04. Il passaggio generazionale negli studi professionali

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04. Il passaggio generazionale negli studi professionali
04. Il passaggio generazionale
negli studi professionali.
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Riflessioni giuridiche
Ivan Tosco, PhD – Studio Legale Secci&Medda2
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La questione del passaggio generazionale ritorna molto spesso all’interno degli studi professionali e particolarmente in quelli
odontoiatrici. Il tema deve essere affrontato in modo scientifico e approfondito. Questo articolo è il primo di una trilogia che
vede la questione affrontata da 3 punti di vista: giuridico, fiscale e organizzativo.
Ivan Tosco, Dottore di ricerca in diritto internazionale (indirizzo diritto dell’Unione Europea) presso l’Università di Milano
“Statale” e Avvocato nel Foro di Torino. Ha ricoperto il ruolo di General Counsel, del ramo broadband del gruppo Eutelsat
(ETL: Euronext). Svolge attività di consulenza in materia di diritto commerciale e societario, con particolare riferimento ai
settori tecnologico e farmaceutico, e di difesa tributaria. -blog itosco.it- [email protected]
È noto che, statisticamente, le imprese familiari soffrano molto al momento del
passaggio da una generazione alla successiva. I numeri che ricorrono sono che il
75-80% delle imprese familiari italiane non sopravviva alla prima generazione,
che l’86% non sopravviva alla seconda e che solo una piccola minoranza sopravviva indenne oltre la terza generazione3.
Se il passaggio generazionale è un rischio per le imprese in genere, lo è doppiamente per le imprese che offrono servizi alla persona, e sommamente per
gli studi professionali, nei quali la componente di produzione è costituita dai
professionisti stessi.
In questo articolo daremo sommario conto di come la problematica possa venire
affrontata sotto il profilo degli strumenti giuridici disponibili, partendo dai metodi
applicati in generale dalle imprese.
1. Successione
e impresa
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La costruzione di un’impresa, per l’imprenditore, è la costruzione di una vita.
Inizia “andando a lavorare”, e prosegue attraverso una concatenazione di idee,
realizzazioni, incidenti, successi, fallimenti, cadute e resurrezioni. E se le realizzazioni sono più degli incidenti, e i successi più dei fallimenti, l’impresa cresce,
si sviluppa, i clienti si moltiplicano, le sedi si abbelliscono, i prodotti e i servizi migliorano e conquistano nuovi territori, nuove praterie. La costruzione di
UNIMPRESAVISTADALPONTEDICOMANDODELLIMPRENDITOREPUÛSOMIGLIAREALLA
costruzione di un impero.
Alla fine della storia, si immagina l’imprenditore salire su una metaforica collina,
con accanto l’erede, e lo si osserva allargare le braccia, ricomprendendo tutto
l’orizzonte e dire “un giorno tutto questo sarà tuo”. E “tutto questo” è un complesso di beni, di contratti, di rapporti, di stabilimenti, di terreni, che costituisce
un oggetto ben noto ai giuristi, che rientra nella nozione di “azienda” in senso
giuridico4.
La trasmissione di un complesso di beni organizzato in azienda, allo scopo di
salvaguardare il suo potenziale produttivo, è un problema noto al diritto successorio da sempre. Inizialmente era un problema semplice: in un’economia agricola
non meccanizzata, basata, ai fini della imputazione dei rapporti giuridici, sulla
nozione di “capofamiglia”, la semplice individuazione di un numero limitato di
eredi, tendenzialmente uno, garantiva un transito facile e naturale del complesso
della azienda agricola da una generazione alla successiva.
Singer P., “Il passaggio generazionale nell’impresa familiare tra continuità e cambiamento”, Giappichelli Editore, Torino, 2006.
“L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” Art. 2555 cod. civ.
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Chiaramente, neppure in quelle condizioni economiche, vi era alcuna garanzia
che l’erede dell’azienda avesse le stesse qualità del suo genitore o dante causa,
ma nel suo complesso ci si poteva ragionevolmente attendere che, ove il genitore
avesse lasciato abbastanza beni al sole per soddisfare i creditori, l’unità economica dell’azienda-famiglia sarebbe proseguita indisturbata. Lo stesso schema, con
poche varianti storiche, si ritrova con facilità nelle società agricole europee dalla
Roma repubblicana fino alle fattorie tedesche e, giù giù, fino all’organizzazione
del latifondo e alla organizzazione della proprietà fondiaria in appezzamenti
minori. Le varianti potevano riguardare l’esistenza di un dominio eminente (come
nel caso del feudo carolingio, o anche della proprietà fondiaria di diritto inglese),
che assicurasse al sovrano la possibilità teorica di recuperare quelle proprietà che
nessuno avesse reclamato, o nei diritti di manomorta5 della Chiesa sui beni non
rivendicati dagli eredi6, o ancora nell’esistenza di aree a disposizione dell’intera
comunità per il soddisfacimento di necessità che, più che collettive, erano piuttosto condivise7.ELCOMPLESSOPERÛILMEROSISTEMADELLASUCCESSIONEEREDITARIA
corredato dagli attributi del diritto di primogenitura, erano garanzia sufficiente.
#ONILDELINEARSIDIUNASOCIETÌINDUSTRIALEPERÛILCOMPLESSOORGANIZZATODEIBENI
costitutivi dell’azienda ha cessato di essere un valido paradigma dell’impresa, per
divenire “strumento” dell’impresa. Allo stesso tempo, l’emergere della impresa
industriale dalla sua precedente incarnazione, quella della bottega artigianale e
della bottega del mercante, ha generato l’imprenditore: quel soggetto che organizzando beni e idee “dal nulla” produce l’impresa stessa8. La capacità creativa
dell’imprenditore, che è valore in senso sia economico sia etico, divenendo motore
dell’economia, in quanto generatrice di innovazione e quindi di rigenerazione dei
processi economici9PONEPERÛUNPROBLEMANUOVOALDIRITTO
Se il diritto successorio “tradizionale”, fondato sulla trasmissione ereditaria dei
beni da un capofamiglia al successivo, ben si adattava all’impresa agricola, la
cui organizzazione è, non ne vogliano gli imprenditori agrari, necessitata dal
ciclo dell’agricoltura, si adatta meno a una situazione in cui, dal punto di vista
dell’impresa, il successore non è colui che riceve i beni strumentali in eredità, ma
colui che subentra al dante causa nel suo ruolo di imprenditore.
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Termine medievale che indica la non trasferibilità ereditaria di determinati beni immobili, che interessava alcuni Enti, per lo più
ecclesiastici.
Quando la manomorta non era sufficiente, taluni diritti venivano inventati. Interessante, al riguardo, l’illazione del Pietracqua
(1826) per cui l’espressione “far carte false” deriverebbe dall’abitudine, presso alcuni ordini religiosi contemplativi, di “aiutare”
la manomorta realizzando dei veri e propri falsi atti di legato e testamento che “facilitassero” il riconoscimento di un diritto di
manomorta su beni che, altrimenti, avrebbero potuto trovare un erede indiretto. In una società fortemente analfabeta, chiaramente, l’operazione non sarebbe stata ne’ complicata ne’ inimmaginabile… Ma, ovviamente, si tratta di illazioni letterarie di
un noto mangiapreti, in quanto l’espressione risulta testimoniata genericamente come “far qualsiasi cosa per raggiungere uno
scopo” già nel 1551 (A. Grazzini, “La Gelosia”, II, 4).
Sullo sviluppo della proprietà immobiliare, e sul contrasto tra beni comuni e beni privati, Mattei, “La proprietà immobiliare”,
Torino, 1995.
Brauduel F., “Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano (secoli XV-XVIII)”,Einaudi, Torino, 2006.
Schumpeter J., “Teoria dello sviluppo economico” (1911), in edizione italiana rivista, Etas, 2002.
Il passaggio generazionale negli studi professionali.
Riflessioni giuridiche
Accettando una semplificazione drastica, un campo, coltivato dall’erede, a parità
di tecniche agricole e condizioni ambientali, produrrà quanto produceva quando
era coltivato dal dante causa.
Ma un’impresa industriale o commerciale, privata dell’imprenditore, semplicemente si inceppa, perde di energia e, in definitiva, si ferma.
#IÛRENDEILPASSAGGIOGENERAZIONALEINUNIMPRESAINDUSTRIALEUNPROBLEMAPARticolarmente arduo per il giurista, chiamato a cercare soluzioni che consentano
di salvaguardare l’impresa, nel momento in cui le regole successorie potrebbero
condurre alla crisi dell’impresa stessa.
2. Il patto
di famiglia
La concezione dei diritti individuali introdotta della Rivoluzione Francese, e propagatasi in Europa grazie alle Guerre Napoleoniche, aveva puntato allo smantellamento della grande proprietà terriera attraverso la parificazione di maschi
e femmine nella successione legittima (impedendo così di costituire diritti di
primogenitura), e attraverso la sanzione della nullità dei patti successori (il che
rendeva impossibile creare figli cadetti, privi di diritti patrimoniali).
Il legislatore italiano del 1942 si è posto nel solco della tradizione francese. L’articolo 458 cod. civ., nella sua formulazione anteriore al 2006, recitava “è nulla
ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari
nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una
successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”. Tale sanzione di nullità
colpisce tre tipi di accordi: il “patto successorio istitutivo” con il quale Tizio si
accorda con Caio per lasciargli la sua eredità10; il “patto successorio dispositivo”
con il quale Tizio vende a terzi i beni che gli dovrebbero pervenire dall’eredità
del dante causa non ancora deceduto11; il “patto successorio rinunziativo” con il
quale Caio rinunzia all’eredità di un congiunto non ancora deceduto.
10 App. Roma Sez. III, 06/04/2010 (So.Fr. e altri c. So.Lu. e altri).
11 Il patto successorio dispositivo godeva, almeno in Italia, di una certa tradizione. Il D’Alberti di Villanuova, nel suo Dizionario
italiano-francese del 1797, riporta del “contratto a babbo morto”, come di un contratto che preveda obbligazioni solvibili all’ottenimento dell’eredità paterna (cfr. voce “babbo morto”, in Cortellazzo, Zolli, “Dizionario Etimologico della Lingua Italiana”, Bologna,
1979). La caratteristica del “babbo morto” era proprio quella di attribuire direttamente beni ereditari al creditore dell’erede. Per
altro, dal patto successorio dispositivo occorre distinguere il contratto tra “vivi sotto condizione di morte”. È questo, per esempio,
il caso della polizza vita con caso morte, che non realizza un patto successorio dispositivo, in quanto essa non ha “ad oggetto la
costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un vinculum
iuris” (Cass. civ. Sez. II Sent., 19/11/2009, n. 24450, in Riv. Dir. Civ., 2010, 3, 305 nota di Farace): la morte dell’assicurato, infatti,
non è null’altro che la “condizione” al verificarsi della quale l’assicurazione dovrà liquidare il premio al beneficiario. In tema di
patto successorio dispositivo la giurisprudenza ha avuto un atteggiamento storicamente prudente, nell’ottica di salvaguardare il
più possibile le volontà del testatore ogniqualvolta se ne profilasse la possibilità, e questo in ossequio al generale principio della
“conservazione del testamento” (art. 1362 cod. civ.), per il quale il giudice ha il dovere di privilegiare una interpretazione che
“salvi” l’atto tacciato di nullità, rispetto ad una che porti alla eliminazione dell’atto stesso.
In questo senso, ad esempio, è stato ritenuto che la clausola di uno statuto di una società a responsabilità limitata che, in caso
di morte di un socio, preveda il diritto degli altri soci di acquisire la quota del defunto versando agli eredi il relativo controvalore,
da determinarsi secondo criteri stabiliti dalla stessa clausola, non viola il divieto dei patti successori (Cass. civ. Sez. I, 12-02-2010,
n. 3345 (rv. 611505)).
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In queste condizioni normative, anche gli elementi dell’impresa (individuale o
familiare) e le quote societarie non potevano che cadere in successione secondo
le regole applicabili a tutti gli altri beni del dante causa.
Anche le azioni e le quote societarie, infatti, al pari degli altri diritti patrimoniali, erano soggette alle regole relative alla successione (cosiddetta ab intestato,
ovvero, senza testamento12 e testamentaria), che definiscono anticipatamente le
quote di “patrimonio” che spettano a ciascun erede a prescindere dalla volontà
del dante causa, e di conseguenza la quota cosiddetta “disponibile”.
¶NOTOINFATTICHEINGENERALEQUALORAVISIANOEREDIDIRETTIILTESTATORENONPUÛ
disporre del proprio patrimonio a suo piacimento, ma deve riservare delle porzioni
del patrimonio stesso ai cosiddetti “legittimari”, ovvero il coniuge e i figli e, in
assenza di questi ultimi, gli ascendenti (genitori, nonni eccetera).
)NBASEALLEREGOLEDELLASUCCESSIONELEGITTIMAILTESTATOREPUÛDISPORREPERTESTAmento: della metà del proprio patrimonio qualora gli sopravviva solo il coniuge
o un solo figlio; di un terzo qualora sopravvivano il coniuge e un figlio; di un
quarto qualora i superstiti siano il coniuge e più figli; di tre quarti qualora gli
sopravvivano solo gli ascendenti.
Chiaramente, queste regole privilegiano i diritti patrimoniali degli eredi piuttosto
che l’unità economica realizzata attraverso l’organizzazione dei beni in quanto
mezzi di produzione. Nell’economia principalmente agricola, come abbiamo detto,
CIÛNONCOSTITUIVACERTOUNPROBLEMADATOCHELAFAMIGLIAERADIPERSÏSTRUMENTO
di organizzazione del lavoro e della produzione, quindi vi era una sostanziale
coincidenza, al momento dell’apertura della successione, tra l’interesse degli
eredi collettivamente considerati e l’interesse alla continuità dell’organizzazione
produttiva. Ma, com’è stato in questi anni sottolineato dal Consiglio Nazionale
del Notariato, “la famiglia”, attualmente, più che una comunità di produzione è
una comunità di consumo, educazione e tempo libero. I genitori contribuiscono al
mantenimento dei figli fino ad età avanzata e gli stessi figli lasciano la casa dei
genitori dopo la conclusione dei loro studi. I figli, pertanto, non hanno concorso a
formare ed incrementare il patrimonio familiare ma hanno già goduto dei benefici
(in termini di mantenimento, alimenti ed educazione) derivanti dallo stesso”13.
A questa inadeguatezza ha posto mano il legislatore nel 2005, nel tentativo di
ricomporre questa divaricazione, introducendo l’istituto del patto di famiglia14.
È patto di famiglia “il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in
materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie,
l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più
discendenti”.
12 Artt. 565-586 c.c.
13 Consiglio Nazionale del Notariato, nota per la stampa “La riforma dei diritti riservati ai legittimari”, 10 ottobre 2011. La proposta
di riforma, interessante per i fini qui trattati, non risulta essere stata fatta propria da alcuna forza politica.
14 Artt. 768bis – 768octies cod. civ.
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Riflessioni giuridiche
Il patto di famiglia è quindi un contratto stipulato tra vivi, con cui il disponente
PUÛATTRIBUIREINVITALAZIENDAEOLEPARTECIPAZIONIAUNOOPIáLEGITTIMARI
ponendo a carico di questi la liquidazione degli altri legittimari, (cosiddetti legittimari non assegnatari).
Attraverso questo contratto, quindi, è data possibilità all’imprenditore di permettere all’impresa di passare “indenne” attraverso la successione15. L’inciso “in tutto”
è fondamentale, in quanto, in questo modo, l’imprenditore diviene un dante causa
“privilegiato”, cui è consentito, seppur con il necessario concorso dei propri familiari, di modulare le modalità con cui l’eredità verrà distribuita, concentrando
su alcuni -o anche su un solo- erede la successione nell’azienda o nel pacchetto
di controllo dell’impresa. Non solo: il patto di famiglia consente alla famiglia di
regolare anticipatamente anche gli effetti definitivi della distribuzione. Se correttamente strutturato, il patto ha infatti l’effetto di produrre una distribuzione
“anticipata” dei beni ereditari “non soggetta a collazione o riduzione”: questo
effetto è particolarmente importante, perché impedisce che l’assetto disegnato
dal patto di famiglia venga travolto da azioni tese a calcolare, a successione già
avvenuta, se le quote di legittima siano state effettivamente rispettate.
Il patto di famiglia, quindi, è divenuto l’unica tipologia di patto successorio non
affetto da nullità.
L’istituto del patto di famiglia, quindi permette di disegnare assetti in cui sia
possibile ridurre il rischio che un’imprevista lite fra gli eredi possa provocare la
disgregazione dell’azienda e quindi dell’impresa.
Il patto di famiglia mostra delle potenzialità alla luce della recentissima riforma
della filiazione (Legge 10.12.2012, n. 219)16. Questa riforma, unificando nell’unica
qualità di “figlio” le precedenti categorie di “figlio legittimo” (nato entro il matrimonio) e “figlio naturale” (nato al di fuori di esso), e abrogando l’istituto della
“legittimazione” (art. 1, comma 10)17, ha di fatto abrogato anche l’istituto della
“commutazione” previsto all’art. 537, comma 3, c.c., il quale prevedeva che “I figli
legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione
spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide
ILGIUDICEVALUTATELECIRCOSTANZEPERSONALIEPATRIMONIALIv#IÛDALPUNTODIVISTA
dell’impresa, è un po’ paradossale, se si considera che la stessa Corte Costituzionale aveva individuato in questa norma lo strumento per consentire all’istituto
15 Così anche Trib. Reggio Emilia, 19/07/2012 – “La funzione dell’istituto appare quella di fornire all’imprenditore uno strumento
giuridico per salvaguardare la continuità nella gestione dell’impresa, preservando l’integrità e la funzionalità dell’azienda.”
16 Per un rapido raffronto vedasi Buffone G.,“Filiazione legittima: la legge che equipara figli naturali e legittimi”, in http://www.
altalex.com/index.php?idnot=60287.
17 “È abrogata la sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile”.
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della legittima di evolvere in senso “costituzionalmente orientato”18, consentendo
CASOPERCASODITROVAREUNBILANCIAMENTODIINTERESSIÒPERÛEVIDENTECHENELLO
spirito del nuovo assetto normativo, l’istituto della commutazione non trovava
più alcuna giustificazione logica.
In estrema sintesi, quindi, la riforma della filiazione ha eliminato la possibilità di
utilizzare gli istituti del matrimonio e della filiazione legittima come strumenti di
pianificazione patrimoniale, ma in presenza di strutture di impresa e societarie, è
possibile impiegare anticipatamente il patto di famiglia allo scopo di salvaguardare le sorti dell’impresa stessa.
3. La polizza
vita
Lo strumento della polizza sulla vita (artt. 1919-1927 cod. civ.) è normalmente
considerato tra gli strumenti idonei a realizzare una pianificazione successoria.
Con la polizza vita, l’assicurato si obbliga verso l’assicuratore a versare uno o
più premi e l’impresa assicurativa, di converso si impegna a pagare un capitale
o una rendita a uno o più beneficiari al verificarsi di un evento legato alla vita
DELLASSICURATOMORTEOSOPRAVVIVENZA,ASSICURAZIONEPUÛESSERESTIPULATAA
FAVOREDIUNTERZOILQUALEPUÛANCHEESSERELEREDEEILPREMIOPUÛESSEREPAGATO
in canoni periodici o in un’unica soluzione, sia in denaro sia in natura.
La polizza assicurativa consente alcuni vantaggi nella trasmissione ereditaria
dei patrimoni. In primo luogo, qualora stipulata quando il contraente è in bonis
(ovvero in un periodo non sospetto e non in pregiudizio di creditori o di terzi, né
in contrasto con norme imperative), la polizza è impignorabile e insequestrabile19.
In secondo luogo, il credito che nasce a seguito dell’evento morte sorge direttamente in capo al beneficiario, quindi non rientra nella successione in senso
proprio, e non è soggetto a collazione e revocazione da parte degli altri eredi20.
18 Cfr. Corte Cost., 18 dicembre 2009, n. 335, in Giust. civ., 2010, I, 15. La Corte Costituzionale, nella propria sentenza, sottolineava
che “a (volutamente) elastica formula linguistica adoperata dal legislatore risulta teleologicamente coerente al sistema, poiché
lascia tutto il dovuto spazio all’apprezzamento discrezionale del giudice (le cui decisioni, peraltro, sono soggette, come le altre,
ai normali rimedi processuali). Lungi, dunque, dal dirsi anacronistica (come deduce il rimettente) la ratio sottesa alla norma in
esame, questa – anche per la sua formulazione “aperta” (analoga a quella prevista dall’art. 252 cod. civ. in tema di affidamento
del figlio naturale e suo inserimento nella famiglia legittima) – appare viceversa idonea a consentire il recepimento nel suo ambito dispositivo (di volta in volta, e secondo il sentire dei tempi) delle singole fattispecie, commisurate proprio a quella dinamica
EVOLUTIVADEIRAPPORTISOCIALICHEATTUALIZZAILPRECETTOCOSTITUZIONALE#IÛTANTOPIáINQUANTOnPERCOLMARELAGIÌEVIDENZIATA
ampia latitudine del riferimento normativo alle «circostanze personali e patrimoniali» – il giudice, nella propria opzione ermeNEUTICAÒTENUTOADAREUNAVALUTAZIONECOSTITUZIONALMENTEORIENTATALAQUALEAPPUNTONONPUÛIGNORAREMADEVENECESSARIAmente prendere in considerazione) la naturale evoluzione nel tempo della coscienza sociale e dei costumi”. Poiché la questione
di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale Ordinario di Cosenza sotto il profilo della potenziale violazione del principio
di eguaglianza (art. 3 Cost.) e 30 terzo comma (tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, nel rispetto della famiglia legittima), la
SENTENZAPUÛCONSIDERARSIINLINEACONLASUCCESSIVARIFORMADELLAlLIAZIONESOTTOILPROlLODELDIRITTODIEGUAGLIANZA
19 Con alcuni limiti. Sul punto si veda Cass. Sezioni Unite 31-3-2008, n. 2871.
20 Cass. civ. Sez. II, 23-03-2006, n. 6531 (rv. 594102).
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Il passaggio generazionale negli studi professionali
Riflessioni giuridiche
,OSVANTAGGIOPRINCIPALEPERÛÒCHENONTUTTIIBENIPOSSONOESSEREAGEVOLMENTE
conferiti a titolo di premio, poiché la loro proprietà, nel momento in cui vengono
trasmessi all’assicuratore, cambiano titolare, entrando nel patrimonio dell’assicuratore medesimo.
La polizza, quindi, si adatta molto bene a fungere da veicolo per il denaro e i beni
fungibili (incluse le azioni), ma meno per quei diritti che necessitano di venire
esercitati. Nuovamente ci troviamo di fronte a uno strumento cha ha ottimi impieghi per la pianificazione patrimoniale, ma si dimostra meno idoneo a sostenere
il passaggio generazionale dell’impresa.
4. Il trust
Ancora nell’ottica della pianificazione patrimoniale nel contesto del passaggio
generazionale, si è stabilmente affermato anche in Italia l’istituto del trust.
Tale istituto, di origine eminentemente anglosassone, è stato introdotto nel nostro ordinamento a seguito dell’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del
primo luglio 1985 (resa esecutiva con la Legge n. 364 del 16 ottobre 1989 e in
vigore dal primo gennaio 1992). In nuce, il trust è un rapporto giuridico in base
al quale la proprietà di determinati beni o diritti è detenuta da un soggetto a
beneficio di un altro21. Il trust è costituito da un soggetto (il disponente, in inglese settlor) il quale trasferisce una porzione del proprio patrimonio a un terzo
(il trustee) il quale lo amministra nell’interesse di un beneficiario. Si tratta di un
istituto originale del sistema legale inglese (e, per derivazione, di tutti i sistemi
di common law, come quello americano), che non trova un esatto parallelo negli
ordinamenti continentali22, fra cui quello italiano. Per questa ragione, la Convenzione dell’Aja (1985), richiede che, qualora un soggetto non residente in una
giurisdizione di common law intenda costituire un trust, lo sottoponga alle regole
di diritto di una di esse. Restando in Europa, pertanto, un soggetto italiano potrà
costituire in Italia trust di diritto inglese o irlandese (o, qualora sia di interesse,
di una delle giurisdizioni minori, come le Channel Islands, l’isola di Mann etc.,
sulla cui convenienza occorre riflettere anche alla luce della normativa in materia
di “paradisi fiscali”) o, uscendo dall’Europa, di uno degli Stati degli U.S.A. e così
via23. Il fatto che la legge regolatrice del trust debba conoscere tale istituto non
impedisce di costituire trust puramente interni, cioè trust che non abbiano alcun
elemento riconducibile ad altri Stati che l’Italia, se non la legge che ne regola il
funzionamento24.
21 Hudson A., “Equity and Trusts” (3rd ed.), Londra, 2003.
22 In effetti, l’origine storica, sottolineata dalla dottrina inglese, sarebbe da ricercarsi nel fidecommissum di diritto romano, un
negozio fiduciario in base al quale il dante causa istituiva erede un dato soggetto sotto condizione che realizzasse con i propri
BENITUTTIOPARTELINTERESSEDIUNTERZOADESEMPIOILlGLIOMINORE3ITRATTAPERÛDIUNPRECEDENTEINDIRETTOINQUANTOLO
sviluppo del trust in Inghilterra è piuttosto databile al medioevo (e al XII secolo in particolare).
23 Gli artt. 6 e 7 della Convenzione lasciano, in effetti, piena libertà di scelta al disponente, salvo prevedere che, ove la legge indicata
da questi non conosca tale istituto, si applicherà il diritto dello Stato con cui il trust ha il collegamento più stretto. L’effetto della
scelta del diritto di uno Stato il cui ordinamento non conosce il trust potrebbe pertanto essere il venir meno del trust medesimo,
con risultati aperti a molti rischi.
24 Trib. Milano Sent., 17/07/2009.
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Per la sua struttura, il trust è uno strumento molto versatile ogni volta in cui vi
sia la necessità o l’utilità di scindere la proprietà dall’amministrazione di un dato
patrimonio. Le sue finalità possono essere le più varie, e tra queste spicca la sua
attitudine a fungere da veicolo di beni e diritti in caso di successione.
In effetti, a differenza della polizza vita, che nasce come strumento previdenziale,
e quindi poco si adatta alla gestione di beni che richiedono una amministrazione
COSTANTEILTRUSTPUÛESSERECOSTITUITOPROPRIOALLOSCOPODIGESTIREUNPATRIMONIO
fino a che determinate circostanze (ad esempio, una certa età o il raggiungimento
di una data qualifica dell’erede designato) non si siano verificate.
)LTRUSTPUÛESSERECOSTITUITOSIAPERATTOTRAVIVIATTODIDESTINAZIONESIAPER
testamento. Una volta costituito produce l’effetto di “segregare” dal patrimonio i
beni conferiti in trust.
I creditori del disponente, quindi, non potranno aggredire i beni del trust (salvo
azioni revocatorie, come oltre indicato), e come i creditori del trustee non potranno
rivalersi sui beni conferiti in trust che sono appunto “segregati” in un’area separata.
Per non essere attaccabile, un trust deve essere costituito con una finalità non
puramente “difensiva” rispetto ai creditori del disponente: in questo caso, sarebbe
facile cadere nella sanzione prevista per il “negozio simulato”, e dunque esporre
IBENIINTRUSTALLARIVALSADEICREDITORI3EPERÛLElNALITÌDELTRUSTFOSSEROALTRE
come ad esempio la protezione del patrimonio del minore fino al raggiungimento
della maggiore età, si avrà comunque indirettamente un risultato protettivo in
quanto effetto indiretto rispetto ad un negozio che per finalità principale ha altri
scopi. È bene ricordare, in ogni modo, che l’effetto segregativo troverà un limite in
presenza di atti compiuti dal disponente in violazione di norme imperative ovvero
per compiere, soprattutto in periodo sospetto, atti in frode ai terzi creditori o per
realizzare scopi non meritevoli di interesse per l’ordinamento giuridico italiano.
È necessario, dunque, che l’atto di trust preveda una “causa lecita”, che dovrà
essere esaminata caso per caso.
L’utilità del trust nel caso di passaggio di una impresa da una generazione alla
successiva è piuttosto evidente nel momento in cui si considera che il disponente
ha la facoltà (e diremmo, l’obbligo) di scegliere un trustee che possa amministrare
i beni del trust in conformità con le finalità del trust medesimo.
L’imprenditore che ritenesse di voler mantenere l’unità dell’impresa a favore di
uno o più eredi, potrebbe attraverso il trust, consentire ad alcuni il godimento dei
frutti del patrimonio, e ad altri la successione nell’impresa, con lo stesso spirito
che anima il patto di famiglia, ma potendo disporre di una figura -il trustee- il
quale è per definizione terzo rispetto agli interessi della famiglia.
5. Impresa e
studio
professionale
50
Affrontiamo ora la medesima situazione nel contesto dello studio professionale
(nella specie, lo studio odontoiatrico).
Concettualmente, lo studio professionale è un’impresa; lo studio odontoiatrico
in particolare, a causa della sua peculiare struttura di costi, che prevede una
Il passaggio generazionale negli studi professionali
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grossa componente di beni strumentali, è particolarmente affine, nella sostanza
all’impresa di servizi.
Tuttavia, non è automatico, sotto il profilo giuridico, sovrapporre l’imprenditore
e il professionista, anche quando l’organizzazione messa in piedi da quest’ultimo
sia tale da far sfumare di molto la differenza25.
Il libero professionista, infatti, anche qualora impianti una struttura di tutto
rispetto per l’esercizio della propria attività, e anche quando per farlo si associ
con altri professionisti, non per questo acquisisce la qualità di “imprenditore”
(agricolo o commerciale) nel senso prescritto dal codice civile. Infatti, mentre “è
imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata
a fine della produzione o dello scambio di beni e servizi. (art. 2082)”, il libero
professionista è prestatore d’opera intellettuale (con obbligo di iscrizione in albi
ed elenchi) ai sensi degli artt. 2229 e seguenti. Tale distinzione è frutto di una
esplicita scelta legislativa e, anche se con l’affermazione della nozione di diritto
comunitario di “prestazioni di servizi” ha perso molto della sua ragion d’essere,
traccia una linea di demarcazione tutt’ora piuttosto chiara.
Come si atteggiano quindi gli istituti che abbiamo visto fino ad ora nel caso della
successione in uno studio professionale?
Lo studio professionale sconta, abbiamo detto, una doppia problematica. In primo
luogo, esso è impresa in senso materiale, ma non in senso giuridico. In secondo
luogo, il complesso dei beni usati dal professionista nella propria vita lavorativa
non esaurisce affatto l’organizzazione dell’azienda come avviene in altri settori. Nel caso del professionista, quindi, sarebbe illusorio pensare che l’uso puro
e semplice di strumenti concepiti per una successione “nel patrimonio”, possa
consentire un’efficace successione nell’attività.
Tra i tre strumenti che abbiamo tratteggiato sopra, quindi, converrà anzitutto
rivolgersi a quelli concepiti per la conservazione dell’impresa, piuttosto che del
patrimonio.
In questo senso, ci sentiamo di sconsigliare l’uso della sola polizza assicurativa
per la pianificazione successoria nello studio professionale.
Con i suoi innegabili vantaggi pratici, infatti, “la polizza vita” si adatta bene
come veicolo per il passaggio di titoli di proprietà, ma fallisce come strumento
che consenta al dante causa di pilotare l’attività professionale verso il passaggio
generazionale.
“Il patto di famiglia” è un candidato potenzialmente valido, in quanto il suo scopo principale è quello di costruire in vita un assetto dell’impresa di famiglia che
sopravviva al titolare. Nel caso di studio monoprofessionale, o non organizzato
INFORMASOCIETARIAPERÛCITROVIAMODIFRONTEAUNAempasse, ovvero la carenza,
in capo al professionista, della qualità di imprenditore.
25 A certi fini, la differenza scompare del tutto. È noto infatti che il DLgs 446/1997, istitutivo dell’Imposta Regionale sulle Attività
Produttive non conosce distinzione, ai fini del verificarsi del presupposto d’imposta, tra imprese di servizi e liberi professionisti;
il presupposto si verifica allorquando vi sia “esercizio” abituale di una attività (autonomamente organizzata) diretta alla
produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.
51
QUADERNI ODONTOIATRICI - Analisi metacliniche e socioeconomiche
Infatti, giacché, come abbiamo detto, l’istituto del patto di famiglia genera un’eccezione al generale divieto di patti successori, le regole ermeneutiche ordinarie
richiedono che si applichi alla nozione di “imprenditore” di cui all’articolo 768
bis un’interpretazione restrittiva26)LLIBEROPROFESSIONISTAINQUANTOTALENONPUÛ
accedere al patto di famiglia per organizzare la propria successione nella attività.
Anche ammesso che uno o più eredi del dante causa abbiano le qualifiche professionali per proseguire nell’attività, quindi, il professionista non potrà utilizzare
questo strumento per consentire “solo a questi eredi” di subentrare nell’attività
libero-professionale, proteggendone l’integrità da eventuali pretese di altri eredi
non destinatari.
Più promettente, ai fini dell’applicazione del patto di famiglia allo studio professionale, appare il caso in cui il professionista sia “titolare di quote” in una
società. In questa circostanza, infatti, il problema dell’interpretazione di chi sia
l’imprenditore si ridimensiona. La società tra professionisti (STP), introdotta con
la legge di Stabilità 201227, potrebbe essere una soluzione. La società tra professionisti è, come suggerisce il nome, un ente costituito in forma societaria tra
esercenti professioni liberali, eventualmente con l’apporto di capitale da parte
DISOCIDIMEROCAPITALE3ECONDOLALEGGEISTITUTIVALA340PUÛESSERECOSTITUITA
nella forma di qualsiasi società prevista dal nostro ordinamento, purché rechi
anche la denominazione “s.t.p.”, e i soci professionisti pesino almeno per una
maggioranza dei 2/3 nelle decisioni degli organi deliberativi.
Da tale assetto, che consente di costituire uno studio medico-dentistico in forma
societaria, discenderebbe la possibilità di applicare, in caso di successione, uno
schema giuridico come il patto di famiglia.
L’impiego della forma societaria, inoltre, ha un pregio ulteriore, che consente
nella possibilità di quantificare l’accumulazione di valore nel tempo attraverso la
FORMADELLAVVIAMENTOPOICHÏLAVVIAMENTOPUÛESSEREQUANTIlCATOSOLOINCASO
di cessione di ramo d’azienda a titolo oneroso (cosiddetto “avviamento derivato”),
e corrisponde grosso modo al sovrapprezzo che l’acquirente di un ramo d’azienda
(o di una società) attribuisce alle componenti intangibili del ramo d’azienda stesso (il buon nome, la notorietà del marchio etc.), per procedere alla valutazione
sarà necessario predisporre una “perizia” che attesti il valore dell’attività ad un
dato momento. Nel caso dello studio odontoiatrico, la perizia sul valore dello
studio potrà procedere con criteri molto simili a quelli di un’impresa operante
in un altro ramo.
¶NECESSARIOPERÛPARLAREALCONDIZIONALE!DOGGIILPATTODIFAMIGLIANON
ha riscosso un grande successo tra le imprese, a causa del fatto che, appunto,
26 Art. 14 delle “disposizioni sulla legge in generale” (c.d. “preleggi”).
27 L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 10 commi 3-11.
52
Il passaggio generazionale negli studi professionali
Riflessioni giuridiche
costituisce un’eccezione al diritto successorio generale e, per così dire, separa la
famiglia dall’azienda, costringendo a fare una scelta tra la salvaguardia dell’una
o dell’altra. Allo stesso tempo, la s.t.p. non è decollata (nell’ottobre 2013 risultavano iscritte al registro imprese appena dieci società tra professionisti: cinque
di esse erano costituite da medici, e di queste tre da odontoiatri, ad oggi il loro
numero, pur aumentato, non pare aver superato la sessantina)28; pure in presenza
di spunti interessanti, quindi, non è possibile ad oggi avere un’idea consolidata di
come questi istituti potrebbero colloquiare, ai fini del passaggio generazionale.
Il trust, dal punto di vista dello studio professionale, è un istituto interessante. In
effetti, il suo carattere di negozio fiduciario, corredato della possibilità di attribuire al trustee per un tempo dato, o fino al verificarsi di una preordinata condizione,
l’amministrazione dello studio, consente una notevole libertà di azione.
Abbiamo accennato in precedenza a un possibile schema: il professionista disponente crea un trust attribuendone la amministrazione a un trustee che si occupi
di gestirlo con criteri di buona pratica gestoria e con la necessaria attenzione agli
aspetti clinici (nominando, ad esempio, un consiglio di gestione del trust in cui
sieda anche un clinico, con funzione di verifica dell’attività del direttore sanitario). Il trust opererebbe in favore degli eredi, fino a quando uno o più di essi non
abbia raggiunto una determinata età o una data qualità professionale. Poiché
il trust in questione, nel periodo in cui opererebbe, continuerebbe a produrre un
reddito distribuito tra gli eredi (eventualmente privilegiando nella distribuzione
quelli che non proseguiranno nell’attività), al momento della sua liquidazione
potrebbe realizzarsi una distribuzione soddisfacente per tutte le parti coinvolte.
Va detto che, nel campo delle professioni sanitarie, la legge italiana prevede, in
effetti, un caso simile: si tratta della successione nell’attività di farmacista privato. Come noto, l’art. 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475 (norme concernenti il
servizio farmaceutico) prevede che “nel caso di morte del titolare gli eredi possono entro un anno effettuare il trapasso della titolarità della farmacia a norma
dei commi precedenti a favore di farmacista iscritto nell’albo professionale,
che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente
concorso. Durante tale periodo gli eredi hanno diritto di continuare l’esercizio in
via provvisoria”. L’esercizio provvisorio della farmacia, consentito agli eredi, è in
effetti una situazione di separazione della gestione libero-professionale dell’attività dalla proprietà della medesima. Senza creare paralleli impropri (la legge in
questione costituisce infatti un caso molto particolare di contemperazione fra
norme di diritto civile e norme di diritto amministrativo)29VALEPERÛLAPENADI
prenderne spunto.
28 Fonte Sole24ore, 21 ottobre 2013, p. 13.
29 “L’erede del titolare di farmacia defunto, pur abilitato a gestire provvisoriamente l’esercizio farmaceutico, non succede al dante
causa nella titolarità della farmacia, ma solo nella gestione della stessa” (Cons. Stato Sez. IV, 16/02/2001, n. 817).
53
QUADERNI ODONTOIATRICI - Analisi metacliniche e socioeconomiche
La norma in questione, pur con opinabili limiti temporali, costituisce un esempio
di come sia possibile far sopravvivere, in caso di successione, un’attività sanitaria
avviata.
6. Considerazioni
conclusive
54
Il professionista che si ponga il problema del passaggio generazionale nel proprio
STUDIOPROFESSIONALENONPUÛCONTAREAPPIENOSUGLISTRUMENTICHELORDINAMENTO
ha approntato per consentire un’ordinata successione nel patrimonio, ne’ su
quelli recentemente sviluppati per consentire la continuità d’impresa attraverso
il fenomeno successorio.
In questo senso, lo studio professionale che passa soltanto da una generazione a
un’altra non cambia unicamente il proprio titolare, ma sostituisce il fattore più
importante della propria produzione: il professionista medesimo.
La mancanza della qualità di “imprenditore” in capo al libero professionista costringe, per ottenere un risultato comparabile a quello ottenibile in un’impresa
commerciale, a un salto di creatività ulteriore.
La ricerca di un idoneo strumento giuridico di pianificazione successoria, nel
contesto dello studio professionale è un elemento necessario nella pianificazione
ma, lungi dall’esaurire l’attività di pianificazione, ne è anzi una conseguenza.
La pianificazione della successione nello studio deve necessariamente comprendere più di una prospettiva: deve includere considerazioni di natura legale e
fiscale, naturalmente, ma deve farlo nel quadro più ampio della preparazione
dello studio stesso alla successione, attraverso una attenta individuazione delle
dinamiche aziendali dello studio, per evitare che la successione, privilegiando
naturalmente gli aspetti patrimoniali rispetto a quelli imprenditoriali lasci, al
termine del suo naturale decorso, soltanto gli elementi a contorno dell’impresa,
ma non la sua essenza.