D`Alessandro, L`economia della decrescita, 2012

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D`Alessandro, L`economia della decrescita, 2012
DOMINI
EC ON OMIA
20
CRISI DELL’ECONOMIA
e crisi
della teoria economica?
Teoria economica tradizionale
e nuova economia civile a confronto
a cura di Pompeo Della Posta
Liguori Editore
Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore
(http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf ).
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Prima edizione italiana ???? 2012
Stampato in Italia da Liguori Editore, Napoli
Della Posta, Pompeo (a cura di) :
Crisi dell’economia e crisi della teoria economica? Teoria economica tradizionale e nuova economia
civile a confronto/Pompeo Della Posta (a cura di)
Economia
Napoli : Liguori, 2012
ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5495 - 2
ISSN 1972-0815
1. Homo oeconomicus, società civile 2. Crisi finanziaria I. Titolo II. Collana III. Serie
Ristampe:
—————————————————————————————————————————————————————————————————————————————––——————
21 20 19 18 17 16 15 14 13 12
10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
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alle norme UNI EN Iso 9706 ∞, realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni
rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili (FSC,
PEFC, ISO 14001, Paper Profile, EMAS).
INDICE
xi
Prefazione
di Stefano Zamagni
xvii Note preliminari e ringraziamenti
1
Introduzione
parte prima
TEORIA ECONOMICA TRADIZIONALE
25
1. Gli economisti liberal-liberisti e le crisi: una panoramica retrospettiva
di Riccardo Faucci
47
2. IL PUNTO DI VISTA KEYNESIANO E LA CRISI
di Giacomo Costa
63
3. Crisi finanziariae teoria economica postkeynesiana
di Carlo Panico e Antonio Pinto
85
4. Una prospettiva disincantata sulla crisi economica contemporanea
e sulla teoria economica contemporanea
di Fabio Petri
133
parte SECONDA
NUOVA ECONOMIA CIVILE
5. L’economia della felicità
di Maurizio Pugno
viii
163
179
203
229
indice
6. Per un lavoro a misura di personacome risposta alla crisi. La proposta dell’Economia di Comunione
di Luigino Bruni
7. Le crisi attuali ed i ritarditeorici dell’economia.Una prospettiva economicacivile e gandhiana
di Roberto Burlando
8. L’economia solidale come motoredella felicità economicamenteed
ecologicamente sostenibile
di Leonardo Becchetti
9. L’economia della decrescitaper la sostenibilità ecologicae l’equità
sociale
di Simone D’Alessandro
249
10. Economia della sobrietà
di Francuccio Gesualdi
271
Postfazione
273
Bibliografia
305
Gli Autori
9
L’economia della decrescita
per la sostenibilità ecologica
e l’equità sociale
di Simone D’Alessandro 1
Introduzione
It is possible that the US and Europe will find that
either continued growth will be too destructive to
the environment and they are too dependent on
scarce natural resources, or they would rather use
increasing productivity in the form of leisure. […]
There is no reason at all why capitalism could not
survive without slow or even no growth.
Robert Solow, citato in Stoll (2008)
Nell’aprile del 2008 si è svolta a Parigi la prima conferenza internazionale
sulla decrescita economica che ha sancito l’ingresso a pieno titolo di questo
termine nelle riviste scientifiche.2 Come spesso accade, l’interesse accademico è in netto ritardo rispetto ai movimenti sociali che da anni lavorano in
questa direzione costruendo reti e promuovendo esperienze innovative. Il
1
Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Pisa, Via Ridolfi 10, Pisa, Italia. Tel.:
050 2216333; Fax: 050 598040. E-mail: [email protected].
2
Il convegno s’intitolava Economic de-growth for ecological sustainability and social equity, da
cui il titolo del presente capitolo. Per gli atti del convegno e la dichiarazione finale si veda
http://events.it-sudparis.eu/degrowthconference/. Nel marzo 2010 si è svolto a Barcellona
il secondo convegno internazionale, per informazioni http://www.degrowth.eu.
230
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
bellissimo libro di Paul Hawken (2009) racconta le tante facce e la storia dei
tantissimi gruppi che si occupano di ambiente, diritti delle popolazioni indigene e giustizia sociale. Questa moltitudine è una componente fondamentale
del sistema immunitario del pianeta e una fonte continua di ispirazione e
di informazioni per ricercatori e scienziati. In un recente articolo, MartinezAlier, autorevole studioso, per anni presidente della Società Internazionale
di Economia Ecologica (ISEE), rileva che “la decrescita è essa stessa un
movimento sociale, nato dalle esperienze del co-housing, occupazione di
proprietà, neo-ruralismo, riappropriazione delle strade, energie alternative,
prevenzione e riciclaggio dei rifiuti. Si tratta di un nuovo slogan, un nuovo
movimento e molto presto un nuovo programma di ricerca. Questo è un
caso di scienza guidata da attivisti, verso una nuova branca nelle scienze della sostenibilità sociale, che potrebbe chiamarsi studi sulla decrescita
economica”3.
L’origine delle idee che promuove il movimento della decrescita ha
una storia più antica, strettamente legata alla critica culturale ed ecologica
dell’economia. L’idea di decrescita è stata formulata alla fine degli anni sessanta da André Gorz, Francois Partant, Jacques Ellul, Bernard Charbonneau,
Cornelius Castoriadis e Ivan Illich (cfr. Latouche 2009). Il fallimento dei piani
di sviluppo nel Sud del Mondo e la perdita di alcuni punti di riferimento
nel Nord – causati sia dai problemi riscontrati nei paesi Socialisti che da un
ribaltamento delle priorità politiche in Occidente – portò questi studiosi a
mettere in discussione la società dei consumi in un’ottica fondamentalmente
anti-economica, anti-utilitarista e anti-produttivista; criticandone aspramente
la scienza, la tecnica e il progresso. In particolare Gorz (1973) e Illich (1973)
combinarono il rifiuto della logica capitalista basata sull’accumulo di materie
prime, di energia e di lavoro ad una forte critica del consumismo.
Il concetto di decrescita emerge dunque come risposta alla triplice crisi,
ambientale, sociale ed economica che stiamo attraversando (Flipo and Schneider 2008; Martinez-Alier 2009). Schneider et al. (2010) nell’introduzione
del numero speciale sulla decrescita economica pubblicato su Journal of
Cleaner Production – rivista scientifica di ecologia industriale – presentano i
diversi approcci e i diversi orizzonti filosofici e politici che stanno contribuendo all’affermazione della decrescita sostenibile. Il primo, definito culturalista, proviene da teorie antropologiche che si oppongono all’idea che
paesi culturalmente diversi da quelli occidentali debbano seguire modelli di
sviluppo analoghi a quello degli Stati Uniti e dell’Europa. Serge Latouche, ri3
Articolo disponibile all’indirizzo http://www.decrescita.it/modules/article/view.article.
php?65.
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
231
conosciuto come uno dei capofila nello sviluppo della decrescita economica,
appartiene a questa scuola che critica aspramente l’espandersi generalizzato
del sistema di mercato (cfr. Latouche 2006). La seconda fonte a cui attinge il concetto di decrescita è il bisogno e la richiesta di democrazia, cioè
l’aspirazione alla determinazione del proprio sistema economico e sociale
rompendo il legame troppo stretto tra interessi economici e il sistema politico, tecnologico, educativo ed informativo (Illich 1973; Fotopoulos 1997;
Ariès 2007). Il terzo approccio è l’ecologia, la difesa degli ecosistemi e del
rispetto della vita in ogni sua dimensione (Bernard et al. 2003). La quarta
fonte è legata a quello che alcuni autori chiamano “il senso della vita”,
ad essa appartengono movimenti di natura spirituale che enfatizzano la
semplicità volontaria (Mongeau 1985). Infine, l’ultimo approccio proviene
dalla cosiddetta bioeconomia o economia ecologica, che si occupa dei limiti
ambientali del sistema economico legati all’estrazione delle risorse e allo
smaltimento dei rifiuti. Molti esponenti di questo filone di letteratura, che
trova in Georgescu-Roegen (1971) uno dei suoi precursori, ritengono che la
decrescita sia necessaria per non incorrere in collassi ambientali e sociali.
Nel convegno di Parigi, riprendendo alcuni concetti dell’economia ecologica, la decrescita economica è stata esplicitamente definita come una
riduzione nell’uso e nello sfruttamento di risorse fisiche. Riduzione che deve
essere raggiunta attraverso scelte sociali democratiche che tengano conto
dei limiti ambientali e della disuguaglianza, e che siano spinte dalla ricerca
dell’equità e della sostenibilità. La decrescita sostenibile può essere quindi
definita come un’equa riduzione della produzione e del consumo che aumenta il benessere collettivo e migliora le condizioni ecologiche su scala
sia locale che globale. Nel resto del capitolo tenterò di convincere il lettore
che la visione di un progresso umano senza crescita economica è una strada
possibile e strettamente preferita a tutte le altre.
Nella prossima sezione analizzeremo come la crescita economica e l’aumento del prodotto interno lordo (PIL) siano emersi come il preminente
obiettivo di politica economica dei governi. Successivamente daremo alcuni
cenni sul perché l’obiettivo crescita debba essere abbandonato in favore del
Managing without Growth, espressione brillante e titolo di un efficace libro
di Peter Victor (2008)4. Nella sezione 4 saranno analizzati alcuni recenti
4
L’espressione managing without growth è di difficile traduzione. La scelta migliore è forse
quella di rimandare all’etimologia della parola managing, cioè maneggiare. “Maneggiare senza
crescita” include quindi diversi significati come nell’espressione inglese. Tra questi: soddisfare
i bisogni date risorse scarse; organizzare, regolare, incaricarsi di; mantenere il controllo, aumentare l’influenza su; cavarsela. In questo lavoro utilizzeremo il termine cavarsela: cavarsela
senza crescita sarà dunque il titolo della terza sezione.
232
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
contributi della cosiddetta macroeconomia della sostenibilità. Nella sezione
5, daremo conto della spiegazione data dagli economisti ecologici alla crisi 2008-2009, utilizzandola come esperimento naturale di decrescita nonsostenibile. Infine, trarremo alcune conclusioni.
Il dogma della crescita economica
Victor (2008) rileva come sia difficile immaginare un mondo in cui la crescita economica non sia dominante nei pensieri dei politici, nei media, nelle
discussioni degli uomini di affari e dei sindacati. Comparazioni tra il Pil, il Pil
pro-capite e i tassi di crescita tra vari paesi sono sempre più popolari. Ciò
nonostante, la crescita economica è stata esplicitata come un obiettivo dei
governi soltanto a partire dalla metà del ventesimo secolo, la stessa contabilità nazionale, attraverso cui si calcola il PIL, è stata sviluppata dagli anni
trenta del secolo scorso. È dunque interessante analizzare brevemente come
la crescita economica sia divenuta l’obiettivo supremo della politica governativa. Per fare questo, spiega Victor, si deve esaminare un’idea che è ancora
più centrale della crescita economica nella nostra cultura: il progresso.
Il progresso assume che gli eventi siano sequenziali e legati da un rapporto non casuale. L’idea di progresso ha dentro di sé la convinzione che il
cambiamento a cui abbiamo assistito negli ultimi due secoli abbia portato e
continuerà a portare un continuo miglioramento (Pollard 1971). Fino all’illuminismo, si pensava che la vita scorresse più o meno così come era sempre
stata. Esisteva una percezione del cambiamento, ma questo cambiamento
non andava verso una direzione precisa. L’idea che il cambiamento verso il
meglio non sia solo possibile ma possa essere perseguita attraverso l’agire
umano è un’idea moderna, intrinsecamente legata al sistema capitalistico.
La storia ha una direzione e questa direzione è verso il miglioramento della
condizione umana. Questa è l’idea di progresso5.
Il passo successivo è stato quello di convincersi che il progresso fosse
perseguibile anche all’interno della stessa struttura sociale. La nascita e il
rafforzamento della scienza economica – in contrapposizione all’economia
politica e alle altre scienze sociali – ha contribuito fortemente a questo
5
Non sono in grado e va oltre lo scopo di questo capitolo chiarire le cause dell’emergere
dell’idea di progresso. Secondo Pollard, l’emergere della scienza e l’esperienza di miglioramento degli standard nell’arco di una generazione sono le due forze che hanno permesso una
così ampia condivisione dell’idea di progresso. Il ruolo dell’accumulazione della conoscenza
può essere sintetizzato dalla nota affermazione di Newton, “se ho potuto vedere più lontano
degli altri, è perché sono salito sulle spalle dei giganti”.
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
233
risultato. Non è quindi necessario lo sviluppo sociale – e le conseguenti trasformazioni istituzionali – per andare incontro al miglioramento, la crescita
economica è più che sufficiente6.
Considerando la struttura della società come immutabile, la crescita
del PIL diventa la misura del progresso7. Per rendersi conto della centralità
che ha assunto il concetto di crescita economica vale la pena di prendere il
primo articolo della convenzione dell’Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo Economico (OCSE) del 1960:
The aims of the Organisation for Economic Co-operation and Development shall be to promote policies designed to achieve the highest
sustainable economic growth and employment and a rising standard of
living in Member countries, while maintaining financial stability, and thus
to contribute to the development of the world economy.
Questo testo è stato successivamente rafforzato; in alcune recenti dichiarazioni il segretario generale dell’OCSE, Donald Johnston, nella presentazione del volume Economic Policy Reforms: Going for Growth8, afferma che
All policy makers and others grapple with the challenges posed by the
increasing interdependence of our economies, growth has to be at the
top of our agenda.
È vero che l’attenzione posta su altri obiettivi è forte, ad esempio il
libero mercato, l’aumento della competitività, l’abbassamento delle tasse, la
riduzione dei deficit del governo, l’innovazione, ecc. Ma questi obiettivi non
sono fini a se stessi, sono indicati come le leve che devono essere perseguite per ottenere la crescita del prodotto. Sono, in questo senso, politiche
strumentali, con l’unico vero obiettivo di rafforzare e accelerare la crescita
economica.
La stessa formula dello sviluppo sostenibile è molto contraddittoria. Alcune interpretazioni sostengono che il suo significato sia quello di mantenere
una crescita economica sostenuta al fine di raggiungere il soddisfacimento
6
In un recente libro sulla nascita dello sviluppo economico come disciplina, Meier (2005)
affronta diffusamente questa questione. Secondo l’autore, dato che la realizzazione delle opportunità economiche dipende strettamente dalle libertà politiche, l’ambito di analisi dello
sviluppo economico ha sempre messo insieme lo sviluppo sociale a quello economico. Queste
fondamentali relazioni vengono scisse dalla teoria della crescita economica.
7
Come evidenziato da Becchetti nel cap. 8 di questo volume, se intendiamo per progresso
un miglioramento del benessere allora il PIL è senza dubbio una misura imprecisa. Torneremo
su questo punto nella sezione successiva.
8
Cotis (2006).
234
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
dei bisogni umani, migliorare la qualità della vita, ed avere a disposizione
le risorse finanziarie per proteggere l’ambiente (si veda ad esempio Korten
1995). Ovviamente ci sono visioni diverse che pongono in relazione conflittuale l’obiettivo della crescita economica e quelli di natura ambientale e
sociale. Ma il risultato non cambia. La crescita deve essere perseguita, il
progresso deve andare avanti.
Cavarsela senza crescita
L’economia ecologica da qualche decennio sostiene che vi siano sostanziali
limiti alla crescita economica. Il dibattito è noto ed interessante, ma non
è questa la sede dove riprendere questa lunga discussione. La contrapposizione nasce da un ribaltamento teorico, che inserisce il sistema socioeconomico dentro un più ampio sistema che è la biosfera (Daly 2005). Il
duplice limite sull’uso delle risorse da un lato e sulla capacità di assorbire
i rifiuti dall’altro sembrano di difficile superamento, soprattutto se si vuole garantire indefinitamente il diritto delle generazioni future a vivere in
condizioni soddisfacenti. Questo doppio vincolo deve essere affrontato in
un contesto di incertezza forte, di fronte alla quale l’inazione è una scelta
quasi sempre sbagliata.9 Altre critiche, come è stato ricordato più volte
in vari capitoli di questo libro, provengono dalla crescente evidenza (empirica e sperimentale) che la crescita economica, dopo un certo livello di
reddito, non provochi aumenti sostanziali di benessere, e che anzi i costi
sociali e ambientali siano, nelle economie avanzate, superiori ai benefici.
Queste sono motivazioni cruciali per capire quali sono gli argomenti a
favore della decrescita sostenibile. A questi però ne va aggiunto un altro
che è decisivo. La crescita è stata vista come la panacea di tutti i maggiori
problemi del mondo moderno, la povertà, la disoccupazione, la sovrappopolazione, il degrado ambientale (Daly 2005). Dopo due secoli e più di
crescita sostenuta, tuttavia, questi problemi non sono stati risolti, ma localmente si sono addirittura esacerbati. La crescita ha certamente prodotto,
nei paesi “fortunati”, aumenti impensabili di benessere e degli standard di
vita. Ma la crescita porta con sé dei costi importanti, non solo ambientali
ma anche sociali come ad esempio l’alienazione, il crimine, la distruzione
delle comunità10. Questi costi variano non solo da paese a paese ma anche
tra i quartieri di una stessa città. Questa esperienza palesa il fatto che la
9
10
Per una spiegazione chiara del concetto di incertezza forte si veda Vercelli (1999).
Per un approfondimento su quest’ultimo punto si veda il cap. 10 di Gesualdi.
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
235
crescita economica ha fallito nel suo obiettivo primario, quello di portare
benefici a tutti11.
I limiti fisici, la constatazione della crescente iniquità e le numerose
esperienze alternative accennate nell’introduzione pongono una domanda,
è possibile cavarsela senza crescita? È arrivato il momento di cominciare a
rispondere.
Se è vero che la crescita economica è un obiettivo primario delle politiche governative, ed è anche causa (o almeno non è la soluzione) di numerosi
problemi ambientali e sociali, è essenziale riconoscere il ruolo che la crescita
economica gioca nelle economie e nelle società contemporanee. Cavarsela
senza crescita significa capire se è possibile adattare l’economia e la società
(ad esempio quella italiana) in maniera tale da evitare le principali conseguenze negative risultanti dalla mancanza di crescita economica. L’assunzione alla
base del nostro ragionamento è che queste conseguenze negative non siano
inevitabili, ma che derivino principalmente dall’attuale assetto istituzionale.
Cambiando l’assetto che rende la crescita così determinante potrebbe essere possibile evitare le conseguenze disastrose di una crescita bassa, nulla o
negativa ed aprire scenari nuovi per migliorare il tenore di vita di tutti.
La ragione per usare un’espressione vaga del tipo crescita bassa, nulla
o negativa (Jackson, 2009) sta nel fatto che nel momento in cui il tasso di
crescita non fosse più un obiettivo di politica economica, e quindi il governo
si concentrasse su altri obiettivi specifici, esso sarebbe soltanto un risultato conseguente e non deliberato. Questo spostamento di priorità potrebbe
indurre larga parte della società a scegliere scopi personali diversi da quelli
oggi dominanti. Tale questione, strettamente legata al rapporto tra crescita
e benessere, sta riscuotendo un crescente interesse anche nella letteratura
ortodossa. Nell’ambito della teoria della crescita endogena, ad esempio, la
competizione per lo status sociale ed altri tipi di effetti esterni, che influenzano le scelte di consumo, sembrano sempre più comunemente accettate
con risultati problematici sulla desiderabilità e l’efficienza della crescita stessa
(es. Liu and Turnovsky 2005)12.
Può apparire sorprendente che la Sustainable Development Commission,
commissione governativa inglese che ha un potere di controllo sulla legislazione in materia di sostenibilità, abbia affrontato questo argomento
all’interno di un più ampio progetto di ricerca intitolato Redefining Prosperity (ridefinire la prosperità). La motivazione principale che spiega questo
11
I dati sulla distribuzione del reddito nei paesi occidentale negli ultimi trenta anni sono
allarmanti come ampiamente discusso nel cap. 3 di Panico e Pinto.
12
Per una discussione più tecnica su questi temi si veda Bilancini e D’Alessandro (2011).
236
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
interesse sta in una sorta di principio di precauzione. L’incertezza sul futuro sviluppo delle economie occidentali si basa su quattro scenari capaci
di bloccare la crescita economica. Il primo scenario riguarda le politiche
governative, che come abbiamo già ricordato, potrebbero prediligere altri
obiettivi come il benessere collettivo o la sostenibilità ambientale. Una
crescita bassa, nulla o negativa potrebbe anche essere il risultato della
scelta di un alto numero di individui di dare un’importanza minore agli
standard di vita materiali, scegliendo invece di aumentare il tempo libero,
la tranquillità ecc. Il risultato sarebbe uno spostamento delle attività economiche dal settore monetizzato (misurato in PIL e quindi con effetti sul
tasso di crescita) a quello non-monetizzato (che attualmente rimane fuori
dal calcolo del PIL). Il terzo scenario interessa invece gli effetti negativi
dell’attività economica sui limiti ambientali. Il cambiamento climatico, l’inquinamento, la perdita di biodiversità, la riduzione della fertilità del suolo
da un lato, e i picchi delle risorse dall’altro potrebbero imporre una drastica
trasformazione del sistema economico. Giampietro (2006) ritiene che il
ridimensionamento dell’estrazione di petrolio e della possibilità di sfruttare altre fonti fossili porterà ad una sostanziale ristrutturazione dei settori
produttivi e dell’impiego dei fattori produttivi, in particolare del lavoro.
L’ultimo scenario riguarda invece la competitività internazionale delle economie occidentali. È possibile che l’industrializzazione della Cina, dell’India
e di altri paesi porterà ad un forte aumento dei prezzi delle materie prime
e dei prodotti alimentari. L’aumento dei prezzi imporrebbe costi crescenti
alle imprese occidentali con una sostanziale riduzione del tasso di crescita
in Europa e Stati Uniti. Questo scenario quindi non prevede una riduzione
della crescita mondiale (almeno in una prima fase), ma una perdita delle
economie avanzate a favore delle nuove economie emergenti.
Gli scenari appena descritti sono plausibili, ed è quindi necessario elaborare una teoria economica della decrescita (o della non-crescita) al fine di
non trovarsi impreparati se uno di essi dovesse rivelarsi corretto. Per questa
ragione, la terza fase del progetto Redefining Prosperity ha indicato quattro
problematiche di fondamentale importanza, nelle quali la crescita gioca un
ruolo centrale nelle economie contemporanee e che rappresentano le critiche
più comuni che vengono avanzate dai critici della decrescita13.
13
Questi argomenti sono stati approfonditi in un workshop che si è tenuto nel 2008 a
Londra a poca distanza dal convegno internazionale di Parigi. La documentazione prodotta è
disponibile sul sito della commissione http://www.sd-commission.org.uk/. Questa discussione è in parte basata sul documento preparatorio per i lavori del workshop intitolato: Scope
of Package three: “confronting structure-achieving economic sustainability”.
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
237
i. Il ruolo della crescita nel creare lavoro e occupazione.
ii. Il ruolo della crescita nel generare risorse che possono essere usate per
restituire il debito, pubblico e privato.
iii. Il ruolo della crescita nell’aumentare le risorse necessarie ai servizi pubblici senza un aumento delle tasse.
iv. Il ruolo della crescita nel mantenere la profittabilità delle imprese, la
competitività internazionale e l’investimento.
Occupazione e mercato del lavoro. Gli avanzamenti tecnologici di produttività normalmente distruggono il 2% di posti di lavoro ogni anno. Quindi
una crescita del 2% è necessaria per prevenire l’aumento della disoccupazione. È un fatto incontestabile che nei momenti di recessione ma anche
quando la crescita rallenta significativamente, i tassi di disoccupazione tendono ad aumentare. Analizzando però altri approcci nella riduzione della
disoccupazione è possibile separare la bassa crescita dal problema della
disoccupazione.
Si possono proporre diverse politiche, come incoraggiare la mobilità
del lavoro, l’aumento della flessibilità e la riduzione dei salari, un aumento
artificiale della domanda di lavoro attraverso la spesa pubblica e una riduzione dell’orario di lavoro. Quest’ultima alternativa sembra la politica più
facilmente perseguibile da un punto di vista sociale. Come dimostra lo OECD
Employment Outlook (2003) la media delle ore lavorate per persona in un
anno varia significativamente tra i paesi industrializzati14. Inoltre il conseguente aumento del tempo libero può indurre un aumento del consumo dei
cosiddetti beni relazionali. Secondo molti studi sociologici, questi beni, che
non hanno effetti positivi sul PIL, possono portare ad un forte aumento di
benessere capace di annullare gli effetti negativi della riduzione dei consumi
privati. È interessante notare come la spiegazione ortodossa della preferenza
per il tempo libero si riduca molto spesso al tempo necessario acquistare e
consumare i beni di consumo.
Analizzare la fattibilità della riduzione dell’orario di lavoro non è un’impresa facile. Possiamo ricordare due quesiti principali; se davvero la riduzione
dell’orario di lavoro comporta necessariamente una riduzione della disoccupazione o se invece devono essere affiancate altre riforme del mercato
del lavoro. Il secondo quesito riguarda invece come questa riduzione possa
14
I dati dell’OCSE mostrano che la media delle ore lavorate nel 2002 per lavoratore è di
1815 negli Stati Uniti, di 1581 in Svezia, 1444 in Germania. Queste consistenti variazioni sono
molto maggiori della differenza nel reddito pro capite e soprattutto nei livelli di benessere
tra questi stessi paesi.
238
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
essere attuata, ad esempio non è scontato che i lavoratori e i sindacati sarebbero entusiasti di questa alternativa e quindi dovrebbero essere proposti
incentivi fiscali ed altri strumenti. Queste difficoltà possono scaturire dalle
complementarietà insite nello sviluppo di beni pubblici e relazionali. Basti
pensare che la capacità di godere di beni relazionali è strettamente legata
a quanto altre persone impegnano parte del loro tempo (libero) in queste
stesse attività. Se la media cresce, l’incentivo a ridurre le ore lavorate per
godere di questi beni potrà significativamente aumentare15.
Debito. C’è chiaramente uno stretto legame tra il debito pubblico e la crescita economica. La teoria keynesiana sostiene che, in alcune circostanze,
il debito pubblico sia indispensabile per rilanciare la domanda aggregata
in modo da promuovere la crescita economica. Allo stesso tempo però
la crescita economica diviene necessaria per mantenere la sostenibilità del
debito pubblico, e ripagare gli interessi16. Questa stessa stretta relazione lega
il debito privato alla crescita economica. Molti studiosi hanno sottolineato
che con il declino della popolarità delle teorie keynesiane, il debito privato
si è sostituito a quello pubblico, e l’attuale crisi economica, in particolare
negli Stati Uniti, risente senz’altro di questa sostituzione. A livello individuale,
molte famiglie si affidano all’aumento del loro reddito per ripagare i vecchi
debiti e gli interessi. A livello macroeconomico l’unico modo per garantire il
pagamento dei debiti è quindi quello di mantenere una continua crescita.
Un’economia caratterizzata da crescita bassa, nulla o negativa deve dunque
scontrarsi con l’incapacità di indebitarsi rompendo così il doppio filo che lega
debito e crescita economica. L’importanza del debito nella crisi che stiamo
attraversando rivela come questo doppio legame non sia poi così stabile. In altri
termini, l’aumento dell’indebitamento coperto dalla crescita del PIL genera un
sistema scarsamente capace di assorbire shock e che è soggetto ad una forte
instabilità. Torneremo su questo punto nella prossima sezione.
15
Un caso classico di complementarietà è il famoso esempio delle tastiere, l’ordine delle
lettere che oggi abbiamo su tutti i computer (QWERTY) fu introdotto al fine di rallentare il
numero di battute per unità di tempo, ed evitare che le leve dei tasti delle macchine da scrivere
si incastrassero. Quando la tecnologia nelle nuove tastiere ha annullato questo problema, il
costo che ogni singola impresa avrebbe dovuto sopportare per l’introduzione di una tastiera
alternativa era comunque troppo elevato in virtù dei costi di formazione e di apprendimento.
Quindi si è rimasti al vecchio sistema anche se indubbiamente un’altra disposizione di tasti
avrebbe portato un netto miglioramento in termini di efficienza.
16
La risposta statunitense all’ultima crisi economica è figlia di questa concezione. Anche in
Italia, secondo le ultime stime, il rapporto tra disavanzo e PIL ha superato quest’anno il 6%
dopo essere rimasto per anni molto vicini al livello indicato nei parametri di Maastricht.
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
239
Proventi per i servizi pubblici. La crescita economica risolve il dilemma
tra spesa pubblica e spesa privata. Con la crescita, le entrate fiscali aumentano senza alcun aumento delle aliquote permettendo quindi di migliorare ed
allargare i servizi pubblici e lo stato sociale. Molti studiosi, anche di impostazione radicale, sostengono questa posizione in risposta alle critiche mosse
al paradigma della crescita economica. Per aumentare la spesa pubblica in
settori strategici quali la scuola, l’università e la salute, si deve accettare e
promuovere la crescita economica.
In caso di bassa crescita sembrano esserci poche alternative. La prima
è rinunciare a migliorare i servizi appena citati a meno di non aumentare
la tassazione. La seconda è spingere sul miglioramento dell’efficienza dei
servizi, anche se, le ultime esperienze in questa direzione non hanno dato
risultati soddisfacenti: tagli di spesa hanno generato un limitato aumento
di efficienza ed una sostanziale riduzione nella qualità dei servizi. Un’altra
possibilità è quella di allocare in modo diverso il bilancio pubblico. Questo
obiettivo potrebbe essere perseguito in due modi, da un lato riducendo
quelle spese inutili da un punto di vista sociale, come da alcuni anni
fanno notare molte organizzazione non governative (si veda ad esempio
le pubblicazioni della campagna sbilanciamoci – www.sbilanciamoci.org),
per esempio le spese militari; dall’altro diminuendo i progetti legati alle
esigenze di crescita dell’attività economica, per esempio le nuove infrastrutture sia in campo energetico (ad es. il nucleare) che dei trasporti (ad
es. la TAV).
Infine, l’ultima alternativa praticabile è quella di ridurre il bisogno di spesa
pubblica cambiando la natura stessa dell’economia e della società che genera
il bisogno e la domanda di servizi pubblici. Per esempio una società più
sana ha meno bisogno di spese mediche, maggiore lavoro locale e migliori
telecomunicazioni riducono le spese per i trasporti, una maggior responsabilità ambientale delle imprese riduce il bisogno di interventi pubblici per
la regolamentazione e il ripristino dei danni ambientali.
Profitti, competitività e investimenti. Le problematiche legate a questi
aspetti sono molteplici, potrebbero essere racchiuse nella paura di una “spirale di declino”. La spiegazione di questa spirale è piuttosto chiara. Il tasso
di profitto è legato strettamente al tasso di crescita; se il tasso di crescita
si riduce o si annulla, i profitti tendono a diminuire. Questa diminuzione a
sua volta tende a diminuire la competitività internazionale e gli investitori
hanno incentivo ad investire in altri paesi dove i tassi di profitto sono più
alti. Quindi una politica che tenda a ridurre il tasso di crescita potrebbe
innescare una spirale di declino favorendo un’incontrollabile recessione.
240
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
Volendo evitare un contro-bilanciamento pubblico con una manovra in
deficit (vista la discussione sul debito riportata poc’anzi) vi sono comunque
alcune possibilità. La prima riguarda gli accordi internazionali. Se la riduzione del tasso di crescita riguardasse molti paesi i problemi di competitività
sarebbero molto ridotti. È vero però che le istituzioni internazionali stanno
trovando sempre maggiori difficoltà nel sottoscrivere accordi e, soprattutto,
nel rispettarli – il caso del protocollo di Kyoto ne è un esempio. In secondo luogo, sarebbe possibile ritornare a forme di “isolazionismo” in grado
di ridurre la mobilità dei capitali attenuando così gli effetti negativi della
competitività. Inoltre, potrebbe essere possibile favorire le profittabilità delle
imprese ai danni delle rendite, anche se la distinzione tra queste due variabili
non è di facile identificazione17.
Un’ultima possibilità, in linea con alcune nuove teorie presentate in questo volume, è quella di un cambiamento della finalità principale delle imprese,
cioè la massimizzazione del profitto18. Questo processo potrebbe portare
all’eliminazione del tasso di profitto come principale indicatore del successo
di un’impresa, obiettivo raggiungibile attraverso ad esempio un rafforzamento della responsabilità sociale dell’impresa. Alternativamente, un’ampia
percentuale di imprese no-profit potrebbe cambiare radicalmente il modo di
fare impresa attraverso incentivi ed obiettivi più orientati al sociale.
Da queste possibili critiche resta fuori la questione della crescita della
popolazione. Infatti, in presenza di una crescita della popolazione, la crescita
del PIL è necessaria per mantenere costante il reddito pro-capite. Questa
obiezione si applica più facilmente a molte economie in via di sviluppo,
piuttosto che a quelle del mondo sviluppato dove i tassi di crescita della
popolazione sono molto vicini allo zero.
Macroeconomia della sostenibilità
Le problematiche e le possibili soluzioni qui accennate hanno bisogno
di analisi più approfondite per il loro sviluppo e la loro applicabilità. La
difficoltà nasce dalla carenza di studi su questi temi. Le economie in crisi
e quelle caratterizzate da bassa crescita, come ad esempio l’Italia degli
ultimi anni, sono studiate con interesse, ma esclusivamente nell’ottica di
ritornare, presto, su un sentiero di crescita sostenuta. La questione è se il
17
Alcuni recenti studi hanno mostrato l’importanza del fenomeno della trasformazione del
profitto in rendite (si veda ad esempio Fumagalli e Mezzadra, 2009).
18
Per una discussione sulla praticabilità di questa alternativa si veda il cap. 6 di Bruni.
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
241
cambiamento di prospettiva, ovvero ragionare in un’ottica di crescita bassa,
nulla o negativa, può stimolare una serie di nuove aree di ricerca capaci
di ottenere risultati rilevanti. L’economia politica può dare un contributo
significativo sviluppando una nuova macroeconomia per la sostenibilità
che non affidi unicamente la sua stabilità alla crescita e all’espansione
dell’uso di materia. Jackson (2009) individua cinque aree di ricerca sulle
quali concentrare l’attenzione:
1. Sviluppare una macroeconomia che integri il tema della sostenibilità ambientale, tenendo in considerazione le esigenze di investimento associate
ad un’economia sostenibile.
2. Sviluppare una politica di investimento in posti di lavoro, beni ed infrastrutture che permettano di integrare la salvaguardia del patrimonio
pubblico ed ambientale, la stabilità economica e una distribuzione del
reddito più equa.
3. Pensare una riforma in senso prudenziale del sistema fiscale e nazionale
che consenta una maggiore stabilità economica.
4. Realizzare un sistema di contabilità nazionale alternativa al PIL. In questo senso bisognerebbe sviluppare degli indicatori che tengano conto,
ad esempio, della disuguaglianza nella distribuzione del reddito, del benessere individuale e dei costi ambientali.
5. Includere nei modelli macroeconomici variabili che diano una misura
del benessere sociale e della sostenibilità ambientale.
Victor e Rosenbluth (2007) hanno sviluppato un modello di simulazione dinamica che combina le relazioni economiche standard con alcuni
aspetti riguardanti il benessere sociale, l’uso delle risorse naturali e la preservazione dell’ambiente. Il modello macroeconomico è costituito da un
insieme di equazioni che determinano il PIL come domanda aggregata e
una funzione di produzione che determina il PIL come offerta aggregata.
Inoltre il modello considera gli effetti delle politiche fiscali ed economiche
del governo, della bilancia commerciale, della distribuzione del reddito, della
disoccupazione, delle emissioni di CO2, dell’indice di sviluppo umano e delle politiche energetiche e forestali. Il modello, calibrato con i dati statistici
relativi all’economia canadese e vincolato ad alcune ipotesi specifiche sul
futuro, calcola il reddito nazionale, l’equilibrio tra domanda e offerta e una
serie di indicatori sociali ed ambientali per un periodo di venti anni. Grazie
agli strumenti proposti dall’interfaccia grafica del programma di simulazione
è possibile modificare le principali variabili, come ad esempio le politiche
fiscali o il tasso di investimento, ottenendo scenari alternativi.
242
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
L’obiettivo principale di questo lavoro è quello di verificare se il sistema
economico, attraverso una politica economica che dia priorità ad obiettivi
alternativi alla crescita economica, possa ottenere ottimi risultati in termini
di tasso di disoccupazione, povertà, riduzione delle emissioni dei gas serra,
bilancio pubblico. Confrontando questo scenario con quello attualmente
seguito – il cosiddetto business as usual – si ottengono risultati sorprendenti.
Nello scenario senza crescita la disoccupazione diminuisce, la povertà viene
del tutto rimossa, le emissioni di gas serra si riducono, il debito pubblico
aumenta all’inizio del periodo ma poi si stabilizza ad un livello non molto
diverso dallo scenario attuale. Questo contributo è importante, perché suggerisce che si possono ottenere molti miglioramenti sociali ed ambientali
senza affidarsi, necessariamente, alla crescita. Ovviamente lo scopo di questo
studio non è quello di dimostrare che tali politiche siano facilmente applicabili nella realtà. Citando una considerazione di Jackson il vero obiettivo
è quello di capire se
even within a relatively conventional macro-economic framework, different configurations of the key variables are possible. And these configurations deliver different outcomes. When our goal is both to achieve
economic stability and remain within ecological and resource limits, this
is an absolutely critical finding (Jackson 2009, p. 81).
Altri gruppi di ricerca stanno sviluppando modelli simili applicati ad altre
economie, in modo da valutare se i risultati ottenuti nell’economia canadese
sono robusti.19 In queste nuove ricerche un tema importante è quello di
inserire la transizione energetica all’interno del modello.20
Questi contributi rafforzano la convinzione che, nei paesi ricchi, non
è la crescita in sé un fattore positivo o negativo di sviluppo. Un governo
dovrebbe essere valutato non tanto per il tasso di crescita che riesce ad ottenere ma per i risultati in termine dei veri obiettivi, siano essi la riduzione
della disoccupazione e della povertà o la difesa dell’ambiente. Allo stesso
tempo, nessun autore dei contributi finora discussi ha mai sostenuto che la
stagnazione e la recessione siano in sé fattori positivi di sviluppo. Ad esempio, la crisi attuale e la recessione che ha innescato non ha certo provocato
19
Uno di questi modelli è stato realizzato per l’Italia in una tesi di laurea da me seguita.
I risultati, per quanto preliminari, sono incoraggianti. Attraverso mirate politiche fiscali un
tasso di crescita nullo può essere accompagnato da una significativa riduzione della disoccupazione e del debito pubblico.
20
Per un modello teorico che sulla transizione energetica da fonti fossili a quelle alternative,
si veda D’Alessandro et al. (2010).
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
243
un aumento di benessere, e può quindi essere considerata un esperimento
naturale di decrescita non sostenibile. Nella sezione successiva analizzeremo
le ragioni e le conseguenze della crisi dal punto di vista dell’economia ecologica. Questa analisi ci permette di chiarire meglio il rapporto tra decrescita
e miglioramenti politici e sociali.
La crisi economica 2008-2009
Dal punto di vista dell’economia ecologica, l’attuale crisi è il risultato di una
crescita non-sostenibile. Alla radice della crisi economica vi è la continua
e crescente separazione tra l’economia reale della produzione e l’economia
di carta della finanza (cfr. Schneider et al., 2010). Per capire meglio questa
affermazione, il sistema economico deve essere analizzato su tre livelli. Al
livello superiore c’è la finanza che cresce grazie ai prestiti del settore privato
e di quello pubblico, alcune volte senza assicurare la restituzione dei prestiti
come durante la crisi. La finanza prende dal futuro, scommettendo che una
crescita indefinita le permetta di restituire gli interessi e i debiti accumulati.
Al livello sottostante c’è l’economia reale, ovvero il prodotto interno lordo
a prezzi costanti. Quando l’economia reale cresce riesce a ripagare i debiti
contratti, quando invece la crescita rallenta i debiti vengono disattesi. Infine
all’ultimo livello c’è la cosiddetta economia reale-reale, come la chiamano
gli economisti ecologici, il flusso di energia e di materiali, la cui crescita
dipende parzialmente da variabili economiche (mercati e prezzi) e in parte
dai limiti fisici e biologici. L’economia reale-reale include la terra e la capacità
dell’umanità di lavorare.
Alla luce di questa divisione, la spiegazione che l’economia ecologica dà
della crisi può essere sintetizzata in modo elementare. La finanza è cresciuta
troppo velocemente, arrivando ad un’ampiezza insostenibile per l’economia
reale. Frederick Soddy (1926), premio Nobel per la chimica, spiega chiaramente questa relazione tra economia reale e finanza, anticipando nei suoi
scritti la crisi del 1929. Secondo Soddy è troppo facile per il sistema finanziario aumentare il debito e confondere questa espansione del credito ricevuto
con la creazione di ricchezza reale. La crescita dell’economia reale si basa
sulla crescita della produzione e del consumo, che a loro volta implicano un
aumento dello sfruttamento delle risorse naturali. La valutazione economica
dell’estrazione delle risorse e dell’inquinamento provocato è notevolmente
sottostimata, ed è questo errore che rende possibile la continua crescita del
PIL. Secondo Daly (2008), la ricchezza reale non è più sufficiente a garantire
l’enorme mole di debito che è generato dal sistema finanziario.
244
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
Inoltre, anche se fosse possibile per l’economia reale sostenere il debito, la
crescita necessaria non sarebbe desiderabile. I sistemi che regolano la biosfera
e gli ecosistemi sono caratterizzati da relazioni non-lineari e quando le soglie
sono superate i cambiamenti sono drastici e incontrollabili. L’umanità potrà
adattarsi a qualsiasi futuro, ma il prezzo da pagare in termini di benessere
potrebbe essere davvero molto elevato.
I limiti biofisici al livello più basso limitano il tasso di crescita dell’economia reale. Tra i fattori che hanno contribuito alla crisi c’è anche l’aumento
del prezzo del petrolio (e di altre materie prime). Questo aumento è dovuto
all’avvicinarsi di un limite tecnologico nella capacità di estrazione per unità di
tempo. Quando la domanda di materie prime si avvicina a quel determinato
limite, i prezzi rispondono immediatamente. Poiché il sistema finanziario ha
la capacità di anticipare le variazioni future di prezzo, molti operatori si sono
resi conto dei rischi insiti nel continuo aumento della domanda.
Questa presa di coscienza è stata tardiva. Per capire la natura di questo
ritardo è utile analizzare le due ipotesi su cui si basa la formazione dei prezzi
come veicoli di tutte le informazioni necessarie per le scelte di mercato degli
agenti economici. La teoria economica ci assicura che i) se le risorse sono
scarse, e ii) se gli agenti economici sanno che sono scarse, allora i prezzi
delle risorse cresceranno. Ma se gli agenti non sanno realmente quanto le
risorse sono scarse, allora il teorema non funziona. Perché il mercato funzioni
bene, un numero sufficiente di partecipanti deve capire indipendentemente la
realtà che c’è dietro al mercato. Spesso invece gli economisti affermano che
si può capire la realtà attraverso il mercato, al di là di quanto gli attori sul
mercato capiscano la realtà. Questa pura presunzione è alla base della crisi
statunitense. Giudicando la realtà attraverso il mercato, il mercato immobiliare si è gonfiato a dismisura perché gli attori economici erano convinti che
il valore delle case sarebbe cresciuto ancora, e quindi anche se i debitori non
fossero riusciti a ripagare il debito contratto, le banche avrebbero avuto in
mano un immobile con un valore più che sufficiente a ripagare il debito. Il
problema è stato che gli attori di questo processo hanno basato le proprie
aspettative attraverso i trend del mercato stesso, che loro hanno pensato
essere la realtà delle cose invece che andare a vedere la realtà economica
sottostante.
Il collasso di questa economia fittizia, ha avuto però degli impatti reali significativi. A causa della crisi, e nonostante la crescita economica di
India, Cina e Indonesia, il trend di crescita delle emissioni di diossido di
carbonio si è fermato, e c’è stata una riduzione di circa il tre, quattro per
cento (IEA, 2009). Questa diminuzione non è sufficiente per andare incontro
alle raccomandazioni dell’IPCC, ma dimostra che la decrescita economica
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
245
ha ottenuto una diminuzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto
serra nettamente superiore a quella ottenuta grazie all’impegno sottoscritto
nel protocollo di Kyoto e all’incentivazione del cambiamento tecnologico “verde”. In modo analogo, a causa della riduzione della domanda per
esportazioni, il tasso di deforestazione nell’Amazzonia brasiliana si è ridotto
significativamente21. La decrescita economica può essere una risorsa per
l’ambiente. Ha aiutato a raggiungere obiettivi che venti anni di parole sullo
sviluppo sostenibile non hanno realizzato.
Non erano pochi coloro che osservavano, quando prima della crisi il
prezzo del petrolio stava salendo, che finalmente le persone erano costrette
a rendersi conto del vincolo ambientale, visto che le esternalità negative si
trovavano correttamente riflesse nei prezzi. Anche in quel caso, quindi, c’era
chi vedeva gli aspetti positivi presenti nell’aumento del costo delle materie
prime.
Schneider et al. (2010) sostengono che nonostante la presenza di questi
risultati, scienziati e politici non hanno mai considerato la decrescita come
un’opzione reale. Il picco delle emissioni di diossido di carbonio del 2007
non sarà il massimo livello raggiunto, ma uno dei picchi nella cordigliera di
picchi che ci porteranno al disastro.
Le conseguenze della decrescita economica hanno provocato una riduzione assoluta di emissioni ed estrazioni e, probabilmente una minore esternalizzazione e delocalizzazione degli impatti ambientali. In una situazione
di decrescita economica, quindi, l’aumento dell’efficienza non è accompagnato da un effetto rimbalzo (Schneider 2008). L’effetto rimbalzo, noto in
letteratura come paradosso di Jevons22, consiste nel fatto che un aumento
dell’efficienza induce, attraverso la concorrenza, una diminuzione del prezzo
di vendita. Questo effetto può provocare un aumento della domanda del
bene e quindi un utilizzo della risorsa maggiore di quello originale. Se però
l’economia sta riducendo la sua scala, questo effetto è inesistente. Ad esempio, la sostituzione di energia fossile con le energie rinnovabili è molto più
semplice se la domanda di energia è stabile o addirittura in diminuzione.
La riduzione dell’estrazione e delle emissioni di CO2 potrebbe essere molto
più rilevante del tasso di decrescita dell’economia perché nei periodi di
contrazione economica l’intensità di utilizzo di queste risorse è altamente
diminuita.
21
I dati sulla riduzione della deforestazione possono essere trovati all’indirizzo: http://
www.mydailyglobalnews.com/amazon-deforestation-record-low/
22
Questa considerazione è stata per la prima volta enunciata da W.S. Jevons, The Coal
Question, (1865).
246
crisi dell’economia e crisi della teoria economica?
Questa discussione non vuole far intendere che la crisi attuale abbia
dato un contributo positivo allo sviluppo. Tutt’altro, ma questa fase non
ha rappresentato un processo di decrescita socialmente sostenibile, ma una
recessione, cioè, volendo semplificare, decrescita in un’economia basata sulla
crescita. È stato quindi un esperimento sociale di decrescita non sostenibile.
Non dobbiamo però commettere l’errore di pensare che la decrescita in
Europa, nel Nord America o in Giappone comporti automaticamente una
catastrofe sociale. Un’economia in crisi con un reddito medio di ventimila
euro consente ancora molte manovre per politiche sociali che possono alleviare le difficoltà della transizione, attraverso riduzioni dell’orario di lavoro,
tassazioni redistributive, investimenti in sicurezza sociale e beni pubblici,
come dimostra il contributo di Victor e Rorenbluth (2007) discusso precedentemente.
La domanda che si pone è quanto possa essere positiva la decrescita se
non venisse imposta dalla crisi economica, ma fosse una scelta collettiva e
democratica, un progetto che si basa sull’ambizione di essere volontariamente più vicini alla sostenibilità ecologica e alla giustizia sociale per tutti.
Al contrario gli economisti non considerano questo scenario, assumendo
implicitamente che non potrà mai trattarsi di una scelta libera e consapevole
della società. Di fronte alla crisi, il ritorno ad un sentiero di crescita economica sostenuta è visto come l’unico obiettivo desiderabile, anche per continuare
a ripagare il crescente debito accumulato dal sistema finanziario.
È importante rilevare un ultimo punto. Potrebbe sembrare che le economie in via di sviluppo abbiano poco da guadagnare e molto da perdere
dalla decrescita dei paesi ricchi a causa della riduzione delle opportunità di
esportazione sia di materie prime che di beni manufatti, e per la probabile riduzione di credito e aiuti internazionali. In realtà, molti movimenti sociali del
Sud del Mondo che da anni sono impegnati nella promozione della giustizia
ambientale e del cosiddetto environmentalism of the poor sono i veri alleati del
movimento per la decrescita del Nord. Questi movimenti lottano contro il
depauperamento delle risorse provocato dagli interessi economici dei paesi
più ricchi, proprio perché essi sono strettamente legati alla parte reale-reale
dell’economia, e quindi ai beni e ai servizi che provengono direttamente dai
sistemi ecologici. Inoltre, una certa decrescita del Nord è inevitabile se si
intende perseguire una più equa ripartizione dell’uso delle risorse naturali a
favore dei paesi in via di sviluppo, che attualmente ne assorbono una quota
ben inferiore rispetto a quella assorbita dal mondo sviluppato.
L’attuale crisi è sfruttata per sostenere che l’unica via possibile per assicurare il buon funzionamento del sistema economico sia la crescita del PIL.
Al contrario, la fase di crisi che stiamo attraversando ci dà chiare indicazioni
l’economia della decrescita per la sostenibilità ecologica
247
che un processo di riduzione della scala dell’economia implica risultati importanti in termini di rispetto dei vincoli ambientali. La sfida che i sostenitori
della decrescita portano avanti è quella di capire sotto quali condizioni e
attraverso quali interventi questo processo può essere accompagnato da un
miglioramento di molti indicatori di benessere sociale.
Conclusioni
La decrescita economica non può essere attraente per coloro che ritengono
che la crescita sia un bene in sé, che la crescita sia necessaria per raggiungere
ogni altro obiettivo, che la crescita sia essenziale per evitare la privazione
economica e sociale. Abbiamo cercato brevemente di chiarire che questi
non sono buoni argomenti.
Una combinazione fra teorie di ispirazione keynesiana e priorità ecologiche offre una prospettiva che può ridurre la disoccupazione, aumentare
l’equità distributiva e la sostenibilità ambientale senza contare sulla crescita
dell’attività economica (cfr. Harris 2010). Questi modelli sono di fondamentale importanza poiché si concentrano sostanzialmente sullo studio di un
sistema economico nel quale non è la crescita il fattore cruciale. La decrescita sostenibile studia quindi i meccanismi attraverso i quali un’economia,
attualmente basata sulla crescita, possa modificare il suo funzionamento, il
suo motore. L’oggetto di studio della decrescita è quindi la transizione verso
una società equa e sostenibile. Trovare gli strumenti di politica economica
per rendere possibile questa transizione – e che essa avvenga attraverso
un continuo aumento del benessere – è la sfida che questo movimento ha
lanciato.
I limiti bio-fisici che incontra il nostro attuale sentiero di sviluppo potrebbero indurre forzatamente questa transizione. Come rilevano Schneider
et. al (2010) nelle conclusioni del loro contributo, per evitare l’emergere
di tentazioni autoritarie di fronte a crisi reali, bisogna promuovere un’idea
promettente e utopica. Anche a questo scopo, è particolarmente importante
sviluppare studi su come un’economia e un’intera società possa svilupparsi
senza crescita. La decrescita non è però soltanto un progetto di ricerca
scientifico, ma è parte di un più ampio movimento sociale che mira a ridurre
in modo equo e democratico la scala delle nostre economie.
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