la protezione interrotta

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la protezione interrotta
II BOZZA
QUADERNI/8
LA PROTEZIONE
INTERROTTA
L’impatto del Regolamento di Dublino
sulla vita dei richiedenti asilo
Nella stessa collana:
1 - Immigrazione e asilo: una nuova legge a misura di chi?
2 - Diritti umani e volontariato: atti del corso di formazione 2002
3 - Storie di diritti negati: i risultati di un’attività di monitoraggio sulla
condizione dei richiedenti asilo a Roma
4 - Ricerca giuridica sugli orientamenti giurisprudenziali in materia di
asilo
5 - Da utenti a operatori. La formazione degli immigrati alle professioni
sociali
6 - I diritti non sono stranieri. Riflessioni e proposte sull’accoglienza e
l’integrazione degli immigrati
7 - L’italiano per l’integrazione. Bisogni e metodologie per l’insegnamento
della lingua italiana agli immigrati
Pubblicazione a cura di:
Chiara Peri
Coordinamento progetto DIASP: Philip Amaral (JRS Europe)
Ricercatrice per l’Italia: Fabiana Giuliani
Associazione Centro Astalli per l’Assistenza agli Immigrati
Jesuit Refugee Service - Italia
Via degli Astalli, 14/a - 00186 Roma
Tel 06.69700306 - Fax 06.6796783
Email: [email protected]
Sito web: www.centroastalli.it
Per donazioni:
Banca popolare di Bergamo, sede di Roma, via dei Crociferi 44 - 00187
Conto corrente n. 98333, intestato a Associazione Centro Astalli
IBAN IT 56 N 05428 03200 000000098333
Giugno 2013
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INTRODUZIONE
Il 18 febbraio 2013 il Regolamento di Dublino II ha compiuto 10 anni. Un insieme di regole volte a stabilire quale stato europeo sia competente per l’esame delle domanda d’asilo
è ormai diventato un insensato percorso ad ostacoli per chi
cerca protezione: famiglie separate, persone lasciate senza
mezzi di sostentamento o addirittura detenute, lungaggini e
rimpalli che rendono il diritto d’asilo inesigibile. Intanto, richiedenti asilo e rifugiati che vivono in Europa continuano a
subire le pesanti conseguenze della crisi economica: non solo
tagli lineari e indiscriminati al welfare, ma un clima politico
di diffidenza che, nei casi più gravi, arriva a un’aperta ostilità. Il sistema Dublino è il simbolo della distanza che separa
l’Europa da un’umanità in viaggio, è il muro di regole anonime su cui si infrangono le speranze di chi cerca protezione.
Il 14 febbraio 2013, appena quattro giorni prima del
“compleanno” del Regolamento in questione, un giovane richiedente asilo della Costa d’Avorio si è dato fuoco all’aeroporto di Fiumicino per evitare l’espulsione. Il ragazzo aveva
presentato domanda d’asilo in Italia e successivamente si era
trasferito in Olanda, Stato che aveva provveduto a inviarlo
indietro. All’arrivo a Roma, aveva scoperto che la sua domanda di protezione internazionale era stata nel frattempo rigettata. Ad accoglierlo, un decreto di espulsione. Difficile capire che cosa sia successo in quelle giornate. Secondo quanto
riferito dalla polizia, il ragazzo si è presentato nell’ufficio della Polizia di frontiera in aeroporto e ha mostrato il decreto di
espulsione. Poi ha estratto una tanica di benzina, si è versato
del liquido addosso e ha cercato di darsi fuoco con un accendino.
3
Questa è solo una delle tante tragedie che non possono
non interrogarci profondamente: tante, troppe persone, cercano in Europa protezione e trovano barriere di ogni genere,
indifferenza, persino umiliazioni e vere e proprie violazioni
dei diritti umani e della loro dignità. Il Centro Astalli ha scelto di partecipare alla ricerca i cui risultati vi presentiamo sinteticamente in questa pubblicazione, insieme a nove partner
europei, nella convinzione che nelle sedi in cui si discutono
le leggi e i regolamenti continui ad arrivare troppo poco la
voce dei rifugiati e, in particolare, quella di chi ha visto crollare di fronte a sé l’ultima speranza di una vita migliore e sicura. Speriamo che questo rapporto, la cui versione integrale
è disponibile sul sito www.jrseurope.org, possa offrire un contributo a un dibattito europeo davvero costruttivo e focalizzato sul rispetto dei valori comuni su cui l’Unione è nata: la
dignità umana, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà.
Associazione Centro Astalli
Jesuit Refugee Service - Italia
4
“Da Massaua a Port Sudan, a piedi: un incubo lungo
più di 500 chilometri, attraverso il Sahara. Se guardo il nostro
itinerario su una cartina, ancora oggi mi sembra impossibile
che siamo arrivati. La morte ci camminava a fianco. Avevamo
il minimo indispensabile di cibo e di acqua, a volte anche meno. Abbiamo visto morire in quel deserto tanti giovani come
noi. Eppure andavamo avanti, sostenuti solo da un’irragionevole speranza. Siamo sopravvissuti al deserto in quattro, ma
arrivati in Libia la lotteria degli imbarchi ci ha destinato a
traversate diverse. Qualche settimana dopo lo sbarco a Lampedusa, sopravvissuto una volta di più a tanti miei occasionali
compagni di viaggio meno fortunati di me, mi sono trovato a
Trapani, ancora una volta solo. Mi hanno liberato dal centro
dove mi avevano trattenuto, ma non riuscivo a rallegrarmene:
senza soldi, senza vestiti a parte quelli che indossavo, senza
una direzione. Guardando la strada semideserta di quella periferia italiana, mi è stato chiaro che non ero ancora arrivato.
Ero in Europa, ma non ero salvo. Illegale, clandestino, probabilmente ancora braccato, anche se non sapevo più da chi. Nel
centro i miei connazionali nominavano spesso l’Inghilterra, la
strada che bisognava fare per arrivarci. Così ho fatto anch’io.
Milano, Calais, Londra. Nascondendomi ad ogni controllo,
mimetizzandomi tra le merci di un camion che si imbarcava
per attraversare la Manica.
A Newcastle pensavo di essere arrivato. Per la prima
volta, qualcuno mi ha ascoltato, mi ha spiegato cosa potevo fare. Ho chiesto asilo politico. Mi sentivo a mio agio, perché
parlavo un po’ di inglese e ho iniziato subito a perfezionarlo.
Ma non era solo una questione di lingua. In tutto il mondo
esistono gli interpreti. Quando manca la volontà di ascoltare,
le parole che si usano non hanno molta importanza. Se avessi
potuto scegliere, la mia fuga sarebbe finita lì, in Inghilterra.
Avevo degli obiettivi, dei corsi da seguire al college, un appartamento. Ma l’avvocato che seguiva la mia domanda d’asilo
mi aveva avvertito: secondo le regole europee, probabilmente
sarei stato rimandato in Italia. Noi rifugiati non possiamo sce-
5
gliere in che Paese essere accolti. Questa è la procedura, vale
per tutti, è solo questione di tempo.
Ero preoccupato, ma quando arrivò il fax dal governo italiano l’avvocato mi spiegò che dovevo stare tranquillo. In quel
documento era scritto a chiare lettere, mi disse, che in Italia ai
rifugiati sono assicurate adeguate misure di integrazione, che
avrei avuto un posto dove vivere e la possibilità di studiare e di
costruire una prospettiva stabile per me e, chissà, magari anche
per la mia famiglia. Era una lettera ufficiale, non c’erano dubbi.
Io ci ho creduto, anche se qualche dubbio in fondo al mio cuore
l’avevo, ripensando alla strada deserta di Trapani. Come temevo, all’aeroporto di Fiumicino le mie aspettative sono andate definitivamente in fumo. Un poliziotto, che mi indicava semplicemente di andarmene, quando gli ho chiesto dove potevo andare
a dormire si è messo a ridere. Una casa, io? Meglio che me lo
togliessi subito dalla testa. “Vuoi andare in Inghilterra? Torna
in Inghilterra!”. Quella risata mi suonava ancora nelle orecchie, mentre mi allontanavo a testa bassa, come un ladro” 1.
Capitolo 1
IL PROGETTO DIASP
1.1 Il Regolamento di Dublino II: dieci anni di applicazione,
nessun miglioramento 1
Il 18 febbraio 2013 ricorreva il decimo anniversario dall’entrata in vigore del Regolamento di Dublino, la normativa
dell’Unione Europea che determina quale Stato dell’Unione
sia competente per l’esame di una domanda d’asilo. Per
l’Unione Europea e per i Governi è sembrato forse appropriato celebrare il “compleanno” di una norma che è diventata,
dal loro punto di vista, la pietra miliare del Sistema d’Asilo
Comune Europeo.
Ma il Regolamento di Dublino si è anche guadagnato
aspre critiche da parte delle ONG e dei rifugiati stessi. Moltissime ricerche hanno mostrato che il “sistema Dublino”, che
nella maggior parte dei casi rimanda i richiedenti asilo nel
primo Paese europeo a cui hanno avuto accesso, spesso è in
contrasto con la protezione dei rifugiati.
Un recente rapporto di ECRE e Forum Réfugiés, Lives on
Hold 2, denuncia le dure condizioni che i richiedenti asilo si
trovano ad affrontare come conseguenza del sistema Dublino:
famiglie separate, persone prive di assistenza o detenute, addirittura impossibilità di accedere alla procedura d’asilo.
1
1
Tratto da Terre senza promesse, Centro Astalli (a cura di), Avagliano editore 2011.
6
Questo paragrafo è un adattamento dell’intervento di Philip Amaral, coordinatore dell’advocacy e della comunicazione del JRS Europa, a una
conferenza tenuta presso il Parlamento Europeo il 31 gennaio 2013, su invito della parlamentare europea Cecilia Wikström.
2
Forum Réfugiés-Cosi, ECRE, the Hungarian Helsinki Committee, The
Dublin II Regulation: Lives on Hold, febbraio 2013. Il rapporto è scaricabile dal
sito http://www.ecre.org/component/downloads/downloads/701.html
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Forse stiamo arrivando a un punto critico in cui è palese
che il sistema Dublino, per i richiedenti asilo, non funziona;
che contraddice continuamente il buon senso e la logica.
Sembra evidente che il sistema Dublino non è una pietra miliare della protezione, ma piuttosto fonte di confusione e difficoltà per la maggior parte dei richiedenti asilo che ne fanno
esperienza.
L’intento originario del sistema, ovvero prevenire il fenomeno dei richiedenti asilo “in orbita”, era e rimane un’aspirazione condivisibile. Ci dovrebbe essere un meccanismo che assicuri che i richiedenti asilo non siano ignorati dai governi.
Ma nella realizzazione effettiva questo ideale si è perso.
Questo ha reso molto difficile la vita di chi chiede asilo in
Europa. In alcuni casi il sistema Dublino ha gravemente violato i diritti fondamentali di queste persone. Tre esempi lo dimostrano.
In primo luogo, nonostante l’obiettivo che ci si era prefissati, i richiedenti asilo sono ancora “in orbita”. Nonostante
ogni misura di dissuasione, cercano comunque di arrivare nello Stato europeo dove vorrebbero vivere, oppure cercano di
scappare da uno Stato in cui non si sentono protetti. I risultati
della ricerca che il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) ha
condotto mostrano che, in media, i richiedenti asilo fanno tre
o quattro viaggi all’interno dell’Unione Europea. Sembra quasi
che più le persone sono costrette a rimanere in un Paese, più
aumenta la probabilità che cerchino di andare altrove.
In secondo luogo, a causa di Dublino, i richiedenti asilo
non sono dove hanno bisogno di essere. Molti richiedenti asilo sono costretti a vivere separati dalle proprie famiglie e
questo è una grave violazione dei loro diritti fondamentali.
Per un richiedente asilo la ‘protezione’ non è solo uno
status giuridico che deriva dalla Convenzione di Ginevra del
1951. Vuol dire anche stabilità, possibilità di vivere con la
propria famiglia e avere accesso a un alloggio adeguato e ai
servizi essenziali. I richiedenti asilo vanno dove credono che
saranno più al sicuro: dove conoscono la lingua, o dove possono trovare connazionali. Sicurezza è vivere con i propri familiari, avere un tetto sopra la testa e essere autosufficienti.
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Accedere a questo tipo di sicurezza è la loro principale aspirazione.
Infine, la maggior parte dei richiedenti asilo non sono a
conoscenza dell’unico aspetto del Regolamento di Dublino
che potrebbe migliorare la loro situazione, ovvero gli articoli
3 e 15 dell’attuale Regolamento, noti rispettivamente come
“clausola umanitaria” e “clausola di sovranità”. Gli Stati
membri applicano raramente queste clausole, anche quando
l’alternativa è separare le famiglie.
Quel che è peggio è che gli Stati membri non informano
i richiedenti asilo dell’esistenza di queste clausole. Ignorando
un aspetto così rilevante del regolamento i richiedenti asilo in
pratica non sono in grado di essere pienamente parte attiva
nella procedura Dublino, perché non sono informati di aspetti della legge che potrebbero garantire e salvaguardare i loro
diritti fondamentali. Per gli Stati membri, non informare i richiedenti asilo dell’esistenza di queste clausole significa privarsi dell’opportunità di essere pienamente informati dei fatti
e delle circostanze relativi alla storia di una persona che potrebbero legittimare il loro uso.
Nel rapporto di ECRE/Forum Réfugiés citato prima si
afferma che i richiedenti asilo nel sistema Dublino “spesso
sono trattati come una categoria di persone a parte, a cui
vengono riconosciuti meno diritti”. Purtroppo in molti casi la
situazione è proprio questa.
Per anni, i richiedenti asilo che vivevano la procedura
Dublino hanno detto al JRS che si sentivano come ‘casse di
banane’. Venivano sballottati da un Paese europeo all’altro,
senza la minima considerazione delle loro aspirazioni. La
procedura li trattava come oggetti.
L’aspetto più allarmante del sistema Dublino è che la confusione e i disagi vissuti dai richiedenti asilo avvengono senza
un motivo apparente. Il sistema europeo d’asilo non ne trae alcun miglioramento. In qualunque altro settore, una politica
dai risultati così deludenti sarebbe certamente cancellata.
Tuttavia, quest’anno il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa adotteranno una nuova versione del Regolamento di Dublino. Conterrà diversi elementi nuovi che po9
trebbero ridurre i disagi per i richiedenti asilo. Sarà previsto
un nuovo ‘diritto all’informazione’, che obbligherà gli Stati
membri ad informare più pienamente i richiedenti asilo e a
distribuire loro brochure informative. I richiedenti asilo
avranno più facilmente accesso alla tutela legale, che prevederà l’opportunità di sospendere un trasferimento se un richiedente asilo presenta ricorso contro di esso. Anche se il
JRS conserva la preoccupazione che gli Stati membri continuino ad applicare la detenzione ai richiedenti asilo, almeno
il nuovo Regolamento conterrà indicazioni più chiare che disciplinino il ricorso a questa misura. Gli Stati membri infatti
potranno ricorrere alla detenzione solo se ‘altre misure meno
coercitive’ non si rivelano efficaci. Questo significa che i richiedenti asilo durante la procedura Dublino non potranno
essere automaticamente detenuti, come avviene oggi in molti
Paesi europei.
Nonostante questi pur rilevanti cambiamenti, se gli Stati
membri non miglioreranno i loro sistemi d’asilo e se il sistema Dublino non terrà in maggior considerazione i bisogni e
le aspirazioni delle persone, non potremo ottenere un sistema
di protezione più efficace per chi ne ha bisogno.
1.2 Il progetto
Fin dalla sua adozione nel 2003, il Regolamento di Dublino ha avuto un forte impatto sull’accesso alla protezione
di chi chiedeva asilo nell’Unione Europea. Per esempio, i richiedenti asilo avevano una probabilità molto minore di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato in Grecia che nella
maggior parte degli altri Stati membri. Questo dipendeva naturalmente molto dalla qualità della procedura d’asilo, ma
anche dalle condizioni previste dal sistema di accoglienza.
Sebbene il Regolamento ammetta che uno Stato membro possa scegliere di farsi carico dell’esame di una domanda d’asilo
senza necessariamente trasferire il richiedente nel Paese di
primo ingresso, in realtà gli Stati membri raramente si avvalgono di questa possibilità. Perciò i richiedenti asilo sono re10
golarmente rimandati negli Stati che si trovano alle frontiere
dell’Europa, che spesso non hanno sistemi di asilo adeguati a
gestire tale aumento di richieste.
Nel loro lavoro quotidiano di accompagnamento dei richiedenti asilo che vivono la procedura Dublino, gli uffici nazionali del JRS sono ben consapevoli dei loro bisogni e delle
lacune del sistema di protezione europeo: famiglie separate,
lunghi periodi di detenzione, scarso accesso all’assistenza legale e procedure d’asilo inadeguate sono esperienze comuni
per i richiedenti asilo. Nel 2008 il JRS Europa ha pubblicato
un documento che evidenziava queste esperienze in Belgio,
Germania, Italia, Romania, Slovenia e Svezia; molti uffici nazionali del JRS hanno preso parte all’iniziativa di creare dei
“fogli di informazione” per richiedenti asilo che vivono la
procedura Dublino, con informazioni pratiche e ragguagli
sulle procedure in vigore in ciascun Paese, a cui altrimenti
non avrebbero accesso. Nonostante queste iniziative, si continua a sapere piuttosto poco del reale impatto che il Regolamento ha sulla vita dei richiedenti asilo.
Il progetto DIASP. Assessing the Dublin Regulation’s impact on asylum seekers’ access to protection and identifying best
practice implementation in the European Union, finanziato dal
Fondo Europeo per i Rifugiati (Refugee Fund Community
Actions 2010), aveva l’obiettivo di portare l’esperienza dei richiedenti asilo direttamente nel dibattito su Dublino dell’Unione Europea e degli Stati membri. Questo obiettivo è
stato perseguito attraverso due attività: lo studio del livello
di protezione a cui i richiedenti asilo hanno accesso quando
viene applicato il Regolamento Dublino e l’identificazione, in
10 Stati dell’Unione Europea, di buone pratiche da promuovere per l’implementazione delle procedure Dublino. Il target
della ricerca erano i richiedenti asilo interessati dalle procedure Dublino: persone che sono in attesa di essere trasferite
in un altro Stato membro (in attesa di trasferimento) e persone che sono già state reinviate da uno Stato membro all’altro
(i cosiddetti “dublinati”). Queste persone possono vivere in
centri di detenzione oppure nelle comunità ospitanti, in centri di accoglienza oppure no.
11
Coordinato dal JRS Europa, il progetto DIASP ha coinvolto 10 partner nazionali, organizzazioni che assistono persone nelle procedure Dublino: il Centro Astalli in Italia, il JRS
Belgio, il JRS Germania, il Forum Réfugiés in Francia, l’Hungarian Helsinki Committee in Ungheria, il JRS Malta, il Centrum Pomocy Prawnej Im. H. Nieć in Polonia, il JRS Romania, il JRS Svezia e il JRS Regno Unito. Ciascuno dei partner
ha realizzato circa 30 interviste a richiedenti e titolari di protezione internazionale coinvolti dalle procedure Dublino. Le
interviste riguardavano specificamente l’impatto del Regolamento sulle loro vite, come l’accesso alle cure mediche, le
procedure di determinazione dell’età per i minori, la risposta
a bisogni e vulnerabilità specifiche, l’assistenza legale, l’impatto della detenzione, le conseguenze della procedura sui legami familiari.
1.3 Le interviste realizzate
I partner del progetto hanno intervistato 257 persone in
nove Paesi dell’Unione Europea. Di queste, il 59.5% erano
persone in attesa di trasferimento e il 40.5% erano già state
trasferite da uno Stato a un altro (i cosiddetti “dublinati”).
Tabella 1 - Percentuale di persone intervistate per il progetto DIASP in
ciascun Paese partner
Percentuale sul totale
delle interviste
Belgio
Germania
Ungheria
Italia
Polonia
Svezia
Francia
Malta
Romania
12
15.6%
12.8%
11.7%
11.7%
11.7%
10.9%
10.5%
8.9%
6.2%
In attesa di trasferimento
“Dublinati”
26.1%
20.3%
5.2%
9.2%
5.2%
15%
17.6%
0.7%
0.7%
0.0%
1.9%
21.2%
15.4%
21.2%
4.8%
0.0%
21.2%
14.4%
In Belgio, Germania, Francia e Svezia sono state intervistate soprattutto persone in attesa di trasferimento. Nei Paesi
alla periferia orientale e meridionale dell’Europa – Ungheria,
Italia, Polonia, Malta, Romania – sono stati intervistati soprattutto “dublinati”.
La maggior parte degli intervistati sono uomini singoli;
l’età media è 29 anni; circa un terzo degli intervistati è coniugato. Gli intervistati provengono da nove regioni del mondo:
le prime tre per provenienza sono l’Asia Meridionale (Afghanistan, Pakistan), l’Africa Occidentale (Nigeria, Ghana, Costa
d’Avorio) e l’Africa Orientale (Eritrea, Somalia).
Quattro decimi degli intervistati hanno affermato che altri membri della loro famiglia vivono attualmente all’interno
dell’Unione Europea. Germania, Francia e Svezia sono i Paesi
in cui risultano risiedere la maggior parte dei familiari dei
“casi Dublino”, seguiti da Regno Unito, Belgio e Olanda. Solo
pochi intervistati hanno riferito di avere familiari residenti
nei Paesi di confine dell’Europa in cui è stata realizzata la ricerca (Italia, Malta, Polonia, Ungheria, Romania).
Tra le persone in attesa di trasferimento, il 35% avevano
già ricevuto, al momento dell’intervista, un ordine di trasferimento e stavano aspettando la sua implementazione, il 46%
stavano ancora aspettando di sapere se sarebbero stati trasferiti o meno, mentre il 9% avevano fatto ricorso contro un ordine di trasferimento ricevuto ed erano in attesa dell’esito.
Tra i “dublinati”, il 43% erano richiedenti asilo in procedura. Una larga maggioranza di loro provenivano da Afghanistan e Russia e sono stati per lo più intervistati dai partner
del progetto in Polonia e in Ungheria. Tra i “dublinati” c’erano anche un 21% di titolari di protezione sussidiaria, intervistati esclusivamente in Italia e a Malta, e un 20% di persone
che avevano ricevuto un diniego della domanda d’asilo, la
maggior parte dei quali sono stati intervistati in Ungheria,
ma anche a Malta, in Romania e in Svezia. Infine, il 2% di
“dublinati” erano sprovvisti di documenti e il 3% erano rifugiati: questi ultimi sono stati tutti intervistati in Italia.
Per le persone che sono state intervistate e che erano in
attesa di trasferimento la procedura è durata in media due
13
mesi e mezzo. Per 19 di queste persone la procedura, al momento dell’intervista, durava da sei mesi o più. Sei persone
avevano già trascorso nella procedura da 12 a 21 mesi.
Quattro decimi degli intervistati del progetto DIASP
al momento dell’intervista vivevano in un centro di detenzione e si trovavano lì, in media, da quasi due mesi. Il più
lungo periodo di detenzione riscontrato è stato di 10 mesi: si
trattava di un richiedente asilo pakistano che aveva ricevuto
un diniego della sua domanda di asilo ed era stato trasferito
in Ungheria. In media, il 32% dei “dublinati” aveva ricevuto
un diniego, rispetto al 45% di quelli in attesa di trasferimento.
Tabella 2 - Percentuale di intervistati in detenzione, per Paesi
ropea 3, che consente anche pratiche divergenti tra gli Stati
membri. Il futuro Regolamento Dublino III, invece, contiene
alcuni articoli legali sulla detenzione, obbligando in particolare gli Stati membri a far riferimento alle regole sulla detenzione contenuta nella Direttiva rifusa sulle condizioni di accoglienza. Il Regolamento Dublino III richiede anche che i
governi prima di ricorrere alla detenzione adottino misure
meno coercitive. Sebbene sulla carta si siano raggiunti alcuni
miglioramenti, in realtà molto resta ancora da fare. Per i migranti, la minaccia della detenzione continua ad essere un rischio concreto nell’ambito del sistema Dublino.
1.4 I dati emersi dalla ricerca, in sintesi
Conoscenza delle procedure Dublino
Paese e percentuale di detenuti
In attesa di trasferimento
Belgio
Germania
Ungheria, Polonia e Svezia
49%
24%
9%
“Dublinati”
Ungheria
Romania
Polonia
36%
30%
18%
La detenzione è un’esperienza purtroppo comune per i
richiedenti asilo e i migranti che sperimentano il sistema Dublino. La maggior parte dei Paesi europei applicano la detenzione alle persone che attendono di essere trasferite in un altro Stato membro. Nel Regolamento di Dublino non ci sono
regole comuni rispetto al ricorso alla detenzione: i migranti
sono lasciati in una sorta di zona grigia della legislazione eu-
• Le persone che hanno viaggiato più volte all’interno dei
Paesi europei hanno in media una conoscenza più completa del sistema Dublino.
• Il 55% degli intervistati sapeva poco o nulla delle procedure Dublino.
• È più probabile che siano comprese le informazioni date
oralmente in modo accurato, piuttosto che solo in forma
scritta.
• Gli avvocati aiutano le persone a capire le informazioni
più tecniche e specifiche della procedura; le ONG aiutano invece a comprendere il quadro generale.
Ricorsi
• Il 47% degli intervistati non sapeva come fare ricorso
contro un ordine di trasferimento; la percentuale sale al
50% tra i “dublinati”.
3
La direttiva “Rimpatri” è la sola legge europea che elenca le linee guida per la detenzione, in questo caso dei migranti irregolari durante la procedura di rimpatrio. Le leggi europee in materia d’asilo, e specificamente la Direttiva sulle Condizioni di Accoglienza e la Direttiva sulle Procedure d’Asilo,
non contengono tali linee guida; nell’ultima si afferma, tra l’altro, che “gli
14
Stati membri non dovrebbero tenere una persona in detenzione per l’unica
ragione di essere un richiedente asilo” (art. 18.1). Tuttavia la nuova Direttiva
“rifusa” sulle Condizioni di Accoglienza e la nuova versione del Regolamento di Dublino conterranno ulteriori linee guida sulla detenzione.
15
• Il 60% degli intervistati non ha neanche provato a fare
ricorso contro l’ordine di trasferimento.
• Le persone hanno una probabilità molto maggiore di
presentare ricorso quando sono informate di questa opportunità, specialmente da parte di un avvocato.
• Il 64% degli intervistati non conosceva l’esistenza delle
clausole di discrezionalità.
• Le persone che sono informate a proposito delle clausole
di discrezionalità in forma scritta e orale hanno una probabilità maggiore di presentare ricorso contro un ordine
di trasferimento rispetto ai richiedenti che ne sono stati
informati soltanto in una delle due forme.
Procedura d’asilo
• Il 48% dei richiedenti asilo non sapeva nulla o sapeva
pochissimo rispetto all’andamento della propria pratica
di asilo.
• Le persone hanno una più alta probabilità di essere informate se sono in contatto con un avvocato.
• Il 47% delle persone in attesa di trasferimento non sapevano come presentare domanda d’asilo nel Paese in cui
sarebbero stati trasferiti.
• Il 56% delle persone in attesa di trasferimento non sapevano cosa avrebbero fatto dopo il trasferimento.
Benessere e accesso ai servizi essenziali
• L’accesso alle cure mediche è il servizio a cui gli intervistati hanno riferito di avere più facilmente accesso.
• Gli intervistati hanno detto di avere relazioni familiari e
contatti in Belgio e in Francia più che negli altri Paesi
dove è stata realizzata la ricerca.
• L’accesso ai servizi essenziali (come il trasporto pubblico, il cibo e il vestiario o il pagamento di un sussidio sociale) e la conoscenza della lingua sono le ragioni principali per cui gli intervistati hanno dichiarato di avere
maggiori contatti con un Paese piuttosto che un altro.
• Il 38% degli intervistati ha dichiarato che Dublino ha
16
•
•
•
•
•
avuto un impatto negativo sulla loro situazione familiare.
Il 40% degli intervistati si trovava in detenzione.
Le persone in detenzione hanno meno probabilità di essere informati sulla procedura Dublino e anche meno
probabilità di parlare una seconda lingua rispetto a una
persona che non si trova in detenzione.
Il 70% di tutti gli intervistati non ha mai cercato di nascondersi alle autorità.
Il 73% degli intervistati detenuti non ha mai cercato di
nascondersi alle autorità: anche per questo non riescono
a comprendere il motivo della loro detenzione.
Le persone hanno maggiore probabilità di nascondersi
alle autorità se ritengono che i servizi essenziali a cui
hanno accesso in un Paese europeo sono insufficienti.
Opinioni personali sul sistema Dublino
• L’84% degli intervistati ritengono che il sistema Dublino
sia iniquo e ingiusto, soprattutto perché impedisce di
decidere in quale Paese europeo chiedere asilo.
• La detenzione, l’impossibilità di lavorare e la mancanza
di stabilità sono i problemi più gravi che gli intervistati
individuano rispetto alla propria esperienza nella procedura Dublino.
• Le persone intervistate in Ungheria, Italia, Malta e Romania hanno un giudizio più critico rispetto al sistema
Dublino di quelle intervistate in Belgio e in Germania.
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Capitolo 2
I RISULTATI DEL PROGETTO IN ITALIA
2.1 Modalità di realizzazione della ricerca
Il Centro Astalli ha realizzato 30 interviste a Roma nell’ambito del progetto DIASP, soprattutto presso il Centro di
Ascolto e Orientamento Legale. Altre interviste sono state
condotte alla scuola di italiano del Centro Astalli 1.
16 intervistati su trenta erano “dublinati”, soprattutto di
nazionalità somala: 13 erano titolari di protezione (10 erano
titolari di protezione sussidiaria e 3 avevano lo status di rifugiato).
Gli altri 14 intervistati erano persone in attesa di essere
trasferite in un altro Stato membro, in diverse fasi della procedura Dublino: 7 erano in attesa di una decisione in merito
1
La raccolta e l’elaborazione dei dati è stata curata da Fabiana Giuliani, con la collaborazione dei suoi colleghi del Centro di Ascolto (Filippo
Guidi e Emanuela Ricci), dello staff e dei volontari della scuola di italiano
del Centro Astalli e della mediatrice culturale di lingua persiana che collabora con l’ambulatorio del Centro Astalli, Parì Nayyereh.
Mohamed Ali Korane, un rifugiato somalo che in passato è stato supportato dal Centro Astalli per l’orientamento legale e per la formazione professionale, ha dato un importante contributo individuando alcuni suoi connazionali, “dublinati” in Italia, che attualmente vivono in insediamenti
abusivi a Roma. Ha inoltre collaborato in qualità di interprete.
La sezione relativa all’applicazione del Regolamento Dublino II in Italia è stata realizzata grazie alla collaborazione di diverse associazioni specializzate in tema di asilo a Roma e in altre città italiane e, in particolare,
Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI www.asgi.it), Programma Integra (www.programmaintegra.it) e FOCUS Casa dei Diritti Sociali (www.dirittisociali.org).
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al loro trasferimento, 3 avevano presentato ricorso contro il
trasferimento e 4 si trovavano in altre situazioni.
Il tempo medio che gli intervistati avevano trascorso nella procedura Dublino al momento dell’intervista era 7,85 mesi. Uno degli intervistati attendeva la conclusione della procedura già da 21 mesi.
La maggior parte degli intervistati era di nazionalità somala; altre nazionalità molto rappresentate sono state Nigeria, Costa d’Avorio, Togo e Senegal. Il resto degli intervistati
veniva da Afghanistan, Iran e Turchia (Kurdistan). Erano tutti uomini e l’età media era 28 anni: il più giovane aveva 19
anni e il più vecchio 49. Dieci erano sposati, uno vedovo e il
resto erano single. Undici intervistati avevano fratelli, cugini
o zii in altri Stati membri, come Austria, Inghilterra, Francia,
Olanda e Svezia.
27 intervistati su 30 parlavano più di una lingua: le lingue più parlate erano inglese, francese e arabo. Anche se non
è stato possibile verificare il grado di conoscenza di queste
lingue, loro affermavano di conoscerle “un poco”.
La maggior parte degli intervistati ha affermato di parlare almeno un poco l’italiano, soprattutto i “dublinati” che
avevano trascorso un certo periodo di tempo in Italia prima
di trasferirsi in un altro Paese europeo, da cui sono poi stati
rimandati indietro. La maggior parte delle persone che non
parlava affatto l’italiano non erano mai state in Italia precedentemente. Alcuni intervistati parlavano curdo, pashtun,
swahili e turco.
2.2 L’applicazione del Regolamento Dublino II in Italia
Il Regolamento di Dublino II interessa due categorie di
migranti: quelli che sono stati rimandati in Italia in quanto
essa è stata individuata come Stato responsabile per esaminare la loro domanda d’asilo (“dublinati”) e quelli che devono
essere trasferiti dall’Italia a un altro Stato europeo, dove precedentemente sono stati identificati attraverso le impronte digitali (in attesa di trasferimento).
20
Secondo i dati contenuti in due recenti rapporti2, la maggior parte dei “casi Dublino” in Italia sono persone che sono
state trasferite in Italia da un altro Stato membro. Alcuni di
questi trasferimenti, in realtà, riguardano persone che hanno
già completato la procedura d’asilo in Italia e che, dopo aver
ottenuto una forma di protezione internazionale, si sono trasferite in un altro Paese in cerca di migliori opportunità di inclusione sociale. Però, dal momento che non sono cittadini
italiani (la procedura per ottenere la cittadinanza in Italia è
molto lunga, anche per i rifugiati), non hanno la possibilità di
soggiornare e lavorare legalmente in un altro Stato membro.
Questo emerge chiaramente dalle interviste, specialmente
quelle rivolte a persone che attualmente vivono in insediamenti abusivi a Roma, in condizioni di grave esclusione e
marginalità sociale3.
2
ASGI ”Il Diritto alla protezione. La protezione Internationale in Italia
quale futuro. Studio sullo stato del sistema di asilo in Italia e proposte per una sua
evoluzione. FER nazionale, Programma Annuale 2009 e CIR, Progetto Dubliners. Rapporto finale, 2010, FER comunitario 2007.
3
I principali problemi in merito all’accoglienza e integrazione dei
rifugiati in Italia sono stati evidenziati dal Report di Nils Muižnieks,
Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, in seguito alla visita da lui effettuata in Italia tra il 3 e il 6 luglio 2012 CommDH(2012)26
(https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.
CmdBlobGet&InstranetImage=2143096&SecMode=1&DocId=1926434&
Usage=2).
Il rapporto menziona anche il fatto che l’insufficienza del sistema di
accoglienza e integrazione italiano ha portato ad alcuni ricorsi contro trasferimenti Dublino verso l’Italia in diversi tribunali nazionali europei: “Il Commissario osserva che il problema delle condizioni di vita del richiedente asilo in Italia è oggetto di particolare attenzione da parte degli altri stati
membri dell’UE, in ragione del numero crescente d’istanze di impugnazione
depositate da parte dei richiedenti asilo contro il provvedimento di trasferimento in Italia, come previsto dal Regolamento di Dublino. Il Commissario
nota, inoltre, che una serie di sentenze pronunciate da alcuni tribunali amministrativi in Germania ha determinato la sospensione di tali trasferimenti,
soprattutto per evitare il rischio che le persone in questione diventassero
dei senzatetto e vivessero al di sotto dei requisiti minimi di sussistenza. La
Corte ha inoltre ricevuto delle istanze di ricorso per presunte violazioni dell’Articolo 3 presentate in relazione ai trasferimenti in Italia previsti dal Regolamento di Dublino. Alcuni casi comunicati di recente riguardano, tra gli
21
Per capire meglio la concreta applicazione del Regolamento Dublino II in Italia, è necessario analizzare separatamente il caso delle persone in attesa di trasferimento e quello
dei cosiddetti “dublinati”.
1) Le persone rimandate in Italia ai sensi del Regolamento di Dublino II possono essere richiedenti asilo oppure
persone già titolari di una forma di protezione: status di rifugiato, protezione sussidiaria o protezione umanitaria. Tutti
questi casi in genere vengono trasferiti in Italia in aereo,
soprattutto all’aeroporto di Roma Fiumicino e all’aeroporto
internazionale di Milano Malpensa. Al loro arrivo, le persone
si recano allo sportello asilo gestito da ONG in convenzione
con le Prefetture. Questi sportelli sono un’importante fonte
di informazioni per i casi Dublino, specialmente per i richiedenti asilo, rispetto al funzionamento della procedura in
Italia.
altri, dei ricorsi contro la Svezia e la Danimarca. Va anche ricordato che in
due ricorsi contro l’Austria, la Corte ha deciso nei primi mesi del 2012 di applicare la misura cautelare prevista dalla Regola 39 e ha richiesto al governo
austriaco di sospendere il trasferimento in Italia dei ricorrenti fino a nuovo
ordine”. (§ 148). Durante il suo soggiorno a Roma, il Commissario ha visitato
un edificio universitario dismesso alla periferia sud-est della città, occupato
da rifugiati riconosciuti e altri titolari di protezione internazionale originari
del Sudan e del Corno d’Africa e ha denunciato le condizioni sconvolgenti in
cui queste persone vivono (§ 159-162). Il Centro Astalli, in collaborazione con
Caritas Roma e altre ONG operanti a Roma, Milano e Firenze, ha realizzato
una ricerca – finanziata dal Fondo Europeo per i Rifugiati (AP 2010) – su queste occupazioni (Mediazioni Metropolitane. Studio e sperimentazione di un modello
di dialogo e intervento a favore dei richiedenti e titolari di protezione internazionale
in situazione di marginalità: http://www.caritasroma.it/wp-content/uploads/
2011/05/Mediazioni-Metropolitane-Rapporto-di-ricerca.pdf). Nel corso della ricerca sono state realizzate 520 interviste a richiedenti e titolari di protezione internazionale che abitavano in tali insediamenti. Il 43,4% degli intervistati, dopo essere arrivati in Italia, si erano trasferiti in un altro Paese
europeo (soprattutto Svezia, Norvegia, Finlandia, Olanda, Regno Unito,
Germania e Svizzera). La loro permanenza all’estero era durata nella maggior parte dei casi tra 6 e 12 mesi e la maggior parte di loro erano stati costretti a tornare in Italia a causa del Regolamento di Dublino II (Mediazioni
Metropolitane, p. 22).
22
Di solito l’Unità Dublino invia una comunicazione ufficiale alle ONG che operano agli sportelli di frontiera in merito all’arrivo di casi Dublino, soprattutto per organizzare,
quando possibile, la loro accoglienza, che è solitamente garantita alle persone in condizione di particolare vulnerabilità,
ad esempio ai malati.
A questo punto ci sono due possibilità:
a) Se il “dublinato” trasferito in Italia è già in possesso di
un permesso di soggiorno italiano e di una forma di protezione, viene indirizzato al checkpoint della polizia di frontiera
per il controllo delle impronte digitali, ma poi non ha altri obblighi specifici. Rispetto all’accoglienza, l’unica opzione che ha
è rivolgersi al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) per chiedere un posto in un centro di accoglienza, a condizione che non si sia già avvalso di questa possibilità durante il suo precedente soggiorno in Italia.
b) Se il “dublinato” aveva già presentato domanda di
protezione internazionale in Italia, ma ha lasciato il Paese prima della fine della procedura d’asilo, la polizia di frontiera
rileva le impronte digitali e consegna alla persona una lettera
di invito a recarsi alla Questura competente entro un determinato lasso di tempo.
Se il richiedente asilo aveva lasciato l’Italia prima di sostenere l’intervista con la Commissione Territoriale competente per l’esame della domanda, la procedura d’asilo è automaticamente riattivata dalla Questura di competenza, a cui la
polizia di frontiera indirizza il richiedente asilo. La Questura
dà al richiedente asilo un cedolino o un permesso di soggiorno temporaneo, rinnovabile fino alla data fissata per l’intervista. Intanto la persona gode di tutti i diritti del richiedente
asilo, in particolare l’accesso all’assistenza sanitaria e al sistema di accoglienza.
In Italia i migranti nel sistema Dublino hanno un buon
accesso alle procedure d’asilo. Questo dipende in parte dalle
informazioni fornite agli sportelli aeroportuali dalle ONG e
dalle associazioni locali a cui i migranti si rivolgono per essere sostenuti.
23
Rispetto al diritto all’accoglienza, per i casi Dublino trasferiti in Italia non vigono regole particolari: sono trattati
esattamente come gli altri richiedenti asilo.
D’altro canto, se il “dublinato” aveva lasciato l’Italia dopo aver ricevuto una decisione negativa da parte della Commissione Territoriale, riceve dalla Questura un decreto di
espulsione e ha diritto di presentare ricorso al Tribunale Ordinario, di solito entro 30 giorni – oppure entro 15 giorni nel
caso sia stato accolto in un CARA durante il suo precedente
soggiorno in Italia.
Il ricorso non ha automaticamente effetto sospensivo rispetto all’espulsione: la sospensione va richiesta separatamente dall’avvocato che presenta il ricorso. Il problema consiste nel fatto che tra la richiesta di sospensione e il momento
della decisione in merito la persona è priva di documenti e
corre il rischio di essere espulsa.
Se il giudice decide di concedere la sospensione, il ricorrente può continuare ad usufruire delle misure di accoglienza; se invece il giudice non la autorizza, la persona si vede
privata di tutti i diritti essenziali.
2) Il secondo tipo di casi Dublino in Italia sono le persone in attesa di essere trasferite dall’Italia al primo Paese europeo in cui sono state rilevate le loro impronte digitali o in
cui hanno presentato domanda d’asilo (in attesa di trasferimento).
Quando i poliziotti in Questura rilevano le impronte digitali, scoprono che il migrante in questione è già transitato
in un altro Paese europeo. A quel punto attivano la Procedura Dublino, inviando il loro dossier all’Unità Dublino del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno. A quel punto è l’Unità Dublino a decidere se
attivare la procedura di reinvio verso lo Stato membro responsabile dell’esame della domanda, oppure permettere alla
persona di restare in Italia e continuare la procedura d’asilo.
Nel frattempo, il richiedente asilo riceve dalla Questura un
cedolino, oppure un permesso di soggiorno valido per uno o
per tre mesi.
24
L’attesa della decisione da parte dell’Unità Dublino può
essere molto lunga, specialmente per le persone accolte nei
CARA, che arrivano ad aspettare fino a sette o otto mesi. Ciò
è dovuto al fatto che l’Unità Dublino è unica e un solo ufficio
ha in carico i casi di tutto il territorio nazionale.
Quando un richiedente asilo riceve l’ordine di trasferimento verso un altro Paese europeo, ha diritto a presentare ricorso, entro 60 giorni, al TAR. Per questo tipo di ricorso non è
prevista audizione, il tempo di attesa è molto lungo (fino a tre
anni) e il ricorso non ha effetto sospensivo. Sta all’avvocato
che si occupa del caso presentare richiesta specifica per la sospensione del provvedimento contestato. Se il giudice non autorizza il richiedente asilo a rimanere sul territorio fino all’esito finale del ricorso, l’interessato non riceve un permesso di
soggiorno, non può fruire delle misure di accoglienza e di sostegno sociale ed è soggetto a espulsione. Il migrante può rimanere in questa condizione per molto tempo, senza aver accesso all’accoglienza né all’assistenza sanitaria.
Il richiedente asilo ha diritto al gratuito patrocinio a carico dello Stato, ma deve trovarsi da solo un avvocato. Nella
maggior parte dei casi, il richiedente asilo si rivolge a associazioni e ONG competenti in materia di asilo e immigrazione. L’avvocato ha diritto di essere presente quando il richiedente asilo incontra le autorità.
Non sono disponibili statistiche in merito ai ricorsi.
Il costo di eventuali traduzioni di documenti richiesti,
come certificati medici, sono del tutto a carico dei ricorrenti.
Informazioni
In Italia è la polizia, attraverso l’Ufficio Immigrazione
della Questura, l’autorità responsabile per fornire informazioni ufficiali sul Regolamento Dublino II, dal momento che
l’Unità Dublino italiana non ha uno sportello di front office
accessibile per i richiedenti asilo.
È un dato di fatto che il Regolamento Dublino II sia
complesso e di non agevole comprensione e interpretazione,
specialmente per i richiedenti asilo poco scolarizzati o che
25
non comprendono nessuna lingua europea. Per questa ragione le ONG hanno un ruolo importante perché assicurano la
mediazione tra richiedenti asilo, polizia e Unità Dublino.
La Questura dove il richiedente asilo ha presentato la
sua domanda di protezione internazionale gli notifica l’ordine di trasferimento, che è tradotto in inglese, ma non nelle
lingue più parlate dai richiedenti asilo in Italia (come francese, farsi, curdo, amarico e somalo). Negli uffici della Questura di Roma operano interpreti ufficiali pagati dallo Stato ma,
alla luce dell’esperienza dei richiedenti asilo, può accadere
che l’ordine di trasferimento sia notificato all’interessato senza spiegazioni di sorta.
I funzionari di polizia non hanno un dovere specifico,
sancito dalla normativa, di offrire ai richiedenti asilo spiegazioni contestuali in merito all’ordine di trasferimento, né di
fornire loro spiegazioni scritte (tipo brochure) sul Regolamento di Dublino II.
Un recente progetto realizzato dal Consiglio Italiano per i
Rifugiati e finanziato dal Ministero dell’Interno (Dipartimento
per le Libertà Civili e l’Immigrazione) e dall’Unione Europea
(Fondo Europeo per i Rifugiati), ha pianificato una campagna
per informare richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione
sussidiaria e umanitaria in merito al Regolamento di Dublino
II e ai diritti e doveri che esso prevede per i migranti.
Il progetto prevedeva 4:
– uno spot di 30 secondi trasmesso nelle principali stazioni ferroviarie italiane;
– un video di 7 minuti trasmesso nei principali CARA;
– 50.000 brochure stampate in 10 lingue e distribuite in
500 luoghi strategici quali gli Uffici Immigrazione, gli Sportelli Immigrazione alla frontiera, i centri di accoglienza e le
sedi delle associazioni che assistono casi Dublino.
Questi strumenti hanno certamente contribuito positivamente alla messa in circolo dell’informazione sul Regolamen-
to di Dublino II, ma non bastano a garantire una diffusione
adeguata per diverse ragioni: alcuni richiedenti asilo sono
analfabeti e dunque non sono in grado di leggere la brochure
anche quando è stampata nella loro lingua; non è garantito
che tutti i casi Dublino avranno accesso a questo materiale
informativo; infine prima o poi il materiale cartaceo realizzato si esaurirà e non è prevista alcuna ristampa.
L’uso delle clausole di discrezionalità da parte dell’Unità Dublino
italiana
L’Unità Dublino italiana fa parte del Dipartimento per le
Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno. C’è
un solo ufficio, a Roma, che deve esaminare tutti i casi Dublino a livello nazionale; questo può causare forti ritardi nella notifica degli ordini ufficiali di trasferimento ai richiedenti asilo.
L’Unità Dublino non ha un sito internet dove accedere a
dati e statistiche. Queste ultime sono rese pubbliche ogni anno nell’ambito del compendio statistico generale del Ministero dell’Interno. I richiedenti asilo che desiderano chiedere informazioni non possono contattare direttamente l’Unità
Dublino, perché non esiste un front office. La maggior parte
dei richiedenti asilo cercano dunque un intermediario e si rivolgono per questo ad associazioni e ONG locali.
Le ONG o gli avvocati possono offrire due forme di assistenza: trovare un avvocato pro-bono per fare ricorso al TAR
contro la decisione di trasferimento e contattare l’Unità Dublino per chiedere una revisione della decisione ai sensi delle
clausole di discrezionalità: la clausola di sovranità e la clausola umanitaria.
È difficile stabilire quanto spesso si faccia ricorso a queste clausole: tutti gli esperti intervistati nell’ambito del progetto DIASP, che lavorano per associazioni e ONG impegnate
in materia d’asilo 5, hanno notato un cambiamento nell’appli5
4
26
http://www.helpdubliners.it/images/pdf/italiano.pdf
ASGI Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, CDS Casa dei
Diritti Sociali-Focus, Programma Integra del Comune di Roma, CIR Consiglio Italiano per i Rifugiati.
27
cazione di tali clausole nel corso dell’ultimo anno e mezzo.
Sembra che in questo periodo siano state applicate meno frequentamente rispetto al passato, sebbene non siano disponibili statistiche per verificarlo.
Rispetto ai criteri per l’applicazione di queste clausole,
l’Unità Dublino dichiara 6 che il principale è un esame caso
per caso delle pratiche. In base all’esperienza degli operatori
legali, entrambe le clausole di discrezionalità sono applicate
in casi di ricongiungimenti familiari e di migranti in condizioni di vulnerabilità.
Per essere considerato “vulnerabile” un richiedente asilo
deve essere affetto da disturbi psicologici e psichiatrici di
particolare gravità, dal momento che si parte dal presupposto
che quasi tutti i Paesi europei abbiano standard simili rispetto all’assistenza sanitaria e siano dunque in grado di accogliere senza difficoltà anche persone malate. Per dimostrare
la condizione di vulnerabilità del richiedente asilo è richiesta
una relazione medica.
In Italia la maggior parte dei casi Dublino sono casi di
reinvii da parte di altri Paesi europei; i trasferimenti dall’Italia sono relativamente rari.
Tra le richieste di trasferimento e l’effettiva esecuzione
del provvedimento c’è un gap temporale. Questo è dovuto al
fatto che la maggior parte dei casi Dublino riescono a trovare
assistenza legale e a presentare ricorso al Trbunale. Sulla base
delle statistiche del 2008/2009 7, nel 2009 su 1.377 richieste di
trasferimento dall’Italia a un altro Paese europeo, solo 47 sono state implementate (3,4%); nel 2010 su 1607 ne sono state
implementate 113 (7% circa). Rispetto all’esecuzione dei trasferimenti, la polizia solitamente fornisce al richiedente asilo
una spiegazione generale dell’ordine di trasferimento insieme
a un invito scritto a presentarsi in Questura in una particolare data. Se il richiedente asilo si presenta, viene accompagna6
Intervista del 10 luglio 2012 con Antonella Dinacci, VicePrefetto e
responsabile dell’Unità Dublino italiana.
7
ASGI, Il Diritto alla Protezione, FER, AP 2009 e CIR, Progetto Dubliners. Rapporto finale, 2010, FER comunitario 2007, p. 36
28
to all’aeroporto per essere trasferito nello Stato responsabile
dell’esame della domanda d’asilo e non c’è la possibilità di
evitare il trasferimento. Per questa ragione, i richiedenti asilo
in questo caso in genere evitano di presentarsi in Questura.
Gli operatori legali intervistati hanno riferito che nella
loro esperienza non ci sono stati casi di trasferimenti volontari: quando questi si verificano, sono tutti forzati, ma non
sono disponibili informazioni riguardo alla modalità in cui
siano effettivamente realizzati (se il richiedente asilo sia scortato, o altri dettagli).
Condizioni di accoglienza
Rispetto all’accoglienza per i casi Dublino, i richiedenti
asilo e i titolari di protezione internazionale già in possesso
di permesso di soggiorno sono trattati in modo diverso.
I primi sono trattati come richiedenti asilo “ordinari” e
hanno maggiore probabilità di accedere a un centro di accoglienza, mentre per gli altri si suppone che siano già autosufficienti e possono richiedere di essere accolti in un centro soltanto se non ne hanno già usufruito nel corso del loro
precedente soggiorno in Italia.
A Roma esistono quattro possibilità di accoglienza per i
casi Dublino:
• il Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) è una rete di progetti di accoglienza gestita dai
Comuni. Il sistema mira all’”accoglienza integrata”: offre cioè
non solo vitto e alloggio, ma anche misure concrete di supporto all’integrazione sociale degli ospiti. Il sistema ha posti
sparsi su tutto il territorio nazionale, ma in numero insufficiente rispetto alla richiesta. Nel 2010, in Italia sono state presentate 12.121 domande d’asilo (dati Ministero dell’Interno),
ma per il biennio 2009/2010 lo SPRAR poteva contare su appena 3.000 posti;
• i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA):
l’invio del richiedente asilo a uno di questi centri è deciso
dalla Questura responsabile per l’esame della richiesta d’asilo. La maggior parte dei casi Dublino – sia quelli che arriva29
no a Fiumicino che quelli che si rivolgono alla Questura – sono inviati al CARA di Castelnuovo di Porto, a circa 40 km da
Roma, una struttura che può ospitare fino a 650 persone;
• l’Ufficio Immigrazione (UI) del Comune di Roma gestisce 24 strutture di accoglienza per un totale di 1.356 posti 8.
La lista di attesa al 30 giugno 2012 contava 1.812 persone
(calcolando le domande presentate da non più di un anno) e
il periodo medio di attesa era di tre-quattro mesi;
• il Centro ENEA è una struttura di accoglienza che fa
parte dell’Ufficio Immigrazione del Comune di Roma ed è
gestito dall’Arciconfraternita del S.S. Sacramento e S. Trifone
a Roma. Dispone di 600 posti, 80 dei quali sono riservati a
persone in transito arrivate all’aeroporto di Fiumicino.
I “dublinati” che sono ancora richiedenti asilo, una volta
arrivati a Fiumicino, sono solitamente inviati al Centro
ENEA. Chi non riesce a trovare disponibilità di posto, può
presentare domanda al circuito dell’Ufficio Immigrazione del
Comune di Roma. Il problema maggiore riguarda i “dublinati” che sono già titolari di una forma di protezione. È infatti
probabile che abbiano già usufruito di almeno una delle opzioni di accoglienza possibili e, nel caso che abbiano abbandonato il centro spontaneamente prima della scadenza del
termine previsto, non hanno più diritto ad accedere al sistema di accoglienza. La maggior parte delle persone che vivono nelle occupazioni rientrano in questa categoria.
Detenzione
Il sistema italiano non prevede la detenzione per i casi
Dublino, né per le persone rimandate in Italia da altri Stati
membri né per quelli che sono in attesa di essere trasferiti in
altri Paesi, sia che stiano attendendo la decisione dell’Unità
Dublino o l’esito del ricorso al TAR.
8
V. Fabbri - M. Saggion, “I rifugiati a Roma. I numeri dell’accoglienza, I percorsi di integrazione”, in Caritas di Roma – Camera di Commercio
e Provincia di Roma, Osservatorio romano sulle migrazioni. Nono rapporto, Roma, dicembre 2012, p. 209.
30
2.3 I dati dei questionari
Storia personale
Sebbene agli intervistati venisse chiesto di descrivere gli
spostamenti compiuti dal momento dell’ingresso sul territorio dell’Unione, loro tendevano a descrivere minuziosamente
tutto il viaggio compiuto, fin dalla fuga dal Paese d’origine.
La maggior parte di loro è arrivata in Italia in seguito a un
viaggio considerevolmente lungo, attraverso tre, quattro o
persino cinque Paesi africani diversi.
“Ho lasciato la Costa d’Avorio nel 2005 e ho attraversato il
Mali e l’Algeria per raggiungere la Libia, dove ho trascorso tre
anni. Da lì ho raggiunto Malta in barca. Sono arrivato a Malta
nel luglio 2008 e ho passato tre anni lì. (…) Sono arrivato in
Italia via mare nel settembre 2011 e ho presentato domanda
d’asilo”.
Anche la maggior parte dei somali ha descritto un viaggio molto lungo:
“Ho lasciato la Somalia nel marzo del 2007 e sono andato in
Eritrea, Sudan e Libia. In Libia ho trascorso quattro mesi e poi
sono venuto in Italia in un barcone”.
“Ho lasciato la Somalia a agosto 2008 e ho attraversato l’Etiopia, il Sudan e la Libia. In Libia mi sono fermato due settimane e poi sono arrivato via mare in Italia”.
“Ho lasciato la Somalia nel 2005, sono andato in Kenya, Etiopia, Uganda, Sudan e infine in Libia. In Libia ho passato un
anno in prigione. Da lì sono arrivato in Italia in barca nel
2008”.
Quando ai richiedenti asilo è stato chiesto se, a loro avviso, le probabilità di ottenere una risposta positiva alla loro
domanda di protezione fossero maggiori o minori a causa del
regolamento Dublino II, alcuni – soprattutto “dublinati” somali – hanno sottolineato di non aver avuto problemi a viaggiare in Europa perché erano già titolari di protezione sussidiaria. In effetti l’applicazione del Regolamento di Dublino II
31
a una persona che ha già completato con successo la procedura d’asilo è abbastanza paradossale. In questo caso, non si
fa che impedire ai rifugiati e agli altri titolari di protezione di
integrarsi in Europa, magari servendosi delle loro reti di familiari e amici.
Più della metà delle persone in attesa di trasferimento
intervistate hanno detto che la procedura Dublino ha diminuito le probabilità che la loro domanda di protezione venga
accolta.
“I trasferimenti da un Paese europeo all’altro hanno reso la
mia procedura d’asilo sempre più complicata. Ogni volta che
chiedevo asilo in un Paese europeo, le autorità nazionali volevano rimandarmi in Italia. Così la procedura è diventata lunga
e lenta”.
“I trasferimenti tra i Paesi hanno peggiorato la mia situazione
perché, secondo la procedura Dublino, non è possibile scegliere il posto dove vogliamo vivere e io non mi aspettavo che la
vita in Belgio sarebbe stata così difficile”.
Gli intervistati spesso raccontavano i propri viaggi in Europa facendo riferimento al numero di volte in cui erano stati
rimandati in Italia: questo era soprattutto il caso dei somali, titolari di protezione sussidiaria in Italia, che, sebbene venissero
rimandati indietro, continuavano a provare più volte a trasferirsi in un altro Paese europeo. Hanno raccontato di aver lasciato l’Italia due o persino tre volte in pochi anni, perché volevano trovare un lavoro e beneficiare dei sussidi sociali e per
l’integrazione che altrove spettano ai rifugiati riconosciuti.
Questo rivela una certa macanza di conoscenza del funzionamento del sistema d’asilo in Europa e del Regolamento di Dublino e forse – almeno in alcuni casi – anche la consapevolezza
che, considerate le condizioni in cui si trovavano a vivere in
Italia, valeva comunque la pena di tentare di andare all’estero.
Conoscenza della procedura
La maggior parte degli intervistati (64%) ha detto di sapere qualcosa del sistema Dublino, per lo più in merito alle
32
impronte digitali e alla regola del “primo Paese europeo di
arrivo”.
“Il Regolamento di Dublino significa che devi chiedere asilo
nel primo Paese europeo dove arrivi e dove la polizia ti prende le impronte digitali. Non puoi scegliere il Paese europeo
dove vivere. Le impronte digitali sono molto importanti per
capire dove devi fare domanda d’asilo”.
“Significa che il primo Paese di Europa dove arrivi e chiedi
asilo, ottenendo un permesso di soggiorno, diventa quello dove devi per forza restare a vivere. Non puoi andare in un altro
Paese europeo per chiedere asilo o per lavorare”.
“La procedura Dublino è un problema collegato alle impronte
digitali degli stranieri. Il posto in Europa in cui la polizia
prende le tue impronte digitali diventa il posto dove devi per
forza stare”.
Quando è stato chiesto agli intervistati di valutare la loro conoscenza del Regolamento Dublino e delle procedure,
più della metà ha detto di conoscerle “così così”; poco più di
un terzo (36.4%) aveva “sentito parlare di Dublino ma non
aveva capito in cosa consistesse per mancanza di informazioni”. Soltanto uno degli intervistati si sentiva bene informato,
pur essendo consapevole che alcuni aspetti comunque non
gli erano noti.
La sensazione di essere più o meno informati in merito
alla procedura Dublino è apparsa direttamente proporzionale
al numero di lingue parlate e al livello di istruzione degli intervistati.
Rispetto alle fonti di informazione riguardo al Regolamento Dublino, la metà degli intervistati ha dichiarato di essere stati informati da avvocati e, in misura leggermente minore, dalle ONG (40.9%):
“Un mediatore culturale che lavora per una ONG mi ha spiegato cosa significa Regolamento Dublino II e quali sono le conseguenze di questa legge”.
Il 22.7% degli intervistati hanno detto di essere stati informati da altri migranti:
33
“Alcuni iraniani mi hanno spiegato che se avevo chiesto asilo in
Belgio, non potevo chiederlo di nuovo in Italia. Li ho incontrati
alla mensa di una ONG un mese dopo il mio primo appuntamento allo Sportello Immigrazione per la domanda d’asilo e in
quella occasione mi hanno spiegato come funziona”.
Il fatto che solo una piccola percentuale degli intervistati
abbia ottenuto le informazioni dalle autorità italiane si deve
al fatto che l’Unità Dublino in Italia non fornisce informazioni direttamente ai richiedenti asilo, perché è priva di front
office.
Quasi tutti gli intervistati sono stati informati oralmente
e hanno dichiarato di aver capito l’informazione perché è stata data loro nella loro lingua o in una lingua che comprendevano, oppure grazie alla presenza di interpreti. Solo due degli intervistati hanno detto di non aver capito le informazioni
ricevute perché erano in una lingua che non capivano. Solo
un uomo ha ricevuto le informazioni per iscritto e un altro ha
trovato le informazioni da solo su internet.
“A Malta l’ONG che lavora nel centro di detenzione mi ha dato una brochure in inglese e ho potuto leggere della procedura
Dublino”.
“Ho trovato le informazioni sul Regolamento Dublino da solo
su internet”.
Le persone in attesa di trasferimento hanno riferito di
essere stati informati in merito alla procedura Dublino prima
di ricevere l’ordine di trasferimento. Ma quasi la metà
(47.6%) hanno affermato di aver ricevuto le informazioni
“tardi”, specialmente quelli che si sono trasferiti in un altro
Paese e in seguito sono stati rimandati in Italia, perché sono
venuti a sapere di Dublino solo dopo aver fatto uno o due
viaggi verso altri Stati europei, oppure dopo avere già ottenuto la protezione in Italia.
“Quando sono arrivato in Norvegia ho pensato di poter fare
di nuovo domanda d’asilo, ma la mia domanda è stata respinta perché avevo già un permesso di soggiorno in Italia. Però io
non sapevo nulla del Regolamento Dublino”.
34
Ricorsi
Le domande relative ai ricorsi erano più rilevanti per le
persone in attesa di trasferimento perché solo tre dei “dublinati” intervistati erano richiedenti asilo. Gli altri erano già titolari di protezione, quindi non avevano avuto bisogno di essere informati sulle modalità del ricorso. 14 dei 30 intervistati
(per lo più in attesa di trasferimento) hanno detto di essere
stati informati della possibilità di presentare ricorso contro la
decisione di trasferimento in un altro Paese europeo, per lo
più da ONG e avvocati:
“Loro (gli operatori legali della ONG e l’avvocato) mi hanno
spiegato che in caso di ordine di trasferimento avevo il diritto di
fare ricorso entro 60 giorni al TAR con un avvocato pro-bono”.
“Il mio consulente legale (della ONG) mi ha detto che probabilmente avrei ricevuto un ordine di trasferimento per tornare
in Germania, ma che in questo caso avremmo presentato ricorso al TAR, il tribunale competente per questo tipo di casi”.
La maggior parte dei 12 intervistati assistiti da un avvocato hanno detto di essere soddisfatti del servizio ricevuto:
hanno riferito che l’avvocato aveva seguito bene il caso, impegnandosi a fondo.
Le persone in attesa di trasferimento sono in contatto
con gli avvocati più dei “dublinati”. Cinque hanno fatto ricorso contro l’ordine di trasferimento, gli altri non l’avevano
fatto perché non avevano ancora ricevuto la notifica formale
dell’ordine di trasferimento.
Relativamente alle clausole di discrezionalità, è emersa
una stretta correlazione tra essere in attesa di trasferimento
oppure “dublinati” e l’informazione in merito all’esistenza di
tali clausole. Chi è in attesa di trasferimento ha maggiore
probabilità di essere a conoscenza delle clausole rispetto ai
“dublinati”. Nove persone in attesa di trasferimento su 14
hanno detto di non sapere nulla delle clausole di discrezionalità: il resto ne era informato. Le principali fonti di informazione sulle clausole di discrezionalità sono risultate, ancora
una volta, le ONG.
35
“Questo è esattamente il mio caso perché il mio consulente
legale (della ONG) mi ha spiegato che avrebbe scritto all’Unità
Dublino italiana per chiedere di annullare il mio ordine di trasferimento a causa della mia vulnerabilità psicologica. In
realtà da alcuni mesi sto seguendo una terapia presso un dottore”.
La metà delle persone che avevano chiesto l’applicazione delle clausole di discrezionalità (4 su 8) hanno detto di
aver avuto un riscontro positivo, dal momento che l’ordine di
trasferimento era stato cancellato.
Conoscenza dell’andamento della propria procedura d’asilo
Solo tre “dublinati” su 16, tutti richiedenti asilo, hanno
risposto alle domande della sezione del questionario che riguardava questo aspetto. Questo è dovuto in parte al fatto
che molti intervistati non hanno capito la domanda, ma soprattutto perché la maggior parte dei “dublinati” avevano già
completato la procedura d’asilo quando hanno deciso di lasciare l’Italia per un altro Paese europeo.
I tre “dublinati” che hanno risposto in realtà hanno piuttosto chiesto all’intervistatore notizie in merito alla propria
pratica e due hanno affermato di non aver ricevuto nessuna
informazione sul sitema d’asilo italiano prima di essere trasferiti:
“Quando sarò intervistato dalla Commissione italiana? Quanto
ancora dovrò aspettare?”
“Non capisco perché devo aspettare tanto tempo per ogni passaggio della procedura”.
“Vorrei sapere: a che punto sono con la mia domanda d’asilo?
Cosa posso fare?”
Sembravano tutti molto confusi in merito al proprio caso:
“In questo momento sono molto confuso. Mi pare di non sapere nulla”.
“Non ho molte informazioni su questo. L’Ufficio Immigrazio36
ne mi ha dato un cedolino e ho appuntamento con loro il 3
agosto 2012”.
“Al momento non so molto della mia pratica”.
Le difficoltà più comuni che incontrano i richiedenti asilo in Italia sono il grande ritardo nella procedura d’asilo, il
fatto di non sentirsi aggiornati e informati in merito all’andamento della procedura e i problemi di accesso ai servizi di
interpretariato e assistenza legale gratuita.
Rispetto alle persone in attesa di trasferimento, 4 intervistati su 16 hanno detto di non sapere come presentare domanda d’asilo nel Paese dove sarebbero stati trasferiti, mentre 9 hanno detto di saperlo grazie alle informazioni fornite
oralmente da ONG e connazionali:
“Ci sono ONG che vengono nel centro di detenzione per dare
ai detenuti informazioni legali sulla procedura d’asilo”.
“Quando ero nel centro di detenzione, a volte c’erano avvocati
volontari che venivano al centro e spiegavano ai detenuti i loro diritti e la procedura d’asilo. Questi avvocati lavorano per
una ONG, ma non ricordo quale”.
“Altri richiedenti asilo che erano con me nel centro di detenzione e nel centro di accoglienza me l’hanno spiegato”.
“In Grecia ho incontrato diversi senegalesi che mi hanno spiegato la procedura”.
Quando è stato chiesto loro cosa intendessero fare una
volta trasferiti, 11 hanno risposto che non avevano alcun progetto e 3 non hanno voluto rispondere. Più che dei programmi, nelle risposte sono emersi due sentimenti prevalenti: la
paura di essere rimandati in un altro Paese europeo e il desiderio di non pensarci:
“Spero di vincere il ricorso, non voglio tornare a Malta perché
lì ero in un centro di detenzione e probabilmente se la Polizia
italiana mi rimanda lì mi metterebbero in prigione di nuovo”.
“Non voglio pensare a Malta, perché lì ho passato quattro mesi in un centro di detenzione e spero che Dio mi aiuterà a non
tornare lì”.
37
“Non voglio pensarci. Ho avuto tanti incubi…”
“Non voglio nemmeno pensarci, mi fa troppo male…”
“Non voglio tornare a Malta e non voglio pensarci”.
Condizioni di vita in Italia
Agli intervistati sono state poste alcune domande in merito all’accesso all’accoglienza, al lavoro, all’istruzione, alle
cure mediche, ai generi di prima necessità (cibo/vestiti), ai
servizi essenziali e all’assistenza legale. Per alcuni temi sarà
necessario distinguere tra le risposte fornite dalle persone in
attesa di trasferimento e quelle fornite dai “dublinati”.
In merito all’accoglienza, la maggior parte delle persone
in attesa di trasferimento hanno detto di abitare presso il CARA di Castelnuovo di Porto, a circa 40 km da Roma, oppure
in centri di accoglienza del circuito del Comune di Roma. La
maggior parte di loro non ha fatto commenti in merito agli
standard di accoglienza, anche se quattro persone hanno osservato che erano piuttosto bassi.
“È brutto. Ho dormito in un centro di accoglienza fin da quando sono arrivato in Italia. Divido la camera con altre cinque
persone”.
“Molto, molto brutto. Non posso più avere un posto in un
centro di accoglienza del Comune di Roma perché la Questura
non mi rilascia il permesso di soggiorno, in attesa dell’ultima
udienza del ricorso. La regola è che devi avere un documento
per entrare in un centro di accoglienza”.
In quanto ai “dublinati”, il loro accesso alle misure di
accoglienza sembra molto limitato. La maggior parte di loro
erano senza fissa dimora, o ospitati da amici, non in un centro di accoglienza:
“L’Italia è l’unico Paese in cui ho dovuto dormire per strada
perché non ho trovato un posto in un centro di accoglienza.
Negli altri Paesi europei ho sempre trovato un posto dove
dormire”.
“Dormo in un parco vicino alla stazione del treno”.
38
“Da alcuni mesi vivo in un palazzo occupato con altri rifugiati
somali. Da questo punto di vista la situazione in Svezia era
molto migliore”.
Molti dei 13 somali intervistati hanno riferito di dormire
in un “palazzo occupato” nella periferia sud di Roma, chiamato Anagnina 9. La maggior parte di loro era titolare di protezione sussidiaria oppure erano rifugiati riconosciuti, che
non hanno accesso alle stesse misure di accoglienza dei richiedenti asilo perché, prima della loro partenza per un altro
Paese europeo, avevano già usufruito del periodo di accoglienza previsto dallo Stato o dal Comune di Roma. Altrimenti, avrebbero potuto iscriversi a una lista di attesa a cui
possono accedere sia i richiedenti asilo che i titolari di protezione internazionale 10.
Nell’esperienza degli intervistati, l’accesso al lavoro era
ricuramente il problema più sentito.
Solo uno dei “dublinati” ha detto di avere un lavoro, come cameriere in un ristorante, ma ha specificato che si trattava di un impiego in nero. Pochi altri “dublinati” hanno affermato che avevano un lavoro nel Paese da cui sono stati
trasferiti (Finlandia, Norvegia, Olanda).
Quasi tutti gli intervistati, “dublinati” e persone in attesa
di trasferimento hanno detto di frequentare o di aver frequentato un corso di lingua italiana, per lo più alla scuola di
italiano del Centro Astalli. Altri corsi sono offerti dalla Caritas e da altre associazioni a Roma.
Metà degli intervistati (soprattutto persone in attesa di
trasferimento) hanno affermato di aver ricevuto assistenza
dallo Stato, specialmente accoglienza, cibo e assistenza sanitaria. La maggior parte di loro aveva un’impressione positiva
9
È lo stesso posto visitato dal Commissario per i Diritti Umani del
Consiglio d’Europa, cfr. nota 3.
10
Secondo la ricerca realizzata da Centro Astalli e Caritas sui rifugiati
che vivono nelle occupazioni (Mediazioni Metropolitane, pp. 22-23), il 90% degli intervistati aveva già usufruito del periodo previsto nel sistema di accoglienza (CARA, SPRAR o Ufficio Immigrazione di Roma).
39
in merito al servizio sanitario italiano, specialmente perché
avevano avuto accesso a servizi per la salute mentale:
“A Malta era molto brutto, mentre qui in Italia va molto bene,
posso vedere molti dottori, anche psicologi”.
“E’ molto buono, sono soddisfatto di questo servizio. Ho anche uno psicologo”.
“Molto buono. Ho assistenza psicologica e psichiatrica e mi
danno molta speranza”.
“Ho un bravo psicologo”.
Ma è importante rilevare che gli intervistati sono stati
scelti tra i beneficiari dei servizi del Centro Astalli a Roma:
probabilmente la risposta a questa domanda sarebbe stata meno positiva se il campione fosse stato scelto in modo diverso.
Analogamente, la maggior parte degli intervistati frequentava le mense del Centro Astalli e della Caritas, oppure
riceveva i pasti presso il centro di accoglienza:
“A volte vado a mangiare alla mensa della Caritas o del Centro Astalli”.
“Al mio centro di accoglienza posso seguire una dieta speciale,
perché sono diabetico”.
“Il cibo non è male e a volte lo staff del centro ci fa avere anche dei vestiti”.
“Vado a mangiare alla mensa della Caritas e del Centro
Astalli”.
Quasi tutti gli intervistati avevano accesso ai servizi essenziali, incluso l’accesso ai trasporti pubblici.
Rispetto all’assistenza legale, solo due persone (“dublinati”) hanno risposto alla domanda, sottolineando che l’assistenza legale era migliore nei Paesi da cui erano stati trasferiti (Lussemburgo e Paesi Bassi).
Tutti i “dublinati” hanno affermato che ci sono differenze tra l’Italia e il Paese da cui sono stati trasferiti, soprattutto
relativamente all’assistenza sociale:
40
“In Italia non c’è una vera assistenza sociale fornita dallo Stato, ci sono alcuni uffici ma non sono utili per la tua integrazione nel Paese. Qui in Italia non ci sono reali opportunità di trovare un lavoro”.
“L’assistenza sociale in Svezia è molto buona. Lo stile di vita:
in Svezia avevo un lavoro e più diritti e possibilità rispetto a
quelli che ho in Italia; il sistema educativo in Svezia è davvero
buono”.
Altre differenze menzionate da diversi intervistati sono
state l’accesso all’accoglienza, all’educazione e al lavoro:
“Quando vivevo in Finlandia ed ero un richiedente asilo, mi
davano un budget settimanale, una casa e la possibilità di andare a scuola per imparare la lingua”.
Nove intervistati, tra cui un “dublinato”, hanno vissuto
l’esperienza della detenzione e tutti ne parlavano in termini
assolutamente negativi. Un uomo, detenuto a Malta, ha detto:
“È stata un’esperienza orribile perché ho sempre pensato che
la prigione fosse una punizione per qualcuno colpevole di
qualcosa, ma io ero del tutto innocente. Stavo solo fuggendo
da una persecuzione nel mio Paese e non meritavo di essere
messo in carcere”.
Ecco altri commenti:
“Le guardie del centro di detenzione a Malta erano molto cattive. Quando mi hanno perquisito mi hanno sequestrato tutti i
soldi e quando ho detto che ero malato (ho il diabete), non ne
hanno tenuto affatto conto e per questa ragione la mia salute
è peggiorata”.
“La detenzione è stata un’esperienza terribile. Mi sentivo in
colpa perché ero in prigione, anche se non avevo fatto nulla di
male. Questa esperienza ha sconvolto il mio equilibrio mentale”.
“La detenzione mi ha cambiato e toccato molto. Ricordo perfettamente la paura che avevo, perché ero certo che la polizia
ungherese mi avrebbe rimandato in Iran”.
41
Quasi il 97% degli intervistati ha affermato di non avere
legami particolari con l’Italia. La presenza di membri della
famiglia sembra essere in vantaggio maggiore, anche se solo
poche persone hanno vissuto questa situazione.
16 intervistati hanno dichiarato che il Regolamento di
Dublino ha avuto un effetto negativo sulle loro relazioni familiari e 8 hanno detto che è stata addirittura causa della separazione della famiglia:
“Le mie sorelle e mio fratello vivono nel Regno Unito. Io volevo raggiungerli, ma ora non è più possibile. È molto complicato, perché io ho ottenuto il mio permesso di soggiorno qui e
non posso andare lì a lavorare”.
“Mia moglie è stata riconosciuta rifugiata in Norvegia e abbiamo due bambini, ma io non posso andare lì e vivere con loro,
perché sono stato riconosciuto rifugiato in Italia e ho bisogno
di una autorizzazione speciale”.
Prima di iniziare la procedura Dublino, la maggior parte
degli intervistati (77%) ha detto che il loro unico progetto era
cercare sicurezza in Europa:
“Volevo fuggire dal mio Paese e salvarmi la vita. Sapevo che l’Italia era un Paese europeo sicuro, per questo volevo arrivare lì”.
“Non avevo un progetto specifico, volevo solo arrivare in
Europa per chiedere asilo. Non sapevo che sarei arrivato in
Grecia”.
“Volevo scappare dalla Somalia e venire in Italia perché avevo
un’alta opinione dell’Italia e pensavo che la situazione per gli
stranieri qui fosse diversa”.
Quasi un quinto degli intervistati (19%) ha detto che intendeva riunire la famiglia e solo una persona ha detto di
avere in mente di seguire un percorso di formazione.
Due terzi degli intervistati ha detto che il Regolamento
di Dublino ha ostacolato i progetti, specialmente rispetto al
loro desiderio di lavorare e decidere dove vivere. Una ragione per cui il Regolamento è stato un ostacolo è stato il fatto
che ha reso più lunga la procedura d’asilo:
42
“Visto che l’Ungheria era il primo Paese europeo dove ero entrato, la polizia ha rilevato lì le mie impronte digitali e ora non
posso più chiedere asilo in Italia e in Austria”.
“Avrei raggiunto mio zio in Finlandia, ma non ho potuto farlo
perché la polizia italiana mi ha preso le impronte digitali e devo completare qui la mia procedura d’asilo, secondo il Regolamento di Dublino”.
Metà degli intervistati ha detto di avere altri progetti, tra
cui l’intenzione di riunire la famiglia, di imparare l’italiano e
di trovare un lavoro.
“Vorrei imparare l’italiano e poi aiutare altri curdi come me a
venire in Italia e a salvarsi la vita”.
“Grazie ai dottori e al mio consulente legale ho ricominciato a
pensare al mio futuro. Non so esattamente cosa, ma ci penso e
per me per ora basta questo”.
Quelli che hanno detto di non avere nuovi progetti hanno manifestato confusione, tristezza e disagio. “In questo momento non riesco a pensare al futuro”, ha detto uno. E un altro: “Direi che non ho nuovi progetti, perché non so
esattamente. Ma l’Italia mi piace perché sento che qui c’è libertà”.
Due terzi hanno detto di non essere mai sfuggiti alle
autorità, perché non ne hanno mai avuto bisogno, oppure
perché ritenevano che fosse sbagliato. Quelli che hanno provato a farlo, hanno detto che il motivo era che non erano
soddisfatti dell’esito della procedura, oppure perché avevano
paura, o ancora perché desideravano essere con la loro famiglia.
“In Italia dopo aver ricevuto il diniego sono scappato”.
“Sono scappato due volte dal centro di detenzione in Ungheria
perché non volevo stare lì e poi, quando la polizia mi ha trovato, sono stati molto aggressivi”.
“Sono scappato dal centro di detenzione in Ungheria e avevo
molta paura perché non avevo nessun tipo di documento valido con me, ma dovevo farlo se volevo salvarmi la vita”.
43
“Quando la polizia voleva rimandarmi in Italia dalla Finlandia
sono scappato, perché non volevo e sono andato in Svezia.
Avevo paura, ma ho dovuto farlo perché volevo trovare una
vita migliore”.
“Dopo che la polizia italiana mi ha preso le impronte, sono
scappato. Non mi sono presentato all’appuntamento con l’Ufficio Immigrazione, perché volevo raggiungere mio zio”.
“Quando ero in Svezia, dopo pochi mesi ho scoperto che non
potevo stare lì a lavorare, quindi ho deciso di nascondermi a
casa di un amico per non essere scoperto dalla polizia”.
Opinioni personali sul Regolamento di Dublino
Tutti gli intervistati hanno espresso una valutazione
molto negativa sul Regolamento di Dublino, considerandolo
iniquo, ingiusto o, semplicemente, sbagliato. La maggior parte degli intervistati ha addotto la motivazione che il Regolamento impedisce loro di vivere nel Paese che preferiscono. La
delusione è resa più intensa a causa delle opportunità di integrazione e delle prospettive rispetto al futuro, più che a
causa della procedura in sé: i “dublinati”, in particolare, si
sentono bloccati per sempre in un Paese dove i loro diritti
non sono pienamente rispettati. Pensano perciò che il Regolamento di Dublino abbia annullato la loro libertà di scelta, distruggendo l’immagine positiva che avevano dell’Europa come modello di società.
“Dublino è molto negativo perché ti rende prigioniero: non
puoi scegliere dove vuoi costruire una nuova vita dopo essere
fuggito dalla guerra, come nel mio caso”.
“Io penso che la Procedura Dublino sia negativa, perché non ti
lascia la possibilità di scegliere dove vuoi costruire la tua nuova vita. È contro la libertà di scelta”.
Alcuni intervistati hanno affermato che il Regolamento
di Dublino impedisce alle persone di avere una seconda occasione in Europa, quando le cose sono andate male in un
Paese:
44
“La Procedura Dublino è molto negativa. Se scappi da un Paese perché lì hai avuto dei problemi, e arrivi in un Paese europeo come la Grecia, ad esempio, per chiedere asilo, ma ti trovi
in una situazione orribile, di violazione dei diritti umani, secondo il sistema Dublino non hai la possibilità di andare in un
altro Paese perché ormai le tue impronte digitali sono state rilevate e sei bloccato lì”.
“È molto sbagliato, perché se una persona arriva in un Paese
europeo chiede asilo e riceve un diniego, dovrebbe avere una
seconda possibilità in un altro Paese: ma questo, per la legge,
è impossibile”.
La maggior parte degli intervistati ha detto che prima di
arrivare in Europa non erano informati del Regolamento di
Dublino e ora avrebbero voluto esserne stati al corrente.
“La procedura Dublino? Non ne sapevo nulla. Quando sono
arrivato a Malta ero sicuro che una volta arrivato in Italia
avrei chiesto asilo lì senza problemi, l’unico problema per me
era trovare i soldi per fuggire da Malta”.
Quando è stato chiesto se avessero dei consigli da dare
a altri migranti che potrebbero arrivare in Europa, la metà
degli intervistati ha detto che consiglierebbero di “scegliere
attentamente in quale Paese europeo andare”:
“Vorrei consigliare loro di scegliere, fin dall’inizio, il Paese europeo dove andare a chiedere asilo, perché una volta arrivati
lì non si può più cambiare”.
“È difficile. Consiglierei loro di scegliere bene il Paese dove
vogliono andare e di evitare alcuni Paesi europei che secondo
me sono razzisti, oppure dove la vita è molto difficile. Ma so
anche molto bene che molto spesso, quando devi lasciare il
tuo Paese, il viaggio è organizzato dai trafficanti e sono loro a
scegliere il posto dove si arriva”.
“Consiglierei loro di non venire in Italia, ma di andare in un
altro Paese europeo, specialmente nel nord Europa, dove la vita è migliore”.
Poco più di un quarto degli intervistati ha detto di non
avere consigli da dare.
45
I problemi più rilevanti che gli intervistati hanno detto
di aver affrontato riguardavano soprattutto l’accesso al
sistema di accoglienza e al lavoro. Il primo aspetto era più
problematico per i “dublinati”, per i motivi prima menzionati. La mancanza di stabilità nella propria vita è un terzo
problema che è emerso, seguìto, per le persone in attesa di
trasferimento, dall’ansia di essere mandati in un altro Paese
europeo.
La migliore soluzione che gli intervistati indicano per i
loro problemi sarebbe ottenere una vita normale: ciò significa, essenzialmente, protezione per le persone in attesa di trasferimento e trovare un lavoro e ricongiungersi con la propria famiglia per i “dublinati”:
“Essere intervistato dalla Commissione Territoriale il prima
possibile e essere riconosciuto rifugiato”.
“... trovare un lavoro, affittare una casa, riuscire a fare il ricongiungimento familiare”.
2.4 Analisi dei dati
Alla luce delle interviste e delle osservazioni raccolte tra
gli operatori del settore, si possono formulare alcune considerazioni in merito all’applicazione del Regolamento di Dublino nell’esperienza dei richiedenti e titolari di protezione internazionale in Italia, che riassumiamo qui di seguito.
A. Applicazione del Regolamento Dublino II a persone che hanno
già completato con successo la procedura d’asilo in Italia
Il Regolamento di Dublino nasceva con l’obiettivo di determinare, il più rapidamente possibile, quale Stato Membro
sia responsabile per l’esame di una domanda d’asilo. Applicarlo a persone che hanno già ultimato con successo la procedura (e sono titolari dello status di rifugiato o di altre forme di protezione internazionale) è un paradosso e di fatto
non ha altro effetto che ostacolare l’integrazione dei rifugiati
46
in Europa, facendo uso delle loro rete familiari o amicali. In
alcuni casi, ostacola persino l’unità familiare (tra fratelli, o tra
marito e moglie).
Se l’assunto del Regolamento è che la qualità della
procedura d’asilo sia la stessa, o almeno simile, in tutti gli
Stati membri, e questa premessa è alla base dei trasferimenti
di richiedenti asilo, questo dovrebbe anche implicare che la
protezione internazionale riconosciuta da uno Stato membro
sia valida e riconosciuta come tale in tutta l’Unione Europea.
Le opinioni personali degli intervistati su Dublino II evidenziano che il fatto che il Regolamento costringa le persone
a rimanere per sempre in uno specifico Stato membro, dopo
avere ottenuto la protezione, finisca per incoraggiare il cosiddetto “asylum shopping” più che scoraggiarlo. Gli intervistati infatti raccomanderebbero a altri migranti di “scegliere,
fin dall’inizio, il Paese europeo in cui intendono chiedere
asilo perché, dopo essere arrivati lì, non si può più cambiare”.
L’ottenimento della cittadinanza in Italia è una procedura lunga e dall’esito incerto. I rifugiati riconosciuti possono
presentare domanda dopo cinque anni dall’iscrizione anagrafica e la procedura può durare anni, senza alcuna garanzia di
esito positivo.
B. Problemi e disomogeneità nelle condizioni di accoglienza come
possibile causa di esclusione sociale
La maggior parte degli intervistati ha detto di non avere
un posto dove vivere in Italia. I dati mostrano che la scarsità
di posti di accoglienza è un problema grave specialmente per
i “dublinati” che, nella maggior parte dei casi, sono già titolari di protezione internazionale o umanitaria. Quasi tutti i
“dublinati” somali intervistati abitano in edifici occupati e
avevano difficoltà ad accedere ad alternative abitative.
Sulla base della nostra esperienza, il problema è legato
alle gravi carenze del sistema di accoglienza italiano: posti
numericamente insufficienti, frammentarietà causata dall’esistenza di diversi tipi di strutture, incoerenza e disomogeneità
47
degli standard. Manca ancora un sistema di accoglienza unico, integrato, capace di rispondere a bisogni variabili e di offrire la stessa qualità di protezione in tutta Italia, che possa
far riferimento a chiare linee guida nazionali e sia dotato di
monitoraggio indipendente. È evidente che la capacità della
rete SPRAR, anche se il numero di posti probabilmente sarà
aumentato a 5.000 con i prossimi bandi, non è comunque
proporzionato agli attuali bisogni. Inoltre l’assenza di misure
di integrazione efficaci, per i rifugiati e gli altri titolari di protezione internazionale, ha creato un serio rischio di violazione dei diritti umani in Italia 11.
Tutti i “dublinati” sembravano insoddisfatti delle condizioni di accoglienza in Italia e le confrontavano costantemente con quelle trovate nei Paesi del nord Europa da cui erano
stati trasferiti, citando specialmente importanti discrepanze
rispetto all’alloggio e all’assistenza sociale.
Una volta tornati in Italia, i “dublinati” spesso si sono
trovati in condizioni di grave marginalità sociale. Non avevano contatti e relazioni nel Paese e non desideravano restarvi
a causa dell’accoglienza insoddisfacente e del fatto che le misure di integrazione a cui avevano avuto accesso (nei casi in
cui questo si era verificato) non si erano rivelate efficaci. Allora continuavano a cercare di trasferirsi in un altro Paese europeo e ad essere rimandati indietro, con un considerevole
spreco di risorse e un accumulo di frustrazioni e traumi
(compresa, in alcuni casi, l’esperienza della detenzione con
tutte le conseguenze negative che comporta).
C. Mancanza di uniformità nell’accesso alle informazione
Secondo le nostre interviste, le persone sembrano relativamente ben informate in merito alla procedura Dublino, ma
spesso le informazioni sono incomplete oppure sono arrivate
agli interessati tardivamente.
11
48
Si veda CommDH(2012)26, III. 2-3.
I dati mostrano che avvocati e ONG svolgono un ruolo
determinante nella trasmissione delle informazioni. Al contrario, le autorità amministrative, come l’Unità Dublino, hanno un ruolo decisamente minore.
Emerge un quadro che conferma ciò che abbiamo osservato nella nostra esperienza al Centro Astalli: le autorità italiane raramente forniscono ai casi Dublino informazioni
scritte (come opuscoli o brochure). Nella maggior parte dei
casi sono gli operatori delle ONG e gli avvocati a fornire alle
persone le informazioni rilevanti, verbalmente. Perciò l’accesso alle informazioni dipende del tutto dal passaparola tra
i migranti, che permette agli individui di rivolgersi alle
ONG.
D. Mancanza di informazioni esaustive come ostacolo a una procedura equa
I dati mostrano che alcune persone in attesa di trasferimento hanno avuto la possibilità di fare appello alle clausole
di discrezionalità. L’accesso a un’informazione completa e
corretta ha reso possibile, in quei casi, l’accesso a una procedura d’asilo equa.
Al contrario, la mancanza di informazioni ha un impatto
negativo sulla salute mentale di alcune persone, perché produce frustrazione, depressione e un profondo senso di precarietà e insicurezza: le persone si sentono intrappolate in un
limbo giuridico. Questa situazione mina anche la fiducia tra
migranti e autorità nazionali, rendendo molto più arduo il
percorso verso l’inclusione sociale e l’integrazione.
E. Durata eccessiva della procedura e mancanza di informazione
come conseguenza di un problema strutturale
Tutti gli intervistati che si trovavano ancora nella procedura d’asilo hanno affermato di non sapere nulla rispetto
all’andamento della loro domanda e di essere molto confusi
rispetto a come dovevano procedere. Questo conferma la nostra esperienza: la procedura Dublino può durare molto tem49
po, perché esiste un unico ufficio a Roma competente per tutti i casi che riguardano l’Italia. Il migrante non ha la possibilità di essere aggiornato di come procede il suo caso, né attraverso un front office dedicato (che non esiste) né
attraverso strumenti quali un sistema on-line oppure gli sportelli di altri uffici delle autorità competenti, come gli sportelli
immigrazione territoriali.
Capitolo 3
CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
3.1 Raccomandazioni relative al contesto italiano
Il regolamento di Dublino II non dovrebbe essere applicato a persone che hanno già concluso positivamente la procedura d’asilo. Ai rifugiati e ai titolari di protezione sussidiaria dovrebbe essere data la possibilità di avvalersi dei propri
legami familiari e sociali per pianificare il loro percorso di integrazione in Europa. L’unità familiare, in particolare, dovrebbe essere assicurata in ogni caso. Un primo passo potrebbe essere la trasposizione nella legislazione nazionale della
direttiva europea direttiva 51/2011/UE che estende lo status
di lungo soggiornante anche ai rifugiati e agli altri beneficiari
di protezione internazionale.
Le autorità italiane dovrebbero dotarsi di un sistema di
accoglienza unico e integrato, capace di rispondere con flessibilità a bisogni variabili e di offrire la stessa qualità di protezione in tutta Italia. Un tale sistema dovrebbe fare riferimento a chiari standard nazionali ed essere soggetto a
monitoraggio indipendente. Le autorità dovrebbero anche
prevedere misure concrete per controbilanciare lo svantaggio
considerevole che i rifugiati e gli altri titolari di protezione
internazionale si trovano ad affrontare rispetto all’ingresso
nel mercato del lavoro, inclusa una diffusa discriminazione e
il rischio di sfruttamento.
Le leggi e i regolamenti rilevanti dovrebbero essere rivisti e i numerosi ostacoli amministrativi che precludono l’effettiva esigibilità dei diritti dei rifugiati rimossi. Questi miglioramenti diminuirebbero considerevolmente il numero di
richiedenti asilo e rifugiati che si trasferiscono dall’Italia in
50
51
altri Paesi europei, prima o dopo il completamento della procedura d’asilo.
L’Unità Dublino dovrebbe migliorare la propria organizzazione interna al fine di assicurare una rapida ed efficace
gestione dei casi Dublino ed un accesso pieno e trasparente
alle informazioni rilevanti per i migranti durante la procedura, sia direttamente che attraverso ONG e avvocati. Dovrebbero essere aperti sportelli di front office in numero sufficiente e un sistema on-line che permetta a ciascun migrante di
controllare il progresso della propria pratica, così come avviene per altre procedure relative all’immigrazione, come il
rinnovo del permesso di soggiorno.
L’Unità Dublino dovrebbe valutare attentamente, caso
per caso, la possibilità di applicare le clausole di sovranità
per richiedenti asilo fragili o vulnerabili. Tale valutazione dovrebbe essere condotta con trasparenza e i richiedenti asilo,
direttamente o attraverso ONG e avvocati, dovrebbero avere
la possibilità di sottoporre documenti rilevanti che attestino
particolari condizioni di vulnerabilità e/o provino i motivi
per cui il trasferimento dovrebbe essere evitato.
La autorità italiane, in particolare le Questure competenti per l’esame delle domande d’asilo, dovrebbero fornire ai
casi Dublino una informazione accurata e completa attraverso opuscoli tradotti nelle lingue parlate dai richiedenti asilo
che arrivano in Italia o, almeno, nelle principali lingue da loro comprese. Al momento, i richiedenti asilo non sono sufficientemente informati dalle autorità in merito alla procedura
Dublino e la principale fonte di informazione sono ONG e
avvocati.
Per le persone in attesa di trasferimento, le informazioni
dovrebbero comprendere dettagli in merito alla procedura e
al sistema di accoglienza nel Paese dove saranno trasferiti,
compresi i contatti con le ONG.
I casi Dublino dovrebbero essere pienamente informati
in merito all’esistenza delle clausole discrezionali, dal momento che quando le conoscono e chiedono di applicarle,
spesso l’esito del ricorso è positivo. Questa informazione così
importante deve essere fornita dalle Questure e dalle autorità
52
amministrative e non soltanto dalle ONG, affinché tutti i richiedenti asilo, ovunque si trovino, ne siano a conoscenza.
La procedura Dublino dovrebbe rientrare nella giurisdizione del Tribunale Ordinario e non del TAR, perché al momento la durata dei ricorsi è molto lunga e la pratica è più
costosa per il ricorrente.
Il ricorso contro un ordine di trasferimento dovrebbe
avere un immediato effetto sospensivo, in modo che il richiedente asilo non perda il diritto di accedere al sistema di accoglienza, all’assistenza sanitaria e a altri servizi sociali. Il
mancato effetto sospensivo infatti fa sì che i casi Dublino ricorrenti non abbiano un permesso di soggiorno, che è richiesto per accedere a tutti i servizi essenziali e al sistema di accoglienza.
3.2 Osservazioni in vista di una riforma del Regolamento
europeo
1. L’informazione è un fattore chiave per l’esercizio dei diritti
fondamentali
Uno degli aspetti più preoccupanti che emergono dalla
ricerca è che la maggior parte delle persone non sono ben informate in merito alla procedura Dublino. Si tratta di un sistema complesso, di cui generalmente gli interessati colgono
solo un aspetto: che devono essere trasferiti allo Stato europeo ‘competente’. Questo in realtà è l’aspetto con cui i migranti si trovano più spesso a fare i conti. Il fatto che solo il
20% degli intervistati dimostrasse una conoscenza completa
della procedura Dublino dimostra chiaramente che il sistema
risulta a molti difficile da interpretare. L’impossibilità di chiedere asilo in un Paese di propria scelta resta per molti una
barriera concettuale difficile da accettare.
Sembra che le persone riescano a capire più a fondo il
sistema Dublino solo dopo aver compiuto svariati viaggi attraverso l’Europa. Nel nostro campione, il 29% delle persone
che avevano vissuto più di un trasferimento affermavano di
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avere una conoscenza avanzata del sistema Dublino, ovvero
di conoscerne due o tre aspetti. In definitiva, sembra che richiedenti asilo e migranti capiscano meglio il sistema se ne
hanno esperienza diretta: questo è abbastanza paradossale, se
si considera che il Regolamento è nato per scoraggiare i movimenti dei richiedenti asilo da uno Stato all’altro.
Una delle principali implicazioni della scarsa informazione sul Regolamento di Dublino è che la capacità del migrante di accedere ai suoi diritti fondamentali appare fortemente limitata. Nel nostro campione, il 47% delle persone
non sapevano come fare per presentare ricorso contro un ordine di trasferimento e il 64% non erano informate dell’esistenza delle clausole discrezionali. Quindi un numero considerevole di persone non hanno avuto accesso a un ricorso
effettivo, un diritto fondamentale sancito dall’articolo 47 della Carta UE dei Diritti Fondamentali e dall’articolo 13 della
Convenzione Europea sui Diritti Umani. Queste persone non
erano a conoscenza di due aspetti del sistema Dublino – il ricorso e le clausole discrezionali – che avrebbero potuto avere
un impatto positivo sui loro casi. In questa, come in ogni altra situazione, sapere è potere: abbiamo riscontrato significative correlazioni tra essere informati della possibilità di presentare ricorso e/o dell’esistenza delle clausole discrezionali e
la decisione di prendere l’iniziativa e fare uso di queste possibilità. La conclusione allarmante è che moltissime persone
non possono esercitare il loro diritto al ricorso solo perché
non sono informati della possibilità di farlo.
Il modo in cui le persone sono informate è ugualmente
importante. La lingua è un fattore chiave per comprendere
l’informazione fornita. Tra i nostri intervistati che affermavano di parlare diverse lingue, il 24% ha dichiarato di essere
ben informato in merito alla procedura, mentre solo l’11% di
chi parlava una sola lingua si trovava nella stessa condizione.
Gli intervistati che ci hanno detto di aver compreso l’informazione ricevuta hanno detto che questo è avvenuto perché
la lingua in cui gli è stata data era quella “giusta”.
Oltre a fornire l’informazione in una lingua comprensibile, i nostri dati mostrano che è importante per le persone ri54
cevere spiegazioni accurate, in forma sia scritta che orale.
I nostri dati indicano che è più probabile che una persona
comprenda pienamente la procedura Dublino se ha ricevuto
informazioni scritte e diverse spiegazioni orali. La complessità del sistema richiede che le spiegazioni vengano sia da persone competenti, come avvocati e ONG, sia da chi ne ha fatto
esperienza diretta, come altri migranti. Una persona che sta
vivendo la procedura Dublino riceve probabilmente degli input da molte fonti e può non essere sicura dell’attendibilità
delle informazioni ricevute. Per questo motivo è importante
assicurare un consistente flusso di informazioni chiare, comprensibili e in diversi formati da parte di fonti ufficiali.
2. L’accesso agli avvocati e all’orientamento legale è importante
Dai nostri dati vediamo che le persone che affermano di
essere ben informate rispetto al sistema Dublino nella maggior parte dei casi ha avuto come fonte un avvocato. Gli avvocati fanno un lavoro accurato di informazione rispetto agli
aspetti tecnici del Regolamento, come le modalità di ricorso o
la comprensione delle clausole discrezionali. In effetti le persone che sono in contatto con un avvocato – siano o no in detenzione – hanno molta più probabilità di fare ricorso o di
chiedere l’applicazione delle clausole discrezionali di chi non
lo è: l’85% degli intervistati che erano in contatto con un avvocato avevano anche tentato di fare ricorso contro il loro ordine di trasferimento. Anche i “dublinati” che avevano incontrato un avvocato avevano maggiore probabilità di essere
informati rispetto alla loro domanda d’asilo di chi non aveva
avuto questa possibilità. Appare dunque evidente che gli avvocati hanno un ruolo fondamentale nella tutela dei diritti
fondamentali delle persone nella procedura Dublino.
3. ‘’Protezione’ significa anche condizioni di accoglienza dignitose
Le persone valutano la loro sicurezza non solo in termini di possibilità di presentare domanda d’asilo, ma anche in
base alla qualità dell’accoglienza che ricevono in un determi55
nato Paese. L’accesso ai diritti essenziali quali cibo, vestiario,
assistenza sociale, trasporto pubblico e ogni altra forma di assistenza che aiuti le persone a rispondere ai loro bisogni quotidiani è percepito come elemento di grande importanza da
tutti gli intervistati.
Condizioni di accoglienza insoddisfacenti sono un elemento di grande rilievo che gli intervistati adducono per giustificare la loro valutazione negativa del sistema Dublino in
generale. Il 50% delle persone che hanno affermato che il sistema Dublino è ‘iniquo e ingiusto’ hanno detto anche che
non avevano ricevuto i servizi essenziali nel Paese in cui l’intervista è stata raccolta. Inoltre, il 62% delle persone che hanno dichiarato di avere una speciale connessione con il Paese
in cui sono state intervistate erano anche soddisfatte rispetto
ai servizi essenziali che erano stati offerti loro.
La percezione che gli individui hanno rispetto alla qualità dei servizi essenziali e delle condizioni di accoglienza in
un Paese dell’Unione Europea condiziona fortemente il modo
in cui essi interagiscono con il sistema Dublino. Il 68% di coloro che ha ammesso di essersi nascosto alle autorità hanno
anche affermato di essere molto insoddisfatti rispetto ai servizi essenziali nel Paese in cui sono stati intervistati. Al contrario, il 58% di chi non si è mai nascosto aveva un’impressione più positiva rispetto al livello di assistenza a cui aveva
accesso.
La maggior parte delle persone che sono state intervistate giudicava il sistema Dublino in base a quanto le condizioni
di accoglienza rispettassero la loro dignità. Dormire per strada o dover accontentarsi di alloggi inadeguati, oltre a non
aver modo di accedere ai servizi essenziali indubbiamente lede la dignità delle persone. E il concetto di dignità è importante, perché è assimilato a quello di protezione. Le persone
si sentono protette non solo se possono accedere alla procedura d’asilo, ma soprattutto quando possono avere accesso a
un alloggio dignitoso, ad aiuti necessari alla loro vita quotidiana e all’opportunità di accedere a occasioni di miglioramento, come ad esempio la formazione. Chi si trova in Paesi
che non soddisfano queste esigenze, cercherà sicurezza in un
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altro Paese. Per questo motivo le condizioni di accoglienza
sono un elemento non trascurabile del Regolamento di Dublino – in senso lato, l’accoglienza può essere considerata il fulcro dell’intero sistema.
4. L’inutilità della detenzione
Dalle nostre interviste è chiaro che la detenzione è una
delle misure meno necessarie del sistema Dublino. Dal punto
di vista dei richiedenti asilo e dei migranti, la detenzione non
ha altro scopo se non accrescere la frustrazione e la sofferenza delle persone. Ma anche un osservatore esterno non ne coglie la necessità. La maggior parte degli intervistati non era
in detenzione (il 60% dell’intero campione e il 55% delle persone in attesa di trasferimento). Come abbiamo già osservato,
le persone in attesa di trasferimento sono più facilmente soggetti a misure di detenzione rispetto ai “dublinati”. Quindi
una percentuale così alta di persone in attesa di trasferimento
che non sono detenute pone due domande importanti: perché
alcuni sono detenuti e altri no? E, se non tutti sono detenuti,
perché è necessario detenere una persona durante la procedura Dublino?
La variabilità del numero dei detenuti sembra avere a
che fare più che altro con le pratiche dei singoli Stati. Nessuno degli intervistati in Francia era in detenzione, perché normalmente in quel Paese – come in Italia o in Svezia – i richiedenti asilo non sono detenuti. Viceversa in Belgio, sebbene i
richiedenti asilo non siano detenuti automaticamente, in pratica di solito lo sono. A Malta i richiedenti asilo e i migranti
irregolari sono automaticamente soggetti a detenzione, ma le
persone intervistate erano per lo più “dublinati” che avevano
vissuto lunghi periodi in detenzione in precedenza, ma che
dopo il reinvio a Malta in genere non sono detenuti.
Nel sistema Dublino la detenzione è usata in modo piuttosto arbitrario e questo ha delle conseguenze estremamente
gravi. Risulta che le persone in detenzione hanno in media
un minore accesso alle informazioni sulla procedura Dublino
rispetto agli altri intervistati: i detenuti hanno maggiori diffi57
coltà ad avere accesso agli avvocati, il che riduce di molto la
loro possibilità di presentare ricorso. Potrebbero sembrare
particolari di scarsa importanza, ma la detenzione mette le
persone in condizione di forte svantaggio quando si tratta di
effettiva esigibilità dei loro diritti. La detenzione impatta negativamente sulla persona: alti livelli di stress, sintomi associati con l’ansia e la depressione, sono tutti effetti assolutamente comuni. Considerando tutti questi elementi, non si
può che concludere che la detenzione nel sistema Dublino
erode la dignità delle persone e preclude loro l’accesso ai diritti fondamentali, senza apparente beneficio per nessuno degli stakeholder coinvolti.
5. La scelta personale come rispetto della dignità
Il Regolamento di Dublino nella sua forma attuale è privo di qualunque elemento di scelta personale. Ai richiedenti
asilo e agli altri migranti viene detto dove andare non in base
a quello che loro sentono essere meglio, ma piuttosto in base
ad elementi che hanno poco a che fare con le aspirazioni
dell’interessato rispetto alla sua protezione e sicurezza. Ma la
scelta personale ha la sua importanza. Una procedura che sistematicamente elimina il fattore di scelta dalla valutazione
della protezione internazionale non può essere sostenibile per
molto tempo.
La ricerca di protezione è davvero un’impresa personale.
In ultima analisi dove una persona decide di chiedere asilo
ha una motivazione unica e soggettiva quanto la ragione della fuga. Questo emerge chiaramente dai nostri dati. Le persone scelgono di arrivare in un particolare Paese europeo in base a una serie di fattori: per la presenza di un membro della
famiglia, perché conoscono la lingua, perché ritengono di
avere maggiore probabilità di trovare un lavoro, o semplicemente in base alle informazioni che altri richiedenti asilo
hanno fornito loro.
Nonostante le molte differenze, la prima e fondamentale
ragione per scegliere un Paese rispetto a un altro è il fatto di
sentirsi o meno al sicuro. Dai nostri dati è evidente che
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l’aspetto più disturbante del sistema Dublino è che obbliga le
persone a restare nel primo Paese di ingresso, che il più delle
volte è determinato dal caso. Le persone invece desiderano
presentare domanda d’asilo in un posto dove riescono a vivere dignitosamente e a provvedere alle proprie necessità.
Dal momento che in genere i richiedenti asilo non possono
lavorare, l’unico modo per ottenerlo è trovarsi in un Paese
con un sistema di accoglienza soddisfacente. Questo include
l’accesso ad alloggi adeguati, all’assistenza sanitaria e a servizi essenziali rispondenti alle necessità quotidiane. Molte delle
persone che abbiamo intervistato hanno imparato a loro spese quali Paesi dell’Unione Europea hanno un sistema di accoglienza inadeguato. Altri ne hanno notizia dai racconti dei loro connazionali.
Alla base della scelta del Paese in cui chiedere asilo c’è
un forte desiderio di salvaguardare la propria dignità. È un
diritto fondamentale, riconosciuto dall’Unione Europea nell’articolo 1 della Carta dei Diritti Fondamentali, in cui si afferma che “la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere
rispettata e tutelata”. Le persone spesso manifestano la propria dignità attraverso la libertà di scelta: dove proteggere se
stessi e i propri cari, dove vivere e come mantenersi. In contraddizione con questo principio, il Regolamento di Dublino
continua a funzionare male perché elimina quasi ogni elemento di scelta individuale.
6. Uno sconvolgimento non necessario della vita delle persone
Il più grande effetto del sistema Dublino è il fatto che
sconvolge gravemente la vita delle persone. I richiedenti asilo
e gli altri migranti forzati arrivano in Europa con un progetto, che in genere è annullato dal fatto che vengono trasferiti
in un Paese diverso da quello in cui intendevano andare. Se
ogni Paese europeo avesse lo stesso sistema di asilo e di accoglienza, la cosa potrebbe non costituire un problema. Ma
chiaramente non è così. Sapendo che le condizioni di asilo e
di accoglienza sono molto diverse nei vari Stati dell’Unione e
avendo analizzato i dati di questa ricerca, riteniamo che deb59
ba essere posta una domanda fondamentale: il Regolamento di
Dublino contribuisce significativamente al diritto fondamentale degli individui a chiedere protezione, oppure semplicemente sconvolge
senza ragione la vita della gente?
Molte ONG che si occupano di asilo concordano su questa valutazione. Dopo aver analizzato 257 interviste realizzate
in nove Paesi, non potremmo arrivare a una conclusione diversa. Così come la detenzione è gravemente dannosa per
chiunque la viva, così il Regolamento di Dublino impatta negativamente sulla vita di quasi tutti i richiedenti asilo e migranti che lo sperimentano. Finché i sistemi di asilo e di accoglienza saranno così diversi tra gli Stati membri, è arduo
sostenere che il Regolamento di Dublino possa avere altro effetto che causare una grave frustrazione nelle persone che
cercano protezione in Europa.
In quasi ogni caso che abbiamo esaminato con le interviste il fatto che il sistema Dublino fosse un elemento di disturbo appariva evidente. Non c’è alcuna prova del fatto che il
Regolamento di Dublino renda in qualche modo più facile,
più sicuro o più efficace l’accesso di una persona alla procedura d’asilo in Europa. Dal punto di vista dei richiedenti asilo, il Regolamento è un ostacolo alla protezione. Li allontana
dal Paese dove vorrebbero vivere, separa le famiglie e costringe le persone a chiedere asilo in Paesi con procedure
d’asilo e condizioni di accoglienza inadeguate. L’ultimo punto non è una finalità del Regolamento, ma una conseguenza
pratica della sua applicazione, dal momento che il ‘primo
Paese di ingresso’ per la maggior parte delle persone intervistate coinvcideva con uno Stato che offre condizioni difficili
per i richiedenti asilo. Il Regolamento non era inteso come
uno strumento per punire o penalizzare i richiedenti asilo,
ma certamente è così che è percepito, perché questa è l’esperienza che le persone ne fanno.
Oltre alle difficoltà che il Regolamento presenta per i richiedenti asilo, ci sono quelle che presenta per gli Stati membri dell’Unione Europea. I trasferimenti richiedono risorse
(economiche e umane) e non sembrano portare particolari benefici ai governi, se non a quelli degli Stati interni dell’Euro60
pa che possono avere interesse a contenere il numero delle richieste d’asilo. Nonostante il regolamento intendesse armonizzare il modo in cui gli Stati membri condividono la responsabilità della gestione delle domande d’asilo, l’unica
reale conseguenza è che le ‘pratiche Dublino’ sono anch’esse
fortemente diversificate da uno stato all’altro. Alcuni governi
mantengono una certa ragionevolezza nel rapporto costi-benefici, mentre altri non lo fanno. Questo ha creato una situazione che ha implicazioni pesanti per il sistema nel suo complesso. Alcuni tribunali che impediscono il trasferimento di
casi Dublino in alcune circostanze specifiche – come quelli
verso la Grecia, o verso Paesi con condizioni di accoglienza
inadeguate – hanno portato a dei blocchi in un sistema che
costringe gli Stati a impiegare risorse anche se i trasferimenti
Dublino non sono possibili. Inoltre i governi spendono risorse per la detenzione, per controbattere ai ricorsi inoltrati dagli avvocati e persino per valutare i bisogni, i rischi e le vulnerabilità dei richiedenti asilo. Anche se la ricerca condotta
nell’ambito del progetto DIASP non ha studiato l’efficienza e
l’efficacia delle pratiche Dublino di ciascuno Stato membro,
dalle interviste condotte possiamo stimare che l’impiego delle
risorse statali nel sistema Dublino portano poco o nessun valore aggiunto al Sistema Comune di Asilo Europeo, giacché
le persone non accedono più facilmente o più efficacemente
alle procedure d’asilo: risulta inoltre che la maggior parte degli ordini di trasferimento non viene implementato. Se una
politica dal risultato così poco soddisfacente esistesse in qualunque altro settore, sarebbe certamente abolita.
Un’altra prova del fatto che il sistema Dublino sconvolge inutilmente la vita delle persone emerge dal motivo stesso
della sua esistenza: la finalità prima del Regolamento era prevenire i movimenti secondari di richiedenti asilo all’interno
dell’Unione Europea, ma le persone continuano a spostarsi in
percentuali allarmanti. I richiedenti asilo e gli altri migranti
sono ancora in orbita. In media, le persone che abbiamo intervistato avevano già fatto tre o quattro viaggi prima che
l’intervista venisse realizzata. La rigidità del sistema Dublino
sembra paradossalmente motivare le persone a muoversi
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continuamente in Europa in cerca di protezione piuttosto che
fermarsi in un posto solo. Le persone cercano di aggirare il
sistema per proteggersi meglio, perché sentono che il sistema
non li protegge abbastanza. Le condizioni di accoglienza scadenti in alcuni Paesi europei, che spingono i migranti forzati
a vivere senza fissa dimora e in condizioni di grave marginalità, sono il motivo principale per cui le persone continuano
a viaggiare. Ma tra le altre motivazioni ricordiamo il desiderio di vivere con la propria famiglia, o di presentare domanda d’asilo in un Paese di cui si conosce la lingua, oppure in
un Paese in cui si ritiene che si sarà accolti adeguatamente e
dove i bisogni essenziali saranno soddisfatti. Comunque eludere il sistema Dublino comporta un alto grado di rischio
personale: essere arrestati, detenuti e trasferiti in un altro Stato, essere separati dalla propria famiglia, eccetera. Il fatto che
così tante persone ritengano che sia necessario assumersi
questo rischio per trovare protezione è forse la prova più evidente del fatto che il Regolamento di Dublino è un sistema
che sconvolge inutilmente la vita delle persone.
INDICE
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag.
3
1.1 Il Regolamento di Dublino II e il suo impatto
sulla vita dei migranti forzati . . . . . . . . . . . .
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7
1.2 Il progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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10
1.3 Le interviste realizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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12
1.4 Principali dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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15
2.1 Modalità di realizzazione della ricerca . . . .
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19
2.2 L’applicazione del Regolamento Dublino II
in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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20
2.3 I dati dei questionari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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31
2.4 Analisi dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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46
3.1 Raccomandazioni relative al contesto italiano
»
51
3.2 Osservazioni in vista di una riforma del Regolamento europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
53
Capitolo 1. Il progetto DIASP
Capitolo 2. I risultati in Italia
Capitolo 3. Conclusioni e raccomandazioni
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63
3F PHOTOPRESS
Viale di Valle Aurelia, 105
00167 Roma - Tel. 06.3972.4606
E-mail: [email protected]
Stampato nel mese di giugno 2013
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