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Chicchere oggi
La cioccolata in tazza nel segno della ceramica contemporanea
Torgiano, MUVIT Museo del Vino Torgiano, 14 ottobre-20 novembre 2011
La mostra è organizzata dalla Fondazione Lungarotti in collaborazione con Eurochocolate
Curatela: Maria Grazia Marchetti Lungarotti
Segreteria organizzativa: Valentina Izzo, Lucia Maria Tremonte
Didattica: Gian Luca Buccioli per Inartem
Fotografie: Graziano D’angelo - lefucine.it
Progetto grafico: Luciano Carrera - lefucine.it
L’immagine della pianta del cacao è tratta da:
Mark Catesby,The natural History of Carolina, Florida and the Bahama Islands.
London, B.White, 1761, tomo II, tav. 6
BNCF, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Pal. 6. B. B. 3. 1.
I commenti alle opere sono dei singoli artisti
“Chicchere oggi” è un tema che non evoca i soggetti a noi abituali:
vino e olio; ne consegue domandarsi il perché di una nuova mostra sul
cioccolato a Torgiano, al MUVIT Museo del Vino. La chiave potrebbe
essere nel Redi, l’ironico e sapiente archiatra mediceo, autore del celebre Bacco in Toscana, ma nel ‘600 era da lui che “qualsiasi discorso sulla
cioccolata doveva partire”. Il Redi esalta il vino, emarginato dalle bevande esotiche, ma fa venire direttamente dalla Spagna l’amata cioccolata,
per sé e per uomini di cultura, scienziati, amici; dona ricercati serviti di
chicchere, influenza profondamente l’immaginario della nobiltà italiana,
è determinante per la presa di posizione dei Gesuiti favorevoli alla bevanda dell’anima, ammessa nei frequenti digiuni, conforto, balsamo, elisir.
Anni addietro ospitammo la mostra Cioccolata squisita gentilezza, realizzata, in collaborazione con Eurochocolate, dalla Biblioteca Centrale Nazionale di Firenze; la Direttrice, Antonia Ida Fontana, scriveva di
come la cioccolata non sia “solo gusto ma anche vita culturale, economica, sociale, “oggetto del desiderio”, sopravvivenza, elemento purificatore, piacere e status”: così è il vino, qualora non se ne abusi.
Un ultimo allaccio va richiamato: la frequente origine del Caffè dall’Osteria, lo attesta l’incisione del Pinelli, del 1820, raffigurante un “saltarello in un Caffè” che il grappolo di fiaschi appeso alla parete indica come
osteria ma le cioccolatiere, bene esposte in lunga fila, dicono “caffè”,
il locale dove accanto all’esotico caffè si sorseggia la tanto vagheggiata cioccolata. Sede di scontri politici e letterari, i caffè parigini d’età
rivoluzionaria, come i veneziani, fioriscono nel ‘700, quando ormai la
cioccolata non è più la bevanda élitaria riservata a principi, nobiltà, Alto
Clero, uomini di cultura. Allora era costante presenza nelle private
spezierie, oggetto, secondo il gusto barocco, di quelle manipolazioni dei
fioristi da cui prenderà distanza la trionfante cioccolata al gelsomino
medicea. Permane il rituale dell’assaggio in chicchere nei coffeehouse
sorti nei giardini delle corti europee ma sono i borghesi caffè cittadini a
estendere il piacere dell’assaggio, ferma rimanendo la forma a campana
della chicchera.
Nata colta, esauriente, raffinata, la mostra fiorentina era stata da noi
arricchita di oggetti e porcellane che la personalizzavano. Tra tanta fragilità, era presente una chicchera di Luigi Levantino con il decoro prediletto da Meissen a Savona: paesaggi entro cartigli, qui su fondo spugnato
violaceo. Superstite evocatrice di un servizio da cioccolata, richiamava
agli ordinativi di chicchere rivolti in particolare alla ceramica ligure che
si vuole averne avuto l’esclusiva e al passaggio dalla Spagna all’Europa,
con la cioccolata, del cerimoniale di corte spagnolo. La chicchera, costantemente presente in oro, argento, cocco impreziosito, porcellana,
permane anche quando, nel XVIII secolo, la “bevanda degli dei” è sorseggiata da ben più vasto pubblico.
Della bevanda sacra per Maya e Aztechi la chicchera mantiene l’assonanza del nome divenuto in spagnolo jicara.
Passata in Europa, con l’affermarsi della porcellana alla cui preziosa fragilità la cioccolata felicemente risponde, le chicchere caratterizzano la
produzione delle manifatture più celebri, da Meissen a Capodimonte.
Nel ‘700 la forma si evolve: da quella a campana, simile al bicchiere per
vino dell’Estremo Oriente, alla tazza, più alta della tazzina per il caffè,
con due manici e coperchio per mantenere calore e profumo. Il gusto
dell’esotico trionfa e agenti delle Compagnia delle Indie inglesi e portoghesi forniscono disegni alla Cina per le forniture europee.
Negli inventari medicei come in quelli delle grandi famiglie i corredi di
chicchere sono ricorrenti, basti ricordare in quello del cardinale Francesco Maria (1660-1711) le centotrenta “verniciate di nero all’indiana
e in parte di rosso”.
Al finire del XIX secolo la lavorazione industriale lentamente allontana
dalla cioccolata la dimostrazione di status, egualmente per le chicchere,
depredate del loro stesso nome.
L’eco che ne rimane è nell’uso del termine, non più identitario ma
indicativo solo di generica, ricercata eleganza. La mostra è invito a ricordare un legame tra contenitore e contenuto, dissoltosi come il Tout
passe… e, sul filo di una benevola, sorridente ironia, a proporre un tout
s’aremplasse.
L’idea risale a breve tempo addietro: la richiesta di sue creazioni all’amico Biavati fu immediata, come a Ubaldo Grazia, personificante la storia
di Deruta. In una giornata di fine primavera raggiunsi l’Appennino e a
Sigillo conobbi, ammirata, Fugnanesi. All’amico Nino Caruso, presenza
sacrale a Torgiano, dobbiamo la partecipazione di Giorgio Crisafi, Marino Ficola, Rita Miranda e Marino Moretti.
Grazie, a tutti, per avere accolto il messaggio.
Maria Grazia Marchetti Lungarotti
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La cioccolata in tazza nel segno della ceramica contemporanea
L’origine del nome “chicchera” deriva dallo spagnolo jicara, a sua volta proveniente da un termine azteco indicante il guscio del frutto tropicale adoperato dagli indigeni
come ciotola. Obliato l’etimo, chicchera, è voce tuttora in
uso allorché si voglia alludere a particolare ricercatezza di
un oggetto, di un avvenimento o d’altro.
Ancora nel secolo scorso la chicchera era l’apposita tazza
da cioccolata; quello che è sopravvissuto è dunque l’allusione alla ricercatezza che la bevanda esigeva.
Nello snodarsi delle vicende legate all’affascinante storia
della cioccolata, dei suoi cerimoniali e dei suoi serviti, si
svolge, in stretta correlazione, anche la storia della chicchera, dell’evoluzione delle sue forme e delle tipologie
stilistiche.
Due sono le forme più diffuse: la prima, più antica, sembra provenire dall’Oriente, come attestano materiali e
tecniche di esemplari del XVII secolo, e permane sino al
XIX secolo. Oblunga, priva d’impugnatura, ha labbro leggermente svasato ed andamento curvilineo rientrante al
centro, base ad anello.
L’altra, segue l’evolversi del tempo e riflette la preziosa
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ricercatezza delle porcellane settecentesche. La chicchera
è arricchita di manici e dotata di coperchio per conservare il calore ed il profumo della cioccolata che veniva
sorseggiata calda.
La diffusione della cioccolata nel Vecchio Continente aveva avuto come tramite principale la Spagna, dove veniva
consumata soprattutto allungandola con acqua calda, o
latte, o con l’aggiunta di vino.
Liquida, per il suo alto valore nutritivo, non interrompeva
il digiuno (liquidum non frangit jejunum) e nel mondo cattolico divenne apposito surrogato alimentare durante i
periodi di astinenza.
Alla corte di Madrid la cioccolata in tazza resta, per tutto
il Cinquecento, un autentico status symbol ed entra a far
parte del cerimoniale di corte nonché di quello religioso.
Quando Anna d’Asburgo, cresciuta a Madrid, sposa, nel
1615, Luigi XIII di Francia, la cioccolata trova una nuova
corte in cui imporsi, perdendo la veste ispano-clericale e
assumendo, invece, il primato di bevanda dell’aristocrazia
europea. In ville e palazzi si giunge a riservarle un particolare spazio per riunirsi a gustarla: il salottino della cioccolata.
Nel corso del Settecento il felice connubio con l’altrettanto élitaria porcellana sollecita forme e decori dei serviti che escono dalle manifatture più prestigiose, da Meissen a Capodimonte.
Col tempo da bevanda élitaria il consumo della cioccolata
si diffonde a più ampi spazi sociali: nessuno, sia esso nobile, religioso o solo borghese, riesce a sottrarsi al piacere
di una tazza di cioccolata.
Poco, si direbbe, perché si interessi alla cioccolata chi ha
per soggetti abituali il vino o l’olio, come noi, ma va ricordato che al volgere del XVIII secolo l’uso della cioccolata
si estende alla borghesia e al popolo nei Caffè, luoghi di
incontri e scontri in ambito politico e letterario – siano
essi Procope o i locali nelle gallerie del Palais Royal a Parigi, frequentati da Voltaire, Diderot, D’Alembert o il Caffè
Florian a Venezia, amato da Foscolo, Rousseau, Pellico – e
il Caffè, il più delle volte, ha origine dall’osteria.
Lo conferma un’incisione di Bartolomeo Pinelli presente
nelle collezioni del MUVIT che ha per titolo Il Saltarello
nel Mese di Ottobre dentro la bottega di un Caffè, evidentemente già osteria per il grappolo di fiaschi appesi alla parete: di fronte ad essi, laterali al grande camino, è allineata
una lunga fila di cioccolatiere.
Illustratore dei “Grandi”, Bartolomeo Pinelli (1781
–1835), nelle sue incisioni, si compiace di illustrare, anche
i costumi tradizionali e gli aspetti folkloristici dei popoli
italiani. L’incisione del MUVIT appartiene alla serie Costumi diversi inventati e incisi da Bartolomeo Pinelli in 25 tavole
(Roma 1822).
L’ambiente in cui si svolge la scena è supponibile sia il
locale del Caffè del Veneziano abitualmente frequentato
dal Pinelli.
Un richiamo alle origini, dunque, accomunando quanto di
consolatorio vino, cioccolata, caffè hanno offerto all’uomo.
L’attenzione che il MUVIT ha sempre rivolto al rapporto
contenitore-contenuto mediante l’analisi delle forme ceramiche dall’antichità ad oggi è riproposta in questa insolita mostra che ha per oggetto la chicchera, contenitore
di una bevanda pur sempre di elezione.
Gli artisti intervenuti hanno saputo indovinare ironia e
poesia nell’interpretazione della chicchera e presentano
in mostra proposte singolari, che narrano della bevanda
ma concedono allo spirito e al gioco.
Dal Pinelli, dunque, l’idea della cioccolata in osteria, dagli
artisti il segno della cioccolata nella ceramica contemporanea.
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OPERE
RICCARDO BIAVATI
note biografiche
Riccardo Biavati nasce a Ferrara il 14 febbraio 1950.
Si diploma presso il locale Istituto d’Arte e
all’Accademia di Belle Arti di Bologna, sezione di
Decorazione Pittorica.
Dal 1977 al 2007 insegna Discipline Pittoriche
all’Istituto d’Arte “Dosso Dossi” di Ferrara.
Da molti anni si occupa di scultura in ceramica e grafica,
partecipa a numerosi concorsi artistici e mostre personali e
collettive in Italia e all’estero. Cura la direzione artistica de
La Bottega delle Stelle, laboratorio d’arte ceramica ferrarese.
La forma tradizionale di questo contenitore – manico
laterale e beccuccio frontale – diventa dimora di una
figura femminile (dea del cacao?) che si affaccia,
circondata da uccellini. Le chicchere, a forma di bicchiere,
sono caratterizzate da motivi vegetali graffiati, a
ricordare l’origine naturale della bevanda.
La cioccolatiera
grés, ingobbi, smalti
temperatura di cottura 1235°
h max cm 29; largh max cm 28
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GIORGIO CRISAFI
note biografiche
Giorgio Crisafi è nato a Todi.
Ha studiato Storia dell’Arte e Storia del Teatro presso l’Università di Bologna negli anni ’70. Ha collaborato con pittori e
scultori di fama internazionale (Piero Dorazio, Beverly Pepper,
Titina Maselli, Nino Caruso, Bruno Ceccobelli), curandone
pubblicazioni, mostre antologiche e installazioni. Attore, regista, scenografo, ha lavorato con il compositore Hans Werner
Henze e lo scrittore Enzo Siciliano; dal 2004 affianca all’attività
teatrale quella di scultore in ceramica.
Ho davanti a me degli arcaici contenitori, chicchere da
cioccolata, concepite per l’uso [...]. Gli oggetti che osservo
diventano sotto i miei occhi personaggi o manufatti
dall’aspetto animale: non sono più forme soltanto, ma
forme che hanno l’anima, e diventano attori, interpreti
che interagiscono nello spazio tra loro, come in un
palcoscenico.
Questo mi avviene da sempre, da quando giocavo da
solo, fin da quando sogno il teatro.
Così le mie chicchere nascono per disporsi come
personaggi che raccontano la propria storia e per
essere collocati con il senso intimo del legame di un loro
rapporto: da tazze su un vassoio, diventate personaggi
di commedia o antica tragedia, si trasformano
infine in oggetti di scena ad uso esclusivo di una
rappresentazione ideale immaginata.
Oggetti di scena: chicchere
ceramica smaltata
h max cm 18; largh max cm 16
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MARINO FICOLA
note biografiche
Marino Ficola nasce nel 1969 a Deruta, dove vive e lavora.
Nel 1993 consegue il diploma di scultore all’Accademia di
Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia e nel 1995 di Computer Designer per Ceramica. Inizia la carriera artistica affiancando la scultrice americana Beverly Pepper e, nel 1992, è
collaboratore de la MaMa Umbria International.
Membro e socio fondatore della Ceramica Libera Sperimentale di Deruta, nel corso degli anni partecipa alle più importanti rassegne di ceramica in Italia e all’estero.
Le chicchere che ho realizzato sono ispirate alle cinque
forme del tempo; sono state create in porcellana
pensando alla burrosità del cioccolato bianco. Le forme
scultoree infatti vivono l’istante immediatamente
precedente all’atto dello sciogliere...
Le forme del tempo
porcellana tenera
temperatura di cottura 1280°
h max cm 10,5; largh max cm 22,5
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ROBERTO FUGNANESI
note biografiche
Roberto Fugnanesi, nasce nel 1965 a Sigillo.
Dopo gli studi in Scienze Forestali a Firenze, lavora per anni
come responsabile commerciale in una manifattura di ceramica artistica umbra. Partecipa a estemporanee di pittura, a mostre personali e collettive. Nel 2009 due sue opere vengono
inserite nel catalogo della Triennale della Ceramica di Gualdo
Tadino. Nel laboratorio di Sigillo si dedica oltre che alla produzione artistica anche alla didattica promuovendo corsi di
modellazione, tornio e pittura.
Scuro, denso, regale, virile, morbido, sontuoso, odoroso…
il cioccolato incontra la ceramica, materia fatta di atti
“semplici”, ma gravidi di antica sapienza, che da secoli
continua a celebrare i suoi fasti e a soddisfare i nostri
sensi.
[...] Chicchere e cioccolatiere diventano oggetti
straordinari, ironiche colorate epifanie – con il “mastro
cioccolataio” che versa la sua ambrosia divina in
giocose tazze zoomorfe – raffinate sintesi plastiche
in cui il paradosso diventa seduzione del pensiero – i
manici ergonomici si aggrovigliano in eleganti volute
apparentemente friabili e si arricciano in sfuggenti
fragranti lingue sensuali – mentre leggiadri segni
primordiali, graffiti e a rilievo, memori di un codice
iniziatico o di una favola sussurrata, vanno ad
impreziosire l’abito immacolato dei contenitori sapidi di
tradizione. Inebriante solletico dei sensi e dello spirito.
La fattoria
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argilla bianca, alumina, ingobbi, smalti,
I cottura 1050°, II cottura 975°
cioccolatiera h max cm 32; largh max cm 37
chicchera h max cm 10; largh max cm 10
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UBALDO GRAZIA
note biografiche
Ubaldo Grazia nasce a Deruta nel 1939.
Dopo aver lavorato per molti anni a stretto contatto con il
nonno e il padre, negli anni ’70 passa definitivamente al comando della fabbrica di famiglia, azienda che da oltre 500 anni
porta avanti la tradizione della maiolica con fedeltà e sensibilità. Intraprende quella che definisce “la sua avventura americana”: affronta direttamente il mercato degli Stati Uniti creando
un legame lavorativo che ancora oggi continua e dal quale la
sua attività non può prescindere.
Le chicchere realizzate riportano tre decori
rinascimentali.
Il decoro “Grottesche fondo arancio” presenta come
motivo principale la “grottesca”, elemento mutuato dalla
pittura da parte dei ceramisti a fine Cinquecento.
Il decoro “Geometrico” è un motivo ornamentale
proveniente dal mondo arabo.
Il decoro “foglia acanto” è un elemento ripreso dalle
bordature ornamentali di affreschi cinquecenteschi.
Sferica, Campanella, Conica
maiolica
h max cm 10; largh max cm 17
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RITA MIRANDA
note biografiche
Rita Miranda è nata a Todi, dove vive e lavora.
Ha iniziato giovanissima ad affiancare agli studi scientifici la
pratica del disegno e della pittura. In seguito ha approfondito
le tecniche ceramiche con Enzo Tilia e Nino Caruso, individuando nella ceramica raku la risposta alle proprie esigenze
creative. Incontri importanti per la sua formazione sono stati
quelli con Piero Dorazio, Bruno Ceccobelli e Jacqueline Ryan.
É del 2010 la prima mostra personale dal titolo 980°, presso
la Ab Ovo Gallery di Todi.
La mia tazza da cioccolata è realizzata con l’antica
tecnica Raku, legata imprescindibilmente alle
famosissime tazze da the giapponesi.
Ho realizzato una chicchera non molto grande,
esternamente non smaltata e completamente nera, così
da mettere maggiormente in risalto l’interno color oro. La tazza e il piattino, due oggetti distinti, sono però
pensati per diventare un tutt’uno; la chicchera infatti
s’incastra nella struttura alveolare di ispirazione
organica del piattino rendendola stabile e piacevole da
tenere in mano.
La forma del piattino tende ad avvolgere la chicchera,
quasi a proteggere il suo prezioso contenuto.
Chicchere da cioccolata
ceramica raku
h max cm 8,5; largh max cm 12
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MARINO MORETTI
note biografiche
Marino Moretti nasce a Orvieto nel 1965.
Inizia il proprio iter artistico sul finire degli anni ’70, quando
apre il primo laboratorio; qui comincia a sperimentare tecniche quali maiolica, ingobbi, bucchero, smalti, ossidi e vetrine
trasparenti su terracotta e argille refrattarie. Ha collaborato
con artisti internazionali come Walter Ostrom, Derek Smith,
Les Blakeborough, Matthias Ostermann e Victor Greenaway.
É del 1982 la sua prima personale alla galleria “Al Duomo” di
Orvieto; seguono numerose esposizioni.
Il gruppo si divide in forme regolari e forme alterate.
Il decoro gioca un ruolo importantissimo ed è
inquadrabile sotto due diverse categorie: una, ispirata
alla tradizione medievale altolaziale e orvietana, ha
per oggetto una serie di profili reinterpretati in chiave
contemporanea; l’altra, realizzata con minuzia di
particolari, è quella che io amo definire “istoriata”.
Profili e Istoriati
porcellana, ossidi, smalti
temperatura di cottura 1265°
h max cm 10,5; largh max cm 8,5
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La Fondazione Lungarotti
Museo del Vino Torgiano: Una storia antichissima
Risale al 1987 la costituzione della Fondazione
Lungarotti, onlus nata allo scopo di favorire lo
studio, la conoscenza e la promozione del patrimonio di saperi, arte, cultura proprio della millenaria civiltà del vino e dell’olio.
Attiva in campo artistico con la produzione di
mostre ed eventi culturali che le hanno valso
prestigiosi riconoscimenti internazionali, la Fondazione Lungarotti si occupa, a Torgiano, della gestione del MUVIT e del MOO, della tutela delle
opere in essi conservati e della valorizzazione dei
mestieri d’arte che esprimono in Umbria una tradizione antica.
L’intensa attività editoriale che la contraddistingue conta cataloghi di mostre e pubblicazioni
monografiche estremamente curate nella veste
grafica e nei contenuti.
É il fascino misterioso del mito dionisiaco e l’articolato sistema di simboli e significati che il vino
riveste nel corso dei secoli il filo narrativo che guida il visitatore attraverso le collezioni del
MUVIT.
Con l’esposizione di reperti archeologici, manufatti d’arte e corredi etnografici per la viticoltura
e la vinificazione, il MUVIT propone un vero e proprio viaggio nel tempo, che racconta una storia
antichissima, ricca di malie e inattese interpretazioni che svelano i mille volti del vino:
alimento energetico apprezzato per il gusto e le proprietà eccitanti, preziosa merce di scambio,
insostituibile protagonista del simposio, elemento caratterizzante della ritualità religiosa, ingrediente ricorrente nelle preparazioni farmaceutiche...
Fondato da Giorgio Lungarotti con la curatela della moglie Maria Grazia Marchetti Lungarotti
e situato nel seicentesco palazzo Graziani Baglioni, nel centro di Torgiano, costituisce una meta
imprescindibile per quanti – amanti dell’arte, della cultura e del buon vivere – desiderino conoscere e approfondire la storia e la civiltà del vino.
Con l’incanto delle sue collezioni e il rigore della ricerca storica e dell’impostazione museografica, il Museo del Vino contribuisce alla diffusione di una cultura per il consumo consapevole del
vino.
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www.lungarotti.it/fondazione