I fumetti di Napoleone
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I fumetti di Napoleone
I fumetti di Napoleone di Enrico Cernuschi È Un genere di nicchia per appassionati del mare e dell’avventura difficile spiegare oggi l’entusiasmo con cui il pubblico di tutto il mondo accolse, nel 1936, il film prodotto dalla Metro-GoldwinMayer “Gli ammutinati del Bounty”, diretto da Frank Lloyd, interpretato da un grande Clark Gable nel ruolo del ribelle signor Christian e da uno strepitoso Charles Laughton, perfetto nella parte del comandante Bligh, cui prestò “una potente carica di cattiveria, di viltà e di ipocrisia, fornendo un’interpretazione ineguagliabile che si impresse nelle menti e nei riflessi psichici profondi di milioni di spettatori”, come avrebbe ricordato molti anni dopo lo storico Franco Bandini. Chi scrive nacque molti anni dopo quel 1936 che consacrò, tra l’altro, quella stessa pellicola mediante l’attribuzione dell’Oscar come migliore film dell’anno, ma ricorda con piacere quel film e non può fare a meno di osservare che nel 1937, la LNI indisse addirittura un concorso nazionale per i primi dieci migliori modellini del Bounty, premiando i giovani concorrenti (tutti sotto i 18 anni) con altrettante crociere di venti giorni nel Mediterraneo. In quell’occasione, i modelli realizzati e proposti, nel giro di pochi mesi raggiunsero il ragguardevole numero di 2.600, cosa questa che la dice lunga sia sul successo, strepitoso, del film in Italia, sia sulla sensibilità di quella generazione, poco dopo spazzata dalla guerra, in merito alle cose di mare. In effetti il protagonista vero della vicenda era proprio la nave e, più in generale, la grande Royal Navy dell’età velica del Settecento. Chi ha visto quel film ricorderà la scena liberatoria finale, con la frase “Salpiamo per il Mediterraneo” e i gabbieri sulle alberature e alle ancore, dominata da una bella fregata in procinto di salpare in una giornata di sole. Il messaggio sottinteso e profondo, trasmesso da quelle navi a vela, non andò perduto e negli anni successivi gli inglesi cercarono di replicare realizzando, nel 1941, ovvero in piena guerra mondiale, un’analoga, grandiosa pellicola diretta da Alexander Korda, interpretata da Laurence Olivier e Vivian Leigh e destinata a glorificare le gesta della Marina britannica contro l’Europa di Napoleone. Nonostante lo spreco di velieri (quasi tutti modelli, in verità, laddove per il Bounty gli americani avevano usato una nave vera realizzata per l’occasione), di cannonate e di comparse, il tentativo andò in gran parte sciupato a cominciare dal titolo, “That Hamilton Woman”, che tradiva un perdurante imbarazzo britannico nei confronti della relazione tra il loro beniamino Nelson e la sua spregiudicata e intrigante amante Lady Hamilton. La medesima pruderie colpì per di più la sceneggiatura, fatta eccezione per le scene, realizzate con crudo realismo, dell’impiccagione dell’ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo e della morte finale di Nelson a Trafalgar, immagini queste che non gennaio-febbraio 2011 31 Una realistica espressione, tanto intensa quanto odiosa, dell’indimenticabile Charles Laughton nella parte del comandante Blight nel film “Gli ammutinati del Bounty” mancarono di suscitare l’entusiasmo del Primo Ministro Churchill, come ricordò lui stesso nelle proprie voluminose memorie postbelliche, e quello, decisamente più moderato, dei suoi accoliti. L’elegante ministro degli Esteri Anthony Eden confidò, infatti, al proprio diario, sotto la data del 20 ottobre 1941: “Visto assieme a Winston, per la sedicesima volta, “Lady Hamilton”. Ancora una volta il Premier si è commosso fino alle lacrime e ha detto ai nostri ospiti statunitensi “Signori, questo film illustra quelli che sono i nostri eterni nemici e quello che è il nostro eterno valore”. Avendo già udito queste stesse parole almeno altre nove volte nel corso degli ultimi due mesi mi sono limitato a un sorriso di circostanza”. Anche se il ricordo della pellicola dedicata a Lady Hamilton è oggi scomparso, quelle Marine, con le loro grandi navi a vela, rimasero impresse nelle menti dei giovani dell’epoca favorendo, qualche anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, un particolare genere fumettistico destinato a vivere una propria gloriosa stagione nel corso della generazione successiva. svolti tecnici delle proprie storie. Assecondato in questo lavoro di precisione dal compatriota disegnatore Victor Hubinon, con cui avrebbe fatto coppia fissa per decenni, Jean-Michel impiegò due anni prima di consegnare la sceneggiatura completa di un ciclo di vicende (tutte rigorosamente autentiche) dedicate al grande marinaio francese Robert Surcouf, il maggiore dei corsari di Napoleone. La scelta del soggetto si rivelò felice. Il pubblico non aveva dimenticato, al pari degli autori di quel fumetto, il Bounty, né le glorie passate della “Royale” ovvero della Marina francese, così soprannominata per via della sede secolare del ministero in Rue Royale a Parigi. La scelta di proporre sia un personaggio del genere sia il linguaggio dell’epoca, a partire dai soprannomi riservati ai nemici inglesi (i “Gotons” e “Les Goddams”) fu parimenti bene accolta dai lettori, tanto da spingere la coppia a realizzare, nel corso dei successivi quattro anni, dopo il successo clamoroso di “Surcouf roi des corsaires” altre due analoghe opere dedicate allo stesso personaggio: “Corsare de France” e “Terreur des mers”, subito L’opera L’equazione “velieri ottocenteschi uguale avventura” si materializzò improvvisamente, nel 1946, sui quaderni di appunti di Jean-Michel Charlier, uno sceneggiatore belga, all’epoca poco più che ventenne, appena entrato, in veste di collaboratore esterno, nella redazione del settimanale cattolico a fumetti per ragazzi “Spirou”, diffusissimo nel mondo di lingua francese come da noi il “Corriere dei Piccoli”. Assurto, nei successivi quarant’anni, al rango di padre del fumetto d’avventura francese, Charlier si caratterizzò subito per la cura quasi maniacale delle proprie trame e per il rispetto rigorosissimo, a un tempo, della realtà e dei ri- 32 gennaio-febbraio 2011 Una copertina della serie “La storia a fumetti” che lo sceneggiatore belga Charlier, con il disegnatore francese Hubinon, dedicò a episodi reali della vita del grande corsaro francese Robert Surcouf dopo riproposte in tre album ancora oggi ristampati con regolarità. Le scene di battaglie e di vascelli alla vela, ovviamente, tutte ritratte con grande efficacia, abbondarono; il vero trucco fu però quello di impreziosire le tavole, ogni quattro pagine, con un riquadro in basso a destra via via dedicato, con grande proprietà storica e marinaresca, alle manovre, ai tipi di nave, alle bandiere di segnalazione e così via fornendo, in altre parole, un valido vademecum illustrato e colorato ai lettori. In Italia, indipendentemente dalle vicende francesi (Surcouf non è mai stato tradotto nel nostro Paese), il settimanale cattolico per ragazzi “Il Vittorioso” pubblicò, nel 1958, la storia, sceneggiata e disegnata da Dino Battaglia, di Giuseppe Bavastro, corsaro ligure di Napoleone e il maggior cacciatore di traffico inglese e mussulmano in questo mare a cavallo tra il Sette e l’Ottocento. La vicenda era storicamente corretta e il disegno molto bello, anche se ancora non era giunto alle vette degli anni Sessanta e Settanta di quell’artista, senz’altro il maggiore, a parere di chi scrive, tra i fumettisti italiani d’avventura del secolo Ventesimo, ma i dettagli delle navi erano, a dir poco, approssimativi. Anche questa lunga avventura approdò, in seguito, alla dignità di un album tutto suo ristampato più volte, anche se non con la diffusione dei volumi del suo contemporaneo cugino francese. In precedenza, per amor di precisione, va inoltre ricordato che erano apparse, nel 1950, sempre sul Vittorioso, altre due storie di mare: “I Pirati di Camogli”, di Assalente e Busso, e “La strega del mare”, sempre di Battaglia, ambientate nel Seicento, al di fuori, pertanto, del periodo napoleonico e relative all’ultima stagione delle galee. Gli avversari, peraltro, degli eroi italiani di turno, tutti liguri, non cambiavano in quanto, ancora una volta, la parte dei cattivi toccava ai pirati barbareschi e ai filibustieri inglesi e olandesi che, in effetti, affiancarono, durante la prima metà del Seicento, i corsari mussulmani a levante di Gibilterra insegnando loro, tra l’altro, i segreti relativi alla costruzione e alla condotta dei nuovissimi galeoni, da poco apparsi sugli oceani. In effetti, come avrebbe raccontato anni dopo a Pavia Laura De Vescovi in Battaglia, moglie di Dino, inchiostratrice finissima delle sue tavole e talvolta coautrice delle sceneggiature, quelle vicende risalivano ad antichi ricordi, trasmessi per tre secoli di padre in figlio lungo le coste tirreniche, delle autentiche e oggi dimenticate lotte combattute sul mare, nel corso di una lunghissima “piccola guerra” non di- Analogamente all’editoria francese, pochi anni dopo anche quella italiana si sarebbe interessata alle storie di mare a fumetti, come dimostra questa copertina degli Albi del Vittorioso sui “pirati di Camogli” del 1950, di Assalente e Russo chiarata durata due generazioni, tra gli italiani e gli appena arrivati intrusi calati dal Mare del Nord. Si trattò di un conflitto sordo, paragonabile alle attuali guerre al terrorismo, volto alla difesa del traffico e del commercio italiano e spagnolo, vera e propria spina dorsale dell’economia di quei due popoli, che vide contrapposte da un lato le galee italiane e, secondariamente, castigliane, forti della loro secolare esperienza, e dall’altra i modernissimi velieri d’alto bordo riccamente dotati di cannoni, ma ancora alle prime armi. Il duello terminò, come era inevitabile, con la scoperta, da parte protestante, dei maggiori vantaggi che il commercio recava in luogo della pirateria e con il ritorno della pace, come sempre armata, nelle acque del Mediterraneo occidentale. Queste stesse storie furono inoltre tradotte, con rinnovato successo di pubblico, anche in lingua spagnola, in Europa e in America latina, a conferma del fatto che quell’eco lontana e apparentemente minore, aveva colpito la fantasia e la cultura profonda dei discendenti di quei combattenti dimenticati. Il successo dei bellissimi romanzi dello scrittore britannico Cecil Scott Forester dedicati alla figura, immaginaria ma molto realistica, del Comandante Hornblower spinse a sua volta, nel 1964, lo sceneggiatore belga William van Cutsem e il disegnatore francese Yves Duval a realizzare un suo omologo a fumetti, Howard Flynn, destinato ai lettori di lingua francese. Le vicende, totalmente immaginarie, erano del tutto distinte da quelle di Hornblower, di cui condividevano soltanto il periodo storico. Il disegno era superbo e il ritmo delle avventure più che discreto. Mancava, gennaio-febbraio 2011 33 Il tentativo francese di creare un “contraltare” al britannico Hornblower, ebbe un certo successo con le creazioni di William van Cutsem (in arte Vance) e Yves Duval con il loro Howard Flinn, ma durò pochi anni perché questi fumetti si basavano sulla realtà storica, che non era stata molto benevola con la Marina napoleonica però, un contraltare adeguato. In effetti la decisione di realizzare un ufficiale della Royal Navy traeva la propria giustificazione dal rigore storico dell’ambientazione e dal bilancio, peggio che disastroso, delle guerre rivoluzionarie e Napoleoniche. Quattro navi di linea inglesi perse tra il 1793 e il 1814 a fronte di 160 vascelli avversari facevano sì che le gesta a fumetti di un comandante francese, fatta eccezione per gli strategicamente ininfluenti corsari, dovessero essere catalogate, più che nella narrativa storica, nei ranghi della fantascienza, circostanza questa che l’esigente pubblico transalpino non avrebbe permesso. Data però la parimenti impossibilità di proporre al pubblico francese un personaggio che catturava o mandava regolarmente a fondo le navi delle Marine della Repubblica e dell’Impero, le sceneggiature di Howard Flynn furono tutte basate su lotte furibonde impegnate combattendo pirati della Tortuga, in ritardo di un secolo rispetto al reale svolgimento degli avvenimenti e contro non me- 34 gennaio-febbraio 2011 Il fortunato canto del cigno della fumettistica napoleonica, del 1985, è rappresentato dalle divertenti e sconclusionate avventure di un ussaro (Godaille) e del suo cavallo (Godasse), creati dalla coppia Cauvin e Sandron glio specificati e improbabili traditori britannici, dotati addirittura di una flotta di navi di linea. Il difficile equilibrismo tra il manierismo splendido dei disegni e l’inconsistenza delle trame durò, faticosamente, per quattro anni, poi la serie si estinse per esaurimento. Dall’altra parte della Manica era nato nel frattempo, sulla scia del successo francese, un altro personaggio a fumetti dell’età Napoleonica e, in un certo senso, marinaresco: Johnny Frog, di Ron Embleton. Si trattava di un ragazzo francese dell’isola di Jersey utilizzato come spia in Gran Bretagna data la sua natura bilingue, ma che ben presto si converte sulla via di Damasco alla grandezza e maestosità dell’Impero britannico e inizia un complicato doppio gioco contro Parigi. La componente navale era limitata, in buona sostanza, ai passaggi su e giù per la Manica e il disegno, in bianco e nero, piuttosto modesto. Non ebbe lunga vita né fu mai tradotto al di là delle isole britanniche. Prima di queste due iniziative, peraltro, la premiata ditta Charlier e Hubinon aveva dato corso, a partire dal 1959, alle vicende di Barbe-Rouge, un pirata dei primi del Settecento liberamente ispirato alle vicende dei filibustieri. Il disegno e l’ambientazione marinara erano, al solito, perfette e il successo del fumetto proseguì imperterrito, con nuovi disegnatori dal 1979 in poi, fino all’inizio dell’attuale secolo. Dopo una breve apparizione in Italia sul “Vittorioso” tra il 1967 e il 1969, però, non ci furono altre traduzioni in quanto il personaggio non incontrò il favore dei cultori nostrani. Le cose non andarono gran che meglio con Yorik des Tempêtes, del grande sceneggiatore francese André-Paul Duchâteau e del disegnatore belga Eddy Paape. Ancora una volta il protagonista era un pirata seicentesco in lotta contro un cattivissimo governatore spagnolo provvisto, come da regolamento, di una bella figlia perdutamente innamorata dell’eroe. In Francia, la storia andò avanti dal 1971 al 1974, ma nonostante il notevole livello dei disegni e le eccellenti riproduzioni delle navi, con alcune grandi tavole molto caratteristiche, il pubblico italiano, tradizionalmente tirato su sin dalla più tenera età a base di Salgari, non accettò la prosecuzione delle traduzioni italiane pubblicate dal “Corriere dei Piccoli” oltre il 1971. Un altro fatto che giocò a sfavore del fumetto fu poi la violenza, cruda e gratuita, di certe scene in anticipo sulla fine, di lì a qualche anno, della scuola del fumetto francese della cosiddetta “Ligne claire”, dedicata all’avventura pura ben narrata e ben disegnata basata su un canone rigoroso, cui sarebbe seguita, per reazione, alla fine degli anni Settanta, la successiva generazione grottesca culminata, vent’anni dopo, con la fine di tutte le tradizionali testate fumettistiche d’Oltralpe. Il genere fumettistico navale e napoleonico si avviò, pertanto, a scomparire lui pure dopo una generazione ruggente. Ultimo canto del cigno, come spesso succede per questo tipo di narrazioni, fu una vicenda umoristica destinata, apparentemente, ai più piccoli: “Hussard à la mer”, un’avventura di Godaille e Godasse, rispettivamente un ussaro e un cavallo di Napoleone impegnati in storie burlesche all’epoca del Consolato e dell’Impero. Apparsa nel 1985 riscosse subito un immediato successo di pubblico e di critica in quanto la coppia Napoleonica si ritrovò, in compagnia di una divertentissima Madame Sans-Gêne dal linguaggio assai pepato, a combattere, ancora una volta, sui mari contro les Anglais in un crescendo di luoghi comuni strepitosi fino all’arrembaggio finale. E proprio quest’ultima apparizione avrebbe confermato una volta di più, come ben sanno tutti i cultori del fumetto, che il vero successo di un personaggio è dettato, invariabilmente, non dalla perfezione dell’eroe di turno, ma dalla caratura del suo eterno rivale. In fin dei conti la miglior cosa dopo un buon amico è un buon nemico, e dopo anni di improbabili pirati politically correct il ritorno dei Gotons e dei Rosbifs da sconfiggere à l’abordage non poteva non toccare, una volta di più, l’animo profondo dei lettori di ogni età di quelle storie d’avventura, concepite guardando da ragazzi, sul grande schermo, Clark Gable e il Bounty e proseguite, nei ■ sogni e nei disegni, per altri cinquant’anni. N aturalmente un conto sono i fumetti e un conto una cosa seria come la Marina. Tanto più che proprio le Marine e la realtà battono, quanto a sorprese e fantasia, qualsiasi sceneggiatore. In questi giorni, per esempio, l’autorevole rivista transalpina Navires & Histoire ha confermato il fatto che la Gran Bretagna, essendosi accorta di non poter pagare le proprie due portaerei ordinate nel 2008, ha deciso di armarne una come portaelicotteri (la componente imbarcata ad ala fissa della Royal Navy è stata messa all’incanto lo scorso novembre dopo il discorso, detto dell’ammainabandiera, pronunciato dal Premier Cameron il 19 ottobre 2010, ovvero due giorni prima del 205°anniversario di Trafalgar) mentre l’altra sarà ceduta in uso alla Francia. I vertici parigini della Marine Nationale si sono affrettati, a loro volta, a iscrivere nei ruoli del naviglio la futura unità maggiore con il nome di PA-02 Napoléon. L’unico commento possibile davanti a questa revanche non priva di esprit e allure è “Vive l’Empereur!”, proprio come nei fumetti oggetto di quest’articolo. gennaio-febbraio 2011 35