Global Perspectives for Growth Europe, North Africa and the Middle

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Global Perspectives for Growth Europe, North Africa and the Middle
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Global Perspectives for Growth
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Europe, North Africa and the Middle East
Milan, May 22, 2012
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La vera lezione della recessione
Raghuram Rajan
University of Chicago
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Secondo l’interpretazione più diffusa della recessione economica globale, in Occidente la crescita si è arrestata a causa del crollo della domanda, evento che può essere imputato all’enorme debito accumulato prima della crisi.
Le famiglie e i paesi non spendono perché non possono prendere a prestito il denaro che serve loro per farlo. La strada migliore per rivitalizzare la crescita, si dice, sta
nel trovare un modo per far sì che il denaro riprenda a fluire. I governi che ancora
possono farlo dovrebbero aumentare il loro disavanzo; le banche centrali dovrebbero tagliare ancor di più i tassi di interesse, in modo da indurre le famiglie ad acquistare piuttosto che risparmiare. Soltanto in un secondo tempo, una volta che le
loro economie si saranno nuovamente riprese, i governanti dovrebbero preoccuparsi del debito accumulato.
Questa storia – che è la classica ricetta keynesiana, adattata a una crisi del debito – è
quella condivisa dalla maggioranza delle pubbliche amministrazioni occidentali, dalle banche centrali e dagli economisti di Wall Street. Poiché gli Stati Uniti hanno dato segnali di ripresa, gli esperti keynesiani si sono affrettati a rivendicare il successo
delle loro politiche, additando la recessione europea a riprova della follia delle politiche di austerità pubblica. È difficile, però, collegare la ripresa (o la mancata ripresa) a interventi normativi specifici. Fino a poco tempo fa, gli stessi esperti di cui so1
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pra si lamentavano che negli Stati Uniti i pacchetti di stimoli erano insufficienti.
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Così facendo, sarebbero stati in grado di invocare gli stimoli keynesiani anche se la
ripresa non si fosse materializzata, affermando: “Vi avevamo detto di fare di più”.
E l’ingente disavanzo fiscale in Europa, nonché l’eccezionale incremento del finanziamento alle banche da parte della BCE, fanno intendere che, se in questi paesi la
crescita è ancora debole, ciò non è dovuto alla scarsità degli
stimoli governativi.
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In realtà, i problemi economici non sono soltanto il risultato di una domanda inadeguata, ma anche, e nella stessa misura, la conseguenza di una distorsione sul fronte dell’offerta. Prima che esplodesse la crisi finanziaria nel 2008, le economie avanzate stavano già perdendo da decenni la loro capacità di crescere producendo cose
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realmente utili. Ma avevano bisogno di qualcosa per sostituire i posti di lavoro persi
a causa dell’innovazione tecnologica e della concorrenza estera e per pagare le pensioni e l’assistenza sanitaria a una popolazione che stava invecchiando sempre più.
Così, nel tentativo di ridare slancio allo sviluppo, i governi hanno speso più di
quanto potevano permettersi e hanno favorito il credito alle famiglie affinché
anch’esse si comportassero allo stesso modo. Lo sviluppo pensato da questi paesi,
che si basava sull’indebitamento, si è dimostrato non sostenibile.
Anziché tentare di tornare ai valori di PIL, artificialmente gonfiati, precedenti alla crisi,
i governi dovrebbero pensare a correggere gli errori insiti nelle loro economie. Negli
Stati Uniti questo significa offrire formazione o aggiornamento ai lavoratori che restano indietro, incoraggiare l’imprenditorialità e l’innovazione e sostenere la capacità del
settore finanziario di operare bene, impedendogli di perdere la rotta. Nell’Europa meridionale, invece, questo significa rimuovere le normative che proteggono le imprese e
i lavoratori dalla concorrenza e alleggerire la presenza pubblica in vari settori, eliminando nel contempo i posti di lavoro non necessari e improduttivi.
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La fine della crescita facile
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Per capire quali soluzioni possano consentire, o non consentire, di ripristinare una
crescita sostenibile, può essere utile richiamare per sommi capi la storia economica
degli ultimi sessant’anni. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati periodi di rapida
espansione economica in Occidente e in Giappone. Vari fattori hanno sostenuto
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questo boom durato così a lungo: la ricostruzione postbellica, la ripresa del commercio dopo il protezionismo degli anni Trenta, una forza lavoro più istruita e
l’utilizzo più ampio di tecnologie quali l’elettricità e i motori a combustione interna.
Tuttavia, come ha sostenuto l’economista Tyler Cowen, una volta colti i frutti più a
portata di mano, tenere il passo dello sviluppo si è fatto molto più difficile. L’era
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della crescita veloce è giunta improvvisamente al termine nei primi anni Settanta,
quando i paesi dell’OPEC, resisi conto di quanto valesse il loro potere contrattuale
collettivo, hanno aumentato il prezzo del petrolio.
Quando la crescita ha cominciato a balbettare, la spesa pubblica si è gonfiata. Durante i felici anni Sessanta i governi democratici avevano prontamente esteso i benefici del welfare state. Ma questo ha comportato che, quando più tardi è aumentata la disoccupazione, anche lo stato ha dovuto aumentare la spesa per i sussidi ai disoccupati, persino in presenza di un minor gettito fiscale. Per un certo periodo le
banche centrali hanno fatto fronte a tale spesa con politiche monetarie espansionistiche. Ma ciò ha portato negli anni Settanta a un’elevata inflazione, aggravata
dall’ascesa del prezzo del petrolio. L’inflazione, pur avendo abbassato il valore del
debito pubblico in termini reali, non ha portato sviluppo. Al contrario, la stagflazione ha compromesso la fiducia della maggioranza degli economisti e dei policy makers nelle politiche di stimolo di stampo keynesiano.
A quel punto, le banche centrali europee hanno cambiato indirizzo, dandosi come
obiettivo primario il raggiungimento di un tasso di inflazione basso e stabile. I governi, però, hanno proseguito nella loro politica di deficit spending (ovvero di finanziamento della spesa pubblica con il deficit di bilancio) e il rapporto debito pubblico/PIL nei paesi industrializzati ha continuato ad aumentare costantemente dalla
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fine degli anni Settanta – senza che l’inflazione, peraltro, riducesse il valore del deAdvantage financial
bito in termini reali. Resasi conto della necessità di reperire nuove fonti per lo sviluppo, Washington, verso la fine della presidenza di Jimmy Carter e successivamente durante quella di Ronald Reagan, ha deregolamentato molti settori, tra cui
l’aviazione, l’energia elettrica, i trasporti e la finanza. Margaret Thatcher, primo ministro del Regno Unito, ha fatto lo stesso. Alla fine la produttività
ha iniziato
a dar
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segni di ripresa.
Mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno reagito alla congiuntura degli anni
Settanta con una convulsa deregulation, l’Europa continentale ha posto in essere riforme più di facciata. La Commissione Europea ha favorito la deregulation in vari
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comparti industriali, compreso il settore finanziario; tuttavia queste misure avevano
carattere limitato, soprattutto quando si è trattato di introdurre la concorrenza e
smantellare le generose tutele di cui godevano i lavoratori. Forse in conseguenza di
ciò, la produttività, mentre decollava nuovamente negli Stati Uniti a partire dalla
metà degli anni Novanta, nell’Europa continentale si muoveva a piccoli passi, in
particolare nella periferia meridionale, più povera e meno incline alle riforme.
Quando è stato introdotto l’euro nel 1999, il tasso di disoccupazione in Italia era
dell’11%, in Grecia del 12% e in Spagna del 16%. Il conseguente drenaggio di fondi
pubblici ha reso difficile il risparmio a copertura delle spese future per sanità e pensioni, promesse queste che sono diventate ancora più difficili da mantenere a causa
del rapido invecchiamento della popolazione.
Nei paesi che hanno attuato le riforme, la deregulation non è stata un toccasana assoluto. Ha dato impulso a imprenditorialità e innovazione, ha incrementato la concorrenza, ha obbligato le imprese a puntare sull’efficienza, e tutte hanno offerto ai
consumatori prodotti migliori e meno cari. Nondimeno, ha inaspettatamente provocato un aumento delle disparità di reddito, creando una frattura che, in termini
generali, i governi hanno tentato di sanare non già preparando i propri lavoratori a
muoversi in un’economia basata sulla conoscenza, ma permettendo loro di accedere a crediti a basso costo.
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La rottura dello status quo
Per gli Stati Uniti, la più grande economia mondiale, la deregulation ha avuto varie
sfaccettature. Negli ultimi decenni, la concorrenza che ne è seguita ha ampliato la
disparità di reddito tra ricchi e poveri e ha reso più arduo
per il cittadino
medio
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americano trovare un impiego stabile, ben retribuito e con benefits interessanti. Ma
quella stessa concorrenza ci ha anche inondato di beni di consumo a basso prezzo,
e questo fa sì che il reddito che quel cittadino percepisce, alto o basso che sia, abbia
oggi più valore di quanto ne abbia mai avuto in passato.
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Durante il periodo postbellico, caratterizzato da una pesante regolamentazione e da
scarsa concorrenza, le imprese americane ben avviate ingrassavano soddisfatte, dato
che potevano contare su alti profitti quasi da regime di monopolio, e condividevano gli utili con i loro azionisti e dipendenti. Per le banche era l’epoca della formula
“3-6-3” : indebitarsi al tre per cento, prestare al sei per cento e andare a giocare a
golf alle tre del pomeriggio. Le banche erano luoghi remunerativi, sicuri e noiosi. Il
prezzo era pagato dai correntisti, che invece di essere ricompensati con interessi al
tasso di mercato venivano ammessi solo saltuariamente alla festa. I sindacati si battevano per ottenere posti di lavoro ben retribuiti e buoni benefits e le imprese erano
ben liete di accontentarli pur di garantire la pace industriale; dopo tutto, c’erano
profitti da ripartire in quantità.
Negli anni Ottanta e Novanta, l’abbattimento delle regolamentazioni e delle barriere commerciali ha posto fine a questa comoda vita. Nuovi imprenditori con prodotti migliori hanno sfidato la pigrizia dei loro concorrenti ed è aumentata decisamente
la qualità e la quantità di prodotti per i consumatori, modificando sensibilmente in
meglio la vita della popolazione. I personal computer, collegati tramite Internet,
hanno permesso agli utenti di divertirsi, di informarsi e di fare acquisti in proprio,
mentre i telefoni cellulari consentivano alle persone di restare in contatto continuo
con gli amici (e i capi). Le spedizioni a mezzo container hanno dato la possibilità ai
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piccoli produttori esteri di consegnare più rapidamente i loro prodotti ai consumaAdvantage financial
tori più lontani. Rispetto al reddito, le magliette di cotone e le lattine di pesche sciroppate non sono mai state così a buon mercato.
Man mano che cresceva il potere d’acquisto del consumatore medio, aumentavano
anche i payouts a Wall Street. Le aziende, avvertendo sempre maggiore pressione sui
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propri profitti, hanno iniziato a innovare di più e ad assumersi rischi sempre più
elevati; e per far ciò avevano bisogno di esperti di problemi finanziari, capaci di
comprendere tali rischi, valutarli esattamente in termini di prezzo e ripartirli con
criterio. L’attività bancaria cessò di essere noiosa e divenne il fulcro dell’economia:
da un lato finanziava l’espansione di un’azienda, dall’altro ne mandava un’altra in
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fallimento.
Nel frattempo, le imprese migliori hanno iniziato a dare maggiore enfasi al merito,
offrendo retribuzioni più alte per attrarre i talenti migliori. Nel 1976 l’uno per cento
delle famiglie più ricche percepiva soltanto l’8,9% del reddito totale prodotto negli
Stati Uniti; nel 2007 la percentuale era balzata quasi al 25%. Ma sebbene i compensi
dei top manager fossero cresciuti, la loro composizione era cambiata. Rispetto al
1980, i capi delle aziende statunitensi nel 2001 erano più giovani, più spesso donne
e non necessariamente provenienti da un’università d’élite della Ivy League (quantunque in possesso di lauree più avanzate). Non era più così importante appartenere al giusto club per raggiungere il vertice. Ciò che contava era avere una buona
istruzione e le giuste capacità.
Sarebbe facile imputare il continuo allargarsi della forbice dei redditi a incentivi
aziendali eccessivamente sbilanciati o a malaccorte politiche fiscali. Ma nessuna delle due spiegazioni è sufficiente. Se l’aumento delle retribuzioni dei top manager fosse soltanto frutto di un cattivo governo d’impresa, come alcuni sostengono, non si
spiegherebbe che anche medici, avvocati e accademici negli ultimi anni abbiano visto crescere così tanto i propri redditi. E sebbene le aliquote massime di imposta
siano state effettivamente ridotte durante la presidenza di George W. Bush, questa
riduzione non può essere considerata la fonte primaria di disuguaglianza, in quanto
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la disuguaglianza è aumentata anche a livello di redditi lordi. Ciò non vuol dire che
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tutte le retribuzioni più alte siano meritate: non è difficile trovare consigli di amministrazione compiacenti che retribuiscono più del dovuto Ceo la cui performance si
dimostra inferiore alle aspettative. Ma in massima parte riflettono il valore della
professionalità in un mondo competitivo.
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In realtà, fin dagli anni Ottanta, la forbice dei redditi si è allargata non soltanto tra i
Ceo e il resto della società, ma in tutta l’economia, man mano che i compiti di routine sono stati automatizzati o esternalizzati. Con l’aiuto della tecnologia e del capitale, un operaio qualificato può sostituire molti operai non qualificati. Per capirci:
quando le fabbriche utilizzavano torni meccanici, tra Tizio, laureato, e Caio, diploAdvantage financial
mato alla scuola media superiore, c’era poca differenza e anche i loro stipendi erano
simili. Ma quando le fabbriche sono passate a utilizzare torni computerizzati, Tizio
è diventato più utile, mentre di Caio non c’è stato più bisogno.
Non tutti i lavori poco qualificati sono scomparsi. Nei servizi che comportano attività non routinarie e poco remunerative, difficili da automatizzare o da esternalizzare, come quelle di tassisti, parrucchieri o giardinieri, i posti di lavoro non mancano.
Dunque, la forza lavoro degli Stati Uniti si è scissa tra professioni poco retribuite
che richiedono scarsa qualifica e professioni molto ben retribuite che richiedono
creatività e credenziali. I lavori comodi, di routine, che richiedono scarsa specializzazione e offrono buoni benefits sono scomparsi, e i lavoratori licenziati sono stati
costretti o a sviluppare capacità di livello superiore oppure ad accettare lavori nei
servizi a bassa retribuzione.
Purtroppo, e per svariate ragioni – dall’inadeguatezza dell’istruzione primaria, alle
disfunzioni a livello familiare e della comunità, all’alto costo dell’istruzione universitaria – troppi americani non hanno ricevuto l’istruzione o la specializzazione di cui
avevano bisogno. Altri hanno passato troppo tempo in settori in fase di contrazione, come l’industria automobilistica, invece di acquisire competenze nei settori in
crescita, come le tecnologie mediche. Come hanno sottolineato gli economisti
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Claudia Goldin e Lawrence Katz, nella “gara tra tecnologia e istruzione” che si è
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svolta negli Stati Uniti negli ultimi decenni, l’istruzione è rimasta indietro.
Questo ritardo di competenze degli americani ha fatto sì che la disparità retributiva
tra le persone ben istruite e quelle meno istruite aumentasse ancor di più. Dall’inizio
degli anni Ottanta, la differenza di reddito tra il dieci per cento dei percettori di faAdvantage financial
scia più alta (in genere in possesso di diploma universitario) e la fascia media (la
maggioranza dei quali aveva soltanto il diploma di scuola media superiore) si è costantemente accentuata. Invece, lo scarto tra i redditi mediani e quelli del dieci per
cento di fascia inferiore è rimasto pressoché inalterato. La fascia più alta si sta allontanando dalla media, mentre la fascia media si sta unificando con la fascia più bassa.
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Le statistiche sono allarmanti. Negli Stati Uniti il 35% delle persone di età tra 25 e
54 anni prive di diploma di scuola media superiore è senza lavoro, e chi abbandona
la scuola media superiore prima della maturità ha una probabilità di trovarsi disoccupato tre volte superiore a quella dei laureati. Per di più gli americani di età compresa tra 25 e 34 anni hanno una probabilità minore di possedere una laurea rispetto a quelli tra i 45 e i 54 anni, anche se le lauree hanno acquistato maggior valore
nel mercato del lavoro. Ciò che maggiormente preoccupa, tuttavia, è che negli ultimi anni i figli di genitori ricchi hanno avuto più probabilità che in passato di conseguire diplomi universitari, mentre i tassi di completamento degli studi universitari
tra i figli delle famiglie povere sono rimasti notevolmente bassi. Il divario di reddito
dovuto alla differenza di istruzione si va consolidando.
La risposta dei politici
Negli anni che hanno preceduto la crisi, la realtà quotidiana della classe media americana era quella di una retribuzione che si rifiutava di crescere mentre il posto di
lavoro diventava ogni anno meno sicuro, anche se la classe medio-alta e i ricchi si
arricchivano ancora di più. Diventava sempre più difficile trovare lavori ben retri-
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buiti, che richiedevano poca specializzazione e offrivano buoni benefits, salvo forse
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nella pubblica amministrazione.
Invece di indagare sulle cause che stavano alla radice di questa tendenza, i politici
americani hanno preferito dare risposte più facili. La loro risposta è comprensibile;
dopotutto, non è facile migliorare rapidamente le qualifiche dei lavoratori. Ma gli
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interventi attuati hanno fatto più danni che altro. I politici hanno cercato di risollevare i consumi, nella speranza che, se gli elettori della classe media avessero avuto la
sensazione di tenere il passo dei loro vicini più ricchi – ossia se avessero potuto
continuare a cambiare l’auto con una certa frequenza e a permettersi di tanto in tanto una vacanza esotica – non avrebbero fatto troppa attenzione al fatto che la loro
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retribuzione non aumentava più. Un modo facile per ottenere questo risultato è stato quello di rendere più facile l’accesso al credito per tutti.
Di conseguenza, a partire dai primi anni Novanta, i leader degli Stati Uniti hanno
incoraggiato il settore finanziario ad aumentare i prestiti alle famiglie, specialmente
a quelle di livello medio-basso. Nel 1992, il Congresso ha approvato il Federal
Housing Enterprises Financial Safety and Soundness Act, sia per esercitare maggior
controllo su Fannie Mae e Freddie Mac, i giganti nel settore dei mutui ai privati, sia
per agevolare il possesso di una casa a un prezzo accessibile a chi aveva un reddito
più basso.
Politiche di questo tipo hanno favorito l’afflusso di denaro verso le famiglie delle
classi medio-basse, migliorandone la capacità di spesa – al punto che la disuguaglianza nei consumi è aumentata molto meno della disuguaglianza di reddito negli
anni precedenti la crisi. Queste scelte hanno incontrato anche il favore popolare
sotto il profilo politico. A differenza di quando il governo decise di aumentare i trasferimenti al welfare, in questo caso ben pochi gruppi si sono opposti
all’espansione del credito a favore delle classi medio-basse: non i politici, il cui
obiettivo era generare più crescita e avere elettori felici, né i banchieri e i broker,
che potevano trarre profitto dalle commissioni sui mutui, né i mutuatari, che ora
potevano acquistare la casa dei loro sogni praticamente senza esborso di denaro, né
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le autorità di regolamentazione del sistema bancario, che avevano scelto la politica
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del laissez-faire nella convinzione di poter raccogliere i pezzi se il mercato immobiliare fosse crollato. Per quanto cinico possa sembrare, il credito facile è stato utilizzato come un palliativo dalle successive amministrazioni, incapaci o riluttanti ad affrontare direttamente le problematiche più profonde dell’economia o le preoccupazioni della classe media.
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La Federal Reserve ha favorito queste politiche miopi. Nel 2001, in risposta al fallimento delle dot-com, la Fed ha limato all’osso i tassi di interesse a breve. Sebbene
i grandi gruppi industriali, veri destinatari dello stimolo, non abbiano dimostrato interesse a investire, i tassi di interesse artificialmente bassi hanno dato un eccezionale
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contributo ai settori economici che si fondano sul debito, come l’edilizia e la finanza. Questo ha determinato un’espansione dell’edilizia abitativa (e dei servizi correlati, come l’intermediazione immobiliare e la concessione di mutui), che ha creato posti di lavoro, in particolare per il personale non qualificato. Gli economisti progressisti hanno applaudito a questo processo, sostenendo che il boom edilizio avrebbe
risollevato l’economia dalla depressione. Invece, questa bolla sorretta dalla Fed si è
dimostrata non sostenibile. Molti operai edili hanno perso il lavoro e sono oggi in
condizioni peggiori di prima, dato che hanno anche contratto dei prestiti per acquistare case che non potevano permettersi.
Ai banchieri spetta ovviamente una grande fetta di responsabilità per la crisi. Alcune attività del settore finanziario avevano indubbiamente un carattere predatorio, se
non decisamente criminale. Ma il ruolo svolto dall’estensione del credito indotta da
scelte politiche non può essere ignorato. Questa è la ragione principale per cui sono
venuti meno i normali pesi e contrappesi nell’assunzione dei rischi finanziari.
Fuori degli Stati Uniti, altri governi hanno reagito in modo diverso al rallentamento
della crescita degli anni Novanta. Alcuni paesi si sono dedicati a migliorare la propria competitività. Per esempio la Germania, conservatrice sotto il profilo fiscale,
ha tagliato i sussidi di disoccupazione riducendo contemporaneamente le tutele ai
lavoratori. Le retribuzioni sono cresciute lentamente anche quando la produttività
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aumentava, e la Germania è diventata uno tra i paesi manifatturieri più competitivi
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al mondo. Altri paesi europei, come la Grecia e l’Italia, hanno avuto scarsi incentivi
ad attuare le riforme, dato che l’afflusso di credito facile successivo al loro ingresso
nell’eurozona ha sostenuto la crescita e ha consentito di mantenere un basso livello
di disoccupazione. Il governo greco si è indebitato per creare posti di lavoro pubblici ben remunerati ma improduttivi, e la disoccupazioneAdvantage
è diminuita drasticamenfinancial
te. Ma, alla fine, la Grecia non ha potuto più indebitarsi e il suo PIL si sta ora contraendo rapidamente. Non tutti i paesi europei in difficoltà hanno fatto ricorso al
debito e alla spesa dello Stato. In Spagna, a creare posti di lavoro è stata una combinazione di boom immobiliare e spesa delle amministrazioni locali. In Irlanda si è
financial
trattato essenzialmente di una bolla immobiliare. In ogni Advantage
caso, queste diverse
situa-
zioni hanno avuto un tratto comune: una crescita alimentata dall’indebitamento
non era sostenibile.
Che cosa si può fare?
Poiché prima della crisi la crescita era sotto alcuni aspetti fondamentali distorta, è
difficile immaginare che i governi possano riattivare velocemente la domanda, o
che questo sia sufficiente a rimettere in carreggiata l’economia globale. Lo status
quo ante non è un buon posto dove ritornare: occorre che la finanza, l’edilizia residenziale e il settore pubblico, prima eccessivamente dilatati, facciano un passo indietro, e che i lavoratori si spostino verso attività più produttive. L’uscita dalla crisi
non può più basarsi su altro debito e altra spesa, specie se la spesa non genererà
beni durevoli che possano aiutare le future generazioni a rimborsare il debito che
grava sulle loro spalle. Al contrario, la migliore risposta politica nel breve termine
consiste nel focalizzarsi su una crescita sostenibile a lungo termine.
I paesi che non possono permettersi di aumentare il proprio debito, come Grecia,
Italia e Spagna, dovrebbero snellire la pubblica amministrazione e migliorare la raccolta delle imposte. Questi paesi devono liberalizzare maggiormente l’accesso a
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professioni quali commercialisti, avvocati e farmacie, esporre a una maggiore conAdvantage financial
correnza settori come quello dei trasporti e ridurre le tutele per i lavoratori; iniziative come queste dovrebbero creare più posti di lavoro nel settore privato, a beneficio dei lavoratori espulsi dal pubblico impiego e dei giovani senza lavoro.
L’austerità fiscale non è indolore e con tutta probabilità sottrarrà risorse alla crescita
nel breve termine. Sarebbe certamente molto meglio scadenzare
le financial
riforme nel
Advantage
tempo: ma se ora i governi sono costretti a farle subito, e in fretta, nonostante la
crisi, è proprio perché non le hanno fatte nei momenti in cui l’economia andava
bene. Vale davvero la pena fare ciò che è necessario in maniera veloce e generalizzata affinché ognuno si renda conto che le difficoltà sono condivise, piuttosto che
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ripartirle nel tempo e rischiare di veder sfumare la volontà
politica. I governi
non
dovrebbero però sottostimare il dolore che queste misure procurerà alle persone
anziane, ai giovani e ai poveri e, laddove possibile, dovrebbero emanare normative
mirate per alleviarne l’impatto.
Gli Stati Uniti, da parte loro, possono in qualche modo trarre beneficio dalle potenti forze che dovrebbero permettere, in futuro, di creare posti di lavoro più produttivi: migliori tecnologie nelle informazioni e nelle comunicazioni, energia pulita a
minor costo e netto aumento della domanda di beni a maggior valore aggiunto nei
mercati emergenti. È tuttavia necessario adottare adesso provvedimenti decisivi per
fare in modo che il paese si trovi pronto a trarre vantaggio da queste forze. Gli Stati
Uniti devono riqualificare la loro manodopera, tener vivo un ambiente favorevole
all’innovazione e regolamentare meglio la finanza al fine di evitare gli eccessi.
Naturalmente, tutto ciò non sarà facile. Basti pensare a quanto è difficile allineare le
competenze esistenti con l’offerta di posti di lavoro. L’edilizia e la finanza, almeno
in tempi brevi, non potranno più mantenere lo stesso numero di addetti che avevano durante il boom del credito precedente alla crisi. Molte persone che in precedenza lavoravano o dipendevano da quei settori dovranno cambiare mestiere. Il che
richiede tempo e non è sempre possibile; in particolare, l’industria dell’edilizia abitativa aveva assunto molti operai non qualificati, che sarà difficile ricollocare. I pro12
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grammi governativi di riqualificazione hanno una storia di alti e bassi. Persino i tenAdvantage financial
tativi di favorire l’istruzione degli studenti con finanziamenti pubblici non hanno
sempre funzionato; alcune università private senza scrupoli hanno attirato studenti
che potevano accedere al finanziamento pubblico con titoli di studio costosi ma di
scarso valore nel mercato del lavoro. Molte iniziative devono invece provenire dalla
gente.
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Questo non significa che Washington debba mantenere un atteggiamento passivo.
Sebbene la riforma dell’istruzione e l’assistenza sanitaria per tutti siano da tempo
necessarie, molto si può fare su altri fronti. Più informazione sulle prospettive di lavoro nelle varie professioni, e più orientamento sui vari programmi scolastici e
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formativi, possono aiutare le persone a decidere in modo più consapevole, evitando
di impegnarsi in corsi costosi ma senza sbocco. Nelle zone con elevata disoccupazione giovanile, i sussidi alle imprese per favorire l’assunzione di giovani in cerca di
primo impiego possono ringiovanire l’organico ed aiutare quei giovani a capire che
cosa comporta il mantenimento di un posto di lavoro. Il governo potrebbe sostenere maggiormente i disoccupati più anziani – pagando l’assistenza e la formazione
dei figli – in modo che possano riqualificarsi anche mentre sono in cerca di lavoro.
Una parte dei contributi assicurativi di disoccupazione dei lavoratori occupati potrebbe confluire su conti destinati alla formazione e alla ricerca di lavoro, che potrebbero aiutare i lavoratori ad acquisire qualifiche o cercare un lavoro in caso di licenziamento.
Nello stesso tempo, dato che solo nuove società di capitale potranno creare
l’innovazione necessaria alla crescita, gli Stati Uniti devono tutelare il loro ambiente
imprenditoriale. La destra politica è probabilmente allarmista circa gli aspetti negativi che un eventuale leggero innalzamento delle imposte sul reddito potrebbe
comportare. Ma è vero che imposte notevolmente più elevate potrebbero ridurre
drasticamente i rendimenti per gli imprenditori e frenare la riqualificazione professionale, sia per i ricchi che per i poveri. Sarebbe molto meglio attuare la riforma tributaria, eliminando le scappatoie e le riduzioni fiscali che i commercialisti si affan13
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nano a trovare per impedire che le aliquote marginali delle imposte sul reddito auAdvantage financial
mentino troppo.
Anche la cultura conta. Per quanto sia importante puntare i riflettori sui compensi
“non meritati” dei singoli, raggruppare tutti coloro che percepiscono alti redditi in
una massa indifferenziata – come fa l’etichetta di “uno per cento” – rischierebbe di
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denigrare quella creazione di ricchezza che tanto bene ha fatto al paese. Il dibattito
sulle disuguaglianze dovrebbe riguardare il modo in cui gli Stati Uniti possono ottenere un livellamento verso l’alto, anziché un livellamento verso il basso.
Infine, se è vero che il paese non deve mai dimenticare che gli eccessi finanziari
hanno condotto il mondo verso la crisi, è altrettanto veroAdvantage
che i politici non
devono
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lobotomizzare il settore bancario con normative che lo facciano ripiombare nella
noia. La finanza deve essere vitale per favorire l’imprenditorialità e l’innovazione, di
cui il mondo ha un estremo bisogno. Allo stesso tempo è necessario concedere alle
normative – come la legge Dodd-Frank, che ha rivisto i regolamenti finanziari, sebbene molto criticata per gli oneri che impone – la possibilità di indirizzare le energie
del settore privato lontano da eccessive assunzioni di rischio. L’esperienza insegna
che le nuove normative, come questa, possono essere modificate qualora risultino
troppo onerose. Gli americani devono essere consapevoli del fatto che le normative
sono plasmate dagli stessi attori che ne sono oggetto, a proprio beneficio. E farebbero bene a non dimenticare il ruolo avuto nella crisi dalle politiche degli amministratori pubblici e della Federal Reserve, e a vigilare affinché certi episodi non si ripetano.
I paesi industrializzati sono di fronte a un bivio. Possono agire come se tutto andasse per il meglio, senza far caso alle paure dei consumatori, e in questo caso occorre ravvivare con misure di incentivazione ciò che John Maynard Keynes definiva
“animal spirits”. Oppure possono interpretare la crisi come un campanello di allarme e porre in essere le riforme già ampiamente studiate negli ultimi decenni, mettendosi così nelle condizioni migliori per sfruttare le opportunità a venire. Nel bene
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o nel male, sarà la visione che apparirà più convincente ai governi e ai popoli di
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questi paesi a determinare il loro futuro, e quello dell’economia globale.
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