Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò

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Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò
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Anne Markham Schulz
Due scultori fiorentini a Venezia:
Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
A
ndrea di Ugolino Pisano, l’autore delle
porte della facciata sud del Battistero di
Firenze su cui sono iscritti il suo nome e
l’anno 1330, lavorò mai a Venezia come fece a Firenze, a Pisa e infine a Orvieto? Castelnuovo1,
Wolters2, Trachtenberg3 e Moskowitz4 hanno ritenuto che un documento relativo alle porte del Battistero avvalori in certa misura l’ipotesi di un suo
soggiorno veneziano. Il 6 novembre 1329 l’Arte di
Calimala stabilì che le porte dovessero essere fatte
di bronzo e che l’orefice Piero di Jacopo, futuro
collaboratore di Andrea Pisano, dovesse andare a
Pisa a disegnarvi le porte – presumibilmente la
porta in bronzo di San Ranieri al duomo, realizzata da Bonanno da Pisa – per poi proseguire fino a
Venezia “a cercare di maestro a lauorare la forma
di detta porta di metallo”5. Alcuni hanno ipotizzato che il maestro individuato da Piero a Venezia
fosse Andrea Pisano, il quale dopo poco più di due
mesi iniziò a lavorare alle porte, terminando entro
il 2 aprile 1330 il bozzetto in cera6. D’altra parte,
Falk e Lànyi avevano già osservato, assieme ad altri, che Piero di Jacopo fu inviato a Venezia non
per cercare uno scultore, bensì un fonditore di
bronzo, che un documento successivo dimostra
essere stato il fonditore di campane veneziano
Leonardo di Avanzo7. Sembrerebbe dunque che i
documenti non attestino di fatto la presenza di Pisano a Venezia prima dell’inizio del lavoro alle
porte bronzee del Battistero a Firenze.
Altra evidenza verbale del soggiorno veneziano di
Andrea deriva dalla seconda edizione delle Vite, in
cui Vasari scrive, con una certa esitazione: “Dicono alcuni (non l’affermarei già per vero) che Andrea stette a Vinezia un anno e vi lavorò di scultura alcune figurette di marmo che sono nella facciata di San Marco, e che al tempo di messer Piero
Gradenigo [25 novembre 1289 - 13 agosto 13118],
doge di quella rep[ublica] fece il disegno dell’Arsenale; ma perché io non ne so se non quello che
truovo essere stato scritto da alcuni semplicemente, lascerò credere intorno a ciò ognuno a suo mo-
do”9. Sebbene Cicognara abbia pensato di poter
riconoscere la mano di Andrea fra la miriade di
statue delle tre facciate della basilica di San Marco10, l’attribuzione di tali figure inaccessibili non si
poteva prendere sul serio. Allo stesso modo, Wolters non ha respinto tout court l’informazione fornita da Vasari, ma non essendo a conoscenza di
opere veneziane di Andrea, l’ha trascurata per
prudenza11. A questo punto si sono fermate le ricerche sul problema12.
Eppure la prova del soggiorno veneziano di Andrea
non solo esiste, ma è visibile da vari decenni nella
galleria delle sculture al piano nobile della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro (figg. 1-5).
La figura seduta senza testa nel portego (inv. sc. 14)
è identificata in maniera dubitativa quale Evangelista nell’ultimo catalogo del museo per via dell’estremità di un nastro terminante in una nappa
sulla sua coscia sinistra, che Augusti ipotizza potesse far parte della rilegatura di un libro13. La statua in marmo di Carrara misura 68 centimetri di
altezza, 49 di larghezza e 36 di profondità e presenta vaste rotture sui piani principali, tra cui la
perdita delle porzioni inferiori di entrambi gli
avambracci14, come se fosse caduta in avanti, forse
durante uno dei molti terremoti che si sono verificati a Venezia. Tracce di policromia sono rimaste
sul bordo inferiore del mantello, dove si può distinguere un motivo a caratteri cufici. Questo
aspetto, come pure la superficie così rifinita da
sembrare traslucida e il suo eccellente stato di conservazione, indicano che la figura seduta fu realizzata per un ambiente chiuso e non fu mai esposta
all’esterno: di fatto, la sua fine lavorazione e l’assenza di distorsioni prospettiche lasciano pensare
che fosse installata a breve distanza dall’osservatore15. L’opera è presente alla Ca’ d’Oro fin dall’apertura della galleria al pubblico, avvenuta nel 1927, e
quando fu acquisita dal museo venne attribuita a
uno “scultore veneziano (?) gotico”16. La statua,
assieme a svariate altre sculture, era giunta alla
Galleria Franchetti dal Museo Archeologico di Ve-
1. Andrea Pisano,
Evangelista (?). Venezia,
Galleria Giorgio Franchetti
alla Ca’ d’Oro.
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2. Andrea Pisano,
Evangelista (?). Venezia,
Galleria Giorgio Franchetti
alla Ca’ d’Oro.
3. Andrea Pisano,
Evangelista (?). Venezia,
Galleria Giorgio Franchetti
alla Ca’ d’Oro.
4. Andrea Pisano,
Evangelista (?). Venezia,
Galleria Giorgio Franchetti
alla Ca’ d’Oro.
5. Andrea Pisano,
Evangelista (?). Venezia,
Galleria Giorgio Franchetti
alla Ca’ d’Oro.
6. Andrea Pisano,
Temperanza. Firenze,
Battistero, porta meridionale.
7. Andrea Pisano, Fortezza.
Firenze, Battistero, porta
meridionale.
8. Andrea Pisano, Cristo
Salvatore. Firenze, Museo
dell’Opera del Duomo.
nezia17, che l’aveva a sua volta acquistata, nell’agosto del 1849, dal “deposito della fabbriceria di S.
Marco”18. Le guide successive della Ca’ d’Oro hanno dato l’opera con più o meno esitazione a un artista toscano della prima metà del XV secolo19; di
recente Adriana Augusti ha identificato l’autore
nel fiorentino Niccolò Lamberti20, che si ritiene
abbia svolto il ruolo di protomagister della basilica
di San Marco almeno a partire dall’ottobre del
1416.
Ma basta un confronto con il San Marco seduto
documentato quale opera di Niccolò Lamberti al
Museo dell’Opera del Duomo di Firenze (figg. 1112) per confutare l’ipotesi della paternità della figura acefala alla Ca’ d’Oro. In realtà quest’ultima
scultura non è affatto quattrocentesca bensì della
metà del Trecento. La qualità eccellente indica la
mano di un artista di primo piano e il suo stile rimanda ad Andrea Pisano. Tipiche di Andrea, come dimostra il confronto con il suo Salvatore in
marmo presso il Museo dell’Opera del Duomo di
Firenze (fig. 8) o con diverse delle sue Virtù sulle
porte del Battistero (figg. 6-7), sono le proporzioni
robuste della figura e la brevità delle gambe e della porzione superiore delle braccia. Non solo il
torso è piuttosto massiccio, ma la rotondità della
figura non subisce alcuna riduzione. In effetti, il
torso recede in maniera così uniforme da creare un
cilindro, mentre le cosce si proiettano avanti come
farebbero in natura. In entrambe le figure maschili, i piedi sono di grandezza eccezionale. Il mantello aderisce strettamente al corpo rivelandone i
contorni; la sequenza regolare degli archi prodotti
dal sottile panneggio – perfetti segmenti di cerchio
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9. San Marco. Venezia,
basilica di San Marco,
coronamento della facciata
occidentale.
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vece la sottile variazione di peso, la profusione dei
panneggi, la ricchezza, la varietà e l’eleganza calligrafica dei motivi da essi creati e l’audace scavatura del blocco che, assieme al livello straordinario
di levigatura, producono una vastissima gamma di
chiaroscuri, sono più affini ai rilievi successivi, come la Visita dei discepoli al Battista imprigionato,
Salomè porta la testa del Battista a Erodiade, la Sepoltura del Battista e tutte le Virtù. La cesellatura e
la doratura delle porte bronzee furono terminate
nel giugno del 1336. Secondo il Centiloquio di Antonio Puccio, Andrea succedette nel ruolo di capomaestro del duomo a Giotto, il quale l’8 gennaio
del 1337, giorno della sua morte, si stava occupando della costruzione del campanile22. Alla fine degli anni trenta del XIV secolo risalgono chiaramente i rilievi realizzati da Andrea per il campanile. È opinione comune che sia stato Pisano, chiamato “magistro Andrea maiore magistro dicte
opere”, a essere consultato in merito all’edificazione della canonica a Firenze, come riferito in data
26 aprile 134023. Tra quel giorno e il 14 maggio
10. Niccolò Lamberti,
San Luca. Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
11. Niccolò Lamberti,
San Marco. Firenze, Museo
dell’Opera del Duomo.
– assomigliano alla rappresentazione di scorcio
delle linee orizzontali che circoscrivono un cilindro. In realtà, le curve si accrescono e diventano
più profonde a mano a mano che scendono lungo
il torso, proprio come accadrebbe se fossero disegnate in prospettiva da un punto di vista elevato.
Le pieghe non terminano ai lati della figura a meno che non vengano sormontate da altre pieghe:
per il resto, proseguono intorno alla silhouette per
creare efficaci visioni laterali. In cima al petto, il
tessuto si ripiega come nel Salvatore; il suo fine
bordo fa pensare a un sottile panno di lana, il che
viene confermato dalla moderata plasticità delle
pieghe. Come nel Salvatore, la parte superiore del
corpo è eretta e orientata in posizione frontale, ma
le gambe sono differenziate dal grado di pressione
maggiore o minore che sembrano esercitare sul
terreno. Come nelle Virtù delle porte del Battistero, le gambe sono ampiamente divaricate e l’interstizio fra l’una e l’altra è profondamente scavato; il
disegno delle pieghe varia da una gamba all’altra,
ma in entrambe rivela chiaramente il contorno delle cosce. La stoffa in eccesso del lunghissimo abito,
rigirato ai lati del corpo, viene tenuto fermo dalla
figura seduta su di esso, proprio come nelle Virtù.
Intorno al piede, che non partecipa a supportare il
peso del corpo, le pieghe disegnano le tipiche lunghe curve a forcina, mentre in corrispondenza del
piede esposto il disegno si interrompe per creare
una linea orizzontale fortemente frastagliata subito
sopra l’arco. Le dita dei piedi oltremodo lunghe e
ossute sono molto diverse da quelle più eleganti
delle statue quattrocentesche, che in genere indicano l’influsso della scultura classica.
Resta da chiedersi se Andrea abbia intagliato questa figura prima o dopo l’esecuzione delle porte
del Battistero. A mio parere, la qualità eccelsa della statua rivela una raffinatezza che mancava nei
primi rilievi delle porte bronzee, cioè l’Annuncio
dell’angelo a Zaccaria e la Nascita del Battista21. In-
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1347, quando Andrea ricompare in veste di capomaestro della cattedrale di Orvieto (luogo dove
evidentemente infine morì)24, il nome del Pisano
non si trova nei documenti d’archivio giunti sino a
noi. D’altro canto, Vasari attribuì ad Andrea numerose opere architettoniche e ingegneristiche
eseguite al servizio di Gualtieri di Brienne, duca
d’Atene e signore di Firenze dall’8 settembre 1342
al 6 agosto 134325, mentre la Becherucci ha argomentato in modo convincente che al soggiorno fiorentino di Andrea fece seguito un periodo di attività a Pisa26. A Pisa, un’opera attribuita in maniera
persuasiva ad Andrea, la Madonna con il Bambino
un tempo situata all’apice della facciata ovest del
duomo, è posteriore al 27 luglio 1345, quando fu
effettuato il pagamento per l’acquisto e il trasporto del blocco in cui fu a quanto pare scolpita27;
mentre il 3 marzo 1348 un carrettiere fu compensato per aver trasportato da Pisa a Orvieto una
Maestà completata, identificata con la statua in
marmo di una Madonna con il Bambino in piedi al
Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, accreditata in maniera apodittica ad Andrea Pisano28.
Se i riferimenti di Vasari al doge Gradenigo a Venezia e al duca d’Atene a Firenze sono corretti, è
più probabile che Andrea abbia visitato Venezia
tra l’aprile del 1340 e il dicembre del 1342. Se il
doge in questione non era dopotutto un Gradenigo, allora Pisano potrebbe essersi recato a Venezia
dopo che il suo supposto mecenate fiorentino fu
espulso, nell’agosto del 1343. A ogni buon conto,
dunque, l’Evangelista risalirebbe agli anni quaranta del XIV secolo – agli inizi o alla metà del decennio – e costituirebbe una delle opere più eccelse di Pisano.
Tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo lo stile
tardogotico condizionò in modo così uniforme
l’aspetto della scultura veneziana che oggi la mano
dei singoli artisti risulta assai difficile da distinguere. A ciò si aggiunga che quasi nessun nome è associato in maniera indiscutibile a una particolare
opera, per non parlare di un intero corpus; di conseguenza, la schiera degli artisti è composta in vasta misura da scultori anonimi che rendono la distinzione di mani ancora più problematica. Inoltre, le opere principali, molte delle quali situate sul
coronamento della basilica di San Marco, risultano
gravemente danneggiate dagli agenti atmosferici e
sono collocate in luoghi inaccessibili. Di fatto, solo poche o, forse, nessuna delle sculture di cui tratterò di seguito sono state osservate da vicino dagli
studiosi che in molti casi si sono basati, per l’attribuzione, su fotografie scattate con il teleobiettivo.
Nell’intento di ottenere risultati più attendibili, mi
limiterò, fatto salvo per un’unica eccezione, a esa-
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12. Niccolò Lamberti,
San Marco, particolare.
Firenze, Museo dell’Opera
del Duomo.
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minare opere che ho avuto modo di studiare e fotografare in prima persona su impalcature ravvicinate.
Tra gli scultori veneziani della fine del Trecento e
del primo quarto del Quattrocento, Niccolò di
Pietro Lamberti detto Pela spicca per la vastità
della sua biografia e per il numero di opere documentate. Pertanto Lamberti è diventato uno scultore cui si fa riferimento in prima e in ultima istanza e non vi è quasi statua di rilievo sul coronamento della basilica di San Marco che non gli sia stata
attribuita. Il corpus delle sue opere, quindi, oggi
consiste in un’olla podrida composta da pochi pezzi autografi e da un gran numero di sculture, principalmente veneziane, di altri autori. È tale situazione che cercherò di rettificare escludendo le
opere estranee al suo catalogo sulla base di un confronto con sculture a lui correttamente assegnate e
attribuendo all’artista una scultura inedita rivelatasi strategicamente rilevante.
Il luogo e la data di nascita di Niccolò di Pietro
Lamberti sono ignoti29. Alcuni documenti degli
anni ottanta e novanta del XIV secolo in cui si
menziona un Niccolò di Piero, in associazione con
una matricola della corporazione degli scalpellini
di Firenze effettuata nel 1391, potrebbero riferirsi
a lui oppure no. Fra il 1391 e il 1395 Lamberti lavorò assieme a Giovanni d’Ambrogio, a Piero di
Giovanni Tedesco e a Jacopo di Piero Guidi alla
parte inferiore della Porta della Mandorla del duomo fiorentino. Tra il 1404 e il 1409 Niccolò scolpì
tre Angeli e una figura di Ercole nella porzione destra dell’archivolto che incornicia la lunetta della
porta. Le statue dei Santi Agostino e Gregorio per
le nicchie che fiancheggiano la porta principale del
duomo di Firenze, eseguite secondo i disegni di
Agnolo Gaddi, furono consegnate da Niccolò fra
il 1395 e il 1401. La Madonna con il Bambino nel
timpano della Porta dei Canonici del duomo di Firenze si può ricollegare in maniera plausibile ai pagamenti ricevuti da Lamberti nel 1395 e nel 1396,
mentre l’Angelo a sinistra nella lunetta è senza
dubbio l’opera per cui ricevette un compenso nel
1402. Quello stesso anno Lamberti ottenne un pagamento probabilmente associabile alla Vergine
annunciata della Porta dei Cornacchini del duomo. Nel 1401 Lamberti partecipò insieme con
Ghiberti, Brunelleschi e altri alla gara per la seconda coppia di porte bronzee del Battistero di Firenze con un rilievo, oggi perduto, del Sacrificio di
Isacco.
Lamberti era stato chiamato a dirigere i lavori di
edificazione di una sala nel Palazzo Ducale di Venezia, come apprendiamo da una lettera dell’8 giugno 1403 inviata dalla Signoria fiorentina al doge
Michele Steno, ma non potè accettare l’incarico a
causa di precedenti impegni con l’Opera del Duomo e con l’Arte dei Giudici e Notai. Quest’ultimo
contratto vincolava Lamberti a eseguire la statua
di San Luca per la facciata principale della chiesa
di Orsanmichele. La scultura, datata tra il 1403 e
il 1406, è oggi conservata presso il Museo Nazionale del Bargello (fig. 10). Tra il 1408 e il 1415 Niccolò scolpì il San Marco (figg. 11-12), uno dei quattro Evangelisti seduti allogati anche a Donatello,
Bernardo Ciuffagni e Nanni di Banco e realizzati
per fiancheggiare il portone centrale di Santa Maria del Fiore: tutte e quattro le statue sono conservate presso il Museo dell’Opera del Duomo. La lapide del mercante Francesco Datini nella chiesa di
San Francesco a Prato risale al 1411. Nel febbraio
del 1415 Lamberti venne pagato per un doccione
eseguito per il duomo e il 21 marzo 1415 ricevette
il saldo per il San Marco; i documenti fiorentini
non lo menzionano più fino al 15 aprile 1419,
quando acquistò un blocco di marmo per una
tomba dall’Opera del Duomo di Firenze. Non co-
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bre e il novembre del 1424 Lorenzo Ghiberti trascorse cinquanta giorni nella città nell’ambito di
una missione diplomatica e la sua presenza a Venezia produsse dimostrabili effetti artistici32. Anche
se la sua carriera giovanile si svolse a Padova, lo
scultore fiorentino Niccolò Baroncelli potrebbe
avere in realtà debuttato a Venezia, come lascia
ipotizzare il riferimento a un “Ser Nicolaus Johannis lapizida de Florentia” contenuto in un documento inedito dell’11 agosto 143233. Di molti altri
scultori fiorentini attivi a Venezia non resta altro
che il nome. Paoletti ha trovato negli archivi citazioni di “Ser Petrus de Florentia lapicida de confinio S. Gervaxij” nel 1416, “Ser Nicolaus de florentia” a San Salvador nel 1424, Tommaso di Cristoforo da Firenze nel 1431, Tommaso di Jacopo da
Firenze a San Pantalon nel 1435, Giovanni di Domenico da Firenze a San Stin nel 1436 e Antonio
di Cristoforo da Firenze nel 145034. Rigoni ha pubblicato un documento del 1427 relativo a Giovanni di Cristoforo da Firenze a San Geminiano35. Altri documenti veneziani, mai resi pubblici in precedenza, attestano la presenza di lapicidi fiorenti-
nosciamo il momento preciso in cui giunse a Venezia, ma dev’essere accaduto prima del 23 ottobre
1416, data in cui Pietro da Campione aveva già registrato il debito di 120 ducati contratto da Niccolò presso di lui per otto pezzi di fogliame. Il 27 luglio del 1419 Lamberti era a Carrara per cavare il
marmo per la decorazione della basilica di San
Marco; a quanto pare, la quantità necessaria fu ottenuta solo nel febbraio del 1420, quando Lamberti fece ritorno a Carrara, presumibilmente per
sovrintendere al trasporto del marmo a Venezia.
Un’ondata di scalpellini immigrati da Firenze seguì le orme di Lamberti. I nomi di suo figlio Pietro
e di Giovanni di Martino da Fiesole sono incisi assieme all’anno 1423 nel bordo inferiore dell’epitaffio sulla tomba del doge Tomaso Mocenigo nella
basilica dei Santi Giovanni e Paolo, ed è possibile
che gli scultori fossero giunti a Venezia alcuni anni
prima30. Nanni di Bartolo compare per la prima
volta nei documenti veneziani il 14 maggio 142431
e restò attivo a Venezia fino alla morte. Tra l’otto-
13. Niccolò Lamberti, Carità.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata settentrionale.
14. Niccolò Lamberti, Carità,
particolare. Venezia, basilica
di San Marco, facciata
settentrionale.
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15. San Giovanni
Evangelista. Venezia, basilica
di San Marco, facciata
occidentale.
16. San Marco. Venezia,
basilica di San Marco, facciata
occidentale.
17. San Giovanni
Evangelista, particolare.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata occidentale.
18. San Marco, particolare.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata occidentale.
19. San Luca, particolare.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata occidentale.
20. San Matteo, particolare.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata occidentale.
ni: Antonio di Bastiano, Bastiano q. Jacopo e Lorenzo q. Antonio, tutti residenti nella parrocchia
di San Samuele nel 143136, Simone q. Bernardo
nella vicina parrocchia di San Moisé nel 143237 e
Antonio q. Pietro, che viveva nella stessa parrocchia nel 143938. Nel 1449 un “Ser Benedeto taiapiera da Fiorenza” era morto e la sua vedova era in
procinto di risposarsi39. Sul capitello all’angolo
nordoccidentale del portico al pianterreno di Palazzo Ducale sono iscritte le parole: DUE SOTII FLO40
RENTIN INCSE . Nelle sue condizioni di intenso restauro, il capitello non è più suscettibile di attribuzione, ma la presenza del campanile di Firenze nella scena con Numa Pompilio conferisce plausibilità
all’ipotesi di una paternità fiorentina.
Nel 1420 l’Opera del Duomo di Firenze decise di
restituire a Niccolò tutto il materiale che aveva lasciato nelle officine dell’Opera: sembrerebbe, pertanto, che non si contasse più sul suo ritorno. Tuttavia, per motivi che verranno delineati in seguito,
io ritengo che Lamberti si trovasse a Firenze intorno al 1430. Il 7 giugno 1428 un documento bolognese registrò che Lamberti era stato scelto quale
arbitro dall’Opera di San Petronio per la valutazione di un capitello; altri documenti bolognesi
che citano un Niccolò di Pietro, scalpellino, forse
non si riferiscono a lui. Un documento del 10 agosto 1435 in cui si cita Pietro Lamberti come figlio
del defunto Niccolò da Firenze costituisce un terminus ante quem per la morte dello scultore.
Sebbene Lamberti non sia mai nominato nei documenti quale protomaestro responsabile della costruzione di San Marco, il fatto che sovrintendesse
all’acquisto di marmo a Carrara per la decorazione
della basilica dimostra che in effetti rivestì tale
ruolo. È tra l’altro da notare la notizia anonima del
1415 in cui si afferma che i tabernacoli della facciata nord di San Marco e le figure in essi contenute,
così come quelle dei piedistalli floreali, erano già
stati realizzati (“fo fatti”) e che aveva avuto inizio
l’installazione del fogliame sugli archi41, i quali,
non a caso, erano tutti in marmo bianco di Carrara. Si tratta dunque probabilmente delle foglie
d’acanto per gli archi della facciata nord che Lamberti aveva subappaltato a Pietro da Campione e
non aveva ancora pagato in data 23 ottobre 1416.
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
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21. Angelo annunciante.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata occidentale.
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delle pieghe non corrisponde in nessun caso ai
drappeggi concepiti da Lamberti. Inoltre, non si
riscontra alcun elemento in cui la fisionomia del
San Giovanni o dei suoi compagni combaci con
quello del San Marco fiorentino di Lamberti (figg.
11 e 12).
Alla stessa mano che si suppone responsabile degli Evangelisti – vale a dire a Niccolò Lamberti –
Goldner e Cavazzini hanno attribuito la Vergine
annunciata e l’Arcangelo Gabriele sul coronamento
di San Marco (figg. 21-25)46. Malgrado l’enfasi posta sulla somiglianza tra il gruppo e l’Annunciazione di Marco Romano oggi alla Tesoreria di San
Marco, Valenzano ha approvato decisamente la
proposta della Cavazzini per l’Annunciazione e ha
datato l’opera a un periodo immediatamente successivo al 142047. La studiosa ha senz’altro ragione
nel notare un’analogia tra i fitti riccioli dei due Angeli di San Marco, ma questo trattamento delle
chiome caratteristico di Marco Romano e che ricorre nella statua appena esaminata di San Giovanni Evangelista, era evidentemente piuttosto diffuso. Il motivo delle pieghe che la Cavazzini ha ritenuto collegasse le figure dell’Annunciazione agli
Evangelisti mi colpisce invece per la sua poca somiglianza. Il disegno più audace negli Evangelisti,
la plasticità del panneggio profondamente scavato
e dei bordi lavorati a sottosquadro, e l’interruzione
22. Angelo annunciante.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata occidentale.
Nel 1986 ho attribuito a Niccolò Lamberti la statua in marmo della Carità al culmine dell’arcata
più a occidente della facciata nord della basilica
(figg. 13-14)42, attribuzione che è stata quindi accettata dalla Cavazzini e altri43. Come il tardo San
Jacopo realizzato da Lamberti per la chiesa di Orsanmichele a Firenze (fig. 37), il contrapposto
molto moderato della Carità non incide sulla posizione eretta, frontale e simmetrica delle sue braccia, del collo e del torso, ma governa di fatto la disposizione delle sue vesti fittamente drappeggiate: raccolta sul fianco che regge il peso, la stoffa
ricade in lunghe pieghe semitubolari e leggermente oblique fino a terra, dove il tessuto in eccesso costringe il panneggio a cambiare direzione. Il motivo del linenfold disegnato dall’orlo che
serpeggia fra i piedi ricorre in maniera pressoché
identica nella statua di Lamberti del San Marco
seduto (fig. 11).
L’attribuzione a Niccolò Lamberti dei quattro
Evangelisti in pietra d’Istria sulla facciata ovest della basilica (figg. 15-20) è stata sostenuta da George
Goldner44 e riproposta da Laura Cavazzini45, ma a
mio avviso è assai lontana dal vero. In primo luogo, a un paragone tra le teste dei quattro Evangelisti si osserva la mano di autori diversi, tre dei quali imitano, con maggiore o minor successo, la fisio-
nomia del San Giovanni Evangelista, presumibilmente eseguita dal maestro della bottega. Che tale
bottega non fosse quella di Niccolò Lamberti è dimostrato da un confronto tra il San Giovanni e la
Carità. A differenza del corretto allineamento fra
l’incavo del collo e il tallone del piede che sostiene
il peso, riscontrabile in molte figure in piedi di
Lamberti, il peso dell’Evangelista cade tra i due
piedi, compromettendo la stabilità della statua. Il
drappeggio pesante e abbondante, che avvolge la
figura in maniera assai sciolta, è del tutto indipendente dall’anatomia e dalla postura della statua,
contrastando così con la stoffa molto più sottile e
attillata del panneggio della Carità, così come del
San Luca e del San Jacopo (fig. 37) di Niccolò, le
cui pieghe illustrano in modo canonico il contrapposto delle sculture. Di fatto, la profonda scavatura del blocco, il lavoro a sottosquadro dei bordi, e
i contorni discontinui creano nell’Evangelista, così
come nei suoi compagni, una superficie eccessivamente irregolare; nell’abbondanza e nella pesantezza del loro panneggio, che nasconde del tutto il
corpo e aggiunge una massa considerevole alle figure, gli Evangelisti sembrano indebitati con la
scultura borgognona di Claus Sluter. Il panneggio
varia nettamente di statua in statua per disegno,
ma non per qualità; nondimeno, la disposizione
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improvvisa delle pieghe ad angolo raggruppate intorno ai piedi, contrastano con la serie regolare di
pieghe più fini e con l’orlo sinuoso, come si nota in
particolar modo nel Gabriele.
D’altro canto, sono convinta che lo scultore responsabile dell’Annunciazione di San Marco abbia
eseguito anche la Madonna degli Alberetti nella
chiesa dei Santi Apostoli di Venezia (figg. 26, 28),
come sostenuto dalla Cavazzini48, nonché la Madonna con il Bambino alla Casa Romei di Ferrara
(figg. 27, 29), la cui attribuzione al maestro della
Madonna degli Alberetti è stata proposta dalla Cavazzini e da Richard Stemp49 indipendentemente
l’uno dall’altra. Ma la possibilità che il loro autore,
o lo scultore dell’Annunciazione, sia Niccolò Lamberti è a mio avviso inesistente. Mentre la testa del
San Marco al museo del duomo fiorentino (fig. 12)
spicca per la sagoma notevolmente allungata sulla
sommità e per la posizione degli occhi al livello del
centro del viso, le teste della Vergine annunciata e
dell’Angelo, così come quelle delle due Madonne
(figg. 23, 24, 28, 29), risultano altrettanto notevoli
per la loro forma quadrata, per la fronte bassa e
per l’ampiezza delle mandibole gonfie. Gli occhi e
le sopracciglia hanno forme differenti e né le labbra sottili della Madonna degli Alberetti, né quelle
rovesciate in maniera disorganica dell’Angelo presentano analogie di qualunque tipo con la bocca
23. Angelo annunciante,
particolare. Venezia, basilica
di San Marco, facciata
occidentale.
24. Vergine annunciata,
particolare. Venezia, basilica
di San Marco, facciata
occidentale.
46
25. Vergine annunciata.
Venezia, basilica di San
Marco, facciata occidentale.
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
del San Marco. Le pieghe sono di gran lunga più
uniformi per disposizione, densità, grado ridotto
di sporgenza e rientranza e per percorsi paralleli e
curvilinei. Le serpentine ripetute dell’orlo piano,
particolarmente notevoli nella Madonna degli Alberetti, ma evidenti anche nell’Angelo dell’Annunciazione (figg. 26, 22), non ricorrono mai nelle
opere assegnate con certezza a Niccolò Lamberti.
Mentre l’influsso della scultura borgognona rimanda a una data situata fra il 1405 e il 1415 circa
per gli Evangelisti, per il gruppo dell’Annunciazione e per i due rilievi delle Madonne è a mio parere
più plausibile una datazione al tardo XIV secolo.
Nella cronaca di Donato Contarini si riferisce che
i tabernacoli della facciata nord di San Marco furono iniziati nel 1384, mentre la campana che
pende dal tabernacolo direttamente sopra la testa
dell’Angelo dell’Annunciazione reca l’iscrizione
MCCCLXXXIIII50. Né l’Annunciazione, né le altre opere di questo artista rivelano l’influenza dello stile gotico internazionale da un lato o, dall’altro, di Ghiberti, Donatello o altri contemporanei
fiorentini. Infatti non vedo motivo per non datare
questo gruppo di opere a un periodo molto vicino
a quello della fabbricazione della campana. In tal
caso, l’uso di pietra d’Istria anziché di marmo, materiale in cui fu scolpita la Carità, avvalora l’ipotesi
che l’esecuzione del gruppo dell’Annunciazione e
anche degli Evangelisti abbia preceduto l’arrivo di
Niccolò Lamberti e l’acquisto che fece del marmo
a Carrara51.
Come ho rilevato nel 1986, una testa molto simile
a quella del San Marco si trova invece nell’Evangelista più in basso a destra dell’intradosso che incornicia la finestra centrale della facciata ovest di
San Marco (fig. 32)52. Sebbene l’incendio del 1419
(che danneggiò le cupole della basilica ma a quanto pare lasciò intatta la facciata) non costituisca,
come si riteneva in passato, un terminus post quem
inconfutabile per la scultura dei quattro Evangelisti dell’intradosso e dei quattro Patriarchi che li accompagnano, la realizzazione delle otto figure nel
terzo decennio del XV secolo concorda con i dati
stilistici a nostra disposizione. Tutte le sculture sono in marmo bianco di Carrara e parzialmente policrome e dorate53. Procedendo dal basso all’alto
dell’arco, le figure alla destra dell’osservatore raffigurano: San Luca (fig. 32); San Matteo (fig. 30); San
Giovanni Evangelista (fig. 33) e San Marco (fig.
31)54. La pulitura dell’arcone della basilica di San
Marco effettuata tra il luglio del 1987 e il 21 aprile
1994 e l’esposizione delle figure dell’intradosso
nell’ex chiesa di San Basso tra il 23 dicembre 1992
e il 24 gennaio 199355 hanno permesso non solo di
corroborare l’attribuzione del primo Evangelista a
destra, San Luca, al Lamberti, ma di identificare
47
quali sue opere anche il San Matteo e il San Marco56. Dei tre, il San Matteo (fig. 30) sembra, come
osservato da Zucchetta, il più incerto e il più affine
al San Luca di Lamberti al Bargello (fig. 10). Le
pieghe e i riccioli più ampi, voluminosi e dinamici
e la rientranza e la sporgenza esagerate dei tratti
del San Marco e del San Luca implicano l’eventuale realizzazione da parte dello scultore che la posizione elevata delle figure e la loro distanza dall’osservatore rendevano necessarie forme più enfatiche e contrasti di luce e ombra più netti. Nel San
Matteo il drappeggio è raccolto sul fianco non portante come nel San Luca al Bargello, mentre nel
San Marco (fig. 31) e nel San Luca (fig. 32) questo
errore viene corretto. Ipotizzerei dunque che tra il
San Matteo e i Santi Marco e Luca sia trascorso un
notevole intervallo di tempo. La posa e il panneggio dei Santi Marco e Luca si rispecchiano in ampia
misura e le loro fisionomie sono intercambiabili. Il
San Giovanni (fig. 33), invece, è diverso dagli altri
per proporzioni, posa e drappeggio; la sua barba,
che si apre a ventaglio, non si riscontra in nessuna
delle opere certe di Niccolò. Il panneggio, composto da un numero assai esiguo di pieghe ampie ed
estremamente plastiche, è il più audace di queste
figure. Concordo insomma con Zucchetta nel considerare il San Giovanni stilisticamente distinto dagli altri tre Evangelisti 57.
Sul lato opposto dell’intradosso, le figure rappresentano i Patriarchi del Vecchio Testamento. Dalla
base al culmine si osservano, rispettivamente: 1.
Abramo, 2. Isacco e 3. Giacobbe (fig. 34), per finire
con 4. Noè, che dovrebbe essere il primo. Anche se
le statue non sono molto dissimili, la fattura diversa delle chiome e delle barbe lascia supporre che
siano state tutte intagliate da diversi collaboratori
di Niccolò Lamberti.
Nel 1986 ho posto in rilievo la corretta ponderazione del Giacobbe, in cui il tallone che sostiene il
peso è allineato con l’incavo del collo, e l’uso del
vestimento per evidenziare la posa della figura:
come nel San Matteo di Ghiberti a Orsanmichele,
il mantello si stende sopra la coscia protesa in
avanti, rivelandone il contorno, ed è sospeso in
pieghe verticali sopra la gamba che sorregge il peso, mentre l’orlo è sollevato lasciando visibile il
piede che sostiene il corpo58. Per contro, nei suoi
Santi Marco e Luca (figg. 10, 11) Niccolò sembra
essersi fermato allo stadio del San Giovanni Evangelista di Ghiberti. Le gambe piuttosto lunghe e le
teste piccole danno l’impressione che i Patriarchi
misurino quasi due metri d’altezza, in contrapposizione con le figure accorciate di Niccolò. Va a
ogni modo osservato che negare la responsabilità
di Niccolò per il San Giovanni e per i Patriarchi
non ci autorizza ad accreditarli a suo figlio Pie-
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Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
26. Madonna degli Alberetti.
Venezia, chiesa dei Santissimi
Apostoli.
27. Madonna con il Bambino.
Ferrara, Casa Romei.
tro59, alla cui opera non sono affatto paragonabili.
Un’altra attribuzione errata a Niccolò Lamberti
che si è fatta strada nella letteratura è quella del
San Marco in marmo di Carrara al culmine della
facciata ovest della basilica (figg. 9, 35)60. Hans
Ramisch ha formulato di recente alcune considerazioni iconografiche per dimostrare che la figura
rappresenta il Cristo Salvatore61. Quel che Ramisch ha tuttavia trascurato sono le antiche convenzioni nel raffigurare i principali attori della
storia sacra, che assegnavano capelli corti ricciuti
e barba ugualmente ricciuta a san Marco non al
Cristo62. Questa è l’unica opera che non ho potuto studiare de visu. La fotografia disponibile è di
buona qualità, ma sospetto che sia stata scattata
con un obiettivo grandangolare che falsa le proporzioni allungandole. Diversamente che per le figure di Lamberti, per questa non è stato compiuto alcun tentativo di razionalizzare l’inclinazione
in termini di postura ponderata, secondo la quale
gli assi delle anche e delle spalle divergono e lo
schema delle pieghe distingue la gamba non portante da quella che sostiene il peso. Al posto delle
lunghe pieghe raddrizzate di Lamberti, che, partendo dal fianco reggente il peso, corrono senza
interruzione di continuità fino alla base dove si interrompono di colpo cambiando direzione, qui si
osserva una serie regolare di pieghe che pendono
come catene e si fermano solo all’altezza del ginocchio; le curve dell’orlo sono molto più sinuose
della sobria estremità dei bordi delle vesti di Lamberti. Il trattamento della chioma e della barba
non trova paralleli nelle opere certe di Niccolò e il
volto tirato ed emaciato, gli zigomi nodosi e protuberanti, le orbite bulbose, le palpebre scavate
sulla superficie inferiore e le labbra larghe e rovesciate sono antitetici rispetto alle fattezze della testa del San Marco fiorentino di Lamberti (fig. 12).
Vi è tuttavia una statua che, trascurata quasi del
tutto in letteratura, non è mai stata attribuita: un
Santo vescovo all’esterno del muro laterale setten-
trionale della chiesa di Sant’Eufemia alla Giudecca
(fig. 36) che io assegnerei a Niccolò Lamberti e daterei alla fine della sua attività a Venezia. L’opera
manca nel monumentale compendio di Wolfgang
Wolters sulla scultura gotica e primo-rinascimentale veneziana e non riceve che un fugace accenno
nelle guide, con l’unica eccezione del libro di Alberto Rizzi sulla scultura erratica veneziana63. La
figura proviene dalla chiesa demolita del convento
femminile benedettino dei Santi Biagio e Cataldo,
sulla punta occidentale della Giudecca; nel 1899 la
scultura fu installata in una nicchia posta sotto il
portico della chiesa che corre lungo le Fondamenta di Sant’Eufemia64. Scolpita in pietra d’Istria, la
statua misura 94,5 cm d’altezza e potrebbe rappresentare san Biagio o san Cataldo, che furono entrambi vescovi, o qualche altro santo vescovo. La
figura ha subito la perdita degli avambracci e delle
mani, la sostituzione della testa (quella attuale fu
ricavata, probabilmente qualche secolo dopo, da
un blocco di pietra estraneo) e la scheggiatura della piega principale posta sopra la gamba destra e il
lato anteriore della base: solo una porzione minuscola della superficie originaria, ora annerita, è
giunta sino a noi.
Nel suo canone, il Santo vescovo risulta alto e magro e presenta piedi piccoli. La figura è inclinata
molto leggermente all’indietro ed è girata, solo appena, verso la sinistra dell’osservatore. Il peso della statua posa sulla sua gamba destra, cui corrisponde l’asse marcatamente obliquo delle anche.
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
49
28. Madonna degli Alberetti,
particolare. Venezia, chiesa
dei Santissimi Apostoli.
29. Madonna con il Bambino,
particolare. Ferrara, Casa
Romei.
Anche se il piede che sostiene il peso non è visibile, la piega principale che scende dal fianco si interrompe precisamente nel luogo in cui dovrebbe
esistere il piede; questo punto, non a caso, si trova
proprio al di sotto della convergenza del colletto
sull’incavo del collo. Le pieghe ripercorrono con
perfetta lucidità la distribuzione del peso del corpo e forniscono il movimento che di fatto manca
alla figura. La pianeta e la tunica aderiscono l’una
all’altra così perfettamente che, fatto salvo per i
lembi del mantello avvolti attorno alle braccia della statua, il gioco di pieghe dell’una non si distingue da quello dell’altra. La stoffa sottile della pianeta e della tunica produce bordi poco profondi in
corrispondenza degli orli e delle pieghe fini, la cui
sporgenza e rientranza non alterano quasi l’uniformità della superficie. Nondimeno, le creste delle
pieghe sono arrotondate. I loro decorsi curvilinei
sono più lunghi su un lato che sull’altro e disegnano talvolta un’ansa. Ai piedi, le pieghe si comprimono nel punto in cui si rigirano su se stesse.
Il Santo vescovo contribuisce a gettar luce sulla datazione della statua di San Jacopo eseguito da Lamberti per la nicchia della corporazione dei vaiai e
pellicciai all’esterno della chiesa di Orsanmichele
(fig. 37). Con l’eccezione di Volker Herzner, la cui
attribuzione della figura a Michelozzo che avrebbe
lavorato in base a un disegno di Ghiberti65, trovo
francamente incomprensibile, l’assegnazione del
San Jacopo a Niccolò Lamberti è ormai generalmente condivisa66. D’altro canto, non è stato anco-
ra raggiunto alcun consenso riguardo alla sua datazione, forse poiché nel datarlo non è stato mai fatto alcun riferimento all’opera veneziana del Lamberti. Avendo osservato l’influsso esercitato dal
San Matteo di Ghiberti sul San Jacopo, Manfred
Wundram ha ipotizzato per quest’ultimo un terminus post quem al 142267. Ma Wundram non ha notato che il San Jacopo è stato anche influenzato dal
Santo Stefano di Ghiberti, eseguito per la chiesa di
Orsanmichele tra l’aprile del 1425 e il 1° febbraio
del 1429, quando fu installato nella sua sede. In effetti, sembrerebbe che il Santo Stefano abbia determinato le proporzioni insolitamente allungate del
San Jacopo e l’abbondanza di stoffa che produce,
nel mantello, una cascata di pieghe discendenti dal
fianco portante68. Di conseguenza, propongo di
datare la realizzazione della statua di San Jacopo al
1430 circa, quando è presumibile che Niccolò
Lamberti sia tornato a Firenze dopo il suo lungo
soggiorno veneziano.
Di fatto, il Santo vescovo si colloca a metà strada
fra quella che a quanto pare fu l’ultima statua eseguita da Lamberti per la basilica di San Marco, vale a dire la Carità (fig. 13), e la sua ultima scultura
in assoluto, il San Jacopo di Orsanmichele, e giustifica perciò una datazione alla fine degli anni venti
del XV secolo. Pur non presentando proporzioni
tanto allungate quali quelle del San Jacopo, il canone del Santo vescovo produce una figura slanciata.
La sua inclinazione gotica è razionalizzata dalla timida allusione a un contrapposto classico nell’asse
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Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
nettamente diagonale dei fianchi, nel lieve avanzamento della coscia della gamba libera e in quello
che sembrerebbe essere stato un rapporto inverso
tra gli arti liberi e quelli portanti; l’asse verticale
centrale determinato dall’incavo del collo risulta
terminare sul tallone del piede che sostiene il peso.
Nondimeno, in conformità con tutte le altre figure
in piedi di Lamberti, il Santo vescovo non devia in
misura significativa dalla frontalità perfetta e l’asse
delle sue spalle resta orizzontale. Il panneggio è
composto da una stoffa leggera e malleabile, come
un tessuto di lana sottile, e avvolge piuttosto strettamente la figura, ma a differenza del mantello del
San Jacopo, il cui gioco di pieghe si differenzia in
prossimità dell’orlo da quello della tunica sottostante, nel Santo vescovo le pieghe dei diversi strati non divergono l’una dall’altra. Il drappeggio che
ricade a cascata dalle braccia del vescovo si ritrova
nei festoni dagli orli serpeggianti prodotti dalle
pieghe che scendono dalle braccia del precedente
San Luca (fig. 10). Sotto ogni aspetto, lo schema
del drappeggio è tanto affine a quello della Carità
e del San Jacopo quanto la resa di una pianeta episcopale può esserlo rispetto a mantelli disposti in
maniera asimmetrica. Le pieghe sottili, la cui curva
ascende più da un lato che dall’altro e non corrisponde a una sezione di cerchio, articolano il torso. La stoffa in eccesso è raccolta sul fianco portante, a partire dal quale lunghe pieghe leggermente oblique, che curvano solo nell’avvicinarsi al suolo, definiscono la traiettoria del movimento. Alla
base, le lunghe pieghe si interrompono e cambiano
direzione una volta per terminare in una serie modesta di anse69.
Il Santo vescovo costituisce il punto massimo raggiunto da Niccolò Lamberti nella sua adesione ai
fondamenti della scultura rinascimentale definiti
da Ghiberti, Donatello e Nanni di Banco. Nella
sua reazione, per quanto caratterizzata dalla formazione tardo-trecentesca, alle invenzioni del primo Rinascimento, Lamberti si distinse dagli autori
dell’Annunciazione (figg. 21, 25) e del San Marco
del coronamento sulla facciata ovest della basilica
di San Marco (figg. 9, 35), che non diedero segno
di avere familiarità con la scultura quattrocentesca. Invece, l’esempio di Donatello indusse Lamberti a contenere la stravaganza calligrafica del suo
San Marco seduto (fig. 11); da Donatello e Ghiberti, l’artista imparò a conferire all’inclinazione gotica delle sue figure una plausibile spiegazione meccanica e a concedere all’anatomia un’esistenza,
seppur discreta, indipendente dal panneggio che
la copriva. Ciò nonostante, bisogna riconoscere
che l’avvicinamento di Lamberti allo stile rinascimentale fu molto limitato. In effetti, il Santo vescovo è immediatamente riconoscibile quale opera
dell’autore della Madonna del 1395-1396 nella
Porta dei Canonici del duomo di Firenze, a dimostrare che lo stile di Niccolò fu di una coerenza
straordinaria. In ampia misura, l’evoluzione di
Lamberti consistette in un affinamento della sua
tecnica e del suo gusto, tanto che in un’altra epoca
il suo San Jacopo (fig. 37) si sarebbe definito manierista. Per contro, la sua Carità e il suo Santo vescovo (figg. 13, 36), che si fermarono ben prima di
tale eccesso, costituiscono una dichiarazione estetica tardogotica tanto elegante quanto le più fiorite produzioni di Ghiberti.
Providence, Brown University
E. Castelnuovo, Andrea di Ugolino, in Dizionario Biografico degli
Italiani, III, Roma 1981, p. 118.
W. Wolters, La scultura veneziana gotica 1300/1460, Venezia
1976, I, p. 243, cat. 175.
3
M. Trachtenberg, The Campanile of Florence Cathedral: “Giotto’s
Tower”, New York 1971, p. 55.
4
A. Fiderer Moskowitz, The Sculpture of Andrea and Nino Pisano,
Cambridge 1986, p. 8, nota 3. Si veda anche Ead., The Framework
of Andrea Pisano’s Bronze Doors: Some Possible non-Tuscan Sources, “Source”, II, Winter 1983, 2, pp. 1-4.
5
G. Kreytenberg, Andrea Pisano und die toskanische Skulpture des
14. Jahrhunderts, München 1984, p. 179, doc. 4.
6
Ivi, p. 179, doc. 5, datato 13 gennaio 1330 (m.s.), e doc. 7. L’avvio del lavoro alle porte è datato a un momento leggermente posteriore, al 22 gennaio 1330, in un altro documento: ivi, doc. 6.
7
I. Falk, J. Lányi, The Genesis of Andrea Pisano’s Bronze Doors,
“Art Bulletin”, XXV, 1943, pp. 134-135. Il documento che cita
Leonardo di Avanzo è stato pubblicato in G. Kreytenberg, Andrea
Pisano..., cit., p. 179, doc. 11.
8
Presumibilmente questa informazione deriva da un errore presente nella fonte di Vasari, per cui Pietro Gradenigo fu confuso
con Bartolomeo Gradenigo, doge dal 7 novembre 1339 al 28 dicembre 1342.
9
G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, a
cura di R. Bettarini e P. Barocchi, I, parte 1, Verona 1967, pp. 153154. Questa informazione fu ripresa da P.A. Orlandi, Abecedario
pittorico dei professori più illustri in pittura, scultura, e architettura,
Firenze 1788 [II ed.], p. 66. D’altra parte, l’Orlandi attinse a un’altra fonte, da lui definita “manoscritto antico”, che traspare dalla
sua datazione esplicita del dogato di Pietro Gradenigo al 1300.
10
L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, Prato 1823 [II ed.], II, p. 75; III, pp. 404405. Ma cfr. il testo di Francesco Saccardo, che compare nel capitolo a cura di F. Saccardo, G. Saccardo, Sculture simboliche, in La
Basilica di San Marco in Venezia illustrata nei riguardi dell’arte e
della storia da scrittori veneziani, a cura di C. Boito, Venezia 1888,
pp. 251-252, e F. Saccardo, Sculture diverse, ivi, p. 273.
11
Vedi sopra nota 2.
12
In effetti G. Tigler, L’apporto toscano alla scultura veneziana del
Trecento, in Il secolo di Giotto nel Veneto, a cura di G. Valenzano e
F. Toniolo, Venezia 2007, p. 266, ha scritto di recente: “non dimostrabile è invece la vecchia leggenda di un soggiorno veneziano di
Andrea”.
13
A. Augusti, in A. Augusti, F. Saccardo, Ca d’Oro. La Galleria
Giorgio Franchetti, Milano 2002, p. 20.
14
Un pezzo del pollice destro originario aderisce tuttavia ancora al
petto.
15
Dal momento che la superficie posteriore dell’Evangelista è piana ma solo sbozzata, la figura non poteva essere autonoma. Anche
i lati del trono sono piani ma solo sbozzati; alla destra dell’osservatore il trono è meno rifinito che a sinistra. D’altra parte, un bordo
alquanto levigato e uniforme di circa 1,5 centimetri di larghezza
corre lungo il margine superiore e anteriore del trono.
16
Fatto salvo per le rotture, la figura è in condizioni eccellenti.
Nel 1979 è stata sottoposta a un’opera di conservazione che però
ha richiesto poco lavoro oltre alla rimozione delle incrostazioni
nella parte inferiore e alla base della statua. Queste informazioni
mi sono state cortesemente fornite da Claudia Cremonini, direttrice della Ca’ d’Oro, l’11 gennaio 2011.
17
La statua acefala di scultore ignoto è stata catalogata al numero
343 in tre inventari inediti del Museo Archeologico stilati a partire
1
2
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
dal 1887, con un’annotazione secondo cui l’opera fu trasferita alla
Ca d’Oro e ufficialmente ceduta in data 14 maggio 1979. È presumibile che nelle tre voci la provenienza sia stata sempre classificata come “ignota” per motivi di incuria.
18
[G. Valentinelli], Museo archeologico della R. Biblioteca Marciana di Venezia, Venezia 1872, pp. 16-17, n. 9. Nell’archivio della
Procuratoria di San Marco non si trovano informazioni relative alla statua. Ringrazio la dott.ssa Maria Da Villa Urbani per la ricerca
tra i documenti di San Marco.
19
F. Valcanover, Ca d’Oro. La Galleria Giorgio Franchetti, Venezia
1986, pp. 17, 20; S. Moschini Marconi, Galleria G. Franchetti alla
Ca’ d’Oro Venezia, Roma 1992, p. 19.
20
Vedi sopra, nota 13.
21
Mi baso qui sulla convincente cronologia dei rilievi ipotizzata da
A. Fiderer Moskowitz, The Sculpture of Andrea..., cit., pp. 12-18.
G. Kreytenberg, Zu Andrea Pisanos Türe am Florentiner Baptisterium, “Das Münster”, XXVIII, 1975, pp. 222, 230, nota 45, seguendo I. Falk, Studien zu Andrea Pisano, Hamburg 1940, p. 55,
51
ha dimostrato che il pannello di destra è posteriore.
G. Kreytenberg, Andrea Pisano..., cit., p. 181, doc. 36.
23
Ivi, p. 181, doc. 35.
24
Ivi, p. 181, doc. 37.
25
G. Vasari, Le vite..., cit., II, parte 1, pp. 156-157.
26
L. Becherucci, La bottega pisana di Andrea da Pontedera, “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XI, 1965,
pp. 227-262.
27
Ivi, pp. 246-248; R.P. Novello, in Il Duomo di Pisa, a cura di A.
Peroni (“Mirabilia Italiae”, 3), Modena 1993, pp. 359-360 [testo],
cat. 235. Felicemente restaurata, l’opera è oggi visibile nella loggia
al pianterreno del Museo dell’Opera del Duomo.
28
J. Lànyi, L’ultima opera di Andrea Pisano, “L’arte”, XXXVI,
1933, pp. 204-227; P. Cellini, Appunti orvietani per Andrea e Nino
Pisano, “Rivista d’arte”, XV, 1933, pp. 13-18.
29
Sintetizzo qui, con l’omissione di alcuni dettagli secondari, la
biografia di Lamberti esposta nel mio articolo Revising the History of Venetian Renaissance Sculpture: Niccolò and Pietro Lamberti,
22
30. Niccolò Lamberti,
San Matteo. Venezia, basilica
di San Marco, archivolto
della facciata occidentale.
31. Niccolò Lamberti,
San Marco. Venezia, basilica
di San Marco, archivolto
della facciata occidentale.
52
32. Niccolò Lamberti,
San Luca. Venezia, basilica
di San Marco, archivolto
della facciata occidentale.
33. San Giovanni
Evangelista. Venezia, basilica
di San Marco, archivolto
della facciata occidentale.
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
“Saggi e Memorie di storia dell’arte”, 15, 1986, pp. 13-16. In tale
resoconto, ho trascurato di citare un pagamento del 21 febbraio
1415 per una testa di mastino da utilizzare come doccione per il
duomo di Firenze, rispetto al quale si veda G. Poggi, Il Duomo di
Firenze. Documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile
tratti dall’Archivio dell’Opera, a cura di M. Haines, Firenze 1988,
I, p. 77, n. 422. Si veda anche M. Picciau, Lamberti, Niccolò di Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXIII, Roma 2004, pp.
180-183.
30
A. Markham Schulz, Revising the History..., cit., pp. 37-45 e 5052, cat. 7. Riguardo a Giovanni di Martino “in confinio sancti Jeminiano” nel 1427, si veda anche E. Rigoni, Notizie di scultori toscani
a Padova nella prima metà del Quattrocento, “Archivio veneto”, serie 5, VI, 1929, p. 120, nota 2 , ristampato in Ead., L’arte rinascimentale in Padova: studi e documenti, Padova 1970, p. 105, nota 2.
31
A. Markham Schulz, Nanni di Bartolo e il portale della Basilica di
San Nicola a Tolentino, con contributi di L. Bellosi, B. Teodori, G.
Semmoloni, Firenze 1997, p. 34.
32
M. Haines, Ghiberti’s Trip to Venice, in Coming About... A Festschrift for John Shearman, a cura di L.R. Jones e L.C. Matthew,
Cambridge (Mass.) 2001, pp. 57-63.
33
Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi ASVe), Cancelleria inferiore, Notai, B. 104, fasc. 30 (not. Tomaso Luciano), 4° quaderno, fol. 36r. Questo sarebbe dunque il primo documento noto riguardante Baroncelli. Per una sintesi concisa della vita e delle opere dello scultore, si veda S. Partsch, Baroncelli, in Saur allgemeines
Künstlerlexikon, VII, München-Leipzig 1993, pp. 127-128. Riguardo alla carriera padovana di Baroncelli, si veda E. Rigoni, Una
terracotta di Nicolò Baroncelli a Padova, “Archivio veneto”, serie 4,
X, 1926, pp. 180-185, ristampato in Ead., L’arte rinascimentale...,
cit., pp. 97-102; Ead., Il soggiorno in Padova di Nicolò Baroncelli,
“Atti e Memorie dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Padova”, n.s., XLIII, 1926-1927, pp. 215-238, ristampato in Ead.,
L’arte rinascimentale..., cit., pp. 75-96; Ead., Notizie di scultori toscani…, pp. 124, 132, doc. VII, ristampato in Ead., L’arte rinascimentale..., cit., pp. 108-109, 116-117, doc. VII.
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
34
P. Paoletti, L’architettura e la scultura del rinascimento in Venezia,
II, Venezia 1897, p. 117, doc. 111, e I, 1893, p. 14 nota 2, p. 25, p.
38 nota 3 e p. 12, rispettivamente.
35
E. Rigoni, Notizie di scultori toscani…, cit., p. 120, nota 2, ristampato in Ead., L’arte rinascimentale..., cit., p. 105, nota 2.
36
ASVe, Cancelleria inferiore, Notai, B. 122, fasc. 9 (not. Andrea
Morevido), [c. 4r].
37
ASVe, Cancelleria inferiore, Notai, B. 205 (not. Bartolomeo Tomasi), protocollo 1427-1433, c. 97v.
38
ASVe, Cancelleria inferiore, Notai, B. 212 (not. Marco Placentino, tra le carte di Tomaso Tomei), sub die 1° giugno 1439.
39
ASVe, Quattro Ministeriali, Stride e chiamori, B. 29, c. 87r.
40
W. Wolters, La scultura veneziana gotica…, cit., I, pp. 250-251,
cat. 182. Wolters ha sollevato dubbi, probabilmente ingiustificati,
in merito alla sua autenticità.
41
Ivi, I, p. 243, cat. 175.
42
A. Markham Schulz, Revising the History..., cit., pp. 16-17, 20.
43
L. Cavazzini, Niccolò di Pietro Lamberti a Venezia, “Prospettiva”,
66, aprile 1992, p. 14; G. Tigler, Le formelle quattrocentesche restaurate dell’arcone centrale di San Marco, “Venezia arti”, IX, 1995,
p. 123; L. Cavazzini, Il crepuscolo della scultura medievale in Lombardia, Firenze 2004, p. 108, nota 12; L. Giacomelli, Per il primo
tempo veneziano di Niccolò Lamberti, in L’officina dell’arte. Esperienze della Soprintendenza per i beni storico-artistici, Atti della
giornata di studio (Trento, 27 maggio 2004), a cura di L. Giacomelli ed E. Mich, Pergine Valsugana 2007, pp. 41-43; G. Valenzano, Le sculture del coronamento della facciata settentrionale: artisti
veneziani e fiorentini all’opera, in Arte, storia restauri della Basilica
di San Marco a Venezia, Venezia 2009, p. 46. L’attribuzione è stata
respinta da A. Augusti, Ipotesi sulle presenze toscane nella decorazione quattrocentesca della basilica, in Storia dell’arte marciana:
sculture, tesoro, arazzi, Atti del Convegno internazionale di studi
(Venezia, 11-14 ottobre 1994), a cura di R. Polacco,Venezia 1997,
p. 215.
44
G. Goldner, Niccolò and Pietro Lamberti, tesi di dottorato,
Princeton 1972, pp. 149-154; Id., Two Statuettes from the Doorway
of the Campanile of Florence, “Mitteilungen des Kunsthistorischen
Institutes in Florenz”, XVIII, 1974, pp. 225-226; Id., Niccolò Lamberti and the Gothic Sculpture of San Marco in Venice, “Gazette des
Beaux-Arts”, serie 6, LXXXIX, febbraio 1974, pp. 47-48. Dieci
anni dopo ho respinto definitivamente l’attribuzione degli Evangelisti proposta da Goldner (A. Markham Schulz, Revising the History..., cit., p. 20).
45
L. Cavazzini, Niccolò di Pietro Lamberti a Venezia, cit., pp. 14-16;
Ead., Il crepuscolo della scultura medievale…, cit., p. 108. Per le
precedenti attribuzioni degli Evangelisti, si veda W. Wolters, La
scultura veneziana gotica, cit., p. 244, cat. 175/I. L’attribuzione della Cavazzini è stata sostenuta da L. Giacomelli, Per il primo tempo
veneziano di Niccolò Lamberti, cit., p. 42, ma non da Augusti in
Storia dell’arte marciana, cit., p. 216, con un’identificazione errata
del San Marco.
46
G. Goldner, Niccolò Lamberti and the Gothic…, cit., pp. 47-48,
con un drastico cambiamento rispetto alla posizione sostenuta nella sua tesi del 1972, pp. 154-155; L. Cavazzini, Niccolò di Pietro
Lamberti a Venezia, cit., p. 16; Ead., Il crepuscolo della scultura medievale…, cit., p. 108; S. Sponza, in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale nel Veneto, a cura di F.M. Aliberti Gaudioso, Milano
1996, pp. 336-337; L. Cavazzini, in I tesori della fede. Oreficeria e
Sculture dalle Chiese di Venezia, catalogo della mostra (Venezia,
chiesa di San Barnaba), Venezia 2000, pp. 58, 60-61, cat. 11. Al solo scopo di completezza, includo l’attribuzione insostenibile della
Vergine e dell’Angelo annunciante a uno scultore franco-fiammingo attivo intorno al 1420, proposto da R. Salvadori, La scultura
borgognona e il primo Rinascimento italiano. Jacopo della Quercia,
Bartolomeo Bon e Francesco Laurana, “Arte Documento”, 25,
2009, p. 59.
47
G. Valenzano, Le sculture del coronamento…, cit., pp. 40-41. È
tuttavia da osservare che i denti dell’Angelo sul coronamento di
San Marco non sono di fatto presenti nel Gabriele di Marco Romano.
48
L. Cavazzini, Niccolò di Pietro Lamberti a Venezia, cit., pp. 23-24;
S. Sponza, in Pisanello, cit., pp. 336-337; L. Cavazzini, in I tesori
della fede, cit., pp. 58, 60-61, cat. 11; Ead., Il crepuscolo della scultura medievale…, cit., p. 108. Vedi anche W. Wolters, La scultura
gotica..., cit., I, p. 233, cat. 186, che ha proposto una datazione al
primo quarto del XV secolo. Indipendentemente dalla Cavazzini,
anche R.J. Stemp, Sculpture in Ferrara in the Fifteenth Century:
Problems and Studies, tesi di dottorato, University of Cambridge,
1992, p. 8, ha collegato la Madonna degli Alberetti alla Vergine e all’Angelo dell’Annunciazione sulla facciata ovest di San Marco,
quali opere di una bottega comune caratterizzate da un forte influsso fiorentino.
49
L. Cavazzini, Niccolò di Pietro Lamberti a Venezia, cit., p. 24; R.J.
Stemp, Sculpture in Ferrara…, cit., p. 8. Vedi anche il testo di Laura Cavazzini (L. Cavazzini, A. Galli, Scultori a Ferrara al tempo di
53
Nicolò III, in Crocevia estense. Contributi per la storia della scultura a Ferrara nel XV secolo, a cura di G. Gentilini e L. Scardino,
Ferrara 2007, pp. 16-18).
50
W. Wolters, La scultura gotica..., cit., I, p. 243, cat. 175.
51
Giulia Rossi Scarpa, in R. Polacco, San Marco: la basilica d’oro,
Milano 1991, pp. 177-178, ha trovato improbabile che la campana
con l’iscrizione dell’anno 1384 sull’angolo nord-occidentale della
facciata sia stata realizzata prima dell’Angelo dell’Annunciazione
sopra il quale è sospesa e che pertanto la decorazione del coronamento di San Marco dovette essere iniziata sulla facciata ovest della basilica. Basandosi su S. Connell, The Employment of Sculptors
and Stonemasons in Venice in the Fifteenth Century (“Outstanding
theses in the fine arts from British universities”, Dissertation, Warburg Institute, University of London 1976), New York-London
1988, p. 126, Rossi Scarpa ha ritenuto che il materiale usato per
l’Annunciazione e per gli Evangelisti, la pietra d’Istria invece del
marmo di quasi tutte le altre statue del coronamento, attesti una
campagna iniziale di decorazione. Per il materiale impiegato nelle
34. Giacobbe. Venezia,
basilica di San Marco,
archivolto della facciata
occidentale.
54
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
35. San Marco, particolare.
Venezia, basilica di San
Marco, coronamento
della facciata occidentale.
diverse statue, si veda S. Connell, The Employment…, cit., p. 126,
tav. 6.
52
A. Markham Schulz, Revising the History..., cit., pp. 17-18, ed
esplicitamente approvato da G. Tigler, Le formelle quattrocentesche…, cit., p. 124.
53
G. Tigler, Le formelle quattrocentesche…, cit., pp. 122-123.
54
Due Evangelisti – San Marco (n. 4) e San Matteo (n. 2) – sono collocati su una base recante un’iscrizione con il loro nome. San Giovanni è identificabile dalla fisionomia e dalla barba. Le figure dell’intradosso, reinserite nella loro posizione originaria in seguito alla pulitura, sono illustrate in A. Niero, M. Da Villa Urbani, Le figure del coronamento gotico: un programma iconografico, in Arte, storia restauri…, cit., pp. 20-23. Ringrazio l’architetto Ettore Vio,
protomaestro di San Marco, per avermi messo a disposizione le
sue fotografie delle figure dell’archivolto.
55
E. Vio, Un’utopia di pietra, in Marmi della Basilica di San Marco:
capitelli, plutei, rivestimenti, arredi, a cura di I. Favaretto et al.,
Borgaro Torinese 2000, p. 27.
56
Concordo con l’attribuzione del San Matteo e del San Luca a
Niccolò Lamberti proposta da E. Zucchetta, L’intradosso del quarto arcone marciano, in Storia dell’arte marciana: sculture, tesoro,
arazzi, cit., pp. 199-202, ma non vedo il motivo di mettere in discussione l’autografia della figura che l’autrice definisce San Marco
e che ora io identifico con San Luca (n. 1). Né posso accettare la
sua attribuzione del mio San Giovanni Evangelista (il suo San Luca) al maestro del Giacobbe e del Noè (p. 205). Senza operare distinzioni fra le otto sculture, L. Cavazzini, Niccolò di Pietro Lamberti a Venezia, cit., pp. 22-23, ha proposto di attribuirle a un giovane assistente fiorentino di Lamberti, ma in Ead., Il crepuscolo
della scultura medievale…, cit., p. 108, nota 12, l’autrice ha attribuito esplicitamente i Santi Marco, Matteo e Giovanni a Niccolò
Lamberti.
57
Ivi, p. 205. D’altro canto, la fisionomia, la barba e la chioma sono troppo diverse da quelle del Giacobbe per giustificare un’attribuzione allo stesso autore.
58
A. Markham Schulz, Revising the History..., cit., pp. 20-21, ripresa senza citazione da E. Zucchetta, in Storia dell’arte marciana, cit.,
p. 203.
59
Per la posizione contraria, si veda ivi, pp. 203-209.
60
G. Goldner, Niccolò and Pietro Lamberti, cit., pp. 144-147, con
riferimenti bibliografici; Id., Two Statuettes from the Doorway…,
cit., pp. 224-225; Id., Niccolò Lamberti and the Gothic Sculpture…, cit., pp. 45-47; G. Rossi Scarpa, in R. Polacco, San Marco...,
cit., p. 178; L. Cavazzini, Niccolò di Pietro Lamberti a Venezia, cit.,
pp. 16-17; A. Niero, Simbologia dotta e popolare nelle sculture
esterne, in La Basilica di San Marco: arte e simbologia, a cura di B.
Bertoli, Venezia 1993, p. 145; L. Cavazzini, Il crepuscolo della scultura medievale…, cit., p. 108 nota 12. A. Augusti, in Storia del’arte
marciana, cit., p. 216, ha invece respinto l’attribuzione a Lamberti
di questa figura “mediocre”, che ha tuttavia citato paradossalmen-
te un decennio dopo come opera di Niccolò Lamberti: Ead., Scultori toscani a Venezia nei primi decenni del Quattrocento. Presenze,
assenze, riflessi, in Andrea Bregno. Il senso della forma nella cultura
artistica del Rinascimento, a cura di C. Crescentini e C. Strinati, Firenze 2008, p. 32.
61
H. Ramisch, Das heilsgeschichtliche Bildprogramm der Fassaden
von San Marco in Venedig, in Iconographia christiana. Festschrift für
P. Gregor Martin Lechner OSB zum 65. Geburtstag, a cura di W. Telesko e L. Andergassen, Regensburg 2005, pp. 79-87, in particolare pp. 79-82, seguito da A. Niero e M. Da Villa Urbani, Arte, storia restauri…, cit., pp. 26-27, in cui si respinge l’identificazione
della figura con un San Marco ipotizzata in precedenza da Niero:
A. Niero, in Simbologia dotta e popolare…, cit., pp. 141, 145.
62
Mentre la chioma di san Marco è per tradizione corta e lascia le
orecchie scoperte in gran parte se non del tutto, i capelli del Cristo
sono lunghi fino alle spalle e nascondono le orecchie per intero o
quasi; inoltre la barba corta di san Marco gli copre tutto il mento,
mentre quella del Cristo ne lascia esposta buona parte. Per le differenze tra la resa del san Marco e del Cristo, si vedano il mosaico
nella cupola centrale della basilica di San Marco illustrato in O.
Demus, The Mosaics of San Marco in Venice, I. The Eleventh and
Twelfth Centuries - Vol. II: Plates, Chicago-London 1984, figg. 236
e 326, come pure le molte altre riproduzioni delle due figure illustrate nel libro di Demus. Per le immagini veneziane di san Marco,
si veda A. Manno, San Marco Evangelista. Opere d’arte dalle chiese
di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, chiesa di San Bartolomeo), Venezia 1995. Francesco Saccardo esaminò la questione dell’identità della figura già nel 1881 e optò per san Marco sulla base
delle cronache e del diario di Sanuto (F. Saccardo, Sculture diverse, in La Basilica di San Marco…, cit., p. 273). In effetti, riferendosi ai danni riportati dalle statue della basilica di San Marco a causa
di un grave terremoto, il 26 marzo 1511 Sanuto scrisse: “ma San
Marco di marmo stete saldo e non caschoe” (M. Sanuto, I diarii,
XII, Venezia 1886, col. 80). Il San Marco sul timpano rappresenta
la seconda comparsa del santo nella facciata ovest della chiesa e indica quindi che la coerenza iconografica non era una condicio sine
qua non del programma decorativo del coronamento della basilica
di San Marco.
63
A. Rizzi, Scultura esterna a Venezia, Venezia 1987, p. 518, n. 390.
L. Salerni, Repertorio delle opere d’arte e dell’arredo delle chiese e
delle scuole di Venezia, Vicenza 1994, p. 220, aggiunge poco altro.
Per un resoconto del trasferimento di opere d’arte dalla chiesa dei
Santi Biagio e Cataldo a Sant’Eufemia, si veda F. Basaldella, Santa
Eufemia. Chiesa delle Sante Eufemia Dorotea Tecla ed Erasma
(“Quaderno di cultura giudecchina”, 13), Venezia 2000, pp. 32,
115-117.
64
Il Vescovo santo è stato menzionato nella sua sede odierna in
[Comune di Venezia], Elenco degli edifici monumentali e dei frammenti storici ed artistici della città di Venezia, Venezia 1905, p. 175,
n. 36, e Venezia, Museo Civico Correr, mss. P.D. 2d, Antonio Vucetich, Pietre e frammenti storici e artistici della città di Venezia,
primo XX secolo, III, “Isola della Giudecca, Parrocchia di S. Eufemia”, n. 17.
65
V. Herzner, Eine Hypothese zum “Hl. Jacobus” an Orsanmichele
in Florenz, “Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte”, XLI, 1988,
pp. 65-76, 188-192.
66
Per la storia della critica di questa scultura, si veda M.P. Mannini, in Lorenzo Ghiberti: “materia e ragionamenti”, catalogo della
mostra (Firenze, Museo dell’Accademia e Museo di San Marco),
Firenze 1978, pp. 178-179, cui la voce di F. Nannelli, in Capolavori & Restauri, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Vecchio), Firenze 1986, pp. 87-88, cat. 10 (ripetuta alla lettera in Ead., San Jacopo, “OPD Restauro”, I, 1989, pp. 180-181), aggiunge molto poco; vedi anche D. Finiello Zervas, in Orsanmicheli a Firenze (“Mirabilia Italiæ”), a cura di D. Finiello Zervas, Modena 1996, I, pp.
625-626, e M. Bergstein, The Sculpture of Nanni di Banco, Princeton 2000, pp. 175-176, cat. II.8.
67 M. Wundram, Der Heilige Jacobus an Or San Michele in Florenz, in Festschrift Karl Oettinger zum 60. Geburtstag am 4. März
1966 gewidmet, Erlangen 1967, pp. 198-207.
68
Anche V. Herzner, Wiener Jahrbuch, cit., p. 68, ha colto l’influsso esercitato dal Santo Stefano sul San Jacopo, ma traendo la bizzarra conclusione che, poiché il San Jacopo risaliva a una data compresa tra il 1422 e il 1425 – ovverosia era antecedente rispetto al Santo Stefano – la sua somiglianza con quest’ultima opera si poteva solo spiegare attribuendo la paternità del disegno della figura al Ghiberti, che l’avrebbe concepita in anticipazione del proprio Santo
Stefano.
69
Sono del parere che, se il Vescovo santo di Sant’Eufemia è di Niccolò, allora due opere a me note solo dalle loro riproduzioni – la
statua in legno policromo di San Petronio nell’omonima chiesa bolognese (L. Cavazzini, Il crepuscolo della scultura medievale…, cit.,
pp. 19-20, nota 7) e la statua in marmo della Madonna con il Bambino di Santa Maria dei Servi a Venezia, oggi collocata sulla facciata della chiesa della Natività di Maria a Borgo Valsugana (L. Gia-
Due scultori fiorentini a Venezia: Andrea Pisano e Niccolò Lamberti
comelli, Per il primo tempo veneziano di Niccolò Lamberti, cit., pp.
34-35) – non lo sono. Né trovo convincente l’attribuzione a Niccolò Lamberti di due statue del campanile di Firenze, oggi al Museo
dell’Opera del Duomo, proposta da G. Goldner, Two Statuettes
from the Doorway…, cit., pp. 219-226; della statuetta della Madonna con Bambino al Bargello: L. Becherucci, Una statuetta del Bargello, “Antichità viva”, XV, 1976, 2, pp. 9-13; di un putto su una
delle vetrate della tribuna nord del duomo fiorentino: M. Bergstein,
Two Early Renaissance Putti, “Zeitschrift für Kunstgeschichte”, LII,
1989, pp. 82-88; delle figure superiori dell’arca di papa Alessandro
V nella chiesa di San Francesco a Bologna: M. Danieli, L’Arca di
55
Papa Alessandro V nella chiesa di San Francesco in Bologna, “Il
Santo”, XLVIII, 2008, pp. 283-286, e P. Cantelli, Il restauro dell’Arca di Alessandro V, ivi, pp. 287-292; o della statua lignea di San
Niccolò seduto a San Nicolò dei Mendicoli a Venezia: L. Cavazzini, in L. Cavazzini, A. Galli, Scultori a Ferrara..., cit., p. 33, nota 53.
Molto più convincente è l’attribuzione di una giovanile Madonna
con il Bambino in legno policromo oggi nella collezione fiorentina
di Gianfranco Luzzetti: G. Kreytenberg, Una “Madonna” lignea di
Niccolò di Pietro Lamberti, “Prospettiva”, 53-56, 1988-1989
(“Scritti in ricordo di Giovanni Previtali”, I), pp. 184-189.
(traduzione di Floriana Pagano)
36. Niccolò Lamberti, Santo
vescovo. Venezia, chiesa
di Sant’Eufemia.
37. Niccolò Lamberti,
San Jacopo. Firenze,
Orsanmichele.