Il fair play, questo sconosciuto!

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Il fair play, questo sconosciuto!
riflessioni sul fair play
fair play, questo
sconosciuto!
Il
di Maurizio Monego
D
i Fair play non si parlava nello sport antico, non perché questo fosse puro, come
spesso è idealizzato. Anzi, assomigliava molto al nostro.
“La violenza e la slealtà degli antichi erano,
rispetto alla nostra sensibilità, impressionanti”, scrive Guido Panico in ‘Sport, Cultura e
Società’: Atena che altera la corsa nella quale Ulisse sta per soccombere ad Aiace “Atena lo fece inciampare” (Omero, Iliade XXIII
canto, 774); i casi di imbrogli di cui la prima
notizia in assoluto risale alla 98^ olimpiade1)
e poi nella 112^, 178^, ecc..; gli Zanes2)
che si levano ai piedi del monte Cronio, ad
Olimpia; sono tutti esempi che le gare degli
antichi greci erano dominate dall’antagonismo.
Nella cultura del mito e dell’eroe, una vittoria
in gara equivaleva ad una vittoria in guerra e
gli avversari erano nemici da annientare. Il
contrario cioè del senso che diamo, o vorremmo dare, noi allo sport.
Per questo non esisteva il podio. C’era il vincitore e basta.
Il concetto di Fair play (= gioco giusto, gioco
bello, gioco leale, …) fa il suo ingresso nella
civiltà a partire dal nascere dello sport moderno, anche se non è nello sport che ha avuto la sua vera origine.
Per strano che ci possa oggi sembrare, il concetto di FP ci deriva dalla politica.
Un ruolo decisivo nella formazione dell’etica
dello sport lo ebbe, infatti, il sistema politico
inglese. Dopo la rivoluzione del 1689 e i ripetuti tentativi di restaurazione degli Stuart
ebbe inizio la “grande pacificazione”. Fu in
quell’epoca che “si consolidò il regime parlamentare; il quale postulava il riconoscimento
formale del ruolo dell’opposizione come elemento organico del sistema politico, il rispetto dell’avversario, l’accettazione della sconfitta”3).
L’athleticism (atletismo = attività spirito sportiva) esaltò questi valori elaborando un nuovo
codice morale, un’etica dello scontro duro
ma leale, “regolato da principi superiori allo
stesso diritto positivo”4).
L’elite che governava allora l’impero esaltò
questi valori come regole di vita.
Sappiamo come lo sport moderno sia nato
attraverso la “domesticazione” dei giochi
spontanei5).[5]
L’introduzione della sportisation (trasformazione in codice sportivo della tradizione dei
giochi e delle pratiche fisico atletiche) nel sistema scolastico inglese, di cui si fa merito al
vescovo anglicano Thomas Arnold, rettore
della scuola di Rugby (1828-1842) avvenne
come esigenza di disciplina.
Con il rispetto delle regole e con il processo
pedagogico educativo introdotti nello sport e
con l’affermarsi di un costume civile rispecchiato nella politica, la lealtà sportiva si
estendeva alla sfera morale.
Quanto abbiamo detto dà conto dell’origine
del fair play. Non ci dice ancora cosa intendiamo oggi per fair play, come sia cambiato,
se sia cambiato, il significato di lealtà, nello
sport come nella vita.
Il Fiar Play ha a che fare con l’etica, quella
originaria fondamentale e con il significato
profondo di sport, inteso come attività libera,
a cui nessuno è costretto, che viene svolta per
diletto. Il diletto sta proprio nel confrontarsi in
una competizione (da cum petere = tendere
insieme), ma la soddisfazione sta nel confrontarsi lealmente per stabilire chi è veramente il
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più bravo, senza trucchi perché altrimenti
non ci sarebbe più divertimento.
L’Etica è ricerca di una dimensione, che non
appartiene a nessuno, ma in cui tutti si ricoscono e per la quale sono disposti a sacrificare anche il proprio interesse, pur di difenderla.
“Potremmo immaginare la costruzione dell’etica come la ricerca del baricentro di un triangolo che ha per vertici la libertà, la verità, la
coscienza. Nel baricentro si realizza il loro
equilibrio, che è rispetto ed accoglienza dell’altro in quanto altro”. Scrive Jean-Louis Boujon in Sport, Etiche, Culture.
”L’etica è una lotta”, continua Boujon nel suo
saggio. Passa attraverso il coraggio e si presenta quindi come un dovere di resistere, di
affrontare, di risalire la corrente.
Scartiamo dunque un’etica idealistica che ci
presenti solo il bello del mondo, nascondendoci l’asprezza delle realtà umane. Si veda a
tal proposito “Utopia e disincanto” di Claudio Magris.
Ricerca e “lotta” richiedono impegno; l’impegno che realizza “umanità”, basato quindi
sui valori umani universali.
Su tutto questo si basa lo sport. Quando par-
liamo, dunque, di rispetto delle regole è di etica che parliamo.
Spesso si usa l’espressione fair play confondendolo con ‘etica’, riferendolo al rispetto delle regole o in qualche caso ad un comportamento di cortesia, di bon ton.
Il Fair play va oltre questi significati, perché
va oltre le regole.
L’osservanza di regole e norme non si applica
al FP.
“Il FP è un sur plus di etica che fa riferimento
al dono”, sostiene con suggestiva espressione
Antonio Spallino. E’ amore di verità che in
qualche caso contrasta con la regola. E’ onore per l’avversario ritenuto ingiustamente penalizzato dalla regola ed è moto spontaneo
dell’anima per riportare verità al risultato o al
giudizio.
Grazie al cielo ogni anno nel mondo, in realtà culturali diverse, in discipline sportive diverse, moltissimi sono i testimoni del Juego limpio
in situazioni che si ripetono anche a distanza
di tempo. Come il gesto di Eugenio Monti nei
confronti di Tony Nash (Olimpiadi invernali di
Innsbruck 1964), che si ripete a Lillehammer
nel 1994 da parte della squadra australiana
di bob a 4 a favore della squadra svedese
con la quale è in lizza per l’oro olimpico, ben
sapendo che così potrà sfumare, come avverrà, una occasione storica per l’Australia.
I gesti, le carriere sportive esemplari, i comportamenti di promozione convinta del fair
play sono testimoniati nella raccolta del Quaderno del Fair Play - che il Panathlon pubblica
in accordo con il CIFP - . Quelli riconosciuti ufficialmente in 42 anni e gli ancor più numerosi, che si verificano in modo meno eclatante e
non vengono conosciuti, inducono alla riflessione che: lo sport non è soltanto prestazione
fisica. E’ al tempo stesso prestazione morale
ed è proprio in questo che interviene il fair
play6).
Per questo il fair play è colonna portante dell’ideale olimpico.
Come l’etica anche il fair play è una lotta: un
combattimento contro i propri interessi e contro i condizionamenti che nello sport esistono.
Un combattimento sostenuto per amore di verità, per affermare la propria libertà e la propria coscienza: per affermare, in una parola,
la propria umanità.
I gesti di fair play che ogni anno vengono segnalati e riconosciuti dal CIFP, costituiscono il
filo rosso – per prendere in prestito la metafora usata da Goethe ne Le affinità elettive (Ottilia che lega i sentimenti con un filo rosso come fa la marina imperiale britannica con le
sue gomene per renderle sempre riconoscibili) - che distingue lo sportivo vero sotto ogni
cielo, presso ogni cultura, sono gesti di lealtà,
di rispetto e di onore per l’avversario; gesti
di congeniale osservanza delle regole scritte
e non scritte della competizione, di fedeltà alla verità del risultato anche contro la propria
utilità [1].
Oggi sembriamo lontanissimi da questi concetti. Gli interessi economici legati allo sport
– il calcio è solo l’esempio più eclatante – fanno apparire il Fair play, come una patetica
debolezza, una ingenuità in contrasto con il
professionismo, in nome del quale si deve fare solo l’interesse della propria squadra e
guai a cadere nel sentimentalismo.
E’ più frequente cogliere il significato di fair
play si per negativo, dai gesti e dai comportamenti che lo contraddicono.
La mano di Dio”, il gol di rapina, segnato
con il pugno, da Maradona nel Campionato
Mondiale in Messico ’86, che costò l’eliminazione dell’Inghilterra; lo sputo di Totti contro
l’avversario danese agli ultimi Campionati
Europei di calcio; i più recenti episodi della
proditoria gomitata di De Rossi all’avversario
statunitense ai recenti Mondiali e dell’ancor
più clamorosa testata di Zinedin Zidan a Materazzi nella finale mondiale, sono episodi
che indignano. Indignano perché contraddicono l’etica e negano l’esistenza del fair
play.
Mai come in questi anni si parla di Fair play,
si moltiplicano le iniziative a favore della sua
diffusione e sembra che il risultato sia quello
di allontanarcene sempre più.
Vuol dire che avvertiamo un deficit nella società e nello sport; viviamo un disagio, che ci
fa apparire certe gare una finzione, giustificata solo dallo spettacolo.
D’altra parte in una società che in buona percentuale colloca al primissimi posti nella scala dei valori il denaro e il successo, è ben difficile inculcare il concetto di fair play.
Eppure le Federazioni internazionali si stanno movendo per diffonderlo; il Presidente del
CIO Rogge ha dato impulso in questa direzione; gli sponsor, chiedono allo sport maggiore etica e maggior cultura (Congresso
AGFIS di Berlino – primavera 2005).
Il problema è che:
Il successo è sempre misurabile, mentre il FP
non lo è. Il successo è l’aspetto tangibile; il FP
è l’aspetto invisibile7).
E non basta l’osservanza delle regole per
esprimere fair play.
Réne Maheu direttore dell’UNESCO dal
1962 al ’74 ebbe a dire “il fair play, norma
non scritta, è la legge morale che da un’anima allo sport, facendone un’esperienza insostituibile, dal valore formativo innegabile per
la vita in società”8).
Risulta evidente il valore del FP nello sport e
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nella società. Migliora l’incontro e il confronto; predispone all’accoglienza; sempre testimonia il rispetto per l’altro e per la verità.
Al FP si può giungere soltanto con un atto personale di volontà, in quanto esso non è mai
un semplice valore in sé, ma un modo di vivere9).
Fondamentale, pertanto, è l’educazione.
E’ evidente allora l’aspetto educativo e formativo del FP e ben si comprende che il Panathlon ha nel suo Statuto tre obiettivi fondanti:
Cultura, Etica, Fair Play. Cultura dello sport,
essenzialmente, etica e Fair Play, nello sport e
nella vita.
Il FP è dunque un moto dell’anima, uno stile di
vita, che si assimila attraverso l’educazione e
che ciascuno elabora dentro di sé.
Come per le virtù vale quanto scriveva Aristotele (Etica Nicomachea, II,25):
“le virtù non si generano né per natura, né
contro natura, ma è nella nostra natura accoglierle e sono portate a perfezione in noi per
mezzo dell’abitudine”.
“Il tessalo Eupolo corruppe con denaro i pugili (….)
Agetore e (…) Pritani e insieme a loro anche Formione originario di Alicarnasso, che aveva vinto nell’olimpiade precedente. Raccontano che questa sarebbe stata la prima infrazione da parte degli atleti nei
confronti delle gare (…)” , Pausania, Guida della
Grecia, Libro V, L’Elide e Olimpia, 21.3. La 98^
Olimpiade si colloca ca. nel 384 a.C. (III sec. a.C.).
1)
Gli Zanes erano statue bronzee di Zeus, fatte con i
proventi della multa imposta agli atleti che avevano
trasgredito le regole della gara. Si trovavano a
Olimpia: erano collocate a sinistra della via che dal
Metroon va verso lo stadio. Le prime sei statue comparvero nella novantottesima olimpiade: vedi nota
precedente.
2)
Antonio Papa, Guido Panico: “Storia sociale del
calcio in Italia”, Il Mulino, biblioteca storica, Bologna 1993, nuova ediz. 2002, pg.8.
3)
ibidem. Nel 1825 lord Shaftesbury si rifiutò di ricorrere alla giustizia pur avendo perduto il figlio,
morto alla fine di 60 riprese di una lotta durata circa
2 ore e mezza con un compagno di scuola a Eton,
sotto gli occhi della scolaresca, perché comunque
era stato un combattimento leale tra pari.
4)
5)
si pensi al gioco dell’hurling, una delle forme più
diffuse di mob football (footbal del polpaccio) che
aveva un’alta carica di violenza ed eccitamento, o
all’hurling at goal, che si praticava in spazi ristretti,
o ancora all’hurling to the country, colossale e spesso sanguinosa zuffa in aperta campagna tra giovani
di villaggi vicini
Willi Daume, in “Fair Play” – Quaderni del Panathlon.
6)
Willi Daume, Presidente del CIFP, in Quaderni del
Panathlon, n. 4 cit.
7)
Sta in “Fair Play” – Quaderni del Panathlon, cit.
8)
Willi Daume, cit.
9)