Mais a Milano - Polisportiva Punto Nord

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Mais a Milano - Polisportiva Punto Nord
Mais a Milano
Era scura quella sera, per via dell’aria estiva ancora calda che offuscava cielo, stelle e
falce di luna crescente. Crescente come la mia attenzione per quella strada nel parco,
scarsamente illuminata dal fanalino della mia Bianchi Spillo-3.
Servivano altri indumenti per il piccolo Jacopo, nato due giorni prima: Dina li aveva
lavati e preparati ed io li stavo portando ai miei ragazzi che mi stavano aspettando.
Pedalavo in fretta, con la sensazione felice di avere una missione importante da
compiere. La debole brezza della sera estiva non mi faceva sentire affaticato dalla
corsa. La bici andava che era un piacere. Intorno a me il panorama insolito di una
Milano-est serale/notturna. Gli alberi del parco - gialli sotto, scuri sopra, per via della
luce dei lampioni - sembravano in perfetto ordine.
Poca gente in giro a quell’ora da quelle parti: qualche raro ciclista che io sorpasso
regolarmente; qualche auto. Finito il parco Lambro e arrivato al semaforo di Milano
Due, non attendo il verde, svolto a sinistra e vado verso il San Raffaele. Arrivo, entro
e parcheggio sotto il settore ‘C’. Ascensore, 7° piano, reparto ginecologia; molti
parenti e famigliari ancora lì, seduti a conversare piano. Con il mio sacchetto in mano,
guardo verso il settore camere: sarebbe vietato entrare, ma la porta è aperta e
l’infermiera di turno è impegnata al telefono, così decido di proseguire nel corridoio
vietato; arrivo all’altezza della loro camera, la porta è aperta e nella penombra
intravvedo mio genero seduto sul letto accanto alla moglie, vedo che si alza e mi viene
incontro. Vedo anche Barbara che si gira e mi fa cenno di avvicinarmi. Entro,
titubante, e solo allora mi accorgo che nel letto c’è pure Jacopo, tranquillo, pare
addormentato. Barbara si alza, lo prende e se lo accosta delicatamente. Lui continua a
tenere gli occhi chiusi, sembra sorridere ora. Io lo ammiro e, trattenendomi dal
prenderlo e stringerlo forte, lo sfioro con un leggero bacio in fronte, sperando di non
rompere l’incantesimo… Assieme usciamo, parlando sottovoce; Gigi è orgoglioso del
suo primogenito e si vede. L’effetto-papà comincia ora, penso, dopo l’avventura del
parto che lui ha voluto condividere con la moglie; ma ne’ lui ne’ Barbara lamentano la
stanchezza. Bravi ragazzi!
Li osservo e penso a com’ero stato io, in un’altra occasione simile, a Mantova,
trentaquattro anni prima. Anche in quell’occasione una notte scura, che pioveva che
dio-la-mandava… anche allora una tenue falce di luna crescente doveva pur esserci
sopra le nubi e in quella notte era nata lei, nostra figlia ora madre, quella buffa
bimbetta, dai capelli scuri, sguardo serioso, macchietta rossa tra gli occhi, tranquilla in
braccio a Dina. Ricordo che ero tornato a casa poco dopo le due di notte, felice e
commosso, con una lacrima trattenuta a stento, confusa tra le gocce di pioggia che
filtravano dall’ombrello un po’ scassato.
Ora invece saluto i miei ragazzi e il loro pargolo, riprendo l’ascensore e torno in cortile.
Prendo la bici e m’incammino piano; mi fermo poco dopo ad osservare quell’Angelo,
quella croce e quelle stelle. Non piove stasera, ma il miracolo è lo stesso. La vita che si
rinnova, come l’apparizione di un nuovo ‘disegno’ per ora appena abbozzato, ma che,
amato e curato, potrà diventare un’opera d’arte, con le sue luci, colori, ombre e
chiaroscuri. Io, noi, loro e il loro bimbo, vite diverse, vite intrecciate…
Prendo la mia Canon, scelgo l’impostazione manuale, opzione ‘notturna’, tolgo il flash,
inquadro e scatto. Poi la ripongo nel marsupio, salgo in bici e mi avvio lentamente
verso l’uscita. Esco dall’ospedale e riprendo la strada verso Lavanderie: a sinistra i
palazzi di Milano Due, a destra i campi di mais, alto, due metri almeno, mi ricorda
quello della campagna di Volpino. Pedalo piano, guardo le stelle e poi l’orologio: sono
le 22.38 di domenica 23 agosto.
Ripenso a Jacopo, sano, tranquillo e sicuro con mamma e papà e mi sento addosso
qualcosa che somiglia alla felicità.