5. Affido condiviso e libertà religiosa dei minori

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5. Affido condiviso e libertà religiosa dei minori
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sce perciò una sorta di valvola di sicurezza del nuovo sistema 26.
I genitori o il giudice, attraverso un programma educativo, dovranno dare indicazioni precise sul collocamento del figlio e sui
tempi di permanenza dello stesso presso ciascun genitore, così da
rendere compatibile l’affidamento ad entrambi i genitori con il loro
stato di separati, nonché dare puntuali indicazioni sulla distribuzione degli obblighi contributivi e di cura verso i figli 27.
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Sino al 15 marzo 2006, quindi, il genitore cui i figli erano affidati aveva l’esercizio esclusivo della potestà su di loro, seppure
sotto il controllo e la vigilanza dell’altro. Analogamente si procedeva poi per le “famiglie naturali”.
L’art. 30, comma 1, Cost., parifica, infatti, il rapporto tra genitore e figlio legittimo a quello tra genitore e figlio naturale, assegnando pari diritti e doveri ad entrambi.
26
G. DOSI, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e di divorzio, cit., p. 10 ss.
27
Se si esaminano i lavori preparatori non si può non convenire che è
questa l’interpretazione più aderente alla volontà del Legislatore, non per
niente è lo stesso Paniz, relatore del disegno di legge, a chiarire come l’affidamento condiviso non vuol dire permanente oscillazione dei figli da una casa
all’altra, perché un conto è l’affidamento, un conto e la collocazione abitativa
e la frequentazione.
Il giudice prende atto, se non contrari all’interesse del minore, degli
accordi intervenuti tra i genitori. Viene confermato il principio secondo cui
non vige il principio dispositivo delle parti in ordine ai figli minori, ben potendo il giudice disporre, nel loro esclusivo interesse, diversamente da quanto
richiesto dagli stessi genitori.
Non a caso, strettamente connesso al diritto del minore, in caso di separazione dei suoi genitori, ad avere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i
genitori, è la previsione del primo comma del nuovo art. 155-sexies c.c. che recita: prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’art. 155 c.c., il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di
prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
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Regola cardine in materia di filiazione è, quindi, l’art. 30
Cost. che tutela la funzione educativa della prole sia all’interno di
una comunità basata su vincoli matrimoniali, sia in una comunità
sorta fuori dal matrimonio.
Ciò significa, che anche quando si tratta di convivenza non
fondata sul matrimonio, è il trattamento diseguale della filiazione
che assume autonoma rilevanza e non la discriminazione fondata
sullo status di coniuge del genitore.
Si delinea, così, una quasi totale equiparazione, tra figli legittimi e figli naturali, che si estende anche alla famiglia di fatto, riconoscendo all’interno delle unioni non formalizzate, la nascita
degli stessi diritti e doveri previsti per i figli nati nel matrimonio 28.
Con la nuova legge, la regola è quindi l’esercizio congiunto 29
della potestà, sia nel caso di separazione e/o divorzio, che nel caso
di semplice filiazione naturale. Ciò significa che padre e madre devono accordarsi per tutte le decisioni che riguardano la vita del figlio minore e ciò indipendentemente dal collocamento del bambino
presso la casa paterna o materna 30.
La riforma, troverà quindi applicazione anche nelle procedure
camerali di regolamentazione dell’affidamento dei figli naturali,
previste dall’art. 317-bis c.c. La tematica diventerà sempre più rilevante, dato che nella nostra società, si è registrato, come già evi28
V. ZAMBRANO, La famiglia di fatto. Epifanie giuridiche di un fenomeno sociale, cit., p. 39.
29
In realtà, sarebbe forse meglio, alla luce della riforma in commento,
riferirsi sempre all’esercizio “condiviso”.
30
La dottrina prevalente ritiene che non vi siano impedimenti all’applicabilità immediata degli artt. 147 e 148 c.c. soprattutto dopo la modifica dell’art. 261 c.c.
Quest’orientamento è confermato dalla Corte costituzionale, la quale ha
affrontato la controversa questione dell’assegnazione della casa familiare, in
caso di cessazione della convivenza della famiglia di fatto, al genitore affidatario (Corte cost., 13 maggio 1998, n. 166, in Giur. it., 1998, p. 1783 ss.).
La possibilità di tale assegnazione viene dedotta dall’interpretazione sistematica degli artt. 147, 148, e 261 c.c., tale da realizzare la tutela della prole, dal momento che nel nostro ordinamento, è stata riconosciuta all’interesse
del minore, una posizione preminente, costituendo direttiva di fondo il canone
dell’equiparazione dei figli, naturali legittimi.
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denziato, un forte aumento dei rapporti di convivenza more uxorio
con conseguente aumento dei figli naturali, laddove per lungo tempo il figlio naturale è stato, per lo più, il frutto di un legame occasionale e spesso extra coniugale.
L’aumento delle famiglie di fatto dipende non solo dalla mutata morale sociale, che non guarda più con sfavore alle libere unioni, ma anche, in larga misura, dal vorticoso aumento delle separazioni (le ultime rilevazioni Istat registrano che un matrimonio su
quattro naufraga nella separazione legale, senza considerare le tante separazioni di fatto) che portano alla successiva formazione di
nuove famiglie naturali, con conseguenti complicati rapporti derivanti dalle precedenti unioni dei conviventi sino ad arrivare alle
c.d. famiglie allargate oggetto di particolare attenzione da parte
della dottrina che, a tal proposito, comincia ad affrontare il tema
della c.d. famiglia ricostituita.
La condivisione ha come corollario il potere di ciascun genitore di interferire legittimamente, sulle scelte, anche ordinarie dell’altro.
Se l’affido è condiviso e la potestà congiunta, la madre, ad esempio, potrà obiettare sull’alimentazione scelta dal padre e il padre sul luogo di vacanza scelto dalla madre 31.
Tali potenziali contrasti, tuttavia, appaiono molto più rilevanti
per la formazione della coscienza del minore, se riferiti o riferibili
a comportamenti di natura religiosa.
È infatti del tutto evidente come le convinzioni religiose dei
genitori assumano un decisivo rilievo nell’indirizzare la vita dei
figli, ma possono anche rappresentare motivo di contrasto (come
nel caso di appartenenza a diverse confessioni), soprattutto nelle
fase della crisi della famiglia 32.
Forse anche per ovviare a tali potenziali contrasti, dannosi per
l’educazione dei minori, la riforma ha previsto “limitatamente alle
decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può
stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente”.
31
32
A. BERNARDINI DE PACE, Figli condivisi, cit., p. 26 ss.
A tal proposito, cfr. C. CARDIA, Principi di diritto ecclesiastico, Torino, 2005, p. 154 ss.; G. DENTE, Elementi di diritto ecclesiastico nel diritto di
famiglia, Milano, 1984.
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Si ritiene comunque, che le decisioni più rilevanti per i figli,
vadano assunte da entrambi i genitori, come la scuola, i corsi parascolastici, le visite mediche specialistiche, e soprattutto le scelte in
materia di religione, come la partecipazione, ad esempio, al catechismo 33.
L’iscrizione ad una scuola religiosa di una qualsiasi confessione, al catechismo, all’associazione di volontariato gestita da enti
ecclesiastici per avere quindi validità dovranno essere sottoscritti
da entrambi i genitori. La materia è particolarmente delicata, per
cui occorrerà verificare in concreto se, ad esempio, gli istituti scolastici confessionali, le chiese, le organizzazioni di culto, pretenderanno sempre la doppia firma, oppure no.
Tutte le volte in cui non c’è accordo sulle risoluzioni importanti, ma anche su quelle di ordinaria amministrazione, se i genitori
non hanno preventivamente diviso le sfere di competenza, dovranno rivolgersi al Giudice, che prenderà le decisioni al loro posto.
Come in passato, padre e madre possono decidere, come ritengono opportuno, le regole che dovranno governare ala cessazione della loro convivenza, ma il Giudice ha il potere di integrare le
loro determinazioni, se queste sono contrarie all’interesse del minore o non rispecchiano i principi della riforma.
La giurisprudenza, in passato, è stata più volte chiamata a risolvere questioni attinenti l’educazione religiosa dei minori, decidendo, ad esempio, che “il credo religioso dei genitori non viene
considerato come criterio rilevante per la scelta del genitori affidatario” 34, o che il genitore affidatario non venga scelto in base alle
sue idee politiche o religiose 35, o che il mutamento di fede religiosa di un genitore non possa avere rilevanza come “ragione incidente nell’affidamento dei figli” 36.
Una volta superata la difficoltà di scelta del genitore affidata-
33
A. BERNARDINI DE PACE, Figli condivisi, cit., p. 27.
34
Cass. 27 febbraio 1985, n. 1714, in Dir. fam., 1985, p. 537.
35
Cass. civ., Sez. I, 27 ottobre 1999, n. 12077, in Fam. e dir., 2000, p.
77 ss.
36
Cass. 23 agosto 1985, n. 4498, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1986, I, p. 125 con nota di MANTOVANI.
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rio, la giurisprudenza ha evidenziato 37 che le decisioni relative all’educazione religiosa del minore devono essere adottate di comune accordo da entrambi i genitori, fatta eccezione nel caso in cui il
contrasto tra i genitori perduri e l’intervento del Giudice si renda
necessario 38.
La tutela del minore e del suo interesse sono lette, ovviamente, alla luce dei principi contenuti nella nostra Costituzione (e nelle
Convenzioni Internazionali) 39.
Ne sono una riprova gli artt. 2 e 3 Cost. che sanciscono il riconoscimento dei diritti fondamentali del singolo, come individuo
e nelle formazioni sociali in cui opera e la rimozione degli ostacoli
che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Si delinea, quindi, la concezione del minore come cittadino in
formazione, attraverso un ampia ed effettiva libertà delle proprie
scelte esistenziali, nella prospettiva segnata dagli artt. 19 (libertà
religiosa), 21 (libertà di pensiero), 49 (libertà di opinioni politiche) 40. Proprio nell’ambito familiare si pone la genialità del piano
costituzionale di protezione e tutela del minore.
La famiglia costituisce l’ambiente privilegiato per realizzare
un adeguato sviluppo della personalità del minore: gli dona quella
37
Di recente, ad esempio, cfr. Cass. 6 agosto 2004, n. 15241, in www.
olir.it, documenti, alla voce famiglia-libertà religiosa.
38
Su tale tematica, cfr., E. MATTU, Libertà religiosa e diritto di famiglia: una sintetica rassegna di giurisprudenza, in Dir. fam. pers., 1998, p.
430 ss.
39
Il Tribunale di Genova, già nel febbraio 1959 (in Giur. cost., 1959, p.
1275 ss.) aveva statuito il diritto del minore di professare una “fede” diversa
da quella del genitore; cfr. G. DENTE, Elementi di diritto ecclesiastico nel diritto di famiglia, cit., p. 66. Su tale tematica, inoltre, cfr. F. PETRONCELLI HUBLER, Diritti e doveri dei genitori nell’educazione religiosa dei figli, in AA.VV., La famiglia nella normativa canonica e civile, Chieti, 1981, p. 105
ss.; F. PETRONCELLI HUBLER, Diritti e doveri della famiglia nell’educazione
cristiana, in AA.VV., Studi in memoria di Mario Condorelli, II, Milano,
1988, p. 1135 ss.; A. TESTORI CICALA, L’autodeterminazione dei minori nelle
opzioni religiose e sociali, in Dir. fam., 1988, p. 1866 ss.; M. TEDESCHI, Manuale di diritto ecclesiastico, Torino, 2004, p. 314 ss.
40
M. DOGLIOTTI, L’interesse del minore nella separazione tra coniugi,
in Dir. fam., Milano, 1986, p. 1225 ss.
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sicurezza che è indispensabile nel rapporto con gli altri e con la sua
identità 41.
La dimensione della nostra Costituzione è, quindi, personalista, considerando anche il minore centro dell’organizzazione sociale e politica, titolare di diritti fondamentali, tra cui il diritto all’educazione, la cui tutela garantisce lo sviluppo della persona.
Questa maggiore attenzione nei confronti del minore è stata
recepita nella legge “sull’affido condiviso” anche se scritta, a volte,
in modo da prestarsi a più interpretazioni.
La determinazione della religione del minore, costituendo
quindi, un diritto-dovere naturale dei genitori, deve essere considerata come un aspetto dell’esercizio di libertà religiosa dei genitori,
almeno nella primissima infanzia.
Il bambino, infatti, non sa cosa sia la religione, non avendo
ancora sviluppato tutte le facoltà mentali necessarie per fargli esprimere un proprio credo religioso.
Diversamente, quando il minore è in età tale da esprime il suo
personale interesse o abbia già acquisito una propria maturità di
scelta in campo religioso.
In particolare, il problema della determinazione dell’interesse
del minore si pone in relazione all’esercizio della sua libertà religiosa, riconoscendogli la capacità di scegliere liberamente e consapevolmente quale fede religiosa seguire e se seguirne una: qui l’interesse, infatti, è espresso direttamente dallo stesso minore 42.
Presupposto irrinunciabile è il considerare i figli soggetti di
diritti meritevoli di tutela sino alla concreta autonomia mentale ed
economica, nonché, il rendersi conto che i genitori non sempre sono responsabili ed attenti solo perché biologicamente genitori.
Si supera così, l’impostazione che vede il minore esclusivamente come oggetto di tutela.
La legislazione vigente, infatti, stabilisce all’art. 1, della legge
n. 281/1986, che il minore di 14 anni acquisisce il diritto di esercitare autonomamente la scelta facoltativa se avvalersi dell’insegna41
42
MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 1996, p. 92 ss.
Questioni delicate possono profilarsi quando l’interesse del minore
non corrisponda a quello dei genitori nella determinazione dell’indirizzo religioso.
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mento religioso. È evidentemente una norma che conferisce una
significativa rilevanza all’autodeterminazione del minore, trovando
conferma tra l’altro nel recente disegno di legge generale sulla libertà religiosa 43.
Si ritiene che da quella età, il minore, a differenza del bambino, possa considerarsi titolare di una situazione giuridica perfetta,
rivendicabile sia nei confronti dei genitori, sia dello Stato 44.
Il minore ha, quindi una generale autodeterminazione in campo religioso 45 o è limitata all’ambito scolastico? La sua libertà è
uguale a quella degli adulti? O non è pensabile una libertà religiosa
del minore se non si immagina qualcuno che si faccia carico del
dovere di farla sviluppare? I genitori hanno il dovere di fornire una
pista, un esempio di sapere religioso affinché il minore comprenda
in cosa consiste la religione? O il minore ha il diritto di ricevere
gli strumenti per diventare libero di credere? Il minore ha accesso
alla tutela giurisdizionale per difendersi dai genitori, se le pratiche
della religione impartite dai genitori, possano compromettere lo
sviluppo della sua personalità?
6.
Educazione religiosa dei minori, contrasto tra genitori,
e nuovi istituti processuali
In conclusione è opportuno evidenziare, anche senza entrare
negli aspetti più propriamente procedurali della riforma 46, la pos43
Disegno di legge presentato al Senato della Repubblica 12 gennaio
1994, n. 1792, leggilo in Fam. e dir., 1994, p. 347 ss.; l’art. 4, comma 2, stabilisce che “i minori, a partire dal 14° anno di età, possono compiere autonomamente le scelte pertinenti all’esercizio del diritto di libertà religiosa”.
44
M. RICCA, Le religioni, Bari, 2004, p. 159.
45
Alcuni spunti di riflessione in N. MARCHEI, La famiglia, in AA.VV.,
Nozioni di diritto ecclesiastico, a cura di G. CASUSCELLI, Torino, 2006, p.
109 ss.
46
Per tali aspetti, cfr., ampiamente G. DOSI, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e di
divorzio, cit., passim.