Linguistica applicata 23/10/08 Distanza linguistica e distanza
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Linguistica applicata 23/10/08 Distanza linguistica e distanza
Linguistica applicata 23/10/08 Distanza linguistica e distanza culturale Ipotesi Sapir/Whorf Worf l’espressione linguistica, ma anche il contenuto stesso, dei pensieri, sono fortemente influenzati dalla lingua in cui vengono espressi Distinzione nome/verbo ‘neve’ per gli eschimesi: “Per un eschimese questa parola onnicomprensiva sarebbe quasi impensabile; direbbe che neve che cade, neve bagnata e così via sono diverse dal punto di vista sensoriale e operativo” (Whorf) “Per una grande classe di casi – anche se non per tutti – in cui usiamo la parola “significato”, può essere definita in questo modo: il significato di una parola è nel suo uso nel linguaggio” (Wittgenstein) Nel momento in cui un testo deve adattarsi ad una cultura, si assiste ad uno scontro di strutture testuali e linguistiche. Adeguatezza/accettabilità (Toury): “se viene applicato il principio o la norma dell’ adeguatezza, il traduttore si concentra sui tratti distintivi dell’originale: lingua, stile ed elementi culturali. Se prevale il principio di accettabilità, scopo del traduttore è produrre un testo comprensibile in cui linguaggio e stile sono in piena armonia con le convinzioni linguistiche e letterarie della cultura ricevente. I due princìpi non si escludono: un traduttore può perseguire a un tempo entrambe le norme”. La traduzione interculturale: uno sguardo ai mondi arabo, cinese, giapponese Impero romano: inizialmente cultura ‘endotropica’, che si considerava ‘barbara’ rispetto al mondo greco, che considerava come l’origine della civilizzazione. A partire dal Medioevo, quando il latino divenne lingua di cultura, Roma divenne ‘esotropica’. L’impero bizantino si considerò il continuatore della cultura greca. Lo sviluppo dell’Islam, con la sua forte insistenza sull’arabo come lingua del Corano, incoraggiò le traduzioni da greco e ebraico. La situazione del Giappone riguardo la traduzione è per certi versi unica. All’inizio della civilizzazione giapponese la lingua letteraria era il cinese. Solo con la compilazione dell’antologia imperiale nota come Manyoshu nell’ottavo secolo e con il Genji Monogatari di Murasaki Shikibu intorno all’anno 1000, i giapponesi adottarono la loro lingua indigena. Il Giappone alternò periodi di apertura all’esterno a periodi di chiusura. Il Giappone era aperto all’influenza cinese durante la dinastia Tang (618‐906); ancora, durante il periodo Ming (1368‐1644) e si aprì all’Occidente con la restaurazione Meiji (1868). Per la maggior parte dei periodi Fujiwara e Kamakura (866‐1333) e Tokugawa (1600‐1867), il Giappone fu chiuso alle influenze esterne. All’inizio della sua storia, quando i suoi contatti erano per la maggior parte con la Cina, il Giappone sviluppò un linguaggio particolare per indicare i prestiti dal cinese, il kambun. Un testo kambun, dice Masao Miyoshi (1974: 8) “sembra cinese ma non è pronunciato come cinese. Un testo kambun, letto da un giapponese, suona giapponese ed è giapponese, anche se può essere letto da un cinese e pronunciato in cinese”. Missionari in Cina: assenza di categorie grammaticali in cinese; presunta incapacità della lingua di esprimere concetti astratti e conseguente interpretazione di tutti i concetti cinesi come concreti. “La finalità stessa della traduzione – aprire sul piano della scrittura un certo rapporto con l’Altro, fecondare il Proprio tramite la mediazione dell’Estraneo – si scontra frontalmente con la struttura etnocentrica di ogni cultura, o con quella specie di narcisismo in base al quale ogni società vorrebbe essere un Tutto puro e non mescolato” (Berman 1997) realia “in ogni lingua ci sono parole che , senza distinguersi in alcun modo nell’originale dal co‐testo verbale, ciò nondimeno non si prestano a trasmissione in un’altra lingua con i mezzi soliti e richiedono al traduttore un atteggiamento particolare: alcune di queste passano nel testo della traduzione in forma invariata (si trascrivono), altre possono solo in parte conservare in traduzione la propria struttura morfologica o fonetica, altre ancora occorre sostituirle a volte con unità lessicali di valore del tutto diverso di aspetto o addirittura “composte”. Tra queste parole s’incontrano denominazioni di eventi della vita quotidiana, della storia, della cultura, ecc. di un certo popolo, paese, luogo che non esistono presso altri popoli, in altri paesi e luoghi. Proprio queste parole nella teoria della traduzione hanno ricevuto il nome di “realia” “ (Vlahov/Florin 1969) realia geografici ed etnografici es. ‘steppa’ ‐ step’: traslitterazione della parola russa ‐ stiép: appropriazione della grafia ‐ steppa: creazione di una traduzione specifica ‐ tipo di vegetazione costituito da combinazioni di erbe a contenuto più o meno alto di clorofilla: mancato riconoscimento dell’elemento altrui, esplicitazione ‐ ‐ ‐ puszta (per la cultura ungherese), prairie (per la cultura nordamericana), pampa (per la cultura sudamericana): appropriazione dell’elemento altrui steppe: mancato riconoscimento dell’elemento altrui, resa generalizzante Hungarian steppe: riconoscimento dell’elemento altrui a livello contenutistico, non formale. Realia politici e sociali ‘magen adom’ ‐ magen adom: traslitterazione, marcato ‐ ambulanza dello scudo rosso: stella di Davide scudo di Davide ‐ ambulanza della stella di Davide ‐ ambulanza della mezzaluna rossa (trad. in arabo) ‐ ambulanza della croce rossa: strategia standardizzante ‐ ambulanza del pronto soccorso: strategia standardizzante e generalizzante ‐ ambulanza della stella di Davide rossa – equivalente israeliano della Croce rossa: traduzione linguistica accompagnata da una spiegazione del traduttore traduzione tentativo di appropriazione dell’elemento estraneo trascrizione tentativo di preservare l’elemento estraneo attraverso i mezzi propri trascrizione trascrizione: trasmissione di suoni di una lingua straniera usando le lettere dell’alfabeto della cultura ricevente traslitterazioni: trasmissione di lettere di una parola straniera mediante lettere dell’alfabeto della cultura ricevente traduzione neologismo (che spesso corrisponde a un calco): con materiale della lingua ricevente, si forma una parola semplice o composta traducendo alla lettera gli elementi dell’espressione nella cultura emittente. Es. ingl. Skyscraper, russ. neboskreb, it. grattacielo, fr. gratte‐ciel, ted. Wolkenkratzer mezzi calchi: si conserva solo una parte di un’espressione composta. Es. ted. Dritte Reich, it. terzo Reich, ingl. Third Reich appropriazione: adattamento di realia stranieri. Es. ted. Walküre, it. valchiria, ingl. Walkyrie, rus. val’kirja traduzione approssimativa sostituzione con un’espressione generica (es. pagoda/tempio) sostituzione con analogo funzionale (es. mandolino/banjo) descrizione, spiegazione, interpretazione (es. perifrasi esplicitante: rus. armjak ‘vestito di lana grezza’) traduzione contestuale (es. rus. Skol’ko stoit putëvka na sovetskj kurort? ‘quanto costa una camera nelle località termali sovietiche?’ putëvka: certificato ufficiale rilasciato a una persona diretta in vacanza, oppure a un corso di aggiornamento, oppure a una località di cura, che poteva, in epoca sovietica, essere gratuito o costare una somma simbolica).