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Coraline
IN QUESTO NUMERO
Nel paese delle creature selvagge
UP
Coraline
Lebanon
Il grande sogno
The Informant!
Geronimo Stilton
Sommario
4
NEL PAESE DELLE CREATURE SELVAGGE
n° 5-6 2008
8
UP
12
CORALINE
17
LEBANON
19
IL GRANDE SOGNO
21
THE INFORMANT!
22
GERONIMO STILTON
PER ABBONARSI A PRIMISSIMA SCUOLA
Periodico di informazioni
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Siamo delle creature selvagge?
Intervista a Spike Jonze, regista di Nel paese delle creature selvagge.
Regista di Essere John Malkovich e de Il ladro di orchidee (entrambi sceneggiati insieme a Charlie Kaufman),
il quarantenne americano Spike Jonze è considerato un autore di ‘culto’. Fautore di un cinema estremamente
originale, dove la realtà si incontra con l’inconscio e con il sogno, tra ironia e mistero, adesso ha portato sul
grande schermo la graphic novel Where the wild things are di Maurice Sendak, uno dei più amati scrittori americani per bambini. Un’operazione, come nel suo stile, controcorrente. Che tra l’altro ha portato caparbiamente
avanti, con un lungo braccio di ferro con la produzione, che avrebbe voluto una storia più addomesticata. Una
specie di anti-fantasy, dove il mondo dei bambini viene raccontato dal di dentro, con la difficoltà di esprimersi,
di organizzare il proprio mondo sentimentale, di mettersi in relazione con gli adulti. Insomma, niente luoghi
comuni, niente cliché, ma un approccio quasi ribelle all’infanzia.
La storia inizia una notte in cui, dopo il litigio con la mamma e con indosso il suo pigiamino da lupetto (con
coda e cappuccio), Max fugge nella notte, passa il confine tra realtà e sogno, per approdare in un’isola magica
(per gli esterni sono state scelte alcune straordinarie location australiane).
Perché ha scelto questo soggetto?
“Perché ho adorato, sin dalla prima lettura, quando ero un bambino,
il libro di Sendak. E’ come se da allora fossi cresciuto con quelle
storie, che a loro volta sono cresciute dentro di me. E’ il mio film
più intimo e personale e in esso la fantasia regna sovrana, ma non
è mai disgiunta dai sentimenti del personaggio.”
E’ un film incentrato sui problemi di un bambino ipersensibile?
“Max ha sempre bisogno di verifiche affettive, ed anche lui fa cose
‘selvagge’. Come tutti i bambini. E’ la forma più teneramente estrema di autodifesa, di esorcizzare la propria solitudine e la propria
difficoltà a comunicare. Mi sono identificato a lungo in Max. Con
la sua ribellione, il suo linguaggio essenziale, la sua fragilità. Si fa
eleggere sovrano dagli strani esseri che cercavano una guida, come
lui cercava amici.”
Sarà un film segnato dalla paura?
“E’un’avventura fanta-reale lontana dai canoni di certi film per
l’infanzia: le creature non sono sempre buone come Shrek. Max è
confuso e vulnerabile, come lo sono tanti bambini. Diventato Re
della sua isola scopre che, come altrove, i rapporti con gli altri sono
difficili. Il libro è permeato di paura, curiosità, fascino per paesaggi
esotoci, bisogno di uno spazio segreto in cui fare cose selvagge.
Tutto ciò appartiene all’infanzia e al mondo dei grandi. Non ho
voluto fare solo un film per bambini, ma un film sull’infanzia. Una
‘malattia’ capace di restare a lungo nel cuore e nelle emozioni anche
degli adulti.”
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Claudio Lugi
Viaggio nel mondo dei mostri
“I fanciulli trovano tutto nel nulla, gli uomini trovano il nulla
nel tutto.”
Giacomo Leopardi
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S
arà il ritorno dietro la macchina da presa di Spike Jonze (Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee…), uno dei
cineasti più visionari e controversi di questi
ultimi anni, sarà la travagliata gestazione del
suo ultimo lavoro, Nel paese delle creature
selvagge, in uscita il 16 ottobre negli USA
e due settimane più tardi in Italia, sta di
fatto che l’attesa per il fantasy movie prodotto dalla Warner Bros è diventata oramai
spasmodica.
Ad accrescere ulteriormente l’aspettativa per
quest’opera cinematografica tratta dalla celebre graphic novel di Maurice Sendak Where
the Wild Things Are, la notizia, circolata
rapidamente dal web alle agenzie di stampa
statunitensi (o viceversa?), che il libro in
questione sia uno dei preferiti dal Presidente
Barack Obama, il quale - sempre secondo le
medesime fonti - lo avrebbe addirittura letto
agli invitati del pranzo di Pasqua.
In effetti, il testo di Sendak, uscito nel lontano 1963, è un brevissimo romanzo illustrato tra i più amati dal pubblico infantile,
specialmente negli USA e nei paesi di lingua
anglosassone, che un cortometraggio animato di Gene Deitch del 1973 ha già cercato
di tradurre in immagini in movimento. Ma
stavolta, la stretta collaborazione tra il disegnatore di origine polacca e il quarantenne
regista di Rockville, ben supportato dalla
sceneggiatura di Dave Eggers, ha prodotto
i risultati sperati in quanto a originalità e
bellezza visiva.
Infatti, per quanto innegabile sia stata la difficoltà realizzativa di tale progetto, che si è
avvalso della rappresentazione live action per
le scene realistiche e dell’animazione in CGI
per descrivere il mondo fantastico, va sottolineata la netta prevalenza dell’elemento
emozionale su quello puramente tecnico, al
punto da regalare agli spettatori molte sequenze straordinarie, e alcuni momenti commoventi e poetici, sia per i giovanissimi, a
cui il film è indirizzato, che per gli adulti,
i quali apprezzeranno sicuramente l’ottima
colonna sonora composta da Carter Burwell e
Karen O., e specialmente, la ballata Wake up
degli Arcade Fire.
Inoltre, i recettori giovanili s’identificheranno
volentieri con Max (Max Records), l’eroe della
vicenda, un ragazzino inquieto e solitario
alle prese con i problemi dell’età: le incomprensioni scolastiche e familiari, il desiderio di
liberare la propria fantasia impedita da mille
divieti. Così, una sera, indossato il costume
da lupo, dà sfogo alle sue scorribande casalinghe infastidendo la madre Connie (Cath-
Per tutte le Scuole
erine Keener), la quale, al colmo della sopportazione, lo punisce severamente mandandolo a
letto senza cena.
Max per un po’ sente tutta la solitudine piombargli addosso, ma improvvisamente decide di
lasciare la sua cameretta e correre a perdifiato
tra gli alberi. Tra la vegetazione si scorge perfino il mare, che il bambino raggiunge in men
che non si dica, e una barca a vela che pare
attendere null’altro che qualcuno desideroso di
vivere una magica avventura. Max, così, sale
a bordo, e intraprende un viaggio che lo porterà a sbarcare, esausto, su un’isola misteriosa
popolata da strane figure…
Il contatto con gli abitanti mostruosi di quella
terra non turba più di tanto il protagonista,
che dimostrerà di saper reggere il confronto
con le creature selvagge, tra le quali si distinguono: Carol, una specie di gorilla caudato
munito di corna, KW, scimmiona rotondetta
dai lineamenti dolcissimi, Judith, munita di
un corno sul naso, Alexander, dalle sembianze
caprine, Douglas, enorme gallinaceo dal becco
adunco, Ira, mostriciattolone dal naso prominente, The Bull, toro dalla folta peluria nera e
dallo sguardo inquietante…
In breve, Max conquisterà il rispetto e la simpatia di quell’eterogeneo gruppo di mostri
giganteschi e spaventosi, ma decisamente
bonari, dichiarandosi loro Re, con tanto di scettro e corona. Allora, il nuovo monarca, decide di fondare un regno in cui tutti vivano
felici, ma prima indice la “ridda selvaggia”
nella quale, insieme ai mostri, con danze e
urla sfrenate rivolte alla luna, dà sfogo a tutta
l’aggressività e la frustrazione accumulate nel
tempo.
In questo mondo immaginario il ragazzino trascorrerà momenti di grande euforia, all’insegna
dell’avventura e della fantasia, esplorando foreste impenetrabili e deserti sconfinati, compiendo, però, anche decisive esperienze morali e
materiali circondato dall’affetto e dalla considerazione. Tuttavia, anche in quell’ambiente esistono problemi e dissapori di non poco conto
tra i vari individui della comunità. Perciò viene
presto il tempo di staccarsi dagli amici pelosi,
e di tornare a casa. Ritrovare la mamma, e
magari accettare Rob (Mark Ruffalo), il fidanzato di lei. Dopotutto, ha capito Max, anche in
quella casa è il sovrano amato da tutti…
È questo, appunto, il messaggio di Nel paese
delle creature selvagge: anche la più dura realtà non può sottrarti la capacità di sognare,
di vivere liberamente l’avventura più straordinaria nell’universo parallelo che hai costru-
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ito con l’immaginazione, nel mondo dove le
paure scompaiono e le speranze si accendono.
È certo che il percorso di crescita interiore di
un bambino passa attraverso l’esperienza della
propria libertà e indipendenza, ma è anche rafforzato dalla rassicurante consapevolezza dei
valori familiari.
Spike Jonze ha dichiarato che non intendeva
realizzare solo un film per bambini, bensì una
pellicola sull’infanzia. Senza omettere – aggiungiamo noi – gli aspetti oscuri della fantasia infantile, la crescita seguita al viaggio
di formazione, l’esplorazione dell’Io (il mostro
selvaggio che è in noi) e degli altri (la scoperta del diverso). Una favola sulla tolleranza,
insomma. Accettare se stessi non è, infatti,
il primo passo per imparare ad accettare gli
altri?
Nel paese delle creature selvagge
Titolo originale: Where the Wild Things Are
Regia: Spike Jonze
Con: Max Records, Catherine Keener, Mark
Ruffalo
Distribuzione: Warner Bros.
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Dentro ognuno di noi c’è…
tutto quello che abbiamo visto,
tutto quello che abbiamo fatto,
e ci sono tutti quelli che abbiamo amato.
Un film… da sfogliare
Lo straordinario viaggio nelle terre selvagge
rispecchia l’evasione di un ragazzino dalla
realtà quotidiana che gli procura disagio,
insicurezza, il dubbio continuo di non
essere accettato per le proprie debolezze,
per ciò che realmente egli è. Il fatto
di essere bambini comporta, tuttavia,
un’innegabile vantaggio: quello di potersi
abbandonare pienamente al richiamo della
fantasia. Difatti, basta socchiudere gli
occhi, ed ecco spalancarsi la porta dei
sogni. È facile, allora, costruire castelli
impervi, lasciarsi penetrare dal vento
tempestoso in cima a scogliere a picco
sull’oceano, perdersi in boschi incantati, o
fare conoscenza di esseri viventi bizzarri e
selvatici.
La fuga in un’altra realtà - parallela - costituisce un motivo ricorrente della letteratura per ragazzi, e oggi, con gli straordinari
risultati raggiunti dall’animazione e dalla
computer grafica, si è resa possibile qualsiasi rappresentazione cinematografica, anche la più immaginifica, partorita dall’umana creatività. Nel paese delle creature
selvagge appartiene a questo filone, che
annovera pellicole di grande successo come
Labirinth (1986), diretto da Jim Henson (il
creatore dei Muppets), La Storia Infinita
(1984), di Wolfgang Petersen, tratto dal romanzo omonimo di Michael Ende, e Coraline
e la Porta Magica (2009) di Henry Selick,
di cui ci occupiamo in queste stesse pagine.
Come accennato in precedenza, anche il
lungometraggio in esame prende spunto da
un classico della letteratura per l’infanzia,
Nel paese dei mostri selvaggi, un libro
illustrato che ha conosciuto la meritata
considerazione della critica, unitamente
all enorme popolarità, avendo ottenuto il
Premio “Astrid Lindgren for Literature” nel
2003. Inoltre, l’autore, Maurice Sendak, è
stato il primo illustratore americano a ricevere il premio internazionale Andersen
(una sorta di Nobel della letteratura per
ragazzi) nel 1970, lo stesso anno in cui
veniva attribuito, come miglior scrittore,
al nostro, indimenticabile Gianni Rodari.
Fra i dieci libri per ragazzi più venduti nel
mondo, il volumetto di Sendak, ritornato
nelle librerie italiane (Babalibri edizioni)
proprio grazie all’imminente uscita del film,
possiede la rara qualità di toccare le corde più intime dei piccoli lettori riuscendo
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a instaurare con loro un intenso rapporto
basato sull’analisi dell’universo psicologico
e onirico infantile, attraverso un racconto
che dosa apprensione e speranza, amore
e avventura, e soprattutto, rompe la trita
consuetudine della maggior parte delle storie dedicate ai giovanissimi.
Definito “il Picasso dei libri per bambini”,
Maurice Sendak (nato a Brooklyn nel 1928)
ha disegnato delle tavole che paiono incisioni, e che in alcuni casi richiamano alla
mente la serie dei Minotauri e alcune Tauromachie dell’artista spagnolo. Difatti, il
mostruoso bestiario dell’illustratore americano è rappresentato in maniera fortemente espressiva, senza la preoccupazione di
censurare le raffigurazioni più inquietanti e
feroci, quelle decisamente più spaventose,
ma anche quelle in cui maggiormente i giovani lettori possono riuscire a esorcizzare
la paura.
A tale proposito Sendak sosteneva: “Sin
dalla più tenera infanzia i bambini convivono con emozioni dirompenti; paura e ansia
fanno intrinsecamente parte della loro vita
quotidiana, devono confrontarsi meglio che
possono con continue frustrazioni. Proprio
attraverso la fantasia i bambini giungono
alla catarsi. Essa è il migliore strumento per
dominare i Mostri Selvaggi. È il mio lasciarmi coinvolgere dall’inevitabile condizione
dell’infanzia, la terribile vulnerabilità dei
bambini e la loro lotta per divenire i Signori
di tutte le Creature Selvagge, a conferire alla mia opera quella verità e quella passione
che le si possono attribuire.”
Quelle immagini, ormai penetrate nell’immaginario di milioni di bambini, ed entrate
nella storia dell’illustrazione, che costituiscono l’ispirazione per lo splendido scenario ricreato da Spike Jonze per il grande
schermo, hanno già orientato un fiorente
merchandising di pupazzi di gomma e di
peluche, e di gadget vari, che si apprestano a invadere i supermercati e i negozi di
giocattoli di mezzo mondo. Non rimane,
quindi, che cominciare a pensare ai regali
di Natale per figli e nipoti…
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Claudio Lugi
“CI SI METTE MOLTO TEMPO PER DIVENTARE GIOVANI”
PABLO PICASSO
La terza età. Il tempo
dell’avventura
U
p è un’opera di assoluta leggerezza. È poesia che tende al cielo
come una colomba su una tela di Magritte. È il sogno accarezzato da anni che si realizza in aria. Come accade a Cosimo
- ovvero Il barone rampante - indimenticabile protagonista del
capolavoro di Italo Calvino, il quale, al capolinea della sua
vita, si aggrappa a una mongolfiera per sparire per sempre nell’orizzonte del Mar Ligure. E unirsi fino in fondo
con l’idea che aveva abbracciato fin da ragazzo.
Anche Carl Fredricksen, a 78 anni suonati, deve obbedire al richiamo inconscio che lo spinge all’avventura,
al desiderio mai sopito, ed equamente condiviso per
circa settant’anni, con Ellie, la donna che aveva sposato e che se n’era andata, da poco, tra gli angeli. Così,
collegando migliaia di fili di nylon ad altrettanti palloncini
saldamente fissati alla sua villetta di legno, l’anziano decide
di spiccare il volo. Destinazione Sud America, più precisamente le
Cascate del Paradiso, ottava meraviglia del mondo, sull’altopiano Tepuis in Venezuela.
Ma facciamo un passo indietro. Up possiede un andamento logico e
cronologico assolutamente coerente, perciò la prima parte del lungometraggio racconta l’infanzia del protagonista, l’indole silenziosa
e appartata, la sua passione per gli eroici esploratori raccontati dai
cinegiornali, e per i viaggi esotici e pericolosi. A quel tempo Carl
prende a frequentare Ellie, una ragazzina vivace e curiosa che coltiva i
suoi stessi interessi, e che diventerà presto sua moglie. I due coniugi
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trascorrono felicemente i mesi e gli anni progettando il loro viaggio
ideale, e fantasticando sulle forme delle nuvole sullo sfondo del cielo:
cani, tartarughe, il bambino che non arriverà mai…
La loro esistenza si consumerà senza rimpianti nella casetta di proprietà tra il calore dell’affetto e le difficoltà quotidiane, sempre
superate pazientemente. Nell’album dei loro ricordi alcune
pagine rimarranno bianche. Proprio quelle dedicate al viaggio mai realizzato. Ellie si spegne dolcemente, lasciando il
compagno vecchio e solo. Un pensionato dalle sembianze di
Spencer Tracy, ruvido e scorbutico come Walt Kowalski (Clint
Eastwood) di Gran Torino, afflitto dagli acciacchi e dagli
speculatori, i quali, gli propongono una congrua buonuscita
per il suo villino, e anche un posto all’ospizio.
Ma Carl è pronto a stupire tutti. Anche se stesso. Gonfia
i palloncini a uno a uno, e vola via verso sud. Il vento è
quello giusto, la casa si staglia coloratissima sullo skyline; l’uomo rassetta gli oggetti più cari, accenna a un po’ di relax sulla
poltrona. Ma un trillo lo scuote. Chi mai può suonare il campanello
a mille metri d’altitudine? Sorpresa: è Russell, il boy scout verboso
e pedante che in nome dell’ottimismo, e per conseguire la qualifica di “accompagnatore di vecchietto”, da qualche tempo lo assilla
con continue offerte di aiuto. Il bambino è rimasto acquattato sul
portico, impietrito all’improvviso decollo dell’abitazione, e ora Carl,
seppur scocciatissimo per l’intrusione, è costretto a farlo entrare in
casa. Non solo. In attesa di rispedirlo in città, dovrà accettarlo come
compagno di avventura.
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Per tutte le Scuole
Una brutta tempesta provocherà seri danni
a quel velivolo improvvisato, tuttavia, Carl
e il petulante ragazzino riescono ugualmente ad approdare in vista dell’agognato salto
d’acqua. Non rimarrebbe che completare l’avvicinamento alla cascata, senonché iniziano
gli imprevisti. Che si presentano nelle forme
variopinte di Kevin, un raro uccello di grandi
dimensioni, un po’ struzzo, un po’ fagiano,
goloso di cioccolata; e in quelle più familiari
di Dug, bastardino affettuoso e gioviale dotato di un collare che gli consente di parlare.
Questi si è allontanato da un branco di pericolosi cani da combattimento addestrati da
Charles F. Muntz, un esploratore perfido (una
sorta di Kirk Douglas coi baffi) alla ricerca,
da diversi decenni, di un volatile dalle piume
coloratissime e ritenuto ormai estinto.
Il contatto con il celebre avventuriero (Carl
era un fan di Muntz fin da bambino) isolatosi
nella giungla allorché fu espulso dalla comunità scientifica, ma confortato da grandi apparati tecnologici, e perfino da un dirigibile,
muta ben presto in aperta ostilità visto che
costui ha individuato nel mite Kevin l’oggetto
della sua caccia decennale. Riusciranno allora
il vecchietto traballante, il giovane esploratore cicciottello, e il cagnetto pacioccone,
a contrastare i disegni malvagi del fanatico
Muntz?
Gli spettatori troveranno dal 15 ottobre al
cinema la risposta a tale quesito. Ma prima
si potranno abbandonare all’atmosfera “vintage” del prologo, al racconto romantico e
alle tinte pastello dell’amore tra Carl ed Ellie,
alla cupa solitudine dell’anziano, alla suspense del viaggio aereo e all’esplosione di colori
dell’avventura nella foresta venezuelana. Il
tutto condito dalla tecnologia tridimensionale – è la prima volta della Pixar – impiegata
sobriamente in quasi tutto l’arco del film.
L’autore di questo capolavoro, Pete Docter
(già regista di Monsters & co., e realizzatore
dello script di Toy Story e di7!,,s%), che
con John Lasseter e Andrew Stanton forma
“il trio delle meraviglie” della Pixar Animation Studios, pluripremiati a Cannes quanto a
Venezia nel 2009, dimostra ancora una volta
che la creatività e l’originalità della produzione, giunta al decimo lungometraggio, non si
sono affatto esaurite, anzi, la carica dirompente di Up, oltre che indotta da un soggetto
assolutamente inconsueto, si regge sull’ironia
e sul ritmo della commedia, sul tono melodrammatico e sulla straordinaria animazione,
sull’azione e sulle mirabili gag comiche e
umoristiche che costellano la vicenda.
L’idea del collare ipertecnologico che trasforma in parole i pensieri dei cani è una trovata
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esilarante, così come spettacolare è l’attacco
aereo degli stessi animali alla casa volante,
che in qualche misura ricorda le scorribande
aviatorie di Dastardly & Muttley. La zoologia
fantastica della casa di Topolino realizza con
Kevin l’ennesimo personaggio bizzarro destinato ad accattivarsi le simpatie dei piccini,
così come accadrà con il tenero Dug e il simpaticissimo Russell, o meglio “l’Esploratore
della natura selvaggia”, come egli ama definirsi.
Ma la sequenza di cinema assolutamente memorabile è rappresentata dal duello tra Muntz
e Fredricksen. Nella fattispecie, “il colpo della strega” e il sibilo dell’apparecchio acustico
non costituiscono le armi proibite dei due
contendenti. Anzi, il primo brandisce un pericolosissimo spadone, salvo bloccarsi, di tanto in tanto, per via dell’artrite, mentre Carl
para i mortali fendenti dell’avversario con il
proprio il tutore ortopedico, difendendosi
strenuamente anche… a colpi di dentiera.
La vertiginosa lotta procede poi in aria, sulle
pareti esterne del dirigibile, tra continui ed
esaltanti colpi di scena.
Alla fine Carl non potrà che misurarsi con la
propria solitudine, riempita adesso da nuovi
amici. Il desiderio suo e di Ellie è stato finalmente realizzato, il lutto è stato elaborato.
Ora il protagonista potrà vivere in piena felicità il tempo che gli rimane. Ma la felicità è
cosa vana se non si ha qualcuno con cui condividerla. Carl ha trovato Russell, il ragazzino
rotondetto trascurato dal padre, che, come
lui, crede nei sogni. Up è un road-movie, ma
per Carl anche il completamento di un percorso di formazione, che salda il conto con
il passato e getta le basi del proprio futuro,
perché ogni individuo – anche l’anziano – ha
diritto a guardare positivamente al domani.
Dunque, il dibattito didattico-educativo
trova anche in questo film animato temi e
motivi di grande interesse culturale, sociale
e umano. Il discorso sull’amore coniugale,
come accennato, raggiunge momenti lirici e
commoventi, così come l’immagine della casa
sostenuta in aria da migliaia di palloncini
evoca le immagini de Il castello errante di
Howl del “maestro” Hayao Miyazaki. L’avventura, la fuga dal mondo, la ricerca di orizzonti perduti, sono poca cosa rispetto alla
scoperta dell’importanza dei rapporti umani,
dell’amicizia, dei sentimenti. La vera avventura è la vita, nella sua complessità e nella
sua semplicità. E poi, anche a ottant’anni si
può diventare eroi…
Up
USA 2009
Regia di Pete Docter e Bob Peterson.
104', Animazione 3D, Walt Disney
uscita giovedì 15 ottobre 2009
Al cinema con i nonni
Lo dicono le statistiche. Nei paesi occidentali
gli anziani stanno diventando sempre più numerosi in rapporto alla popolazione complessiva.
In Italia essi hanno raggiunto quasi il 25% del
totale degli abitanti, ovvero assommano a circa
15 milioni di persone. Si tratta di un evento
di portata storica, mai prima verificatosi, che
sta provocando una sorta di rivoluzione sociale,
profonda quanto aliena dai clamori. L’allungamento della durata media della vita, unitamente
al crollo delle nascite, sono i fattori che l’hanno
determinata, mentre l’emigrazione dai paesi poveri ne ha ridotto gli effetti negativi, soprattutto dal punto di vista economico.
Non stiamo parlando più di persone deboli, falcidiate dalle malattie o rese invalide da un’esistenza di stenti e di fatica. L’anziano non è più il
raro patriarca delle società contadine circondato
da frotte di nipotini ipnotizzati dai racconti di
esperienze mitiche di fronte al focolare acceso.
Oggi è un soggetto, nella maggioranza dei casi,
in buona salute, che riscuote una discreta pensione, che talvolta arrotonda con prestazioni extra; un individuo che legge, s’informa, frequenta
palestre o spettacoli, ama i viaggi e la buona
cucina, aiuta sia economicamente che moralmente i figli - sempre più restii ad allontanarsi
dai genitori - educa i nipotini che la cronica
difficoltà di questi anni a metter su famiglia
rende ancor più rari.
Insomma, non si parla più del vecchietto sden-
tato e traballante, sordo e obnubilato dal vino,
ma di un individuo cosciente dei propri limiti,
che ha imparato a gestire sia le malattie croniche che gli acciacchi dell’età, diventato per
il mercato un consumatore appetibile, per la
società un aiuto di cui non si può fare a meno,
e per i governi una spesa da ridurre avanzando
l’età pensionistica e riducendo gli abbandoni
anticipati dal lavoro. Con Up è divenuto il protagonista di un kolossal animato che milioni e
milioni di persone in tutto il mondo conosceranno e apprezzeranno.
Se è vero che finora l’anziano è stato un soggetto poco frequentato dal cinema, soprattutto da
quello d’animazione, non è così raro imbattersi in fiabe in cui viene evidenziata la naturale
affinità tra vecchi e bambini, che si esprime
specialmente nell’amore comune per la fantasia
e l’avventura. Up è uno di questi casi. Nel lungometraggio Disney, a un’iniziale situazione di
netta opposizione tra il vecchio venditore ambulante di palloncini e il piccolo scout fa seguito
un’evoluzione decisamente positiva che porterà
a una specie di sintonia intergenerazionale.
In precedenza si è accennato alla contiguità del
film in esame con Gran Torino, in cui il burbero pensionato interpretato da Clint Eastwood,
il quale non perde occasione di manifestare il
proprio disappunto nei confronti di neri, cinesi
e latinoamericani che hanno invaso il suo quartiere, finisce per “adottare”, e regalare un futuro
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“I vecchi subiscon le ingiurie degli anni,
non sanno distinguere il vero dai sogni,
i vecchi non sanno, nel loro pensiero,
distinguer nei sogni il falso dal vero...”
Francesco Guccini,
Il vecchio e il bambino
al ragazzo asiatico al quale qualche tempo prima
aveva puntato il fucile in faccia. Sebbene meno riuscito, anche Monsieur Ibrahim e i fiori
del Corano narra l’incontro di due solitudini, un
vecchio droghiere turco e un quindicenne ebreo,
che si trasforma lentamente in un rapporto affettuoso tra padre e figlio.
È soprattutto grazie ai grandi autori, che il cinema ha iniziato ad affrontare a viso aperto, e
in un’ottica priva di preconcetti, i temi della
vecchiaia e della condizione degli anziani. In
tale contesto, il protagonista anziano è colui
che affronta i grandi eventi della vita e della
morte (Il posto delle fragole di Ingmar Bergman), dell’amore e della solitudine (Umberto D
di Vittorio De Sica, e grazie alla propria esperienza, è in grado di illuminare di speranza il
futuro (Vivere di Akira Kurosawa). In molti casi
la vecchiaia è intesa come risorsa sociale, come
percorso di scoperta dell’Io e del mondo, riflessione sul rapporto con la natura (Dersu Uzala,
ancora di Kurosawa). Ecco perché la presenza
senile nel filone dei road-movie risulta più consistente.
Tra queste pellicole ci piace ricordare Harold e
Maude (1971), un piccolo film figlio del senso
di libertà e fantasia che percorreva gli anni Sessanta. In questa commedia americana tenera ed
eccentrica, intercalata dalle splendide ballate di
Cat Stevens, Maude, una vispa vecchietta innamorata della vita incontra al funerale
di uno sconosciuto, Harold, un
diciottenne ricco e annoiato,
assillato dalla madre che tenta
disperatamente di accasarlo
con coetanee stupidotte, il
quale coltiva passatempi lugubri inscenando finti suicidi o
visite ai cimiteri. Tra i due nasce
una tenera amicizia che sfocerà anche nell’amore. Il giorno del suo ottantesimo compleanno, però, Maude muore lasciando in eredità al giovane “il piacere di vivere”.
Anche la vicenda raccontata in Una storia vera
(1999) è ambientata negli USA, ma negli anni
Novanta. Durante il suo itinerario di avvicinamento al fratello malato, con il quale non parla
da dieci anni a causa di una lite, Alvin Straight
(Richard Farnsworth), claudicante e senza patente, partito su un tagliaerba con rimorchio,
incontra una galleria di personaggi semplici e
veri con i quali condividere il proprio malessere per la fuggevolezza del tempo: “La cosa più
brutta della vecchiaia è il ricordo della giovinezza”. Percorrendo circa 500 km in sei settimane,
l’anziano protagonista rappresenta la malinconia
dell’essere umano per la brevità del suo viaggio
esistenziale, visto come un’ininterrotta agonia
interiore. Farnsworth che per questo film semplice e lento, amaro ed emozionante, ottenne la
nomination agli Oscar per la migliore interpretazione, morì suicida nel 2000.
Finalmente fuori dai consueti stereotipi
che li ritraggono portatori di saggezza
ed esperienza, gli anziani hanno conquistato sul grande schermo la dignità di
protagonisti della vita di tutti i giorni.
Naturalmente, le storie che li riguardano
descrivono e narrano i problemi tipici
della “terza età”, dalla malattia fisica
e mentale alla solitudine dolorosa, dal
senso insopportabile della propria inutilità
all’emarginazione, dal recupero della memoria
ai rapporti intergenerazionali.
Non si devono pertanto scordare le numerosissime situazioni di grave malattia, povertà, emarginazione, solitudine che ancora interessano una
quantità consistente di anziani nel nostro paese,
e la pressoché maggioranza nel terzo mondo. E
non bisogna altresì dimenticare la regressione
culturale nelle aree del benessere in cui le persone di età avanzata sono viste comunque come
un peso, in quanto considerate bisognose e non
efficienti, frutto questo di un’etica del consumismo che ha riconosciuto i suoi dei esclusivi
nell’eterna giovinezza e nel “carrierismo”.
Oggi la scuola è chiamata a riflettere su una
condizione dell’essere umano che appartiene a
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tutti, e a recuperare una concezione della felicità individuale che abbandoni gli insani modelli
incentrati sul giovanilismo, sull’efficientismo, e
sulla spettacolarità, e che torni a considerare
il soggetto anziano non solo come una risorsa
del passato, ma come un “tesoro” dell’oggi. I
docenti, quindi, dovranno impegnarsi al fine di
favorire il dialogo e la solidarietà fra le diverse
generazioni, e di recuperare l’idea della terza età
come portatrice della saggezza che scaturisce
dall’esperienza. Andrà perciò riproposta l’immagine dell’anziano come protagonista attivo
ancora inserito nella società, un’entità reale e
pratica, come quella, per esempio, di educatore familiare, o di animatore della maggior parte
delle iniziative di volontariato nella comunità
civile e religiosa.
uscita giovedì 15 ottobre 2009
k4L?:?qDNRU
Claudio Lugi
Il piccolo mondo salvato
da una ragazzina
“Il mondo che stava attraversando era un pallido
nulla, come un foglio di carta bianco o un’enorme stanza bianca e vuota. Non c’era temperatura, né consistenza, né sapore.”
Neil Gaiman, Coraline
S
icuramente, a molti sarà sfuggito che l’indiscusso capolavoro Tim Burton’s Nightmare Before Christmas non è esclusivamente
frutto dell’estro geniale dell’autore de La sposa
cadavere, ma porta la firma di un altro artista
dotato di notevole perizia e sensibilità: Henry
Selick, ieri regista di quell’opera memorabile, e
oggi tornato agli onori della cronaca, per via
dell’uscita nelle sale cinematografiche (19 giugno
2009) del lungometraggio animato (il primo in
stop-motion e in 3D) Coraline e la Porta Magica,
di cui è prossima la pubblicazione in dvd (e in
blu-ray), che sarà distribuito a partire da metà
ottobre dalla Universal Pictures.
A rafforzare ancor di più il legame con il dinoccolato “principe di Halloween” la scena in cui “l’Altra Madre” sta preparando un’omelette a Coraline
per colazione. Quando la donna rompe l’uovo e
lo versa nella ciotola, si può vedere nel tuorlo il
volto di Jack Skeletron. È una citazione – certo
– ma al tempo stesso una dichiarazione di poetica. In altre parole, Selick “marca il territorio”,
ovverossia stabilisce l’appartenenza di Coraline
al mondo delle fiabe nere.
Difatti, se è piuttosto facile associare l’eroina nata dalla penna di Neil Gaiman all’Alice di Lewis
Carroll, è senz’altro più complicato trovare ascendenze al contesto e allo scenario in cui si svolgono le vicende di questo racconto dark. Magari
qualcuno potrà paragonare la casa di Coraline al
motel di Norman Bates in Psycho, oppure stabilire parentele e legami con quel vasto filone
della letteratura per ragazzi che tratta il tema del
doppio e dei mondi paralleli, ma riteniamo che
l’originalità di Coraline e la Porta Magica vada
oltre tali ricerche.
Intanto il nome della protagonista, nato da un
errore di battitura. Si dice, infatti, che Neil Gaiman, il suo creatore, intendeva scrivere Caroline,
ma gli è scivolato il dito sulla tastiera e le lettere si sono scambiate di posto. Lo scrittore Larry
Niven ha poi consigliato a Gaiman di conservare
il refuso. Così Coraline è entrata a far parte della
nutrita schiera dei personaggi animati che popolano la fervida fantasia dei bambini.
A undici anni, Coraline Jones si trasferisce con la
famiglia dal Michigan al Pink Palace, una nuova
abitazione nell’Oregon. I genitori sono troppo
occupati con il lavoro per fornirle le attenzioni
che ella richiede e merita, così la piccola deve
accontentarsi di pasti sbrigativi e insipidi e, a
una settimana dalla riapertura delle scuole, viene
spesso mandata a giocare in giardino, dove trova
uno strano micio nero; incontra Wybie, un ragazzino della sua stessa età con cui litigare; si dedica all’esplorazione del territorio e alla conoscenza
degli altri inquilini della casa. Nel seminterrato
fa visita a Miss Forcible e Miss Spink, due vecchie signore, un tempo attrici, le quali, le offrono
il tè e le donano un piccolo amuleto; poi vede
l’eccentrico e acrobatico Mr. Bobinsky, un uomo
di mezz’età dal passato circense, che sostiene
di allenare topi per comporre show musicali e
numeri di abilità.
Ma un giorno, innervosita dalla noia, Coraline
s’impegna nell’accurata perlustrazione della casa,
incuriosita da mobili d’epoca, suppellettili e anticaglie varie. Finché non s’imbatte in una porticina che conduce su un tunnel polveroso che porta
a un altro appartamento, praticamente uguale al
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suo, dove vivono le copie esatte (oggi diremmo i
cloni) dei propri genitori. Ma che differenza! Lui
è gentile, brillante, e suona il pianoforte; lei con
sobria eleganza sciorina succulenti manicaretti e
la copre di attenzioni e affetto spacciandosi per
“l’Altra Madre”. Poi l’accompagna nella sua stanza ricca di accessori e giocattoli animati. Una
meraviglia. Tutto in quell’abitazione pare bello e
allettante, se non fosse per quegli strani bottoni
cuciti sugli occhi di quella strana coppia.
Le volte successive Coraline uscirà nel giardino degli altri genitori, ricco di fiori variopinti
e popolato da creature fantastiche, dove l’erba
è più verde, e dove incontrerà tutte le repliche
dei personaggi conosciuti al di qua della porta.
Tutti muniti di bottoni oculari, eccezion fatta
per il gatto nero, che nel mondo parallelo ha,
però, la facoltà della parola. Così, l’andirivieni
tra le due dimensioni finisce per diventare il passatempo più praticato dalla ragazzina, almeno
fino a quando non comprende le reali intenzioni
dell’Altra Madre: cucire anche a lei una coppia di
bottoni sugli occhi e… divorarle l’anima.
Quando scopre i poteri stregoneschi di quel demonio al femminile, i fantasmi di tre bambini
vittime della megera, e la scomparsa dei propri
- veri - genitori, Coraline non avrà più scelta:
l’affronterà con il sostegno del fedele gatto nero, e dell’amuleto, in una drammatica sfida ricca
di suspense e colpi di scena. Naturalmente, ci
asteniamo dallo svelare l’eccezionale epilogo
della storia, che il pubblico potrà gustare in un
supporto digitale estremamente curato e ricco
di contenuti speciali, e addirittura, nell’edizione
speciale in 2 dvd - uno dei quali contenente il
Per tutte le Scuole
film in 3D - riceverà in dono ben quattro paia di
occhiali per la visone tridimensionale.
Che sicuramente sorprenderà, così come ha stupito i milioni di spettatori che hanno già apprezzato Coraline e la Porta Magica sul grande
schermo. E non solo per l’interessantissima novità tecnica, quanto per la capacità di suscitare
immedesimazione e partecipazione emotiva sia
nel pubblico infantile che negli adulti. Magari,
questi ultimi si sentiranno tirati in ballo perché
responsabili indiretti delle peripezie affrontate
da Coraline. Difatti, l’indifferenza e le nevrosi dei
genitori conducono la ragazzina, malata di solitudine, alla fuga nella dimensione fantastica, che
regala meraviglie (e il proprio nome finalmente
pronunciato come si deve), ma anche gravi pericoli.
In secondo luogo, i parenti di Coraline subiscono
passivamente - quantunque ignari - il rapimento
e l’incantesimo della strega, e devono completamente affidarsi al carattere e alle qualità morali
di quella bambina straordinaria, che finirà per
preferire le problematiche della grigia realtà giornaliera invece delle patinate ed effimere lusinghe
dei sogni. È altrettanto chiaro che il recettore
adulto rifiuterà, a priori, ogni identificazione con
gli “altri genitori”, sì crudeli, ma certamente più
interessanti dal punto di vista scenico e narrativo, come sempre accade ai “cattivi” dei film.
Seppur caratterizzata da un climax di tensione
amplificato dallo scenario cupo della rappresentazione, nella quale, al mondo reale corrisponde
l’atonia cromatica, mentre quello fittizio prospera
in un’orgia di colori, l’opera di Selick si accorda
appieno alla tipologia della fiaba classica - magica e popolare - con la situazione iniziale ben rilevata, un’eroina che matura la propria consapevolezza durante il corso delle vicende, la predizione
di un futuro prossimo negativo contestualmente
alla fornitura di un amuleto magico a supporto,
la presenza, accanto alla protagonista, di uno o
più aiutanti (Wybie e il gatto nero), che in tempi diversi forniranno l’apporto decisivo affinché
l’amica non soccomba…
E in questa visione, adeguatamente commentata
dalle musiche di Bruno Coulais, in cui l’avventura
tinta d’orrore si nutre parimenti dell’apparenza
idilliaca del male quanto dell’alienazione quotidiana, trova spazio un incredibile lavoro di scandaglio sulla psicologia dei personaggi secondari,
segno della bontà del lavoro del regista, il quale,
ha approfondito i caratteri, talvolta solo accennati, o addirittura estranei, come Wybie, del libro
di Gaiman, descrivendo, come mai prima d’ora,
un mondo di pupazzi così realistico e coinvolgente da farci desiderare di tornare bambini almeno
per i cento minuti di sana paura e fantasia che
regala questo raro gioiello di cinema.
Coraline e la Porta Magica
(Coraline,USA, 2009)
Regia: Henry Selick
100', Universal Pictures 2009
OLTRE OGNI IMMAGINAZIONE:
Coraline è il primo film di animazione stopmotion concepito e fotografato in 3D
Per costruire 1 solo pupazzo di Coraline, 10
persone hanno lavorato per 4 mesi
I pupazzo principale di Coraline aveva 28
pupazzi di varie misure – quello principale
è alto 24cm
In un punto del film, Coraline mostra 16
espressioni diverse in 35 secondi
Per completare 74 secondi di girato si è
impiegato una settimana di produzione con
una squadra di oltre 300 persone che lavoravano su 52 set
“C’erano volte in cui Coraline dimenticava chi fosse, quando sognava a occhi aperti
di esplorare l’Artico, o la foresta pluviale amazzonica, o l’Africa più ignota… e solo
quando qualcuno le batteva la mano sulla spalla o la chiamava per nome, lei tornava
con un sussulto da un milione di miglia di distanza, e in una sola frazione di secondo
doveva ricordarsi chi era, e come si chiamava, e che si trovava proprio lì.”
Neil Gaiman, Coraline
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Il recesso fotografico 3D di Coraline sul set
consisteva nel girare due riprese per ogni
fotogramma, un fotogramma per l’occhio
destro e uno per il sinistro con la stessa
camera digitale
Tutti gli inquilini della “casa rosa”
Presentiamo di seguito la galleria di personaggi che popolano il film animato Coraline e la Porta Magica. Non si tratta solamente di una mera rassegna, bensì di una breve analisi dei caratteri che tiene conto dei mutamenti avvenuti a quelle divertenti figure presenti sul set nel passaggio dalla
pagina scritta al film, evidenziando affinità e differenze con il libro di Neil Gaiman.
Coraline è una ragazzina curiosa e attiva, sensibile e intelligente, accorta e coraggiosa, che soffre a sentir assimilato il proprio nome a quello più
comune di Caroline. Cosa che non avviene, però, nel mondo speculare ed effimero che scopre dietro la porticina magica in salotto. Ma di questo dovrà
lagnarsi con il suo creatore, Neil Gaiman, il quale, ha tramutato un banale errore di battitura in un’ottima opportunità creativa.
La mamma di Coraline è una bella signora molto impegnata nel lavoro, che
svolge a casa davanti al computer. È
simpatica, moderna e discreta, ma
non particolarmente brillante in cucina. Anche se ama molto sua figlia,
è però, spesso distratta nei suoi
confronti. Coraline la trova piuttosto
noiosa, ma non disdegna intrattenere
con lei lunghe schermaglie all’insegna
dell’ironia…
Il papà di Coraline è, come sua moglie, un uomo molto occupato, e lavora anch’egli al pc nel suo studio
personale. Si capisce che sotto
l’apparenza di un uomo spento e
monotono, Mr. Jones sia in realtà un padre attento e affettuoso,
che farebbe qualsiasi cosa per sua
figlia. Tuttavia, il suo peggior difetto è quello di cimentarsi, di tanto
in tanto, nell’arte culinaria, preparando
pietanze assolutamente scoraggianti…
Il Gatto Nero. Quando questi animali compaiono nelle storie il pensiero
corre subito al celebre racconto di
Edgar Allan Poe. In effetti, anche
in Coraline il gatto nero è un essere molto strano, capace di vivere tanto nel mondo reale quanto
in quello alternativo. In quest’altra dimensione, il gatto è in grado
di parlare, e si comporterà con la
ragazzina come una guida, aiutandola
a orientarsi e, alfine, a contrastare l’Altra
Madre. Se inizialmente appare schivo e altezzoso, piano piano si lega a Coraline, senza la quale potrebbe rimanere per sempre imprigionato
nell’incantesimo della donna demoniaca.
L’Altra Madre rappresenta la perfida
antagonista. È una creatura oscura e
tenebrosa, una specie di strega che
ha creato il mondo artificiale in
cui Coraline si trova invischiata.
È identica alla vera madre della
bambina, anzi, inizialmente sembra una versione ringiovanita e
sorridente della signora Jones. È
molto abile ai fornelli e prepara con
le proprie mani autentiche leccornie,
sinceramente apprezzate dalla ragazzina.
Tuttavia, con il procedere della storia diventerà
sempre più sgradevole e scheletrica, sebbene divori avidamente una grande quantità di scarafaggi. I suoi poteri non
le permettono di creare mondi nuovi, ma solo di deformare
quelli già esistenti, in cui adesca bambini, ai quali, una
volta imprigionati (all’interno di uno specchio magico,
secondo il libro), succhia completamente l’anima.
Miss Forcible e Miss Spink sono le vicine di casa di Coraline, un tempo attrici, oggi pensionate.
Nel loro appartamento ospitano diversi cani, e tra di loro parlano utilizzando celebri frasi di drammi
e commedie teatrali. Possiedono la facoltà di leggere il futuro nelle foglie del tè che si depositano
in fondo alla tazza, e quando presagiscono a Coraline una situazione d’imminente pericolo, le
regalano un potente amuleto: una pietra con al centro un buco, attraverso il quale la ragazzina
troverà le anime nascoste nell’Altro Mondo. Nella realtà parallela, invece, le due signore possiedono
degli alter-ego giovani e aitanti, che si producono in lunghe e spassose performance teatrali per
un pubblico esclusivamente canino. Una curiosità: durante la scena ai trapezi le due attrici recitano
alcuni versi dell’Amleto di William Shakespeare.
I tre Fantasmi Bambini sono vittime della
megera. Le loro anime sono state prosciugate lentamente fino a lasciarne
solo gli spettri. Quando Coraline li
incontra, promette di trovarle e di
portarle in salvo, perché riposino in
pace. Alla fine della storia, la ragazza
sogna tutti e tre i bambini nelle loro
forme reali: si tratta di un maschietto e
di due femminucce.
L’Altro Padre è una figura totalmente dipendente dall’Altra Madre, una sorta di
pupazzo a carica manuale. Si presenta
come una persona brillante, che suona il piano, o per meglio dire, il piano
suona lui! Insomma, è un docile strumento nelle mani della strega, la quale, se ne sbarazzerà mutandolo in una
creatura deforme e sgradevole allorché
egli rivelerà a Coraline diversi importanti
dettagli sul mondo ingannatore.
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Le immagini sono
a carattere dimostrativo.
COME PARTECIPARE
Per partecipare al concorso, ogni classe interessata dovrà realizzare un’opera artistica ispirata al Film di Coraline: l’opera potrà essere di qualsiasi
genere e formato, come – a puro titolo di esempio – un disegno, un dipinto, una scultura, etc…L’opera realizzata dovrà poi essere fotografata tramite
un apparecchio digitale; la fotografia dell’opera andrà inviata, entro e non oltre il 31 dicembre 2009, all’indirizzo di posta elettronica [email protected]
L’invio dovrà rispettare i seguenti requisiti:
L’oggetto della mail dovrà essere, pena l’esclusione dalla selezione, PARTECIPAZIONE AL CONCORSO L’ARTE NEL MONDO DI CORALINE
Per ogni opera andranno inviate nr. 2 fotografie: la prima dovrà contenere esclusivamente l’opera realizzata, la seconda dovrà invece raffigurare
sia l’opera che gli studenti (o parte degli studenti) che la avranno realizzata;
Le fotografie non potranno superare le dimensioni di 500 Kb cadauna;
Le fotografie dovranno essere inviate in formato jpg;
Nel corpo dell’e-mail andranno indicati, pena l’esclusione dalla selezione, i seguenti dati:
Nome, Cognome e recapiti del professore referente
Nome e indirizzo completo della Scuola
Classe autrice dell’opera e raffigurata nella fotografia
La selezione delle opere vincitrici avverrà entro il 28/02/2010 ad opera di Henry Selick. Ogni premio sarà assegnato alla classe vincitrice; i professori
indicati come referenti riceveranno comunicazione della vincita via posta o via telefono, e riceveranno in seguito il premio – a cura e spese del
promotore – all’indirizzo della scuola di appartenenza.
Con l’invio delle foto dell’opera, il professore referente per ogni classe autorizza Universal Pictures Italia S.r.l. a pubblicare sul proprio sito e a rendere fruibile al pubblico l’immagine dell’opera,
anche dopo il termine finale del presente concorso. Con la partecipazione al concorso, il professore referente dichiara e garantisce che l’opera inviata è originale e che la stessa non viola diritti
d’autore e/o diritti connessi e/o diritti di sfruttamento commerciale e/o diritti di proprietà industriale e intellettuale di qualsiasi persona od entità, manlevando e tenendo indenne Universal
Pictures Italia S.r.l. da ogni danno, onere o conseguenza negativa che dovesse a questa derivare da qualunque pretesa di terzi relativa all’opera stessa, e garantendo espressamente, che l’opera
è originale e che nessun compenso sarà dovuto da Universal Pictures Italia S.r.l. al partecipante o a qualunque terzo, in occasione della concessa utilizzazione dell’opera per la pubblicazione sul proprio sito.
Scade il 31/12/2009 - Totale montepremi Euro 1.340,52
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Regolamento integrale su www.homevideo.universalpictures.it
Coraline e La Porta Magica dal 14 Ottobre in DVD e BLU-RAY.
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Wybie è un simpatico ragazzino riccioluto, coetaneo di Coraline, che abita nei
paraggi. Le si presenta con il motorino, e indossando un casco che somiglia piuttosto a uno scafandro. Poi
le regala una bambola di pezza con
due bottoni al posto degli occhi, che
diventa immediatamente la mascotte
della ragazzina. Comunque, Coraline,
com’è normale alla sua età, non perde occasione per polemizzare con il ragazzo. L’altro
Wybie è un fanciullo triste e inerte, completamente
aggiogato ai capricci della strega. Nel finale, però, fornirà un
aiuto decisivo alla soluzione positiva della vicenda. Questo
personaggio è del tutto assente nel romanzo di Gaiman, dunque rappresenta un’idea originale di Henry Selick che produce
una consistente variante narrativa, nonostante la sostanziale
fedeltà del racconto animato nei confronti del libro.
Mr. Bobinsky abita la soffitta di Pink
Palace. Di origine russa, munito di
lunghi e curiosi baffi, è un personaggio alquanto bizzarro, ma decisamente simpatico. Ancora molto
acrobatico nonostante l’età, e la
pancetta, l’uomo, un tempo atleta
in un circo, racconta di occuparsi
dell’addestramento dei topi per uno
spettacolo musicale e di destrezza. Nel
libro compare come Mr. Bobo, ed è definito come il “vecchio pazzo”. All’inizio Coraline non gli crede molto, ma poi comprenderà
il ruolo dei topi: sono intermediari tra i due
mondi.
Coraline e La Porta Magica
sarà disponibile dal 14 Ottobre in 3 versioni: Oltre alla classica in DVD a 1 disco sono disponibili la versione Blu-Ray e l’ Edizione
Speciale DVD a 2 Dischi che contengono entrambe anche la versione del film in 3D
e 4 paia di occhialini per tutta la famiglia!
contenuti Speciali DVD e BLU RAY
s3CENE%LIMINATECON)NTRODUZIONE
del Regista
s)L-AKING/FTRACUI
- Uno stile evocativo
- La realizzazione dei pupazzi
- L'armadio di Coraline
- Ho visto il fuoco e la nebbia
- Come cresce il tuo giardino fantastico?
s#OMMENTOAL&ILMDEL2EGISTA
e del Compositore
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k4L?:?qDNRU
Scuole Superiori
Nicoletta Gemmi
Lebanon: un film
contro la guerra
Non è un film di guerra. E’ un film contro la guerra, ambientato nello spazio buio e claustrofobico di un
carroarmato, accompagnato dai rumori assordanti dei cingoli e delle esplosioni.
L
ibano, giugno 1982. Un carro armato israeliano avanza solitario
dentro un villaggio, appena bombardato dall’aviazione militare.
All’interno quattro giovanissimi soldati. Il comandante Assi, al
suo primo incarico, l’artigliere Shmuel che non ha mai sparato, Herzl
un addetto al caricamento che non ha mai caricato una bomba ed il
pilota Yigal che non conosc la destinazione. Impauriti ed inesperti
sono in mezzo ad una guerra che non hanno voluto, contro un nemico che non vorrebbero combattere.
aveva già diretto vari corti. Lebanon ‘chiude’ letteralmente per 92
minuti lo spettatore dentro un carro armato, insieme a quattro soldati, un prigioniero siriano e una veloce incursione di un falangista
arabo che minaccia in maniera crudelissima il catturato. Senza che,
a causa della lingua, i quattro giovani militari possano intervenire
dato che non capiscono una parola. Gli orrori della guerra li vediamo
attraverso la soggettiva della telecamera che è il mirino del cannone
del carroarmato, per il resto il film si svolge nel corso di una sola
giornata, quella del 6 giugno 1982, a partire dalle 6.15 del mattino
ora dell’attacco, durante la prima guerra del Libano. I quattro ragazzi
hanno una tremenda paura di morire, come accade a quasi tutti i
soldati, in tutte le guerre. Si chiamano: Assi, il comandante; Herzl,
l’addetto al caricamento; Shmulik, l’artigliere e Yigal, l’autista del
carro. Di loro sentiamo il respiro affannoso dato dal senso devastante
di claustrofobia che si prova all’interno del cingolato, vediamo gli
occhi sgranati pieni di orrore e timore, le loro facce sono sporche…
ricordano gli americani in Vietnam. Purtroppo per loro attraverso il
mirino i quattro riescono ancora a vedere i volti dei nemici e delle
vittime. Una delle scene più forti del film è quando una donna libanese urla e si dibatte mentre il fuoco invade il suo corpo e il marito
nel tentativo di spegnere le fiamme la butta a terra. Impotenti i sol-
La vittoria del film di Samuel Maoz del Leone d’Oro alla 66° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, riporta il
cinema israeliano sotto i riflettori. Un cinema mai in pace, specchio
di una realtà geopolitica impegnata in una guerra continua. Un
cinema che molto recentemente aveva acquisito notorietà e moltissimi premi (fino ad arrivare alla Nomination all’Oscar per il miglior
film straniero) con Valzer con Bashir di Ari Folman. Sono due film
profondamente diversi come stile di narrazione ma i due registi sono
entrambi ex-militari dell’esercito israeliano, entrambi hanno raccontato esperienze vere e personali, entrambi hanno realizzato due film
potentissimi e originali contro la guerra. Samuel Maoz è nato a
Tel Aviv, è un esordiente per quanto riguarda il lungometraggio ma
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dati assistono alla scena avvistando l’aviatore che sgancia il suo carico di bombe mortali
sopra una città di cui non può nemmeno
immaginare i volti delle migliaia di persone inermi che sta per massacrare. Lebanon
non è un film contro Israele, né tantomeno
favorevole agli arabi. E’ semlicemente un
film contro la guerra. Samuel Maoz nel 1982
si trovava anche lui in quel carro e aveva
anche lui vent’anni. Ma ha avuto bisogno
di far trascorrere altri vent’anni per realizzarlo, in quanto doveva dimenticare quella
durissima esperienza prima di riviverla nel
film. Quando è stato proiettato al Festival
di Venezia, la pellicola è stata accolta da
una vera e propria ovazione. Oltre alla bellezza, all’emozione, alla crudeltà, Lebanon
è anche un prodotto stilisticamente estremamente originale. Non ci è voluto molto a
capire che era uno dei candidati più sicuri
a vincere il premio più importante. Quando
abbiamo incontrato Samuel Maoz a Venezia
ci ha raccontato: “Ho fatto questo film per
ricordare, prima di tutto a me stesso, che quel
giorno ero là, in Libano e alle sei e un quarto
del mattino ho ucciso un uomo per la prima
volta in vita mia. Quando sono tornato, ho
provato per anni a trasformare i miei incubi
in una sceneggiatura. Ma ogni volta ho fallito. Perfino nei corti che ho girato non ho
neanche sfiorato il tema della guerra, mi era
impossibile. Ci sono voluti, per la precisione,
venticinque anni per superare questo blocco,
ed è stato come un’esplosione interiore. Improvvisamente è diventato tanto urgente: per
scrivere ho impiegato appena tre settimane
e, scrivendo, ho capito che film volevo fare.
Una specie di film in presa diretta, tutto qui
e ora, che gettasse lo spettatore dentro l’inferno della guerra, senza filtri. Così come era
successo a me da ragazzo”. E per ottenere
questo risultato Maoz ha chiuso dentro un
container buio e infuocato dal sole i quattro
attori e poi ha iniziato a percuotere le pareti
con una sbarra di ferro, imitando così i colpi/spari che possono arrivare da ogni parte.
Operazione riuscita.
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Lebanon
(Israele, 2009)
Regia di Sanuel Maoz
con Oshri Cohen, Michael Moshonov, Zohar
Strauss, Reymond Amsalem, Itay Tiran
92’, BIM, drammatico/storico
uscita: 23 ottobre 2009
k4L?:?qDNRU
Scuole Superiori
Valentina Neri
Cristina Marella Palmieri
Un ‘68 rivissuto
con passione
Un film sullutopia che sboccia nel 1968 in tutto il mondo e quindi, anche in Italia. Il titolo
fa riferimento al sogno, che in quei primi anni sembrò realizzabile, di cambiare la società.
di Laura, Andrea e Giulio, sono coinvolti dal clima di contestazione e
portano in vari modi lo scompiglio in famiglia. Il padre (Popolizio) e
la madre (Acciai), sono sempre più disorientati e non trovano più un
linguaggio comune con i propri figli. Lo sconvolgimento che questo
movimento provoca non lascia nessuno indenne dal cambiamento.
La contestazione raggiunge perfino il mondo a sé dell’Accademia di
Arte Drammatica, dove finalmente Nicola è stato ammesso, grazie
a un’insegnante (Morante) che crede in lui. Dopo i fatti di Valle
Giulia ciascuno dei protagonisti individua una propria strada. Alcuni
radicalizzano, altri abbandonano. Ma certamente nessuno sarà più
lo stesso.
Il 1° marzo del 1968 Valle Giulia fu protagonista dello scontro tra
manifestanti e Polizia che contò oltre 500 feriti. Fra questi anche
Michele Placido, celerino 23enne arrivato a Roma con il sogno di diventare attore e che per pagarsi gli studi all’Accademia d’Arte Drammatica si era arruolato in polizia. Da questo episodio autobiografico
del regista nasce l’idea sottesa al film. Il grande sogno è una storia
corale di amore e amicizia, ambientata nel fermento del ’68: un
periodo di sovvertimenti radicali e sconvolgimenti di costume; un
periodo di profonda rottura, in cui l’autorità sotto tutte le sue forme
è stata messa in discussione, nella speranza di cambiare il mondo.
Per raccontare questo pezzo della storia d’Italia Placido si affida ad
un inedito trio di giovani attori: Riccardo Scamarcio (suo alter ego
nel film), Jasmine Trinca e Luca Argentero.
Nicola (Scamarcio), è un bel giovane pugliese che fa il poliziotto
ma sogna di diventare attore. Mentre è di stanza a Roma nel reparto
Celere, il colonnello (Silvio Orlando) capisce che il ragazzo, appassionato di teatro e cinema, più che con l’elmetto in testa, può essere
usato come infiltrato all’università. Nicola viene dunque spedito
nel mondo studentesco dove si comincia a respirare una forte aria
di cambiamento. Qui incontra Laura (Jasmine Trinca) una ragazza
della borghesia cattolica, brillante e appassionata studentessa di
Fisica che sogna un mondo più giusto. Dopo aver preso parte alla
marcia per la pace per il Vietnam di nascosto dalla famiglia, Laura
decide di partecipare alle azioni degli studenti in lotta. Conosce
Libero (Argentero), uno studente operaio, leader del movimento
studentesco, che sogna la rivoluzione. Laura subisce il suo fascino
carismatico e se ne innamora. Ma è la tenerezza protettiva di Nicola
a conquistarla in una notte di passione, consumata nell’università
occupata. I due giovani sono presenti alternativamente nella vita di
Laura, attratta per motivi diversi da entrambi. Anche i fratelli minori
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Un film in buona parte autobiografico che Michele Placido ha curato in ogni particolare
insieme al produttore Pietro Valsecchi. “Tutto ciò che riguarda il rapporto tra il poliziotto –
afferma il regista – la scoperta della città di Roma e il grande evento mondiale è reale. Avevo
un sogno inconfessato, e abbracciare il percorso ideologico degli studenti da una parte lo ha
messo a rischio, dall’altra mi ha dato la forza necessaria a realizzarlo. E sono finito veramente
ad occupare l’Accademia d’Arte Drammatica. Ma il film vuole avere uno sguardo più aperto, non
solo relativo alle vicende dei protagonisti. E’ un film che tenta di spiegare cosa pensavamo e
perché ci ribellavamo. E un lavoro rivolto ai giovani d’oggi, è un film attuale, che spero risvegli
un po’ le coscienze e dia energia, elementi che mancano di questi tempi”.
Il grande sogno
(Italia, 2009)
Regia di Michele Placido con Riccardo Scamarcio, Luca Argentero, Jasmine Trinca, Laura
Morante, Massimo Popolizio, Silvio Orlando, Alessandra Acciai
101’, Medusa, drammatico
Cristina Marella Palmieri
Scuole Superiori
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Cosa resta del sogno americano
L’avidità fraudolenta delle grandi Corporation, si specchia con quella di (alcuni) dirigenti che, in bilico tra i benefici
di una illegalità dilagante e la paura di dover pagare un prezzo alla giustizia, perdono il senso della realtà.
P
resentato Fuori Concorso alla 66° Mostra del Ciinema di Venezia e nelle sale cinematografiche dal 18 settembre,
The Informant!, diretto dal prolifico Stephen Soderbergh e con Matt Damon come
protagonista, è tratto sull’omonimo romanzo
scritto nel 1998 dal giornalista del New York
Times Kurt Eichenwald.
La pellicola si basa su fatti reali: uno dei
maggiori scandali americani degli ultimi
tempi, concentrato sulle procedure di investigazione dell’FBI che per tre anni hanno
raccolto le confessioni di Mark Whitacre e
le prove da lui fornite per accertare i fatti.
Nel 1997 la Archer Daniels Midland (ADM) fu
costretta dall’Antitrust a pagare 100 milioni
di dollari di multa e tre dei suoi più alti
dirigenti finirono in carcere.
1992. Il brillante biochimico di una multinazionale, Mark Whitacre (Matt Damon)
inizia a collaborare con l’agente dell’FBI
Brian Shepepard (Scott Pakula) per portare
a galla la condotta fraudolenta dell’azien™
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da implicata in una truffa del controllo dei
prezzi. Whitacre munito di microfono e registratore addosso 24 ore su 24, veste i panni
del’agente segreto, registrando oltre duecento conversazioni e filmando alcuni incontri tra i vertici della società e le aziende
concorrenti nel mondo, per documentare gli
accordi. Sognando di essere acclamato come
un eroe dalla parte della gente si convince che alla fine sarà ricompensato con una
promozione. Vittima di una psicosi maniacodepressiva, questa lo porterà ad ampliare i
suoi racconti con elementi fantastici e incoerenti. Il buon testimone si rivelerà un uomo
avido e corrotto travolto dall’ingordigia che
arbitrariamente aumenterà i suoi conti, mettendo le mani nelle casse della compagnia.
Soderbergh con The Informant! ha deciso
di mediare i toni del thriller procedurale, a
lui tanto cari - l’abuso di potere, la prevaricazione dei forti sui deboli e l’opportunismo
delle grandi multinazionali - con quelli della
commedia nera, seguendo le direttive di un
humor classico basato su equivoci e ridicolaggini per rendere la pellicola meno ostica
e più appetibile al grande pubblico: “il film è
piuttosto insolito e richiede parecchio dal suo
pubblico", afferma Soderbergh. A tal scopo si
è concentrato soprattutto sull’appropriazione
indebita di 9 milioni di dollari da parte di
Whitacre ai danni della ADM (per la quale ha
scontato 10 anni di carcere) e sugli effetti
della psicosi in cui è scivolato. “Mark si sente
una star, è un megalomane, tutto il contrario
di come appare, continua il regista. Sono sicuro che anche se lui non avesse ottenuto il
ruolo da manager alla ADM si sarebbe inventato qualcosa d’altro per salire sul palcoscenico
della vita e avere le luci puntate su di lui. Ha
dei seri problemi psicologici e questi problemi
lo spingono ad essere un bugiardo di prima
categoria, un vero talento della truffa e della
messa in scena.”
suo personaggio: racconta storie, falsifica
documenti ascolta gli interlocutori e intanto
ragiona – fra sé e sé - sul perché le cravatte
in sconto, in un certo negozio, siano sempre quelle con un certo disegno o su quale
sia, per ogni essere umano, l’ultima frase da
pronunciare prima di morire! “Tutto nel film
è inserito ad arte per aiutarmi ad entrare nel
personaggio – afferma Damon – la sceneggiatura è perfetta: ironica, intelligente, comica e
drammatica al punto giusto. Con Stephen ci
divertiamo molto sul set e questo si riflette a
pieno nei ruoli che mi propone.”
Il film è splendidamente interpretato da un
Matt Damon irriconoscibile. Ingrassato di 13
chili e con un parrucchino improponibile, tremendamente bipolare, si muove con estrema
naturalezza e sottile comicità nei panni del
The Informant!
(Usa, 2009)
Regia di Steven Soderbergh con Matt Damon,
Frank Welker, Melanie Lynskey, Scott Bakula
Warner Bros., drammatico/thriller
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Caludio Lugi
Geronimo Stilton,
giornalista e investigatore
Mai trovarsi impreparati di fronte all’arrivo di un topo, soprattutto se è un roditore di avventure.
C
he i topi riscuotano il successo maggiore tra gli animali dei libri, dei fumetti e del cinema è un dato di fatto
vista la popolarità tra i giovanissimi - e
non solo - di Topolino e Tom & Jerry, di
Fievel e Bianca & Bernie, degli eroi baffuti di Giù per il tubo e dei sordidi ratti
de La gabbianella e il gatto, per arrivare
a Remy, il celeberrimo chef di Ratatouille.
In Italia l’appeal di questo roditore si è
manifestato anche nelle forme del pupazzo Topo Gigio, che a partire dal 1959 ha
fatto la fortuna della tv in bianco e nero,
prima, e di quella commerciale, poi, fino
al cinquantesimo compleanno festeggiato
lo scorso 9 marzo (lo stesso giorno della
Barbie), a suggellare una grande popolarità, non solamente circoscritta alla nostra
penisola.
Una diffusione ancora maggiore, invece,
ha conosciuto Geronimo Stilton, da un
decennio - è nato nel maggio del 2000 uno dei personaggi più amati dai bambini
italiani, e sempre più famoso all’estero per
merito delle edizioni Piemme (del gruppo
Mondadori), e specialmente, della penna
felice di Elisabetta Dami, autrice di una
serie sterminata di avventure per ragazzi in
cui è protagonista il simpaticissimo topo
giornalista, scrittore ed editore. Questi racconti sono già stati tradotti in 48 lingue, e
hanno venduto più di 30 milioni (16 solo
in Italia) di copie nel mondo.
Inoltre, mentre procede a gonfie vele l’attività del cliccatissimo sito www.geronimostilton.it., tutto rigorosamente made
in Italy, è stata realizzata negli USA una
versione a fumetti delle imprese di Geronimo, ed è già arrivata in edicola - curata
della Panini - la prima collezione di figurine, stickers e altri gadgets, dedicata al
gentil topo. La raccolta contiene diverse
storie d’azione con tutti i personaggi dei
libri e dei cartoni animati, mandati in onda
a partire dal 15 settembre su Raidue alle
ore 07:30, all’interno di Cartoon Flakes
(trasmissione del martedì e del giovedì che
andrà avanti per 26 episodi da 22 minuti
ciascuno). Ciliegina sulla torta di questa riscoperta mediatica del fenomeno Geronimo
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Stilton, a novembre usciranno (distribuiti
dalla Universal) i primi due dvd del celeberimo cartone.
Stilton porta il nome di un rinomato formaggio presente sulle tavole inglesi fin dal
XVII secolo. I produttori, approfittando del
ritorno pubblicitario, hanno così preteso
- ottenendola - la citazione del loro marchio, e la dichiarazione di preferenza del
cacio britannico da parte del topo italiano,
sul retro del frontespizio di tutti i libri,
quand’è noto, almeno per gli appassionati, che in realtà Geronimo ama il nostro
parmigiano, di cui colleziona le croste più
antiche.
Il curioso reporter è un intellettuale
dalle buone maniere, che indossa sempre
un impeccabile vestito verde con una
sgargiante cravatta rossa, e porta un paio
d’occhialetti tondi (nei cartoni ha le lenti
a contatto), note che gli conferiscono
un’aria colta, ma distratta. È direttore del
quotidiano più letto di Topazia, la capitale
dell’Isola dei Topi, “l’Eco del Roditore”,
che guida con fiuto innegabile, a dispetto
Scuole elementari - medie
dell’antagonismo con la “Gazzetta del
Ratto”, amministrata dalla sgradevole
topa Sally Rasmaussen, la quale, mira a
impossessarsi della testata concorrente.
Geronimo non è di sicuro un cuor di
leone. Ha timore degli insetti, dei gatti
e degli aeroplani, soffre il mal di mare,
e disdegna i cibi sconosciuti; predilige
piuttosto giocare a golf e godersi una
fumante tazza di tè, leggere fiabe al suo
nipotino di nove anni Benjamin e scrivere
libri. Però, nonostante la sua goffaggine,
viene puntualmente tirato in ballo in
avventure sull’isola (che ha la forma di
una fetta di formaggio), oppure in località
esotiche in giro per il mondo. Inseguito
da gente poco raccomandabile, impegnato
a risolvere strani casi, o a ricercare tesori
misteriosi, è spesso accompagnato da suo
cugino Trappola, burlone e “passaguai”, e
da sua sorella Tea, l’inviata speciale del
giornale, dal carattere assai determinato.
Svariati personaggi danno “colore” alle movimentate vicende che miscelano
gradevolmente mistero e umorismo: suo
nonno Torquato Travolgiratti detto Panzer,
fondatore dell’Eco del Roditore; Zia Lippa,
e suo marito Zio Spelliccio; Pinky Pick,
l’esperta di moda e di tendenze giovanili
del quotidiano; il Professor Amperio Volt,
amico fidato e illustre scienziato; Iena,
sportivo e spavaldo, che coinvolge Geronimo in diverse vicissitudini; Ficcanaso
Squitt, amico di vecchia data di Stilton
che, come s’intuisce dal nome, è fin troppo curioso; Patty Spring, giornalista televisiva ed ecologista, di cui Geronimo è
innamorato; Tenebrosa Tenebrax, regista
cinematografica esperta di effetti speciali, che ha un debole per il direttore del
giornale; e ancora tanti altri…
I libri di Elisabetta Dami sono coloratissimi, graficamente accattivanti, decisamente avvincenti, e quindi, ideali per
i ragazzini. All’interno dei testi, sempre
riccamente illustrati, e intercalati da disegni esplicativi, fumetti, mappe e cartine a tutta pagina, i piccoli lettori sono
anche stimolati ad aiutare il topo nelle
sue indagini e nelle sue ricerche, cercando di risolvere enigmi e indovinelli divertenti. Oltre a ciò, questi preziosi volumetti stimolano il gusto per la scoperta e
invitano alla lettura, educando al gusto,
stimolando il linguaggio e solleticando la
pura fantasia. Sono perciò consigliabili
a tutti i bambini, e soprattutto ai loro
genitori, i quali, avranno in Geronimo
Stilton un potente alleato contro la noia,
l’omologazione e la dittatura del video.
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