1° giugno 2010, n. 20722 – Pres. Ambrosini – Est. Rotella. Artt. 4 e

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1° giugno 2010, n. 20722 – Pres. Ambrosini – Est. Rotella. Artt. 4 e
Cassazione, V Sezione Penale – 1° giugno 2010, n. 20722 – Pres. Ambrosini – Est. Rotella.
Artt. 4 e 38, L. 20 maggio 1970, n. 300 - Controllo a distanza dell’attività dei lavoratori –
condotta illecita del lavoratore – videoriprese con telecamera – validità - presupposti – accordo
aziendale – non rileva.
Ai fini dell’operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 4, è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente)
l’attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dall’ambito di applicazione della norma sopra citata i
controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore.
Gli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori implicano l’accordo sindacale a fini di riservatezza dei lavoratori
nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma non implicano il divieto dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale da
azioni delittuose da chiunque provenienti. Pertanto in tal caso non si ravvisa inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 c.p.p.
di prove di reato acquisite mediante riprese filmate.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1 - La Corte di appello di Venezia ha ridotto a m. 6 di reclusione, con generiche equivalenti e riduzione
per rito abbreviato, la pena inflitta dal Tribunale di Treviso a B.D., derubricando l'imputazione di furto
aggravato in quella di appropriazione indebita aggravata di una somma di denaro di ammontare tra i
1000 ed i 2000 Euro, prelevata dalla cassa dell'esercizio pubblico "(OMISSIS)", nel quale prestava
lavoro come cassiera.
La motivazione spiega che la prova emerge da videoriprese effettuate con telecamera installata
all'interno del bar che, secondo teste di PG, mostrerebbero in due occasioni che la cassiera, dato il resto
a cliente, sollevava lo scomparto destinato alla banconote, prelevandone una che infilava in tasca, dopo
essersi guardata intorno ed aver chiuso la cassa. E la Corte di merito, con riferimento a giurisprudenza
(Cass., Sez. 3, n. 8042/07, Fischnaller), ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità delle riprese.
Il ricorso denuncia: 1 - inosservanza di norme a pena di inutilizzabilità, in relazione al dettato della L. n.
300 del 1970, artt. 4 e 38 (Statuto dei lavoratori), perchè la videocamera è stata collocata senza previo
accordo per il controllo dell'imputata nello svolgimento delle sue attività lavorative; 2 - vizio di
motivazione e violazione di legge in punto di pena perchè, pur essendo il delitto già aggravato dall'art.
61 c.p., n. 11, il fatto è ritenuto grave a fine di quantificazione ed in punto di responsabilità per
l'affidamento a giudizio dell'ispettore Guerra circa quanto si vede dal filmato, mentre già è incerto che si
tratti di banconote. 2 - Il 1^ motivo di ricorso è infondato. Le norme degli artt. 4 e 38 dello Statuto dei
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lavoratori tutelano la riservatezza del lavoratore nello svolgimento della sua attività, anche perchè la sua
libertà di comportamento contribuisce al risultato che con il lavoro assicura all'azienda. Perciò stesso,
inversamente, la tutela della sua riservatezza si correla all'osservanza del proprio dovere di fedeltà. In
questi termini, sentenza risalente di questa Corte in caso analogo a quello in esame (Sez. 2 pen., n.
8687/85, Gambino), con riferimento alla L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3 e 4, ha riconosciuto che, quando
sul lavoratore addetto alla registrazione degli incassi si appuntino sospetti di infedeltà, i controlli attivati
dal datore di lavoro risultano legittimi, in quanto il comportamento, in tal caso illecito e contrario al
dovere di collaborazione, esulando dalla sua specifica attività, realizza un attentato al patrimonio
dell'azienda. Di seguito questa Corte riconosce in sede civile i cd. "controlli difensivi" nei seguenti
termini: "Ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza
dell'attività dei lavoratori previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 4, è necessario che il controllo riguardi
(direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori
dell'ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del
lavoratore"(Cass. sez. L. n. 4746/02, Secur-pol srl / Pizzutelli NI., CED rv. 553469, e v. n. 15892/07,
Piluso / Eni spa, che appunto esclude il controllo che abbia per fine proprio le concrete modalità
lavorative). In sintesi, la finalità di controllo a difesa del patrimonio aziendale non è da ritenersi
sacrificata dalle norme dello Statuto dei lavoratori. Passando a questo punto alla questione di
inutilizzabilità, il principio si afferma nei seguenti termini: "gli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori
implicano l'accordo sindacale a fini di riservatezza dei lavoratori nello svolgimento dell'attività
lavorativa, ma non implicano il divieto dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale da azioni
delittuose da chiunque provenienti. Pertanto in tal caso non si ravvisa inutilizzabilità ai sensi dell'art. 191
c.p.p. di prove di reato acquisite mediante riprese filmate, ancorchè sia perciò imputato un lavoratore
subordinato. Il 2^ motivo è manifestamente infondato e di merito insieme. Da un lato difatti travisa la
valutazione di gravità intrinseca del fatto per quella circostanziale additiva e propone criteri alternativi in
punto di pena. Dall'altro, in assenza di concrete allegazioni, ripete eccezione meramente suppositiva,
volta a porre in via alternativa in sede di mero controllo di legittimità in discussione la prova per se
stessa, non la correttezza del ragionamento dei Giudici di merito, fondato su quanto ha determinato il
controllo difensivo della proprietà, il cui esito ha offerto conferma insuperata. P.Q.M. Rigetta il ricorso
e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Sull’ammissibilità ed i limiti dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale
1. Il caso. – 2. I principi espressi nello Statuto dei lavoratori. – 3. I c.d. controlli difensivi. – 4. – Sul trattamento dei
dati personali.
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1. Il caso. La cassiera di un esercizio commerciale viene sorpresa a rubare danaro dalla cassa, sottraendo
più volte banconote dallo scomparto aperto per ricevere i pagamenti dei clienti. I singoli episodi di
furto sono videoripresi con telecamera nascosta. La ex dipendente viene condannata in primo grado per
furto aggravato. In sede di appello l’imputazione viene derubricata in quella di appropriazione indebita
aggravata. La Corte di cassazione, adita dalla lavoratrice, conferma la sentenza di secondo grado
sull’assunto già espresso in passato che il divieto di controlli a distanza previsto dall’art. 4 dello Statuto,
non opera nel caso di controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore lesive del patrimonio
aziendale, sicché le prove in tal modo acquisite possono essere validamente utilizzate e non ricadono
nel divieto posto dall’art. 191, c.p.p.
2. I principi espressi nello Statuto dei lavoratori. L’art. 4, comma 1, dello Statuto dei lavoratori, vieta l’uso di
impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori; il rigore del divieto viene mitigato nel capoverso successivo, ove si ammette l’installazione
dei predetti impianti allorché richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del
lavoro, a condizione che il loro utilizzo sia preceduto da uno specifico accordo con le rappresentanze
sindacali aziendali oppure, in difetto, da un provvedimento dei competenti Servizi ispettivi della
Direzione provinciale del lavoro (già Ispettorato del lavoro). In questo modo si amplia l’ordinario
potere di controllo del datore di lavoro nella misura in cui gli deriva dall’art. 2086, c.c., in punto di
direzione e gerarchia dell’impresa e dall’art. 2104, c.c., a proposito del corretto adempimento delle
prestazioni lavorative.
La ratio del divieto posto dall’art 4, cit., la cui violazione è sanzionata con le disposizioni penali dell’art.
38, St. lav., è quella di tutelare la dignità e l’autonomia dei lavoratori, in modo complementare al divieto
posto dall’art. 8, St. lav., di indagare sulle loro opinioni politiche, religiose e sindacali. Nel complesso, la
norma statutaria mira ad un bilanciamento fra contrapposti interessi. Da un lato, quello del lavoratore a
non essere sottoposto a sistemi di sorveglianza ossessivi e penetranti che possano svilire le diverse
espressioni di valori personali costituzionalmente rilevanti (la dignità intesa di volta in volta come
riservatezza1, personalità2 o libertà morale3) ove ciò non dipenda dalle ragioni enunciate al secondo
comma, dall’altro, quello del datore di lavoro ad utilizzare gli impianti audiovisivi per fini produttivi
riconducibili al principio di libertà della iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e non con il mero
proposito di controllare a distanza l’operato dei dipendenti. In particolare, occorre che la vigilanza
venga mantenuta in una “dimensione umana”4, non esasperata dall’uso di tecnologie capaci di eliminare
ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro e che sia sorretta da interessi
Pretura di Milano 12 maggio 1972, in Foro it., 1972, I, 2706; ICHINO, Diritto alla riservatezza e diritto al segreto nel rapporto di
lavoro, p. 67 ss.; BELLAVISTA, Il controllo sui lavoratori, p. 65 ss.
2 ROMAGNOLI, Comm. Scialoia-Branca, p. 18.
3 Cfr. Pretura di Milano 5 dicembre 1984, in Rivista Italiana di Diritto del lavoro, 1985, II, 209.
4 L’espressione si legge in Cass. 17 giugno 2000, n. 8250, in Nuova Giurisprudenza del lavoro, 2000, 711.
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meritevoli di tutela i quali non potrebbero essere salvaguardati mediante l’attivazione di forme di
sorveglianza diverse e meno intrusive.
La linea di demarcazione tra controlli leciti e non, è stata approfondita dalla giurisprudenza anche meno
recente, con riferimento ai sistemi e alle apparecchiature più disparate. L’evoluzione tecnologica,
l’avvento di internet e della posta elettronica hanno ancor di più esteso la gamma degli strumenti e delle
occasioni di controllo, dando luogo a situazioni anche molto complesse sul piano del corretto
inquadramento giuridico con riflessi non soltanto lavoristici, ma anche penali (si pensi, ad es., agli art.
615 bis e ss., c.p.) e di protezione dei dati personali (cfr., le prescrizioni sempre più frequenti del Garante
per la protezione dei dati personali)5. Quanto in particolare agli impianti audiovisivi (telecamere,
citofoni aperti, microfoni ecc.), fermo come detto il divieto di utilizzarli per finalità di controllo diretto
o intenzionale, ne viene ammesso l’impiego purché giustificato dalle esigenze previste al secondo
comma dell’art. 4, St. lav., ed assicurata comunque l’osservanza dei requisiti formali ivi indicati. In tal
senso è stata confermata la liceità dei controlli svolti per motivi di sicurezza attraverso impianti
audiovisivi installati sui luoghi di accesso alle strutture aziendali (ingresso degli uffici, garage ecc.) nel
rispetto delle garanzie procedimentali previste dall’art. 4, cit., pur quando si tratti di sistemi anche solo
astrattamente idonei al controllo dei posti di lavoro, a prescindere cioè dalla effettività del controllo
stesso, oppure nei casi di sistemi non ancora funzionanti o funzionanti in parte6. Analogamente, il
previo accordo sindacale è stato ritenuto condizione di liceità del controllo anche se discontinuo, in
quanto esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente ed anche quando sia
stato dato loro eventuale preavviso7, indipendentemente dalla natura occulta o palese del controllo
stesso8. In tutti questi casi, i requisiti procedurali fissati dal legislatore, nella misura in cui sono volti a
limitare o attenuare il pregiudizio alla riservatezza e dignità dei lavoratori, impongono il coinvolgimento
dei soggetti e degli organi istituzionalmente preposti alla tutela di siffatti fondamentali valori nella
determinazione delle modalità di utilizzo delle apparecchiature di controllo.
Sul tema specifico degli impianti di controllo degli accessi ai varchi pedonali e carrai installati presso i
locali aziendali, è intervenuto anche il Garante della Privacy con provvedimento del 22 agosto 2006,
riconoscendo la liceità del trattamento dei dati personali derivanti da tali sistemi in relazione ai principi
di necessità, finalità, proporzionalità e correttezza. Infatti, il fine di identificare i soggetti che entrano nei
luoghi aziendali e di trattare, anche con procedure automatizzate, tali dati è giustificato dalle esigenze di
sicurezza sui luoghi d lavoro. Alla luce del citato provvedimento è stato superato anche il rischio di
eventuali distonie con l’art. 8 dello Statuto, per inidoneità dei predetti impianti a consentire indagini
Sull’argomento, M. DEL CONTE, Internet, posta elettronica e oltre: il Garante della privacy rimodula i poteri del datore di lavoro, in
Dir. informaz. Inofrmat., 2007, 497.
6 Cass. 16 settembre 1997, n. 9211, in Mass. giur. lav., 1997, 804; Cass. 18 febbraio 1983, n. 1236, in Foro it., 1985, I, 2076, con
nota di ROSSI; Tribunale di Milano 9 gennaio 2004, in Riv. critica dir. lav., 2004, 648, con nota di BORDONE.
7 Cass. 6 marzo 1986, n. 1490, in Notiziario giurisprudenza lav., 1986, 155
8 Cass. pen., III sez., 15 dicembre 2006, in Notiziario giurisprudenza. lav., 2007, 37.
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vietate sui lavoratori e, in particolare, a trattarne dati sensibili. In ogni caso, attesa la potenzialità del
controllo a distanza derivante in generale dai sistemi di verifica degli accessi ai luoghi aziendali, è stata
sottolineata la necessità di rispettare comunque le garanzie formali previste dall’art. 4, St. lav.
3. I cd. controlli difensivi. La Cassazione affronta nella fattispecie il tema dei cd. controlli difensivi eseguiti
dal datore di lavoro mediante l’installazione di impianti audiovisivi al fine di tutelare il patrimonio
aziendale da eventuali condotte illecite dei propri dipendenti o di terzi. In questi casi, l’uso dei predetti
impianti non è volto al controllo diretto dell’attività lavorativa, ma alla repressione di azioni sovente
delittuose che esulano dal dovere di collaborazione e dal contenuto specifico della prestazione
lavorativa e che integrano un attentato al patrimonio dell’azienda. I controlli difensivi sono dunque
finalizzati all’accertamento di condotte illecite, che, non comportando la raccolta di notizie relative alla
prestazione lavorativa, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 4.
Su queste premesse la Suprema Corte, con motivazione condivisibile, ha escluso l’operatività dell’art.
191, c.p.p., che vieta l’utilizzo di prove illegittimamente acquisite. Invero, le video riprese della cassiera
che sottraeva danaro dalla cassa, non riguardando lo svolgimento della prestazione lavorativa, ma la
ripetuta consumazione di un illecito, non potevano ritenersi acquisite in violazione dell’art. 4 dello
Statuto, così da poter essere utilizzate sia in sede penale, sia per dimostrare la validità del recesso
datoriale.
Gli episodi di piccoli furti ripetuti nel tempo da parte di dipendenti di esercizi commerciali o di grandi
magazzini sono stati più volte sottoposti al vaglio della giurisprudenza, sia sotto il profilo dell’utilizzo di
impianti audiovisivi occulti, che dell’impiego di guardie giurate o di agenti privati ingaggiati per
investigare sulla condotta dei dipendenti (artt. 2 e 3, St. lav.).
Quanto all’uso di impianti audiovisivi va segnalato un contrasto in seno alla Sezione lavoro della Corte
di cassazione. La pronuncia del 2010, in nota, è contraddetta dalla sentenza 17 giugno 2000, n. 8250,9
relativa al caso di una barista che aveva sottratto delle somme custodite nella cassa e che era stata
filmata da una telecamera a circuito chiuso installata nell’esercizio commerciale. Convenuta in giudizio
per il risarcimento dei danni patrimoniali e non, la ex barista contestava ogni addebito sul presupposto
che l’installazione della telecamera contravveniva al divieto posto dall’art. 4 dello Statuto e chiedeva a
sua volta, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni alla propria immagine professionale. Rigettate
in primo grado entrambe le domande con la compensazione delle spese di lite, il datore di lavoro, dopo
avere inutilmente adito il giudice di l’appello, proponeva ricorso per cassazione. Con la detta pronuncia
la Suprema corte ha inizialmente osservato che il divieto posto dall’art. 4, St. lav., penalmente
sanzionato dal successivo art. 38, fa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario
modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di
attuazione incidenti nella sfera interna della persona, si ritengono potenzialmente lesive della dignità e
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In Not. giurisprudenza lav., 2000, 711.
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della riservatezza del lavoratore. Nella circostanza, l’installazione di telecamere da parte del datore di
lavoro, nella misura in cui le stesse sono risultate finalizzate a controllare a distanza anche l’attività dei
dipendenti, era da ritenersi illecita ed inficiava il valore probatorio del fotogramma conseguito in sua
violazione. Allo stesso risultato doveva giungersi, a voler far confluire la fattispecie concreta in quella
prevista dal secondo comma dell’art. 4 cit., in quanto l’installazione delle telecamere non era stata
preceduta dall’iter descritto nel comma citato.
Messa in questi termini la questione, appare tuttavia impossibile immaginare una qualunque forma di
controllo a distanza che, unitamente alla condotta illecita del lavoratore, non comporti anche il
controllo dell’attività lavorativa nel senso vietato dalla norma statutaria. Con la conseguenza che il furto
o l’appropriazione indebita o il danneggiamento consumati dal lavoratore durante l’attività lavorativa
non potrebbero essere filmati, sebbene al fine di evitarne la reiterazione, senza filmare anche il lavoro
ed incorrere così nel divieto posto dall’art. 4, St. lav., almeno nel senso inteso dalla Cassazione con la
pronuncia suddetta. O meglio, le telecamere potrebbero anche essere installate, ricorda la Suprema
Corte, ma solo con la preventiva adesione delle rappresentanze sindacali, dovendo in mancanza
intervenire i competenti Servizi ispettivi della Direzione provinciale del lavoro.
Quel che si fatica a comprendere nell’iter argomentativo del citata pronuncia è come sia possibile
incorrere in sanzioni penali, quelle previste dall’art. 38 dello Statuto, quando l’installazione di telecamere
sia, come nel caso del dipendente che ruba, l’unico strumento a disposizione del datore di lavoro per
evitare la reiterazione di un reato in suo danno e per assicurare la repressione delle condotte penalmente
rilevanti da lui già subite. La paradossale conseguenza del ragionamento seguito dalla Cassazione nel
precedente del 2000, è che si finisce se non per tollerare, quanto meno non impedire o non
adeguatamente ostacolare la violazione dell’art. 624, c.p., disciplinante il furto, onde evitare di incorrere
nella violazione delle disposizioni penali previste dallo Statuto, creando di fatto un assurdo conflitto tra
norme penali che non ha alcun motivo di esistere. E’ dunque auspicabile un intervento in materia delle
Sezioni Unite che chiarisca i limiti operativi del divieto posto dall’art. 4, St. lav., nel senso indicato dalla
più recente pronuncia del 2010, la cui motivazione può forse integrarsi con il richiamo alla legittima
difesa di cui all’art. 52, c.p., quale scriminante che fa venir meno l’antigiuridicità della condotta posta in
essere. In questa ottica, se risulta possibile giustificare addirittura l’uso delle armi a difesa di diritti
patrimoniali, purché si tratti dell’unico mezzo per impedire l’aggressione al patrimonio10, non si capisce
come sia possibile sanzionare penalmente l’uso di una banale telecamera per evitare che il dipendente
infedele continui a delinquere. In alternativa alla legittima difesa, possono essere menzionati i cosiddetti
offendicula, cioè quei rimedi utilizzati in via preventiva a tutela della proprietà, quando il pericolo non sia
attuale come nel caso della legittima difesa, e che rientrano nella scriminante dell’esercizio del diritto
10 Cfr. Cass. pen., Sez. V, 14 marzo 2003, in Riv. Pen., 2003, p. 1079; Cass. pen., Sez. II, 17 novembre 1999, in Cass. pen.,
2001, p. 478.
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prevista e disciplinata dell’art. 51, c.p. Neppure si condivide che, nel caso di furto da parte di un
dipendente, urga o sia necessario il preventivo accordo sindacale sull’uso delle telecamere, anche perchè
non vi sarebbe nulla da garantire sul piano della dignità e della riservatezza di quel dipendente. A meno
di non voler trasformare lo Statuto dei lavoratori in un bizzarra Carta del lavoratore ladro, diverso e
avvantaggiato rispetto al ladro comune che può essere liberamente e impunemente video ripreso, oltre
che discriminato, per fini di giustizia.
Va in ogni ricordato che di fronte al sospetto che eventuali ammanchi di cassa siano ascrivibili alla
condotta di un proprio dipendente, il datore di lavoro mantiene sempre la possibilità di adire
(incautamente, è il rischio) il giudice penale. E’ quanto accaduto nel caso deciso da Tribunale di Milano
1° gennaio 2008, relativo ad un licenziamento per giusta causa irrogato sulla base di evidenze probatorie
acquisite dalla Procura della Repubblica che, nel corso di una indagine penale, aveva installato alcune
telecamere nei corridoi e nei servizi igienici della società, senza il rispetto dell’art. 4, St. lav., che
(ovviamente) non trova applicazione nei confronti dell’autorità giudiziaria.11
Sotto altro profilo, a mitigare il rigore della pronuncia del 2000, sembra utile richiamare quella
giurisprudenza, anche di legittimità, che, ai fini della validità del controllo, pone l’accento sul “tipo di
lavoro” svolto dal dipendente e sul rapporto tra questo e il mezzo di controllo utilizzato. Così è stata
riconosciuta legittima l’installazione di un apparecchio di rilevazione delle telefonate per evitare l’uso
privato del telefono aziendale da parte di un dipendente che, in quanto addetto alla sorveglianza,
svolgeva un tipo di mansioni che in alcun modo contemplavano l’uso del telefono12. Viceversa, è stato
riconosciuto illegittimo l’uso di uno analogo strumento di controllo (un software di rilevazione e
registrazione delle telefonate) nei confronti di un dipendente addetto al call center poiché in questo caso,
proprio in ragione del tipo di lavoro svolto, lo strumento utilizzato non poteva non estendere il
controllo anche all’attività lavorativa, con la logica conseguenza della necessaria applicazione delle
garanzie riconosciute dall’art. 4, St. lav.13 Nell’ottica di privilegiare la valutazione delle condizioni nelle
quali in concreto si realizza il controllo a distanza, va ricordato anche il parare 6 giugno 2006 del
Ministro del Lavoro, emesso su interpello dell’ABI, con riferimento alla installazione di apparecchiature
volte ad effettuare un più incisivo controllo dei costi del servizio telefonico, ove l’accento viene ancora
una volta posto sulla necessità di valutare “caso per caso” le circostanze che si presentano, sia con
riferimento alle esigenze sottese all’installazione di tali apparecchiature, che alle concrete possibilità che
dalle stesse possa derivare un controllo sull’attività dei lavoratori.
Tornando al precedente del 2000, a prescindere dalla pur commendevole valorizzazione delle
condizioni che devono essere di volta in volta esaminate, quali il tipo di lavoro svolto, la capacità di
In Riv. critica dir. lav., 2008, 509.
Cass. 3 aprile 2002, n. 4746, in Mass. giur. lav., 2002, n. 10, p. 644 e ss.
13 Tribunale di Milano 18 marzo 2006, in Riv. critica. dir. lav., 2006,752 ss.
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memorizzazione delle apparecchiature installate e l’utilizzo che ne viene fatto dal datore di lavoro14, va
comunque ribadito che nel caso del dipendente addetto alla cassa che sottrae furtivamente somme di
danaro, non e possibile adottare dei controlli difensivi che non riprendano anche l’attività lavorativa,
visto che lo svolgimento dell’attività di cassa ed il maneggio di danaro rappresentano l’occasione per la
consumazione dell’illecito. In questa situazione la condotta del lavoratore viene sottoposta a controllo
non già per la raccolta e la registrazione di dati qualiquantitativi in previsione di un eventuale sindacato
sulla diligenza ex art. 2104, c.c., ma perchè nel corso dell’attività lavorativa si manifestano
comportamenti illeciti del tutto estranei al suo normale contenuto.
L’affermazione che non sia possibile filmare il dipendente che ruba o che ciò sia possibile soltanto
previo accordo con le rappresentanze sindacali, non tiene conto del fatto che, in quel preciso momento,
il dipendente non sta lavorando, anzi, sul piano non soltanto semantico, egli non è neppure un
dipendente, ma piuttosto un individuo che delinque e che approfitta del contesto lavorativo per avere
l’occasione di delinquere. Il fatto che le telecamere, unitamente al furto, possano riprendere anche dei
frangenti di attività lavorativa (come e quanto rapidamente serve i clienti, ad esempio) non assume
alcun significato sul piano dell’art. 4 cit., per il semplice fatto che non vi è alcun interesse del datore di
lavoro a controllarne il normale e ordinato svolgimento. In altri termini, non si controlla a distanza il
lavoro altrui, ma si controlla a distanza la eventuale consumazione di un reato contro il patrimonio
aziendale da parte di un soggetto solo apparentemente occupato a lavorare, con la precisazione che tale
sua condizione non può generare zone franche oppure una maggiore facilità di azione a causa della
necessità di osservare divieti e garanzie formali messe a presidio di ben altri valori.
Sotto altro profilo, appare condivisibile quella giurisprudenza che, sempre in tema di furti ripetuti da
parte di addetti alla cassa, ammette il ricorso a personale esterno all’azienda con funzione investigativa e
di accertamento di eventuali illeciti penali. In questi casi, non trovano applicazione gli artt. 2 e 3 dello
Statuto, i quali vietano di esercitare ogni forma di controllo occulto inteso ad accertare la trasgressione,
nello svolgimento della prestazione lavorativa, delle prescrizioni dettate dall’art. 2104, c.c. Diversa
l’ipotesi di eventuale realizzazione da parte di lavoratori di comportamenti illeciti esulanti dalla normale
attività lavorativa, pur se commessi nel corso di essa, per l’accertamento dei quali il datore di lavoro non
è tenuto ad utilizzare esclusivamente l’opera delle guardie giurate, in quanto la circostanza che
dell’impiego di questa sia fatta menzione nell’art. 2 dello Statuto per fini di tutela del patrimonio
aziendale, non implica l’impossibilità di ricorrere alla collaborazione di soggetti diversi (anche
dipendenti da un’agenzia investigativa) in difetto di espliciti divieti al riguardo e in considerazione della
libertà di difesa privata. Più in generale, si riconosce che i citati articoli di legge comunque non
escludono il potere dell’imprenditore ai sensi degli artt. 2086 e 2104, c.c., di controllare direttamente o
mediante la propria organizzazione gerarchica o anche attraverso personale esterno – costituito da
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Al riguardo vds., Tribunale di Milano 9 gennaio 2004, in Riv. critica. dir. lav., 2004, 648.
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dipendenti di un’agenzia investigativa – l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare
mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente
dalle modalità del controllo, che può avvenire anche occultamente senza che vi ostino né il principio di
correttezza e buona fede nei rapporti né il divieto di cui all’art. 4, cit., riferito esclusivamente all’uso di
apparecchiature per il controllo a distanza, non applicabile analogicamente siccome penalmente
rilevante.15
Non si può invece parlare di controlli difensivi ammissibili oltre i limiti previsti dall’art. 4 cit., nel caso
in cui si tratti di sistemi di controllo a distanza che, pur installati per genuine esigenze di tutela del
patrimonio aziendale e di singoli beni patrimoniali dei dipendenti, finiscano per mettere a disposizione
del datore di lavoro dati utilizzabili anche in funzione di controllo dell’osservanza dei doveri di diligenza
(es. rispetto dell’orario di lavoro e corretta esecuzione della prestazione lavorativa). E’ quanto affermato
dalla Cassazione nella sentenza 17 luglio 2007, n. 1589216, a proposito di una società che, al fine di
agevolare i propri dipendenti muniti di autovettura, aveva predisposto per essi un locale garage ove
posteggiarla durante l’orario di lavoro, inserendo, tuttavia, un congegno di sicurezza volto a consentire
l’ingresso a tale garage solo mediante un meccanismo elettronico attivato da un tesserino personale
assegnato a ciascun dipendente – badge -, lo stesso che attivava gli ingressi agli uffici. Oltre a consentire
l’elevazione della sbarra di ingresso al (e uscita dal) garage, il meccanismo rilevava, dal badge, e
registrava l’identità di chi passava nonché l’orario del passaggio. Il che permetteva, mediante l’incrocio
di tali dati con quelli rilevati elettronicamente all’ingresso degli uffici, di controllare il rispetto o non
degli orari di entrata e uscita e la presenza sul luogo di lavoro da parte dei dipendenti.
Un’apparecchiatura di controllo, dunque, predisposta per il vantaggio dei dipendenti, ma utilizzabile
anche in funzione di controllo dell’osservanza da parte di questi dei loro doveri di diligenza nel rispetto
dell’orario di lavoro e della correttezza della stessa esecuzione della prestazione lavorativa. Tale
apparecchiatura – a differenza di quella analoga installata agli ingressi dell’ufficio – non era stata
concordata con le rappresentanze sindacali, né era stata autorizzata dall’allora Ispettorato del lavoro.
Per tale ragione la Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato al dipendente sulla base di
un addebito reso possibile dall’incrocio dei dati raccolti anche attraverso l’apparecchiatura installata nel
garage senza il preventivo accordo con la rappresentanza sindacale, la qual cosa avrebbe reso utilizzabili
i predetti dati anche a fini disciplinari.
4. Sul trattamento di dati personali. L’uso di sistemi di videosorveglianza sui luoghi di lavoro implica il
trattamento di dati personali. Appare dunque necessaria una riflessione sulle possibili interrelazioni con
Cass. 12 giugno 2002, n. 8388, in Rep Foro it., 2002, voce lavoro (rapporto) [3890], n. 852; Cass. 3 luglio 2001, n. 8998, in
Foro it., 2002, I, 2793; Cass. 12 agosto 1998, n. 7933, in Notiziario giur. lav., 1998, 697; Cass. 3 novembre 1997, n. 10761, in
Rep. Foro it., 1997, voce lavoro (rapporto) [3890], n. 10761; Cass. 23 agosto 1996, n. 7776, in Rep. Foro it., 1996, voce lavoro
(rapporto) [3890], n. 811, ; Cass. 25 gennaio 1992, n. 829, in Notiziario giurisprudenza lav., 1992, 523; Cass. 19 giugno 1985, n.
2933, in Notiziario giurisprudenza lav., 1985, 417; Cass. 3 maggio 1984, n. 2697, in Rep. Foro it., 1984, voce lavoro (rapporto)
[3890], n. 1746; Cass. 24 marzo 1983, n. 2042, in Foro it., 1985, I, 439.
16 In questa Rivista, 2007, I, 768.
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il caso trattato nella sentenza che si annota. In generale, sull’argomento, è utile ricordare il recente
provvedimento 8 aprile 2010 del Garante della Privacy che, come già nel precedente provvedimento
generale del 29 aprile 2004, ha ribadito il principio espresso all’art. 114 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196
(Codice in materia di protezione dei dati personali), secondo cui resta fermo in materia di controlli a
distanza sui luoghi di lavoro quanto previsto dall’art. 4 dello Statuto. Con la conseguenza che, ove
possibile, l’installazione di videocamere che comportano il controllo a distanza, anche indiretto o
soltanto potenziale, dell’attività lavorativa dei dipendenti, deve essere preceduta dall’osservanza delle
regole sancite dall’art. 4, comma 2°, cit. Nel provvedimento è precisato che tali garanzie devono essere
osservate sia all’interno degli edifici, sia in altri contesti in cui sia resa la prestazione di lavoro (ad
esempio, nei cantieri edili o con riferimento alle telecamere installate sui veicoli adibiti al servizio di
linea per il trasporto di personale). In particolare, è inammissibile l’installazione di sistemi di
videosorveglianza in luoghi riservati esclusivamente ai lavoratori o non destinati all’attività lavorativa
(ad es. bagni, spogliatoi, docce, armadietti e luoghi creativi). Il mancato rispetto di queste prescrizioni
comporta l’applicazione della sanzione amministrativa stabilita dall’art. 162, comma 2-ter, del Codice
(pagamento di una somma da trentamila a centottantamila euro). Ove poi l’utilizzo di sistemi di
videosorveglianza sia preordinato al controllo a distanza dei lavoratori o ad effettuare indagini sulle loro
opinioni, è integrata la fattispecie di reato prevista dall’art. 171 del Codice, che in pratica rinvia alle
disposizioni penali dell’art. 38 dello Statuto17.
Venendo al caso in esame del cassiere ripreso mentre sottrae danaro dalla cassa, ferma l’inoperatività
dell’art. 4 dello Statuto per le ragioni innanzi dette, il trattamento della immagine ed eventualmente della
voce del dipendente mediante l’uso di una telecamera, in quanto rivolto a far valere un diritto in
giudizio, non presuppone il suo consenso (art. 24 del Codice) né tanto meno la preventiva informativa
(ex art. 13 del Codice), con la conseguenza che non sussistono nell’occasione profili di indebito utilizzo
dei suoi dati personali.
Giovanni Cinque
avvocato in Milano
17 Sull’argomento, NATALI, Tutela della privacy: nuove regole sulla videosorveglianza, in Diritto & pratica del lavoro, 2010, n. 22,
nonché, ivi, Webcam in negozio e privacy dei lavoratori, 2010, 37, 2148 e ss., stesso autore.
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