CASANOVA Muore nella Bohème
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CASANOVA Muore nella Bohème
44 verticale : “Muore nella Boheme”. Dal giorno in cui aveva cupidamente acquistato la settimana enigmistica numero 1706, non era trascorso attimo in cui egli non fosse immerso nel tentativo di risolvere quell’intrigo di parole crociate. Ricordava della gelida manina, ma non a chi appartenesse. Quella piccola distrazione enigmistica, spesso appollaiata tra i cuscini della paolina della sala da pranzo, gli permetteva di abbandonare il ricordo di come il vigore della gioventù lo avesse portato a sentire davvero d'esistere. Aveva fatto la seconda guerra Mondiale, cominciando come sottotenente di complemento nel quinto reggimento alpini, della brigata alpina Julia. E dopo la fine della guerra aveva deciso di proseguire nella sua monotona carriera di veterinario di quartiere, spruzzata di piccoli momenti più movimentati nei giorni in cui a Milano sostava il Circo Royal con le sue carovane piene di belve dai denti aguzzi e unghie acuminate . Non era più tempo di giocare a fare l'eroe: il ricordo dell’adolescente adrenalina lo portava a preferire di sentirsi un malato immaginario, pieno di supposti acciacchi e malanni, pur di permettersi di non vivere il senso di colpa per essere diventato così sedentario. Era una di quelle serate gelide che si ricordano a lungo, da far tremare barba e baffi ai passanti chiusi dentro ai loro paltò lungo i viali alberati di una malinconica Milano. Una debole coltre bianca, qua e là sui tetti delle case lungo via Savona, era ammaliata dalle luminarie e dal ticchettio delle luci dei presepi, riflesse dai vetri delle finestre addobbate dalle persiane socchiuse. Da non più di una sessantina di ore era arrivato il nuovo anno, e da due lunghissimi giorni Guido si era sentito di nuovo un ragazzino: era, infatti, in fremente attesa della terza e ultima puntata del nuovo attesissimo sceneggiato sul Commissario Maigret. Da qualche minuto Guido era seduto sul sofà sgualcito di fronte al televisore, in attesa che l’altoparlante intonasse dal tubo catodico la frase “J'ai le mal de Paris,De ses rues, d'ses boulevards…”. “Quando ho visto il primo episodio era ancora il 1964”, pensò, mentre prometteva a sè stesso che col nuovo anno avrebbe dato una svolta alla sua vita. Qualche sera prima il commissario Maigret era riuscito a farlo stare lontano dal letto più del solito: il turbinio di congetture ed ipotesi appassionanti per scovare l’assassino nei primi 2 episodi di “Un ombra su Maigret” lo aveva fatto trasalire nell'attesa che il sonno sopraggiungesse. Per Guido la notte era un fardello di fantasie nostalgiche, che lo costringevano ad immaginarsi altrove pur di sopravvivere “Ho capito chi è l'assassino, sicuramente l'amante nascosto della zia”, continuava a ripetersi, in una cantilena senza fine. “Se ho ragione da domani mi faccio anch'io crescere i baffi, inizio a fumare la pipa e bere un formidabile per festeggiare”, immaginava tutto colto da una desueta eccitazione. Il commissario Maigret lo aveva risvegliato. Lo aveva destato da un torpore di gelido distacco dal dolore di una vita ormai solitaria. Maigret, d’altra parte, aveva dovuto cimentarsi e districarsi nelle pieghe di un gran brutto affare: erano state strangolate due donne, Cecilè e la vecchia zia, che l'aveva cresciuta. Solitamente Guido badava poco alle emozioni che poteva concedergli la vita in quella vecchia casa, ma questa volta non era così. Gino Cervi era ormai diventato Guido, e Guido il Commissario Maigret. La melodia francese iniziò a scandire l'inizio dell'ultimo episodio, e Maigret era già pronto all'azione. ”Come mai c'è gente nel mio ufficio? Ma che storia è questa?”, disse Maigret al collega poliziotto, attore di comparsa. Tutto sembrava andare come Guido si era pregustato in quei giorni: tra poco avrebbe scoperto se era più arguto lui o il tuonante commissario baffuto. Ed ecco che immantinente entrò nella sua vecchia casa, come un lampo, Lucia Scalisi, ”la siciliana” della palazzina, accarezzando un gatto. O meglio, una gatta. ”E' proprio bellino, vero? L'ho trovato giù fuori dal portone! Me lo prendo, si, me lo prendo! Ma non mi sembra stia molto bene, vero Guido?” disse tutta agitata, scuotendo le gambe della povera micia davanti agli occhi del veterinario. Lucia aveva sempre detto all'amico Guido di desiderare un gatto. E mai nessuno le aveva creduto. Nemmeno lui, che sapeva bene come quella arzilla signora avrebbe avuto seri problemi nella convivenza con un essere vivente: anche lei, d'altronde, era vedova da pochi mesi, e dell'avere in casa un gatto vedeva solo il lato romantico. Ma Guido sapeva bene come la realtà sarebbe stata certamente più cruda. Proprio come quando la gatta mostrò, da selvaggia di strada qual'era, di che pasta era fatta. Iniziò a vomitare una palla di pelo e crocchette posse, mentre il sentore di piscia di gatto, uno dei più penetranti tra gli odori, si aggiunse ai molti preesistenti nella vecchia casa. Per Guido fu chiarissimo come la sua serata non sarebbe andata come aveva lungamente sognato. Maigret avrebbe svelato al mondo chi era l'assassino e lui avrebbe badato a una gatta di cui non si sarebbe mai curato più nessuno. Alzandosi dal sofà per recuperare degli stracci, cercò un modo o un pensiero per trovare pace. “Comunque andrà a finire l’episodio, avrò ragione io: il colpevole è l'amante della zia!!”, disse a sè stesso, mentre avvicinandosi al televisore lo spense in un gesto che sapeva di superba resa. Guido prese gli arnesi del mestiere, oltre a una vasca riempita di acqua calda e sapone: mentre Lucia puliva il pavimento, la gatta iniziò a inarcarsi, accompagnando il movimento con un continuo e accigliante miagolio. Era un suono stridulo, fatto di toni acuti come il gesso sulla lavagna di fronte al lamento delle anime del purgatorio. Il tempo si dipanò in un soffio, tra graffi e gesti senza requie, fino a quando Guido, nel tentativo di una iniezione andata a vuoto, esclamò furente: “O la gatta o noi!!”. Lucia si zittì e comprese che era meglio lasciare sbollire l'amico veterinario, ormai palesemente inalberato. La gatta fu così finalmente assecondata nel suo desiderio di tornare al suo comodo rifugio nell’androne del palazzo, che offriva molteplici anfratti a lei graditi e Guido si ritrovò di nuovo solo, di fronte al televisore spento. “Per me un formidabile.”, disse rivolgendosi alla scatola catodica silenziosa. “Che cos’è il formidabile?”, si chiese poco dopo, rendendosi conto che per davvero non lo sapeva. “E' un bicchiere per amatori, contiene esattamente un litro di birra”, gli rispose Maigret, ridendo di gusto, mentre un violino iniziava a intonare la melodia conclusiva tra le lettere di “J'ai le mal de Paris, De ses rues, d'ses boulevards..” Guido rimase un perplesso. Prese la dannata settimana enigmistica numero 1706 e contemplando il cruciverba di Harry Guardino, smise di chiedersi chi fosse mai l'assassino delle due donne. 6 orizzontale: “Ha sei facce”. “Dado!”, pensò, scrivendolo nelle quattro lettere nelle caselle. Poco dopo si adagiò a letto e comprese che da domani sarebbe di nuovo andato a letto presto.