i lavori di manutenzione del 1911 la nave subì dei danni causati da esplosioni
accidentali delle caldaie per cui non poté partecipare alla prima fase guerra italo-turca ma, in
seguito,unitamente alla gemella Benedetto Brin fu impegnata nelle operazioni belliche dell’Egeo.
Partecipò anche ai bombardamenti dei forti turchi del Bosforo, alla presa dell’isola di Rodi ed alla
conquista del Dodecanneso.
Sbarco di marinai a Rodi
Nel 1915 l'esercito serbo con l'ormai anziano re Pietro I e l'erede al trono Alessandro
subirono notevoli perdite e furono messi in fuga attraverso l'Albania e posti in salvo dalla Regia
Marina Italiana verso Corfù, dove si riorganizzarono. La nave Regina Margherita partecipò
attivamente al traghettamento dell’esercito con tutta la cavalleria.
Ma con la resa del Montenegro nel gennaio del 1916, quando gli eserciti austro-tedeschi
puntarono direttamente sui porti albanesi, si rese necessario accelerare la fase di salvataggio di quel
che rimaneva dell'esercito serbo
.
Operarono 45 navi italiane, 21 francesi e 11 inglesi, che entro il 9 febbraio di quell'anno riuscirono
a trasferire dall'altra parte dell'Adriatico i serbi in ritirata e tra loro anche il re Pietro I
Karageorgevich, il principe ereditario Alessandro, che aveva guidato la resistenza serba prima della
ritirata, il primo ministro Pasic e i membri del governo nazionale. Queste autorità e i superstiti
successivamente si spostarono a Corfù dove cercarono di ricomporre l'esercito.
L'esercito serbo si imbarca a Valona sul Regina Margherita
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Il 22 gennaio giunse a Brindisi anche la famiglia reale del Montenegro, il re Nicola, la regina
Milena e le principesse Vera e Xenia, che dopo alcuni giorni si trasferirono in Francia.
Durante queste traversate vi furono diverse perdite di navi italiane, sia militari che mercantili, infatti
gli austriaci riuscirono a disseminare numerose mine nel canale di mare che collegava Brindisi con
Valona. ( a dx: l’erede al trono serbo Alessandro)
A ricordo di questi avvenimenti fu posta sul lungomare, il 10 febbraio
del 1924, l'epigrafe marmorea dove vengono citati solamente i 202 viaggi
delle navi italiane, ma non vi è riferimento anche ai 101 viaggi francesi e i 19
inglesi, che contribuirono al salvataggio
:
"Dal dicembre MCMXV al febbraio MCMXVI le navi d'Italia con cinquecento
ottantaquattro crociere protessero l'esodo dell'esercito serbo e con
duecentodue
viaggi
trassero
in
salvo
centoquindicimila
dei
centottantacinquemila profughi che dall'opposta sponda tendevano la mano".
Immagini dell'esercito serbo
Manifesto commemorativo
Dopo che l'esercito fu raggruppato di nuovo e rinforzato, conseguirono una vittoria decisiva
sul Fronte di Tessalonica a Kajmakcalan.
In bacino a Taranto durante i lavori di carenaggio
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Allo scoppio della I guerra mondiale, dunque, la base del Regina Margherita fu Brindisi,
nell’ambito della strategia navale di blocco del canale d’Otranto e della baia di Valona in Albania
Nell’imminenza della guerra con l’impero austro-ungarico, si rese necessario organizzare un
piano di controllo del passaggio di navi dall’Adriatico allo Ionio e, quindi, nel resto del
Mediterraneo e il Regina Margherita fece parte di una formidabile barriera tra Puglia ed Albania.
Barriera che, allo scoppio della guerra ed al successivo ingresso dell’Italia nel conflitto, relegò la
flotta austriaca nel mare chiuso dell’Adriatico. In tale operazione la Regia Marina, con il suo
naviglio sottile e subacqueo, divenne la protagonista di tale tipo di operazione in collaborazione con
le flotte degli Alleati.
.Il Canale d'Otranto
.
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LA TRAGEDIA
La strategia del blocco del Canale d’Otranto, attuato in collaborazione con le forze navali
alleate, era incentrata soprattutto sulla presenza delle navi e principalmente del Regina Margherita
nella baia di Valona.
Una cartolina della nave
La base navale italiana si trovava nell’isola di Saseno all’ingresso della baia e le sue navi
poteva controllare tutto il traffico da e per il Mar Adriatico. Tale situazione impedì che la flotta
austro-ungarica potesse uscire fuori da tale mare, tanto è vero che fu stanata da nostre unità sottili e
principalmente dai leggendari M.A.S. ( vedi Beffa di Buccari ed affondamento della Viribus
Unitis).
L'unità in navigazione
Il Regina Margherita, posto dunque a difesa del campo minato della baia di Valona era al
comando del Capitano di Vascello Giovanbattista Bozzo Gravina; l’unità assunse le funzioni di
nave ammiraglia di divisione con l’insegna del contrammiraglio Cusani Visconti.
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Il Comandante GB Bozzo Gravina
Nel mese di dicembre 1916 fu disposto che la nave rientrasse a Taranto per il normale ciclo
di lavori di carenaggio in bacino. In considerazione delle pessime condizioni atmosferiche e del
mare in tempesta, l’11 dicembre l’Ammiraglio Millo, nel dare l’ordine di salpare per Taranto,
rimise alle decisioni del comandante Bozzo l’orario della partenza.
Il Comandante, osservando che alle ore 21 dello stesso giorno la tempesta si stava placando, diede
ordine di levare le ancore e dirigersi verso l’uscita della baia.
La potente unità era scortata dai Cacciatorpediniere Ardente ed Indomito e si avviò a
manovrare nel corridoio aperto tra i campi minati della baia.
Cacciatorpdiniere Indomito
All’improvviso, nel tratto di mare tra l’isola di Saseno e punta Linguetta, la nave incappò
nelle mine austriache che provocarono esplosioni sia nel deposito delle munizioni di prora e si al
centro nave in corrispondenza del locale apparato motore. Le esplosioni lasciarono la nave senza
governo e, mentre si appruava, gli uomini superstiti ebbero il tempo di riunirsi a poppa ma, per
breve tempo.
Baia di Valona
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Dopo soli 5 minuti dalle esplosioni, la nave si inabissò di prua portando in fondo al mare il
Comandante e 614 uomini dell’equipaggio.
Finì in fondo al mare anche il Generale Baldini, comandante della Forza di Spedizione
Italiana in Albania che stava rientrando in Italia sulla sfortunata unità.
Si salvarono solo 18 ufficiali e 257 marinai e solo grazie ai soccorsi di altre navi. Le pessime
condizioni del mare, altrimenti, avrebbero completamente fatto scomparire tra i flutti l’intero
equipaggio del Regina Margherita.
Come sempre, a tragedia ultimata, si cercarono i responsabili e lo Stato Maggiore della
Regia Marina, si giustificò affermando quanto segue:” Per quanto siano venuti a mancare quelli
che avrebbero potuto spiegare con tutta esattezza il succedersi dei fatti, pur nondimeno essi
possono ricostruirsi con la necessaria precisione nella loro tragica semplicità e si può subito
affermare che la perdita della nave non deve attribuire a dolo o ad insidia nemica, ma ad una
disgraziata fatalità di molte circostanze concomitanti che hanno tratto il Comando in errore di
apprezzamenti e conseguentemente di decisioni”.
L’affermazione precedente si basava sul fatto che il Comandante Bozzo non avrebbe
rispettato la normale procedura di uscita dal canale di sicurezza del campo minato ma avrebbe
scarrocciato di 51° dalla rotta prefissata urtando contro mine amiche e non mine posate dal
sommergibile nemico.
E da ricordare che l’anno precedente, sempre nello stesso tratto di mare e sempre urtando
contro mine depositate dal sommergibile austro-ungarico UC 14 al comando dell’Oberleutnant zur
See Caesar Bauer, erano affondate la nave trasporto truppe Umberto I ed il cacciatorpediniere
Intrepido. Comunque la tragedia, oltre alle vittime ed alla perdita di una bella nave, ebbe anche
ripercussioni sulla condotta della guerra. Sommergibili nemici e sabotaggi stavano danneggiando in
maniera vistosa la nostra flotta da guerra.. Gli incrociatori Amalfi e Garibaldi erano stati silurati
nell’alto Adriatico, le corazzate Brin e Leonardo da Vinci affondate da sabotaggi rispettivamente a
Brindisi ed a Taranto. L’opinione pubblica attribuiva queste perdite alla cattiva condotta della
guerra navale e ad un’eccessiva attività che non dava buoni risultati.
Duca degli Abruzzi.
Amm.glio Millo
Negli alti vertici fu deciso di rimuovere Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, comandante
della Marina unitamente agli Ammiragli Cagni e Millo, strateghi dell’offensiva ad oltranza nei
confronti della flotta nemica. Millo era il responsabile del campo minato di Valona e colui che
aveva ordinato a Bozzo di salpare per Taranto. Il Comando della Regia Marina fu assunto
dall’Ammiraglio Paolo Thaon de Revel.
Quel tratto di mare era decisamente scalognato. Durante la seconda guerra mondiale, infatti,
il 14 marzo 1941 fu affondata da un aerosilurante inglese la nave – ospedale PO sulla quale era
imbarcata anche Edda Ciano, figlia di Mussolini, che prestava servizio come crocerossina.
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nave ospedale Po
Recentemente i relitti della baia di Valona sono stati scoperti dai subacquei. Si trovano tutti
a pochi metri di distanza l’uno dall’altro a testimonianza delle tragedie che si consumano sui mari in
occasione delle guerre.
Relitto del Regina Margherita
Marinai dfi Castellammare di Stabia periti nell’affondamento
Fuochista
Criscuolo Catello
Cannoniere scelto puntat.
Esposito Elia
Cannoniere puntatore
Filosa Luigi
Marinaio
Longobardi Gaetano
Fuochista
Lancellotti Catello
Fuochista
Pecoraro Luigi
2° Capo Meccanico
Palumbo Catello
2° capo Meccanico
Vanacore Antonio
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IL NEMICO
.
Smg. UC 14
La nave fu affondata molto probabilmente dalle mine seminate da un particolare tipo di
sommergibile posamine costiero della Classe UC1, costruito nel cantiere navale Wesser di Brema e
varato il 13 maggio 1915.
La caratteristiche del battello erano:
- dislocamento 168 tonnellate ( 183 a pieno carico);
- lunghezza 37 metri, larghezza 3,5 metri, altezza 5 metri;
- autonomia: 750 miglia in emersione e 50 in immersione;
- velocità: 6,2 nodi in superficie e 5,2 in immersione;
- apparato motore: uno principale da 175 Hp e un motore ad olio da 90;
- armamento: n. 12 mine UC 120 in sei tubi verticali.
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Mina tedesca
Mina austriaca
A quella data, non essendo la Germania ancora in guerra con l’Italia, fu consegnato
all’Austria spedito via ferrovia a Pola. Qui fu assegnato all’U-Flottille-Mittelmeer Division con la
sigla UC14.
Gli austriaci all’inizio del conflitto possedevano solo sei battelli per cui chiesero alla
Germania di trasferire in Adriatico numerosi sommergibili UC, privi di siluri ma forniti di un
sistema atto alla semina di mine.
Profilo di un UC: notare i tubi verticali per il rilascio delle mine
.
Al comando dell’Oberleutnant zur see Caesar Bauer fu impiegato in azioni di
pattugliamento e minamento delle coste italiane. È da ricordare che tale tipo di sommergibile non
possedeva tubi lanciasiluri ma era preposto unicamente alla posa di mine lungo le rotte delle navi
nemiche o in prossimità di porti.
All’entrata in guerra dell’Italia fu disposto l’invio in Albania del “Corpo speciale italiano”
imbarcato il 3 dicembre 1915 a Taranto sui piroscafi trasporto truppe ReUmberto e Valparaiso
scortati da 4 cacciatorpediniere.
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Piroscafo Re Umberto al varo nei cantieri Ansaldo di Genova
Ma all’imbocco della baia di Valona, in corrispondenza della Punta Linguetta, la ReUmberto
incappò in una mina lasciata dall’UC14 ed affondò rapidamente dopo essersi spezzata in due
tronconi. Anche il cacciatorpediniere Intrepido rimase danneggiato ed affondò successivamente
sempre nella predetta baia.
.
.Incrociatore Amalfi affondato dall'UC14
Un’altra vittima dell’UC14 fu la nave ospedale inglese Britannic, gemella del più famoso
Titanic, che fu affondata nel canale greco di Kea il 21 novembre 1916
.
Nave ospedale Britannic
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Vista la vittoria ottenuta dall’affondamento del Regina Margherita, il sommergibile UC14
Venne assegnato alla U-Flottille Flandem di base ad Ostenda, per le operazioni di minamento delle
coste inglesi. Come avvenne precedentemente, il suo trasporto nel nuovo porto, fu effettuato sempre
a mezzo ferrovia.
Ma un tragico destino lo attendeva. Al comando dell’Oerleutnant zur see der riserve Adolf
Feddersen si perse nel mare forse a causa dello scoppio, per autoinnesco, di una delle mine che
aveva a bordo, scomparendo con tutto l’equipaggio.
LUIGI PERRELLI: UN SOPRAVISSUTO
L’equipaggio del Regina Margherita era composto da 797 uomini compreso ufficiali,
sottufficiali e marinai.
Assemblea a poppa
Con la nave essi, come avveniva anni or sono ( ora un po’ meno), avevano un legame
particolare che non veniva mai spezzato, neppure al momento dello sbarco. Quando una nave
affondava, una parte della vita dei suoi marinai moriva con essa, specialmente se la perdita
avveniva per cause belliche e provocava la morte di parte dell’equipaggio.
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Salvataggio di naufraghi
Al momento della tragedia e cioè l’11 dicembre 1916, uno stabiese faceva parte
dell’equipaggio.
Era il marinaio Luigi Perrelli nato a Castellammare di Stabia il 6 marzo 1894.
A 21 anni, dunque, si trovava imbarcato sulla nave da battaglia Regina Margherita.
Luigi Perrelli
All’atto dell’urto sulle mine austriache e del successivo rapido affondamento dell’unità,
Luigi Perrelli si trovava, assieme ai superstiti, a poppavia ed ebbe il tempo di lanciarsi nel mare
burrascoso, prima che i flutti inghiottissero la sua nave. Rapide bracciate gli permisero di
allontanarsi dal luogo della tragedia per non essere risucchiato nei gorghi.
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Unitamente ai superstiti, si trovò aggrappato ad un relitto della nave visto che lo scoppio ne
aveva sparsi parecchi nello specchio di mare circostante.
Il mare agitato ed il freddo dell’acqua stavano per avere il sopravvento dei naufraghi ma,
fortunatamente, furono tutti raccolti dal cacciatorpediniere di scorta e rifocillati.
Dopo il naufragio il marinaio Perrelli ebbe altre destinazione e, finalmente al termine
dell’immane conflitto, ritornò a Castellammare, nella sua casa di Via Gesù.
Corteo del IV Novembre a Piazza Municipio
Trovò un impiego come cassiere presso la Banca di Roma di Torre Annunziata e,
successivamente fu trasferito alla Tesoreria della stessa Banca a Napoli.
Luigi Perrelli dietro la corona di alloro
Promosso tesoriere, fu trasferito nell’agenzia di Messina ove rimase alcuni anni. Ritornato a
Napoli riprese il suo posto nell’agenzia che aveva lasciato anni prima. Dopo il pensionamento
continuò a prestare la sua opera presso la Banca Stabiese della sua città.
Luigi Perrelli non aveva dimenticato l’avventura che aveva vissuto e la tragica fine della sua
nave e dei suoi commilitoni. Partecipava alle manifestazioni patriottiche che si tenevano nella sua
città il 4 novembre ed alle altre ricorrenze della Marina.
Morì a Vico Equense il 26 gennaio del 1965.
Dott.Antonio Cimmino
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