Mangakugan Light n°2

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Mangakugan Light n°2
[Editoriale]
Mangakugan Light n°2
Data di pubblicazione: 16 settembre 2012
Rivista fondata da Elena Toma e Thomas Lucking
Copyright © Elena Toma 2012
I diritti delle opere contenute in questa rivista
appartengono agli autori delle stesse. Qualsiasi
utilizzo anche parziale di tali opere è da
considerarsi vietato senza l’autorizzazione degli
autori.
L’angolo dei Boss!
Il secondo numero di Mangakugan Light arriva un po’ in anticipo rispetto al previsto: avevamo annunciato che questa nostra nuova rivista appendice sarebbe uscita ogni due numeri
di Mangakugan “normale”... ma ci siamo resi conto che, se
avessimo aspettato la data che ci eravamo prefissati, forse
vi sareste dimenticati dei capitoli delle novel già usciti finora.
Una light novel è decisamente più pesantuccia di un manga,
quindi per questo più difficile da tenere a mente!
Speriamo, quindi, che questo nostro “anticipo” sia di vostro
gradimento! Gli autori si sono impegnati tutti come sempre,
speriamo che il loro lavoro contribuisca a farvi appassionare
a questo particolare genere di opera ancora sottovalutato in
Italia!
Non ci dilunghiamo oltre, dunque vi salutiamo augurandovi,
come sempre, buona lettura!
La Supreme Boss e il Vice Boss
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[Indice]
Risultati dei sondaggi!
Ed ecco a voi la classifica delle light novel della
scorsa uscita di Mangakugan Light, ordinate in
base al numero di preferenze ricevute.
Al primo posto, a pari merito:
Energheia - Power Master (capitolo 2)
(Autore: Thomas Lucking, Illustratrice: Elena Toma)
........................pag.7
Nightfall (capitolo 2)
(Autrice: Kya, Illustratrice: Kya)
......................pag.45
Visto da Vicino Nessuno è Normale (capitolo 2)
(Autore: Mega-Ne, Illustratore: Mega-Ne)
.....................pag.75
2 - Visto da Vicino Nessuno è Normale
3 - Last 0
Last 0 (capitolo 2)
(Autore: Demon, Illustratore: Demon)
....................pag.109
Complimenti a Thomas, Elena e Kya per il primo posto! E grazie a tutti voi per aver votato! Mi
raccomando: continuate a farlo anche per questo numero! I sondaggi sono stati riaperti per i
nuovi capitoli, e ci sarà tempo per votare le vostre opere preferite fino al 29 settembre!
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Buona lettura!
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Capitolo 2: Il mondo di frammenti
Dall’oscurità giunse una voce:
«Accendete il generatore di emergenza».
Il ronzio del gruppo elettrogeno che si avviava
invase l’ambiente, e le luci sul soffitto si riaccesero.
Di nuovo in grado di vedere, i membri del centro
ricerche di Hoddesdon raccolti nell’ufficio del
direttore si guardarono a vicenda, chi perplesso,
chi preoccupato.
«Puoi uscire, Peter» disse Nathan.
Si era rivolto a un collega corpulento che fino
ad allora era rimasto nascosto sotto alla sua
scrivania.
«È finita la tempesta?» domandò questi.
Non ricevette risposta.
«Termine tempesta di fulmini: ore 3.35 ante
meridiem del giorno 23 ottobre» annunciò Susan,
il tablet PC stretto fra le braccia. «Durata totale: 8
ore e 45 minuti circa».
Si era ovviamente rivolta a Nathan. Senza
commentare, questi si avviò a passo di marcia per
uscire dal proprio studio, il candido camice da
laboratorio che gli svolazzava alle spalle.
Nell’allontanarsi puntò il dito verso un ricercatore
e ordinò:
«Rimettete in funzione le strumentazioni.
Voglio subito tutti i dati sulla tempesta di fulmini e
sulle distorsioni luminose».
«Subito!» scattò il giovane al quale l’uomo si
era rivolto.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Susan si affrettò a seguire Nathan, e insieme i
due uscirono dallo studio. Il corridoio era deserto:
tutti i ricercatori si erano riuniti dal direttore
quando la tempesta di fulmini aveva raggiunto la
massima intensità. Alla fine, un black out aveva
colpito il centro, e anche ora che il temporale era
finito l’alimentazione esterna non tornava ancora.
«È stata una gran brutta tempesta» commentò
la ricercatrice, pigiando sul tablet PC.
«Già…»
«Mi chiedo quale sia la situazione fuori…
intendo, per il black out».
«Chissà…»
Nathan aveva un’espressione insolita. Era
come se all’improvviso il suo interesse fosse stato
enormemente stimolato. Non c’erano dubbi sulla
causa: durante la tempesta di fulmini le distorsioni
avevano raggiunto livelli sorprendenti.
«Senti, Sue… tu vai a casa, se vuoi» la invitò,
in un improvviso moto di gentilezza. «È tardi».
«Sono tentata» disse lei, «ma sono troppo
curiosa di sapere cos’è accaduto».
Nathan sorrise mentre continuavano ad
avanzare lungo il corridoio, diretti verso una sala
di controllo delle strumentazioni.
Quando Adam Knight tornò a casa, la moglie lo
raggiunse immediatamente sulla porta. Il cielo alle
spalle dell’uomo era tetro, e una lieve pioggia
cadeva ormai da ore. Adam aveva un’espressione
seria che non piacque alla donna.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«L’hai trovato?» chiese ansiosa, mentre egli
richiudeva l’uscio.
«No, però ho trovato la sua bicicletta» rispose
l’uomo.
«Solo la bici?»
«Era ridotta male, come fosse bruciata»
raccontò lui, togliendosi l’impermeabile. «C’era
anche il suo zaino. Però nessun segno di Ethan».
«Oh, Dio, che può essere successo?» si chiese
la donna, preoccupata. «Con la tempesta che c’è
stata…»
Nascosti dietro gli stipiti di una porta, Jason e
Miley origliavano la conversazione dei genitori. A
causa del black out le uniche fonti d’illuminazione
disponibili in casa erano alcune vecchie lampade a
petrolio. La maggior parte dell’abitazione era al
buio, per cui ai due giovani era facile celarsi
nell’oscurità.
«Alla radio dicevano che la tempesta ha fatto
saltare la corrente in un sacco di posti e rotto
parecchie cose» asserì il ragazzino a bassa voce.
«Sono caduti molti fulmini…» disse la bambina.
«E se uno avesse…?»
Jason afferrò al volo ciò che intendeva la
sorellina, e subito affermò:
«La bici era bruciata, ma Ethan non c’era!»
«Però… non risponde al cellulare…» fece Miley,
osservando il proprio telefonino. «Non è nemmeno
raggiungibile».
«Salterà fuori» la rassicurò il fratello. «Non può
essere finito lontano».
Sul cellulare della ragazzina, però, continuava
ad apparire la scritta “non raggiungibile”.
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Ethan guardava cupo il proprio telefonino. Lo
schermo mostrava a caratteri cubitali la scritta
“nessun segnale”. Non che la cosa lo sorprendesse.
Non capisco… pensò il giovane. Sto delirando?
No, non credo. Eppure ciò che ho visto è assurdo:
delle grandi rocce che volano! Praticamente delle
isole!
Era seduto a un tavolo a casa dell’uomo che
l’aveva curato. Per un po’ aveva provato a far
collegare il telefonino a una qualsiasi rete, ma
come previsto non era riuscito nell’intento. La
colpa poteva essere del bagno nel lago subito
dall’apparecchio, ma Ethan ne dubitata: il cellulare
era pubblicizzato come resistente all’acqua. Più
probabile che la colpa fosse del fulmine, ma anche
su quello il giovane aveva dubbi.
Dove sono finito? si chiese il ragazzo. Nel
futuro? E come diavolo potrebbe essere successa
una cosa del genere? C’è stato un incredibile
cataclisma che ha mutilato la Terra come accade
nel libro che ho ordinat…?
«Beh? Hai finito di fare le “prove” che dicevi?»
Era stata Dawn a parlare. Lei e il padre erano
seduti al tavolo insieme ad Ethan, in attesa che lui
finisse di tentare di usare il cellulare. Pochi minuti
prima la ragazza aveva riportato il giovane in
quella casa, dove si era convenuto che fosse
necessario discutere con calma per chiarire le cose.
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Loro non capiscono quanto questo posto sia
alieno per me pensò Ethan. Di sicuro devo essergli
apparso ben strano per essere fuggito a quel
modo… per non parlare del resto.
Per risparmiare carica, il giovane spense il
telefonino e lo mise via. Quella situazione lo
nauseava: aveva la sensazione di dover vomitare
da un momento all’altro.
«Credo di aver bisogno di alcune… ehm…
spiegazioni» disse.
«Che tipo di spiegazioni?» domandò il padre di
Dawn.
«Intanto cos’è successo prima che mi
svegliassi?» chiese il ragazzo. «Non ricordo
bene…»
«Beh, noi ti abbiamo visto cadere dal cielo»
raccontò l’uomo. «Non abbiamo capito da dove, le
nuvole coprivano la direzione da cui venivi. Sei
finito nel lago qui vicino e ti sei tirato fuori da solo.
Poi sei svenuto».
«Ti abbiamo portato qui a casa nostra»
intervenne Dawn. «Ti ho asciugato con la mayea e
poi ti abbiamo messo a letto. Sei rimasto a dormire
per quasi dodici ore».
Mayea? pensava intanto Ethan. Chissà che ha
detto veramente… il loro accento rende difficile
riconoscere tutte le parole.
«Capisco» assentì poi. «In effetti, ricordo molte
delle cose che avete detto. Ora dovrei chiedervi…
ehm… forse le mie domande sembreranno
stupide…»
«Abbiamo notato che sei spaesato» asserì
l’uomo, incoraggiante. «Parla, non ti derideremo».
«Ecco, io…» cominciò Ethan. «Non capisco dove
sono. Quelle rocce volanti… la roccia su cui ci
troviamo ora… per me non dovrebbero esistere,
eppure per voi sono normali. Insomma, che
succede? Dove mi trovo?»
«Sei nel substrato 7.6 di Tersain, almeno
secondo il sistema di Pauters» rispose l’uomo. «Ti
trovi su un frammento appartenente alla
Repubblica Maltiana».
«Scusi un attimo…» lo interruppe il giovane.
«Cos’è Tersain, intanto?»
Padre e figlia si guardarono, decisamente
sorpresi. Poi l’uomo tornò a rivolgersi ad Ethan.
«Mi chiedi cos’è Tersain…» disse. «Tersain, o
Barghan, è il nostro mondo: quello sul quale ci
troviamo tutti. I frammenti di cui sei tanto stupito
ne sono parte: sono il luogo che la maggior parte
degli uomini occupa».
«E la… terra ferma?» chiese il ragazzo.
«Terra ferma…» ripeté l’uomo. «Se intendi un
luogo che non fluttua, sappi che non esiste un
posto simile… non su Tersain. Ho capito bene la tua
domanda?»
«Fin troppo bene…»
Dunque è così pensò, poi, Ethan. Per qualche
assurdo motivo, mi trovo su uno dei tanti
frammenti che costituiscono un mondo chiamato
Tersain. Ciò è fuori dalle leggi della fisica… eppure
non posso che fidarmi delle parole di quest’uomo.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Parlano inglese, o comunque qualcosa di simile…
dovrebbe essere una prova che mi trovo nel
futuro? Hanno anche questo accento e un lessico
un po’ diverso… potrebbero essersi sviluppati nel
tempo. Forse c’è un modo per capire se in effetti
mi trovo nel futuro o meno.
«Sentite» disse dunque. «Questo mondo è
sempre stato così, fatto di tante isole fluttuanti?»
Ci volle qualche secondo prima che Dawn
parlasse:
«Forse vuoi sapere della Frammentazione?»
«Frammentazione?» ripeté Ethan.
«Sì!» assentì lei, iniziando a raccontare. «Si
narra che, migliaia di anni fa, Tersain fosse
un’unica grande sfera. Non c’erano frammenti, era
un grande tutt’uno. Un giorno, però, accadde
qualcosa: la luce del sole divenne nera, e poi
splendette di un improvviso bagliore. Il cielo
cambiò, perdendo molti astri e riempiendosi di
nuove stelle e nebulose. Il mondo fu scosso da un
tremito profondo, e d’un tratto si spezzò in migliaia
di frantumi. Tale fu il Mastodontico Sfaldamento, o
più semplicemente la Frammentazione: ciò che
rese Tersain così com’è oggi».
È chiaro! pensò Ethan. Allora mi trovo davvero
nel futuro! Però c’è qualcosa che non va… perché
ho la sensazione che la mia teoria sia errata? Non
ho motivo di dubitarne… non capisco!
«Certo, devi avere una storia interessante da
raccontarci» osservò il padre di Dawn.
«Eh?»
«Piombi su questo frammento senza la minima
idea non solo su dove ti trovi, ma addirittura su
come funzioni il mondo!» asserì l’uomo. «Due sono
le cose: o ci prendi in giro o ti è capitato qualcosa
di serio, e allora vorrei capire chi sto ospitando.
Non ci hai nemmeno detto come ti chiami!»
«Ha ragione, mi scusi» fece il ragazzo. «Mi
chiamo Ethan Knight, e… ecco, non so dirvi da dove
vengo… perché non capisco del tutto dove sono».
«Beh, fai uno sforzo» lo incoraggiò l’uomo.
«Descrivici il luogo da cui provieni».
«D’accordo» assentì il giovane, cercando le
parole adatte. «Io vengo… uh?»
Il padre di Dawn aveva alzato una mano a
interromperlo.
«Vorresti scusarmi?» disse l’uomo, il cui tono
più che una richiesta pareva sottintendere un
ordine. «Mi racconterai in un altro momento».
Quindi si alzò e uscì dalla stanza, lasciando
Ethan e Dawn al tavolo.
«Ho fatto qualcosa?» si preoccupò il ragazzo.
«No, non hai fatto nulla» rispose la giovane,
alzandosi a sua volta. «Vieni. Ti mostro dove puoi
darti una sciacquata, così dopo mangi».
Così Ethan si trovò chiuso in uno strano bagno.
Gli pareva di essere tornato indietro di secoli: nulla
dei comfort dei bagni moderni era presente. Un
catino, una tinozza e una brocca parevano fungere
da soli strumenti per l’igiene personale. Una stufa
a legna era deposta a riscaldare l’acqua. Soltanto
il gabinetto aveva qualcosa di più complesso.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Quando Ethan uscì dal bagno, si affrettò a
raggiungere la stanza dove poco prima stava
parlando con Dawn e suo padre. Lì trovò la
ragazza, ma non l’uomo.
«Tutto a posto?» fece lei, scorgendolo.
La giovane sembrava intenta a consultare una
mappa. Subito la mise via, alzandosi dalla sedia
dov’era accomodata.
«Mio padre è uscito, e tornerà un po’ tardi»
affermò. «Dunque mangeremo soli».
Dawn si spostò in un’altra stanza. Ethan la
seguì, entrando in quella che doveva essere una
cucina. Anche questa era piuttosto spoglia e priva
di dispositivi come microonde, forno elettrico o
lavastoviglie. V’erano solo molti armadi traboccanti
di sacchi e impacchi vari, e in un angolo stava
quello che pareva un forno a legna.
Al centro del locale stava un lungo tavolo
attorniato da quattro sedie. Sul ripiano erano
posati due bicchieri, una caraffa d’acqua e alcuni
contenitori pieni di frutta fresca e secca, pane e
diversi alimenti non ben identificati, simili a
barrette di cereali. A giudicare dall’odore che
pervadeva l’ambiente, quelli dovevano essere i cibi
principali conservati nella stanza.
Dawn sedette e invitò Ethan a fare altrettanto.
A disagio, questi la imitò.
«Qui ci sono poche possibilità di fare
rifornimento, per cui non abbiamo vino» affermò la
ragazza, come se quella fosse una mancanza
considerevole. «Dovrai accontentarti dell’acqua».
La giovane allungò le mani verso i piatti centrali
e prese una grande manciata di noccioline. Allibito,
Ethan la osservò portarsi alla bocca la frutta secca
e passare a una fetta di pane. Poi lo studente
guardò il tavolo di fronte a sé.
Niente piatto… niente posate.
Tornò a fissare la ragazza. Questa ricambiò
l’occhiata, in bocca una delle barrette di presunti
cereali.
«Che c’è?» chiese Dawn con aria innocente, le
guance gonfie a causa del boccone. «Non hai
fame?»
«Ehm… no, anzi!» fece lui. «Mi chiedevo solo…
cos’è quella barretta che mangi?»
«Questa?» disse lei, agitandola. «È una stecca
deumidificata. Mai mangiata una?»
«Mai» negò il ragazzo.
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Pare quasi che l’abbiano tirato via da un aereo
o da un treno rifletté Ethan, osservando il
meccanismo complicato che pareva montato sulla
tazza. Immagino di essermelo già chiesto, ma…
dove diavolo sono finito?
Chiusa la porta del bagno, Dawn tornò nel
locale dove alcuni minuti prima lei e il padre
stavano conversando con Ethan. Da lì raggiunse
una stanza adiacente, dove trovò il genitore.
«È di Antony?» gli chiese senza preamboli.
«Sì» assentì l’uomo, un piccione viaggiatore
appollaiato sul braccio. «Sta tornando».
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Tese il braccio a prendere una delle “stecche
deumidificate”.
Sarà cibo liofilizzato rifletté, addentandola.
Bah… non è eccezionale.
Giunta l’ora di dormire, Dawn disse al ragazzo
di usare lo stesso letto dove si era ritrovato al
risveglio. Quando se ne fu andata, Ethan chiuse la
porta e si stese sul giaciglio. Nel compiere quel
movimento storse la faccia in un’espressione
sofferente.
Ahia…
Sbottonò la camicia e si scoprì il busto,
osservando alla luce di una lampada ad olio
un’ampia ustione che aveva sull’addome. Quindi si
guardò il polso, dove c’era l’orologio: anche lì, pur
se fasciata, v’era una fastidiosa scottatura sulla
pelle.
L’orologio
non
funziona
pensò
Ethan,
osservando le lancette ferme dello strumento, i cui
materiali erano semifusi. Non penso di ricordare
male: un fulmine mi ha colpito. L’orologio l’avrà
attirato… le gomme della bici non sono bastate a
isolarmi dal terreno. Il fulmine ha bruciato il punto
da dov’è entrato e quello da cui è uscito.
Si richiuse l’indumento.
Ahia… pensò ancora, quando la stoffa scivolò
sulla ferita. Colpito da un fulmine… con questo e la
caduta che ho fatto, sono fortunato ad essere vivo.
Non fossi finito nel lago… e se sotto di me non
avessi trovato frammenti?
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Non volle pensarci. Piuttosto cercò di rilassarsi,
conscio che il giorno seguente avrebbe necessitato
di tutte le sue energie per capire in che situazione
fosse finito e come uscirne. Non fu facile, ma alla
fine si addormentò.
Il sole brillava oltre una montagna che sorgeva
sul frammento. Nonostante ormai fosse mattina
inoltrata, l’aria era ancora fredda e umida. Gli
uccelli volavano sopra le cime degli alberi che
coprivano buona parte della roccia fluttuante.
Nuvole candide riempivano il cielo insieme a tante
forme scure: altri frammenti.
Ethan osservò per alcuni attimi quello strano
spettacolo. Poi tornò a concentrarsi sul ciocco di
legna di fronte a lui. Levò l’accetta che teneva in
mano e la mosse in avanti con un gemito. Colpì il
ciocco di sbieco, tagliandolo in due parti ineguali.
«Uff…» sbuffò.
«Non hai molta manualità, eh?» fece il padre di
Dawn, che lo osservava più in là.
Se vuoi la manualità, cambio tutte le lampadine
in casa vostra pensò sarcastico Ethan, prendendo
un nuovo ciocco.
Fece per alzare l’ascia un’altra volta, ma l’uomo
gli disse di smettere.
«Cosa?» fece Ethan.
«Penso che tu mi abbia ripagato» asserì
l’uomo.
Al fianco di Ethan giaceva una grande quantità
di ciocchi di legno tagliati.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«Sei resistente!» aggiunse l’uomo.
«Grazie…»
Anche se in realtà mi sono ammazzato di
fatica…
Si era impegnato più di quanto avrebbe fatto di
solito: pur con immenso sforzo e soffrendo in
silenzio il dolore alle ferite, aveva voluto ripagare
al più presto il proprio debito con quelle persone.
Il suo fisico poco allenato e ancora provato dal
contatto col fulmine non si era trovato molto
d’accordo, ma il ragazzo era stato cocciuto.
«Vai pure a rinfrescarti» disse l’uomo. «Poi, se
ti va, torna ad aiutarmi a mettere a posto questa
legna. Allora vedremo come riportarti al luogo da
cui vieni».
Se sapessi da dove vengo, non parleresti così
pensò Ethan, allontanandosi.
Era dall’alba che lavorava… o almeno, da quella
che gli era sembrata l’alba. In quel mondo non
c’era un vero orizzonte dal quale potesse sorgere il
sole. Tuttavia v’era comunque un ciclo luce-buio,
per cui Ethan aveva supposto due cose: Tersain
ruotava su se stesso come la Terra, e l’atmosfera
stessa distingueva il giorno dalla notte.
Quando il sole stava dall’altra parte di Tersain
rispetto all’osservatore, lo spessore dell’atmosfera
frapposta era tale da smorzare la luce fino ad
annullarla. Man mano che Tersain ruotava, l’aria
che la luce doveva attraversare diminuiva, per cui
lentamente il sole prendeva forma fino a illuminare
i cieli prima di rosso e poi di azzurro.
Credo c’entri qualcosa chiamato “rifrazione”,
ma non sono sicuro di ricordare bene come
funzioni.
Comunque, quella era l’ultima delle cose che
durante il lavoro avevano costretto Ethan a lunghe
riflessioni. Un’altra anomalia era data dalle isole: a
prescindere dal fatto che galleggiassero nell’aria,
uno si sarebbe aspettato perlomeno che tutti i
frammenti avessero il sopra e il sotto rivolti nelle
stesse direzioni, con la parte inferiore delle rocce
ricoperta di piante penzolanti e la parte superiore
presentante alberi e corsi d’acqua. Eppure, Ethan
aveva notato con sgomento che se usava quel
metodo per distinguere il sopra e il sotto, allora
parecchie isole mostravano inclinazioni anche
opposte fra loro. Non solo: addirittura, ciò che ne
ricopriva la superficie si comportava come se
seguisse un campo gravitazionale relativo ai
frammenti stessi. Il ragazzo era sicuro di aver visto
un fiume scorrere tranquillamente su un’isola
nonostante dal suo punto di vista il corso d’acqua
fosse a testa in giù.
È senza dubbio qualcosa su cui dovrò chiedere
delucidazioni alla prima occasione. Anche se
immagino che farò la figura dello stupido… per
queste persone fenomeni simili sono la norma.
Mentre dal retro della casa si muoveva sul
davanti, Ethan udì degli strani rumori. Perplesso, li
seguì fino a un cerchio di basse siepi al fianco
dell’abitazione. Lì, nello spiazzo disegnato dai
cespugli, c’era Dawn.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Fra le mani la ragazza aveva un lungo bastone
di legno, che roteava prima da una parte e poi
dall’altra. Ethan la osservò mentre lei manovrava
lo strumento in quelli che parevano attacchi
mimati. La giovane compì una sequenza di
movimenti armonici volti a riempire di colpi un
avversario immaginario. Poi mosse all’improvviso
una mano in avanti ed esclamò:
«Ah!»
Qualcosa attraversò l’aria di fronte al suo
palmo, andando a investire una delle siepi. Gli
effetti furono quelli di un’improvvisa raffica di
vento, ed Ethan l’avrebbe considerata tale se non
fosse stato per un dettaglio: una strana luce era
apparsa dalla mano della giovane quando lei aveva
gridato.
«Che…? Che…?» fece Ethan, stupefatto.
Ansimante per lo sforzo, lei si volse a
guardarlo, scorgendolo per la prima volta.
«Come… come hai fatto?» domandò il ragazzo.
«Fatto? Cosa?» chiese lei, asciugandosi il
sudore dalla fronte.
«Quella… cosa!» rispose lui, senza sapere come
descriverla. «Vento, o che cos’era!»
«Come, cosa, che… perché sembrano le parole
che usi di più?» disse la giovane, con aria divertita.
«Il vento che dici era solo una mayea d’aria, ok?»
«Mayea d’aria?» ripeté Ethan. «Senti… se il mio
parlare sembra strano a te, vale anche il contrario:
l’accento che usi e certe tue parole mi rendono
difficile capire… puoi esprimerti solo in inglese?»
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«Inglese… ancora quella lingua?» fece lei. «Non
conosco il tuo inglese, anche se somiglia all’anglìsc
che parlo. Neanch’io capisco tutto ciò che dici».
«Va bene, ok…» lasciò perdere il ragazzo, che
non puntava a sapere ciò. «Però ti ho sentita dire
mayea d’aria… cosa dovrebbe significare?»
«Una mayea che agisce sull’aria» rispose lei.
«Fantastico… e che intendi con mayea?»
«Ovviamente la tecnica per leggere e usare i
simboli insiti nell’universo».
«…»
«Certo che sei parecchio estraniato dal mondo!
Mmmh… non so… come altro te lo spiego? Diciamo
che è un modo per manipolare le cose senza mani
e macchine?»
«Ok» fece l’inglese, ora decisamente allarmato.
«Non esiste nulla del genere, mi sembra. Ci
dev’essere un trucco, o…»
Prima che lui finisse la frase, la giovane pose la
mano avanti e con una nuova esclamazione spinse
il braccio verso Ethan. Questi vide una luce, e poi
una forte raffica di vento lo investì, smuovendogli
capelli e vestiti. Il ragazzo ci rimase di sasso.
«Non c’è trucco, non c’è inganno» dichiarò la
giovane, sorridendo. «Se non credevi che fossi
capace di usarla, ti sbagliavi!»
Ethan aprì la bocca per replicare. La richiuse.
Sulla sua retina era ancora stampata una macchia
creata dalla visione della luce emessa da Dawn.
Chissà perché, la forma della chiazza gli ricordò
molto una lettera dell’alfabeto greco.
Mentre lui ancora fissava la ragazza come un
pesce lesso, lei gli fece cenno di avvicinarsi.
«Dai!» disse. «Vieni un po’!»
Perplesso, il ragazzo si riscosse e varcò
un’apertura nel cerchio di siepi. Quando si avvicinò
a Dawn, all’improvviso la giovane gettò con forza
il bastone verso di lui. Questo sfrecciò giusto a
fianco alla testa di Ethan, superandolo. Quindi
andò a conficcarsi come un giavellotto nei cespugli
alle sue spalle.
«Ah!» esclamò lo studente, reagendo in ritardo
a quel gesto pericoloso. «Che fai?! Potevi farmi
male!»
«Ho buona mira» replicò lei, indifferente al
rincrescimento dell’inglese. «Avanti, non frignare:
visto che ti divertivi a guardarmi, devi avere un
minimo di interesse per il combattimento».
«Eh?» fece il giovane, preso in contropiede dal
brusco cambio d’argomento. «Combattimento?
Quello?»
La ragazza si accigliò.
«Che c’è, non ti sembrava combattimento?»
chiese. «Sei uno di quelli che si credono forti a
scapito delle donne?»
«No, aspetta… non intendevo dire niente del
genere!» puntualizzò Ethan, mettendo avanti le
mani. «Ero semplicemente di passaggio».
«Ah, no?» domandò lei. «Bene… perché
altrimenti ti avrei subito sfidato. Dunque non ti
interessi di combattimento. Che sai fare, allora?
Pilotare?»
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Energheia - Power Master
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Energheia - Power Master
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«Bruciatura?»
Inutile cercare di dirle cosa so fare… non
riuscirei a spiegarglielo. Ma visto che le interessa il
combattimento, capirà almeno questo.
«Ho fatto un po’ di taekwondo» borbottò
dunque.
«Che?»
«Arti marziali. Lotta corpo a corpo».
«Fai vedere!» disse la giovane, incuriosita.
«Eh?»
«Attaccami con quest’arte!»
«Ma io non voglio!»
«E perché? Avanti, vai tranquillo!» lo
incoraggiò lei. «Se mi stai trattando con gentilezza
pensandomi debole, sappi che mi offendi. O hai
paura?»
«Aaaah…» proruppe Ethan, abbozzando senza
troppo entusiasmo la posa da combattimento del
taekwondo. «Ma insomma, che diavolo vuoi
vedere?»
Meglio accontentarla pensò intanto. Così perde
interesse… o mi sto solo mettendo in ridicolo?
Fece per tirarle un debole calcio semicircolare.
Allora, quando il suo piede mosse verso di lei, la
giovane scattò all’improvviso: parò il colpo e menò
un rapido calcio frontale nell’addome di Ethan.
Colto di sorpresa, questi non riuscì a pararsi. Una
scarica di dolore giunse dall’ustione quando fu
colpito. Subito si piegò in due con un gemito.
«Ehi!» esclamò Dawn. «Non era forte!»
«Mi hai colpito la bruciatura…» si penò il
ragazzo.
Poco dopo, il padre della giovane stava
fasciando il busto di Ethan. Il ragazzo era seduto
su una cassapanca nell’ingresso dell’abitazione, il
viso contratto per il fastidio dato dalle bende. E
meno male che l’uomo gli aveva prima applicato
sull’ustione una crema lenitiva!
«Non avevo guardato sotto i vestiti» asserì
l’uomo. «Credevo che quella sul polso fosse l’unica
scottatura».
Dawn era in piedi lì accanto, un po’
preoccupata, forse perché si sentiva colpevole.
«Avresti potuto dirci prima di quella ferita!»
osservò la giovane, le braccia conserte.
Ethan gemette mentre l’uomo finiva di
stringere e assicurare le bende. Poi si richiuse la
camicia a coprire il busto fasciato.
«Bah!» fece il padre della ragazza. «Dawn,
anche tu, la gente non s’aspetta che sei una belva
scatenata!»
«Non esagerare!» fece lei, ridacchiando.
A vederla pareva averlo preso come un
complimento.
Certo che picchia duro… eppure all’apparenza
sembra una ragazza dolce.
La porta dell’ingresso era aperta, permettendo
di vedere il terreno erboso fuori. Senza preavviso,
qualcuno apparve sulla soglia proiettando la
propria ombra sul pavimento. Tutti gli astanti si
accorsero immediatamente di quell’arrivo.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«Oh!» fece il padre di Dawn, voltandosi.
«Antony!» esclamò la ragazza. «Ciao, Samuel!
Ci sei anche tu!»
I nuovi arrivati erano due giovani, entrambi
avvolti da mantelle marroni che scendevano fino al
bordo degli stivali. Dawn mosse verso di loro, e lo
stesso fece il genitore, pur se con più lentezza. I
due sorrisero a padre e figlia, mentre la ragazza li
abbracciava a turno. Poi lanciarono delle occhiate
ad Ethan, rimasto seduto sulla cassapanca.
«Chi è?» sussurrò il più alto e il più vicino
all’inglese.
I capelli del giovane avevano un colore che
ricordava quelli di Dawn, solo che erano ancor più
tendenti al castano. Gli occhi, invece, erano identici
a quelli della ragazza. Due ciuffi ribelli gli cadevano
ai lati della fronte, accentuando in qualche modo il
suo sguardo accigliato.
«Un ragazzo caduto sul frammento» rispose il
padre di Dawn, mentre Ethan si alzava e muoveva
un passo incerto verso il gruppo. «Era ferito, e lo
abbiamo curato».
«E di dov’è?»
«Non lo so. Non ce l’ha ancora detto».
«Cosa!?»
Il giovane si rivolse ad Ethan, all’improvviso
arrabbiato.
«Chi sei?» esclamò. «Da dove vieni? Rispondi,
altrimenti…»
«Eh?» fece il ragazzo, sorpreso. «Io, ecco, non
so dir…»
A quelle parole, il giovane scattò verso Ethan.
Prima che chiunque potesse fare nulla, il suo pugno
colpì la guancia dell’inglese, facendogli ruotare la
testa per la forza dell’impatto. Stupefatto, Ethan
cadde all’indietro e andò a finire sul pavimento.
«Antony!» esclamò l’altro giovane.
«Papà, insomma!» disse l’aggressore, i pugni
ancora stretti. «Ma non è palese? È così sospetto
che dovevi pensare subito che fosse una spia della
Repubblica!»
«Antony, non farlo di nuovo» lo ammonì il
padre, adirato. «Ti lasci trasportare troppo dalla
diffidenza! Che motivo c’era per colpirlo?»
Ethan si rialzò asciugandosi il sangue uscitogli
da un angolo della bocca. Il suo sguardo truce non
si allontanava da chi lo aveva picchiato. Antony
dovette sentirsi sfidato, dato che alzò il pugno e
disse:
«Non azzardarti a guardarmi così!»
«Ma chi ti credi di essere?» ribatté Ethan,
furioso. «Nemmeno mi hai fatto parlare!»
Ignorandolo completamente, Antony si rivolse
al padre.
«Tu, invece, hai troppa fiducia» asserì,
indicando Ethan. «Non avrai preso, per caso…?
Facendoti vedere…»
«Non ha visto niente» sussurrò il padre.
«Smettila di agitarti. Dormiva quando l’ho riportata
in casa dal nascondiglio».
A quelle parole, Antony sbuffò e si calmò un
po’. Tuttavia, tornò a guardare Ethan con sospetto.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«Tu dovrai dirci molte cose» affermò.
«Antony, non aggredirlo così…» intervenne
Dawn.
«Ha ragione» assentì l’altro giovane, Samuel,
tentando un sorriso conciliatorio. «Con calma potrà
dirci da dove viene, rassicurandoci sulle sue
intenzioni!»
Antony sbuffò di nuovo, poco convinto. Samuel
sospirò e scosse la testa. I suoi capelli castano
chiaro crearono riflessi alla luce del sole. A
giudicare da alcune somiglianze, anche lui era della
famiglia. A differenza di Antony, però, il viso
paffuto e l’aria tranquilla lo facevano apparire
come una persona gentile.
«Dai» fece il padre, provando anche lui a
sorridere. «Andiamo di là. Ethan, scusalo, lui è un
po’…»
Prima che l’uomo finisse la frase, un improvviso
boato invase l’aria. Il terreno tremò e i
soprammobili picchiettarono sui ripiani, mentre i
vetri alle finestre producevano un forte rumore
vibrante.
«Quelli erano…» iniziò Antony, girandosi verso
la porta.
«Colpi di corazzata!» completò Samuel.
«La Repubblica?» esclamò Dawn.
«Maledizione!» urlò Antony, indicando Ethan.
«L’avevo detto: lui li ha condotti qui!»
«Non è vero!» negò il ragazzo, mentre nuovi
rumori di esplosioni giungevano dall’esterno. «Io
non so nemmeno di chi parlate!»
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«Non è il momento» intervenne Samuel, serio
in volto come tutti. «Dobbiamo andarcene. Papà,
dov’è…?»
«Venite, ve la do» rispose lui, muovendo lungo
il corridoio.
«Samuel, rimani a controllarlo» ordinò Antony,
riferendosi ad Ethan. «Lui viene con noi».
Antony e il padre scomparvero. Anche Dawn si
allontanò, ma riapparve quasi subito con uno
zainetto sulla schiena.
«Io ci sono» comunicò.
In un minuto, anche i due uomini tornarono.
Antony portava sottobraccio una cassa di lucido
metallo, simile a una valigia senza manico.
«Andiamo» disse il padre.
«Niente scherzi» Antony ammonì Ethan,
prendendo qualcosa da sotto al mantello.
Il ragazzo osservò stralunato la strana pistola
che il giovane gli puntò contro. Aveva un aspetto
diverso dalle armi viste nei film, ma non per questo
meno minaccioso. Obbediente, si mise di fronte ad
Antony. Insieme, tutti uscirono dalla casa.
«Oh!» fece Ethan, stupefatto.
Di fronte a lui non c’erano alberi, per cui
riusciva ad osservare il territorio senza problemi.
Alla destra, invece, crescevano i boschi che il
giorno prima aveva attraversato mentre fuggiva.
Al di sopra di questi, più o meno dove ci sarebbe
dovuto essere il bordo del frammento, era visibile
una grande sagoma.
Non posso credere a quello che vedo…
Era un colosso di metallo che levitava nell’aria:
pareva un vascello volante, vagamente simile alle
moderne navi da guerra. Il velivolo rivolgeva il
fianco al frammento, esponendo un enorme
motore come quelli degli aerei di linea. Diversi
cannoni erano montati lungo il lato: da essi
partivano bordate di colpi che esplodevano in un
punto lontano, non visibile a causa degli alberi.
«Maledizione, sono al nostro velivus!» esclamò
Antony.
«Le truppe d’assalto staranno già scendendo lì»
disse Samuel. «Usiamo il trasporto di papà».
Aggirarono la casa e presero a correre nella
direzione opposta a quella della nave volante.
Ethan era confuso.
Ma che succede? All’improvviso mi trovo
invischiato in un’azione di guerra! Per giunta, a
combatterla sono macchinari che non avevo mai
visto! Forse è solo un sogno… no, non diciamo
sciocchezze. Quello che sto vedendo è senza
dubbio reale. Se soltanto potessi fuggire… ma
questo tizio continua a tenermi sotto tiro.
Nuovi rumori molto più vicini si aggiunsero alle
esplosioni. Ethan levò lo sguardo, e individuò
alcuni piccoli velivoli sfrecciare sopra di loro. Erano
come quelli visti il giorno prima. Guardandoli ora,
in qualche modo gli ricordarono delle rondini. Una
fusoliera ovale costituiva il corpo degli aerei, dai
quali emergevano due lunghe ali arcuate. Scie di
fumo bianco fuoriuscivano da queste, anche se non
erano visibili motori.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«Ci hanno visti…» disse il padre di Dawn.
Si infilarono in un bosco. Mentre correvano fra
i tronchi, ansimanti a causa della corsa prolungata,
udirono dei rumori martellanti che ad Ethan
suonarono estremamente familiari.
Mitragliatrici?!
In effetti, sentiva il baccano provocato da tanti
piccoli corpi che percuotevano la foresta un po’ più
lontano da loro.
Stanno sparando fra gli alberi… cercano di
colpirci!
Il terrore permise ad Ethan di continuare a
correre nonostante fosse quasi al limite. Fu così
che, dopo interminabili minuti, sbucarono dall’altra
parte del bosco. Allora si trovarono davanti l’altura
che sorgeva sul frammento.
Quella è la stessa montagna che ho visto
mentre precipitavo.
Un’ampia scala di pietra, di aspetto antico e
priva di ringhiere, si arrampicava lungo il rilievo.
Era una struttura impressionante, che per interi
tratti emergeva dal terreno senza appoggiarsi al
monte, quasi volesse tendersi verso il cielo. Non si
capiva, però, dove portasse: a vederla da terra
pareva che s’interrompesse nel vuoto. Qualcosa
privo di senso agli occhi di Ethan, che sulla Terra a
lui nota non avrebbe saputo trovare costruzioni
paragonabili a quella.
Il gruppo raggiunse la scalinata.
«Forza!» fece Samuel, iniziando a salire i
gradini.
Ormai del tutto sfiancati, presero ad arrancare
lungo la scala. Samuel era in testa con a seguire
Ethan ed Antony, quindi veniva Dawn e infine il
padre. Mentre i cinque si affrettavano come
potevano, i piccoli velivoli armati di mitragliatrici
sfrecciarono loro vicino. Fu allora che Ethan si
accorse di un dettaglio non irrilevante: la corazzata
volante si era spostata. Seguendo il bordo del
frammento, ora il vascello si stava disponendo al
loro fianco sinistro a quasi un chilometro di
distanza, i fori dei cannoni puntati su di loro.
Non vorrà, per caso…?
Una serie di colpi partì, andando a esplodere
alla base delle scale. Queste tremarono, e il gruppo
dovette fermarsi per mantenere l’equilibrio. Erano
praticamente sospesi sul nulla: in caso di crollo,
sarebbero finiti sul terreno decine di metri sotto.
«Colpi di avvertimento» disse Antony.
«Sbrighiamoci!»
Ripresero la corsa. Erano a tre quarti di strada
dalla cima quando una nuova bordata esplose.
Colpì di nuovo alla base della scala, stavolta
proprio sotto di loro. Ci fu il caos: i gradini si
frantumarono, e parte della costruzione si sfaldò.
Blocchi di pietra precipitarono di sotto. Un pezzo di
struttura staccatosi dalla base della scala volò
nell’aria e si abbatté dove si trovava il gruppo.
I cinque urlarono a tale impatto. Le schegge li
investirono, e il padre di Dawn fu sbalzato
all’indietro. Il pezzo di scale fra lui e gli altri crollò,
e l’uomo si trovò separato dai figli.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
«Papà!» esclamò Dawn.
Potrebbe saltare? si chiese Ethan, valutando
rapidamente la distanza fra i monconi della scala.
No… è impossibile che ce la faccia.
«Andate!» gridò l’uomo, rimettendosi in piedi.
«No!» fece Dawn. «Provo con la mayea…»
«No, Dawn!» urlò Samuel. «Non sei abbastanza
brava: lo metterai a rischio!»
«Ma io…»
«Tsk!» proruppe Antony.
Il giovane lasciò perdere la pistola, che rimise
sotto al mantello, e afferrò il braccio della sorella.
Questa cercò di districarsi, ma la presa del fratello
era salda. Ripresero la marcia lasciando indietro il
genitore.
«Ma…» fece Ethan. «Lui…»
«Sa cosa fa!» asserì Samuel.
«Sbrigati!» sbottò Antony, acido.
«Papà…» gemette Dawn.
«Tranquilla!» urlò l’uomo, mentre i tre figli ed
Ethan si allontanavano. «So come trattare con
loro!»
Ethan osservò l’uomo mentre questi tornava
indietro lungo le scale. Uno dei velivoli a forma di
rondine si era diretto verso di lui, e si muoveva in
ampi cerchi seguendone i movimenti. L’uomo
camminava lentamente, non manifestando più
l’intenzione di scappare. Si stava arrendendo.
Anche se non capiva bene quale fosse la
situazione, al vedere quella scena Ethan si sentì
molto dispiaciuto.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Energheia - Power Master
Thomas Lucking
I quattro giovani risalirono l’ultimo tratto di
scale. Una volta in cima trovarono una piattaforma
fatta degli stessi blocchi che costituivano i gradini.
Da lì non si arrivava da nessun’altra parte: come
già era intuibile da terra, quella costruzione dava
sul nulla.
«Samuel…» fece Antony, posando la valigia.
I due fratelli si misero al lato di un grande
quadrato di metallo posto al centro della piazzola.
Lo sollevarono, rivelando un ampio scomparto
sotto di esso.
Wow!
Nascosto nella cavità c’era un velivolo. Era
stranissimo: come molta della tecnologia di quel
mondo, aveva un aspetto più rozzo rispetto ai
corrispettivi noti ad Ethan. Quattro ali munite di
motori spuntavano ai lati del mezzo, e sopra la
fusoliera triangolare c’era uno scomparto con
ampie finestre.
«Scendete» ordinò Antony, di nuovo con la
valigia stretta sotto il braccio.
I quattro discesero nel nascondiglio e salirono
a bordo del velivolo. Ethan guardò meravigliato
l’ambiente: alcuni sedili foderati di pelle sgualcita
erano posti vicino alle finestre, e sul davanti
dell’abitacolo v’era un quadro comandi che pareva
uscito da un aereo della seconda guerra mondiale.
Cavi e tubature correvano lungo il soffitto e le
pareti del mezzo, a loro volta ricoperte di bulloni e
saldature.
Questo affare sarà davvero in grado di volare?
Samuel si mise ai comandi, accendendo il
macchinario e afferrando una cloche. Gli altri si
sistemarono come potevano ai pochi sedili presenti
all’interno. Ethan li vide indossare una sorta di
imbracatura. Provò a fare lo stesso, ma non
riusciva proprio a capire come metterla.
«Dammi, ti aiuto io» intervenne Dawn,
vedendolo in difficoltà.
«Grazie…»
Mentre la ragazza gli fissava l’imbracatura,
Ethan la osservò in volto: aveva gli occhi umidi e
teneva lo sguardo basso. Il giovane ebbe un moto
di solidarietà verso di lei.
Dawn era appena tornata al suo posto quando
il veicolo si sollevò, uscendo dal nascondiglio con
un movimento verticale. Samuel spinse una leva,
e con un forte rumore l’aereo partì in avanti.
Schiacciato al sedile dall’improvvisa accelerazione,
Ethan si sforzò di guardar fuori: gli aerei nemici si
erano subito messi alle loro calcagna. Erano veloci.
«Ci prenderanno…» disse il ragazzo.
Colpi di mitragliatrice cominciavano a giungere
dai velivoli a forma di rondine.
«Non credo proprio» replicò Samuel. «Sono un
bravo pilota».
L’aereo sfrecciò in un banco di nubi, evitando le
raffiche di proiettili degli avversari. Occultato in un
mare di nebbia, si prodigò in una serie di manovre
alla cieca che fecero perdere l’orientamento ad
Ethan. Quindi emerse dalle nuvole. In qualche
modo era riuscito a porsi al lato dei nemici.
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Energheia - Power Master
Thomas Lucking
Samuel fece aprire un coperchietto sulla
cloche, esponendo un pulsante posto in cima alla
barra di comando. Aspettò di essere abbastanza
vicino agli avversari. Allora premette il bottone.
Una specie di proiettile tondeggiante partì dal
muso dell’aereo. Quando raggiunse il gruppo di
velivoli, la sfera generò intorno a sé una piccola
tempesta di fulmini. Le scariche elettriche
avvolsero i macchinari, i quali volarono fumanti in
tutte le direzioni. Parevano non essere più in grado
di manovrare… ammesso che i piloti fossero ancora
vivi.
L’aereo tornò in asse e riprese ad allontanarsi
rapidamente. Attraverso le finestre Ethan e Dawn
guardarono indietro: nascosto dalle nubi, il
frammento sul quale era rimasto il padre della
ragazza sparì alla vista.
Il velivolo accelerò, trapassando le nuvole con
un forte rumore.
E ora... ecco la nostra prima serie yonkoma!
“Bakaman² - Road to Japan” di Mattia Lunardi
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Nightfall
Kya
CH - II : Mind, body, sensations
Superati i cespugli ed i primi alberi bassi che
circondavano la radura, il bosco si dimostrava
meno fitto del previsto. Il terreno era morbido,
pieno di impronte fresche della scolaresca
impazzita, e nemmeno una foglia a terra, come
se quella strana vegetazione non facesse mai la
muta.
Spero che gli altri siano al sicuro e riescano a
cavarsela per questi 30 giorni… pregherò per loro
giorno e notte.
Noah era seriamente preoccupato per gli altri,
il sangue freddo che mostrava esteriormente
non rendeva giustizia ai tumulti interiori che lo
avevano squassato da quando era iniziata tutta
l’assurda vicenda.
Devo trovare un posto sicuro, dove non rischierò
di fare del male agli altri. Dopo la prima crisi,
cercherò del cibo e mi rinchiuderò da qualche
parte.
I suoi pensieri furono interrotti da delle urla
sovrumane, provenienti dalla zona più inoltrata
del bosco, dritto davanti a lui.
Sta succedendo qualcosa di grave!
Scattò, nonostante sapesse che andare incontro
a quegli esseri era morte certa nelle sue attuali
condizioni. Non poteva fare altro, oramai era
radicato dentro di lui quel sentimento di giustizia
profondo, quasi fanatico, che lo caratterizzava
nella vita di tutti i giorni.
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Nightfall
Kya
Nightfall
Kya
Un senso di giustizia che nascondeva un segreto
oscuro, che Noah si sarebbe portato con sé fino
alla tomba.
Le urla si affievolirono pochi secondi prima che
il ragazzo arrivasse sul posto, senza pensare di
stare nascosto a monitorare la situazione.
Troppo tardi…
In mezzo agli alberi, una creatura nera girata
di spalle stava masticando incessantemente
qualcosa, e attorno a lei vi erano i cadaveri di due
ragazzi.
Uno era stato atterrato con la faccia rivolta
verso il terreno, il mostro doveva essergli
saltato sulla schiena per poi dilaniarlo, le
scapole e la gabbia toracica erano in vista, uno
degli artigli aveva inoltre reciso la carotide
poco più in su, ed il sangue aveva impregnato
completamente il terreno circostante, al secondo
era stata semplicemente strappata la testa dalla
mascella in su, parte che ora a giudicare dagli
scricchiolii e dal fatto che non era nei pressi del
corpo, costituiva lo spuntino che la bestia stava
avidamente consumando.
L’essere nero si bloccò, girando poi la testa
verso Noah impietrito dietro di lui. Gli occhi erano
completamente rosso rubino, come era stato per
Joshua e Robert il corpo era molto abbozzato,
spuntavano chiaramente solo gli artigli, gli occhi
ed un ciuffo sparato di capelli nivei sulla nuca.
Dovevo essere più cauto… ora ucciderà anche
me!
Un brivido di paura scese lungo la schiena di
Noah, era la prima volta che guardava veramente
la morte negli occhi ed il freddo vuoto che gli
trasmetteva lo sguardo della creatura era
assolutamente agghiacciante.
La bestia lasciò il suo “pasto” per terra, facendo
qualche passo verso il ragazzo sulle corte
gambe posteriori più canidi che umane, quando
un nuovo urlo la bloccò. Annusò l’aria, scoprì i
denti in un sorriso che a Noah ricordò quello del
Cheshire Cat della favola di Alice in Wonderland
che la madre gli raccontava da bambino, e sparì
nel fitto del bosco.
Cosa?
Il ragazzo rimase in attesa per alcuni minuti,
sentendo infine elevarsi dal bosco un rumore
di lotta, misto a quello di versi inumani, a volte
simili a risate demoniache.
Questi esseri sono molto simili, ma ognuno in
realtà è diverso l’uno dall’altro… Sia Joshua,
che Robert che questo ragazzo avevano un
aspetto diverso, forse ciò ha a che fare con la
forza di cui parlava Roger… o con le abilità che
queste creature possiedono. In ogni caso, devo
andarmene in fretta da qui, questo posto è molto
pericoloso.
Si allontanò dalla zona, lasciandosi alle spalle i
cadaveri dei due ragazzi.
Dopo alcuni metri però si fermò, guardandosi
attentamente le mani e concentrandosi sul suo
corpo.
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Nightfall
Kya
Nightfall
Kya
Nessun tremito.
Nessuna stranezza.
In fondo, il terreno è molto morbido… non dovrei
farlo, ma proprio, proprio non posso.
Tornò sui suoi passi, affondò le mani nella terra
e si mise a scavare, sperando di avere tempo
sufficiente per dare una degna sepoltura ai due
malcapitati.
***
«Professoressa! Professoressa Moondrop!»
Non erano passati 20 minuti da quando si era
divisa dagli altri, che una studentessa le corse
incontro piangendo.
«Tu sei… Elizabeth vero? Elizabeth Hunt, della
prima.»
La
ragazzina
annuì,
stringendosi
alla
professoressa preoccupata.
«Sono scappati tutti! Mi sono trovata sola nel
bosco e… non riuscivo più a tornare indietro! Ho
sentito dei versi strani e delle urla, avevo paura,
tanta tanta paura… Miss Moondrop che sta
succedendo? Voglio tornare a… a ca…»
Non riuscì a finire la frase, ed in preda ad
una crisi di nervi si lasciò andare ad un pianto
disperato. La donna prese ad accarezzarle i
capelli dorati, pareva molto più giovane della sua
età, una bambolina e ad Isabella si spezzava il
cuore vederla in quello stato.
«Dov’è tua sorella Veronica?»
Le porse un fazzoletto, Elizabeth si asciugò un
po’ gli occhi e si soffiò il naso, riuscendo poi a
biascicare qualche parola intelligibile.
«Scappata… con altri… non mi ha presa per
mano e l’ho persa.»
Isabella non si sorprese più di tanto, per quanto
la riguardava Veronica Hunt era un’ipocrita
vanesia, ed ora ne aveva la prova tangibile
davanti agli occhi.
«Professoressa… posso stare con lei?»
La donna si irrigidì di colpo. Ricordava bene le
parole di Landley, non voleva che ad Elizabeth
succedesse qualcosa di orribile come quello a cui
aveva assistito nella radura.
«Elizabeth… non possiamo proseguire insieme,
è troppo pericoloso.»
La ragazza sgranò gli occhi, confusa del
repentino rifiuto della professoressa, che provò
a spiegarle a grandi linee ciò di cui si era parlato
con i ragazzi rimasti uniti dopo la trasformazione
di Robert.
«Ma… ma… sono veloce! Posso andarmene! Io
sono diversa, mi accorgo di queste cose, non le
farei niente al massimo ci nascondiamo, davvero
è facile! Facile!»
La biondina era evidentemente sull’orlo
di un’altra crisi, non era in grado in quelle
condizioni di pensare razionalmente, capiva
solo che sarebbe rimasta sola in un posto che la
spaventava a morte.
Devo… lasciarla qui. Devo…
«Elizabeth, ti ho detto…»
L’alunna si strinse fortissimo ad Isabella,
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Nightfall
Kya
Nightfall
Kya
togliendole quasi il fiato.
«La prego! La prego no! No!»
Come temuto, le lacrime ricominciarono a
scorrere copiose, la ragazza forte dell’adrenalina
che doveva scorrerle nel corpo a fiumi era
inamovibile, e l’ultimo barlume di risolutezza
della professoressa Moondrop scomparve.
«D’accordo Elizabeth… verrai con me. Ti troverò
un rifugio sicuro, poi dovrai rimanere da sola,
intesi?»
Il viso della studentessa si illuminò.
«Davvero posso?»
«Sì. Ma al primo segnale, qualunque minima
cosa, scapperai. Intesi?»
Elizabeth annuì con forza. Molto probabilmente
non aveva capito che la professoressa faceva sul
serio, per ora aveva ceduto ma al primo segnale
di pericolo sarebbe stata incrollabile, a costo di
farle del male per tenerla ferma.
Perdonatemi ragazzi… non ho seguito le
indicazioni. Almeno voi, siate prudenti!
Allungò una mano verso Elizabeth, che la afferrò
con forza facendole un timido sorriso.
«Da ora in poi, lei sarà sempre il mio idolo
professoressa!»
«Va bene, va bene… ora usciamo da questo
bosco, e troviamoti un riparo.»
***
Marciava spedito in mezzo alla boscaglia, senza
farsi distrarre dalle urla improvvise e dagli
strani rumori che ogni tanto serpeggiavano
nell’ambiente.
Sei molto sicuro di te, vero?
Di nuovo la voce, sapeva che era indirizzata
solo a lui, per qualche motivo pareva prediligerlo
agli altri. Lo spilungone si fermò, sentì il vociare
di alcuni ragazzi nella direzione in cui stava
andando, e virò di poco per evitare di incrociarli.
So cosa devo fare, tutto qui. Non vedo perché
perdere tempo a girare a vuoto.
Già, tu sai sempre quel che devi fare. Sono
proprio curioso di sapere quale genere di
creatura diventerai. Ti prometto che dopo ti farò
una recensione accurata.
Grazie, effettivamente mi farebbe molto
comodo.
Il rapitore rise, non con crudeltà ma con sincero
divertimento.
Dal suo canto, Roger si era ormai abituato a
questi dialoghi interiori. Era sempre stato uno
adattabile, da quando era piccolo come figlio
prodigio dei Landley era stato cresciuto per
diventare in futuro una macchina da affari per la
famiglia.
Osservare e trarre le conclusioni per riuscire al
meglio nell’impresa, la fredda e limitata logica
razionale da scienziato non gli interessava
minimamente, per questo nonostante la
situazione surreale era riuscito a trarre dei
ragionamenti così a mente fredda.
Guarda, un corpo! Chissà chi è…
Roger girò il capo verso il cadavere di una
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Nightfall
Kya
Nightfall
Kya
ragazza appoggiato ad un albero, la parte
posteriore della testa era stata fracassata contro
il legno, una morte analoga a quella di Sarah
Frost.
Quella è Linda Mason, del secondo anno.
Riportò le iridi sul paesaggio, continuando
imperterrito la camminata. Gli occhiali erano
tenuti sul capo, gli occhi scoperti erano di un
castano chiarissimo, quasi tendente all’ocra,
un colore che non aveva visto quasi nessuno,
vista la retina fotosensibile del ragazzo che lo
costringeva alle lenti scure tutto il giorno, l’unico
motivo per cui ora li aveva tolti era il colore tetro
del fogliame, una qualsiasi creatura sarebbe
diventata perfettamente invisibile con quelli
addosso.
Mi dispiace che hai dovuto vedere il cadavere
della tua amica, ma sai, più andrà avanti il
tempo, più ne incontrerai, chissà se ti capiterà
davanti qualcuno dei ragazzi della radura! La
parte finale, dove avete congiunto le mani, è
stata davvero toccante!
Il tono era evidentemente sarcastico, ma
Landley non si scompose.
Mi spiace, ma quella non era una mia amica, hai
fatto un buco nell’acqua.
Davvero? Allora come sapevi il suo nome?
Roger si fermò di nuovo, inforcando di nuovo
gli occhiali. La luce più avanti era molto intensa,
sinonimo che era quasi riuscito ad uscire dal
bosco.
Tu sai perché a scuola mi chiamano “genio”?
Perché hai un IQ esageratamente alto?
Anche. Ma soprattutto, perché la mia è
un’intelligenza di tipo fotografico. Ciò vuol dire
che vedendo una volta una cosa la memorizzo
perfettamente, questo vale anche per volti
e nomi, per questo alla gente faccio tanta
impressione.
Wow! Interessante davvero.
Già, e non hai ancora sentito il pezzo forte.
Controllando i cadaveri e parlando con i
sopravvissuti, andando per esclusione arriverò
anche a te.
Il rapitore tacque per diversi minuti.
Non sperare… che questa per me sia una
minaccia.
Prendila allora… come una constatazione.
Un altro passo, e Roger fu fuori dal buio del
fogliame nero.
***
Appena addentrata tra il fogliame, Lan saltò
su uno degli alberi, arrampicandosi sopra agile
come un gatto. Quando era successo il terremoto
lei e Mark si erano preparati per la seguente
lezione di P.E., col risultato che invece della
scomoda divisa ora indossava una maglietta ed i
pantaloni della tuta.
Si posizionò su uno dei rami più alti, seguendo
con lo sguardo alcuni dei ragazzi, i più vicini a
lei al momento della divisione: il rosso Ronny,
che camminava furtivo come se gli alberi fossero
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Nightfall
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Nightfall
Kya
abrasivi, e Mark, che si allontanava con passo
flemmatico, senza voltarsi indietro.
Chissà se questo mi darà un bel brivido…
Finché aveva ricordi, Lan era sempre stata così,
taciturna ed insensibile.
Da piccola in Cina dei ragazzi le avevano
allungato un millepiedi, forzandola a prenderlo in
mano. L’insetto aveva camminato pacifico sulla
mano di lei, che rimase parecchio delusa della
cosa.
«Allora? Tutto qui, e per questo dovrei aver
paura?»
Aveva detto ai compagni, che da allora presero a
farle fare prove di coraggio di tutti i tipi.
Catturare serpenti.
Camminare sui tetti.
Dormire in case abbandonate.
Crescendo i vecchi compagni si dispersero,
ma oramai la scarica di adrenalina che provava
correndo rischi era diventata una sorta di droga
per lei, trovare quel brivido che l’accendeva era
l’unica cosa che non la facesse sembrare un
automa, e continuò da sola con le sue imprese.
Imprese che in un modo o nell’altro l’avevano
portata a Sheepville.
Seguì con lo sguardo la testa ossigenata di Mark
fino a che non sparì del tutto alla vista, sperava
solo che non gliela staccassero, con quei capelli
in quel posto era come un fanale di notte.
Vedi di sopravvivere. Hai una promessa da
mantenere.
Pensò, sentendo poco dopo delle grida disperate
provenire da un punto imprecisato del bosco.
«A quanto pare, anche altri hanno iniziato.»
Un brivido le corse lungo la schiena, facendole
spalancare gli occhi.
Paura?
No, quel tipo di brivido lo conosceva molto bene,
questo era un’altra cosa, una cosa che non aveva
mai provato prima.
Non credo scenderò da quest’albero con le mie
gambe.
Poggiò la schiena al tronco, lasciando le gambe
penzoloni ai lati del ramo, le braccia anch’esse
distese lungo i fianchi, mentre i tremori
peggioravano e la testa le diventava sempre più
leggera.
Coraggio, proviamo questo brivido.
Fu l’ultimo suo pensiero, poi rapidamente le
tenebre la inghiottirono.
***
Camminava furtivo, schivando le foglie come se
potessero ucciderlo al tocco.
Non ero d’accordo… non ero d’accordo io di
separarci!
Ronald continuava a ripetersi questa nenia da
quando si erano girati, tutti in direzioni diverse,
da quando si era accorto che facevano sul serio
con la storia della divisione.
Non era per nulla felice di essere solo, non
sapeva badare a se stesso e non aveva la minima
idea di come comportarsi in situazioni simili, a
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Nightfall
Kya
casa la madre iperprotettiva non gli faceva
muovere un dito, se ne avesse avuto la forza
lo avrebbe portato a braccia per tutte le stanze
della casa ed anche a scuola, da questo aveva
sviluppato un morboso attaccamento agli altri,
ed ora si trovava solo e disperso in un territorio
irto di pericoli.
«Devo solo stare calmo… calmo e rilassato.
Magari non è deserto deserto… ci saranno delle
persone normali… e se non tutti diventano
mostri? Magari è solo un’allucinazione collettiva,
oppure un sogno… sì, un sogno…»
Urla da qualche parte, nella foresta. Quasi ci
rimase secco.
«Non ero d’accordo ho detto!»
Gridò finalmente con voce stridula, peccato che
oramai nessuno più potesse sentirlo. Non aveva
idea da quanto tempo stesse camminando, era
talmente concentrato nell’evitare la vegetazione,
che non aveva idea se nel mentre era ancora sulla
giusta traiettoria o no.
Ed ora non vedeva nemmeno più la zona più
luminosa in cui si trovava la radura.
Fece diversi giri su se stesso, col solo risultato di
confondersi ancora di più e non capire nemmeno
da dove fosse arrivato. Di zone più luminose
nemmeno l’ombra, sembrava di stare in un
labirinto di alberi.
Basta, non mi muovo più, è finita… morirò qui,
solo, ed è tutta colpa loro!
Un urlo agghiacciante si levò da qualche parte
nel bosco, ed il cervello di Ronald fece tilt in un
lampo.
Prese a correre urlando in una direzione a caso,
senza curarsi più del fogliame, che ogni volta che
lo sfiorava gli faceva tirare un grido ancora più
forte. Era come una sirena impazzita, pareva non
volersi fermare fino a sputare i polmoni, finché
non cadde giù diritto per un dislivello, facendosi
tappare la bocca spalancata da diversi strati di
terriccio.
Si rialzò tossendo e sputacchiando, la terra
aveva un sapore orribile che gli fece venire i
conati di vomito.
«Perché mi hai abbandonato Joshua… pensavo
fossimo amici…»
Riuscì a dire tra la tosse ed i singhiozzi, il suo
stato mentale era già eroso da poche ore,
figuriamoci reggere a quella maniera per 30
giorni.
«Hey!»
Ronny cacciò un nuovo urlo, sobbalzando
talmente forte da ricadere a terra. Si girò in
direzione della voce, ritrovandosi faccia-a-faccia
con un gruppetto di 5 ragazze.
«Come mai sei qui? Stai scappando da una di
quelle cose?»
Ronny scosse forte la testa.
«Ho sentito un urlo e s…sono scappato via…»
Le ragazze lo guardarono ridacchiando,
incredibile che in una situazione simile ci fosse
ancora qualcuno capace di comportarsi come se
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fossero ancora al sicuro tra le mura scolastiche.
«Coraggio ragazze! Non mi sembra il caso di
ridere, è un compagno in difficoltà in fondo.»
Una si staccò dal gruppo, avvicinandosi al
malcapitato lurido e sconvolto.
«Ti sei fatto male? Puoi unirti a noi se vuoi,
stiamo cercando di uscire dal bosco.»
Tese la mano candida verso Ronny, che la afferrò
senza esitare.
«Io sono Ronald Smith… chiamatemi pure
Ronny, anzi, meglio Ronny di Ronald.»
La ragazza sorrise, un sorriso perfetto su un viso
da angelo, stringendo con più forza la mano del
ragazzo.
«Io sono Veronica… Veronica Hunt. Spero che
diventeremo amici… Ronny.»
***
Splosh!
Mark si ritrovò un piede immerso in un
mucchietto di resti umani.
«Disgustoso.»
Strisciò un po’ il piede sul terreno, osservando le
frattaglie da cui spuntava una scarpa da donna.
Nessuna studentessa porta tacchi 12 a scuola,
neppure quella vacca della Hunt… questa doveva
essere la professoressa d’inglese.
Strappò un ramo da uno degli alberi circostanti,
piantandolo dietro ai resti come una rudimentale
pietra tombale.
Da una tasca tirò fuori un coltello a scatto, incise
velocemente le iniziali N. I. della professoressa
sul tronco e riprese la marcia.
Mi spiace, sono di fretta, non posso fare nulla più
di così.
Sentì improvvisamente delle grida disperate,
una sorta di ululato incessante che durò almeno 5
minuti buoni, prima di cessare bruscamente con
un verso strozzato.
Qualcun altro deve averci lasciato le penne,
devo uscire in fretta da qui, se morissi Lan non
me lo perdonerebbe mai.
Era sicuro che la ragazza se la sarebbe cavata,
da quando l’aveva incontrata 2 anni prima gli era
stato subito chiaro che fosse una tosta.
Come lei anche Mark era un novellino del paese,
come bullo ripetente non aveva avuto già da
subito una buona fama, ma per qualche motivo
Lan era come affascinata da lui, lo aveva seguito
nonostante la freddezza, fino a che i due non
avevano costruito una sorta di bizzarra simbiosi.
«Perché fingi di essere cattivo?»
Gli aveva chiesto lei una volta, mentre erano
seduti a pranzo al solito in giardino.
«Chi ti dice che finga?»
«Lo vedo nei tuoi occhi. Autodistruggerti non ti
darà pace per il tuo tormento interiore.»
«Un’argomentazione di questo tipo detta da te
perde tutta la sua credibilità, Lan. Rinfrescami,
per quale motivo te ne sei andata dalla Cina?»
Aveva liquidato così la faccenda, anche se
sapeva bene che la compagna aveva fatto centro.
Non si curò delle altre grida che si levarono
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dal bosco, ad un certo punto incrociò pure un
ragazzo rannicchiato per terra ed inzaccherato
di sangue, che appena lo vide tirò un urlo da
scolaretta lanciandosi in uno dei cespugli, dove
rimase a fissarlo fino a che Mark non sparì dalla
sua visuale.
«Siamo già a questo punto? Dopo così poco?»
Gli venne da chiedersi se anche lui sarebbe
ammattito prima o poi, quanto ci avrebbe
messo e soprattutto, se sarebbe sopravvissuto
abbastanza per permettere al cervello a ridursi in
pappa.
Era quasi al limitare del bosco, quando uno dei
rami sulla sua testa si spezzò con un rumore
secco, facendogli levare gli occhi al cielo.
«Che ca…»
Ebbe solo il tempo di vedere in faccia la creatura
nera appollaiata sopra di lui, magrissima e con
gli arti innaturalmente lunghi, gli occhi da felide
piantanti nei suoi.
Poi attaccò.
***
Fu molto probabilmente la prima ad arrivare
dall’altra parte della selva, aveva corso a
perdifiato praticamente tutto il tempo.
«Chissà se da queste parti uscirà qualcun
altro…»
Kaori si soffermò a fissare il paesaggio davanti
a sé, così diverso dalla macchia nera da cui era
appena uscita: un’enorme distesa d’erba, di
un colore così naturalmente verde, in un posto
in cui di naturale c’era ben poco, una catena
montagnosa tutt’intorno, ed il rumore di un
ruscello da qualche parte nella zona.
Sembrava quasi un paesaggio montano, se non
ci fossero state delle assurdità nel mezzo.
In primo luogo, gli alberi, quei maledetti alberi
neri che crescevano un po’ ovunque.
Secondariamente ad un’altezza considerevole
volavano frammenti di roccia di varie dimensioni,
smossi come nuvole dal vento.
Strano… molto strano…
Non era propriamente spaventata, ma
nemmeno tranquilla.
Era come andare a vedere un prestigiatore,
quando oramai non si è più nell’età di
credere ciecamente a tutti i trucchi. Possono
impressionarti, ma in fondo non pensi davvero
che siano reali.
Quelle sono…
Alcune persone avevano preso la sua via nel
bosco, ed erano ben visibili nello sconfinato
spazio aperto.
Due ragazze la scorsero, iniziando a farle cenno
di avvicinarsi.
«Kaori! Kaori sei tu?»
Erano le sue amiche, o meglio, le amiche di
Sarah.
«Non stare lì! Ci sono altre cose oltre a quella di
prima là dentro, rischi che ti prendano!»
Camminò per poco verso le due, poi iniziò a
pensare.
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Kya
Altri? E se Joshua fosse in pericolo?
Arrossì leggermente.
La cotta che aveva per lui andava avanti già da
qualche mese, era un ragazzo gentile, studioso,
socievole e responsabile, con una grande
predisposizione al lavoro, il tipo di uomo che
qualunque ragazza giapponese con la testa sulle
spalle avrebbe voluto come marito insomma.
«Se non vieni qui subito, puoi anche
rimanertene là a morire!»
Il tono delle compagne si era fatto aggressivo,
probabilmente per l’eccesso di tensione
accumulata, forse avevano già visto altre “cose”,
come li chiamavano loro, mietere nuove vittime.
Rassegnata, riprese a camminare verso di loro,
non voleva scatenare una lite, non le piaceva
normalmente, figuriamoci in una situazione
simile.
Ognuno per sé.
Le parole di Landley le rimbombarono
improvvisamente nella testa, causandole un
nuovo blocco.
Che stava facendo? Se stava con quelle ragazze
rischiava di fare una brutta fine. Se si fosse
avvicinata a loro, non avrebbe avuto la forza
di staccarsi dal gruppo, o peggio l’avrebbero
obbligata a stare con loro, fino a che non sarebbe
accaduto l’inevitabile.
«Che… che diavolo stai facendo?!»
Il nero fogliame si avvicinava di nuovo davanti a
lei.
«Entro solo… per vedere dov’è. Era al mio fianco,
non può essere molto lontano. Magari si è perso,
o ha bisogno di aiuto. Lo faccio solo per farlo
uscire da lì.»
Più che una giustificazione verso le altre, era una
sorta di nenia personale verso se stessa, troppo
bassa per essere udita.
Arrivo, Joshua!
***
Non voleva allarmare gli altri, ma appena si
erano girati Adrian aveva iniziato a sentirsi strano
e ad avvertire strani tremiti alle estremità.
Cazzo, aspetta un attimo…
Era arrivato al limitare della foresta in semiincoscienza, perdendo ogni controllo di sé pochi
minuti dopo.
Quando si risvegliò, si ritrovò lungo disteso su
una piccola zona erbosa.
«Che diavolo… quindi è così, non c’è alcun
controllo…»
Non ricordava assolutamente nulla di quanto
fosse successo, solo una vaga sensazione,
qualcosa di sgradevole che non riusciva a
definire.
«Ma che ca…»
Nella mano destra teneva una sorta di fucile
nero lucente, con una strana bocca di fuoco,
troppo sottile per poterci far passare qualcosa.
Incuriosito si posizionò prono, impugnando
l’arma come un fucile di precisione, per poi
premere il grilletto verso l’aereo spazio vuoto.
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«Ma dai… va bene tutto, ma qui si rasenta il
grottesco!»
Dalla canna esplose una lunga lingua di fuoco,
evidentemente non aveva in mano un fucile, ma
un vero e proprio lanciafiamme.
Lanciafiamme che funzionava fin quanto si
tenesse premuto il grilletto a quanto pare,
nonostante fosse privo di serbatoio di liquido
incendiario.
Rilassò l’indice, andando a placare il getto di
fuoco.
In che razza di mostro mi sono trasformato per
ritrovarmi con un’arma simile… ma soprattutto,
per essermi ritrovato in un posto simile!
Guardò di sotto, rendendosi subito conto
che ogni possibile tentativo di fuga sarebbe
terminato con la sua carcassa spappolata: il
terreno distava almeno 30 metri, il bosco da cui
era arrivato si trovava ad alcuni Km sulla sinistra,
ridotto ad una fitta macchia nerastra, e nelle
vicinanze non c’era anima viva.
Si ritirò dal bordo, andando a sedersi al centro di
quella specie di zolla volante, di sì e no un paio di
metri di diametro.
Ok Adrian, non ci sono dubbi che ora come ora
sei nella merda. Basterà aspettare che quella
cosa esca di nuovo fuori, se è arrivata fin qui,
saprà anche come scendere.
Prima che il gruppetto di nove si separasse
era serpeggiata l’ipotesi che la trasformazione
potesse avvenire solo una volta, ma l’insegnante
era sicuro che non potesse essere così facile.
Quei mostri sarebbero saltati fuori di nuovo,
e se li equipaggiavano con delle armi, molto
probabilmente volevano solo assicurarsi che
il loro involucro rimanesse intero fino alla loro
visita successiva.
Sospirò, andando a stuzzicarsi la benda
posizionata sull’occhio destro, un’abitudine
recidiva che usciva allo scoperto ogni volta che
era particolarmente nervoso o pensieroso, e che
aveva acquisito da quando lo aveva perso, cinque
anni prima.
Ricordava ancora che in ospedale era venuta
a trovarlo persino la sua ex-moglie, con cui non
parlava più da mesi. Per tipo la 200a volta le
aveva chiesto nuovamente la mano, ricevendo il
solito, freddo rifiuto.
«Mio Dio, se mi metto a pensare al passato a
questa maniera, vuol dire davvero che sto per
crepare.»
Si scrollò dalla testa i vecchi squallidi pensieri,
strappando un ciuffo d’erba e lanciandolo giù
dalla zolla volante. Scoprì con gratitudine di
non aver perso le sigarette, fu quando si mise
ad armeggiare con l’accendino che un nuovo
pensiero gli balenò per la mente, un particolare
sulle uniche armi di quel mondo che per ora
aveva visto, quelle di Joshua.
Prese il lanciafiamme che aveva poggiato al suo
fianco, la sigaretta penzoloni fra le labbra e l’altra
mano nuovamente a tormentare la benda.
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«Al massimo… posso sempre difendermi a
calci.»
Detto questo piegò il braccio, e con un colpo
deciso lanciò la sua unica difesa oltre il bordo
erboso.
***
Camminava lento, come se il pericolo non
potesse essere in agguato dietro ad ogni
cespuglio, quasi non si accorgeva in realtà delle
urla, degli amici al suo fianco che diventavano
sempre più invisibili sino a sparire, tutti i suoni
erano ovattati, tutto ciò su cui posava lo sguardo
era visto in maniera fugace, senza tenerne
realmente conto.
Aveva ucciso.
Ancora quel pensiero lo assillava, troppo fresco
il ricordo della rivelazione shock, del cadavere
straziato, di quel misto maciullato che gli era
uscito dallo stomaco solo pochi minuti prima.
Si asciugò la fronte imperlata di sudore con la
manica della divisa, il baluginio delle lame sulle
sue mani gli dava un brivido ogni volta che lo
vedeva, qualcosa nelle profondità del suo essere
sembrava vibrare ogni volta che le lame intrise di
sangue gli si imprimevano nella retina, e Joshua
non era decisamente pronto a sapere cosa fosse.
Perché è successo proprio a me? Forse sarei
dovuto rimanere immobile… avrei dovuto
lasciare che divorasse Kaori!
Si sarebbe dato uno schiaffo da solo, se ciò non
avesse comportato l’alto rischio di staccarsi la
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testa dal collo. Lasciarla morire senza provarci lo
avrebbe tramutato egualmente in un assassino,
anche peggiore di quello che era ora.
Se uscirò vivo di qui, giuro che andrò a
costituirmi… spero solo che mi credano…
Era talmente assorto nei suoi pensieri, che come
un idiota andò a sbattere contro un albero.
«Che dolore!»
Quasi si era rotto il naso, poggiò le mani sul viso
dolorante, trovando sollievo con il contatto con il
freddo metallo che fissava il Katar al suo palmo.
Fortunatamente non perdeva sangue, e riprese
a camminare in maniera più assennata, cercando
di trovare un punto di luce verso cui dirigersi.
«Chi va là?!»
Un rumore improvviso di passi lo fece
subito drizzare sull’attenti. Poteva essere un
compagno, ma poteva essere ancora una di
quelle cose, e per quanto fosse disperato l’istinto
di sopravvivenza non permetteva ancora alla sua
stupida mente di avere voglia di morire.
«J… Joshua?»
Una voce flebile lo raggiunse, e con un
capitombolo in avanti Kaori fece il suo ingresso in
quella fetta di vegetazione.
«Ma… che è successo? Come mai sei qui? Non
dovevamo…»
La ragazza scosse vigorosamente la testa in
segno di assenso.
«Hai ragione, so già quello che vuoi dirmi… è che
ero preoccupata… avevo paura che rimanessi
intrappolato qui…»
Sulle ultime due parole, la voce iniziò a morirle
diventando pressoché un bisbiglio sulle ultime
due sillabe. Joshua inclinò la testa da un lato,
visibilmente confuso.
«Fammi capire… eri preoccupata solo per me… o
per tutti in generale?»
Kaori si mise a boccheggiare, sembrava stesse
per morire, il ragazzo di contro iniziò a sentirsi a
disagio, non era così stupido da non capire che
aria tirava, il che considerando la situazione era
decisamente fuori luogo.
«Beh, se sai come uscire, non è che puoi
indicarmi la via? Te ne sarei molto grato, non mi
piace per nulla tutto questo nero… sempre se ci
sia un’uscita ovviamente.»
Spero che cambiare argomento funzioni… non
voglio certo ferirla, in un momento simile ogni
piccolezza si può tradurre in una crisi di nervi.
Fortunatamente lei annuì alla richiesta, e si
mise in silenzio a condurlo fuori dal bosco.
Camminarono così per diverso tempo, non si
sentivano nemmeno quasi più urla in lontananza,
forse perché la maggior parte delle persone
era in salvo, forse perché erano già quasi tutte
morte.
«Joshua, posso… chiederti una cosa?»
Si sentì quasi sollevato della rottura di quel
silenzio imbarazzante.
«Sì, certamente.»
«Secondo te… perché ci ha fatto tutto questo?
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Io sono sicura… di non aver mai fatto del male a
nessuno.»
Joshua sospirò. Quella domanda probabilmente
tormentava la maggior parte dei reclusi in
quell’incubo.
«Mi spiace, non so proprio darti una risposta…
non capisco perché quella persona sia stata
spinta a tanto, so solo che l’odio che prova deve
essere immenso… e che gli unici a sapere la
verità alla fine, saranno i sopravvissuti… ed i veri
responsabili della sua rabbia.»
Terminarono il restante tragitto nuovamente in
silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
«Eccoci…»
Finalmente anche Joshua poteva godere di una
vista meno soffocante di quella maledetta selva,
qualche ragazzo si vedeva sparso per l’ampio
spiazzo erboso d’innanzi ai suoi occhi.
«Grazie mille Kaori, sei stata molto gentile.
Forse è meglio se trovi uno spazio chiuso e ti
riposi, sembra quasi che hai il fiatone, non vorrei
che collassassi per la tensione qui in mezzo al
niente.»
Posò una mano sulla spalla della ragazza con
l’intento di rassicurarla un po’, ma fu costretto
a ritirarla di scatto inorridito. Kaori stava
tremando, era come se fosse percorsa da una
scarica elettrica.
«Scu… sa… volevo portarti fino a fuori… io… sca…
scappa…»
I tremiti diventarono sempre più violenti,
ora erano visibili ad occhio nudo. Questa volta
Joshua sapeva benissimo come comportarsi, e
si mise a correre lontano con tutta la forza che
aveva, stupidamente in direzione del campo
aperto.
Sbirciò solo una volta oltre le sue spalle, giusto
in tempo per vedere con la coda dell’occhio una
grossa falce calare velocemente su di lui, ed una
sorta di fantasma nero ridere sguaiatamente.
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2. Eh?
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Mega-Ne
Camminavamo oramai da parecchie ore in
assoluto silenzio. La giornata era soleggiata
e il sentiero che stavamo seguendo era ben
illuminato. Intorno a noi si sentiva il canto
degli uccelli che in primavera si esprimevano al
meglio.
Noi invece no!
Di fianco a me c’era mia sorella, che teneva
in mano la cartina come se fosse il collo di un
pollo e guardava dritta davanti a sé col broncio.
Dieci metri avanti c’era Elena che camminava
tranquillamente con il suo spadone agganciato
alle spalle.
Stranamente al momento della partenza tutto
sembrava andare a gonfie vele, per quanto
nessuno volesse impegolarsi in quella missione.
Anche Sarah aveva l’aria allegra. Probabilmente
si era rassegnata e aveva deciso di prenderla con
filosofia.
Aspettavamo il re nel cortile interno, nonostante
nessuno parlasse sembrava regnare il buon
umore. La piccola figura bionda saltò fuori
all’improvviso battendo le mani.
«Allora! Siete carichi?»
Nel sentirlo Sarah scattò in piedi e disse:
«Certo vostra maestà! Credo proprio che sarà
un viaggio entusiasmante!»
Il sovrano sollevò un sopracciglio, incredulo.
Era eccessivamente carica, doveva esserci
qualcosa sotto! Probabilmente in quei giorni
aveva studiato una strategia per eliminare Elena
in poco tempo.
«Che cosa avete da guardare? Sono
sinceramente felice d’incominciare questa
missione!»
Salvo Elena, tutti la stavano guardando
sospettosi. Sarah estrasse dalla tasca una
cartina, dove erano stati fatti dei segni a matita.
«Come membro con più esperienza in missioni
del genere, mi prendo la responsabilità della
spedizione!» disse scuotendo la cartina che
aveva in mano.
Eh!?
Ora avevo capito tutto, aveva deciso che
sarebbe stata il capo, e probabilmente aveva
anche pensato che nessuno avrebbe potuto
contrastarla, dato che io non ero un guerriero
ed ero alla mia prima missione. Mentre Elena,
non avrebbe mai capito che cosa fosse un capo
spedizione.
Il re sorrise.
«Ottimo Sarah! Lascio la spedizione nelle tue
mani, non deludere il tuo re!»
Sul viso di mia sorella si dipinse una espressione
di vittoria. Sulla mia invece una faccia
rassegnata! Chissà quante angherie avrei dovuto
sopportare per tutto quel viaggio!
«Ragazzi, non vi trattengo di più! Avete un
lungo viaggio da fare e probabilmente non
vedete l’ora di partire! Quindi… buon viaggio!»
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E ricevetti una pacca sulla spalla. Quel colpo
dava il via alla mia tortura che sarebbe durata
probabilmente per tutto l’anno successivo.
Uscimmo lentamente dal castello. Quando
fummo sul primo bivio, subito dopo essere usciti
dalle mura cittadine, Sarah prese in mano la
situazione.
«Ora…» estrasse nuovamente la cartina e
cominciò a scrutarla tenendoci il naso quasi
contro «Uhm… dovremmo andare a sinistra,
perché sicuramente è meglio passare dalle terre
infuocate rispetto alle lande desolate!»
Detto questo alzò la testa e vide che Elena non
si era fermata e stava già proseguendo verso
destra. Le corse dietro e superandola allargò le
braccia come per bloccarla. Alzò lo sguardo verso
Elena, con aria di sfida.
«Ho detto che si va dall’altra parte!»
Non
aveva
scalfito
minimamente
la
determinazione della guerriera, che proseguì
per la sua strada senza neanche prenderla in
considerazione. Sarah corse nuovamente avanti.
Questa volta però estrasse, da una delle sfere
che cingevano i suoi capelli, il suo bastone da
mago.
I fermacapelli di Sarah erano degli accessori
magici: erano come dei portali dimensionali che
lei utilizzava come deposito oggetti. Ne aveva
quattro, due per codino.
Si posizionò davanti a Elena, cominciò a far
girare sopra alla testa la sfera attaccata a una
catena vincolata a sua volta all’estremità
superiore dell’arma. Più la sfera guadagnava
velocità più si avvolgeva tra le fiamme.
Sarah si mise a sbraitare:
«Il re mi ha dato la responsabilità della
missione, quindi farai quello che dico io!»
Era paonazza dalla rabbia. Ma Elena la superò
nuovamente come se nulla fosse. Sarah cedette:
quando la guerriera fu a una decina di metri di
distanza oltre, lancio un dardo infuocato dalla
sua arma verso la schiena di Elena.
La piccola palla di fuoco si mosse velocissima,
ma altrettanta fu la velocità di Elena. Afferrò
dall’elsa la spada posta sulla schiena, non sfilò
neanche la tracolla che la teneva legata, la alzò
solo di pochi centimetri sopra le spalle, quello
che bastava per farla colpire dalla palla di fuoco,
che rimbalzò e finì a terra dissipandosi. Tutto
questo lo fece senza voltarsi o smettere di
camminare.
Sarah aveva un’espressione tra lo stupito e
l’inferocito. Fece per caricare un altro dardo
ma le appoggiai la mano sulla spalla e con tono
fraterno le dissi:
«Facciamo come vuole lei, il re ha detto di
fidarci!»
Non mi rispose, si liberò dalla mia presa
borbottando e cominciò a camminare in silenzio
qualche metro dietro a Elena.
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Era
primavera,
le
giornate
si
stavano
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Mega-Ne
VVNN
Mega-Ne
allungando, e oramai l’ora era tarda nonostante
il cielo fosse ancora parecchio illuminato da
una luce arancione. La formazione non era
cambiata: Elena conduceva con dieci lunghezze
di vantaggio su me e mia sorella ancora furente.
Il sentiero che stavamo percorrendo era
abbastanza largo da contenere una carrozza ed
era ricoperto di ciottoli.
«Per quale motivo non abbiamo un cavallo?»
borbottò mia sorella, senza guardarsi intorno.
«Perché il re ha detto che dovevamo viaggiare
in incognito, sai benissimo che dopo la grande
guerra di cavalli ne sono rimasti pochissimi e
sono stati presi tutti dalle corone reali!»
«Appunto, noi siamo della corona!»
Scossi la testa con forza.
«I N C O G N I T O… hai presente cosa vuol
dire? Se avessimo un cavallo sarebbe scontato
che siamo una delegazione reale! Implicazione,
i briganti ci assalterebbero in continuazione
e quando attraverseremo altri stati saremmo
subito presi di mira!»
Borbottò qualcosa d’incomprensibile e riprese a
camminare in silenzio.
Pensare al mio prossimo anno vissuto a questa
maniera mi faceva venire un nodo alla gola,
come se qualcuno mi stesse premendo le dita
sulla carotide!
Improvvisamente sentimmo un boato provenire
dalla boscaglia. Dal punto in cui si sentì il forte
rumore, vedemmo del fumo e dei corvi volare
via. Senza pensarci m’infilai nella boscaglia e
andai a vedere cosa fosse accaduto, dietro di me
mi seguirono pure Sarah e, stranamente, Elena.
Arrivammo in una piccola radura nella quale,
qualche istante prima, doveva esserci una casa,
ma ora era ridotta a un cumulo di macerie.
Degli uomini intorno alla casa ridevano di
gusto; mentre una donna di circa trent’anni era
inginocchiata davanti alle rovine e piangeva,
accanto a lei la consolava accarezzandola un
bambino biondo di cinque o sei anni. Io e Sarah
eravamo nascosti nella boscaglia e guardavamo
la scena cercando di capire cosa stesse
succedendo. Un grosso uomo barbuto, che
sembrava essere il capo della banda, disse:
«Questo è l’ultimo avvertimento, col prossimo
ti vendiamo il marmocchio! Vedi di ridarci i nostri
soldi!»
Poi l’uomo si girò dalla nostra parte e urlò:
«Tu chi diavolo sei? Che hai da guardare?»
Come mi aveva visto? Ero nascosto come una
lepre! Mi girai lentamente e vidi l’alta figura di
Elena perfettamente in piedi di fianco a me che
fissava la scena. Mi diedi un colpo in fronte col
palmo della mano. A questo punto era meglio
mostrare il nostro numero a quel gruppo di
briganti. Mi alzai in piedi anche io, mia sorella
mi seguì poco dopo. L’uomo fu sorpreso ma non
lo lasciò trasparire. Senza che nessuno dicesse
nulla ci guardammo per qualche istante. Elena
cominciò ad avanzare verso di loro. Quando fu a
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meno di dieci metri da loro si fermò e disse con
calma:
«Avete tanto la faccia degli imboscati!»
I tizi si guardarono in faccia senza capire, anche
io e Sara ci guardammo in faccia senza capire e
anche il bambino e la madre.
«Cosa?» urlò l’uomo barbuto.
Elena fece un altro passo in avanti, tutto il
gruppo di balordi uno indietro.
La sua figura incuteva timore, e l’avevo provato
sulla mia pelle!
«Dove eravate durante la guerra? Avete tutti più
di trent’anni!»
Ora avevo capito cosa intendeva.
Vi starete chiedendo come mai il re fosse un
ragazzino e perché stesse mandando degli altri
ragazzi in una missione così importante. Tre
anni prima era finita una lunga guerra che era
durata più di dieci anni. Tutti gli stati della zona
avevano combattuto come leoni sacrificando le
vite di milioni di uomini. Morale della storia: una
intera fascia di età compresa tra i venticinque e
i cinquanta anni era stata spazzata via, i reduci
di quella guerra si potevano contare sulla
mano. La guerra terminò con un armistizio,
ma la situazione, ora, è comunque ben lungi
dall’essere tranquilla. Quindi Elena intendeva
dire che quelli erano dei codardi che non avevano
combattuto per lo stato.
«E allora? Non volevamo combattere per quello
stupido del sovrano, che è pure morto come un
cane! Per colpa sua ho perso tutto!»
Elena non replicò, si limitò semplicemente a
sfilarsi la spada. La tenne in una sola mano, con
la costernazione di tutti i presenti. Portò la lama
a sinistra sopra alla testa, poi rapidamente la
spostò verso destra con un movimento laterale.
La grossa lama si piegò vistosamente e quando
la bloccò di colpo l’acciaio di questa cominciò
a ondeggiare come un foglio di carta al vento.
Per quanto abbastanza lontani dalla guerriera,
lo spostamento d’aria che venne creato fece
cadere a terra tutti gli avversari. Non capirono
cosa successe, ma quando si rialzarono Elena
era pronta per un secondo colpo che li ributtò
tutti a terra. Andarono avanti così fino a che non
desistettero e scomparirono nel bosco dicendo:
«Non sei molto furba! Non sai con chi ti sei
messa! Torneremo!»
La famosa guerriera che odiava la gente aveva
appena aiutato una persona. Da quando l’avevo
conosciuta, salvo quando mi prese per il collo,
non mi aveva mai dato l’idea della persona che
odia la gente.
La signora continuava a piangere davanti ai
ruderi della sua baracca. Mi avvicinai a lei e le
appoggiai la mano sulla spalla. Era una ragazza
con dei lunghi capelli chiarissimi e gli occhi
altrettanto chiari inondati dalle lacrime, le gote
rosse erano rigate dal pianto e, per quanto
giovane, il suo volto era cosparso dalle rughe di
una vita faticosa.
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«Non sapete cosa avete fatto!» proruppe la
donna «Quelli torneranno a prendere il mio
bambino!»
A dire la verità mi aspettavo più un grazie.
«Chi sono quelli?»
«Sono i soldati di Enea!»
Non avevo mai sentito questo Enea, e poi
soldati? Eravamo nelle terre del re, non potevano
essere dei soldati, non ne avevano le uniformi!
La donna notò la mia faccia un po’ contrariata.
«Ma di dove siete? Enea è il padrone di questa
zona! Fa il buono e il cattivo tempo in base
a come si sveglia la mattina. È così da più di
quindici anni!»
Intanto si erano portate di fianco a me anche
Sarah ed Elena.
«Mi stai dicendo che nelle terre del re ci sono
persone che si permettono di governare a loro
piacimento?»
La donna si spazientì, si alzò in piedi, prese
per mano il bambino e fece per entrare nel
bosco. Si fermò appena dentro ed indicò un
edificio sopra alla collina che sovrastava la
piana erbosa. L’edificio era come un castello
in miniatura, aveva i muri perimetrali
fortificati e s’intravvedevano le guardie che ne
pattugliavano il perimetro.
«Che cosa vuole dire?» le urlai.
Lei riprese a camminare col bambino alla mano
nel bosco. Poi si girò ancora una volta e spalancò
gli occhi nel guardarmi come se avesse visto un
fantasma. Mi guardai i vestiti e intorno, poi mi
voltai completamente e vidi Elena sorridente,
davanti all’uscio di una casetta in legno…
aspettate, non era stata abbattuta la casetta?
Elena in quei tre minuti in cui io avevo parlato
con la donna aveva abbattuto quattro alberi
con la spada, e in pochissimo tempo li aveva
trasformati in assi e aveva rimesso in piedi la
casa. Sarah le stava di fianco e la guardava come
se fosse una lebbrosa.
«Ma… Ma… come avete fatto?»
La donna guardava Elena, ma questa seguitava
a sorridere senza dire una parola, allora volse lo
sguardo verso di me.
E come lo potevo sapere io! Quella ragazza era
tanto matta quanto imprevedibile.
«Non ne ho idea, la nostra amica fa cose che
non ci spieghiamo! E difficilmente te le spiegherà
lei!»
«Posso entrare?»
Elena si spostò da davanti alla porta e le lasciò
lo spazio per accedere nella casa. Entrata
all’interno si accorse che era vuota, salvo che per
un tappeto e delle stoviglie poste in un angolo.
«Grazie! Ma loro torneranno! Tornano sempre
da quando è morto mio marito!»
Non avrei dovuto approfondire di più, avevamo
già perso abbastanza tempo, se non ci
muovevamo saremmo arrivati tardi a Narduk.
Però volevo sapere a tutti i costi chi erano quegli
uomini e cosa facevano!
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«Come ti chiami? Mi puoi raccontare tutto
dall’inizio, magari possiamo aiutarti!»
Questo è un ottimo esempio di pensare una
cosa e fare l’opposto. La ragazza si sedette su
un pezzo di legno che stava sul pavimento della
casetta. Elena stava fuori a guardare il panorama
e Sarah si era appoggiata alla porta d’ingresso
per sentire quello che avevamo da dirci.
«Mi chiamo Lilly e quattro anni fa, prima
che finisse la guerra, mio marito in licenza
dall’esercito per qualche giorno scoprì che
ero incinta e decise che avremmo dovuto far
crescere nostro figlio in una casa degna di
quel nome. Solo che entrambi figli di contadini
non avevamo denaro per comprare una casa.
Decise di andare a chiedere dei soldi a Enea,
come il solito era ben felice di dispensare prestiti
sapendo che poi avrebbe ucciso i malcapitati con
gli interessi.»
Intanto il bambino giocava con un legnetto sul
tappeto logoro.
«Mio marito sapeva a malapena contare, non si
fece troppe domande e cominciò a far edificare
la casa, casa che non vide mai finita, morì da
qualche parte nelle terre desolate di Drasil.
Poco tempo dopo incominciarono a venirmi a
chiedere i soldi del prestito, naturalmente io non
li avevo, una vedova con un bambino piccolo che
a malapena si coltivava l’orto fuori di casa.»
Si alzò in piedi e cominciò a misurare la casa a
lunghi passi.
«Diventarono
sempre
più
insistenti,
cominciarono a rompere le cose in casa, a
strapparmi le piante nell’orto, bruciarono il tetto.
E infine portarono via mia sorella. Mia sorella ha
dodici anni, dopo la morte dei miei genitori me ne
sono sempre occupata io!»
Ero allibito di quello che le era accaduto! Non
credevo che la vita fuori dal castello fosse così
dura, ma l’avrei imparato molto presto!
«Quanto tempo fa hanno preso tua sorella?»
«Quattro mesi fa, ora hanno distrutto quello che
rimaneva della nostra casa e hanno minacciato di
portare via anche mio figlio.»
Sarah continuava a stare alla porta e ora
sbuffava, sembrava non molto interessata e
nemmeno colpita dalla storia struggente della
donna.
«Ti aiutiamo noi!»
«Ma sei cretino! Hai una missione pezzo di
imbecille!»
Mia sorella non perse tempo, aveva ragione
ma io non potevo permettere che queste cose
succedessero nel nostro regno!
«Lo so Sarah! Ma con te ed Elena ci vorrà
pochissimo ad entrare nella fortezza di quelli e
portare via sua sorella!»
La donna ci guardava con le lacrime agli occhi
e le mani giunte come se fosse in preghiera. Mia
sorella distolse lo sguardo e con gli occhi chiusi e
il mento alzato disse:
«Voglio che venga messo agli atti che io
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sono contraria e che tu te ne prendi tutta la
responsabilità!»
Sistemata la sorella potevamo pensare a un
piano per entrare nella villa.
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Il pomeriggio seguente mettemmo in moto il
piano.
Mi accorsi a mie spese che nel nostro gruppo
non c’era uno stratega, quello che più si
avvicinava a questo ruolo ero io, e l’idea che
mi venne in mente fu la cosa più stupida mai
concepita.
Bussai due volte contro il pesante portone, si
aprì una piccola finestrella.
«Cosa volete?»
Mi rispose una voce maschile profonda, anche
questo doveva essere un adulto.
«Uhm… sono… un rappresentante di saponette!
Sto facendo un sondaggio sull’uso che ne viene
fatto in una villa!»
Mio Dio, come mi sentivo ridicolo.
«Non ci interessa, se ne vada!»
Maledetti, non funzionava, avevo bisogno
del piano B, e mi venne in mente la cosa meno
credibile al mondo.
«Ehm… sì… la capisco… ma sa, questo
sondaggio è stato richiesto dal re in persona,
se non posso farlo dovrò venire scortato dalle
guardie reali!»
Solo un idiota poteva credere che un
rappresentante di saponette potesse andarsene
in giro con una bolla reale!
Per qualche istante non si sentì più nulla, dopo
qualche minuto tornò ad affacciarsi l’uomo alla
finestrella.
«Va bene, ma non più di dieci minuti!»
Incredibile, espugnare questo castello sarebbe
stato un gioco da ragazzi con il quoziente
intellettivo che possedevano le guardie!
La porta si aprì lentamente, cigolando. Mi trovai
davanti questo energumeno con la barba e un
grosso pancione, probabilmente doveva essere
anche un forestiero, aveva capelli corvini e pelle
piuttosto scura. Nella nostra regione il carattere
più diffuso era biondo con gli occhi azzurri.
Mi fece entrare in una sorta di cortile interno,
c’erano pochi metri tra l’edificio principale e le
mura fortificate, quindi il cortile risultava più un
corridoio a forma di anello che correva intorno al
maschio.
«Che cosa devi fare?»
«Eh?»
Ah, sì, giusto, mi stavo dimenticando la mia
importante missione per il re!
«Devo intervistare almeno cinque persone che
si occupano di cinque mansioni diverse!»
Il tizio dai capelli corvini mi fece segno di
seguirlo. Mi portò dal maniscalco. Aveva una
piccola baracchetta in legno appoggiata al muro
perimetrale. All’interno stava un vecchiettino che
aveva l’aria di essersi seccato al sole come un
pomodoro.
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«Vecchio, questo uomo le deve fare delle
domande!»
«Non sono stato io! Lo giuro! Non sono stato
io!»
Il vecchio era partito, cioè più che il vecchio, il
suo cervello. Gli feci comunque le domande che
mi ero scritto.
«Aspetti, non ho ancora fatto la domanda!»
Il vecchio si tranquillizzò.
«Quante volte si lava al mese?»
«Non lo so! Se non rispondo mi dà un
brutto voto?» disse preoccupato guardando
l’energumeno.
Andai avanti facendo finta di non sentire le
risposte, diversamente avrei rischiato di dormire
alla fortezza!
«Quando si lava usa qualche supporto, tipo una
spugna o una spazzola?»
Il vecchio si guardava intorno come se stessi
parlando in una strana lingua. Proseguii:
«Usa del sapone per lavarsi?»
«NO! Assolutamente no! Non voglio uccidermi
con quelle cose! Lo sanno tutti che dentro
quelle diavolerie ci sono delle cose chimiche
sconosciute che distruggono le cellule del
cervello!»
Se fosse stato vero, lui sarebbe stato
profumatissimo! Invece puzzava come un
cadavere in decomposizione!
Mi girai verso il “Corvo” e gli dissi:
«Con lui ho finito, possiamo proseguire!»
Non ci avevo pensato inizialmente, ma il fatto di
avergli detto che dovevo intervistare gente che
faceva diversi tipi di mestieri mi permetteva di
girarmi tutto il castello per vedere come fosse la
situazione. Che imprevedibile genialità! Venni
portato dalla cuoca, se vi interessa saperlo era
una persona più umana del vecchio e usava il
sapone una volta alla settimana. Dopo la cuoca
fui scortato dalla bambinaia, una anziana signora
ancora sana di mente ma con le stesse idee del
vecchio maniscalco. Mentre attraversavo uno
stretto corridoio, vidi una porta semi aperta,
con all’interno una ragazzina seduta a terra su
un grosso tappeto, aveva i capelli lisci e biondi
che coprivano il pavimento. La bambinaia mi
sorpassò ed entrò nella stanza chiudendosi la
porta alle spalle.
«Chi si trova in quella stanza?» chiesi
all’energumeno che mi scortava.
L’uomo senza voltarsi o darmi troppa attenzione
mi disse:
«Non fare troppe domande, vedi di fare il tuo
lavoro in fretta e di andare.»
Mentre stavamo percorrendo una scala per
tornare in cortile incontrammo un tizio alto e
robusto, stranamente identico a quello che
avevo visto il giorno precedente a casa di Lilly.
Il tizio fece un’espressione che sembrava dire:
“Guarda questo ragazzino, è proprio identico a
quello che girava insieme a quella folle ieri!”
L’uomo mi acciuffò per la collottola e mi fissò
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negli occhi.
«Che ci fai qui?!»
Ciao, sono Solomon Wonran, e sono un idiota!
Quando pensavo di poter essere lo stratega del
gruppo mi sbagliavo. In che modo avevo pensato
di intrufolarmi, in incognito, in un castello ostile,
senza un travestimento?
«Jake, che ti porti in giro? Che ci fa qui?»
Il Corvo, preso un po’ alla sprovvista dalla
rivelazione del collega cercò di giustificarsi.
«Questo… ehm… ragazzo è stato mandato dal
re per fare una statistica sull’uso delle saponette
nel nostro castello! Enea ha detto di farlo
passare!»
«Jake, sei un cretino! È proprio vero che a Gaar
siete tutti degli imbecilli. Ma come hai fatto
a crederci? Ora lo porto da Enea e ci penso io!
Questo era uno di quelli che ieri ci hanno fatto
fare quella figura di merda giù alla casa della
pezzente!»
L’uomo cominciò a trascinarmi su dalle scale.
«Mi scusi, credo che mi abbia confuso con
qualcun altro.»
Era un tentativo, ma finì che sentii un dolore
acuto alla testa e vidi tutto nero.
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aveva le orecchie a sventola e gli occhi azzurri.
I capelli erano rossicci e la pelle bianchissima.
Faceva girare tra le dita della mano la mia spilla
d’oro donatami dal re.
«Vedo che sei il segretario del re!»
Quando mi risvegliai ero legato alle caviglie con
una corda, ed ero sdraiato su un tappeto scuro.
Davanti a me c’era, seduto su una sedia, un
uomo sulla quarantina, molto alto e scheletrico,
Ciao, sono Solomon Wonran, e sono un idiota!
Oltre ad essermi intrufolato in un castello ostile
senza neanche un minimo travestimento, avevo
anche deciso di portarmi la mia spilla reale dietro
in maniera da farmi riconoscere da dei rinnegati!
Ora sono legato come un salame sul pavimento
di quella che sembrerebbe la stanza del “trono”.
«Cosa è venuto a fare qui il segretario del re?»
Mi serviva una risposta intelligente in breve
tempo, ma ero troppo spaventato per far uscire
dalle mie labbra qualcosa che sarebbe risultato
anche minimamente sensato.
«Vendo saponette?»
«Risposta sbagliata! Te lo dico io!»
Enea si alzò dalla sedia e si mise a camminarmi
intorno, come fa un uccello rapace quando trova
la sua preda.
«Il re si è accorto che questa zona è gestita
particolarmente bene, e vuole congratularsi con
me del mio lavoro! Giusto?»
Mi sta prendendo in giro! Come può credere una
cosa del genere! Mi ha anche legato come un
salamon!
«Sì, sono venuto proprio per questo, però
dovevo essere in incognito, se no vi sareste
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comportati in maniera diversa dal solito!»
Cercai di muovermi.
«Scusi, posso essere slegato?»
«Oh! Che sbadato! Mi scusi, l’avevo legata per
mostrarle che non siamo degli sprovveduti e che
stiamo attenti a tutto quello che succede… ehm…
in poche parole, non ci faremo soffiare il posto
tanto facilmente!»
L’uomo corse subito da me e mi slegò con cura.
Possibile che fosse così idiota, e governava da
più di dieci anni?
«Prego, ora è mio ospite, quindi non si preoccupi
di quella questione della casa, ho già mandato
dei miei uomini a sistemarla e punito gli idioti che
ieri l’hanno abbattuta!»
Mi sembrava sempre più strano. Ma a rendere le
cose ancora più complicate si aggiunse un arrivo
inaspettato. Il Corvo corse dentro la saletta, che
non era niente di più di un buco scuro con dentro
una sedia di legno e due drappi verdi. Riferì ad
Enea:
«Alla porta altre persone, cioè, una monaca che
si porta dietro un golem!»
Eh? Una monaca con un golem?
«Eh? Oggi devi essere stanco Jake! Dai, vengo
io a vedere!»
Enea uscì dalla stanza e sull’uscio mi fece
segno di seguirlo, andammo fino al portone di
entrata. Il portone era ancora chiuso, soltanto la
finestrina era aperta. Enea buttò un occhio al di
fuori poi disse a Jake:
«Falla entrare.»
Il portone era grande e pesante, irrobustito
con delle barre in ferro e dei grossi chiodi. Il
Corvo lo tirava verso di sé con fatica e pian
piano l’apertura mi permise di vedere chi stesse
entrando.
Eh?
Mi comparvero davanti un panino appena
sfornato e un panettone!
Cioè, era palese che la nanerottola alta un
metro e cinquanta, con i vestiti da monaca che
gli andavano larghi e la pelle ricoperta di farina
fosse mia sorella. Mentre la grossa figura alle
spalle che portava delle reti piene di sassi
addosso e una scatola di un panettone in testa,
coi buchi per gli occhi, fosse Elena.
Io ero stato stupido a non travestirmi. Loro
erano state stupide a venire conciate così!
A questo punto ero più che sicuro che Enea la
stesse facendo da furbo per un qualche motivo.
«Prego monaca, si accomodi pure! A cosa
dobbiamo questa visita?»
Mia sorella che mal riusciva a camuffare la sua
voce infantile disse:
«La notte sta per giungere, e una monaca da
sola nel bosco potrebbe essere derubata se
non uccisa dai briganti! Chiedo gentilmente di
passare la notte qui!»
Enea allargò le braccia e con un enorme sorriso
rispose all’imbecille:
«Signora monaca! Sarete la mia ospite
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d’onore!»
Intanto da dietro alle spalle di Enea cercavo di
attirare l’attenzione, ma questa faceva finta di
non vedermi! Invece, il golem alle sue spalle alzò
la mano e mi salutò.
Enea si girò verso di me con aria interrogativa,
come se volesse dirmi: la conosci? Io allargai le
braccia e scossi la testa.
Mi sarebbe piaciuto non averle mai conosciute
per davvero, stavo sprofondando dalla vergogna
ad avere davanti quegli esseri grotteschi;
soprattutto sapendo che Enea ci aveva scoperto
e stava solo giocando come un gatto con il suo
pasto.
«Signora monaca, venga pure con me,
l’accompagno a una delle stanze.»
«Posso portare il golem con me? Mi sento nuda
senza!»
Enea guardò la scatola del panettone coi buchi e
gli scappò un risolino.
«Certamente!»
Fece segno al Corvo di scortare le due nella
stanza degli ospiti. Poi mi guardò e disse:
«Porta pure il nostro amico reale! Dagli una
stanza pure a lui, si sta facendo tardi!»
E mi fece un segno d’intesa al quale dovetti
rispondere con un titubante:
«Sì, la ringrazio!»
La mia mente si era messa in moto per cercare
una soluzione a questo casino, solo che l’unica
cosa che mi veniva in mente era Elena che
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radeva al suolo il castello. Non potevamo fare
una cosa così rocambolesca!
Andammo nuovamente nel corridoio dove, in
precedenza, avevo incontrato la bambinaia.
Prima, venne fatto segno a me di entrare in una
camera, subito dopo, mentre stavo entrando vidi
che indicavano una stanza accanto a Sarah.
Poi sentii la voce del Corvo che passava di fianco
alla mia camera e, ad alta voce, disse:
«La cena è offerta all’ottava ora!»
Ora dovevo andare da Sarah e cercare di capire
cosa diavolo dovevamo fare. Non feci in tempo
ad afferrare la maniglia della porta che mia
sorella apparse con Elena nella mia stanza. Mi
fece un enorme sorriso e mi disse:
«Sono stupidi! Li abbiamo fregati!»
Non mi capacitavo di come potesse pensare di
averli imbrogliati con quel ridicolo travestimento!
«Pezzo di stupida! Guarda che si sono accorti
subito che non siete una monaca e un golem! Hai
visto la faccia di Enea? Rideva mentre vi parlava!
Come diavolo puoi pensare di averli fregati?»
Si guardò un attimo intorno, e si rese
tristemente conto che era stata fregata lei.
«Bel modo che hai di ringraziare le tue
salvatrici!»
Stava cercando di rigirare la frittata, ma non mi
avrebbe fregato.
«Dobbiamo studiare un piano per uscire! In
ogni caso qui di fianco c’è una ragazzina bionda,
probabilmente è la sorella di Lilly!»
Guardai alle spalle di Sarah, c’era Elena con
ancora la scatola sulla testa, mi avvicinai e le
sfilai quel casco ridicolo che le copriva il volto.
Rimasi sorpreso nel notare che aveva gli occhi
chiusi.
«Elena, perché tieni gli occhi chiusi? La scatola
ha i buchi!»
Lei tenendo gli occhi ancora chiusi mi rispose
con voce tremante:
«Se li vedo li uccido tutti! Sarah mi ha detto di
stare tranquilla, allora io tengo chiusi gli occhi!»
La voce era piena di rabbia; la conoscevo ben
poco, però non l’avevo mai vista così, neanche
quando appena conosciuti mi afferrò per il collo.
Non riuscivo a capire con chi fosse realmente
arrabbiata, con quelli della fortezza? O forse con
gli adulti?
«Elena, qui ora ci siamo solo io e Sarah! Puoi
aprirli.»
Lentamente aprì gli occhi e progressivamente il
suo viso si distese. Io mi voltai nuovamente in
direzione di Sarah che intanto si era seduta su
una piccola sedia in legno.
«Sanno chi sono e sicuramente sanno che
voi siete con me. Quindi, abbiamo due scelte,
o cerchiamo di scappare ora, o proviamo a
giocare al loro gioco a cena e fuggiamo col buio.
Però vorrei portarmi dietro la sorella di Lilly, ci
accertiamo che sia lei?»
Mia sorella si alzò in piedi, mi venne sotto al
mento, e mi guardò con la sua classica faccia
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colma di astio:
«Prima cosa, comando io! Seconda, io non
prendo ordini da te e terza il deficiente che ci ha
infilato in questo casino sei tu!»
Rimase a fissarmi per qualche istante senza dire
nulla.
«Che c’è?»
Distolse lo sguardo:
«Dove la trovo?»
«Se attraversi la prossima parete la dovresti
trovare!»
Non disse nessun’altra parola, estrasse il suo
bastone dai codini, e dopo qualche movimento
la vidi sparire. Ricomparve nella stanza a
fianco, fortunatamente nella stanza non c’era la
bambinaia. La bambina era seduta sul tappeto.
Quando la vide fece un salto all’indietro.
«Un fantasma!»
«Ma quale fantasma! Ma tu dimmi se devo pure
trovare delle ragazzine così sceme!»
Ma effettivamente se vi ricordate com’era
messa… al posto dei suoi soliti vestiti portava una
tonaca da monaca ed era tutta bianca di farina,
era comprensibile la paura della bambina che se
la vide apparire nella stanza.
«Sono la maga più potente del regno! Dimmi,
sei la sorella di Lilly?»
La ragazzina si alzò in piedi facendo svolazzare i
suoi lunghi capelli biondi.
«Sì sì! Sono io! Sono Micaela! Conoscete mia
sorella?»
«Uhm… diciamo di sì! Maledetto farfallone!»
«Scusate?»
«Niente niente, smettila di darmi del voi! Ora
me ne vado, tornerò presto e ti porterò via!»
La ragazza tentò di dire una qualche parola ma
Sarah svanì e tornò nella camera di Solomon.
«Allora! La tipa qui di fianco è la sorella! Quindi…
che facciamo?»
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Avevo perso il conto dei piani, non sapevo se era
il piano A del piano B o il piano C del piano B!
In ogni caso, ero seduto davanti a Enea,
davanti a me una grossa portata di cinghiale
e un’insalata di stagione. Sarah ed Elena
erano rimaste nella loro stanza con una scusa.
Enea aveva la faccia immersa all’interno della
selvaggina e fino a quel momento mi aveva
prestato poca attenzione. Io intanto cercavo di
mangiare quella carne squisita senza rischiare
di sporcarmi troppo le dita. Odio avere le mani
sporche di cibo unto e scivoloso!
Di fianco a noi, come un valletto c’era il Corvo,
certo, a pensarci bene probabilmente stava più
attento a non farmi scappare! Ma la sua faccia
aveva un’espressione palese, e sembrava voler
dire che anche lui avrebbe voluto mangiare tutto
quel ben di Dio invece che guardarlo da lì.
«Senti tu! Uhm… come hai detto di chiamarti?»
«Solomon.»
«Uhm… sì, giusto, Solomon…» e soffocò una
risata.
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Che cavolo aveva da ridere pronunciando il mio
nome?! Tutto ad un tratto mi sembrava di essere
tornato ai tempi delle scuole, quando tutti quei
perfidi bambini facevano giochi di parole con il
mio nome!
«Volevo sapere, il re ha bisogno di avere
sicuramente più controllo sul territorio! Ma
la guerra finita da così poco tempo non gli
permetterà di avere un numero di persone fidate
sufficiente per governare nella maniera giusta!
Secondo te non gli sarebbe necessaria una
persona come me, con così tanti soldati fidati?»
Non capivo, voleva farmi sicuramente le scarpe,
ma mi chiedeva dei consigli. Magari voleva farmi
fuori e occupare il mio posto!
«Non saprei sig. Enea!»
Enea alzò lo sguardo verso di me con un
sopracciglio alzato.
«Lord!»
«Eh?»
«Lord Enea!»
«Ah sì, mi scusi, Lord Enea!»
Lord? Che sciroccato, ma chi credeva di essere,
anche se avesse avuto un titolo nobiliare glielo
avrebbero sicuramente tolto non essendosi
presentato in battaglia!
«In ogni caso, Solomon, non credi anche te
che una forza come la mia possa servire al re,
soprattutto perché in un periodo come questo
gli stati confinanti sono caotici e nervosi? È
un attimo che l’armistizio salti e che scoppi
nuovamente la guerra!»
Quello che diceva non era sbagliato, i territori
limitrofi al nostro erano per davvero caotici e
nervosi, però come potrebbe mai fidarsi il re di
un personaggio che già una volta, con tutta la
sua cricca, ha evitato di andare in guerra?
«Quindi pensavo di proporre al re, in cambio di
qualche beneficio, la mia armata scelta e…»
Comparve alla porta mia sorella, con dietro
il golem del panettone che teneva per mano la
bambina. Impugnava la sua asta da mago, ed
essa lanciava lapilli come un piccolo focolare.
Enea aveva gli occhi sgranati e un volto
interrogativo.
Il pavimento incominciò a illuminarsi di vari
simboli e cerchi con all’interno lettere runiche,
mentre Sarah ripeteva a bassa voce un mantra in
lingua sconosciuta. Quando ebbe finito alzò i suoi
occhi azzurri e fissò Enea urlando:
«METEOR STRIKE»
Oh merda!
Sarah si guardò intorno e poi mi urlò:
«Babbeo! È il momento di correre!»
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[Round
Robin]
Qualcuno l’avrà notato, qualcuno no, ma non molto dopo
l’uscita di Mangakugan Light n°1 sul nostro forum è
apparsa una nuova sezione titolata “Novel round robin”.
Di che si tratta?
Essa è stata creata per “abituare” il pubblico alle light
novel. Ci siamo, infatti, resi conto che molti lettori hanno
frainteso la natura di questo tipo di opera. Una light novel
non è un romanzo con le illustrazioni, quindi lo stile di
scrittura da romanzo non va bene. Uno stile con frasi
brevissime, con descrizioni quasi inesistenti, pieno di
dialoghi e di azioni, quello va bene. Data la cultura di noi
occidentali, si tende a non farsi piacere scritti di questo
genere, ma di fatto è così che sono le light novel.
Una light novel è finalizzata alla produzione di una serie
animata, quindi un capitolo di una light novel deve coprire
almeno una puntata di un ipotetico anime. Capite, quindi,
che dialoghi e azioni sono importantissimi in questo
genere. Uno stile pieno di descrizioni Tolkeniane non
andrebbe mai bene per un prodotto così. Questo fatto è
molto importante.
Leggendo una light novel scritta bene, un lettore non
abituato a questo genere penserà che l’autore è incapace
di scrivere. Ma non è così: l’autore si è solo adeguato a
come dev’essere il tipo di prodotto che sta creando.
Per far prendere confidenza con le light novel ad autori,
aspiranti tali o anche lettori curiosi, abbiamo dunque
ideato questo giochino a cui tutti possono partecipare: la
creazione di light novel round robin.
Di che si tratta? Noi dello staff abbiamo dato delle tracce e
un incipit di alcune storie. Agli utenti è lasciato il compito
di continuarle. Se ne usciranno dei bei lavori, potremmo
anche decidere di pubblicarli in rivista.
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Per ora ci sono 4 tracce: una shojo, una shonen,
una horror/seinen e una commedia/demenziale. Chi
ha voglia di cimentarsi nel continuare le storie deve
semplicemente prender parte alla discussione scelta
inserendo direttamente il continuo della storia. Facile,
no?
Se vi abbiamo incuriositi, fate un salto sul forum e
date un’occhiata alle regole complete e a ciò che già
è stato scritto. Magari vi verrà voglia di partecipare!
Non siate timidi: vi aspettiamo!
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Note dell’autore – Terminologia MMORPG
Job Change, Breasts’ Charge
Leech – Sfruttare le kill dei compagni nel
party senza fare nulla. Solitamente viene fatto
da classi che da sole non possono expare, o
quando si è momentaneamente AFK. Nei giochi
F2P, molte volte viene fatto anche in cambio di
oggetti da Cash Shop.
Erano già trascorsi diversi giorni da quando
Shin era entrato nel mondo di Zero.
«Non vedo l’ora di poter apprendere qualche
cosa che non mi faccia arrivare vicino alla morte,
è abbastanza snervante sentire il formicolio
provocato dagli elettrodi…»
Così disse prima di iniziare ad incamminarsi
lentamente verso la città iniziale.
«Non capisco ancora a cosa serva la mia razza…
insomma, non sono forte, l’unica cosa che ho di
elevato sono gli HP.»
I ciliegi che costeggiavano il sentiero per la
città di Zaborra erano in fiore. I petali cadevano
piano, come se non ci fosse nemmeno un
leggero filo di vento a muoverli.
«Caspita, era da tanto tempo che non vedevo i
ciliegi fioriti.» disse con tono quasi sarcastico. «È
passato talmente tanto tempo che non ricordo
più se erano rosa, bianchi o rossi… forse questi
non sono nemmeno ciliegi, magari sono alberi di
cachi secchi.»
Quasi senza accorgersi era arrivato in città, la
sonnolenza iniziava a farsi sentire.
«Hey, elfo nero.»
Una voce proveniva da dietro la esile figura di
Shin. Un nano in verde lo fissava.
«È rarissimo vedere un elfo oscuro, ed è la
prima volta che vedo un player scegliere questa
razza.»
AFK - “Away From Keyboard” letteralmente
rimanere loggati, senza essere davanti al
computer.
Cash Shop – Negozio a pagamento reale
all’interno dei giochi F2P. Alcune volte è
presente anche in giochi P2P, nel caso i
distributori non ricevano abbastanza introiti con
gli abbonamenti.
F2P – “Free to Play” giochi gratuiti, sono il 90%
dei MMORPG sulla piazza. Il guadagno per i
distributori è dato dagli acquisti nel Cash Shop.
P2P – “Pay to Play” giochi a pagamento.
Threat – Letteralmente “Minaccia”. Capacità
intrinseca di attirarsi i Mob addosso, più o meno
forte a seconda delle classi scelte. Generalmente
più danno viene fatto, più Threat si crea.
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«E allora? Hai qualche problema con il fatto che
mi sono scelto questa razza? Ti ho mai giudicato
per le tue scelte, io?»
«Veramente… io volevo solo farti dei
complimenti… beh… scusa, non ti importunerò
mai più.»
Detto ciò il player scappò in direzione opposta,
forse quella risposta lo aveva spaventato.
Le vie della città sembravano meno affollate
di quanto Shin pensasse. Le costruzioni
ricordavano molto le città dei paesi arabi, o
almeno come venivano descritte nei libri di
scuola.
«Ora vorrei solo trovare l’NPC per il cambio
classe, fare la quest e sloggare.»
Iniziò a guardare dapprima a sinistra, poi
a destra, in cerca di qualche player al quale
chiedere spiegazioni.
Mi secca dover chiedere aiuto, ma questo gioco
proprio non lo capisco… ho già giocato ad altri
MMORPG, ma nessuno era complesso quanto
questo.
Finalmente all’orizzonte si scorgeva una figura
simile ad un soldato dello shogunato.
C’è da dire che in questo gioco sono stati
molto fantasiosi. Hanno mischiato il fantasy
occidentale, la città araba e la guardia
giapponese…
«Scusa soldatino, mi sai dire dove cambiare
classe?»
«Benvenuti nella città di Zaborra stranieri, io
sono la guardia reale Rian, potete chiedermi
tutto ciò che volete sulla storia della città.»
«Mm…»
«Benvenuti nella città di Zaborra stranieri, io
sono la guardia reale Rian, potete chiedermi
tutto ciò che volete sulla storia della città.»
«Non sai dire altro?»
«Benvenuti nella città di Zaborra stranieri, io
sono la guardia reale Rian…»
All’ennesima
risposta
uguale
iniziò
ad
incamminarsi da solo in cerca di qualche
indizio. Il sole splendeva sopra la sua testa,
fortunatamente non si percepiva il caldo con
gli elettrodi, anche se, leggendo sul sito,
c’era scritto che stavano sviluppando una
tuta integrale con dei sensori termici, per
un’esperienza di gioco più coinvolgente.
Camminando per le vie, era possibile vedere il
venditore di armi, un signore sulla cinquantina
con in mano una bottiglia di whisky.
Inutile chiedere agli NPC generici, mi
risponderanno sempre allo stesso modo.
Inoltrandosi sempre di più, finalmente individuò
quelli che facevano al caso suo. Erano due
individui appoggiati ad una costruzione di
mattoncini, il primo era vestito di seta a trama
di leopardo, il secondo indossava invece una
pomposa armatura lucente.
«L’effeminato mi fa alquanto ribrezzo,
preferisco il vero uomo.» mormorò a mezza
bocca Shin dirigendosi verso il guerriero.
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«Benvenuto amante dell’arte della guerra, io
sono Rubeus, il capo dei guerrieri di questa città,
ho notato già dal tuo arrivo in queste terre il tuo
immenso coraggio.»
«Già… hai proprio notato…»
«In questi giorni sta girovagando vicino a
questa città un grosso golem circondato da
una barriera elettrica. Portami il suo cuore e ti
permetterò di diventare una guardia di queste
lande.»
«Ok… in pratica io che sono debolissimo devo
prendere il cuore ad un golem gigante… va
bene.»
Il tono ancora con una lieve sfumatura ironica.
«Porta questa lettera dall’armaiolo, lui capirà.»
L’uomo porse verso Shin una lettera biancastra.
«Quindi diventerai un futuro guerriero, Shin?»
Una voce sconosciuta proveniva dal fianco
sinistro del ragazzo. Una bellissima ragazza dai
lunghi capelli castani, due seni molto prosperosi
e due occhi incredibilmente pieni di luci lo
stava fissando. Era vestita con un abito rosso
sgambato, e alla schiena portava una staffa di
legno con all’estremità superiore una mezzaluna
di metallo.
«Chi sei? Ci conosciamo?» disse lui con tono
tremulo.
«Ah, no, non ci conosciamo.»
«Però mi hai appena chiamato?»
«Sì, ti osservo da quando sei entrato in città.»
Fece un ampio sorriso dopo aver pronunciato
quella frase. Era davvero stupenda, peccato che
a Shin il fascino femminile toccava ben poco.
«E di grazia, tu importuni così gli sconosciuti?»
«Non era di certo mia intenzione importunarti.»
disse scostando una ciocca di capelli della
frangia e iniziando a fissarlo con quei grandi
occhi.
«Era solo che volevo chiederti di fare party
insieme.»
Quasi schifato Shin indietreggiò di un metro.
«E chi ha intenzione di fare party con una
mucca come te? Io odio le persone.»
Lei socchiuse le labbra e guardò Shin con
un’espressione che diceva ‘Ma io non ti odio’.
«Non riesco a capire come si possa odiare
qualcuno di mai visto. Io non ti odio, anzi mi stai
simpatico.»
«E una persona non può dire ‘Io non ti odio’ se
non la conosce.»
«È una lama a doppio taglio, no? Diventiamo
amici allora, a quel punto potremo dire se ci
odiamo o se ci amiamo.»
L’ultima frase della ragazza fece arrossire le
gote di Shin.
Un ragazzo non dovrebbe arrossire.
«Beh… comunque come facevi a sapere il mio
nome?»
«È abbastanza semplice da intuire visto che è
scritto in caratteri cubitali sopra la tua testa.»
«Ah, è vero. Quindi suppongo che il tuo nome
sia Yui?»
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Lei sorrise portando le braccia dietro la schiena
nel mentre che lo sguardo incrociava quello di
Shin.
«Esatto! Il tuo, comunque, è davvero un nome
generoso.»
«Sbagli. Stai pensando che il significato sia lo
stesso di Kokoro, invece sta per Shinju di perla.»
«Che strano nome.»
«Già. I miei quando nacqui mi diedero
questo nome per sottolineare che ero un bene
prezioso.»
«Devono essere genitori davvero premurosi.»
A sentire l’accostamento di ‘genitori’ e
‘premurosi’ Shin non seppe trattenere una
fragorosa risata.
«Scusa, questa è la cosa più stupida che ho
sentito oggi.»
Shin era sicuro che dopo questo gesto la
ragazza lo avrebbe lasciato in pace. Impugnava
con forza la spada, lucida come se non fosse mai
stata usata.
«Sono contenta di essere riuscita a farti ridere,
sei molto più carino se sorridi.»
Ok, questa ragazza deve avere qualche
problema mentale, e se la lascio qui, di sicuro
qualcuno le farà fare cose sconce… però… potrei
farlo pure io… togliti subito questi pensieri di
dosso, è una minorata.
Sospirò portando le mani sui fianchi.
«Va bene… puoi venire con me… però ti avverto
che sono debolissimo. Razza più potente un
corno, gli elfi oscuri sono delle mezze seghe.»
Yui fece una faccia stupita.
«Scusa, ma hai letto le istruzioni? C’è scritto
apertamente che gli elfi neri sono deboli fino
al secondo classaggio, e che devono essere
sempre supportati da un prete.»
«Fantastico, i preti sono la cosa più rara in
questo gioco.»
«Ehm…» arrossì. «Io sto per diventare una
priestess.»
«Ah, quindi saresti pure utile a qualche cosa?»
«Io sono una mezzelfa, ed è la razza con la
difesa minore, in più scelgo la via della magia,
così avrò una difesa ancora minore.»
Inizia la spiegazione da parte di una possibile
malata di GdR.
«Però posso curare. Tu, invece, hai molta
difesa, però attiri i mostri naturalmente, avrai
notato che ti attaccano facilmente, no?»
«Quindi io creo Threat sui mob?»
«Crei cosa? Su chi?»
«Ma scusa, non sei un’esperta di MMORPG?»
Abbassò lo sguardo arrossendo leggermente.
Era ancora più carina così.
«No, ho solo letto quello che c’era scritto nel
libretto di istruzioni.»
Yui portò il dito indice ad indicare l’est.
«Io devo portare l’occhio del golem,
attualmente non ho nessun attacco.»
«E come hai fatto a fare il livello per poter
classare?»
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Sorridendo verso Shin rispose:
«Beh, una ragazza sa sempre come farsi
aiutare.»
Inizio a pensare che questa non sia solo
stupida…
«Capisco, quindi hai usato il tuo corpo da Barbie
per farti leechare?»
«Cosa vuol dire questa parola?»
«Leechare? Si utilizza nei MMORPG per indicare
un giocatore che fa uccidere ad altri i mostri per
prendere exp.»
«Ah, no no… Con quello che ho detto, intendevo
dire che ho trovato dei giocatori che mi hanno
detto dove andare per fare il livello 10 senza
fatica.»
Shin rimase piuttosto stupito: se esisteva
davvero un posto per fare esperienza senza
sforzi, per quale motivo si era dovuto spaccare la
schiena per giorni?
«Lasciamo stare comunque, devo andare dal
venditore di armi.»
I due iniziarono a muoversi verso il negozio
dell’armaiolo. Yui seguiva la schiena di Shin.
Intanto il server iniziava a riempirsi di gente,
ma nessuno dei presenti prestava attenzione
alle loro figure. Shin si guardava attorno con
apprensione.
«C’è qualche problema?» disse con le
sopracciglia aggrottate Yui.
«N-no niente. È solo che non mi piace stare in
mezzo alle persone.»
Il negozio di armamenti era ora di fronte
ai ragazzi. La grossa insegna si muoveva
ondeggiando per colpa del vento, e ad ogni
apertura della porta, i campanellini attaccati
alle ante tintinnavano insieme ad un musicale
‘Benvenuti’ da parte dell’ebbro proprietario.
«Voi siete Yui e Shin, vero? Vi stavo
aspettando.»
«Ok, questo non me lo aspettavo.»
«Che cosa Shicchan?»
«Che l’NPC ci riconoscess… come mi hai
chiamato?» disse Shin sgranando gli occhi.
«Shicchan.»
«Chi ti ha dato il permesso di chiamarmi così?
Non siamo mica amici d’infanzia.»
Lei socchiuse gli occhi spostando lo sguardo alla
sua sinistra.
«Beh, mi sembra più affettuoso che chiamarti
Shinsan, non trovi?»
Lui sbuffò.
«Non mi piace che mi chiami così.»
«A me piace invece chiamarti così.»
«Mmh…» fece Shin, storcendo la bocca e
mostrando i denti per il disgusto.
«E non fare quei versi Shicchan, diventi
brutto…»
Ma tu guarda, questa mi ha parlato per quattro
minuti, e si comporta come se mi conoscesse da
una vita.
Dopo questo battibecco fra i due, Shin
finalmente porse la lettera del guerriero
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all’armaiolo, e lo stesso fece Yui.
«Eravate proprio le persone che cercavo.»
«Cosa dobbiamo fare?» chiese Yui, come se si
fosse dimenticata il suo scopo.
«Dovete scegliere una sola di queste armi, e
con quella dovete uccidere il golem di terra.
Attenzione però, è circondato da una potente
barriera elettrica.»
Shin iniziò a pensare. Nella sua testa
affiorarono i ricordi di quando ancora era a
scuola e studiava fisica e chimica.
Nell’armeria i due erano circondati da spade,
asce e archi. Tutto ciò che si poteva immaginare
era lì presente. Nella fila alla destra di Yui c’era
una spada azzurra, molto strana.
«Quella che cos’è?» chiese Shin.
«Ah, quella? È una spada in lama di adamantio
la cui superficie è ricoperta di acqua pura
magica.»
Acqua pura? iniziò a pensare Shin. L’acqua si
definisce pura quando al suo interno non ci sono
ioni, e non essendoci ioni, non può condurre
elettricità. È un isolante perfetto.
«Ok, prendo quella d’acqua.»
«Shicchan, sei diventato matto? L’acqua
conduce.»
«Inizio a pensare che tu sia una bambina delle
elementari.»
«No, no. Ho 16 anni.» disse lei tronfia,
gonfiando il petto.
«Bene, io ne ho 21.»
Shin si rendeva conto di essere maleducato,
ma non lo faceva apposta. La solitudine porta le
persone ad inacidirsi.
«Wow, deve essere bello avere quell’età ed
essere completamente autonomi.»
Per un qualche motivo, calcò pesantemente la
parola ‘autonomo’.
Shin rimase impassibile, il suo pensiero era
rivolto a finire la quest.
Da quando aveva iniziato a giocare, era
dimagrito di qualche chilo. Non che a lui desse
fastidio, ma gli facevano male tutti i muscoli e le
ossa.
Magari sono allergico a questo gioco. pensò
levando un lieve sorriso.
L’addetto armi aveva preso la spada,
consegnandola nel mentre a Shin.
«Sei felice per qualche cosa?» chiese Yui.
«Sì, ma una bambina come te non capirebbe
queste cose.»
«Mah, se lo dici tu.»
Impugnata la spada i due si avviarono in
silenzio verso dove era stavo avvistato il golem.
A est della città c’era un piccolo sentiero di
pietra che proseguiva in salita per 500 metri
verso nord-est, affiancato dagli alberi di
ciliegio, che Shin aveva visto poco prima. Giunti
all’estremità, si trovava il tipico arco dei templi
buddhisti e a sinistra di questo, a circa 20 passi,
un laghetto con dentro delle carpe koi.
«Dovrebbe essere la direzione giusta.» disse
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Shin.
«Mm.»
«‘Mm’ un corno, che cosa c’è?»
Yui arrossì, ma a differenza delle volte
precedenti, il suo viso aveva un velo di tristezza.
«Prima hai detto che sono una bambina.»
«Beh, sì. A mio confronto sei una bambina.»
Una lacrima iniziò a rigare il volto di lei.
«Mi dispiace. Io, non volevo essere un peso per
te.»
Stranamente Shin sentì una cosa strana nel
petto, il suo cuore stava battendo più vigoroso e
rapido. Anche se la reazione era esagerata, non
voleva vederla piangere.
«Non intendevo questo. Tu sarai la mia
priestess personale. L’hai detto tu, no? Senza di
te sono inutile.»
Il volto di lei finalmente iniziava a tornare
solare, come quello che Shin aveva conosciuto.
«Comunque anche io credo che sia la strada
giusta.»
Davanti alle mani di Yui apparve un libro dalla
copertina in cuoio.
«Stando a quello che leggo, proseguendo per
un chilometro a nord-ovest da qui, troveremo la
pianura dove si trova il golem.»
«Fantastico, bisogna andare a nord-ovest… e
come lo troviamo?»
Il tono di Shin era spazientito.
«Mhh.» Yui iniziò a guardarsi intorno. «Trovato!
Sai come si chiama questo posto?»
«Secondo te posso saperlo?»
«Questa è la ‘Terra del sol nascente’, capisci?
Qui l’alba è perenne!»
«Sei un genio!» disse Shin, per una volta senza
toni maliziosi.
Allungò la mano destra in posizione del sole, la
mancina, invece, dal lato opposto.
«Ora quello che guardo è il nord, e alla mia
sinistra c’è l’ovest. Il vettore tra i due, è nordovest.»
Yui batté le mani al ragazzo.
«Sei intelligentissimo!» disse con tono dolce e
carico di gentilezza.
«Non prendermi in giro. Se non fosse stato per
te a questo punto, non ce l’avremmo fatta.»
La strada per raggiungere la radura era irta
e faticosa soprattutto se non si prestava
attenzione a dove si mettevano i piedi. Infatti,
dopo nemmeno un centinaio di metri Yui cadde.
«Ahi, che botta.»
Shin senza chiederle il permesso la afferrò
portandola in spalla per tutto il tragitto,
ferendosi le gambe con i sassi appuntiti.
«Scusa.» disse la ragazza. «Ti fa male?»
Lui sorrise delicatamente rispondendo:
«È un gioco, il dolore che sento non è reale. Gli
elettrodi stanno pizzicando poco.»
Finalmente i due arrivarono davanti alla
locazione dove si trovava il golem, ma nulla.
Nessuna traccia di quella immonda creatura.
«Mi arrabbio se ho dovuto fare tutte queste
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fatiche per nulla.»
«Shicchan, non ti arrabbiare.»
«Se mi chiami ancora così, mi arrabbio di
sicuro.»
«Ok, non ti chiamerò più cos…»
Yui non poté finire la frase, che un boato
assordante provenne dal sottosuolo. La terra
iniziò a tremare, la crosta si ruppe e dalla ferita
un mostro gigantesco si presentò davanti ai due.
Era alto circa 3 metri, di colore marrone,
circondato da una strana energia luminosa.
Un grido potente e baritonale venne emesso dal
golem.
«È lui!» gridò Shin, anche se la sua voce non
poteva sorpassare il rumore del mostro.
«E adesso che facciamo Shic… Signor Shin?»
sussurrò Yui vicino al suo orecchio. «Hai già un
piano?»
[Combat Mode]
Shin, incurante delle dimensioni della creatura
sfoderò la spada appena presa nel negozio
d’armi, colpendo in affondo una gamba del
golem. È vero che l’acqua pura è un isolante
perfetto ma tende a ionizzare facilmente, quindi
l’elettricità della barriera folgorò il ragazzo che
venne scaraventato a metri di distanza.
[Damage 750 HP]
«Shin!» gridò Yui correndo vicino al corpo in fin
di vita del ragazzo.
«Te lo avevo detto che l’acqua conduceva, ma
non mi hai dato ascolto.»
«Hai ragione…»
Il mostro stava per sferrare un pugno nella sua
direzione, quando Yui si mise in mezzo.
[Party Member Yui Died]
Era lì, vicino a lui. Il corpo morto di Yui adagiato
a terra. Shin stava perdendo la cognizione di
cosa è vero e cosa è falso, andando a pensare
che quello era il vero corpo di quella ragazza
così solare, e non solo un insieme di dati digitali.
Anche lui era vicino alla morte, e la visione si era
fatta rossa.
[Berserk]
La visione divenne viola, ma il golem non
rallentava, anzi sopra il suo nome apparve la
scritta ‘Berserk Immunity’.
«Cazzo.»
Abbiamo fallito, a questo punto non so più che
cosa fare…
Senza pensare molto, Shin a distanza di alcuni
metri scagliò la lama che si conficcò nello
stomaco del mostro.
L’elettricità che circondava il golem ora era
in circolo nel corpo del mob, che rantolava
implodendo.
[Combat Mode End]
«Ho vendicato la tua morte.»
«La morte di chi?»
«Di una rompipalle che era appena diventata
una mia amica.»
«Ohh! È bello avere degli amici.»
«Già…»
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Finalmente Shin si accorse che la voce che
sentiva era reale e non solo frutto della sua
immaginazione.
Si voltò, e la vide in piedi, con quelle tette
talmente grandi da rimbalzare come in un
manga.
«Ma tu non eri morta?»
Lei sorrise, portò le mani dietro la schiena e
inclinò leggermente il capo.
«Io non posso essere uccisa in un colpo, quando
il mostro mi ha attaccata sono rimasta con un
HP, ho utilizzato l’unica mia skill ‘Trick Dead’. Con
quella risulto morta per tutti, ma nel frattempo
recupero vita. Me lo dicesti tu, questo è solo un
gioco, mica sono morta nella realtà.»
Ritornarono insieme per la via che avevano
percorso all’inizio, e parlarono di nuovo con gli
NPC per il cambio classe.
«Congratulazioni, ora sei un Knight.»
Una frase molto simile fu detta pure per Yui.
«Congratulazioni, ora sei una Priestess.»
Sopra le loro teste apparvero lucine e fuochi
d’artificio che si mischiarono creando due figure
distinte. Su di lui apparvero uno scudo e una
spada, mentre su Yui una croce.
I vestiti dei due si modificarono. Shin si ritrovò
ad indossare una cotta di maglia con dei pezzi
di armatura su spalle, pettorali e gambe. Lo
spadone mutò invece in una specie di fioretto
impugnato a sinistra, mentre l’avambraccio
destro era protetto da un piccolo scudo in
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legno. Yui, invece, indossava sempre un
vestito sgambato color pesca, ma con la parte
davanti corta, due calze bianche, tacchi a
spillo e una scollatura che lasciava ben poco
all’immaginazione.
Shin arrossì mentre Yui portò il braccio ai
seni come per coprire lo sguardo malizioso del
ragazzo.
«Non guardare Shicchan!»
«Ancora mi chiami così? Fai come vuoi.» sorrise
guardando ancora più attentamente la sua
figura.
Lei arrossendo:
«Dai, non guardarmi!»
«Non è colpa mia, è una cosa normale che le
ragazze in questi giochi abbiano vestiti simili.»
Yui aggrottò le sopracciglia guardando Shin
come per dire ‘Se mi guardi ancora con quegli
occhi non ti parlo più’.
«Tieni.» disse Shin. «Ti ho inviato la richiesta di
amicizia.»
Lei senza pensarci due volte accettò.
Dopo un po’ di auguri da parte di altri giocatori,
Shin decise che per lui era il momento di
scollegarsi. Guardò Yui che si era nel mentre
seduta vicino ad un pruno.
«Io me ne vado, ci vediamo.»
«Ok, io rimango fino a quando mi addormento,
non sloggo quasi mai da Zero.»
«Va bene, se è quello che vuoi, ciao.»
Shin alzò la mano per salutarla, ma lei era
immersa nel suo libro dalla copertina in pelle.
[Logout]
«Che strana ragazza, chissà come mai non esce
dal gioco.» fece un lieve sorriso. «È strano, non
vedo l’ora di rivederla e potermi divertire ancora
come oggi.»
Detto ciò staccò gli elettrodi, chiuse gli occhi e si
addormentò.
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[Fine]
Fine di Mangakugan Light n°2!
Come vi è sembrato? Il forum attende le vostre
opinioni, quindi entrate e commentate!
Persone che hanno contribuito alla realizzazione
di questa rivista:
Grafica e impaginazione
Elena Toma
Thomas Lucking
Correzione bozze
Thomas Lucking
Autori e illustratori novel
Thomas Lucking: Energheia - Power Master
Elena Toma (illustrazioni): Energheia - Power Master
Kya: Nightfall
Mega-Ne: VVNN
Demon: Last 0
Autori mini-manga
Mattia Lunardi: Bakaman
Design mascotte Futari
Kya
Arrivederci al prossimo
numero!
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