Benazir, il grande depistaggio
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Benazir, il grande depistaggio
RINASCITA 10 Michele Altamura BANJA LUKA L’omicidio di Benazir Bhutto ha destabilizzato il Pakistan sollevando all’interno della comunità internazionale gravi dubbi sulla probabile infiltrazione all’interno del regime di Musharraf di cellule terroriste di Al Qaida. Una tale eventualità potrebbe spingere gli Stati Uniti ad intervenire per rimuovere il governo di Musharraf e “ripristinare” la democrazia, compromessa dalla probabile esistenza di cellule terroristiche all’interno della regione. A confermare la strategia di sabotaggio del Pakistan interviene la testimonianza di un medico che aveva soccorso Benazir in seguito all’attentato, il quale afferma che “è stata uccisa da un’arma laser dell’esercito, aveva una ferita complessa, non da proiettile”. Secondo il The Nation, che ha riportato una dichiarazione ufficiale di un dirigente del Partito popolare pakistano (Ppp) della Bhutto, Babar Awan, l’arma che ha ucciso RINASCITA Impakt l’ex primo ministro è simile a quella usata dalle forze americane in Iraq, e attualmente non è in possesso dei talebani ma dei reparti speciali di sicurezza del presidente Pervez Musharraf. Il New York Times riprende la dichiarazione di un medico secondo cui il governo ha ritirato le cartelle cliniche subito dopo il ricovero. La prova più eclatante è stata tuttavia fornita dalla Cnn, che ha ripreso la scena dell’attentato da una prospettiva chiara ed evidente, sulla quale possono essere formulate molteplici ipotesi sulla dinamica degli eventi. Una tale mobilitazione dei media statunitensi lascia così pochi dubbi nell’intera opinione pubblica internazionale, che vede così nel Pakistan un nuovo nemico, un nuovo focolaio di terrorismo che rischia di rendere instabile una regione così importante per la produzione e il trasporto del petrolio. Così gli scontri e le emergenze in Pakistan sono state seguite costantemente dai media internazionali, creando una sorta di guerra virtuale che nasconde un sabotaggio sotterraneo del regime di Musharraf da parte degli Stati Uniti e da ccoloro che da tempo cercano di appropriarsi del controllo di questa strategica regione. Nello svolgimento dei fatti si riconosce con molta facilità la strategia adottata dalle intelligence e dalle forze occidentali per destabilizzare i governi dei Paesi individuati come “Stati canaglia”, proprio come accaduto in Iraq, in Jugoslavia e in Afghanistan, e che sta colpendo ora la Georgia, l’Ucraina e il Kazakhistan. Ritroviamo infatti la “guerra lampo dei media” che hanno attaccato il presidente Musharraf in diverse occasioni, mettendo in dubbio il suo potere, il suo ruolo nella “guerra di Washington al terrorismo” e preannunciano la sua caduta; i soldi e i finanzia- menti ai movimenti del dissenso organizzato, e così gli attivisti disposti a mobilitarsi e ad organizzare gruppi sociali di protesta. Ancora, una campagna di disinformazione attraverso internet, con l’apertura di forum e mailinglist per inscenare l’esistenza di una opposizione invisibile di contrasto al regime totalitarista; la nascita di numerose Ong europee ed americane finanziate da grandi fondazioni che hanno a loro volta alimentato la macchina di mobilitazione anti-governo. La disinformazione mediatica è stata totale, considerando che le agenzie degli Stati Uniti controllano direttamente le reti televisive pachistane private che in questi mesi hanno sostenuto la linea dell’opposizione, parlando di corruzione, di inflazione e di insostenibilità economica. Le piazze sono state riempite di studenti, di avvocati, di movi- menti di protesta infiltrati da gruppi armati e violenti che hanno così testimoniato il dissenso popolare. Al momento, tuttavia, nessuna associazione studentesca ha reso noto chi si nasconda dietro le proteste degli studenti, e molto proba- bilmente esiste una regia sotterranea che ha guidato la mano di molti di coloro che sono scesi in piazza per protestare contro le riforme costituzionali del presidente Musharraf. La “dichiarazione dello stato di emergenza”, è arrivata quando gli attentati hanno cominciato a colpire diversi esponenti governativi ed istituzionali. È stato creato un leader dell’opposizione quasi dal nulla, rilanciando la figura opaca di Benazir Bhutto, salutata dall’intera opinione pubblica come la reale espressione del “Pakistan democratico”. In realtà la sua figura è stata completamente manipolata in modo che diventasse prima una pedina per indebolire Musharraf e poi per distruggerlo completamente. La sua morte è stato un grande spettacolo, stranamente seguito dalle televisioni del mondo intero, accredi- tata dalle diverse prove di colpevolezza di Musharraf create ad hoc e imposte dai media e dalle intelligence statunitensi. Il governo pachistano, a sua volta, cerca di difendersi, annunciando attraverso il suo portavoce agli Affari Esteri Tasnim Aslam che esistono delle prove “di un coinvolgimento indiano con gli elementi anti-statali in Pakistan”, alludendo così alla stretta collaborazione esistente tra il governo statunitense e quello indiano per rafforzare il controllo sull’Afghanistan e sul Pakistan stesso. È bene ricordare infatti che lo scorso 22 dicembre è stato ufficialmente reso noto da parte del ministro del Petrolio iraniano, Gholamhossein Nozari, che l’India non ha rinunciato al progetto di costruzione del cosiddetto “gasdotto della pace” che instraderà il gas dell’Iran verso il territorio indiano, come confermato anche dal ministro indiano agli Affari Esterni, E. Ahamed. L’unico dubbio sorto pare che sia provenuto proprio dal Pakistan che ha imposto che venisse previsto nel contratto di collaborazione fra i tre Paesi una tassa di transito, per conferire al territorio pachistano il rilievo che gli spetta nel progetto trilaterale. Per tale motivo, il “gasdotto della pace” ha già creato molteplici scontri e guerre, che saranno probabilmente destinate a far cadere la pedina che al momento è più debole. L’Iran dal canto suo è riuscito, con tale manovra, a riservarsi una posizione privilegiata a livello internazionale, coperta dagli scontri sul problema del nucleare. Quanto sta accadendo in Pakistan è solo uno dei tanti episodi che hanno già colpito e distrutto Stati come la Jugoslavia e l’Iraq, che oggi cercano di compromettere la stabilità del Kosovo, per arrivare a controllare la regione chiave per l’accesso e al controllo del Corridoio VIII, che 11 si dirige verso Oriente e verso il Mar Caspio. Il Kosovo è stato infatti letteralmente bersagliato dai media occidentali, che hanno già creato la finzione del conflitto etnico, e ora la sicurezza della sua popolazione viene messa a rischio dal diffondersi di bande armate e cellule terroristiche che si dichiarano pronte ad attaccare. Sin dagli anni ‘90 è stato gestito e controllato un traffico di armi dal mercato americano a quello kosovaro, finanziando l’Esercito per la liberazione del Kosovo (KLA). Gli Stati Uniti hanno fatto spesso da base logistica per organizzare una guerriglia dall’estero, finanziando così organizzazioni terroristiche e crimine organizzato, grazie all’appoggio di numerosi politici americani che frequentano spesso gli incontri per la raccolta dei fondi del movimento di liberazione. Al momento ancora esiste la rete di contatto con le lobbies esterne pronte ad alimentare la guerra attraverso le guerriglie e la disinformazione. Benazir, il grande depistaggio di Maurizio Blondet* Contrordine. Benazir Bhutto non è stata uccisa da cecchini con cinque pallottole di AK-47 alla testa, mentre i poliziotti di scorta avevano abbandonato il loro posto un minuto prima dell’assassinio (1). Contrordine, contrordine: è stata uccisa dallo spostamento d’aria. E Al Qaeda ha ripetutamente rivendicato. Ci sono le prove, le registrazioni di telefonate fra qaedisti… Niente autopsia. C’è di meglio di un’autopsia. E’ «imminente» un nuovo messaggio di Osama Bin Laden, rivolto però all’Iraq e ad un’organizzazione fondamentalista irachena, «Stato Islamico dell’Iraq». Lo ha annunciato il celebre centro di caccia al terrorismo SITE, della già nota Rita Katz (2). Che precisa di aver letto la notizia dell’imminenza in «blog jihadisti», e che il messaggio stavolta durerà 56 minuti. E pensare che la CIA e le altre 17 agenzie d’intelligence americane, con 50 miliardi di dollari annui di fondi, non riescono a sapere mai nulla di Osama, benchè ci sia sulla sua testa una taglia di 25 milioni di dollari. Invece il SITE, composto di due membri (la Katz e Josh Devon), riesce a sapere tutto in anticipo. Dai blog jihadisti che la CIA non trova mai. E’ straordinario. Tanto più che Benazir Bhutto in persona, pochi giorni prima di morire, in un’intervista a David Frost, aveva parlato come en passant dell’ «uomo che ha ucciso bin Laden», e ne aveva fatto il nome: Saeed Sheikh (3). E’ lo stesso che è accusato di aver ammazzato Daniel Pearl, il giornalista del Wall Street Journal che in Pakistan stava investigando sui rapporti tra l’ISI (intelligence militare) e i terrorismi islamisti. Questo Saeed Sheikh è anche l’uomo che, per conto dell’ISI, trasferì elettronicamente 100 mila dollari a Mohamed Atta poco prima dell’11 settembre. David Frost, per ragioni davidiche, ha sorvolato. Eppure le dichiarazioni postume della Bhutto sono all’ordine del giorno, e quando è il caso, vengono clamorosamente diffuse. Dall’Ansa, 27 dicembre: «Benazir Bhutto attribuì la responsabilità di una sua eventuale morte violenta al presidente pakistano Pervez Musharraf. Lo fece in una e-mail indirizzata a un amico americano che è stata consegnata alla CNN prima dell’attentato di oggi. L’e-mail, del 26 ottobre, era stata data da Mark Siegel, l’amico, all’emittente con la consegna che poteva esser resa pubblica solo in caso di morte violenta della Bhutto. ‘Era compito del governo proteggerla’, ha detto Siegel alla CNN». Mark Siegel: ecco un altro nome davidico, tipo Katz. C’è sempre qualche davidico amicissimo del morto, come quell’Alex Goldfarb che stava al capezzale di Litvinenko, unico ammesso alla sala di rianimazione, e ne raccoglieva le accuse per poi riferirle alla grande stampa: è stato Putin, Putin, Putin. Un altro amico e confidente della Bhutto, Humayun Gauhar, ha detto: «Se gli americani avessero potuto avere un governo retto dalla Bhutto, avrebbero ottenuto ciò che Musharraf ha rifiutato loro: lei avrebbe autorizzato l’entrata delle truppe NATO (letteralmente: gli stivali della NATO sul terreno) nelle aree tribali, e la possibilità di neutralizzare le nostre testate nucleari» (4). Le testate nucleari, che non devono cadere in mano agli islamisti altrimenti «Israele è in pericolo». Che questo sia il vero motivo di contenzioso alla radice dell’immenso, sanguinoso disordine pakistano, lo adombra anche Steve Clemons, giornalista di Washington, che ha spesso parlato con Benazir. «Tra il lusco e il brusco, sotto sotto c’è la questione del comando e controllo delle loro testate atomiche», ha detto Clemons, che è un senior fellow alla New American Foundation, e molto addentro alle segrete stanze di Washington. Un accordo preliminare per far entrare le truppe NATO in Pakistan era già stato preso, come abbiamo riferito, tra Musharraf e John Negroponte. A questo punto, Benazir - rispedita in patria per «espandere la democrazia» - diventava superflua (5). Ora, magari, si può ipotizzare che gli stivali NATO (truppe speciali USA, soprattutto) non calcheranno il terreno dell’area tribale, ma abbiano la missione di arraffare le 20-30 testate del Pakistan? E che all’ISI questa cosa non piaccia affatto, nono- stante il sì di Musharraf? Tutto è possibile. Tanto più che in Pakistan, il nome «Al Qaeda», o «Talebani», è spesso inteso per formazioni che l’ISI manovra a suo piacere. «Dovunque il caos viene creato nel mondo a forza di bombe ed assassini, e i neocon si affrettano a puntare il dito su Al Qaeda, si può essere ragionevolmente sicuri che siamo di fronte ad un altro attentato ‘false flag’ compiuto da un gruppo o gruppi che hanno qualche motivo ulteriore, politico e anche di profitto, per creare il caos»: così leggo su un blog complottista, lataan.blog. Forse ha ragione il vecchio Lyndon LaRouche (6). Anche lui ha parlato a caldo di «chaos operation» (operazione-caos), e con una nota interessante: «Guardiamoci da ogni ‘spiegazione’ o interpretazione del fatto in termini di personalità, di gossip o altro. Questa è una situazione totalmente anormale, e ci può essere solo una spiegazione abnorme». Quale? «Questo ha a che fare con la crisi finanziaria globale. E’ l’inizio della prossima fase: creare una situazione di caos potenziale, che è rispondente alla crisi finanziaria. E’ il detonatore della carica, che è la crisi finanziaria, il sistema che si sta disintegrando. Come ho detto ieri, è qualcuno interno al sistema britannico che sta agendo contro il resto del sistema. Non si tratta di rivalità né di concorrenza, è la fine del gioco. Chi lo conduce non è di una ‘parte’, è il croupier (game-master), non uno dei giocatori. Il croupier che vuole sopravvivere». Secondo lui, «tutta l’operazione è centrata sul 3 gennaio». Sarebbe la data in cui, «secondo fonti multiple» che LaRouche e i suoi hanno interpellato, «il sistema finanziario entrerà in una nuova e più massiccia crisi». Floyd Norris, il giornalista finanziario del New York Times, ha già detto che la crisi dei mutui subprime è uno scherzo, in confronto al mercato delle obbligazioni corporate. Ted Seides, analista di Protege Partners, adombra il collasso del vastissimo mercato dei Credit Default Swaps (CDS), ossia degli strumenti finanziari derivati e sofisticatissimi che venivano rifilati con la scusa che «assicuravano» contro le fluttuazioni monetarie e le perdite di cambio. Erano gli «hedges» (che compensavano le perdite con guadagni), specialità degli hedge fund ultra-speculativi. Secondo Seides, queste erano «assicurazioni senza alcuna riserva»: e il loro nominale è valutato in 45 mila miliardi di dollari. Ossia 45 trilioni: il quintuplo del debito nazionale USA. Scenario da incubo, che non vogliamo nemmeno elaborare. C’è chi può salvarsi da questa catastrofe? Molti anni fa, Webster Tarpley mi parlò degli «immortali»: società e gruppi - a volte solo studi di avvocati, che gestiscono patrimoni di genealogie estinte di grandi banchieri - che si sanno immortali. Ciò perché la loro memoria storica gli ricorda che le due guerre mondiali, le crisi del ‘29 e del ‘78, il collasso dell’URSS, Pol Pot e la rivoluzione culturale di Mao, qualunque altra catastrofe che ha spazzato via milioni di vite, rovinato milioni di oneste persone e i loro risparmi, a loro (agli immortali) ha sempre portato un aumento di ricchezza e di potere. Essi stanno al disopra del caos, e lo manovrano. Il giorno in cui annunciò l’invasione dell’Afghanistan, Bush pronunciò una frase del tipo: «C’è un angelo nella bufera, e guida la tempesta». La si intese allora come una delle frasi rivolte ai cristiani rinati, che aspettano l’Apocalisse e la vogliono accelerare, onde accelerare il secondo avvento di Cristo. Oggi, si può pensare che l’angelo sia quello delle tenebre, con i suoi agenti più vicini: «gli Immortali», appunto. I maestri del caos. Peccato sia morto Joe Vialls, il vecchio agente australiano: prima di morire, egli scrisse che quei maestri a cavallo del caos avevano già comprato vastissimi terreni come loro rifugio, per sopravvivere all’Apocalisse. Parlò della Tasmania, grande isola a clima temperato nel pieno dell’Oceano Pacifico, lontana dall’Australia e da tutto. Anche da eventuale fallout nucleare. Ma non facciamo correre la fantasia. Vialls pensava ai neocon, a Wolfowitz, Perle, Ledeen e simili, che s’erano cercati un’isola per sfuggire al disastro da loro provocato. Ma Tarik Ali, giornalista britannico nato pakistano, ha detto al Guardian che coloro che pensano di guadagnare dal caos possono essere altri: «In passato, il dominio dei militari (in Pakistan) era almeno inteso a conservare l’ordine, e lo ha fatto per qualche tempo. Ora non più. Oggi esso crea il disordine e promuove l’illegalità: come spiegare altrimenti di otto giudici della Corte Suprema che tentavano di imputare le agenzie d’intelligence militari e la Polizia e portarle in giudizio?». Giusta osservazione: ora i regimi «forti» - la cui sola giustificazione era l’ordine hanno convenienza a provocare il caos. L’osservazione non vale solo per il Pakistan, vale per l’America, vale per l’Italia, vale dovunque il gruppo di potere dominante sente che solo il caos può salvarlo dall’impiccagione, dalla Norimberga che merita. E’, se ci si pensa, il rovesciamento definitivo e radicale del «katechon»: l’imperium non trattiene più il Signore del Caos, ma lo scatena, pensando di «cavalcare la tempesta». Tutti i commenti dunque, in un modo o nell’altro, puntano il dito su questo: l’unica cosa chiara in questo attentato è il caos. Il caos come esito non voluto, oppure come fine a sé? Nemmeno questo si può dire, com’è in fondo naturale quando il caos impera, quando governa «l’abnorme» evocato dal vecchio Lyndon. Non resta che filosofare, come fa Dedefensa: «Il Pakistan è oggi il punto zero del disordine», ma il disordine che attanaglia il mondo l’ha creato «la politica occidentale e americanista». Tutto è cominciato da un altro punto zero, il ground zero dell’11 settembre, il pretesto per scatenare la guerra mondiale al terrorismo, la «lunga guerra» senza fine. Di lì si sparge e si espande la zona del caos, sempre più vasta: Afghanistan, Iraq, le ex-province dell’URSS, «cambi di regime», «democrazie colorate», menzogna ufficiale da tutti accettata, in un quadro di abbandono del diritto, di milioni di profughi che nessuno cura, di rilegittimazione della tortura proclamato in Occidente, di massacri impuniti di civili, di genocidi da uranio impoverito perpetrati con la più arrogante sicurezza che nessuno ti chiamerà a renderne conto, perché nel caos non ci sono più tribunali. Jihadisti, fanatici cristianisti, massacratori casuali di familiari, appaiono tutti come mere scintille nel gran fuoco caotico: un’atmosfera psichica s’è instaurata, che fa che individui informi e malati dentro divengano degli ossessi, o dei posseduti. E’ il grande ballo di san Vito, che scatena i frenetici. Fanatici sotto, fanatici sopra, al potere; irrazionalismo; terrore di sé e degli altri. E tutto è cominciato (forse) per il petrolio, e certamente per garantire «la sicurezza di Israele». Senza Israele come spina, il mondo islamico non sarebbe sconvolto da questo caos. Chi è l’angelo che davvero cavalca la tempesta? Lo sapremo presto. Posso flebilmente ricordare ai credenti che anch’essi hanno una loro arma totale? Cominciamo a recitare il Rosario. Virgo Potens. Mater Misericordiae. Regina Pacis. Auxilium Christianorum. Stella mattutina, che guidi i naviganti nella tempesta. Facciamolo in famiglia, in gruppo, da soli. Più che si può. Come è stato profetizzato contro quell’Angelo della Tempesta: «Ella ti schiaccerà il capo». Note 1) Nick Juliano, «Police abandoned security posts before Bhutto assassination - No autopsy Performed on body», Raw story, 28 dicembre 2007. 2) WASHINGTON (AFP, 12/28/2007) The head of the Al-Qaeda network Osama bin Laden is expected to release a taped message on Iraq, a group monitoring extremist online forums said Thursday. The 56minute tape by the hunted militant is addressed to Iraq and an extremist organization based there, the Islamic State of Iraq, said the US-based SITE monitoring institute, citing announcements on «jihadist forums». It said the release was «impending» but did not say whether the message was an audio or video tape. 3) «Osama bin Laden is dead», http://desertpeace.blogspot.com/2007/12/. Qui si può vedere il video dove Benazir Bhutto indica l’uccisore di bin Laden. E’ anche su YouTube. 4) Gail Sheehy, «Behind the assassination of Benazir Bhutto», Parade, 28 dicembre 2007. 5) «Bhutto sacrificed at the moment when deal was cut between US military & Musharraf», Rumor Mill News, 28 dicembre 2007. 6) LaRouche: «This Whole Operation [Pakistan] is Keyed to the Fact of January 3rd» LarouchePAC, 28 dicembre 2007. * articolo tratta da www.effedieffe.com I nuovi focolai di guerra e terrorismo