Interconnessione e competizione nella rete Internet
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Interconnessione e competizione nella rete Internet
Interconnessione e competizione nella rete Internet° Carlo Cambini Dipartimento di sistemi di produzione ed economia dell’azienda Politecnico di Torino Roberto Roson Dipartimento di Scienze Economiche Università Ca’Foscari di Venezia 1. Introduzione Il tumultuoso sviluppo della rete Internet ha portato con sé la nascita di nuovi servizi, di nuove forme organizzative e quindi anche di nuove problematiche di competizione e regolamentazione dei mercati. Nata come rete informativa militare, Internet è stata successivamente applicata al mondo della ricerca e dell’università, utilizzando infrastrutture che per lungo tempo hanno mantenuto caratteristiche di bene pubblico. A partire dalla metà degli anni Novanta, la gestione delle infrastrutture di rete è stata deregolamentata ed ora le diverse reti che compongono Internet sono autonomamente amministrate da aziende ed organizzazioni, in maniera non dissimile da quanto avviene per altre reti di telecomunicazione. Non bisogna dimenticare, però, che il fattore chiave del successo di Internet è stata la sua struttura aperta, basata su principi di cooperazione e “interoperarabilità” tra reti eterogenee. Fino a che punto aziende potenzialmente concorrenti, ognuna proprietaria di un segmento della rete globale, possono garantire quel livello di connettività che è stato l’elemento caratterizzante della rete, in un primo tempo assicurato dai gestori “no-profit” delle infrastrutture? Attualmente i principali collegamenti internazionali ad alta velocità (i cosiddetti backbones) sono controllati da un numero limitato di grandi operatori, in un mercato essenzialmente oligopolistico. Le problematiche di questo mercato sono emerse particolarmente in occasione di un caso antitrust, relativo alla fusione MCI- ° Questo lavoro è stato concepito e sviluppato congiuntamente dai due autori. Tuttavia, Cambini ha curato particolarmente le sezioni 3 e 4, e l’appendice, mentre Roson ha contribuito maggiormente alle sezioni 1, 2, 5 e 6. 1 Worldcom, in cui il Dipartimento di giustizia americano e la Commissione Europea hanno imposto lo scorporo e la vendita di infrastrutture backbone. Con il progressivo abbandono di formule di cooperazione mutualistica tra operatori di pari livello, si sta assistendo all’introduzione di formule commerciali più sofisticate, che riguardano non solo aspetti monetari, ma anche diversi elementi di qualità delle comunicazioni. Questo solleva questioni del tutto nuove, che vengono correntemente analizzate sia a livello pratico che teorico. In questo lavoro intendiamo proporre una panoramica delle questioni aperte e dei modelli economici proposti in letteratura, concentrando l’attenzione sulla competizione per l’uso delle infrastrutture della rete Internet. Si tralasceranno quindi aspetti relativi ai servizi disponibili in rete (portali, motori di ricerca, commercio elettronico, …) e connessi all’accesso all’utente finale. Nella sezione che segue verranno riassunti i principi tecnici che regolano l’interconnessione tra reti in Internet e la scelta del percorso nella trasmissione dei dati (routing), presentando anche le forme tipiche di transazione per i servizi di accesso alle infrastrutture. Le implicazioni economiche degli accordi d’interconnessione saranno discusse brevemente, richiamando alcuni modelli che sono stati recentemente proposti in letteratura. Successivamente, si discuteranno alcune tipologie di comportamento anti-competitivo che sono legate agli accordi d’interconnessione. Due ulteriori sezioni saranno dedicate alle problematiche dell’interconnessione internazionale ed ai legami tra connettività e qualità dei servizi, con particolare riferimento ai nuovi standard proposti per differenziare i servizi offerti in rete. Infine, alcune considerazioni finali verranno tratte in una sezione conclusiva. Una appendice conterrà invece alcuni dati, utili ad inquadrare la situazione del mercato europeo delle infrastrutture Internet. 2. Routing ed interconnessione: principi tecnici ed economici Tutte le informazioni che sono scambiate su Internet assumono la forma di files digitali, suddivisi in un certo numero di “pacchetti”. Questi pacchetti vengono instradati autonomamente nella rete, da un computer trasmittente ad un computer ricevente, e ricomposti in un unico file a destinazione. Il percorso effettuato non è predefinito, ma dipende dallo stato della rete, ovvero dalla disponibilità di collegamenti e dal livello di congestione. Questo permette di utilizzare la rete anche in 2 presenza di interruzioni su particolari segmenti (una caratteristica, questa, che deriva dalle sue origini militari). Il lavoro di instradamento (routing) è effettuato da computers specificatamente dedicati (routers) presenti nelle diverse reti locali (LAN). Questi, oltre ad inviare i diversi pacchetti, comunicano tra loro per condividere informazioni sullo stato della rete. Il routing implica due attività di base: la determinazione dei percorsi ottimali ed il trasporto delle informazioni (switching). La prima attività viene effettuata associando ai percorsi alternativi disponibili una metrica, ovvero un indice di costo (lunghezza del collegamento, numero di nodi intermedi da attraversare, costo economico, ecc.). A questo fine, gli algoritmi di routing mantengono apposite “tabelle di routing”, il cui esatto contenuto dipende dall’algoritmo utilizzato. I pacchetti da inviare contengono una sorta di intestazione (header) dove sono contenuti gli indirizzi IP del mittente e del ricevente. Questi sono sequenze di numeri (ad esempio: 157.138.30.227) che identificano univocamente ogni singolo computer collegato ad Internet1. I numeri forniscono informazioni relative all’area geografica dove si trova il nodo; quindi ogni router, pur non sapendo dove si trovi (e se effettivamente esista) un dato nodo terminale può inoltrare il pacchetto ad un router che gestisce un determinato sotto-insieme di indirizzi. Le tabelle possono anche contenere altre informazioni, come dati sulla desiderabilità di un certo percorso. Inoltre, le tabelle vengono modificate a seguito di messaggi che i routers si scambiano. Un messaggio di routing update consiste in porzioni della tabella di routing, mentre un messaggio link-state advertisement informa i routers sullo stato di un certo collegamento. Sia tabelle che algoritmi di routing possono essere più o meno complessi, ed esiste un trade-off tra grado di ottimalità dei percorsi selezionati e complessità computazionale. Il percorso realizzato da un pacchetto si realizza attraverso una serie di salti (hop) tra routers, senza che il singolo router sia costretto a mantenere una mappa completa della rete. Ad esempio, il primo router verifica innanzitutto se l’indirizzo non appartenga alla propria rete locale. In caso negativo, “passa” il pacchetto ad un gestore di rete di livello superiore (ad esempio, nazionale), oppure comunica 1 Ogni gestore di rete locale dispone di una numerazione assegnabile ai computer collegati. Quando un utente si collega tramite modem, viene tipicamente assegnato un indirizzo temporaneo che rimane valido per tutta la durata del collegamento. 3 direttamente con un’altra rete locale. Il gestore nazionale, a sua volta, passa il pacchetto ad un gestore di pari livello o ad un gestore internazionale. Infine, il pacchetto “scende” dai gestori di livello superiore a quelli inferiori, sino a raggiungere la rete locale di destinazione. E’ anche possibile che un router non sappia come instradare un certo pacchetto. Questo può verificarsi quando un determinato indirizzo è inesistente, oppure quando un collegamento non è disponibile, ad esempio perché congestionato. In questi casi generalmente il pacchetto è eliminato (drop). Il router che l’aveva inviato in precedenza, non ricevendo conferma del successivo inoltro, può reinviare il pacchetto (eventualmente ad un altro nodo), o svolgere altri tipi di azione. Si può dire, pertanto, che Internet possieda una struttura tendenzialmente gerarchica, dove operano a medio e basso livello gli ISP (Internet service provider), e ad alto livello gli IBP (Internet backbone provider). Questi ultimi sono operatori che gestiscono collegamenti internazionali ad alta velocità ed elevata larghezza di banda, realizzati generalmente con appositi cavi in fibra ottica. La figura 1 illustra un esempio di rete backbone in Europa. Figura 1 – La struttura di una rete backbone in Europa. In realtà, non è sempre possibile tracciare una chiara linea di demarcazione tra ISPs e IBPs, né in termini di mezzo trasmissivo utilizzato (esistono anche collegamenti locali 4 a banda larga) né in termini di copertura geografica (alcuni grandi operatori operano anche localmente, ed offrono servizi Internet integrati – vedi appendice). Inoltre il meccanismo gerarchico non è rigido, in quanto per costruzione la rete Internet permette l’esistenza di percorsi alternativi (se la rete avesse una struttura “ad albero” vi sarebbe sempre un unico percorso che collega due nodi). I punti di interconnessione tra reti possono essere di tipo multiplo o bilaterale. Nel primo caso diverse reti convergono in un nodo centrale di scambio (come nei Network Access Points – NAP). Si tratta del modello di interconnessione storico di Internet, prevalente nel periodo in cui i partecipanti erano costituiti da organizzazioni governative, enti di ricerca e no-profit. Un esempio tipico è rappresentato dal FIX, (Federal Internet Exchange) uno dei principali nodi di scambio tra dorsali negli Stati Uniti, che mette in comunicazione gran parte degli enti governativi (Ministero dell’energia, NASA). Questa tipologia di accordo diviene molto più difficile da sostenere in un ambiente competitivo, per la difficoltà da parte di ciascun operatore di vincolarsi credibilmente al rispetto dei termini stabiliti. Questo ha fatto sì che, sempre più frequentemente, la gestione del nodo d’interscambio passi nelle mani di un amministratore indipendente, che provvede a regolare e scambiare i flussi di traffico, previo pagamento di una quota associativa da parte dei singoli membri. L’aumento delle reti collegate ha tuttavia indotto crescenti costi di coordinamento e fenomeni sempre più frequenti di congestione nel nodo centrale, per cui la tendenza attuale è quella di sostituire interconnessioni multiple con altre di tipo bilaterale, nelle quali due reti realizzano semplicemente un contatto diretto. A loro volta, i collegamenti bilaterali possono essere di tipo verticale o gerarchico, coinvolgendo reti di diverso livello (ad esempio, un ISP ed un backbone), o di tipo orizzontale, tra operatori di pari livello. Nel primo caso si realizza una relazione di tipo client, attraverso la quale un operatore accede ad un livello superiore di copertura. Ciò implica un pagamento che viene generalmente effettuato sotto forma di canone, proporzionale alla larghezza di banda richiesta. Nel secondo caso sono coinvolti due ISP di pari livello o due backbones, e la forma tipica di transazione è quella peer-to-peer (denominata anche bill and keep o sender keeps all), che prevede semplicemente l’obbligo di terminare sulla propria rete le comunicazioni che coinvolgono propri clienti, senza richiesta di alcun compenso. 5 Vale la pena di soffermarsi brevemente sulle implicazioni economiche di questo tipo di accordi che, come si vedrà più in dettaglio nella prossima sezione, sono stati messi recentemente in discussione da alcuni grandi operatori IBP. Si consideri un semplice caso in cui due utenti collegati a reti differenti, interconnesse tra loro in modalità peering. Lo scambio di informazioni implica l’ottenimento di benefici (che riguardano chi invia e chi riceve) e di costi (generati nelle due reti in base al percorso seguito dai pacchetti). In virtù dell’accordo di peering, la rete ricevente non può recuperare i costi di terminazione applicando tariffe di accesso all’altra rete, e può solo rivalersi sul proprio cliente. Quindi, un interscambio d’informazioni genera costi che vengono indirettamente a cadere sia su chi invia sia su chi riceve. Si osservi come questo schema differisca dal tradizionale principio del caller pays, prevalente ad esempio nella telefonia, dove è chi genera il messaggio a dover pagare. Nella misura in cui lo scambio effettivamente genera vantaggi per entrambe le parti, un accordo di peering potrebbe risultare relativamente efficiente, anche perché elimina costi di transazione tra i gestori di rete. L’ipotesi di vantaggi reciproci è giustificata in Internet dalla presenza di clienti eterogenei ed asimmetrici in termini di flussi di traffico. La maggior parte degli utenti finali, infatti, appartengono attualmente a due categorie: siti Web e persone fisiche. Nel caso dei siti, la maggior parte del traffico è in uscita (pagine visitate, downloads) e diretto a clienti che ricevono molti pacchetti e ne inviano pochi. In questo caso, una parte rilevante dei benefici del collegamento riguarda chi riceve i files, e quindi può essere efficiente far ricadere parte dei costi sul ricevente. Le modalità di ripartizione dei costi risentono comunque del percorso scelto per inoltrare i pacchetti, specialmente quando due reti dispongono di più punti d’interconnessione. La rete inviante, infatti, ha incentivo a disfarsi il prima possibile di ogni pacchetto inviato, collocandolo nella rete ricevente (c.d. meccanismo dell’hot potato). Questa situazione è visualizzata graficamente in figura 2, nella quale si può vedere come pacchetti inviati e pacchetti ricevuti possano seguire percorsi differenti (in cui tendenzialmente un costo più elevato è imputato alla parte ricevente). 6 Rete A Cliente B Cliente A Rete B Figura 2 – Percorsi dei pacchetti in due reti con due punti di interconnessione In ogni caso, non è detto che la ripartizione dei costi che si realizza in un accordo peering rifletta l’esatta ripartizione dei benefici e delle esternalità di rete, soprattutto quando le reti connesse differiscono in termini di base installata (Wright (2001)). E’ evidente, infatti, che i benefici della connettività dipendono dal numero di utenti collegati, e nel collegamento tra reti di dimensione differente sono soprattutto i clienti della rete più piccola ad ottenere i maggiori vantaggi. Crèmer, Rey e Tirole (2000) hanno sviluppato, ispirandosi al noto lavoro di Katz e Shapiro (1985), un modello che dimostra come, in un accordo di peering, possano sorgere incentivi a degradare la qualità dell’interconnessione, quando le reti sono di dimensioni differenti. Infatti, in una interconnessione è necessario stabilire la capacità dei collegamenti e dei routers messi in comune. Un mancato adeguamento della capacità può portare a fenomeni di congestione frequenti, rendendo più difficoltoso raggiungere utenti non collegati alla propria rete. Immaginando che le reti competano solo per l’acquisizione di nuovi clienti, questi autori dimostrano formalmente che la rete con una maggior base installata iniziale preferisce una qualità d’interconnessione inferiore. Infatti, peggiorando la qualità della connessione si ottengono due effetti, che sono di segno opposto per la rete maggiore: (1) una riduzione delle esternalità positive di rete, ma (2) un maggior grado di differenziazione rispetto alla rete concorrente. Se il secondo effetto prevale, vi sarà la tendenza a degradare la qualità dell’interconnessione, potendo questa, in specifiche circostanze, anche cessare del tutto. Partendo da ipotesi differenti, Foros e Hansen (2001) presentano un modello in cui le esternalità di rete conducono tuttavia a risultati opposti. Essi immaginano un meccanismo di competizione tra reti in due stadi, in cui viene dapprima scelta la 7 qualità dell’interconnessione e successivamente si compete sui prezzi in un mercato di servizi differenziati (alla Hotelling). Viene dimostrato che i gestori di rete possono in questo caso ridurre la pressione competitiva (nel secondo stadio) migliorando la qualità dell’interfaccia tra le reti. Attualmente non si è ancora affermata una convenzione diffusa in base alla quale stabilire quando e come due reti dovrebbero decidere per un accordo di interconnessione reciproca. Accanto a molteplici tipologie di accordi, vi sono anche una pluralità di fattori, quali diversi indicatori sulle dimensioni delle reti, estensione geografica, ampiezza di banda, volumi di traffico, numero di utenti. Il termine peering suggerisce il concetto di uguaglianza, ma è molto improbabile che più operatori possano non solo essere ritenuti simili, ma spesso addirittura confrontabili sull’intera gamma di parametri individuati (Gorman e Malecki (2000)). Data la difficoltà di trarre un giudizio, alcuni degli stessi operatori (ad es. Huston (1999)) hanno proposto di valutare le strategie di interconnessione da un punto di vista soggettivo. In sostanza l’accordo di peering risulta da una pratica di negoziazioni commerciali; ciascun operatore basa le proprie decisioni su come, dove e se stringere un particolare accordo d’interconnessione, sulla base dei rispettivi costi e benefici. 3. Interconnessione e comportamenti anti-competitivi Più di un analista del settore ha osservato che il sistema degli accordi privati che si sta sviluppando darebbe la possibilità agli operatori di maggiori dimensioni di comportarsi in maniera anticompetitiva, escludendo le reti più piccole da tali accordi e, di conseguenza, determinando un aumento dei prezzi per l’interconnessione. Nel 1997, ad esempio, UUNET seguita da altri grandi backbones, ha annunciato la propria intenzione di porre fine agli accordi di peering, fino a quel momento sottoscritti con alcuni operatori di più piccole dimensioni, rinegoziandoli in termini onerosi, sotto forma di accordi di transit.2 Altri casi analoghi sono rappresentati dall’annuncio, da parte di Genuity, nel 19983, di non intrattenere più rapporti di 2 Dal momento che i termini degli accordi di interconnessione sono generalmente mantenuti a livello confidenziale tra gli attori stessi, è difficile valutare in che misura le dichiarazioni si siano poi tradotte in fatti concreti. 3 Fonte: “Service Providers Still in Peering Dither”, InternetWeek, 1998 disponibile sul sito http://www.internetwk.com/news0898. 8 peering privato con Exodus Communications, decisione assunta anche da PSINet, più recentemente4. Nel corso del dibattimento, tenutosi nel marzo 2000 presso la Federal Communications Commission (FCC), riguardante il rifiuto da parte di Sprint di offrire un accordo di peering a Level 3, la posizione assunta da quest’ultima è stata quella di sostenere la non legittimità del rifiuto sulla base delle regole economiche che governano un mercato concorrenziale. Gli effetti di un rifiuto di stringere accordi di peering dipendono strettamente dal grado di competitività del mercato. Un’importante indicatore di tale livello è costituito dall’esistenza o meno di barriere all’ingresso di nuovi potenziali concorrenti e dalla possibilità per i soggetti già esistenti di espandersi e contrastare, in tale modo, il potere di mercato delle imprese più grandi. In particolare, per quanto riguarda il mercato dei backbone providers, la possibilità di entrare o espandersi è strettamente collegata alla necessità d’interconnessione con le reti esistenti, per permettere ai propri utenti di scambiare traffico con altri utenti già connessi. In un mercato competitivo, vi può essere più di una legittima ragione che spinge un backbone a rifiutare un accordo di peering. Questo rifiuto non necessariamente costituisce una barriera all’ingresso se accordi di transit risultano disponibili su base competitiva, permettendo a nuovi soggetti di affacciarsi sul mercato, garantendone così la contendibilità. La prima ragione che potrebbe spingere un backbone a rifiutare l’accordo di peering è costituita dal timore di offrire l’opportunità, ad un secondo operatore, di sfruttare i propri investimenti in infrastrutture ad un costo nullo. Tale fenomeno è noto come backbone free-riding. La figura 3 illustra schematicamente un esempio di questo comportamento: sull’operatore B, un backbone nazionale, grava l’onere di costruire e mantenere una rete estesa, tale da connettere le diverse regioni, a differenza di quanto accade per l’operatore locale A. Quest’ultimo, però, grazie agli accordi di interconnessione, riesce a garantirsi il trasporto dei pacchetti di traffico, generati o rivolti ai propri utenti, sull’intero territorio. 4 Washington Business Journal, giugno 2000: “Peer Pressure: Dissolution of PSINet, Exodus Network Sharing Agreement…”. 9 Backbone A ISP X Costa Est Costa Ovest ISP Y Backbone B Richiesta Risposta Figura 3 – Backbone free riding Come risultato di simili considerazioni, un numero sempre più crescente di IBP richiede che i partner di peering siano in grado di garantire l’interconnessione in più punti, geograficamente dispersi sul territorio. Per esempio nel documento diffuso da UUNET, riguardante le politiche di peering nel Nord America, emerge la richiesta che i candidati all’interconnessione incontrino la rete di UUNET in almeno quattro diverse località degli Stati Uniti, di cui, necessariamente, almeno una sulla costa Est ed una su quella Ovest. Oltre alle dimensioni, anche la tipologia di utenti serviti, a causa del meccanismo di instradamento “hot-potato”, può condurre a fenomeni di free-riding, come conseguenza della decisione da parte di alcuni backbones di specializzarsi nella fornitura di alcuni servizi, come i siti dei content providers. Alla base del fenomeno, in questo caso, vi è lo sbilanciamento del traffico tra le reti. E’ già stato osservato che i contenuti di una pagina Web implicano l’invio di un maggior numero di pacchetti rispetto alla richiesta inviata per accedere ai contenuti del sito: per questa ragione spesso i backbones rifiutano, come partner di peering, operatori che ospitano elevate proporzioni di content providers, sulla base della motivazione che essi sarebbero costretti ad investire in una maggiore capacità di banda, pena la congestione, a tutto vantaggio di chi detiene i contenuti. 10 In un mercato competitivo, il rifiuto di stringere accordi di peering, dettato dalla volontà di evitare comportamenti opportunistici, non necessariamente porta a risultati anticoncorrenziali; può anzi costituire un incentivo per i backbones più piccoli ad investire in infrastrutture o competere per un mix più variegato di utenti, nella prospettiva di raggiungere i requisiti richiesti per l’interconnessione. Il risultato sarebbe un incremento del numero di operatori IBP che si contendono il mercato nazionale e internazionale. Più problematiche per il mantenimento di uno stato di competitività del mercato sono invece altre due ragioni, che spesso inducono i backbones più grandi a non offrire accordi di peering nei confronti dei concorrenti di minori dimensioni. La prima è nota come business-stealing effect e riguarda il caso di un utente connesso ad una grande rete, a cui risultino connessi anche i fornitori dei contenuti di suo maggior interesse. Per gran parte dell’utilizzo di Internet, l’utente potrà godere di una buona qualità dei collegamenti; passando invece ad una rete più piccola, che risulti più economica, ma che non sia direttamente connessa con la rete precedente, l’utente dovrà accettare tempi di attesa più lunghi. Un accordo di peering tra le due reti avrebbe l’effetto di fare cadere una simile barriera, rendendo le risorse disponibili in eguale misura sulle due reti. L’operatore dominante ha allora forti incentivi a rifiutare accordi di peering con potenziali concorrenti in modo da mantenere alti gli switching costs, riducendo le possibilità di migrare verso operatori capaci di offrire tariffe migliori. La seconda situazione, divenuta ricorrente, è il rifiuto dell’accordo di peering nei confronti degli operatori con una ristretta base di utenza.5 La motivazione addotta è rappresentata dalla difficoltà e dai costi necessari per allocare risorse a potenziali partner con bassi volumi di traffico correnti e dallo sviluppo futuro incerto. Questo fatto può però ingenerare, per i potenziali nuovi entranti sul mercato, un circolo vizioso difficile da spezzare: senza un elevato numero di utenti che generino traffico è loro impedito di stringere accordi di peering con gli operatori più grandi, ma in mancanza di tali accordi, risulta difficile raggiungere la massa critica di utenti necessaria per qualificarsi. 5 Le politiche di peering rese pubbliche da UUNET, Sprint e Genuity, contengono tutte la richiesta che i candidati all’interconnessione siano in grado di garantire un certo ammontare di traffico. 11 Per valutare correttamente la portata degli effetti di questi comportamenti è importante distinguere, a livello concettuale, il rifiuto dell’accordo di peering dal rifiuto di interconnessione tout-court. Nel primo caso, infatti, al posto dell’accordo di peering, i grandi IBP possono offrire ai concorrenti contratti di transit. Dal momento che questi ultimi non implicano la fornitura degli stessi servizi contemplati dal peering, rifiutare quest’ultimo in favore dei primi non vuol dire semplicemente imporre una tariffa, per un servizio che altrimenti sarebbe offerto su base gratuita. Infatti, il contratto di transit offre l’accesso all’”intero” mondo Internet6 e non unicamente agli utenti del partner di peering. A tutto ciò si aggiunge il fattore qualità, che non risulta mai inferiore rispetto a quella ottenibile con un accordo di peering. 4. Problematiche dell’interconnessione internazionale Alcuni operatori non statunitensi, principalmente appartenenti all’area asiatica e del sud Pacifico, hanno sollevato una serie di obiezioni ai vigenti accordi di interconnessione internazionale (ICAIS7), ritenuti non equi. Gli accordi prevedono che l’intero costo dei collegamenti internazionali sia posto a carico di un solo operatore; tuttavia, dal momento che il flusso di traffico dagli Stati Uniti verso i circuiti internazionali è in continua crescita, gli operatori non statunitensi rivendicano come inique le condizioni di tariffazione, che pongono a loro carico l’intero costo dell’interconnessione. Questi ultimi propongono quindi l’adozione di soluzioni affini a quelle emerse nel campo dei circuiti internazionali per il traffico voce, in base alle quali i costi vengono spartiti tra gli operatori attivi alle due estremità del canale comunicativo. Gli accordi d’interconnessione internazionale nel campo della telefonia prendono origine dalle consuetudini commerciali tra gli operatori monopolisti nazionali, per le chiamate dirette verso stati diversi da quello di appartenenza. Sino a pochi anni fa i monopolisti nazionali nel campo delle telecomunicazioni non avevano la possibilità di 6 La situazione risulta in realtà più complessa e non esiste nessun punto di interconnessione al mondo (NAP, CIX, MAE, etc…) che permetta da solo di raggiungere tutti i 27.000 Autonomous System (AS) registrati. Un Autonomous System è una rete o un insieme di reti gestita come singola entità dal protocollo di routine BPG4, utilizzato da Internet. I dati disponibili sul sito http://www.cix.org dicono che il CIX “vede” circa 15.000 AS, mentre dal NAP di Palo Alto ne sono raggiungibili 19.000. 7 International Charging Arrangements for Internet Services 12 entrare in mercati stranieri per terminare le chiamate di cui erano responsabili8, né potevano rivolgersi, su base concorrenziale, ad operatori diversi dall’operatore incumbent di ogni nazione. Come conseguenza, il completamento di una chiamata internazionale necessitava il coinvolgimento di entrambi gli operatori ai due capi del circuito. Il sistema di tariffazione prevedeva quindi un pagamento rivolto a remunerare l’operatore di terminazione nel paese di destinazione. Al contrario, Internet non è mai risultata soggetta a nessuna forma di regolamentazione internazionale, anche come conseguenza del fatto che, storicamente, il flusso di traffico si è sempre servito di linee non soggette ad alcun piano tariffario. Le obiezioni mosse dagli operatori asiatici e del sud Pacifico si basano quasi esclusivamente su considerazioni relative al traffico relativo tra gli Stati Uniti ed altri paesi.9 Tuttavia, i flussi di traffico non sono un buon indicatore dei benefici relativi che scaturiscono da un’interconnessione Internet: a differenza di quanto accade in una chiamata telefonica, risulta impossibile determinare chi, in origine, abbia generato una data trasmissione. Per esempio, un pacchetto diretto dagli Stati Uniti al Giappone potrebbe essere parte di un’e-mail spedita da un utente negli Stati Uniti, come pure una pagina Web, inviata in risposta ad una richiesta di un utente giapponese. La conseguenza è che non appare immediatamente evidente a chi spetti pagare il costo della trasmissione. In aggiunta, nel caso di una pagina Web, si potrebbe ancora discutere quale delle due parti riceva maggiori benefici, se l’utente che ne fa richiesta 8 Il primo passo verso la liberalizzazione del mercato si è avuta nel 1998 con la firma del World Trade Organization Agreement on Basic Telecommunications Services, con cui si è conferito libero accesso agli operatori stranieri su oltre il 90% dei mercati nazionali di telefonia fissa. 9 Telstra, un carrier australiano nazionale e internazionale, ha recentemente affermato che “nonostante i carrier statunitensi insistano per il pagamento da parte degli operatori stranieri del 100% del costo del link internazionale, oltre il 30% del flusso di informazioni viaggianti tra Stati Uniti e Australia è in realtà diretto verso il primo Paese, in conseguenza di contenuti richiesti da utenti Internet statunitensi.” Dal momento che Telstra paga per l’intera connessione tra Stati Uniti e Australia, essa ritiene di sussidiare a tutti gli effetti i carrier e gli ISP americani, nel momento in cui i loro utenti accedono a contenuti australiani. A fine 1999, Telstra ha stimato in 175 milioni di dollari i costi patiti dagli ISP australiani per sostenere la fornitura dei servizi Internet da parte dei provider USA ai loro stessi utenti. Fonte Telstra Press Release in http://www.telstra.com.au. 13 o il fornitore di contenuti che mette a disposizione le informazioni e riceve in cambio visibilità.10 Nel caso specifico, un’ulteriore complicazione è costituita da fatto che gli USA agiscono come punto di raccolta e di scambio per il traffico interno all’area asiatica e del sud Pacifico. Di conseguenza parte del traffico, effettivamente rilevato come fluente verso gli Stati Uniti, in realtà ritorna immediatamente verso un’altra regione dell’Asia e non rappresenta un beneficio per il quale utenti statunitensi debbano essere chiamati a pagare. Lo sviluppo di nuove applicazioni, e livelli di domanda crescenti per contenuti locali, potrebbero creare le condizioni per un traffico più bilanciato tra l’area del Pacifico e il resto del mondo. Attualmente l’attrattiva dei contenuti ospitati da server nordamericani pone gli ISP asiatici nella condizione di dover fronteggiare una curva di domanda fortemente inelastica. Migliori condizioni di interconnessione potranno essere raggiunte solo quando i flussi di traffico entrante ed uscente tenderanno alla parità. Per quanto possa sembrare anomalo, gli ISP non nordamericani incorrono attualmente in una penalità di costo nel momento in cui vogliano collocare i contenuti più vicino ai propri sottoscrittori. Infatti, nonostante il gravoso fardello costituito dalla necessità di sostenere unilateralmente il costo del collegamento con il Nord America, questa modalità di routing offre generalmente un risparmio rispetto a collegamenti diretti all’interno della stessa regione. Un recente articolo11 riporta che un content provider australiano sceglie attualmente di collocare i propri siti negli Stati Uniti, in quanto questo comporta una riduzione dei costi del 40%. Le ragioni degli svantaggi di costo rilevati nelle economie asiatiche sono molteplici: sicuramente la presenza di economie di scala e di scopo, di cui possono godere gli operatori nordamericani, giocano un ruolo importante. Non bisogna però trascurare 10 Nel mondo di Internet mancano meccanismi espliciti di tariffazione, tipici della telefonia vocale, attraverso cui porre i costi a carico dell’utente con la maggiore disponibilità a pagare. Nel campo della telefonia, se è vero che generalmente è la parte chiamante che paga, esistono però sistemi alternativi: chiamate a carico del destinatario oppure numeri gratuiti (numerazione 800) attraverso cui il chiamato accetta, in anticipo, di farsi carico degli interi costi delle chiamate ricevute. 11 Stewart Taggart “Fed Up Down Under” The Industry Standard, N° 5, febbraio 2000. 14 l’importanza di elementi strutturali dell’economia asiatica, quali le politiche di prezzo adottate per l’accesso al local loop e l’inferiore grado di competizione del mercato. Accanto alle iniziative di coordinamento intraprese dai singoli operatori sul mercato, si pone una soluzione che vede il deferimento della questione al giudizio di un forum multilaterale. La natura sovranazionale del problema fa nascere la delicata questione di quale organismo internazionale possa annoverare tra i propri compiti statutari la risoluzione di una simile controversia. Questo ente dovrebbe disporre di mezzi e risorse per acquisire le informazioni necessarie e la forza per imporre e controllare il successivo adempimento di un’eventuale delibera. Allo stato attuale dei fatti non si è ancora delineata la figura di un’Authority internazionale: organismi come l’International Telecommunication Union (ITU), nato prevalentemente per la definizione di standard e di procedure comuni nel mondo delle telecomunicazioni, e la World Trade Organisation (WTO), deputata a regolamentare e dirimere le controversie relative al commercio internazionale, non hanno ancora assunto la materia all’interno delle proprie agende di discussione. 5. Interconnessione, qualità ed innovazione nei servizi Il successo di Internet è strettamente legato ai servizi che la rete offre. Le prime applicazioni (posta elettronica, trasferimento files) richiedevano relativamente poca capacità trasmissiva ed utilizzavano interfacce utenti basate sul testo. L’introduzione dei browsers, ad interfaccia grafica, ha poi dato origine al fenomeno del World Wide Web. I benefici offerti da Internet in termini di interoperabilità ed esternalità di rete hanno spinto gli sviluppatori di applicazioni a tentare di creare nuovi mercati e servizi, sebbene la struttura tecnica della rete non sia intrinsecamente adatta a supportare questi servizi. Applicazioni come streaming audio e video, teleassistenza, telemedicina, videoconferenza, on-line gaming, ed altri, sono caratterizzati da un uso molto più spinto delle risorse e, soprattutto, da gradi diversi di tollerabilità a ritardi e perdita di pacchetti. I protocolli di routing attualmente utilizzati si rivelano poco adatti a gestire queste applicazioni, perché non prevedono un trattamento differenziato dei pacchetti in 15 termini di priorità12. Questo ha portato allo studio di nuove soluzioni basate su una diversificazione della Quality of Service (QoS). All’ampio dibattito che si è sviluppato (e non ancora concluso) su questi temi hanno contribuito sia tecnici che economisti. In particolare, MacKie-Mason e Varian (1995) hanno avanzato un’influente proposta per lo sviluppo di un modello innovativo, denominato smart market. Il loro lavoro ha contribuito ad una miglior conoscenza delle problematiche economiche legate all’utilizzo delle infrastrutture di rete, ma la loro proposta non è stata convertita in specifici protocolli. Approfondire i motivi per cui il modello di “smart market” non ha avuto implementazione aiuta a comprendere la particolare complessità delle tematiche QoS, e soprattutto come queste siano collegate al grado di connettività tra reti eterogenee che Internet è in grado di offrire. MacKie-Mason e Varian hanno proposto l’inserimento, nell’header dei pacchetti, di un campo addizionale contenente il valore massimo che l’utente è disposto a pagare per l’inoltro immediato del pacchetto. Questo valore verrebbe verosimilmente inserito in maniera automatica dalle applicazioni che hanno generato il file inviato. Ad esempio, un programma di posta elettronica inserirebbe un basso valore di priorità, in quanto l’inoltro immediato non è un requisito importante in questo caso. I diversi routers assegnerebbero la capacità trasmissiva disponibile selezionando i pacchetti a maggior valore dichiarato, richiedendo il pagamento del più basso tra i valori segnalati nei pacchetti effettivamente inviati. Quindi, si realizzerebbe automaticamente un’asta di tipo Vickrey. E’ noto che questo meccanismo fornisce i corretti incentivi per la rivelazione delle disponibilità a pagare, e che i prezzi di equilibrio forniscono segnali corretti per l’eventuale espansione della capacità dei collegamenti. Tuttavia, il processo di asta verrebbe svolto a livello di hop, cioè di collegamento intermedio, mentre la valutazione dell’utente è legata all’intero percorso che il pacchetto deve seguire. Idealmente, l’asta dovrebbe riguardare l’intero percorso, comprendente diversi routers e collegamenti intermedi, ma ciò richiederebbe un meccanismo di complessità enorme. Inoltre, i pacchetti che non venissero selezionati per l’inoltro immediato verrebbero comunque ritrasmessi in un secondo momento. 12 Sinora, l’unica risposta ai problemi di congestione è stata quella dell’eccesso di capacità di banda. Odlyzko (2000) riporta che i tassi medi di utilizzo della capacità nei collegamenti backbone sono nell’ordine del 10-15%. Questo non esclude il fatto che la rete Internet possa essere congestionata in alcune sue componenti. 16 Pertanto la valutazione associata a ciascun pacchetto dovrebbe riflettere la disutilità di un ritardo, la cui durata è sconosciuta sia all’utente che agli stessi routers. Sono attualmente allo studio altre proposte per gestire meccanismi QoS, che tentano un ragionevole compromesso tra efficienza economica e fattibilità tecnica (ad es. McKnight e Boroumand (2000)). Queste proposte, che non approfondiremo in questa sede, hanno un comune denominatore: la necessità di ricostruire (o stimare) il percorso che un pacchetto seguirà lungo la rete, per eventualmente riservare un certo livello di capacità trasmissiva lungo tutto il tragitto, compatibile con le caratteristiche del pacchetto stesso. E’ immediato notare come questo implichi un grado di cooperazione tra reti che non è richiesto dal meccanismo di routing decentrato, attualmente in essere. Come è stato messo in rilievo più volte nel corso di questo lavoro, sarà la struttura di mercato che emergerà nei servizi backbone a determinare il grado di compatibilità tra le reti. In assenza di una compatibilità sufficiente, potrebbe emergere un mercato duale dove, a fianco dei servizi Internet tradizionali disponibili universalmente, si affiancherebbero servizi avanzati disponibili solo all’interno di singole sotto-reti, eventualmente operanti con standard proprietari (Bar et al. (2000)).Paradossalmente, se da un lato è stata la globalità di Internet a stimolare la nascita di applicazioni, dall’altro potrebbe essere l’implementazione di alcune applicazioni a portare alla distruzione (parziale) delle stesse caratteristiche di universalità. 6. Conclusioni Internet rappresenta un ambiente complesso, dove i gestori delle infrastrutture competono su diverse dimensioni. Accanto al livello ed alla struttura delle tariffe, esistono altri strumenti strategici fondamentali: estensione e topologia delle reti, numero di punti di accesso, compatibilità hardware e software, grado d’integrazione tra i servizi offerti a vari livelli. Questo mondo ha ereditato, ed in parte sinora mantenuto, un modello basato su meccanismi di cooperazione che tuttavia sempre più spesso vengono messi in discussione. Se e quanto la competizione, in particolare nel mercato oligopolistico dei maggiori backbones, sia in grado di preservare le esternalità positive di rete che hanno caratterizzato l’affermazione di Internet, è un problema aperto. 17 Erroneamente molti ritengono che Internet sia un territorio nel quale esistono poche regole, e che questo sia la chiave del suo successo. In realtà, il mantenimento di un livello soddisfacente di compatibilità e universalità nell’accesso richiederanno un intervento regolatorio più deciso (Bar et al. (ibid.)). E’ chiaro che intervenire in un settore complesso e altamente dinamico rappresenta una sfida problematica. Gli economisti possono dare un contributo in questo campo, dal momento che i problemi sul tappeto non sono di pura natura tecnicoingegneristica. E’ auspicabile quindi che si sviluppi uno specifico filone dedicato ad Internet nella letteratura di economia applicata, in cui possibilmente si eviti di applicare acriticamente paradigmi derivati da altri settori, senza una sufficiente attenzione alle peculiarità della “rete delle reti”. Riferimenti bibliografici Bar, F., Cohen, S., Cowhey, P., DeLong, B., Kleeman, M., Zysman, J. (2000), “Access and innovation policy for the third-generation internet”, Telecommunications Policy, vol. 24, pp. 498-518. Cambini, C., Valletti, T. (2001), “I servizi Internet: struttura di mercato e concorrenza”, in Garrone, P., Mariotti, S. (a cura di), L’economia digitale, Il Mulino, Bologna. Crèmer, J., Rey, P., Tirole, J. (2000), “Connectivity in the Commercial Internet”, Journal of Industrial Economics, vol. 48, pp.433–472. Foros, Ø, Hansen, J. (2001), “Competition and compatibility among Internet Service Providers”, Information Economics and Policy, vol. 13, pp. 411–425. Gorman, S. P., Malecki, E. J. (2000), “The networks of the Internet: an analysis of provider networks in the USA”, Telecommunications Policy, vol. 24 (2), pp. 113-134. Huston, G. (1999), “Interconnection, Peering and Settlements", Inet99 Proceedings, http://www.isoc.org/inet99 /proceedings. Katz, M.L., Shapiro, C. (1985), “Network Externalities, Competition, and Compatibility”, The American Economic Review, vol. 75, pp. 424-440. McKnight, L. W., Boroumand, J. (2000), “Pricing Internet services: after flat rate”, Telecommunications Policy, vol. 24, pp. 565-590. Odlyzko, A. (2000), “The Internet and other networks: utilization rates and their implications”, Telecommunications Policy, vol. 24, pp. 341-365. Wright, J. (2001), “Bill and Keep as the Efficient Interconnection Regime?” Review of Network Economics, Sample article November 2001 per vol. 1 (1). 18 APPENDICE Alcuni dati sul mercato europeo dei servizi “backbone” Alcune stime, pubblicate nel 1997, valutavano il mercato dei servizi backbone da un minimo di 4,2 miliardi ad un massimo di $8,7 miliardi di dollari. Se da un lato gli introiti possono attirare l’attenzione di numerosi operatori, l’entità degli investimenti richiesti fa sì che il mercato tenda alla concentrazione. Negli USA sono 5 gli operatori IBP che dominano il mercato: AT&T, Cable&Wireless, GTE, Sprint e WorldCom-MCI. La concentrazione nel mercato delle dorsali deriva da tutta una serie di operazioni di fusioni ed acquisizioni. Si pensi alla fusione di AT&T (proprietaria di WorldNet) con il gigante della televisione via cavo TCI (che possiede ISP con accesso ad alta velocità) o alla alleanza tra la stessa AT&T e British Telecom per costruire una rete globale basata su IP. Sempre la AT&T ha deciso di acquistare a fine 1998 la rete di trasmissione dati dell’IBM ed il portale Excite@home raggiungendo un ruolo di predominio nell’offerta dei servizi Internet a banda larga. Un altro esempio è dato dall’acquisizione di Eunet da parte di Qwest, un operatore long-distance statunitense. Il caso più emblematico è sicuramente l’acquisto avvenuto a fine 1997 per circa $40 miliardi dell’operatore long-distance MCI da parte di WorldCom, dove quest’ultimo era già entrato in possesso delle infrastrutture di rete di CompuServe, America On Line e UUNet; questa operazione ha creato il maggiore fornitore di accesso ad Internet del mondo, in grado di controllare circa il 50% del traffico Internet in USA. Il mercato europeo dei fornitori di servizi backbone è composto invece da più di 20 operatori, con un’estensione delle reti è relativamente modesta, rispetto ai grandi carrier statunitensi. Nonostante il numero elevato di operatori, gran parte di questi (come si può osservare nella tabella che segue) sono di fatto gli stessi operatori ex monopolistici di telefonia che, forti della loro posizione nel mercato telefonico, hanno spinto il loro controllo anche sulle strutture di rete Internet. Ciò può generare gravi conseguenze in termini di accessibilità, con possibili abusi da parte dell’operatore backbone. Il problema del controllo dei backbones da parte degli ex operatori monopolisti ha portato ha molte cause antitrust. In Italia anche Telecom Italia, di fatto monopolista nella gestione delle infrastrutture di rete, è stata accusata di abuso di posizione dominante da parte dell’Associazione Italiana Internet Providers. I risultati 19 dell’indagine hanno mostrato l’esistenza di pratiche anticompetitive riguardanti: la vendita sottocosto dei servizi (prezzi predatori); la sovvenzione incrociata dei servizi di accesso ad Internet con i ricavi derivanti dalla telefonia pubblica commutata; pratiche discriminatorie nell’ambito dell’offerta di alcuni servizi per l’utenza affari (Cambini e Valletti (2001)). Provider 360networks Etensione di rete 18.000 chilometri BT Ignite 53.000 chilometri, di 20, attraverso BT cui 13.000 di proprietà Ignite diretta di BT Cable & Wireless 17.700 chilometri 200, dislocati in oltre 40 città europeee Colt Telecom 14.000 chilometri 100 Energis Carrier Services 12.000 chilometri 18 France Telecom 20.000 chilometri Global Crossing 25.000 chilometri 47, in 16 diverse nazioni. Attraverso accordi di interconessione copertura di oltre 250 città europee. 45, in 41 città europee GTS 25.000 chilometri 53 Interoute 46 già attivi dei 200 programmati in 70 grandi città di 17 nazioni europee NETs Group 18.000 chilometri di fibre già attive , come parte di un progetto per una rete di 21.000 chilometri 16.000 chilometri completati rispetto al piano di 20.643 previsto 20.000 chilometri Pangea Teleglobe Telia 11.500 chilometri 12.500 chilometri 22.000 chilometri WorldCom/UUnet 14.000 chilometri KPNQwest PoP 36 40, destinati a salire a 47 entro la fine del 2001 Reti di accesso locale 11 anelli urbani in altrettante città europee MAN in Gran Bretagna e in 9 città europee attraverso BT Ignite Accesso xDSL attraverso acquisto di ISP locali (22 nel corso del 2000) 28 reti metropolitane servizi xDSL disponibili in Francia, Germania, Gran Bretagna e Paesi Bassi 6 reti metropolitane attraverso Colt XDSL, in Francia, come incumbent 12 MAN programmate per la fine del 2001 7 reti metropolitane già attive Reti metropolitane in ciascuna delle 46 città in cui dispone di un PoP MAN Accesso xDSL disponibile in Francia e Germania 150 programmati entro Reti metropolitane in il 2002 costruzione 18 n/a 41 n/a 40 Reti metropolitane 3 anelli urbani attivati 33 20 reti metropolitane attive in Europa 20