la nascita e lo sviluppo della letteratura moderna per l`infanzia libri

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la nascita e lo sviluppo della letteratura moderna per l`infanzia libri
JoLIE 2:2 (2009)
LA NASCITA E LO SVILUPPO DELLA LETTERATURA
MODERNA PER L'INFANZIA
LIBRI DI TESTO E LETTERATURA PER L'INFANZIA
NELL’OTTTOCENTO IN ITALIA: IL GIANNETTO E
IL GIANNETTINO
Donatella Lombello
University of Padova, Italy
Abstract
This paper intends to explore the role of humour in children’s literature. If humour and
laughter provoke the rupture of mental schemas, adoption of other points of view in
everyday life, the ability to find ineptitudes and to experiment forms of indulgence towards
rigidities of which one becomes aware, who are the authors who write humoristic texts, and
how is it taken by the young reader?
Key words: Humour; Laughter; Children’s Literature; Education; Il Giannetto.
I. Letteratura per l’infanzia
Nel voler scandire alcune fondamentali fasi relative alla genesi e allo sviluppo della
Letteratura per l’infanzia in Italia, è forse utile precisare che essa è disciplina
presente nell’ambito accademico italiano dal 1962 (a partire dall’ateneo di Padova,
e poi nelle sedi di Bari, Roma e Firenze) e che, con alterne collocazioni giuridicoaccademiche, dal 1992 è incardinata tra gli insegnamenti di area storico-pedagogica
delle Facoltà di Scienze della Formazione.
Le diciture che definiscono questo insegnamento in Italia sono attualmente
diversificate: Letteratura per l’infanzia, Letteratura per ragazzi, Letteratura per
ragazzi e giovani adulti, Letteratura per l’infanzia e la preadolescenza, Letteratura
per l’infanzia e l’adolescenza…, ma tutte intendono riferirsi all’insieme di opere
scritte intenzionalmente per l’infanzia o delle quali l’infanzia si è appropriata (si
pensi, ad esempio, a I viaggi di Gulliver) .
É anche da precisare che quando si parla d’infanzia, ci si riferisce al
lettore in età evolutiva (dagli zero ai 18 anni), ovvero, ad «ogni essere umano in
età inferiore ai diciotto anni, a meno che secondo le leggi suo Stato, sia divenuto
prima maggiorenne», secondo la definizione di infanzia della Convenzione
internazionale sui diritti dell’infanzia (art.1, Parte prima) del 20 novembre 1989
(G.U. 11-06-1991). Negli anni Settanta del secolo scorso Anna Maria Bernardinis
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adottò la dizione Letteratura giovanile ad indicare l’insieme delle opere rivolte al
giovane destinatario ( o da lui prescelte) non tanto volendo ancorare il sintagma
alla esclusiva denotazione anagrafica del lettore in età evolutiva, quanto piuttosto
volendo valorizzare la dimensione culturale-pedagogica della relazione (giovane)
lettore-testo, (giovane) lettore-lettura, (giovane) lettore-letteratura, come
condizione di apertura di ciascun soggetto al proprio processo di formazione e di
ricerca di senso nel dialogo con gli autori, di auto-realizzazione che, pur prendendo
avvio nell’arco anagrafico che si estende dall’età infantile fino alle soglie dell’età
adulta, assume tuttavia i caratteri della perenne scoperta, dell’incontro-dialogo tra
lettore-autore senza soluzione di continuità1. E’ importante sottolineare che nella
elaborazione epistemologica della studiosa patavina permangono integri, da un
lato, la creatività espressiva e stilistica dell’autore (dell’illustratore), dall’altro la
libera scelta del lettore che, in autonomia, predilige autori, trame e percorsi letterari
in relazione al senso e alle «risposte» che egli, con maggiore o minore grado di
consapevolezza, sente significative per sé, per la propria crescita interiore e
psicologica, emozionale, affettiva, estetica, etica, cognitiva.
In questo senso l’elaborazione della pedagogia della lettura e della
letteratura della seconda metà del Novecento ha, in un qualche modo, sgombrato il
campo ( pedagogico) dai retaggi della concezione ottocentesca che voleva una
letteratura «educativa» in quanto proponente (ovvero impositiva di) modelli di
comportamento, ai quali far aderire il lettore.
Il dibattito critico del secondo dopoguerra ha anche permesso di superare,
in ambito epistemologico, la cosiddetta pregiudiziale crociana, di negazione di una
letteratura, come di un’arte, «per bambini», cioè con attributi-limiti eteronomi, e al
contempo di impossibilità da parte dei bambini di gustare, per la loro condizione di
minorità-immaturità, il mondo dell’arte2.
È da ricordare che Giuseppe Lombardo Radice contrappone altri criteri
estetici a quelli di Croce, allorché egli, nelle sue Lezioni di didattica, afferma: «È
un buon libro per ragazzi quello che può essere gustato, senza restrizioni e riserve,
anche dagli adulti. Non tutto ciò che è scritto per gli adulti vale per il bambino, ma
tutto ciò che vale per i bambini deve valere anche per gli adulti, se è opera d’arte»
(1970:184)3.
Si sa come il pedagogista siciliano, che sarà poi estensore dei Programmi
gentiliani per la scuola elementare del 1923, nel formulare le linee della propria
1
A tal proposito, oltre ai lavori di A. M. Bernardinis, specie: (1971) Pedagogia delle
letteratura giovanile.(Padova: Liviana); (1976) Itinerari. Guida storico-critica. (Milano: Fabbri); la
voce Letteratura giovanile in Nuovo Dizionario di Pedagogia, a cura di G. Flores D’Arcais (1987)
Cinisello Balsamo: Edizioni Paoline, 692-704. Si vedano anche il saggio di R. Lollo 2002:37-68, ed il
suo volume EAd., (2003) Sulla letteratura per l’infanzia, Brescia: La Scuola.
2
Affermava il filosofo e critico letterario napoletano: «Lo splendido sole dell’arte pura non
può essere contenuto dall’occhio ancora debole dei bambini» (Croce 1905) Luigi Capuana-Neera.
«La Critica». Vol.III Bari: Laterza, 352), sottolineando altresì come la letteratura per ragazzi non
potesse essere letteratura in quanto imparentata con la «musa bonaria» della pedagogia (Croce 1913,
La letteratura della Nuova Italia. Bari: Laterza, 352-353).
3
Le Lezioni furono pubblicate nel 1912.
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pedagogia della lettura, abbia valorizzato con particolare insistenza la fruizione
estetica dell’incontro con gli autori da parte degli allievi, ed abbia al contempo
esplicitato la sua ferma opposizione ad ogni funzionalizzazione della lettura4,
ovvero alla mescolanza dell’abilità con l’abito e il gusto: «è frequentissimo il caso
di veder trasformare la lettura in esercizio grammaticale, o in spigolatura lessicale.
Errore didattico che genera il più grave perturbamento all’esercizio di leggere! […]
prendere la poesia, il racconto per avvolgerli nella ragnatela grammaticale; far
ricercare tutti i nomi, tutti gli aggettivi, tutti i pronomi e gli altri accidenti; far
«analizzare» – come si dice – le funzioni della proposizione, e le disposizioni
sintattiche della poesia e del racconto, significa sacrificare la lettura e far diventare
noiosa l’ora destinata ad essa, che dovrebbe essere di tutta la giornata la più
desiderata ed attesa. Sacrificio non insignificante, perché si uccide il gusto del
leggere, e si riduce il tempo dedicato alla lettura, la quale viene perciò danneggiata
e qualitativamente e quantitativamente. Gli esercizi di grammatica debbono stare
da sé, indipendenti dalla lettura, come esercizi speciali, in ore speciali. L’ora di
lettura è sacra alla lettura». (1970: 184)5
All’affacciarsi del ventunesimo secolo , e in tutta la prima metà del
Novecento, si intensifica lo spessore dei problemi sulla pedagogia della letteratura
per l’infanzia, aperti nel corso dell’Ottocento, fino alla svolta del secondo
dopoguerra, con le proposte inaugurate, ad esempio, da Gianni Rodari, direttore,
per i primi due anni, del settimanale per bambini «Il Pioniere» (1950) e scrittore di
libri per ragazzi, e da case editrici innovative, come quella di Rosellina Archinto, la
Emme di Milano.
Nell’attuale nuovo orientamento pedagogico, definitosi e consolidatosi nel
corso dei decenni che chiudono il vecchio millennio, il giovane lettore acquista
una centralità nuova, caratterizzata dall’autonomia di scelta che egli è messo in
grado di operare, grazie alle molteplici offerte di trame narrative, di tipi editoriali,
di formati, di illustrazioni che l’adulto (educatore, insegnante, bibliotecario,
genitore…) gli propone: sollecitando, incuriosendo, intrattenendo, fornendo le
4
«Nelle classi superiori, dalla terza in su, dove l’ambito delle letture è più vasto, il leggere
non è solo esercizio, ma anche e soprattutto fruizione artistica, della quale quasi mai accade di dover
render conto, scolasticamente parlando, sulla quale non si ricevono «classificazioni», che non dà
luogo ad interrogatorii. Il valore della fruizione artistica è essenzialmente nel rapimento della fantasia,
nella commozione senza turbamento del sentimento, nella nobilitazione spirituale che la lettura dà
[…]» (Lombardo Radice 1970:189).
5
I corsivi delle diverse citazioni sono presenti nell’edizione a cura di G. Russo. Il
pedagogista afferma ancora: «Chi legge deve raccogliersi e interrogare se stesso, per intendere
appieno ciò che il libro vien presentando, e metterlo in relazione con il proprio mondo spirituale […].
Perciò sono compatibili con tale necessità spirituale tutti gli esercizi preparatorii che si vogliono […].
Per esempio: il maestro prima di iniziare la nuova pagina di lettura richiama le precedenti […] espone
il nuovo brano di lettura […] legge lui, a voce alta, prima di far leggere: illustra, parafrasa, commenta
procurando di avvincere e commuovere il suo uditorio […]. Esercizi di preparazione alla lettura
possono essere in genere tutte le lezioni di geografia, di storia, di scienze naturali, etc. etc. Non si
leggerà, supponiamo Tamburino sardo del De Amicis senza aver parlato, in altre ore, di guerre
dell’indipendenza, né Dagli Appennini alle Ande, senza aver fatto, prima e indipendentemente,
qualche cenno speciale di geografia» (1970:186-187 e n. 1.)
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«occasioni», predisponendo l’ambiente (casa, scuola, biblioteca, centri culturali e
di aggregazione giovanile) per formare quel gusto e quella passione di leggere che
il giovane lettore saprà declinare su temi, autori, illustratori di volta in volta
preferiti.
Nell’attuale concezione pedagogica si mantengono, dunque, distinte le aree
di responsabilità dell’adulto e del piccolo-giovane lettore.
Oggi, dunque, se l’adulto predispone e offre (testi, percorsi…), la libertà di
scelta è lasciata al lettore (che acquisisce nel tempo il gusto e la capacità di operare
le proprie scelte), a differenza della modalità relazionale ottocentesca, nella quale
l’adulto è invece il decisore di modi, tempi, contenuti di lettura, ai quali il piccologiovane lettore deve necessariamente conformarsi.
Nella concezione ottocentesca l’adulto, pertanto, si impone (nelle scelte di
lettura, negli acquisti del libro), così come l’autore impone valori, ideologie,
exempla-modelli di comportamento: le figure dell’autore-genitore-maestro
agiscono, nella generalità dei casi, tutte congiuntamente nelle forme dell’obbligo e
del controllo sulle nuove generazioni6
La letteratura per l’infanzia ottocentesca, infatti, se si caratterizza per la
dignità di scrittura e per la cifra stilistica di una letterarietà certo salvaguardata,
essa è altresì legittimata dalla sua ineliminabile valenza «educativa», essendo,
pertanto, strettamente imparentata con la «musa bonaria della pedagogia»,
icasticamente evocata nella nota espressione crociana.
E’ da ricordare che il diffondersi della letteratura per l’infanzia nel corso
dell’Ottocento dipende da una «domanda» che si forma assai lentamente, trovando
tuttavia un punto di positiva svolta grazie all’Unità e a consecutive misure
legislative.
Si pensi alla legge di Gabrio Casati, (R.D. 13/11/1859), che regola tutta la
pubblica istruzione fino alla riforma gentiliana del 1923, e poi a quella di Michele
Coppino (L. 15 luglio 1877, n. 3961) che introduce l’obbligo (gratuito e
aconfessionale) scolastico elementare, pur largamente disatteso fino e oltre lo
spirare del secolo7. È specie a partire da queste premesse legislative che si diffonde
l’uso del libro di testo, se non sistematicamente tra le classi popolari, almeno tra le
classi medio-basse e medie, provocando in seguito anche una dinamizzazione nella
pubblicazione di altri libri, per la lettura nel tempo post-scolastico dei piccoli
allievi.
6
Precisa Renata Lollo: «L’adulto che si esprime nel ruolo autoriale non manifesta
incertezza e, direttamente o indirettamente, fa passare attraverso il ruolo un’altra più impegnativa
auctoritas, quella di maestro» (2003:45-46). Afferma, altresì, Vittorio Spinazzola: «Il genitore che
comprava il libro per i suoi figli rifletteva la mentalità di un ceto mediamente colto, disposto a
valorizzare l’opera dei narratori per ragazzi se e solo in quanto avesse la certezza che l’autore
collaborava con lui nel compito di trasmettere e divulgare il patrimonio di idee e di sensibilità che
aveva sorretto la sua formazione. Ciò implicava, anzi presupponeva che il testo non trasgredisse, pur
nella sua cordialità discorsiva, i requisiti di decoro ritenuti più indispensabili secondo i criteri di gusto
linguistico-letterario maggiormente accreditati» (V. Spinazzola 1997, Pinocchio & C. La Grande
narrativa italiana per ragazzi. Milano: Il Saggiatore:16).
7
L’analfabetismo in Italia, che raggiunge il 75% nel 1861, discende al 50% nel 1901.
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Di certo, intorno al 1860, troviamo un Centro-Nord, per motivi storicoculturali8, più attento e predisposto a recepire l’attenzione all’infanzia, alla sua
educazione e alla sua istruzione, che si riflette anche sulla produzione e sul
consumo dei libri per l’infanzia.
Ed infatti, pur nei dislivelli e negli squilibri di alfabetizzazione, istruzione
e cultura detti, nel periodo postunitario acquista notevole impulso l’editoria: la
produzione di libri cosiddetti «scolastico-educativi»9, costituita di 149 titoli nel
1846, si quadruplica nel ventennio successivo, raggiungendo il numero di 608 unità
nel 1863, mentre l’attenzione mirata alla pubblicazione di libri di testo solo per le
scuole elementari fa raggiungere, nel 1872, la quota di ben 149 testi diversi
(Ragone, 1983).
Nell’Italia postunitaria «le scuole sono letteralmente inondate da una gran
massa di libri, manuali, opuscoli» (Boero & De Luca 1995: 21-22) il piccolo lettore
coincide prevalentemente con l’allievo, poiché è da precisare che i libri di testo per
l’istruzione elementare, per quasi tutto l’Ottocento, sono contemporaneamente dei
libri di fiction e di divulgazione10 ;l’insieme delle nozioni è infatti quasi sempre
immerso in un contesto narrativo, che ne costituisce il filo di sviluppo.
Per i libri scolastici vi è una sorta di cliché: essi non solo sono «soggetti ad
una estrema rigidità di struttura e di linguaggio»(Boero & De Luca 1995:22) , ma i
relativi autori spesso non esitano «a compilare opere che sono rimaneggiamenti di
quelle di maggior successo»(Boero & De Luca 1995:21-22) .
8 «
Al momento dell’unificazione in Italia sono individuabili tre aree di scolarizzazione:
l’area settentrionale,dove per antica tradizione i governi avevano provveduto [a creare] un sistema
scolastico organico configurato sul modello austriaco (nel Lombardo-Veneto già dal 1818 il governo
austriaco aveva istituito la scuola popolare dell’obbligo); l’area toscana, dove l’iniziativa privata
aveva supplito alle carenze di interventi statali […]notevole il fermento di iniziative didattiche
promosso dalla rivista del Lambruschini «Guida dell’educatore» fondata nel 1836); […] l’area del
Sud e delle Isole, dove il sottosviluppo sociale e la secolare miseria erano tra le cause maggiori del
degrado della scuola, e dove si registravano le punte più alte di analfabetismo alimentato anche da
una classe dirigente spesso ostile alla diffusione dell’istruzione di base, considerata veicolo di idee
sovversive» (E. Sordina 1984:21) La formazione del lettore nel curriculum scolastico italiano: dalle
origini delle scuola dell’obbligo alla situazione attuale in A. M. Bernardinis (a cura di) Educazione
alla lettura nel tempo scolastico e nel tempo libero giovanile. «Quaderni del Settore di Ricerca sulla
lettura e la letteratura giovanile», Padova: Dipartimento di Scienze dell’Educazione. .
9
Si veda G. Ragone (1983:700) La letteratura e il consumo: un profilo dei generi e dei
modelli nell’editoria italiana (1845-1925) in Letteratura italiana, 2, Produzione e consumo. Torino:
Einaudi, 1983:700, che nel suo saggio ci fa conoscere anche l’evoluzione del quadro complessivo
della produzione e del consumo di libri nel periodo considerato.
10
«Nella scuola dei primi anni di Unità nazionale, il libro di testo scolastico riveste un ruolo
totalizzante e assume un carattere enciclopedico. Svolge contemporaneamente diverse funzioni: è
strumento di alfabetizzazione delle nuove generazioni, organizza l’insieme delle nozioni ritenute
adatte ad avviare all’ «unità intellettuale e morale» che i programmi auspicano, assumendo così il
ruolo di mezzo di «socializzazione politica» per le masse popolari, è anche guida didattica per gli
insegnanti, i quali non ricevono alcuna formazione professionale» (Boero 1995:12-13).
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II. «Pane e onore. Migliaia di persone non leggeranno forse altro libro»
Prototipo e paradigma dei libri di testo è quel Giannetto, pubblicato nel 1837 da un
uomo di scuola: Luigi Alessandro Parravicini, milanese, direttore didattico della
Imperiale Regia Scuola a Como e poi a Venezia.
L’opera è suddivisa in sei nuclei cospicui di trattazione enciclopediconozionistica: 1) l’uomo, i suoi bisogni, i suoi desideri; 2) mestieri, arti e scienze; 3)
geografia; 4) scienze naturali; 5) racconti sui doveri dei fanciulli; 6) racconti morali
tratti dalla storia d’Italia (Boero 1995:13), saldamente intessuti nella trama
narrativa.
Il Giannetto racconta infatti, in 784 pagine, sulla scia del self helpismo11, la
storia dell’ascesa sociale del protagonista, che, da figlio di «onesto e probo»
commerciante, diviene ricco e stimato industriale, e poi anche «benefattore della
patria» e «padre dei poveri» (Boero & De Luca 1995:13)
Il testo, definito «romanzo» dalla commissione giudicatrice della «Società
fiorentina per le scuole del mutuo insegnamento», presieduta di Gino Capponi, che
lo premiò nel dicembre del 1836, rispondeva ai requisiti del bando, fatto circolare
tre anni prima, che richiedeva la stesura di un’opera attraverso cui «i giovinetti»
potessero essere iniziati «a tutti quei doveri che l’uomo dabbene deve poi
adempiere nel progresso della vita»12.
La motivazione per l’attribuzione del premio al Giannetto è esplicitata
nella Relazione, che così recita: «[…] l’autore ha ben meritato della umanità, a
profitto della quale con assoluta abdicazione d’ogni pretensione letteraria egli ha
voluto spendere e comunicare le vaste sue cognizioni» (Parravicini 1846: V-XII)13,e
nella quale si riconosce che il «romanzo» vince il premio « pel felice divisamento
di trarre le norme della morale dai fatti, e la sostanza della istruzione dai naturali
incidenti d’una vita non favolosa, ma piene d’avvenimenti impressivi e verosimili»
(Parravicini 1846: VII).
Motto del Giannetto è «Pane e onore. Migliaia di persone non leggeranno
forse altro libro»: predizione quanto mai veritiera, visto l’immediato successo
riscosso, e poi mantenuto per tutto l’Ottocento e fino alle soglie del nuovo secolo,
e attestato dalle numerose edizioni diffuse in tutte le parti dell’Italia risorgimentale
e postunitaria14.
Se la motivazione della Commissione guidata dal Capponi ritiene vincente
la coniugazione dell’«educazione dell’intelletto» con quella «dell’animo»
(Parravicini 1846:X) anche Raffaello Lambruschini, dalle pagine della sua «Guida
11
Si ricordi tutta la letteratura del self helpismo, avviata dall’inglese Samuel Smiles nella
seconda metà dell’Ottocento, richiamante la possibilità di auto-riscatto di ogni popolano attraverso la
perseverante applicazione nel lavoro e nell’istruzione. Si veda M. Stival (1995:69-94).
12
Si veda Del Corno (2004:47-60).
13
Stralci della Relazione sono anche riportati in V. Vergani, & M.L. Meacci (1984) 18001945. Rilettura storica dei libri di testo della scuola elementare (pp. 15-16). Pisa: Pacini.
14
«Il libro, dopo la prima, ebbe edizioni piemontesi […], toscane […], campane […],
pugliesi […], venete […], emiliane […], siciliane […] toccò nel 1889 la 64esima edizione; la 69 uscì
nel 1910» (Boero - C. De Luca, n. 18, 1985:320).
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dell’educatore» si compiace, in una recensione del 1837, per la scelta della «Illustre
Società fiorentina», e preconizza, dal canto suo, che l’opera «in successive edizioni
si può venire sempre più perfezionando»15.
Il Giannetto sembra dunque voler rispondere ad un bisogno di educazione
di base per i «giovinetti», ma anche per tutto il popolo, essendo pensato come uno
strumento di istruzione e di «buon» comportamento da estendersi a tutte le età delle
classi più povere: appunto per quelle «migliaia di persone che non leggeranno forse
altro libro» distribuite in tutte le località di un’Italia frammentata, politicamente
prima dell’Unità, e culturalmente dopo.
E ininfluente appare il negativo giudizio di De Sanctis che, all’inizio degli
anni Settanta, comparando l’autore del Giannetto ai coevi Taverna, Thouar,
Lambruschini, Tommaseo, ne definisce gli scritti «troppo aridi per il popolo,
troppo uniformi, destituiti d’immaginazione, in lingua poco precisa» (1953:216) e
che giudica inadeguato al clima risorgimentale il messaggio sotteso all’opera, volto
«a rendere gli animi pazienti, disciplinati, disposti all’obbedienza» (1953:216), se
nel 1874 il pedagogista Vincenzo De Castro definisce il libro di Parravicini il più
popolare d’Italia16.
La diffusione del testo del Parravicini è ampia poiché, insieme con le
opere del Cantù, del Thouar e del Mayer, tutti esponenti del Gabinetto Vieusseux,
del Tarra, e, più tardi, con quelle della Baccini, della Percoto, della Morandi, di
Sailer, dello Stoppani17, il Giannetto fa anche parte delle raccolte per le biblioteche
scolastiche, o dei «premi» consegnati agli scolari meritevoli.
III. «Miscere utile dulci»
Nel 1881 fu istituita la Commissione ministeriale che doveva presiedere alla scelta
dei libri di testo, nell’ambito di quell’editoria scolastica che la stessa
Commissione aveva definito «tropicale ricchezza della flora libraria elementare
italiana»18.
Scardinare gli orientamenti pedagogici correnti, che, come si è visto,
puntavano ad esaltare esplicitamente, o implicitamente attraverso l’offerta di
esempi e modelli, i valori del patriottismo, della fede 19, a formare le qualità morali
15
R. Lambruschini (1837) Notizie di libri utili, «Guida dell’educatore».a. II, n.23-24, p.418
(del Corno 2004:48.) Interessante la rassegna di Nicola Del Corno sui diversi consensi riscossi
dall’opera parraviciniana: sia in ambienti progressisti, che in quelli moderati, come in quelli
reazionari.
16
V. de Castro [senza titolo], «Enrico Pestalozzi», a.II, 1874, n. 3-4, p.43, cit. tratta Del
Corno 2004:50.
17
Si veda A. Cibaldi 1967:156-159.
18
Si veda La scuola primaria dall’Unità alla riforma Gentile, catalogo della mostra
omonima, Roma, 18. III – 13. VII. 1985, p. 105 (cit. tratta Boero - C. De Luca, 1995:321, n. 15).
19
Anche se la legge Coppino (l. 15 luglio 1877, n. 3961) aveva escluso la religione tra le
materie oggetto d’esame e aveva introdotto, nel corso elementare inferiore, le prime nozioni dei
doveri dell’uomo e del cittadino (Si veda G. Inzerillo 1974:78).
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e civili degli allievi, per «vivacizzare il rapporto con i giovani lettori» (Boero & De
Luca 1995:22). sarebbe stato puro autolesionismo da parte degli autori, che si
sarebbero visti esclusi dall’offerta formativa, dentro e fuori dalle aule scolastiche20.
Capitò tuttavia a Collodi che, nel 1883, nella selezione della Commissione
ministeriale21, si vide scartati i suoi libri, compreso il didascalico Giannettino,
pubblicato dall’editore Paggi di Firenze nel 1876.
Anche a seguito della pubblicazione de I racconti delle fate (1875),
l’editore Paggi è certo di avere « sottomano l’uomo che cercava» (Cibaldi 1967:
163) l’uomo in grado di «stirar le grinze al Parravicini», l’uomo con «la cordialità
sbrigativa che occorreva ai trattati scolastici […], libri di tiratura commercialmente
produttiva » (Cibaldi 1964: 164).
Ed infatti Collodi «a quel Giannetto così remoto e indistinto […]
sostituisce […] un ragazzetto vivo con occhi limpidi e capelli rosso fiammanti.
Quest’ultimo tratto basta a renderlo anticonvenzionale: gli dà quasi un distintivo di
monelleria rivoluzionaria» (Cibaldi 1967: 163)
L’esclusione dei libri del Collodi è fatta, dalla Commissione ministeriale,
con la seguente motivazione: «han pregi molti di sostanza e di dettato, ma son
concepiti in modo così romanzesco, da dar soverchio luogo al dolce, distraendo
dall’utile; e sono scritti in stile così gaio, e non di rado così umoristicamente
frivolo, da togliere ogni serietà all’insegnamento»22.
Sembra essere, questa dichiarazione, il rovescio della medaglia della
premiazione del Giannetto.
La reazione dell’ufficialità scolastica si pone sulle difensive, per
salvaguardare quei cardini pedagogici consolidati, e pur messi alla prova
dall’«irruzione del Giannettino […] il primo scardinamento del sistema ideologico
che sacrifica l’infanzia all’altare della morale borghese» (cited in Boero & De Luca
1995:22).
L’apparizione del Giannettino imprime dunque un orientamento nuovo
nella pedagogia del tempo, pur nell’impronta didascalico-educativa pur sempre ben
marcata nell’opera.
20
«Dalla fine degli anni ‘70 convivono due modelli di pubblico, due modelli di cultura. Il
sistema formativo tende a resistere al nuovo, seguendo la via consueta del compromesso moderato,
rafforzato in questo dalla necessità di mediazione, dall’esigenza di costituire un modello nazionale
d’istruzione in cui possano riconoscersi tutti gli strati colti del paese, in prevalenza di tipo arretrato.
Inoltre gli operatori del sistema formativo erano fortemente legati alla tradizione degli intellettualipedagoghi, un ceto non ancora integrato in una cultura dei consumi, difensori quindi della tendenza
«tosco-piemontese» e della sua integrazione con le tradizioni umanistico-pedagogiche delle zone
arretrate. In questa seconda fase, tuttavia, la struttura formativa si mostra notevolmente logorata e
impoverita […]» (Ragone, 1980:707).
21
Quindici anni più tardi la Commissione Centrale per i libri di testo, nella relazione del 14
agosto 1896, stabilì: a) di non approvare i libri di lettura la cui struttura non fosse «coordinata alle
necessità pratiche della scuola»; b) di far confluire i migliori tra i libri scartati nell’elenco dei libri
«raccomandabili per letture domestiche, per premio, per biblioteche scolastiche» (Stival 1995:70).
22
La scuola primaria dall’Unità alla riforma Gentile. Catalogo della mostra, Roma 18
marzo-13 luglio 1985, p.105, cit. tratte Boero & De Luca 1995:22.
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Come già ebbe a rilevare Luigi Santucci: «Lo spostamento che il Collodi
segna dalla tendenza pedagogica, allora assai forte, a quella più liberamente
educativa, è rilevabile, ancor prima di entrare nell’aperto mare di Pinocchio, già
nei due libri didascalico-borghesi: il Giannettino e il Minuzzolo. I quali si
affrancano dal precettorismo della matrice da cui nascono (il Giannetto del
Parravicini) e s’incamminano verso la libertà dell’invenzione su binari, se non
ancora di poesia, già di arte fresca e duttile» (1994:188).
Ma intanto anche la prima puntata della Storia di un burattino era apparsa
il 7 luglio 1881, tra le colonne del «Giornale per i bambini» e Pinocchio « viene al
mondo per mandare in solaio il personaggio pedagogico del Thouar e del
Parravicini («Il ragazzo per benino», lo definisce Giuseppe Fanciulli) e
riconsegnare il piccolo lettore alle fate di perraultiana memoria. O meglio: non
proprio a quelle di Perrault, che si presentavano con una celtica evanescenza di
contorni, ma una fata sui generis , ben più viva e concreta, impastata tutta
all’italiana e intrisa di pittoresco folclore: la Bambina dai capelli turchini»
(1994:172).
Ma intanto Collodi, col Giannettino, se strizza l’occhio connivente al
mondo infantile, non lascia la presa nei confronti di quella « borghesia della nuova
Italia garbata ed educata [che] non era pronta alle novità totali» (Cibaldi 1967:163),
e rassicura il mondo degli adulti, e lo invoglia ad acquistare un’opera che sa unire
al dilettevole l’utile : «dopo averci messo davanti un ragazzetto antiretorico […]
nella seconda parte […] l’ingombro nozionistico è più invadente. Sovrabbonda e
sommerge ogni residua volontà di racconto […]» (1994: 172).
IV. Istruire il popolo quanto basta, educarlo più che si può
Certo è che il clima culturale e pedagogico non concede deroghe ai fini educativi
cui la scuola deve mirare, volti all’educazione morale, del carattere, della volontà,
alla conformità e all’ossequio alle regole del mondo adulto del ceto dominante, al
rispetto delle virtù e al rifiuto dei vizi da questo di volta in volta indicati23.
Le stesse finalità espresse dal ministro Guido Baccelli, nella Relazione a
S. M. il Re per i Programmi del 1894, insistono nell’«istruire il popolo quanto
basta, educarlo più che si può»24.
Nel 1886 esce Cuore, «libro scolasticamente programmatico… scritto per
far amare la scuola» (Cibaldi 1967:175, la scuola che «agisce da filtro ideologico e
da motore di integrazione […] luogo di formazione etica e civile […] vista come il
23
«Il rischio» – afferma Renata Lollo – «di far diventare la (necessaria) acculturazione un
(tranquillizzante) conformismo appare tutt’altro che assente, e provoca sul lungo termine non solo
auspicabili tensioni generazionali, ma pericolose e rimosse dissociazioni tra i principi proclamati, in
genere assoluti, come la libertà, la giustizia, il coraggio e la loro interpretazione e realizzazione
concreta, troppo spesso pretestuosamente trattenuta entro confini, realistici e immaginari, controllati
dalla cultura adulta» (2003:46).
24
Relazione a S.M. il Re per i Programmi del 1894: si veda F. V. Lombardi (1975) I
programmi per la scuola elementare dal 1860 al 1955. Brescia: La Scuola.
162
Donatella LOMBELLO
fulcro di una emancipazione universale dei popoli e scandita al proprio interno
dalla cronaca degli avvenimenti infantili e adulti (familiari, sociali, politici) e dalla
esaltazione di un ideale di vita (eroica e civile, fondata sulla dedizione e sul
sacrificio)» (Cambi 1985:90).
Intanto tre anni prima erano incominciate le puntate (ben 150) de La tigre
della Malesia di Salgari: due diverse modalità di scrittura per le giovani
generazioni dell’Italia umbertina, l’una che ci rimanda un’immagine d’infanzia
imbrigliata «dal sentimento – emotività – patetismo» (Cibaldi 1967:111), nella
dipendenza dal mondo adulto e nel rispetto delle norme del conformismo borghese;
l’altra25, che «si distaccò dalle convenzioni antiche, si oppose ai pudori, alle paure,
alle perplessità delle vecchie generazioni […] [le cui] prospettive eroiche e
fiabesche […] alimentarono la smania di grandezza delle generazioni postrisorgimentali, ma i cui eroi furono reclutati «tra i vinti, gli oppressi e di colore»
(Lombello Soffiato 1993:46).
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Lombardo-Radice, G. (1970). Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale. 36º
ed. a cura di G. Russo. Firenze: Sandron.
25
Sarà sconsigliata nel cattolico Manuale di letture per le biblioteche, le famiglie, le scuole
di Giovanni Casati del 1928. In S. Gonzato (Ed.) (1991). In cima alla collina senza un ruggito.Io sono
la tigre. Atti del convegno nazionale di Verona, 26. I. Verona: Banca Popolare di Verona: 8.
La nascita e lo sviluppo della letteratura moderna per l'infanzia
163
Lombello Soffiato, D. (1993). Un «capitano» di biblioteca: Emilio Salgari tra novel e
romance. «Sfoglialibro», supplemento a «Biblioteche oggi», 11, n. 5-6.
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