IPASVI Taranto

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IPASVI Taranto
Editoriale
Editoriale
L’editoriale
S
Benedetta Mattiacci
Presidente Collegio IPASVI
pirito di collaborazione, disponibilità a vagliare con i tecnici la nostra
richiesta, possibilità di lasciare inalterato lo status quo: tanto è
emerso dall’incontro della Presidente della Federazione Nazionale
dei Collegi IPASVI, Annalisa Silvestro, con il ministro dell’Università,
Mariastella Gelmini.
L’ incontro è stato immediatamente successivo alla Conferenza di Bologna del
giugno scorso, quando la professione infermieristica ha deciso la linea d’azione
per contrastare l’assorbimento del Med 45, previsto nella Riforma universitaria(Il
ministro Gelmini ha firmato, tra gli altri, quattro importanti provvedimenti: quello
sulla ripartizione del Fondo di funzionamento ordinario e del Fondo premiale,
il taglio dei corsi inutili, i criteri di valutazione per concorsi da ricercatore e la direttiva per il varo
dei concorsi 2008; per quel che riguarda i corsi non necessari e da eliminare inviando una nota
illustrativa in cui sono contenute una serie di misure. Da notare che negli ultimi mesi già due corsi su
dieci sono stati eliminati) Previsione che non poteva lasciare indifferenti perché si risolverebbe in un
vero e proprio attentato all’autonomia, ai nostri saperi, all’intellettualità della professione, approdata,
finalmente, ad un corso di laurea specifico con docenti infermieri.
Ma, paradossi italiani, mentre il CUN avanza ipotesi di revisione ed assorbimento,il sottosegretario
alla salute, Fazio, ha aperto agli Infermieri, con il nuovo contratto di lavoro, la possibilità dell’attività
intra-moenia e della libera professione, libera professione anche, ad esempio, nelle farmacie, su
proposta dell’Ordine di categoria, con il manifestato consenso addirittura entusiasmo dei cittadini,
i quali possono finalmente vedere ridotti disservizi ed attese. Di fatto, le farmacie si proporrebbero
come piccoli Distretti sanitari in grado di intercettare e soddisfare richieste della clientela come
prestazioni infermieristiche accanto alle prenotazioni di visite specialistiche ed esami. Allora, un passo
indietro con la soppressione del Med, proposta soppressione, due passi avanti con l’intramoenia
infermieristica, con l’attivazione della libera professione e libera professione in farmacia, preludio
questa alla presenza di un ambulatorio infermieristico, richiesto dalla professione e, maggiormente,
dai cittadini. Riaffiora una poco evidenziata alleanza cittadino-infermiere, alleanza giovane ma
opportuna, da gestire al meglio, incisiva tanto da poter spaventare i poteri forti, quei professionisti
ancorati a visioni superate e monopolistiche, i nostri interlocutori di turno. Una alleanza che può
portare benefici alla professione e, soprattutto, ai cittadini in termini di processi di salute più
appropriati, distribuiti sul territorio, ecc., essenziali in un momento in cui la sanità meridionale è
attaccata da ogni parte, è tacciata di costi eccessivi a fronte di una qualità scadente. Siamo pronti
a riconoscere che si può lavorare meglio, che si può e si deve migliorare. Gli infermieri, lo stanno
dimostrando, non sono autoreferenziali; sono impegnati nel miglioramento della professione per
ottimizzare ricadute sull’utenza; cercano di individuare i punti critici, i punti deboli della sanità per
un miglioramento generale della qualità dell’assistenza; hanno a cuore “gli interessi” dei pazienti, la
qualità offerta, spesso mortificata dall’assenza di personale, sia infermieristico che di supporto. Ecco,
allora, il bisogno di sostenere la formazione degli operatori socio-sanitari, personale indispensabile
per il corretto governo del malato. Ma a nulla servono i corsi se, come conseguenza, non c’è
la volontà di assumere, di potenziare, per permettere agli infermieri di riappropriarsi del proprio
ruolo, di esprimere appieno potenzialità, capacità, competenze. In questo gioca un ruolo essenziale
una dirigenza infermieristica capace, preparata, leale, scevra da legami e collusioni, di provate e
verificate capacità. Sono le doti che possono segnare il cambiamento, portare a quel salto, atteso, di
qualità, permettere l’affermazione di competenze e professionalità ancora soffocate e sacrificate.
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LE RADICI CRISTIANE DELLA
COMPASSIONE NELL’ASSISTENZA
INFERMIERISTICA
Dott. Giovanni Argese
Vicepresidente Collegio IPASVI Taranto
Michelangelo Buonarroti
Particolare della Creazione di Adamo
Vaticano, Cappella Sistina
L
a medicina riunisce, nella sua essenza più
profonda, gli aspetti di una Scienza, teorica
e sperimentale, e quelli di un’arte pratica, il cui
“oggetto” è l’essere umano con le sue esperienze di salute e di malattia, di benessere e
di sofferenza. Essa accompagna l’Uomo dal
suo NASCERE fino al suo MORIRE, aiutandolo a prevenire e guarire le sue malattie, a riac-
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quistare la salute…L’Uomo ha anche il potere
di prestare aiuto a se stesso e agli altri esseri
umani con atti specifici che costituiscono una
prassi ed una tradizione universale fondata
sulla COMPASSIONE (dal Latino CUM PATI =
SOFFRIRE INSIEME). Le cure sono un esercizio della COMPASSIONE tra esseri umani:
l’uomo che patisce un’ affezione è, in tal senso,
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un paziente. Il rapporto tra vulnerabilità (MALATTIA) e compassione (CURA) costituisce la
struttura etico-antropologica della medicina di
ogni tempo. Le pratiche mediche più antiche
erano una mescolanza di interventi empirici, di
cui s’ignorava la reale causa di efficacia o inefficacia, di magia, che attribuiva il motivo del
dolore e della malattia a forze esterne misteriose, dominabili con procedure enigmatiche.
Solo il razionalismo medico greco segnerà il
passaggio dalla fase mitico-religiosa, citata innanzi, a quella cosiddetta “scientifica”, in cui si
cercò di conoscere la causa di fenomeni naturali ( malattie) che influenzano il comportamento umano, tanto da renderlo inadatto al
compimento delle sue funzioni fisiche e sociali.
Con la medicina ippocratica e lo studio sulla
“natura umana” soggetta alle Leggi universali, si acquisì la consapevolezza che la malattia
non era il segno dell’opposizione di forze occulte, poiché Ippocrate, con un dichiarato rispetto
per le divinità, attribuì ai processi naturali una
casualità nell’ambito di un cosmo ordinato dalle
divinità stesse.
Ma, cosa davvero importante, fu l’utilizzo da
parte del medesimo della parola ANTHROPOS, cioè ESSERE UMANO; la medicina, pertanto, non era più antropologia filosofica ma
SCIENZA DELL’UOMO.
La nascita del Cristianesimo arricchì la giovane
scienza medica di un nuovo concetto, legato
all’antropologia personalista, in cui sia il CORPO che l’ANIMA erano ugualmente essenziali.
La visione antropocentrica non considerò la
malattia una punizione divina né una fatalità
cosmica, ma una prova esistenziale che riguardava l’uomo nella sua interezza e nella sua
unità somatico-spirituale; perciò la cura (COMPASSIONE) non aveva di mira solo il benessere fisico, ma tutta la persona che nel fisico
era malata; l’uomo non fu considerato solo un
“corpo”, ma attraverso la cura si poteva e si doveva raggiungere la persona nella sua realtà
concreta, anche spirituale e religiosa.
L’ispirazione e il fondamento di tale azione assistenziale si materializzò nell’invenzione degli ospedali, di origine evangelica. Le opere di
misericordia corporale, la COMPASSIONE di
Gesù verso i malati, le stesse infermità di Cri-
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sto, potettero essere comprese pienamente
soltanto se inserite nel nuovo ordine della Carità
soprannaturale, che segnò un evidente stacco
dalla filantropia pagana. Nel ribadire il primato assoluto della carità nella vita cristiana, che
ci fa diventare simili a Dio, Tommaso D’Aquino
nella Summa Theologiae affermò che il valore
della misericordia RENDE L’UOMO SIMILE AL
PADRE NELL’OPERARE.
Il CUM PATI divenne una serie di atti concreti di
assistenza materiale e spirituale a chi soffriva.
La Rivoluzione scientifica rinascimentale e
post-rinascimentale portò, poi, alla considerazione della medicina quale scienza strettamente naturalistico-positivista, mentre la VITA venne progressivamente “ devitalizzata ” e ridotta a
struttura fisico-chimica. Cartesio ( 1596 – 1650
) studiò il corpo umano con criteri meccanicistici
( res extensa ) separandolo chiaramente dall’anima (res cogitans ); quest’ultima scomparve
quasi definitivamente dall’orizzonte medico.
Dopo le innovazioni scientifiche in campo medico del 1700 ( es. la fisiopatologia dei tessuti),
del 1800 ( es.teoria cellulare), la teoria olistica
dei primi del ‘900, oggi il sapere medico è autenticamente scientifico soltanto quando considera che le vie per la conoscenza del corpo
malato (soma e psiche) passano attraverso un
approccio alla persona umana come totalità e
unità. L’uomo è un soggetto naturale e cultu-
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rale, situato cioè storicamente in un contesto
relazionale di costumi, valori e norme che la
medicina ha ormai constatato di non poter ignorare. Ogni ammalato è irripetibile anche quando nella sua malattia si presentano fatti che lo
accomunano ad altri ammalati; il carattere, le
condizioni familiari, professionali ed ambientali,
non solo il suo genoma, sono all’origine di manifestazioni molto varie della stessa malattia.
“ La prospettiva terapeutica s’inserisce in un
orizzonte di accoglienza dell’altro come persona. (…) L’accoglienza è l’espressione di un’
ETICA DELLA COMPASSIONE che è alla base
della prassi medica”
(cfr.Botturi, 1993, p.110).
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Il rapporto tra un
operatore sanitario
e il paziente “ conserva la sua struttura etico-deontologica di una alleanza
terapeutica i cui
principi guida sono
la beneficità, la libertà e la giustizia” ( cfr
Sgreccia, 1999, pp
20ss). Per alleanza s’intende l’impegno solidale che
scaturisce dal riconoscimento di una
appartenenza alla
stessa umanità( coumanità ), quindi a
una comunità etica.
L’incontro di un medico (e di un Infermiere - nda) con un
malato s’inserisce in
una radicale disposizione di apertura
all’altro, costitutiva
dell’essere umano
in quanto persona (
cfr. Mordaci, 1993,
p.231).
Non a caso, il 25 novembre 1980 l’allora
Pontefice Giovanni
Paolo II, nell’Ospedale di Potenza, durante la Visita Pastorale in quella Diocesi, affermò che : “ Ho detto
che quando soffrono uomini, quando soffre un
uomo, ci vuole un altro uomo accanto a quello
sofferente. Vicino a lui.”
Ecco di nuovo riemergere prepotentemente il
concetto di COMPASSIONE, che trova radici nel passo evangelico Mt.25,40 “ In verità vi
dico: ogni volta che avete fatto queste cose a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me ”.
Aristotele ( 384 – 322 a.C. ), grande filosofo
greco che con la sua Logica ha condizionato
tutto il pensiero occidentale, affermò che la
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COMPASSIONE per manifestarsi ha bisogno
di tre condizioni:
 Che un avvenimento seriamente negativo abbia colpito qualcun altro;
 Che tale evento non sia dipeso (o almeno non interamente) dalla responsabilità di quella persona;
 Che noi stessi siamo vulnerabili nella
stessa maniera.
Da questo si evince che il pensiero aristotelico
evidenziava una “ limitatezza emotiva ”, poiché il filosofo riteneva che la Compassione si
estrinsecasse soprattutto in piccoli gruppi, i cui
membri fossero preferibilmente legati da sentimenti, dove esistesse un coinvolgimento emotivo. Probabilmente l’uomo, o la maggior parte
degli uomini, elabora un intenso sentimento di
dolore e di compassione nei confronti di una
“dimensione sociale locale” ( famiglia, cerchia
di amici, compaesani…); solo gradualmente
impara ad estendere il suo interesse oltre i confini ristretti dell’immediato, per allargarsi a tutto
il genere umano. Il concetto di COMPASSIONE
, superando i parametri aristotelici, trovò attuazione piena in Gesù Cristo, quando, più volte,
in prima persona, manifestò la sua CUM PATI
per l’uomo:
 Matteo 14,13-14 “Udito questo, Gesù
se ne partì di là sopra una barca e si
ritirò in un luogo deserto; ma le turbe
lo seppero e, uscite dalle città vicine,
lo seguirono a piedi. Quando fu sceso
dalla barca, vide una gran folla, ne ebbe
compassione, e guarì i loro malati.”
 Marco 6,34 “Sbarcando, Gesù vide una
gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore senza pastore,
e si mise ad istruirli a lungo”
 Romani 9,15 “ Lui avrà compassione di
chi avrà compassione”
La COMPASSIONE di Gesù Cristo insegna, a
mio parere, tre cose fondamentali:
- è rivolta all’uomo, non al parente o all’amico,
ma allo sconosciuto (es. la gran folla), senza
alcuna distinzione; è donata senza mostrar fa-
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stidio … senza riserve
- di fronte a persone senza guida ( es. pecore
senza pastore), Gesù compassionevole diventa maestro, amico, consigliere;
- chi sperimenta la COMPASSIONE riceverà
del bene a piene mani.
La religione, quindi, non può non essere considerata come fonte di teoria e di pratica medico-infermieristica, perché significherebbe trascurare la più universale sorgente etica che
motiva i comportamenti umani. Una antropologia religiosa cristiana della medicina offre una
visione precisa della vita, del destino eterno
dell’uomo, del valore della sofferenza e del
senso della salute: di fronte alla burocratizzazione e alla frammentazione dell’assistenza, la
riscoperta della dimensione religiosa della medicina diviene un importante fattore di sviluppo
della stessa, in favore soprattutto dei malati più
vulnerabili e più deboli.
Riferendosi all’assistenza infermieristica, la
tradizione teorica e teoretica anglosassone ha
messo in campo due concetti molto importanti: l’olismo e la globalità. Entrambi considerano
la persona e la sua salute come un “ hòlon ”,
una totalità, evidenziando che il corpo e l’anima sono unità inscindibile. Ma ogni individuo
porta in sé caratteristiche fisiche, psicologiche,
socio-culturali estremamente diverse, per cui
l’Infermiere deve necessariamente mettere in
campo un’assistenza PERSONALIZZATA, che
si adatti alle peculiarità di ogni essere umano
e che risponda ai bisogni specifici di salute del
paziente. Questi ultimi presentano tre dimensioni o componenti: biofisiologica, psicologica
e socio-culturale.
La prima è il carattere oggettivabile del bisogno, mentre le altre due sono l’aspetto soggettivo verso il quale si direziona il rinnovamento e
il divenire della professione infermieristica. Così
i concetti di personalizzazione dell’assistenza e
di assistenza infermieristica sono complementari.
L’ “assistenza umanizzata”, compiuta dall’Infermiere nei confronti del paziente è direttamente
proporzionale alla sua sensibilità! E allora…
Se il fine dell’assistenza è l’uomo, il processo
di assistenza rappresenta il metodo strategico
per rispondere ai suoi bisogni, in una continua
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mediazione tra l’irriducibile libertà dell’individuo
e la prescrizione disciplinare ( ciò che è bene).
Ed è qui che l’Infermiere, impegnato nell’assistenza, deve continuamente rivedere e riprogettare le sue scelte con i bisogni e le scelte
espressi dal paziente.
Prendersi cura…. TO CARE…può riferirsi anche al concetto di COMPASSIONE, soffrire
con: si è preoccupati per la persona malata, si
condividono con ella sentimenti ed emozioni
perché se ne condivide l’umanità.
Ma come si può manifestare il CUM PATI dell’Infermiere sia nei confronti del malato che della sua famiglia?
Il CONTATTO FISICO, rappresentando una
delle forme primarie di comunicazione, è per i
pazienti un bisogno fondamentale, una carica
affettiva e confidenziale molto alta, un’attenzione rivolta verso l’altro che permette a quest’ultimo di dare sfogo alle proprie emozioni, quali
la paura, l’ansia, la rassegnazione, etc. A tal
proposito la Medicina Palliativa o Cure Palliative ( da PALLIUM , corto mantello indossato dai
primi cristiani in epoca romana, simboleggiante
la CHARITAS , cioè l’amore per il prossimo in
quanto figli di Dio ) si basa proprio sul senso
del contatto.
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L’ ASCOLTO è un altro elemento fondamentale della comunicazione; in campo di assistenza
infermieristica significa far esprimere al malato
i suoi pensieri, le sue paure, le sue richieste ,
per aiutarlo a liberarsi della sofferenza o soltanto a lenirla. A tal proposito esiste la L’ARTE
DELL’ASCOLTO ATTIVO, modo non intrusivo
di condividere i pensieri e i sentimenti del paziente: si ascolta quello che quest’ultimo dice,
si ripete quello che si è sentito quindi si verifica
con il paziente, per essere sicuri che quello che
è stato ripetuto è corretto; non si presta ascolto
solo alle parole, ma si cerca di cogliere e restituire alla persona anche la sensazione o il
significato che sta dietro alle parole.
Es. di DIALOGO TIPICO:
PAZIENTE: - Sono molto spaventato per l’esame clinico che farò domani.
INFERMIERE: - Non si preoccupi, andrà tutto
per il meglio…
Es. UNA RISPOSTA DI ASCOLTO ATTIVO:
PAZIENTE: - Sono molto spaventato per l’esame clinico che farò domani.
INFERMIERE: - E’ spaventato per l’esame clinico? Può spiegarmi cosa la preoccupa tanto?
L’ascolto attivo mette l’Infermiere nell’atteggiamento del CUM PATI, aiutando il paziente a
Masolino da Panicale
Guarigione dello zoppo
Firenze, Cappella Brancacci
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fare chiarezza e ad esprimere la propria sofferenza interiore, soprattutto negli Ospedali dove
gli ammalati si sentono isolati ed invisibili ed
implodono rabbia, paura, ansia.
I GESTI, il modo di muoversi e di stare nello
spazio, intesi quale forma di comunicazione
non verbale ( meta-comunicazione ), rappresentano il prendersi cura del destinatario dell’assistenza, il quale valuta e soppesa ogni movimento, ogni espressione corporea spontanea
o simulata, che può fornirgli sicurezza, placargli
la tensione, dargli sollievo.
Il SUPPORTO ALLA FAMIGLIA del paziente è
un altro momento fondamentale dell’assistenza infermieristica, che deve supportare, rassicurare, informare i parenti , i quali insieme al
malato e a tutta l’èquipe sanitaria devono condividere il progetto di cura o, in casi estremi,
essere sostenuti nella “ sindrome delle perdita
” del proprio caro.
La COMPETENZA PROFESSIONALE, nell’ottica dello studio, della ricerca e della formazione permanente, permette di sperimentare le
capacità di utilizzare in termini creativi le conoscenze , di adottare comportamenti flessibili, di
prendere decisioni terapeutiche ottimali.
Tutto quanto detto innanzi è espresso in modo
puntuale e approfondito sia nel PATTO INFERMIERE – CITTADINO (vedi allegato) che
nel CODICE DEONTOLOGICO (Art. 1 – PREMESSA, Art. 2 - PRINCIPI ETICI DELLA PROFESSIONE)
Nel documento: “LA PASTORALE DELLA SALUTE NELLA CHIESA ITALIANA ” Par. I art. 18
si legge: “ Il Cristianesimo ha un messaggio di
vita da annunciare non solo a coloro che soffrono, ma anche a quanti scelgono di assistere e
accompagnare i malati. Il loro servizio prestato
con spirito di fede assume un valore autenticamente evangelico; la solidarietà umana e l’altruismo sociale si trasformano in espressione di
religiosità. Il Signore, infatti, ha voluto costituire
quasi un’identità morale e spirituale tra la persona che soffre e lui stesso, quando ha asserito: - In verità vi dico: ogni volta che avete fatto
queste cose a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me- (Mt 25,40)
E ancora…. Dal discorso di PAOLO VI a tre
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gruppi di ammalati ed infermieri, il 22 maggio
1971: “E diciamo anzitutto a voi, che vi occupate in varie forme dell’assistenza ai malati, o
per vocazione consacrata a Dio e ai fratelli,
o per tenerezza e obbligo familiari, o per dovere professionale, il grande valore che la vostra opera assume, il grande merito che essa
acquista per la vita eterna. Ciò che vi muove
è la COMPASSIONE verso i cari infermi, nel
senso più alto e vero della parola, che significa
PATIRE CON gli altri. Voi, cioè, avete il merito
di condividere la sofferenza, questa misteriosa
e indecifrabile presenza nell’umanità ferita dal
peccato originale, e conseguenza della ribellione arcana che questo ha introdotto nella natura
creata, come nella psiche e nella carne dell’uomo; per tale COM-PASSIONE voi promuovete
l’assistenza, la cura, le sollecitudini, le veglie,
le incessanti e trepidanti premure di carità, voi
fate vostri i sentimenti di chi soffre.”
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Questi due brani costituiscono l’essenza profonda dell’assistenza infermieristica, esempio
concreto di COMPASSIONE che fiorisce autentica, forte, intelligente e bella. Abituiamoci
a cogliere i miracoli della stessa! San Francesco d’Assisi riassunse la Regola dei suoi frati
in un unico precetto: “Ognuno sia Madre per
il proprio fratello”. Forse non sapeva che nella
lingua ebraica COMPASSIONE indica un atteggiamento femminile e propriamente materno…..e quante volte Dio nella Bibbia è definito
compassionevole! Destinatari della Sua materna compassione, noi Infermieri dobbiamo essere capaci di moltiplicarla in un mondo che la
invoca, perché cerca….una traccia di Dio!!!
•
INDIVIDUARE i tuoi bisogni di assistenza, condividerli con te, proporti le
possibili soluzioni, operare insieme per
risolvere i problemi.
•
INSEGNARTI quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il
tuo stato di salute nel rispetto delle tue
scelte e stile di vita.
•
GARANTIRTI competenza, abilità e
umanità nello svolgimento delle tue prestazioni assistenziali.
•
RISPETTARE la tua dignità, le tue insicurezze e garantirti la riservatezza.
Allegato
•
ASCOLTARTI con attenzione e disponibilità quando hai bisogno.
•
STARTI VICINO quando soffri, quando
hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano.
•
PROMUOVERE e partecipare ad iniziative atte a migliorare le risposte
assistenziali infermieristiche all’interno
dell’organizzazione.
•
SEGNALARE agli organi e figure competenti le situazioni che ti possono causare danni e disagi.
Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a:
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•
PRESENTARMI al nostro primo incontro, spiegarti chi sono e cosa posso fare
per te.
•
SAPERE chi sei, riconoscerti, chiamarti
per nome e cognome.
•
FARMI RICONOSCERE attraverso la
divisa e il cartellino di riconoscimento.
•
DARTI RISPOSTE chiare e comprensibili o indirizzarti alle persone e agli
organi competenti.
•
FORNIRTI INFORMAZIONI utili a rendere più agevole il tuo contatto con l’insieme dei servizi sanitari.
BIBLIOGRAFIA
•
GARANTIRTI le migliori condizioni igieniche e ambientali.
-
NURSING OGGI, numero 3/01 ( articolo
di Carlisa Lucchi )
•
FAVORIRTI nel mantenere le tue relazioni sociali e familiari.
-
FOCUSING ED ASCOLTO: STRUMENTI OLISTICI PER LA PRATICA
•
RISPETTARE il tuo tempo e le tue abitudini.
-
INFERMIERISTICA di Joan Klagsbrun
•
AIUTARTI ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la tua giornata supportandoti nei gesti quotidiani di mangiare,
lavarsi, muoversi, dormire, quando non
sei in grado di farlo da solo.
-
AMERICA, GLI INCERTI CONFINI
DELLA COMPASSIONE di Martha Nussbaum
-
SITO INTERNET SCIENZA E FEDE ,
articolo “ Medicina ” di M.Pelaez
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La funzione tutoriale con gli
studenti di infermieristica
Marta Nucchi , professore associato di MED/45 presso l’Università degli Studi di Milano
Vincenza De Santis , infermiera presso l’azienda ospedaliera di Busto Arsizio (VA)
Anne Destrebecq., ricercatore confermato di MED/45, presso l’Università degli Studi di Milano
INTRODUZIONE
Questo piccolo contributo è scritto ha l’intento
di approfondire qualche aspetto della formazione infermieristica e, in particolare, il ruolo del
tutor. Sono ormai numerosi gli infermieri che
lavorano e studiano per indagare in merito alla
figura tutoriale, palesemente presente in campo universitario dal 1990 con la legge n. 341
“Riforma degli ordinamenti didattici universitari”. Probabilmente, è lecita un ulteriore ragionamento per riflettere e comprendere se il tutor
è rilevante ai fini del tragitto di apprendimento,
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oggi, come lo è stato – in passato – l’infermiere
“monitore”.
È presuntuoso oppure è ancora possibile studiare argomenti che da tempo sono affrontati?
In letteratura è ricorrente una constatazione:
c’è contrasto e/o lontananza tra quanto viene
appreso in ambito teorico e ciò che si sperimenta nella clinica. Al tutor si assegna la responsabilità di garantire l’integrazione degli
apprendimenti derivanti da questi due contesti
formativi; è utile comprendere se questo dislivello rappresenta una criticità per lo studente
e, soprattutto, quale valenza educativa viene
attribuita alla figura tutoriale.
E’ immodesto e borioso considerare nuove
prospettive e avere, di conseguenza, chiavi di
differente interpretazione di uno stesso fenomeno?
In qualità di facilitatore dell’apprendimento, il
tutor guida gli studenti fino a renderli soggetti consapevoli ed autonomi nel gestire i propri
bisogni di formazione, attivando le risorse necessarie, utilizzando capacità di pensiero critico e abilità nella soluzione di problemi relativi
alla futura vita professionale. A questo proposito diventa rilevante l’autorevolezza del Codice Deontologico dell’infermiere (2009), che,
all’articolo 11, così si esprime: “l’infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate
e aggiorna saperi e competenze attraverso la
formazione permanente, la riflessione critica
sull’esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e
partecipa ad attività di formazione. Promuove,
attiva e partecipa ala ricerca e cura la diffusione dei risultati”.
Il percorso implica l’appropriarsi di un adeguato bagaglio di conoscenze teoriche che devono essere coniugate con i saperi derivanti
dall’esperienza, al fine di ottenere un apprendimento significativo perché perdura nel tempo.
Ciò è possibile attraverso adeguati interventi
tesi all’attivazione di processi di riflessione critica, che richiedono abilità sia su piano metodologico che didattico.
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In ogni situazione “dialogica” gli attori della relazione sono almeno due: per quanto riguarda il tema trattato sono da menzionare
gli studenti insieme al tutor e, a
corollario, i docenti di scienze umanistiche e cliniche,
che dovrebbero essere
tra di loro coordinati.
La figura tutoriale
cosa deve fare in
qualità di agente del processo
formativo?
Per il servizio tutoriale, quale è la
visione dello studente,
agente del
proprio apprendimento?
Il presente lavoro desidera, in
modo rapido, mettere a fuoco una
revisione della letteratura, con il ricorso alla
consultazione di banche dati come PubMed e
Cinhal per reperire alcuni studi autorevoli allo
scopo di:
1. delineare un profilo del tutor;
2. comprendere quali metodologie caratterizzano il processo di tutoring;
3. effettuare un’analisi storica dell’evoluzione delle insegnanti infermiere che
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confluiscono nel ruolo di tutor;
4. evidenziare le problematiche più ricorrenti connesse alla funzione tutoriale.
In questa fase le difficoltà maggiori sono state
quelle relative ad un utilizzo di fonti bibliografiche di lingua inglese e l’esigenza di non alterare il significato di alcuni contenuti nella trasposizione in italiano.
REVISIONE DELLA LETTERATURA: IL PROFILO
DEL TUTOR
Il tutor facilitatore
dall’apprendimento
È difficoltoso definire in modo univoco e condiviso
il profilo del tutor, perché con lo
stesso termine si fa
riferimento a più ruoli in diversi contesti,
pur riconoscendo caratteristiche comuni. In Italia
il servizio di tutorato viene introdotto ufficialmente dalla legge
del 19 novembre 1990, n. 341 “Riforma
degli ordinamenti didattici universitari”. Questa
legge parla di un servizio di tutorato “finalizzato
a orientare e assistere gli studenti lungo tutto il
corso di studi, a renderli attivamente partecipi
del processo formativo, a rimuovere gli ostacoli
a una proficua frequenza dei corsi, anche attraverso iniziative rapportate alle necessità, alle
attitudini e alle esigenze dei singoli”.
Scandella, definisce i significati della tutorship;
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sottolinea il ruolo del tutor e l’opportunità di inserirlo nei contesti educativi per soddisfare esigenze di innovazione pedagogica – didattica,
per fronteggiare fenomeni connessi a una nuova domanda di formazione e per ottenere più
opportuni risultati.
Il significato più profondo, che definisce il tutor,
è nel nucleo semantico di “facilitatore dell’apprendimento”. In realtà ciò dovrebbe essere
una prerogativa comune a tutti i ruoli che si occupano di formazione a vari livelli 1.
Carl Rogers esamina e sottolinea l’importanza
del ruolo del facilitatore dell’apprendimento.
Parla di un educatore che si pone a garanzia
per la realizzazione di apprendimenti significativi e che siano percepiti dagli studenti come
rilevanti per i propri fini. Ogni persona tende a
realizzare la sua possibilità di compiere esperienze; l’apprendimento è il mezzo di cui si serve. L’apprendimento implica coinvolgimento
personale che parte dall’interno e che chiama
in causa una dimensione affettiva oltre che cognitiva. In tal senso il tutor non è solo una particolare categoria di insegnante ma in quanto
facilitatore:
1. predispone l’atmosfera e il clima favorenti l’esperienza;
2. seleziona le risorse adatte per conseguire gli obiettivi dell’apprendimento;
3. rende disponibili il più gran numero possibile di mezzi e situazioni per apprendere.
Carl Rogers evidenzia l’importanza di un apprendimento significativo se questo è acquisito tramite l’agire. La formazione squisitamente
formale e passiva è poco stimolante e percepita
come obbligo, mentre lo sperimentare i mede-
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simi contenuti in contesti reali e operativi, oltre
ad essere particolarmente attraente, permette
di raggiungere gli obiettivi di apprendimento in
tempi più veloci2.
La valenza di quanto sostenuto da Carl Rogers, ripreso e approfondito negli anni successivi, è particolarmente rilevante nel caso della
configurazione infermieristica, la quale trova
nel tirocinio un aspetto di apprendimento clinico autenticamente professionalizzante. Infatti,
in un contesto operativo, lo studente può sviluppare competenze e abilità necessarie per il
suo futuro essere professionista. In tal senso
gli studenti sperimentano la “socializzazione
anticipatoria” al lavoro: vengono coinvolti in
situazioni di progressiva assunzione del ruolo
professionale incontrando anticipatamente le
convinzioni, i valori, le norme di status di un
gruppo senza di fatto ancora appartenervi3. Lo
studente viene invitato a “raccontarsi” non perché lo si voglia conoscere meglio (il che costituirebbe comunque di per sé un risultato), ma
per aiutarlo –e aiutarci- a riflettere, a ricostruire,
quindi riconoscere come apprende mentre apprende13.
È utile che l’apprendimento avvenga in contesti protetti perché è un processo di formazione
in atto, di cui lo studente è protagonista non
come passivo metabolizzatore ma come attivo
elaboratore del proprio bagaglio conoscitivo,
pertanto vuole valutare, selezionare, modellare
ciò che teoricamente è definito sapere4.
Di conseguenza, i discenti necessitano di chi li
possa guidare nell’esperienza e li aiuti a riflettere sul proprio agire affinché l’apprendimento
sia significativo e siano impediti insuccessi futuri. La figura in questione è il tutor che, in qualità di facilitatore del percorso formativo, orienta
12
IPASVI
IPASVI
La figura in questione è il tutor
che, in qualità di facilitatore del
percorso formativo, orienta il discente verso modi di operatività
all’interno della professione.
IPASVI
il discente verso modi di operatività all’interno
della professione e trasmette modelli di elevata qualità, attraverso un’attività di supporto
tesa alla crescita e all’autonomia dello studente
stesso5.
Ciò è possibile se si considera quello che è
il ruolo dell’esperienza, cioè essere risorsa
per l’apprendimento e allo stesso tempo base
sempre più ampia a cui rapportare nuovi apprendimenti. Diventano sostanziali l’utilizzo
di metodologie che colgono l’esperienza dello studente e lo coinvolgono nell’analisi delle
stesse. L’uso di lezioni frontali, di presentazioni
audiovisive preconfezionate svaniscono a favore della discussione, del “laboratorio dei gesti”,
delle simulazioni, delle riflessioni guidate, dei
progetti di gruppo e di altre tecniche di apprendimento attivo o di action learning, situazioni in
cui emerge la centralità del soggetto che apprende e che sono presidiate da un punto di
vista metodologico dalla figura tutoriale. Lo studente è un adulto coinvolto in un processo di
formazione e si identifica attraverso le proprie
esperienze. Se per l’adulto l’esperienza è chi
egli è, per lo studente rappresenta il fondamento su cui basa il suo futuro essere professionista. La mancanza di una rielaborazione può
portare come conseguenza una perdita di valore con il rischio del persistere di conflitti a livello
cognitivo e affettivo, aspetti che un adeguato
supporto tutoriale è, invece, in grado di far superare incoraggiando lo studente ad attivare le
risorse idonee a creare le condizioni per un lifelong learning6.
Nella descrizione del ruolo tutoriale emerge in
modo evidente il passaggio da una concezione di formazione come prodotto a formazione
come processo.
IPASVI
IPASVI
zione, ma ciò non deve essere erroneamente interpretato come attivazione di un “processo di satellizzazione”, per cui il tutor deve ruotare intorno ai bisogni dello studente
soddisfacendoli con meccanismi di
programmazione didattica8.
Nel primo caso è autocentrata: si costituisce
e autoperpreta come istituzione, si interpreta
come “data” ed è essenzialmente immodificabile, perchè focalizzata su chi la fa. La formazione come processo si propone in un divenire finalizzato al cambiamento. Il ruolo del tutor
come agente facilitatore del contesto educativo
è messo in gioco ed è tale da consentire in prospettiva un passaggio allo studente, in quanto
soggetto in formazione. L’efficacia dell’intervento tutoriale è in funzione di come il processo
costruttivo - istruttivo e l’apprendimento si dissolvono uno nell’altro, ha luogo quando il destinatario della formazione si appropria del ruolo
di agente di apprendimento, in grado di gestire
in prima persona il proprio cambiamento diventando perciò autonomo7.
L’attenzione è centrata sul soggetto in forma-
14
Dà a intendere che lo studente si
mette nelle condizioni di appropriarsi degli strumenti e delle risorse necessarie per controllare
situazioni relative ai propri cambiamenti intellettuali, relazionali,
gestuali perché possa sorvegliarli
con responsabilità personale. In tal
senso la formazione come processo verte sull’insieme relazionale
specifico in cui ha luogo l’evento
formativo con il coinvolgimento del
tutor, agente del processo educativo, e dello studente, agente del
suo apprendimento.
La complessità risiede nella particolare situazione di sfida del ruolo del tutor che va a minare
i tradizionali rapporti docente-discente; la sua
natura è essere facilitatore e ciò comporta una
perdita di potere e di controllo perché, come
afferma Javis : “Il facilitatore assiste l’apprendimento degli allievi fino a provvedere a creare
l’ambiente in cui avviene questo apprendimento ma non detta mai i risultati dell’esperienza”9.
Questi, infatti, sono patrimonio e particolarità
dello studente quando si realizzano come presupposti fondamentali:
1. il manifestarsi del bisogno di conoscere,
inteso come esigenza di sapere il perché occorre apprendere qualcosa prima
di intraprendere l’apprendimento;
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2. la disponibilità ad apprendere;
3. il riconoscimento del ruolo dell’esperienza che assicura una vasta gamma di
differenze individuali e che deve essere
continuamente valorizzata e rielaborata10.
Ciò riconferma la posizione specifica dei soggetti coinvolti nella formazione e il rilievo che
concetti come responsabilità e negoziazione
assumono in qualità di strategie per promuovere le effettive condizioni di un apprendimento significativo e duraturo. La negoziazione e
il contesto formativo richiedono elasticità nelle
scelte educative e il riconoscimento che l’individuo possa essere sostenuto nell’utilizzare
diversificate vie d’apprendimento come risorsa
nelle difformi situazioni. In tal senso l’intervento
educativo del tutor non si fonda sulla teoria dell’insegnamento di percorsi predefiniti, ma è attento all’individuo e alle sue specifiche esigenze, attraverso un’azione di sostegno finalizzata
a garantire un percorso che ha come obiettivo
arrivare alla capacità del soggetto in formazione di autogestirsi11.
Il tutor, secondo numerosi autori, è facilitatore dell’apprendimento e l’efficacia dei suoi interventi si realizza quando e se lo studente è
inserito nei percorsi “dell’imparare ad imparare” che gli saranno necessari per fabbricare,
continuamente, i modi di comunicare e gli stili
comportamentali per realizzare una identità relazionale. 22
UNA CONCLUSIONE … che è in divenire
Nel definire il ruolo di un tutor e nel tentativo di
circoscrivere la figura è necessario investigare
ed analizzare le pratiche educative nelle quali
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è coinvolto sia qualità di conduttore di gruppi di
studenti, sia in rapporto di reciprocità formativa
con il singolo studente. L’attività di tutoring è
finalizzata:
•
a far transitare conoscenze e abilità dall’aula al mondo reale;
•
a favorire la costruzione di sapere a partire dall’esperienza, trasferendo le conoscenze dal mondo reale all’aula, come
avviene tipicamente nei tirocini.
È il tutor ad avere la responsabilità della congiunzione tra teoria e pratica: ruolo basilare,
in tal senso, è esercitato dall’attivazione della
riflessione che rappresenta la funzione cruciale
di questo formatore nei processi di apprendimento dall’esperienza13.
Il tutor, guidando lo studente attraverso la riflessione, lo aiuta a sviluppare capacità di ragionamento e abilità di pensiero critico da utilizzare
nel futuro esercizio professionale che, come afferma Schon, è caratterizzato da “complessità,
instabilità, incertezza, unicità e dalla presenza
di conflitti di valore”13.
La figura infermieristica conferma, dunque, la
sua professionalità svolgendo funzioni tecniche, relazionali ed educative; “declinando” i tre
vocaboli non si può far altro che sostenere, con
vigore e senso di responsabilità, l’opportunità
di svolgere le attività solidamente strutturate al
tutorato.
Il “buon tutor” si mette in luce per saper facilitare/saper accompagnare il discente verso l’indipendenza, rinunciando alla tentazione di “fare
un altro a partire da sé”, come specchio che gli
restituisca la propria immagine, per meglio dire
secondo il mito di Pigmalione.
Sembra lecito affermare che il tutor è capace
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di “declinare” l’articolo 20 del codice deontologico (2009): se è vero che “l’infermiere ascolta,
informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i
bisogni assistenziali, . . . e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte” può essere altrettanto
vero, etico e deontologico che l’infermiere facilitatore debba ascoltare, informare e coinvolgere lo studente di infermieristica, affinché
quest’ultimo comprenda e valuti i suoi bisogni
di formazione e sia facilitato ad esprimere le
proprie scelte individuali nella molteplicità delle
espressioni professionali.
BIBLIOGRAFIA
1. Scandella O. Tutorship e apprendimento. Nuove competenze dei docenti nella
scuola che cambia. Firenze: La Nuova
Italia, 1995.
2. Rogers Carl R. Libertà nell’apprendimento. Firenze: Giunti Barbera, 1981.
3. Formenti L., Gamelli I., 1998, Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé
nei luoghi dell’educazione. Cortina, Milano, pag. 49
4. Sarchielli G. il tirocinio professionale nei
processi di socializzazione al lavoro, in
AA.VV. Il tirocinio. Milano: Franco Angeli, 1990.
5. Nucchi M. Il “Tutor”: chi è, cosa fa?. Prof
Inferm, 1997; 50(1):21-4.
6. Nucchi M. una figura nuova e antica : il
Tutor. Infermiere a Pavia 2005; 1: 3-6.
7. Knowles M. Dalla pedagogia alla andragogia, in AA.VV. Professione formazione. (13a ed.) Milano: Franco Angeli,
2003.
16
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avis: “Il facilitatore assiste
l’apprendimento degli allievi fino a provvedere a creare l’ambiente in cui avviene
questo apprendimento ma
non detta mai i risultati dell’esperienza
8. Ferrario M. Modelli di formazione nel
rapporto formatore-utente, in AA.VV.
Professione formazione. (13a ed.) Milano: Franco Angeli, 2003.
9. Binetti P, De Marinis MG, Matarese M,
Tartaglini D. La formazione del tutore clinico: l’esperienza del III corso di perfezionamento presso l’Università Campus
Biomedico, Professioni Infermieristiche
1999, 52(2): 84-90.
10. Glen S, Wilkie K. Apprendimento basato
sui problemi. Milano: CEA, 2003.
11. Colombo A, Gandini T, Garrino L, Gioia
A, Malinverno E, Rodriguez D. Dalla
prassi alla teoria per l’infermiere. Torino:
CSE, 2003.
12. Schon DA. Il professionista riflessivo.
Bari: Dedalo,1993.
13. Zannini L. La tutorship nella formazione
degli adulti. Uno sguardo pedagogico.
Milano: Guerrini Scientifica, 2005.
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IPASVI
Istituito l’albo dei CTU Infermieri
I
l Tribunale di Taranto,
tra i primi in Italia, ha
quest’anno istituito l’albo
dei CTU infermieri, ovvero
Consulenti Tecnici d’Ufficio
infermieri, che dovrebbero a
breve essere nominati per
diventare un’appendice del
giudice in quanto preposti
ad esprimere parere tecnico
in controversie che vedano
coinvolti infermieri o casi
infermieristici(art 191 “Nomina
del consulente tecnico”).
Una novità senza dubbio di
rilievo per “una nuova lettura”
della professione, approdata
nei Tribunali anche con
l’infermiere forense.
Il cammino della nostra
professione, negli ultimi 20
anni, ha avuto una evoluzione
rapida che non ha eguali
nelle altre professioni. Le
leggi susseguitesi( L. 42/99,
L.251/00, L. 43/06) hanno
scandito bene il percorso e
delineato altrettanto bene
il ruolo del professionista
infermiere, nonché le sue
responsabilità precise. Il
percorso, così
anche le
scienze infermieristiche, è
Dott. Nicola Zicari
Infermiere S.O. Chirurgia Vascolare “SS. Annunziata”-Ta
CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Art. 61. - Consulente tecnico.
Quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica.
La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta
tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice.
Art. 62. - Attività del consulente.
Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti
che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti, e
degli articoli 441 e 463.
Art. 63. - Obbligo di assumere l’incarico e ricusazione del
consulente.
Il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice riconosca che ricorre un
giusto motivo di astensione.
Il consulente può essere ricusato dalle parti per i motivi indicati
nell’art.51.
Della ricusazione del consulente conosce il giudice che l’ha nominato.
Art. 64. - Responsabilità del consulente.
Si applicano al consulente le disposizioni del codice penale relative ai periti.
In ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave
nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda fino a € 10329.
Si applica l’articolo 35 del codice penale.
Egli è inoltre tenuto al risarcimento dei danni causati alle parti.
Art. 191. - Nomina del consulente tecnico.
Nei casi di cui agli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con
l’ordinanza prevista nell’articolo 187, ultimo comma, o con altra
successiva, nomina un consulente tecnico e fissa l’udienza nella quale questi deve comparire.
Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone.
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“in fieri”, ovvero in continuo
divenire e noi tutti siamo
impegnati a scoprire i nuovi
orizzonti della professione.
Uno di questi è, appunto,
quello che concerne il ruolo
dell’infermiere come CTU o
perito di parte all’ interno
dei Tribunali. E’ per
ciò
che il Consiglio direttivo del
nostro Collegio ha avvertito
l’esigenza di dare agli
iscritti questa possibilità e
gli strumenti atti al nuovo,
appassionante
percorso,
procedendo alla costituzione,
in primis, di un Comitato
Scientifico,
individuando
successivamente il “ partner
formatore”,
una
società
che opera nel campo della
formazione,
specializzata
nel campo forense.
A
questa è stato chiesto un
pacchetto formativo in grado
di garantire la preparazione
per l’esercizio, di fatto, di
CTU. Di seguito la proposta
è stata presentata agli iscritti,
riscontrando
un
grande
entusiasmo per la novità e la
nuova opportunità. Il primo
Corso, appena terminato, è
stato aperto a tutti gli iscritti;
si è sviluppato nell’arco di
10 lezioni tenuti da avvocati
nonché da un pubblico
ministero; si è concluso con
il rilascio di un attestato. Il
18
IPASVI
Art. 192. - Astensione e ricusazione del consulente.
L’ordinanza è notificata al consulente tecnico a cura del
cancelliere, con invito a comparire all’udienza fissata dal
giudice.
Il consulente che non ritiene di accettare l’incarico o quello
che, obbligato a prestare il suo ufficio, intende astenersi,
deve farne denuncia o istanza al giudice che l’ha nominato
almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione; nello
stesso termine le parti debbono proporre le loro istanze di
ricusazione, depositando nella cancelleria ricorso al giudice
istruttore.
Questi provvede con ordinanza non impugnabile.
Art. 193. - Giuramento del consulente.
All’udienza di comparizione il giudice istruttore ricorda al
consulente l’importanza delle funzioni che è chiamato ad
adempiere, e ne riceve il giuramento di bene e fedelmente
adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità.
Art. 194. - Attività del consulente.
Il consulente tecnico assiste alle udienze alle quali è invitato
dal giudice istruttore; compie, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini di cui all’articolo 62, da sé solo o
insieme col giudice secondo che questi dispone. Può essere
autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere
informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi.
Anche quando il giudice dispone che il consulente compia
indagini da sé solo, le parti possono intervenire alle operazioni in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei
difensori, e possono presentare al consulente, per iscritto o
a voce, osservazioni e istanze.
Art. 195. - Processo verbale e relazione.
Delle indagini del consulente si forma processo verbale,
quando sono compiute con l’intervento del giudice istruttore,
ma questi può anche disporre che il consulente rediga relazione scritta.
Se le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice,
il consulente deve darne relazione, nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti.
La relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine che il giudice fissa.
Art. 196. - Rinnovazione delle indagini e sostituzione del
consulente.
Il giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione
delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico.
IPASVI
conseguimento di questo, è
da notare, è stato per tutti solo
un punto di partenza, perché
non prelude all’automatica
iscrizione all’albo dei CTU,
significa che d’ora in poi
ogni collega potrà mettere in
campo tutta la professionalità
e competenza al servizio della
giustizia(Art. 194. - Attività
del consulente..)
Compito non certo da poco,
tenuto conto della ricaduta
che potrà avere sulla nostra
professione, sia in termini
positivi che negativi. A
gratificarci è che il Tribunale
ha compreso chi è davvero
l’infermiere del 2009, istituendo
l’albo dei CTU. Anzi, da contatti
tra la presidente del nostro C.D.
IPASVI, Benedetta Mattiacci,
ed il presidente del Tribunale,
dott. Antonio Morelli, è emersa
la richiesta, formalizzata con
lettera ufficiale, dell’apertura
presso il Tribunale di un
ambulatorio infermieristico di
primo soccorso. Gli infermieri,
quindi, a livello di immagine,
cominciano a raccogliere i
frutti di quanto seminato negli
anni passati. Ma il cammino
è ancora lungo ed irto di
ostacoli.
IPASVI
Art. 197. - Assistenza all’udienza e audizione in camera di consiglio.
Quando lo ritiene opportuno il presidente invita il consulente tecnico ad assistere alla discussione davanti al collegio e ad esprimere il suo parere in camera di consiglio
in presenza delle parti, le quali possono chiarire e svolgere le loro ragioni per mezzo dei difensori.
Art. 198. - Esame contabile.
Quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice istruttore può darne incarico al consulente
tecnico, affidandogli il compito di tentare la conciliazione
delle parti.
Il consulente sente le parti e, previo consenso di tutte,
può esaminare documenti e registri non prodotti in causa.
Di essi tuttavia, senza il consenso di tutte le parti, non può
fare menzione nei processi verbali o nella relazione di cui
all’articolo 195.
Art. 199. - Processo verbale di conciliazione.
Se le parti si conciliano, si redige processo verbale della
conciliazione, che è sottoscritto dalle parti e dal consulente tecnico e inserito nel fascicolo d’ufficio.
Il giudice istruttore attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale.
Art. 200. - Mancata conciliazione.
Se la conciliazione delle parti non riesce, il consulente
espone i risultati delle indagini compiute e il suo parere in
una relazione, che deposita in cancelleria nel termine fissato dal giudice istruttore.
Le dichiarazioni delle parti, riportate dal consulente nella
relazione, possono essere valutate dal giudice a norma
dell’articolo 116 secondo comma.
Art. 201. - Consulente tecnico di parte.
Il giudice istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono
nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un
loro consulente tecnico.
Il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell’articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice,
partecipa all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta
che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e
svolgere, con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.
La consulenza infedele è punita dagli artt. 380, 381 e 383
del codice penale.
IPASVI
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DISPOSIZIONI DI ATTUAZIONE E TRANSITORIE DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Art. 13. - Albo dei consulenti tecnici.
Presso ogni tribunale è costituito un albo dei consulenti tecnici.
L’albo è diviso in categorie.
Debbono essere sempre comprese nell’albo le categorie:
1) medico-chirurgica;
2) industriale;
3) commerciale;
4) agricola;
5) bancaria;
6) assicurativa.
Art. 14. - Formazione dell’albo.
L’albo è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e
composto dal procuratore della Repubblica e da un professionista, iscritto nell’albo professionale, designato dal consiglio dell’ordine o dal collegio della categoria a cui appartiene il
richiedente la iscrizione nell’albo dei consulenti tecnici.
Il consiglio predetto ha la facoltà di designare, quando lo ritenga opportuno, un professionista iscritto nell’albo di altro ordine o collegio, previa comunicazione al consiglio che tiene
l’albo a cui appartiene il professionista stesso.
Quando trattasi di domande presentate da periti estimatori, la designazione è fatta dalla
camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
Le funzioni di segretario del comitato sono esercitate dal cancelliere del tribunale.
Art. 15. - Iscrizione nell’albo.
Possono ottenere l’iscrizione nell’albo coloro che sono forniti di speciale competenza tecnica in una determinata materia, sono di condotta morale specchiata e sono iscritti nelle
rispettive associazioni professionali.
Nessuno può essere iscritto in più di un albo.
Sulle domande di iscrizione decide il comitato indicato nell’articolo precedente. Contro il
provvedimento del comitato è ammesso reclamo, entro quindici giorni dalla notificazione,
al comitato previsto nell’art. 5.
Art. 19. - Disciplina.
La vigilanza sui consulenti tecnici è esercitata dal presidente del tribunale, il quale, d’ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica o del presidente dell’associazione professionale, può promuovere procedimento disciplinare contro i consulenti che non hanno
tenuto una condotta morale specchiata e non hanno ottemperato agli obblighi derivanti
dagli incarichi ricevuti.
Per il giudizio disciplinare è competente il comitato indicato nell’art. 14.
Art. 20. - Sanzioni disciplinari.
Ai consulenti che non hanno osservato i doveri indicati nell’articolo precedente possono
essere inflitte le seguenti sanzioni disciplinari:
1) l’avvertimento;
2) la sospensione dall’albo per un tempo non superiore ad un anno;
3) la cancellazione dall’albo
20
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Art. 21. - Procedimento disciplinare.
Prima di promuovere il procedimento disciplinare, il presidente del tribunale contesta l’addebito al consulente e ne raccoglie la risposta scritta.
Il presidente, se dopo la contestazione ritiene di dover continuare il procedimento, fa invitare il consulente con biglietto di cancelleria, davanti al comitato disciplinare.
Il comitato decide sentito il consulente. Contro il provvedimento è ammesso reclamo a norma dell’art. 15 ultimo comma.
Art. 22. - Distribuzione degli incarichi.
Tutti i giudici che hanno sede nella circoscrizione del tribunale debbono affidare normalmente le funzioni di consulente tecnico agli iscritti nell’albo del tribunale medesimo.
Il giudice istruttore che conferisce un incarico ad un consulente tecnico iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo, deve sentire il presidente e indicare nel
provvedimento i motivi della scelta.
Le funzioni di consulente presso la corte d’appello sono normalmente affidate agli iscritti
negli albi dei tribunali del distretto. Se l’incarico è conferito ad iscritti in altri albi o a persone
non iscritte in alcun albo, deve essere sentito il primo presidente e debbono essere indicati
nel provvedimento i motivi della scelta.
Art. 23. - Vigilanza sulla distribuzione degli incarichi
Il presidente del tribunale vigila affinché senza danno per l’amministrazione della giustizia,
gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti nell’albo.
Per l’attuazione di tale vigilanza il presidente fa tenere dal cancelliere un registro in cui debbono essere annotati tutti gli incarichi che i consulenti iscritti ricevono e i compensi liquidati
da ciascun giudice.
Questi deve dare notizia degli incarichi dati e dei compensi liquidati al presidente del tribunale presso il quale il consulente è iscritto.
Il presidente della corte di appello esercita la vigilanza prevista nel primo comma per gli incarichi che vengono affidati dalla corte.
Art. 90. - Indagini del consulente senza la presenza del giudice.
Il consulente tecnico che, a norma dell’articolo 194 del codice, è autorizzato a compiere indagini senza che sia presente il giudice, deve dare comunicazione alle parti del giorno, ora
e luogo di inizio delle operazioni, con dichiarazione inserita nel processo verbale d’udienza
o con biglietto a mezzo del cancelliere.
Il consulente non può ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni
e le istanze di parte consentite dall’articolo 194 del codice.
In ogni caso deve essere comunicata alle parti avverse copia degli scritti defensionali.
Art. 91. - Comunicazioni ai consulenti di parte.
Nella dichiarazione di cui all’articolo 201 primo comma del codice deve essere indicato il
domicilio o il recapito del consulente della parte.
Il cancelliere deve dare comunicazione al consulente tecnico di parte, regolarmente nominato, delle indagini predisposte dal consulente d’ufficio, perché possa assistere a norma
degli articoli 194 e 201 del codice.
Art. 92. - Questioni sorte durante le indagini del consulente.
Se, durante le indagini che il consulente tecnico compie da sé solo (C.p.c. 194) sorgono
questioni sui suoi poteri o sui limiti dell’incarico conferitogli, il consulente deve informare il
giudice, salvo che la parte interessata vi provveda con ricorso.
Il ricorso della parte non sospende le indagini del consulente.
Il giudice, sentite le parti, dà i provvedimenti opportuni.
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La Movimentazione Centrata
sulla Persona (MCP):
storia e risultati di un modello
infermieristico
Massimo Ragonesi:
Presidente e Direttore Scientifico Ass. Igiea
AS Coord. Area Tecnica della Prevenzione - Risk Management ASL Viterbo;
Alessandro Perrone:
Responsabile Area Ricerca Ass. Igiea - Coord. Inf.co UTIR
Osp. S. Pietro Fatebenefratelli, Roma.
Premessa
L’Associazione IGIEA nasce nel 1995 con l’obiettivo di svolgere attività di ricerca nell’ambito
della sicurezza sul lavoro nelle organizzazioni sanitarie. Nel 1998 ha avviato una sistematica
analisi del decreto legislativo 626 del 1994 e dei documenti ad esso correlati (linee guida per
l’applicazione del DL 626, indice MAPO, etc.), partendo dall’assunto che “la realtà per essere
osservata e valutata, deve essere letta attraverso un modello concettuale” (15) e che la
classificazione delle organizzazioni del lavoro distingue tra quelle manifatturiere, destinate alla
produzione di prodotti, e quelle destinate alla produzione di servizi all’interno delle quali si
collocano le organizzazioni sanitarie che erogano servizi alla persona. Sulla base dell’analisi
condotta (18) ha elaborato un nuovo ed originale modello di movimentazione del paziente
denominato “Movimentazione Centrata sulla Persona” (MCP) che ha ottenuto nel 2008 il
riconoscimento di buona pratica da IPASVI e Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari
Regionali, inserendolo nel call 2008 dell’osservatorio buone pratiche per la sicurezza dei
pazienti.
Analisi del problema
Le affezioni cronico–degenerative della colonna vertebrale sono, assai di frequente,
riscontrabili presso le più disparate collettività lavorative dell’industria, dell’agricoltura e del
terziario; nell’ambito delle professioni sanitarie assumono particolare rilievo tra gli addetti alla
mobilizzazione dei pazienti.
Sotto il profilo dei costi economici e sociali, indotti in termini di assenze per malattia, cure,
spostamenti di mansione ed invalidità, le lombalgie rappresentano uno dei principali problemi
per chi si occupa degli aspetti sanitari nel mondo del lavoro.
Da studi di Magora (1970), ancora oggi tra i più citati sull’argomento, risulta che gli infermieri
presentano la prevalenza più elevata di lombalgia tra le varie categorie professionali. L’autore
ha, infatti, esaminato la relazione fra lombalgia e professione in un vasto campione di addetti a
differenti settori lavorativi considerati a rischio. Nell’elaborazione dei dati, effettuata con tassi
grezzi, riportati nello studio, veniva messa in rilievo fra gli infermieri una prevalenza pari al
16,8% del totale del personale esaminato. Il dato risultava inferiore unicamente a quello
relativo ai lavoratori occupati nell’industria tessile e della carta (21,6%).
La prevalenza della lombalgia, registrata tra gli infermieri, ha assunto dimensioni maggiori in
seguito all’elaborazione statistica effettuata da Colombini e Occhipinti (8), i quali, dopo la
22
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standardizzazione dei dati grezzi dello studio di Magora, hanno dimostrato che gli infermieri
presentavano il tasso più elevato, precedendo addirittura gli addetti dell’industria pesante.
Sempre dalla ricerca di Magora vengono fornite importanti informazioni circa le modalità di
comparsa della lombalgia degli infermieri: il sintomo compare nel 46% dei casi prima dei 30
anni di età, nel 49,5% nei primi 3 anni di lavoro ed è equamente ripartito tra un esordio
improvviso (45% dei casi) e un esordio subdolo (49,5% dei casi).
Nel settore ospedaliero, pur non sottovalutando la movimentazione di carichi generici, bisogna
considerare che tale attività è svolta dal personale sanitario (caposala, infermieri, OTA,
fisioterapisti) prevalentemente nei confronti del paziente. Tra le unità operative a maggior
rischio vanno menzionati in particolare la geriatria, la rianimazione, la riabilitazione, il pronto
soccorso, l’ortopedia e la neurologia (1,2).
Motivo dello studio
A distanza di oltre un decennio dal recepimento delle direttive europee in materia di sicurezza
nei luoghi di lavoro, osservando i pochi dati italiani disponibili, appare evidente che in molte
realtà si verifica un aumento degli infortuni e delle assenze per malattia e, contestualmente, si
osserva la comparsa di nuove sedi delle lesioni da sforzo.
Al contrario, in Inghilterra, si rileva la riduzione degli infortuni (azzerati in alcuni ospedali) e la
riduzione delle assenze per malattia fino all’80% (20,21).
Alla luce degli studi effettuati da Igiea, la situazione Italiana sembra legata all’adozione del
modello concettuale Bio Meccanico attraverso il quale si effettua la lettura e decodifica della
realtà lavorativa in ambito sanitario (valutazione dei rischi) e si definiscono le strategie
prevenzionistiche da adottare. Quest’ultime, parallelamente a quanto avvenuto nell’industria,
appaiono orientate alla meccanizzazione (ausili meccanici come elementi per l’eliminazione
del rischio alla fonte) ed alla standardizzazione delle attività assistenziali (tecniche di
movimentazione manuale dei pazienti).
Questo approccio, parafrasando C. Rogers (20), è stato definito in Igiea come della
“movimentazione centrata sull’operatore” (MCO).
A partire dal 1998, l’associazione IGIEA ha sviluppato il modello professionale, definito
“movimentazione centrata sulla Persona/paziente”. In questa interpretazione, sostenuta da un
modello concettuale dell’assistenza, le relazioni dinamiche tra infermiere, paziente, gruppo
famigliare, ambiente di lavoro e di cura, ambiente sociale assumono il rango di fattori di
rischio, in quanto capaci generare domanda di Movimentazione Manuale dei Pazienti (MMP)
(12,13).
L’esperienza sperimentale ha dimostrato che è possibile l’eliminazione dei fattori ostacolanti
l’autonomia del Paziente, sia a livello ambientale, organizzativo che relazionale e l’utilizzo di
ausili per l’autonomia consente di eliminare o ridurre efficacemente la domanda di MMP.
Ciò dimostra il valore aggiunto di un intervento assistenziale personalizzato, capace di
trasformare l’oggetto della movimentazione in soggetto pro-attivo e gestore della tutela della
propria salute nella lotta alle patologie da Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC)
correlate (3).
Il nuovo modello formativo, elaborato da Igiea a partire dal 1996, si basa su un approccio
olistico (bio-psico-sociale), coerente con la normativa professionale, i diritti del malato e la
metodologia del Nursing. Questo nuovo modello determina, di fatto, il passaggio dalla
movimentazione centrata sull’operatore alla movimentazione centrata sulla persona.
L’esperienza sperimentale, che a tutt’oggi ha coinvolto un campione di 650 pazienti e 3300
osservazioni, (i primi risultati sono stati presentati a Roma il 23 giugno 2008
(http://www.ispesl.it/informazione/eventi/2008mmcslsancamillo.pdf.),
ha
permesso
di
dimostrare è possibile ridurre la domanda di movimentazione dei pazienti perseguendo
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l’eliminazione dei fattori ostacolanti l’autonomia del malato a livello del malato stesso (deficit di
forza/conoscenze/motivazioni), dell’ambiente terapeutico, dell’organizzazione.
Ipotesi e disegno di ricerca
L’ipotesi di ricerca parte dal modello teorico di D. Orem (17), che definisce la persona, sana o
malata, come soggetto di cure attivo nella determinazione del proprio stato di salute e parte
integrante delle risorse utili per il raggiungimento degli obiettivi assistenziali; ciò richiede
all’infermiere il possesso di capacità valutative, progettuali e di formulazione degli obiettivi,
oltre a competenze relazionali/educative elevate.
Per questo ultimo aspetto è fondamentale il riferimento alla teoria di D. Goleman (10), il quale
identifica un ambiente lavorativo ideale quello che tiene conto sia degli aspetti strutturali che
interpersonali, in termini di presa di decisioni e di obiettivi condivisi.
Gli strumenti utilizzati nello studio sono stati identificati tra quelli comunemente validati a
livello scientifico, mentre altri sono stati appositamente creati e validati attraverso uno studio
pilota (14,24).
La scelta di realizzare strumenti dedicati è stata fatta in quanto non sono stati reperiti,
attraverso una accurata ricerca bibliografica, strumenti che permettessero di applicare la
metodologia dello studio (5).
Gli obiettivi formativi del modello della MCP sono:
a) far acquisire conoscenze teoriche e aggiornamenti in tema di movimentazione centrata sulla
Persona secondo il modello Bio Psico Sociale della salute OMS
b) far acquisire abilità manuali, tecniche o pratiche in tema di valutazione dell’interazione
dinamica persona/ambiente/infermiere e valutazione dello sforzo fisico percepito;
c) far migliorare le capacità relazionali e comunicative in tema di personalizzazione
dell’assistenza infermieristica.
La modalità formativa utilizzata si basa sui seguenti concetti fondamentali:
•
•
•
•
•
•
•
24
un modello concettuale di riferimento: il modello di D. Orem, nel quale è espresso molto
chiaramente il ruolo dell’assistenza, del professionista infermiere e le esigenze/bisogni del
paziente, permette la condivisione di obiettivi assistenziali realmente raggiungibili in quanto
secondari ad una accurata analisi delle risorse residue del paziente e ad una pianificazione
ad hoc degli interventi;
trasformare una prestazione in un processo: il processo innescato (processo di nursing)
(16) cambia completamente il significato della movimentazione; si attribuisce ad una
semplice attività/prestazione, da attuarsi in situazioni potenzialmente standardizzate (24),
un significato completamente diverso, trasformandola in attività assistenziale (24) e
riabilitativa;
l’attività laboratoriale, attuata sia in aula che durante il periodo di raccolta dati nelle
diverse unità operative, attivando un processo di learning organization, crea una condizione
di continuità tra l’evento formativo e la pratica;
la modalità formativa (11) attuata ha come obiettivo principale non quello di trasmettere
contenuti nuovi o conoscenze innovative, ma quello di organizzare le conoscenze già
presenti nel core formativo del professionista infermiere e, insieme con una rilevante parte
esperenziale, creare nuove modalità di approccio al problema.
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Gli strumenti utilizzati:
Fatta eccezione per i primi due strumenti, validati a livello internazionale, gli altri sono stati
realizzati da Igiea e validati in occasione delle attività di ricerca condotte in collaborazione con
l’ISPESL e gli altri partner nel periodo 2000-2008.
1. scala di Borg: permette di rilevare lo sforzo fisico percepito da un soggetto; è uno
strumento di diagnosi medica definito “da campo” per la sua versatilità che viene
comunemente utilizzato nelle prove cardiologiche da sforzo.
Gode di una validità
strumentale attraverso il confronto tra sforzo fisico percepito e risultati elettromiografici;
2. indice di Braden: è un indice utilizzato nell’assistenza infermieristica per determinare il
livello di rischio, che presenta un paziente, di sviluppare lesioni da pressione; comprende
6 variabili e, nello studio presente, è stata considerata esclusivamente la variabile
mobilità, in quanto era necessario utilizzare un criterio, per definire il livello di
autosufficienza del paziente, che fosse di semplice comprensione e che permettesse di
differenziare il livello di autosufficienza su più variabili rispetto al criterio dicotomico non
collaborante-parzialmente collaborante adottato dall’indice MAPO;
3. la scheda dell’interazione dinamica persona-ambiente-infermiere: (5) scheda viene
utilizzata durante la formazione d’aula per leggere e decodificare la relazione tra gli
elementi in gioco (7);
4. la griglia per la valutazione dell’impegno dell’operatore durante la MMM - gruppo A:
utilizzata con la scala di Borg, permette di rilevare lo sforzo fisico percepito dall’operatore
per ogni singola fase di attività di movimentazione predefinite (spostamento letto-sedia e
spostamento sul letto da laterale a controlaterale) e monitorare eventuali variazioni nel
tempo;
5. la griglia per la valutazione dell’impegno dell’operatore durante la MMM - gruppo B:
permette:
• la rilevazione dello sforzo fisico percepito dall’operatore in ogni singola fase di
attività di movimentazione predefinita (spostamento letto-sedia e spostamento sul
letto da laterale a controlaterale);
• di identificare il tipo di intervento assistenziale effettuato secondo i criteri espressi
dal modello di D. Orem (intervento in sostituzione di forza, in integrazione di
forza, in educazione o nessun intervento);
• la rilevazione dei fattori ostacolanti l’autonomia della persona in riferimento alle
osservazioni possibili con l’utilizzo delle schede dell’interazione dinamica
persona-ambiente-infermiere;
• il monitoraggio della situazione osservata nel tempo.
Il nuovo percorso formativo Igiea (9) si realizza in due fasi e, abbandonando la logica
dell’addestramento in quanto considerata adeguata la formazione di lavoratori di ruolo
esecutivo, utilizza la metodologia di tipo laboratoriale.
La prima fase del percorso affronta l’aspetto ergonomico nella movimentazione dei pazienti
con il recupero dei saperi legati alla formazione tradizionale e la loro riorganizzazione
attraverso l’utilizzo di appositi strumenti cartacei.
La seconda fase introduce nuovi concetti di tipo teorico e metodologico della disciplina
infermieristica che, applicati attraverso le attività laboratori ali, permette di valorizzare e
condividere i saperi e le esperienze individuali e di gruppo.
Al termine di ogni fare formativa è previsto un periodo di sperimentazione sul campo ed una
verifica finale.
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Analisi dei risultati (dati elaborati da ISPESL)
La validità del modello Igiea è stata verificata attraverso il confronto sul campo tra i modelli
della “movimentazione centrata sull’operatore” (MCO) e la “movimentazione centrata sulla
persona” (MCP). Sono stati utilizzati alcuni indicatori di sintesi delle valutazioni sullo sforzo
fisico espresse dagli infermieri che hanno partecipato alla sperimentazione.
La verifica della riduzione dello sforzo da parte dell’operatore è stata condotta per l’attività di
“spostamenti nel letto” dalla posizione laterale a controlaterale (tabella 1) e per l’attività di
“spostamenti dal letto alla sedia/carrozzina” (tabella 4).
Tab. 1
L’assistenza al malato negli spostamenti nel letto dalla posizione laterale a controlaterale
consiste nelle seguenti 3 fasi:
a) da laterale a supino-lato letto;
b) da supino-lato letto a supino-lato letto opposto;
c)da supino-lato letto opposto a controlaterale.
La misurazione dello sforzo fisico per tale movimentazione è stata effettuata su due distinti
gruppi di degenti, il gruppo chiamato 3A seguito da infermieri formati secondo l’approccio MCO
ed il gruppo 3B (Tab. 2) seguito dagli stessi infermieri dopo che erano formati secondo i canoni
della MCP.
Tab. 2
Gruppo Intervento 3A
Gruppo Intervento 3B
4,0
4,0
3,5
3,5
3,0
3,0
2,5
A
2,5
A
2,0
B
2,0
B
1,5
C
1,5
C
1,0
1,0
0,5
0,5
0,0
0,0
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
Per i due gruppi sono state inizialmente analizzate le caratteristiche descrittive di età, sesso e
classe di dipendenza Braden (voce mobilità).
Il gruppo 3A, composto da 141 degenti di cui il 36% donne, ha riportato un’età media di 74,4
anni con deviazione standard (descrive la variabilità della caratteristica considerata, in questo
caso l’età) pari a 12,5; il valor medio dell’indice Braden è risultato pari a 2,9 con deviazione
standard pari a 0,7.
Il gruppo 3B di 74 degenti, di cui 42% donne, si è presentato con età media di 75,4 anni e
deviazione standard pari a 13; l’indice Braden è risultato anche in questo caso pari a 2,9 in
media, con deviazione standard pari a 0,6. In sostanza, in base alle caratteristiche descrittive, i
due gruppi di degenti risultano omogenei e confrontabili.
Nell’arco di cinque successivi interventi di movimentazione è stato dapprima calcolato lo sforzo
fisico medio per ognuna delle tre fasi, valutato secondo la scala di Borg, quindi la somma di
questi 15 punteggi medi (5 interventi per tre fasi ognuno) ha fornito lo Sforzo fisico totale per il
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gruppo di degenti considerato, nel caso del gruppo 3A pari a 48,6 e per il gruppo 3B a 38,8,
con una diminuzione percentuale dello sforzo totale pari al 20,3% laddove si è operato
secondo l’approccio MCP.
Per controllare l’effetto di fattori di confondimento, come ad esempio il peso dei degenti, si è
calcolato la differenza percentuale tra i valori dello sforzo medio nel primo e nel quinto
intervento.
Il risultato mostra come la diminuzione sia molto evidente nel caso dell’approccio MCP, con,
quasi, un dimezzamento dello sforzo dopo cinque interventi (-46,9%) sul gruppo di degenti 3B,
che non nel caso della dell’approccio MCO, dove per il gruppo di degenti 3A si registra solo un
modesto decremento dello sforzo fisico degli infermieri (-7,3%).
Tab. 3
L’assistenza al malato negli spostamenti dal letto alla sedia/carrozzina si esplica in 5 fasi:
a) sollevamento del busto (da supino a semiseduto);
b) gambe fuori dal letto;
c) posizione eretta spalle al letto;
d) spostamento spalle alla sedia/carrozzina;
e) da eretto a seduto sulla sedia/carrozzina.
Anche in questo caso sono state effettuate misure dello sforzo fisico per la movimentazione su
due distinti gruppi di degenti, il gruppo chiamato 5A seguito da infermieri formati secondo
l’approccio MCO ed il gruppo 5B (Tab. 4) seguito dagli stessi infermieri, dopo che erano
formati alla MCP.
Tab. 4
Gruppo Intervento 5B
Gruppo Intervento 5A
4,0
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
A
B
C
D
E
1
2
3
4
5
4,0
3,5
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
A
B
C
D
E
1
2
3
4
5
In termini di età, sesso, e classe di dipendenza Braden (voce mobilità), il gruppo 5A, composto
da 103 degenti di cui il 30% donne, ha riportato un’età media di 74,8 anni con deviazione
standard pari a 13,3; il valor medio dell’indice Braden è risultato pari a 2,7 con deviazione
standard pari a 0,6. Il gruppo 3B di 80 degenti, di cui 38% donne, si è caratterizzato per un’età
media di 74,6 anni e deviazione standard pari a 12,5; l’indice Braden ha assunto anche in
questo caso il valore medio di 2,7, con deviazione standard pari a 0,6. Ancora una volta i due
gruppi di degenti risultano omogenei e confrontabili.
Considerati cinque successivi interventi di movimentazione, lo sforzo fisico medio, valutato
secondo la scala di Borg per ognuna delle cinque fasi, è stato riassunto nello Sforzo fisico
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totale, nel caso del gruppo di degenti 5A è risultato pari a 71,5 e per il gruppo 3B a 59,5, con
una diminuzione percentuale dello sforzo totale pari al 16,7% laddove si è operato secondo
l’approccio MCP.
La differenza percentuale tra i valori dello sforzo medio nel primo e nel quinto intervento ha
mostrato anche nell’intervento a cinque fasi un dimezzamento dello sforzo (-49,2%) nel caso
dell’approccio MCP, per l’approccio MCO si registra un più modesto decremento dello sforzo
fisico degli infermieri (-10,2%). I grafici sotto riportati illustrano i decrementi per ciascuna delle
cinque fasi nei due gruppi.
I risultati delle analisi condotte sui due gruppi di degenti mostrano con evidenza come la
movimentazione centrata sul paziente conduca a un deciso decremento, nell’ambito di
successivi interventi, dello sforzo fisico richiesto al personale infermieristico. Viene, così, a
ridursi significativamente il rischio residuo per l’operatore (sforzo fisico richiesto
nell’esecuzione dell’attività) in conseguenza della riduzione della domanda di movimentazione
da parte del malato (cosiddetto rischio alla fonte).
I livelli ottenuti di riduzione dello sforzo fisico costituiscono un elemento estremamente positivo
e potenzialmente capace di produrre la riduzione del danno per l’operatore, ma sono
sicuramente solo una parte dei potenziali risultati. Mancano, infatti, indicazioni quantitative
sulla portata delle azioni terapeutiche e relative analisi costi/benefici anche economici.
Conclusioni
L’esperienza ha dimostrato che:
• è possibile ridurre lo sforzo fisico degli infermieri nell’esecuzione di attività di
movimentazione del malato, eseguite secondo il modello IGIEA della MCP,
mediamente del 39% rispetto al modello bio-meccanico (tecniche di movimentazione
standard).
• Il miglioramento dell’autonomia ha interessato l’80% circa del campione dei malati
osservati e il risultato è legato a un approccio professionale capace di intervenire su 9
fattori di rischio appartenenti a tre nuove categorie identificate dal modello IGIEA e su 2
nuovi fattori di rischio appartenenti alle vecchie categorie.
Una ulteriore esperienza di laboratorio, condotta sempre presso l’A.O. S. Camillo-Forlanini, ha
mostrato una ulteriore riduzione del 40% dello sforzo fisico percepito dagli infermieri,
conseguente l’introduzione di letti elettrici con caratteristiche tecniche definite per l’opportunità
di intervenire su altri 4 fattori di rischio appartenenti a 2 delle nuove categorie di fattori di
rischio offerta dall’utilizzo dei nuovi strumenti.
Lo studio ha, inoltre, permesso di evidenziare che l’attività di movimentazione da
“prestazione”, ossia attività che ha alla base uno standard definito, può essere reinterpretata
in chiave di processo, consentendo una applicazione più estesa di quanto previsto in materia
di responsabilità professionale (Profilo Professionale degli infermieri), utilizzando le
competenze acquisite con la formazione di base e permanente, la capacità di analisi e di
osservazione, implementata dalle conoscenze necessarie per dare una risposta assistenziale
appropriata al paziente basata sulla analisi della situazione, sulla definizione delle risorse e
degli obiettivi condivisi con il paziente e sulla valutazione dei risultati (processo di nursing).
Risorse necessarie e possibili effetti
COSTI
L’applicazione del modello IGIEA della “Movimentazione Centrata sulla Persona” MCP si
realizza a parità di risorse economiche impiegate per la formazione, secondo il modello
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tradizionale (MCO) ai sensi della Legge 81/08 ed è applicabile in situazioni dove non è
possibile l’utilizzo dei solleva-pazienti meccanici.
BENEFICI
Per la sicurezza sui luoghi di lavoro
riduzione dei rischi da MMP (dal 39% fino all’80% di riduzione dello sforzo fisico con
l’introduzione di ausili per
l’autonomia e letti elettrici;
sforzo fisico, in molti casi, di livello estremamente basso e non a rischio di lesioni);
riduzione, in termini qualitativi e quantitativi, la domanda di movimentazione nell’80% dei
malati osservati;
riduzione del numero dei certificati con limitazione lavorativa per MMC (35.000 circa in Italia);
riduzione del peso delle limitazioni contenute nei certificati di idoneità con prescrizione;
Per il paziente:
miglioramento della qualità del servizio assistenziale;
miglioramento del livello di autonomia dell’80% dei malati osservati;
costruzione di misure di barriera verso interventi assistenziali inappropriati e
potenzialmente pericolosi per il malato (se sovradimensionati rispetto alle esigenze,
possono determinare la progressiva perdita di autonomia del paziente;
riduzione del rischio cadute;
Per la ricerca (Evidence Based Nursing) (6)
Acquisizione e sviluppo di nuove conoscenze e dati utili alla sperimentazione di un modello di
valutazione dei rischi da MMP basato sulle evidenze.
Per l’azienda sanitaria (4)
valorizzazione delle risorse umane;
riduzione del contenzioso legato ai risarcimenti per danni al paziente da inappropiatezza
delle modalità assistenziali;
professionalizzazione delle risorse umane;
creazione di comunità di pratica
partecipazione attiva del personale
miglioramento dell’immagine aziendale
Per la professione infermieristica
affermazione delle competenze disciplinari infermieristiche e del ruolo degli
infermieri in qualità di esperti nella tutela della propria salute e sicurezza nelle attività
assistenziali e nella tutela del paziente;
ricomposizione del quadro generale delle competenze, specifiche e complementari,
necessarie all’applicazione di quanto stabilito dalla legge 81/08 coerentemente con
la normativa professionale, deontologica e con il percorso formativo.
Sviluppi futuri
I dati raccolti durante la sperimentazione, giunta attualmente alla fase multicentrica, hanno
permesso di valutare l’efficacia di interventi mirati sui singoli fattori di rischio e superare i primi
test del percorso di realizzazione di uno nuovo indice di valutazione dei rischi da MMP,
elaborato da Igiea in collaborazione con gli altri partner del progetto di ricerca.
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Riferimenti bibliografici
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dorso-lombari
legati
all’attività
lavorativa”;
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Policlinico S.Orsola-Malpighi, Bologna
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23. Yura H, Walsh MB. (1992) Il Processo di Nursing. Edizioni Sorbona, Milano.
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Gli infermieri
approdano
nelle farmacie
di comunità
di Nazareno Dinoi
Inf. Servizio 118 - Manduria
«P
rego signore, si rivolga all’ infermiere.
Le darà tutte le informazioni che cerca». Potremo sentirci dire questo, si spera a
breve, nelle farmacie italiane, dove è in corso una rivoluzione per quanto riguarda i nuovi servizi sociosanitari contenuti nella legge
69/2009 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività
nonché in materia di processo civile) con
la previsione, accettata anche dai farmacisti,
di vedere infermieri, liberi professionisti, nelle
farmacie appunto, a contatto con il pubblico.
Stiamo parlando delle cosiddette «farmacie di
comunità». Siamo ancora lontani dalla prescrizione infermieristica, già in vigore in alcuni stati europei come la Spagna e l’Inghilterra, ma è
un sicuro passo in avanti verso il superamento
di quel gap storico della professione a cui viene ancora impedito di «consigliare» un farmaco se non della specie da banco. (Possibilità,
questa, permessa alle case farmaceutiche attraverso la pubblicità, spesso ingannevole, sui
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mezzi di diffusione di massa).
Ma veniamo alla novità introdotta dalla recente legge e dalle nuove aperture della lobby
dei farmacisti che, contrariamente a quanto
si temeva, hanno deciso di ospitare i colleghi
infermieri. A dimostrazione di ciò, la potente
Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani,
la Fofi, ha addirittura proposto la vaccinazione
in farmacia con l’impiego della nuova figura
sanitaria non medica.
«La possibilità di
ottenere il vaccino
nelle farmacie contribuirebbe - secondo la Fofi - a migliorare notevolmente
la copertura vaccinale della popolazione, soprattutto
tra i cittadini che,
per ragioni di età
o per gli impegni
lavorativi,
hanno
difficoltà di spostamento o poco tempo a disposizione».
Molti infettivologi,
tra l’altro, hanno
recentemente
ricordato che anche
le normali epidemie stagionali comportano un certo numero di
decessi, prevalentemente concentrate tra gli
anziani.
Ed ecco lo sdoganamento dell’infermiere in
farmacia: «Per questo la vaccinazione tra le
categorie a rischio andrebbe agevolata, con
l’inoculazione del vaccino direttamente in farmacia, grazie alla presenza di un infermiere
professionale», ha sostenuto il presidente
della Federazione, Andrea Mandelli, riallacciandosi, appunto, alla recente approvazione
delle deleghe per l’affidamento alle farmacie di nuovi servizi sociosanitari della legge
69/2009.
Nello specifico dell’articolo 11, ecco cosa prevede la legge approvata il 18 giugno 2009,
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per i cui decreti attuativi il governo avrà tre
mesi di tempo.
Art. 11. (Delega al Governo in materia di
nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale
nonché disposizioni concernenti i comuni
con popolazione fino a 5.000 abitanti)
1. Ferme restando le competenze regionali, il
Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata
in vigore della presente legge, uno o
più decreti legislativi finalizzati all’individuazione di nuovi
servizi a forte valenza socio-sanitaria erogati dalle farmacie pubbliche e
private nell’ambito
del Servizio sanitario nazionale, sulla
base dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) assicurare, nel
rispetto di quanto
previsto dai singoli piani regionali
socio-sanitari,
la
partecipazione delle farmacie al servizio di
assistenza domiciliare integrata a favore dei
pazienti residenti nel territorio della sede di
pertinenza di ciascuna farmacia, a supporto
delle attività del medico di medicina generale, anche con l’obiettivo di garantire il corretto utilizzo dei medicinali prescritti e il relativo
monitoraggio, al fine di favorire l’aderenza dei
malati alle terapie mediche;
b) collaborare ai programmi di educazione
sanitaria della popolazione realizzati a livello
nazionale e regionale, nel rispetto di quanto
previsto dai singoli piani regionali socio sanitari;
c) realizzare, nel rispetto di quanto previsto dai
singoli piani regionali socio-sanitari, campagne di prevenzione delle principali patologie a
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gimento delle suddette attività da parte delle
farmacie, e comunque senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica;
f) rivedere i requisiti di ruralità di cui agli articoli 2 e seguenti della legge 8 marzo 1968, n.
221, al fine di riservare la corresponsione dell’indennità annua di residenza prevista dall’articolo 115 del testo unico delle leggi sanitarie,
di cui al regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265,
e successive modificazioni, in presenza di situazioni di effettivo disagio in relazione alla localizzazione delle farmacie e all’ampiezza del
territorio servito.
forte impatto sociale, anche effettuando analisi di laboratorio di prima istanza nei limiti e
alle condizioni stabiliti con decreto del Ministro
del lavoro, della salute e delle politiche sociali,
d’intesa con la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, restando in
ogni caso esclusa l’attività di prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe;
d) consentire, nel rispetto di quanto previsto
dai singoli piani regionali socio-sanitari, la
prenotazione in farmacia di visite ed esami
specialistici presso le strutture pubbliche e
private convenzionate, anche prevedendo la
possibilità di pagamento delle relative quote
di partecipazione alla spesa a carico del cittadino e di ritiro del referto in farmacia;
e) prevedere forme di remunerazione delle attività di cui al presente comma da parte del
Servizio sanitario nazionale entro il limite dell’accertata diminuzione degli oneri derivante,
per il medesimo Servizio sanitario nazionale,
per le regioni e per gli enti locali, dallo svol-
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono
adottati su proposta del Ministro del lavoro,
della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, previo parere della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano. Gli schemi dei decreti legislativi adottati ai sensi del presente comma,
ciascuno dei quali corredato di relazione tecnica sugli effetti finanziari delle disposizioni in
esso contenute, sono trasmessi alle Camere
ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per
materia e per i profili di carattere finanziario,
che sono resi entro trenta giorni dalla data di
trasmissione dei medesimi schemi di decreto.
Decorso il termine di cui al periodo precedente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
3. Nel caso in cui ai comuni con popolazione
fino a 5.000 abitanti siano richiesti da qualsiasi pubblica amministrazione atti, documenti,
provvedimenti, copia degli stessi, dati, rilevazioni statistiche e informazioni che siano o
debbano essere già nella disponibilità di altri
enti pubblici, gli uffici comunali di riferimento
sono tenuti unicamente ad indicare presso
quali enti, amministrazioni o uffici siano disponibili gli atti, i dati o le informazioni loro richieste, senza che tale procedura comporti alcuna
penalizzazione.
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S. C. Cardiologia
Stabilimento Moscati:
“Certificazione di qualità”
U
na consapevolezza reale dell’importanza della corretta gestione
delle attività cliniche ed organizzative;
una volontà consolidata di superare
quella autoreferenzialità foriera dei mille e mille danni della Sanità; un impegno continuo e costante nelle risposte
all’utenza, alla quale vanno garantite
sicurezza, appropriatezza ed efficienza.
E’ la filosofia di riferimento dell’ U. O.
Cardiologica del presidio “S.G. Moscati”,
diretto dal dott. Enzo Lenti, che ha por34
tato alla certificazione ISO 9001, “Certificazione di Qualità”, come risultato di
un “Progetto Qualità delle Cardiologie”, promosso dall’ ANMCO, associazione no profit, promotrice della buona
prassi clinica nonché della prevenzione
delle malattie cardiovascolari attraverso
proposte organizzative, educazione professionale e formazione, promozione e
conduzione di studi clinici e ricerche. Un
“Progetto Qualità” partito nel 2007 in Toscana con la certificazione per 10 Car-
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diologie, nel 2008 approdato in Puglia
dove sono state scelte sette Cardiologie
tra quelle di maggiore prestigio. Tra le
prescelte la Cardiologia del Moscati, alla
quale da sempre i pazienti riconoscevano meriti di efficacia ed efficienza, già
dal 2003 interessata a studiare con un
ente esterno “come stavamo lavorando
- afferma il direttore della Struttura- superando quell’autoreferenzialità certo
dannosa al paziente ed al processo di
assistenza. La ricerca della verifica fatta da figure esterne, competenti, in grado di garantire trasparenza e centralità
del paziente nel processo di cura ci risultava, allora, oltremodo interessante”.
Ecco, quindi, l’adesione pronta al Progetto, il cui obiettivo è la promozione
dell’adeguamento delle strutture ai requisiti ISO 9001 per facilitare la gestione della complessità del rischio clinico e
migliorare le condizioni per la misurabilità dei risultati attraverso indicatori di appropriatezza, efficacia, efficienza. Da qui
l’ avvio dell’iter per la certificazione del
percorso di miglioramento: analisi delle
risorse umane e tecnologiche, controllo,
verifica, individuazione delle criticità,
definizione delle regole ed impostazione
delle strategie per il miglioramento. Tanti
piccoli passi per un progetto personalizzato, nessuna improvvisazione, anche
perché “un simile percorso non può essere improvvisato in realtà che nel loro
DNA non hanno il desiderio e la volontà
del cambiamento”(dott. Lenti); il coinvolgimento di tutto il personale, motivato
per professionalità e capacità, percorso
di miglioramento passato attraverso più
fasi, che vanno da una iniziale di formazione di tutto il personale ad una “operativa”, di “lavoro”, con la necessità di
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interfacciarsi con tutte le realtà. La fase
operativa, tra l’altro, ha previsto:
- l’organizzazione di 7 piccoli team, composti da 1 medico e 2 infermieri, finalizzati all’ approfondimento delle patologie
più frequenti nell’U.O., allo scopo di trovare eventuali punti deboli per prevenirli
o correggerli;
- la personalizzazione delle linee guida attraverso l’adozione di protocolli in
base al contesto lavorativo;
- la Scheda Unica di Terapia (STU), che
evidenzia “chi fa e chi segue il paziente”, ovvero porta all’assunzione di responsabilità per medici ed infermieri con
la sottoscrizione di qualunque atto( nel
cambio di terapia, ad esempio, il medico firma anche la cancellazione; gli infermieri firmano per la somministrazione
della terapia).
Tanti i “piccoli passi” della generale organizzazione del lavoro, passi che contemplano financo la conservazione delle
scorte, sia chiuse che aperte, con l’indicazione su mobili contenitori e frigoriferi
dei tempi di scadenza! Per un obiettivo
raggiunto un altro da raggiungere: allargare il progetto all’intero ospedale o,
almeno, alle aree omogenee per certificare il percorso del paziente all’interno
di un intero ospedale. Alla fine, parliamo di un modo “giusto” di lavorare, aldilà del Progetto (gruppo di lavoro costituito dal direttore dott. Lenti, dalla dott.
ssa Pascente, dalla coordinatrice Carla
Minzera, dagli infermieri Serio-Montesano-Santopietro, con la collaborazione
dell’intero organico) accreditato presso il
Ministero della Salute, aldilà della certificazione. Un modo giusto che cozza con
la chiusura del reparto, prevista nel PAL
aziendale!
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Progetto di qualità
Gli strumenti gestionali in una
Terapia Intensiva Cardiologica
Ruolo del Coordinatore Infermiere
Gerardo Mecca –Infermiere S.C. UTIC CARDIOLOGIA
Presidio Osp. “S.S. Annunziata” ASL Taranto
Master in Management Infermieristico per le Funzioni di Coordinamento.
La qualità dei servizi richiede impegno costante da parte del Coordinatore Infermiere, per
ottenere un miglioramento continuo e istituzionalizzato. In un reparto come la Utic ognuno
è responsabile della risoluzione dei problemi,
ma, soprattutto, deve svolgere una prevenzione sistematica degli stessi. Il miglioramento
continuo richiede, in assenza di problemi visibili, una gestione continua del monitoraggio delle
esigenze espresse dal paziente, dal personale
e dalla mission dell’azienda stessa. Attraverso
l’apprendimento di un’adeguata metodologia,
applicata ai processi, è possibile quel miglioramento, continuo e sistematico, di cui un’orga-
36
nizzazione ha bisogno per mantenere e migliorare la stessa qualità del servizio. Il coinvolgere
il personale nel miglioramento continuo, la prevenzione sistematica dei problemi e la conoscenza dei risultati portano all’acquisizione di
nuove competenze specifiche, alla nascita di
nuovi stimoli e opportunità professionali.
Il Coordinatore Infermiere deve approfondire le
principali tematiche del miglioramento: la valutazione dell’organizzazione e la sua modifica
nella visione del progetto qualità, la metodologia
per la gestione del progetto di cambiamento, la
metodologia e i principali strumenti del miglioramento dei processi, le modalità organizzative
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per il miglioramento. Importanti sono i lavori di
gruppo su problematiche emergenti nel cambiamento organizzativo dell’ Utic; importante
anche l’utilizzo di strumenti e metodologie già
affermate.
In particolare agendo su:
1. Linee guida EBN / percorsi di presa in carico
della persona sotto il profilo infermieristico per
la principale patologia cardiaca
2. Implementazione di strumenti quali protocolli e procedure assistenziali
3. Attività di audit assistenziale e gestione degli eventi indesiderati
4. Misure di outcome
Un progetto di qualità ha come risultato la sua
applicazione e si prefigge i seguenti obiettivi:
1) Qualità nella gestione delle risorse umane
2) Qualità nella gestione della formazione ed
aggiornamento continuo
3) Qualità nella vigilanza igienico sanitaria e
strutturale
4) Qualità nella ricerca infermieristica
I modelli e linee guida operative, per approntare
processi di cambiamento reale, per il momento, nella nostra realtà, trovano molta resistenza
e paura. “La resistenza al cambiamento deriva dalla paura degli uomini che permane
finchè non si diviene esperti”, come scriveva
Nicolò Machiavelli.
GLI STRUMENTI GESTIONALI IN UNA TERAPIA INTENSIVA CARDIOLOGICA. RUOLO
DEL COORDINATORE INFERMIERE
Premessa e Quadro di riferimento
Attualmente, anche nel settore della sanità,
esistono quattro norme tecniche internazionali dette ISO, ed in particolare la UNI-EN-ISO
9001-2000 (detta VISION) unica certificabile,
che indica i requisiti per la definizione e certificazione del sistema di gestione della qualità.
Essa costituisce il riferimento per l’implementazione di sistemi di gestione della qualità nella
organizzazione e consente di erogare prestazioni di qualità nell’ottica di un miglioramento
continuo, obbligando la struttura a dimostrare
che si è organizzato un sistema di gestione
conforme alla norma con un riconoscimento
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pubblico: il certificato. La norma è basata sui
processi, cioè l’azienda analizza e identifica
i processi interni, definisce la loro sequenza
e, soprattutto, i risultati attesi (output) a fronte delle risorse impegnate (input). E’ richiesto
il miglioramento continuo che presuppone la
raccolta, l’analisi dei dati e la loro verifica ed
è importante definire le funzioni e le competenze delle persone, coinvolte nei processi,
attraverso le Job Description che specificano
“chi fa che cosa”. A tal proposito, è importante
parlare di formazione permanente per la crescita personale, culturale e professionale. La
formazione, ovviamente, deve valutare l’efficacia, per esempio attraverso test, misure della
performance ed interviste. La norma, inoltre,
consente un facile allineamento con altri sistemi di gestione come, per esempio, il sistema di
gestione ambientale e il sistema di gestione di
sicurezza. La norma ISO 9000 indica la qualità
come “l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di una entità che conferiscono ad
essa la capacità di soddisfare le esigenze
espresse o implicite dell’utente”. La caratteristica dei servizi è la loro non materialità, per
cui, una volta erogati, non sono più modificabili
e occorre prestare attenzione prima della loro
erogazione con adeguate procedure, controlli
e con la formazione. Il servizio è una attività,
una prestazione personalizzata. Nell’erogazione del “bene di merito” più grande che è la
salute, il personale è un fattore fondamentale.
Esso deve affrontare un percorso universitario
lungo, complesso e costoso; sostenere un esame di stato ed essere iscritto in appositi albi,
sottostando al codice penale, al codice deontologico ed etico e sottoporsi a riabilitazione per
l’esercizio. Inoltre il professionista interpreta le
procedure sulla base di proprie conoscenze,
esperienza e formazione acquisita. Distinguiamo la qualità erogata che è la visione propria
del professionista, la qualità percepita che
è quella dell’utente e quella progettata il cui
obiettivo è ridurre al minimo la differenze tra la
qualità erogata, la qualità percepita e la qualità
attesa, in modo da soddisfare sia l’operatore sia
l’utente. Questi aspetti della qualità sono dinamici, per questo devono essere continuamente
monitorati per gestire e migliorare le prestazio-
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ni. Definendo il processo possiamo dire che
“è l’insieme delle attività dirette ed indirette,
correlate tra loro, che generano valore per
chi le riceve”.
Caratteristiche del processo sono:
-INPUT
-RISORSE
-CONTROLLI
-OUTPUT
Per attuarlo esistono degli step: mappatura,
identificazione delle aree critiche, identificazione degli indicatori, misurazione e valutazione.
Mappare il processo significa rappresentarlo
con simboli grafici riconosciuti a livello internazionale, definendo prima dove inizia e dove
finisce.
Le aree critiche sono attività che possono essere gestite ed organizzate con modalità differenti, quindi è bene analizzare prima l’area, per
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individuare la modalità operativa ed ottenere la
migliore performance.
La fase più complessa è identificare i fattori
di qualità, che rappresentano i concetti di efficacia ed efficienza. Essi sono: tempestività,
accessibilità, fruibilità, appropriatezza, produttività e soddisfazione dell’utente. Per ciascun fattore di qualità si devono trovare uno o
più indicatori per una misurazione quantitativa.
Dal Ministero della Salute sono stati individuati
53 indicatori, suddivisi per aree: personalizzazione e umanizzazione dell’assistenza 17, diritto all’informazione 8, prestazioni alberghiere
19, aspetti della prevenzione 9. Devono avere
le seguenti caratteristiche: attendibilità, significatività, rilevabilità e tempestività. Distinguiamo, inoltre, gli indicatori di struttura che sono
riferiti alle risorse, gli indicatori di processo riferiti al comportamento degli operatori e quelli
di esito riferiti al risultato. La misura degli indi-
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catori richiede un confronto con uno standard
di riferimento, che può essere un livello minimo di accettabilità o un riferimento ottimale
oppure un risultato di lavoro: standard di processo, standard di risultato, standard minimo
e standard ottimale. Infine la valutazione deve
dare un giudizio dei risultati ma anche analizzare il perché del risultato raggiunto e come
fare per migliorarlo.
Esiste, al fine del miglioramento della qualità
dei servizi e la riduzione dei costi, un modello
rappresentato dal Ciclo P.D.C.A. ovvero: -Plan
Cosa fare? Come farlo? -Do Fare quanto pianificato – Check Si è fatto quanto pianificato?
- Act Come migliorare.
Il ciclo P.D.C.A. deve essere seguito da un
gruppo, coordinato da un responsabile, documentando in tutte le fasi il percorso delle attività
svolte.
Il legislatore individua con l’accreditamento i
livelli minimi di qualità e delle prestazioni. Nel
caso della Regione Puglia i requisiti richiesti
sono specificati nel Regolamento Regionale.
In Italia l’accreditamento ha un significato bivalente: Accreditamento Istituzionale obbligatorio
e Accreditamento Professionale volontario.
Il Sistema di qualità di una ASL è dato dalla
mission e dai principi: eguaglianza, centralità
della persona, efficacia ed efficienza dell’organizzazione, modello gestionale innovativo, imparzialità, continuità e diritto di scelta. Esso è
implementato con l’ausilio di documentazione
specifica e tutto il personale è coinvolto nello
sviluppo di tali documenti di servizio.
ANALISI DELLE COMPETENZE
L’Utic ha come compito generale la prevenzione, diagnosi e cura della malattie cardiovascolari; si occupa dei pazienti che soffrono di
cardiopatia ischemica, infarto in fase acuta, angina, scompenso cardiaco e aritmie cardiache
avvalendosi di procedure invasive e non; fornendo un servizio specialistico, qualificato ed
aggiornato che possa soddisfare le necessità
della popolazione, ispirato a principi di qualità
nella gestione, nel rispetto del paziente e dei
criteri di efficienza, efficacia, imparzialità, continuità e garantendo al personale un aggiorna-
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mento professionale continuo. Le metodiche e
le procedure non invasive comprendono: ecg,
ecg dinamico delle 24 h, ecocardiografia, prove da sforzo, tilt test, monitoraggio parametri
vitali in continuo al letto del paziente e con telemetria. La procedure invasive si svolgono nella
sala operatoria di emodinamica interventistica
per quanto concerne le patologie di tipo ostruttivo: coronarografia ed angioplastica; mentre
nella sala di elettrofisiologia si svolgono le procedure invasive riguardanti i disturbi del ritmo
cardiaco: CVE (cardioversione elettrica), impianto PMK definitivo e provvisorio in urgenza,
impianto AICD (defibrillatore impiantabile), SEF
(studio elettrofisiologico).
SPECIFICITA’ DELL’UTIC
La Terapia Intensiva deve avere dei requisiti specifici per l’accreditamento; essi sono
rappresentati dai requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi.
Una analisi sistemica dell’organizzazione
consente di mettere in evidenza alcuni fattori
e aspetti di essa: Stile di Direzione, Modello
organizzativo dichiarato, Variabili Organizzative di Contesto, Strumenti di Gestione Infermieristica in uso, Criticità, Punti di Forza, Azioni e
Piano di Miglioramento da intraprendere. Il ruolo del Coordinatore Infermiere è estremamente
importante, richiede delle conoscenze e delle
competenze tali per cui è necessario un percorso formativo specifico e un aggiornamento
continuo.
Da qui la necessità di elaborare e mettere in
atto protocolli di intervento mirato, i quali hanno
il fine di erogare una attività Infermieristica in
maniera efficace, efficiente ed omogenea. Uno
strumento organizzativo, costruito a questo
scopo, è sicuramente la Cartella Infermieristica, che fornisce una integrale documentazione dell’intero processo di assistenza infermieristica, inoltre vi sono elementi specialistici
che caratterizzano la professione infermieristica all’interno di un utic di fondamentale importanza per il percorso diagnostico-terapeutico
ed assistenziale del paziente: il dolore, l’equilibrio idro-elettrolitico, l’equilibrio acido-base,
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l’elettrocardiografia, il monitoraggio emodinamico, la contropulsazione aortica e, non ultimo,
il trattamento dell’arresto cardiaco.
OBIETTIVI E PROGRAMMAZIONE DEL
COORDINATORE E DEL GRUPPO INFERMIERISTICO
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accertamento, diagnosi, pianificazione, attuazione e valutazione. Il Coordinatore Infermiere
è ormai riconosciuto quale professionista della
salute e responsabile dell’assistenza generale
infermieristica, pertanto risulta indispensabile
la ricerca dei modelli organizzativi da applicare
alla propria realtà. I sistemi organizzativi sono
essenzialmente distinti in due categorie: modelli tecnici e modelli professionali. I primi sono
caratterizzati dall’assegnazione dell’operatore
delle attività da svolgere e sono ancora oggi
usati più frequentemente in Italia. Nei modelli
professionali il ruolo del Coordinatore Infermiere è attivo ( la persona non il compito). Alcuni
esempi di modelli professionali sono il “team
nursing o piccola equipe”, “case management”
(gestore del caso), “managed care(assistenza
gestita) e “primary nursing”.
Nell’ambito della programmazione delle attività
come prima cosa è necessario definire con precisione la finalità di un progetto, nell’ottica della
qualità orientata al miglioramento continuo.
L’impegno, pertanto, è rivolto a: progetto
rilevazione degli indici di complessità assistenziale in terapia intensiva cardiologia; progettare
la cartella infermieristica; progettare la scheda
infermieristica di trasferimento dall’Utic ad altro
reparto; il foglio unico di terapia informatizzato; introdurre il Modello Organizzativo
“Primary
Nursing”; definire il
VALUTAZIONE DEI RISULTATI
piano delle attività infermieristiche; definire la Check
Per ogni cambiamento il perList del carrello delle ursonale deve avere il tempo
genza-emergenza; denecessario per prendere
Il Coordinatore Inferfinire e rivedere le Job
confidenza e fare promieristico è laureato
Description in Utic;
prio il nuovo strumento
predisporre lo stato
o la modalità organizin Infermieristica ed in
di competenze del
zativa. Per esempio,
possesso del Master
personale di Utic;
il modello di cartella
organizzare la scheinfermieristica
verrà
in Management Inferda di valutazione del
presentato, analizzato
mieristico in Funzioni
personale
neoase discusso in un inconsunto e/o neoinseritro con lo staff infermiedi Coordinamento
to; programmare dei
ristico dell’Utic ed, evenpercorsi formativi. Per la
tualmente, verrà corretto e
progettazione e realizzamodificato in base alle prozione della cartella infermieblematiche messe in evidenza.
ristica in Utic è auspicabile utiDurante l’incontro si motiverà l’imlizzare i modelli funzionali di Gordon
portanza di questo strumento per il miche sono 11, comuni per tutte le persone e guiglioramento della qualità assistenziale e si veda per l’identificazione delle diagnosi infermierificherà la condivisione da parte del personale
ristiche in associazione al modello bifocale di
infermieristico. A distanza di due mesi dal suo
Carpenito che identifica l’infermiere in veste di
inserimento, si effettuerà una prima valutazioprescrittore e in veste di collaboratore, potendo
ne, utilizzando i seguenti indicatori: numero di
affermare, quindi, che l’infermiere è abilitato ad
ingressi, totale numero di diagnosi infermieristiindividuare, trattare e valutare.
che aperte, numero di diagnosi infermieristiche
La diagnosi infermieristica è un giudizio clinicorrette (ad ogni diagnosi deve corrispondere
co e professionale che richiede la messa in atto
almeno un obiettivo e un intervento), numero
del processo di assistenza in tutte le sue fasi:
di esiti raggiunto, test di gradimento sull’uso da
40
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parte del personale infermieristico.
In base ai dati ottenuti si continuerà ad utilizzare il modello
proposto o si apporteranno delle modifiche con conseguente
nuovo periodo di prova e ulteriore verifica. Il modello Primary nursing verrà presentato
dal Coordinatore Infermiere e
dal Responsabile del Servizio
Infermieristico in un incontro
con il gruppo infermieri Utic,
formando gruppi di lavoro e definendo tempi per le verifiche
periodiche, utilizzando il metodo dell’audit professionale o dei
test di gradimento per gli infermieri che erogano l’assistenza,
utilizzando il modello primary
nursing e per i pazienti ai quali
l’assistenza viene erogata.
Il Coordinatore Infermiere, che
deve fare una valutazione, deve
avere la consapevolezza di essere, per il personale in collaborazione, il primo punto di riferimento, ha la responsabilità di
dare l’esempio, di fare proprie
le regole e i criteri che adotta
nella valutazione del personale.
Una corretta valutazione presuppone sempre una buona conoscenza di se stessi da parte
del valutatore, perché gli errori
in cui incorrere sono molti: giudizio sulla persona e non sulle
prestazioni, effetto alone, indulgenza, tendenza alla severità,
appiattimento, influenza della
memoria ed errori di metodo.
IL RUOLO DEL COORDINATORE INFERMIERE
Il Coordinatore Infermieristico
è laureato in Infermieristica
ed in possesso del Master in
Management Infermieristico in
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comunicazione con gli altri coordinatori di altre
unità operative per i trasferimenti. Fornisce ai
parenti dei pazienti tutte le informazioni relative alla permanenza del loro congiunto in Utic.
Legge 1 febbraio 2006, n. 43 “Disposizioni in
Rappresenta il personale non medico con la
materia di professioni sanitarie infermieristiche,
Direzione e i vari servizi della struttura, stimola
ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della
il personale all’aggiornamento continuo dopo
prevenzione e delega al Governo per l’istituziouna analisi delle priorità formative emerse dal
ne dei relativi ordini professionali” pubblicata
gruppo, naturalmente cercando di facilitare la
nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17 febbraio
partecipazione di tutti gli infermieri a corsi pro2006, Art. 6 (Istituzione delle funzioni di Coorfessionali, convegni e congressi organizzando
dinamento)
i turni di servizio.
Il Coordinatore esercita una supervisione per il
Egli ha come “interfaccia a monte” il Direttore
controllo sullo stato igienico delle aree comuni
Sanitario, il Responsabile del Servizio Infermiedell’Utic, controllo sulle attività di disinfezione
ristico, il Direttore di S.C. e il responsabile Mecontinua e corretta applicazione degli
dico del reparto. Come “interfaccia a
interventi per le pulizie a fondo
valle” l’Infermiere e il personale di
eseguite. Verifica, con l’equisupporto (OSA/OTA/O.S.S.).
pe infermieristica, il carrello
Come “rapporto funzionale”i
-gestione
delle
risorse
delle emergenza-urgenza
medici e i responsabili dei
umane
e relativa check list. Provservizi ed uffici coinvolti
vede all’approvvigionanella programmazione
-formazione
ed
aggiormento per il materiale e i
e nella qualità delle attifarmaci con modulistica
vità. L’attività managenamento continuo
appropriata, controlla il
riale del Coordinatore
frigo
farmaci, le attrezInfermiere si articola in
-vigilanza igienico sazature in uso. Richiede
quattro aree:
nitaria e strutturale
manutenzione ordinaria
-gestione delle risorse
e straordinaria, conserva
- qualità e ricerca.
umane
le cartelle cliniche fino alla
consegna in archivio e compi-formazione ed aggiornamenla tutti i documenti amministratito continuo
vi dell’Utic. Verifica le aree comuni
e
la
corrispondenza ai requisiti di sicu-vigilanza igienico sanitaria e strutturale
rezza per i lavoratori.
- qualità e ricerca.
Inoltre, il Coordinatore Infermiere realizza ed
attua con altre figure professionali protocolli
La gestione delle risorse umane si concretizza
relativi alle attività assistenziali e di prevenziocon l’organizzazione del personale infermierine delle infezioni nosocomiali, sensibilizzando
stico ed ausiliario di supporto e presenta vari
il personale e favorendo la partecipazione a
aspetti: dall’aggiornamento e verifica dei turni,
gruppi di lavoro per il miglioramento continuo
alla gestione degli eventuali conflitti, collabodella qualità e, sempre a tale scopo, partecipa
ra con l’equipe infermieristica e medica per le
alle riunioni con la Direzione e con il Responsastrategie da condividere i base alle priorità e
bile della qualità.
agli obiettivi, verifica il raggiungimento di tali
Per il ruolo del coordinatore infermiere l’ultiobiettivi ed eventualmente modifica le strategie
mo decennio ha comportato l’affermazione di
valutando il carico assistenziale e risorse dedinumerose novità che stanno determinando, e
cate. Costruisce e sperimenta modalità orgasempre di più determineranno in futuro, una
nizzative (primary nursing), accoglie, istruisce
grande evoluzione culturale e professionale.
e valuta il personale neoassunto, mantiene la
Funzioni di Coordinamento oppure Infermiere
in possesso del certificato di abilitazione alle
Funzioni Direttive:
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Questi cambiamenti, unitamente alla necessità di gestire ed assicurare la continuità delle
cure, la loro appropriatezza e tempestività anche con apporti provenienti da professionalità e
discipline molto diverse fra loro, hanno consentito di far nascere e diffondere anche in Italia
esperienze che portano il coordinatore e l’infermiere ad assumere il ruolo di case manager.
Nello specifico nella gestione del paziente con
patologia cardiaca, la complessità del governo
clinico-assistenziale determina l’impegno di ricercare costantemente la best-practice attraverso l’Evidence Based Nursing e l’Evidence
Based Medicine; inoltre, per operare ottimizzando l’efficienza e l’efficacia dei processi, è
necessario individuare i modelli organizzativi e
gli strumenti che favoriscano il miglioramento
della qualità dell’assistenza.
L’UTIC è una Terapia Intensiva molto speciale,
dove è necessaria un’assistenza infermieristica complessa, caratterizzata essenzialmente
dalla convivenza di competenze e sensibilità particolari nei confronti degli aspetti umani
del paziente e della sua famiglia, ma anche di
competenze estremamente specialistiche di
tipo tecnico.
La formalizzazione di procedure, e l’utilizzo di
percorsi diagnostici - terapeutici - assistenziali
condivisi, assicura un livello adeguato delle prestazioni ed una razionalizzazione delle risorse.
L’adozione di questa metodologia, tipica della
UNI-EN-ISO 9001, prevede l’elaborazione di
strumenti multidisciplinari che non può non prescindere dalla necessità e volontà di dialogo fra
le diverse figure professionali coinvolte nel processo assistenziale. Il ruolo del Coordinatore
Infermiere è, in questo contesto, di facilitatore e
promotore della metodologia che presuppone
un cambiamento culturale laddove non è ancora stato raggiunto. Progettare e definire dei
sottobiettivi a breve termine, cercando la condivisione da parte del gruppo infermieristico e soprattutto valutarne la fattibilità, potrebbe essere
il metodo migliore per affrontare questo cammino, che si presenta sicuramente laborioso
ma non impossibile. E’ suo compito, quindi, sostenere un’etica del lavoro come rivalutazione
della specificità e della dimensione qualitativa
dell’esperienza individuale nel proprio lavoro,
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nella gestione del paziente
con patologia cardiaca, la
complessità del governo
clinico-assistenziale
determina l’impegno di
ricercare costantemente la
best-practice attraverso
l’Evidence Based Nursing
e l’Evidence Based
Medicine
inteso e vissuto come risorsa per se stessi e
per tutti coloro che ai diversi livelli contribuiscono a perseguire i principi della Politica della Salute. Tale processo comporta la creazione di un
clima lavorativo nel quale aumenti la competitività “positiva” legata ad un miglioramento del
contenuto del lavoro, ad un arricchimento delle
competenze professionali, ad una liberazione
delle capacità creative ed innovative. In questo
modo si realizza sia l’affermazione della dignità e centralità della persona, sia l’affermazione
del professionista come colui che è capace di
rispondere ai bisogni del paziente, garantendo
nel rispetto delle conoscenze tecnico-scientifiche attuali la risoluzione più appropriata. Il
nuovo paradigma espresso nel concetto di empowerment, e le decisioni che ne derivano,
danno una impronta del tutto particolare al processo dinamico di miglioramento continuo della qualità dell’assistenza. Questo favorisce una
reale integrazione, uno scambio reciproco di
informazioni, una maggiore definizione dei ruoli e delle responsabilità di ciascuno, condizione
essenziale per erogare un’assistenza infermieristica di qualità alla persona in un momento
particolare della sua vita.
Alla luce di quanto detto ritengo che pensare,
pianificare e gestire una vera organizzazione
per obiettivi significhi:
“avere un progetto per la persona”.
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BIBLIOGRAFIA
• G.Bagni, M. Fiamminghi, relazione al
Master in Funzioni di Coordinamento.
“Programmazione e gestione delle risorse”,
anno accademico 2005-06.
• V. Manzini, relazione al Master in Funzioni
di
Coordinamento. “Metodologia ed
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44
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IL RUOLO DEL COORDINATORE
NELLA COMPLESSITA’
ASSISTENZIALE IN RSA
Dott. GIANPIERO GRAVINA
Infermiere reparto Medicina Casa di Cura San Camillo
LE METODOLOGIE UTILIZZATE IN PASSATO
PER IL MONITORAGGIO DELLE ATTIVITA’ INFERMIERISTICHE SI SONO DIMOSTRATE DEL
TUTTO INADEGUATE; L’EQUAZIONE CARICO
DI LAVORO E DETERMINAZIONE DEL FABBISOGNO DI PERSONALE E’ UNA NOZIONE CHE
NON E’ PIU IN GRADO DI FORNIRE RISPOSTE
COMPIUTE ALLE ATTUALI ESIGENZE.
L’INSIEME DI TUTTE LE VARIABILI CHE INTERVENGONO NEL PROCESSO DI ASSISTENZA
PORTA AD UN’EVOLUZIONE DEL CONCETTO
DI CARICO DI LAVORO, ORA DEFINITO CON
L’ESPRESSIONE “COMPLESSITA’ ASSISTENZIALE”.
L
’aumentata incidenza e prevalenza
delle malattie cronico - degenerative
e della disabilità, quale conseguenza del
sensibile aumento dell’aspettativa media di
vita che si è realizzato soprattutto a partire
dalla seconda metà del secolo scorso, ha
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messo in crisi il modello assistenziale. In
particolare, si è assistito alla crescita rapidissima di una nuova categoria di pazienti,
di età avanzata o molto avanzata, con comorbilità e polifarmacoterapia, con caratteristica di estrema vulnerabilità.
In quest’ottica è necessaria la definizione di
una nuova realtà assistenziale che si configura con la nascita delle Rsa; che hanno
lo scopo di migliorare la qualità di vita degli
ospiti ricoverati e fare in modo che gli ultimi
anni di vita non rappresentino un semplice logorio e noioso passare del tempo ma
siano caratterizzati dal mantenimento di un
buon livello di qualità della vita, utilizzando
in modo fruttuoso le capacità residue dell’individuo.
L’attività della RSA dà un contributo
importante alla soluzione del problema del
congestionamento e dell’uso improprio delle
strutture ospedaliere, che dovrebbero limitarsi alla cura dei casi acuti trasferendo alle
strutture residenziali i trattamenti di lungo
assistenza e di riabilitazione prolungata.
«Le RSA sono presidi che offrono a
soggetti non autosufficienti, anziani
e non, con esiti di patologie fisiche,
psichiche, sensoriali o miste, non curabili a domicilio, un livello medio di
assistenza medica, infermieristica e
riabilitativa, accompagnata da un livello “alto” di assistenza tutelare e alberghiera, modulate in base al modello
assistenziale adottato dalle regioni e
province autonome.»(DPR 14/1/1997)
La RSA, in accordo con la normativa nazio-
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nale, è una struttura del territorio destinata
ad accogliere per ricoveri temporanei o a
tempo indeterminato - gli anziani non autosufficienti, cui deve offrire:
- una sistemazione residenziale (Residenza) con una connotazione il più possibile
domestica, organizzata in modo da rispettare il bisogno individuale di riservatezza e
di privacy e da stimolare al tempo stesso la
socializzazione tra gli anziani ospiti;
- tutti gli interventi medici, infermieristici e
riabilitativi (Sanitaria) necessari a prevenire e curare le malattie croniche e le loro
riacutizzazioni; nonché gli interventi volti a
recuperare e sostenere l’autonomia dei degenti;
- un’assistenza individualizzata (Assistenziale), orientata alla tutela ed al miglioramento dei livelli di autonomia, al mantenimento degli interessi personali ed alla promozione del benessere.
I servizi erogati comprendono:
- prestazioni di medicina generale;
- prestazioni specialistiche;
- prestazioni farmaceutiche;
- prestazioni infermieristiche ed assistenziali;
- prestazioni riabilitative atte ad impedire gli
effetti involutivi del danno stabilizzato con
particolare riguardo alla rieducazione dell’ospite allo svolgimento delle normali attività quotidiane (deambulazione ed azioni
elementari di vita anche con idonei supporti) nonché alla rieducazione psico-sociale,
soprattutto attraverso la terapia occupazionale;
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- prestazione di sostegno psicologico;
- attività di rianimazione e ludico-ricreative;
- prestazioni di tipo alberghiero, comprendenti alloggio, vitto e servizi generali.
Nel territorio della Puglia esistono 11 Rsa
gestite dal Consorzio San Raffaele, come
deliberato dall’ARES nel 2004.
La complessità assistenziale
Nel processo di assistenza infermieristica è
basilare definire quali sono i criteri utili per
stabilire quale paziente richiede maggiori
attenzioni e cure, quindi occorre definire la
complessità assistenziale.
La complessità assistenziale è un criterio indispensabile per un’equilibrata e sostenibile
allocazione delle risorse umane; permette
di individuare due importanti indicatori:
o La centralità dell’assistenza infermieristica nel processo assistenziale,
o L’osservabilità e la misurabilità dell’assistenza infermieristica.
È necessaria una valutazione della complessità, quindi, anche dal punto di vista infermieristico e non solo clinico, anche perché analizzando un singolo caso la complessità clinica e la complessità assistenziale infermieristica non necessariamente
coincidono.
Il modello che definisce la complessità deve
tener conto della specificità dell’approccio
infermieristico, orientato ai bisogni e all’autonomia del paziente più che alla patologia.
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L’obiettivo è quello che la valutazione della
complessità assistenziale diventi una necessità ed essere utile agli infermieri:
- a garantire prestazioni sicure ed adeguate alle necessità del paziente;
- a migliorare la documentazione del
lavoro infermieristico;
- a supportare gli operatori nella presa
di decisioni;
- la valutazione continua dell’attività
infermieristica diventa un metodo di
lavoro che contribuisce a migliorarsi.
La complessità assistenziale è un progetto
di presa in carico della persona e dei caregivers ad elevata integrazione, in cui il
progetto di vita della persona può essere a
rischio, compromesso/invalidato, o che ha
bisogno di essere riportato alla possibilità di
essere gestito dalla persona /caregivers.
Il modello per la lettura della complessità
assistenziale consente di leggere e analizzare le funzioni infermieristiche in relazione
alle necessità bisogni delle persone assistite.
Sulla base di quanto descritto i pazienti possono essere inseriti in tre livelli di
complessità assistenziale:
complessità assistenziale bassa;
complessità assistenziale media;
complessità assistenziale alta.
Per fare ciò è necessario “misurare” il
peso assistenziale del paziente in base
alla:
gravità della patologia;
instabilità della patologia;
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livello di dipendenza dalle cure
infermieristiche;
tempo necessario a compiere le
azioni infermieristiche;
livello delle procedure necessarie
;
tecnologia necessaria per erogare
l’assistenza
competenze professionali- livello
di formazione necessari.
Nella metodologia della complessità assistenziale è importante:
- Stabilire le priorità, concentrare l’attenzione sui pazienti;
- Personalizzare le cure infermieristiche;
- Ottimizzare le risorse;
- Individuare e sviluppare le competenze necessarie per poter assistere
i pazienti.
- Che l’infermiere decida se effettuare
direttamente gli interventi o se demandarli agli operatori di supporto.
In quest’ultimo caso l’infermiere mantiene
la responsabilità del piano assistenziale, la
supervisione dell’andamento del processo
di assistenza e la verifica di quanto effettuato da altri.
Da quanto detto finora si può dedurre che,
dove si presentano problemi assistenziali
specifici e “complessi”, sarà necessaria la
presenza di personale infermieristico.
La complessità assistenziale nella Rsa
di Ostuni
La Rsa di Ostuni è ubicata nel vecchio ospe-
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dale “Tanzarella”, attivo dagli anni 50 sino al
1993 ; è stata inaugurata nel dicembre del
2006, ha 62 posti letto; suddivisi per 2 piani:
30 p.l. al 1’ e 32 p.l. al 2’ di cui 12 destinati
al modulo Alzheimer .
L’ U.V.M., dopo aver valutato il paziente ed
espresso il proprio parere sull’idoneità o
meno del suo ingresso in Rsa, trasmette
alla struttura l’autorizzazione con il tempo
di durata del ricovero e la stessa è inserita nella lista d’attesa, utilizzata seguendo i
parametri della cronologia e dell’urgenza
(ricovero in ospedale e necessità dell’inizio
della riabilitazione).
Nel momento in cui è disponibile il posto letto, la struttura contatta l’ospite e viene deciso il giorno del ricovero, chiedendo di portare con sé documenti personali, documenti
riguardanti l’anamnesi clinica, ausili se ne
fa uso (deambulatori, carrozzina, panni) e
farmaci.
Al momento del ricovero , dopo l’accettazione dell’ospite , vengono compilate le varie
cartelle e schede valutative, tra le quali il PAI,
strumento assistenziale importante, perché
permette di verificare il raggiungimento degli obiettivi e di avere de visu insieme le valutazioni della intera èquipe, inoltre viene
visionato dalla commissione Asl in sede di
proroga.
È la commissione che può decidere, in
base al raggiungimento o meno degli obiettivi, per la dimissione del paziente, oppure
per una proroga a termine o per una proroga che verrà rivalutata allo scadere della
stessa; oppure la commissione può decide-
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re, nel caso in cui l’ospite non sia in grado di
far ritorno al proprio domicilio, per il ricovero in una struttura con livello di assistenza
inferiore perché inferiori sono le necessità
assistenziali dell’ospite (Rssa) .
Il ricovero di un ospite in Rsa ha sempre
degli obiettivi, dato che secondo la normativa vigente il ricovero ha una durata che
dipende dalla risoluzione o stabilizzazione
dei problemi rilevati all’ingresso, e la durata
è diversa a seconda del tipo di ricovero e
degli obiettivi da raggiungere.
Di rilevante importanza è senz’altro un altro
parametro che incide sia sulla durata del ricovero che sulla complessità assistenziale.
Infatti succede più volte che i problemi, rilevati in fase di valutazione, si accentuino
durante il ricovero, cosa principalmente dovuta al fatto che quasi mai la complessità
clinica e la complessità assistenziale coincidono.
L’approccio e la scelta del piano assistenziale è completamente diversa in un paziente
in cui è difficile pianificare un obiettivo come
un soggetto Alzheimer e in un altro in cui
l’obiettivo assistenziale da raggiungere è
definito come un paziente riabilitativo .
L’esperienza della Rsa di Ostuni e delle altre al momento è positiva, ma almeno per
alcuni soggetti andrebbe superato il vincolo
del tempo (durata del ricovero); l’ospite delle Rsa ha diverse complessità assistenziali
legate a diversi problemi sia di salute che
sociali; non sono rari i casi infatti di persone
che non hanno nessuno e che all’interno di
tali strutture si sentono avvolti non solo dal-
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le cure ma anche dall’affetto degli operatori
sentendosi come a casa.
Metodi per la misurazione della c.a.
È necessaria una valutazione/misurazione
della complessità assistenziale anche dal
punto di vista infermieristico e non solo clinico; il modello che definisce la complessità deve tener conto della specificità dell’approccio infermieristico, orientato ai bisogni
e all’autonomia più che alla patologia.
In quest’ottica è quanto mai importante la
discrezionalità decisoria dell’infermiere che
in maniera autonoma deve saper decidere
fino a quando poter gestire l’evento critico
e quando invece richiedere l’intervento del
medico.
È necessario trasformare i modelli teorici in
strumenti operativi utili per la gestione quotidiana:
- strumenti per misurare la complessità assistenziale;
- modalità di utilizzo dei risultati.
Lo studio della complessità assistenziale
della Rsa di Ostuni aiuta a comprendere il
“peso” assistenziale degli ospiti, con alcuni
indici più vicini a una complessa unità operativa che ad un Rsa.
Le criticità evidenziate sono correlate principalmente alla crescente complessità clinica assistenziale degli ospiti delle Rsa,
caratterizzati da una maggiore instabilità
clinica, un aumento progressivo dei livelli di
dipendenza e delle disabilità, un aumento
dei bisogni sanitari e delle demenze .
Si rende necessario definire tre livelli di
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complessità assistenziale, considerando
paziente idoneo alla Rsa il paziente con
complessità assistenziale Media (così come
definito dal D.P.R. 14/01/97).
Attraverso la griglia di rilevazione della complessità assistenziale (figura 1) si può così
definire la complessità assistenziale:
1. Complessità Assistenziale Media: da
1 a 4 punti
2. Complessità Assistenziale MedioAlta: da 5 a 8 punti
3. Complessità Assistenziale Alta a Rischio: da 8 punti in su
Analizzando la griglia si evince la seguente
distribuzione:
1. Complessità Assistenziale Media: 40
50
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pazienti presenti
2. Complessità Assistenziale MedioAlta: 12 pazienti presenti
3. Complessità Assistenziale Alta a Rischio: 10 pazienti presenti
Per poter meglio comprendere la complessità assistenziale delle Residenze Sanitarie
Assistenziale proviamo a comparare i diversi risultati ottenuti, attraverso la griglia di
misurazione, in sei delle undici rsa pugliesi
( figura 2) .
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Dalle suddette tabelle si può evincere che
non ci sono grandi differenze riguardo la tipologia di pazienti ed il loro livello di complessità assistenziale in base alle diverse
province della Puglia e che in base ai posti
letto previsti per ogni struttura è piuttosto
alta la percentuale di ospiti con complessità
assistenziale medio-alta ed alta a rischio,
intendendo con alta a rischio il pericolo di
non riuscire ad erogare un’assistenza adeguata ad ospiti con diverse criticità visti gli
standard di ogni Rsa che non prevedono
tali casi.
Tale complessità richiede l’attuazione di risposte sanitarie continue e molto complesse, che trovano nella situazione organizzativa attuale una difficile realizzazione.
Il lavoro del coordinatore infermieristico in
Rsa è senz’altro diverso da qualsiasi altra
unità operativa, in quanto si trova a gestire l’assistenza all’ospite in senso completo,
dall’approviggionamento dei farmaci, alle
consulenze esterne.
Definire e misurare la complessità assistenziale può servire ad un coordinatore per:
- gestire il personale infermieristico e di supporto;
- allocare le risorse disponibili secondo il
peso assistenziale effettivo;
- monitorare il carico complessivo del reparto;
- valutare se il personale è adeguato rispetto al carico assistenziale complessivo;
- misurare e documentare il lavoro della propria Rsa;
- confrontare le performance di Rsa diverse;
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- per il miglioramento della qualità assistenziale;
- per l’adeguamento delle prestazioni infermieristiche alle necessità dell’ospite ;
-per la distribuzione delle risorse infermieristiche in base all’intensità sia dal punto
di vista quantitativo (proporzioni infermiere/
pazienti) che qualitativo .
Il ruolo del coordinatore infermieristico in
Rsa abbraccia diverse tematiche, tra le
quali senza dubbio quella di fare da collante tra le diverse professionalità, gli ospiti, i
parenti e le istituzioni e di creare un clima
armonico in cui tutte le attività sono centrate sul benessere dell’ospite.
L’obiettivo del coordinatore infermieristico è
senz’altro quello di trovare soluzioni ai problemi che incidono sul carico di lavoro del
personale; sarà così necessario nei confronti degli infermieri aumentare le conoscenze in modo da essere maggiormente
preparati nelle criticità di difficile soluzione
alle quali si trovano di fronte in assenza del
medico, da qui i periodici corsi di aggiornamento organizzati dal Consorzio San Raffaele sulle casistiche di patologie più frequenti tra gli ospiti da Rsa.
Altra soluzione è quella di dare all’infermiere dei supporti in senso di risorse umane
(come l’aumento degli OSS in servizio ai
quali possono essere affidate problematiche di più semplice soluzione) o di tipo
tecnologico.
Altro sistema messo in pratica nelle strutture del Consorzio è quello di stilare tra i
coordinatori e la direzione infermieristica
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protocolli e procedure per la gestione delle
criticità che più frequentemente si verificano .
E’ importante gestire i rapporti con le istituzioni esterne in modo da considerare la Rsa
(dato che i ricoveri, l’approvvigionamento
dei presidi sono di pertinenza dell’Asl nella
figura dei DSS) come un reparto dell’ospedale se pur sul territorio.
Così come andrebbero consolidati i rapporti con i DSS riguardanti la valutazione dei
nuovi ricoveri e decisi insieme con i componenti l’èquipe socio-assitenziale delle Rsa.
Dall’analisi comparativa delle complessità assistenziale delle Rsa si è potuto
evidenziare che la percentuale dei pazienti
“fuori range da Rsa” è alta, ciò può essere
dovuto o
- alla valutazione di pazienti con complessità assistenziale più alta rispetto a quella
da Rsa,
- può succedere che, quello definito un paziente con c.a. media, all’ingresso in Rsa
non sia stato identificato più tale o per l’aggravarsi delle condizioni cliniche o perché
quella che si può definire c.a. media in un
reparto ospedaliero può diventare una c.a.
medio-alta o alta a rischio in un Rsa (succede nei casi in cui il paziente è sottoposto
a terapie particolari o fa uso di presidi di cui
la struttura non è dotata, o ha bisogno di interventi/accertamenti diagnostici per i quali
sono necessarie lunghe liste d’attesa presso altre strutture).
Altro aspetto importante, da ciò la necessità di coinvolgere l’èquipe dell’Rsa, è che
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va tenuto conto il carico assistenziale già
presente nella struttura.
Studiare la complessità assistenziale in un
Rsa non vuol dire avere delle tabelle e dei
numeri fini a se stessi, ma vuol dire avere
la possibilità di valutare lo specifico grado
di complessità per effettuare una flessibilità
riferibile al carico di lavoro e alle specificità
delle competenze necessarie;aiuta a capire
il rischio che si corre ad avere dei pazienti
che non sono nella media di quelli da Rsa e
cioè di non riuscire ad erogare la giusta assistenza a tali ospiti, e questo è oltre modo
frustrante sia per gli operatori che per gli
ospiti e le loro famiglie che a volte giungono
in Rsa con un vissuto già molto difficile.
Conclusioni
Questo studio porta a delle proposte, alcune di difficile realizzazione, ma non bisogna
dimenticare che il nostro lavoro è volto alla
soddisfazione dei bisogni dell’assistito :
andrebbe stabilito con l’Asl il tipo di
ospite che deve entrare in Rsa e definire
la complessità assistenziale media perché
confrontata con le possibilità, in senso di risorse umane e tecnologiche della struttura;
andrebbe risolta la problematica della
mancanza di altre strutture nel territorio atte
ad accogliere i pazienti in particolari condizioni e troppo complessi per un Rsa (come
pazienti che utilizzano ausili come ventilatori meccanici, psichiatrici non compensati,
terminali od oncologici con somministrazione di chemioterapici);
nel caso di difficile soluzione dei pun-
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ti precedenti andrebbero rivisti gli standard
delle Rsa e rese più adatte ad accogliere il
ricovero di ospiti con c.a. medio-alta e con
c.a. alta a rischio, standard rivisti sia con
l’aumento di personale dal punto di vista
quantitativo che qualitativo con la giusta
formazione e con la creazione di competenze adeguate al tipo di ospite da trattare,
che dal punto di visto tecnologico con la dotazione di ausili – presidi - elettromedicali in
sintonia con le patologie da trattare .
In tale ottica è importante da parte del
Coord. Inf., che è la persona più vicina al
personale, trovare sempre delle soluzioni
non solo dal punto di vista professionale
ma anche da un punto di vista psicologico;
basti pensare ad un neo assunto senza alcuna esperienza precedente che ha bisogno di essere supportato nella gestione di
situazioni così complesse.
È importante saper creare all’interno del
team di lavoro un’ ambiente armonico in
cui ognuno conosca le proprie competenze
e le sappia far fruttare al meglio per agire
in maniera incisiva e positiva nei confronti
dell’ospite.
In questa difficile realtà assistenziale, il
Coordinatore Infermieristico assume, quindi, un ruolo importantissimo, costituendo il
trait d’union tra le diverse figure professionali, ma anche tra realtà interna e realtà
esterna.
Saper essere, saper fare, saper divenire si
costituiscono così come i tratti peculiari di
questo nuovo modo di intendere il Coordinatore Infermieristico.
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etiche e legali, Colleggio Ipasvi Milano, 16/1711-07
Continuità Assistenziale: Modelli a Confronto,
Convegno di Firenze, 03/07/2004
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INFERMIERE E CONTENZIONE:
LIMITI DELLA
CORRETTA APPLICAZIONE
Infermiere e contenzione: limiti della corretta applicazione
( Sintesi de “La responsabilità degli infermieri nella Contenzione Fisica” di :
Rosaria ALVARO, professore associato- presidente Corso di laurea in Infermieristica PediatricaUniversità Tor Vergata;
Lia FERRAZZA Infermiere Centro medico legale INPS;
Riccardo GULOTTA Infermiere SERT;
Giuseppina IASENZA Infermiere Coordinatore Gastroenterologia;
Francesco LEONE Infermiere Rianimazione-Taranto;
Filippo MILANO Medico Legale;
Angelo Massimo MODEO Infermiere Ortopedia e Traumatologia;
Elena PORCU’, coordinatrice Master forense, Centro di Formazione IDI;
Grazia SUMA Infermiere Dirigente)
Complesso e articolato è il ruolo dell’infermiere nella gestione del paziente che può richiedere
interventi contenitivi. Scopo del lavoro è cercare di appurare se una buona assistenza possa influire
sulla riduzione di tali interventi e se questo atto, da tutti ritenuto prescrittivo, richieda all’infermiere
esclusivamente una competenza orientata a “garantire la corretta applicazione delle prescrizioni” o
se il suo può essere un ruolo di co-decisore del processo.
Il ricorso alla contenzione risente fortemente delle norme ideologiche e sociali, del tipo di
sistema sanitario, delle caratteristiche demografiche, delle aspettative del personale, del modello
organizzativo, della normativa, delle attrezzature disponibili, della disponibilità di operatori. Si
tratta di un intervento raramente appropriato, soprattutto nell’anziano1, a causa della sequela di
funzioni fisiche e psichiche2.
1
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Pajusco E, De Leo D. Conseguenze del contenimento sul paziente anziano. In: De Leo D, Stella A, eds. Manuale di psichiatria dell’anziano. Padova:
Piccin 1994:713-25.
2
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L’unica regolamentazione della contenzione è del 19093. La L.180/78 nulla dice su legittimità
e liceità della contenzione, regolamentata, invece, nell’ordinamento penitenziario4.
Difficile, anche, l’individuazione dei dispositivi utilizzabili. È consentita l'immissione in
commercio dei dispositivi recanti la marcatura CE5, ma nel documento Riclassificazione dei
dispositivi non sono presenti presidi riconducibili a mezzi di contenzione. Nei paesi anglosassoni
esistono elenchi e descrizioni dettagliate degli strumenti approvati6-7. Negli USA, detti dispositivi
devono portare la dicitura “da utilizzarsi solo su prescrizione medica”.
Aspetti etico-deontologici
Il Comitato Nazionale di Bioetica, in un parere del 1999, precisa che la contenzione deve
essere “ di breve durata, proporzionata allo stato di agitazione e al rischio”.
Il codice deontologico degli infermieri8 affronta il problema senza alcuna ritrosia. Infatti,
nell’art. 30 si legge: “L'infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia evento
straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali”.
Le indicazioni per una buona pratica si basano principalmente su raccomandazioni di esperti, in
quanto la peculiarità e specificità dell’argomento rendono difficilmente eseguibili, considerando
l’ineleggibilità etica e legale, studi comparati sulla contenzione fisica verso farmacologica o studi su
pazienti trattati con la contenzione verso non trattati.
Dal punto di vista legale, molti sono i reati che possono essere ascritti al professionista, sia che
la contenzione venga posta in essere, sia che ci si astenga dal farlo; è ammessa solo per Stato di
necessità, quindi in casi estremi ed eccezionali.
L’interpretazione giurisprudenziale non è univoca e il caso Muccioli, di cui l’opinione pubblica
si è interessata, è emblematico. Infatti, la giurisprudenza ha diversamente valutato l’accaduto nei
due gradi di giudizio.
3
Regio Decreto del 16 agosto 1909 n. 615
DPR 30/06/00 N°230
5
Decreto Legislativo 24 febbraio 1997, n. 46attuazione della Direttiva 93/42/CEE
6
Goldberg S.L., Legal aspect of restraint use in Hospital and Nursing Homes, H.E.C. 10. pag. 276-289, 1998
7
Miles S. Meyers R., Untying the elderly, Journal of Clinical Ethics, 10(3), pag. 513-524, 1994
8
Codice Deontologico Approvato dal Comitato centrale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI con deliberazione n. 1/09 del 10.01.2009
4
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Punti salienti dei due giudizi del caso Muccioli
Tribunale di Rimini
Corte di appello di Bologna
Reato di Sequestro di persona e Maltrattamenti
concerne la soppressione della libertà non sussiste il reato di maltrattamenti
personale o limitazioni così gravi da qualora gli episodi di vessazione sono
sminuire in modo notevole la funzione costituiti dalla somma dei singoli episodi
sociale dell’individuo
contro più soggetti diversi, essendo
invece necessaria per la sussistenza del
reato in questione una molteciplità dei
fatti contro la stessa persona.
Consenso
Può essere revocato in
momento,
qualsiasi non discrimina, il reato di sequestro di
conservando
tossicodipendente
la
il persona, qualora la privazione della
capacità
di libertà
copra
un
arco
temporale
determinarsi validamente anche in corso incongruamente dilatato
rispetto alle
di crisi di astinenza
del
esigenze
di
recupero
singolo
soggetto o assuma carattere lesivo della
dignità sociale di quest’ultimo
Esito
Delitto
trattenere
di
sequestro
con
la
di
forza
persona: Stato di necessità:
soggetti è collegata alla sussistenza di un
tossicodipendenti, impedendo loro di pericolo attuale di un danno grave alla
allontanarsi dalla comunità terapeutica
persona,
pericolo
da
lui
non
volontariamente causato, né altrimenti
evitabile
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La contenzione nella pratica assistenziale
È utile ed indicata? E’ eticamente e legalmente giustificabile? Sto rispettando i diritti
dell’utente? …….. Questi sono solo alcuni dei quesiti cui il professionista deve dare risposte
eticamente, legalmente e scientificamente valide. Quali i casi in cui la contenzione va attuata?
Caduta:9 evenienza che ricopre una grande percentuale dei ricorsi ad interventi contenutivi,
soprattutto negli anziani.
Considerato il bisogno assistenziale di questi pazienti, è intuibile che una adeguata risposta
può sensibilmente ridurre il ricorso a presidi restrittivi. Una buona anamnesi infermieristica, una
assistenza personalizzata fanno la differenza. Decidere di allocare il paziente vicino alla medicheria
può ridurre l’ansia (o al contrario disturbarlo durante il sonno), sedare il dolore, aiutarlo ad
assumere una posizione comoda, mettere un campanello vicino, utilizzare letti ad altezza variabile,
sono solo alcuni interventi da valutare. Se a questi aggiungiamo prescrizioni mediche che
considerino le abitudini del paziente, prevedendo la somministrazione di farmaci in orari flessibili,
la necessità di alzarsi durante la notte può essere considerevolmente limitata. Si tratta di semplici
soluzioni, ma possono essere utili a ridurre il ricorso alle spondine (per altro ancor più pericolose) o
peggio ancora l’immobilizzazione forzata.
Vagabondaggio: si tratta di abitudini del paziente che, generalmente, si acuiscono quando
questo si trova in un contesto sconosciuto; entra in luoghi riservati, nelle stanze degli altri degenti,
rischia di perdersi. Tra gli interventi vanno attivate: terapie occupazionali, esercizio fisico; inoltre,
può risultare utile fornire il paziente di un bigliettino contenete indicazioni sul reparto.
Effettuare terapie e mantenere in situ tubi vari. Proporre delle alternative potrebbe risultare
abbastanza azzardato, soprattutto considerando l’ampia gamma di dispositivi che possono essere
applicati. Renderli inaccessibili richiede un’assistenza che va oltre quello che si può imparare sui
9
Strumpf N, Evans LK, Schwartz D. Restraint-free care: from dream to reality. Geriatr Nurs. 1990;11(3):122-124
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libri; occorre spirito di osservazione e capacità di fornire un’assistenza alternativa e fantasiosa
(fasciare un catetere alla coscia, organizzare attività ludiche, favorire la presenza di famigliari), ma
soprattutto è importante coinvolgere il paziente, processo indispensabile per ottenere il suo coping;
coinvolgere significa informare, rassicurare, spiegare cosa si deve o è stato fatto, a cosa serve.
Auto e etero lesionismo
In questi casi, se altri interventi alternativi sono falliti, è giustificato un intervento contenitivo,
volto a tutelare l’incolumità del malato o di altri. Il Ministero della Salute, nel progetto Gestione
del rischio clinico10, ha inserito tra gli eventi sentinella il Suicidio di pazienti in ospedale, ai fini
della determinazione di opportuni interventi correttivi.
Il caso dell’RSA
In questi contesti l’infermiere si trova ad operare con ampia autonomia e con saltuaria presenza
di medici, pertanto sarebbe necessario valutare delle forme di prescrizioni ad hoc, per evitare che gli
infermieri si trovino nella penosa situazione di illegalità. Per eludere questa situazione si
dovrebbero considerare interventi prescrittivi alternativi, già disciplinati in altri settori della sanità,
quali sistema 118 e triage. Nell’emergenza sanitaria11-12 si attribuisce all’infermiere la
responsabilità operativa a “manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, nell’ambito di
protocolli decisi dal medico responsabile”. Con questi protocolli13 diagnostici-terapeutici “ è
demandata all’infermiere l’intera gestione assistenziale del caso”. Anche il Consiglio di Stato14 ha
ribadito la legittimità di tali compiti.
Per analogia, e attraverso gli stessi requisiti (adeguata formazione e adozione di protocolli
prestabiliti), si potrebbe prevedere di affidare agli infermieri la responsabilità operativa di praticare
la contenzione in quelle situazioni in cui la prescrizione medica può essere ritardata nel tempo. Si
10
Ministero della salute, Dipartimento della qualità, Direzione generale della programmazione sanitaria, dei livelli di assistenza e dei principi etici di
sistema ufficio III, Prevenzione del suicidio di paziente in ospedale, Raccomandazione n. 4, Ottobre 2006
www.ministerosalute.it/imgs/C_17_pubblicazioni_592_allegato.pdf 11
DPR del 27 marzo 1992 Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza
12
Ministero della Sanità, Atto di intesa tra Stato e Regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del
DPR del 27 marzo 1992. gazzetta Ufficiale 17 maggio 1996
13
Benci L, Aspetti giuridici della professione infermieristica, McGraw-Hill, Milano, 2005, Quarta edizione, p. 202
14
Consigli di stato, 17 luglio 1992, sentenza n. 868
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tratta di co-decisione e co-responsabilità quindi di azione collaborativa tra infermiere e medico,
dove questo ultimo, in momenti cronologici diversi, provvede alla diagnosi e alla prescrizione.
Conclusioni
Ridurre numericamente gli atti contenitivi è possibile, ma, per poter realizzare questo obiettivo, è
necessario attuare un’assistenza di qualità, personalizzata, che metta al centro del proprio interesse
l’uomo malato. Pertanto, la differenza grava pesantemente sugli infermieri, in quanto sono coloro
che, più di ogni altra figura professionale, sono vicini al paziente. Gli infermieri non rivendicano
come propria la prescrizione dell’atto coercitivo, ma ritengono fondamentale la corresponsabilità,
elemento sostenuto anche da un recente studio promosso e finanziato dalla Commissione Europea15.
Quello che ogni infermiere deve chiedere e pretendere non è una legge che stabilisca e
disciplini il suo operato, ma regole professionali, frutto della ricerca e dell’esperienza vissuta.
15
Commissione europea, Ethical Codes in Nursing (ECN), programma Qualità of Life and Managment of Living Resources in D’Addio L. Barazzetti
G. Radaelli S., Responsabilità professionale e contenzione: indagine su una questione fondamentale per gli infermieri italiani, Giornale di Scienze
Infermieristiche, Anno 1, n.0, 2005, p. 10-15
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PROGRAMMA SCIENTIFICO
Programma Scientifico
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2° Edizione Corso:
“Dalla psicomotricità alla
musicoterapia: strumenti di
interazione infermiere-persona”
4° Edizione Corso:
“Dalla psicomotricità alla
musicoterapia: strumenti di interazione
infermiere-persona”
Giorni: 21 settembre Orario: 8,30 - 13,30
22 settembre
15 - 20
25 settembre
15 - 20
Giorni: 19 ottobre
20 ottobre
23 ottobre
Numero partecipanti: 50
Sede del Corso: Collegio IPASVI
Crediti formativi: 14
Costo: € 20 per iscritti Collegio Ipasvi-Ta
€ 50 per iscritti altri Collegi
Destinatari: Infermieri
Iscrizioni dal 2 settembre
Numero partecipanti: 50
Sede del Corso: Collegio IPASVI
Crediti formativi: 14
Costo: € 20 per iscritti Collegio Ipasvi-Ta
€ 50 per iscritti altri Collegi
Destinatari: Infermieri
Iscrizioni dal 2 settembre
3 ° Edizione Corso:
“Dalla psicomotricità alla
musicoterapia: strumenti di interazione
infermiere-persona”
5° Edizione Corso:
“Dalla psicomotricità alla musicoterapia:
strumenti di interazione infermierepersona”
Giorni: 30 settembre Orario: 8,30-13,30
2 ottobre
15 – 20
13 ottobre
15 – 20
Giorni: 30 ottobre Orario: 8,30-13,30
3 novembre
15 – 20
6 novembre
15 - 20
Numero partecipanti: 50
Sede del Corso: Collegio IPASVI
Crediti formativi: 14
Costo: € 20 per iscritti Collegio Ipasvi-Ta
€ 50 per iscritti altri Collegi
Destinatari: Infermieri
Iscrizioni dal 2 settembre
Numero partecipanti: 50
Sede del Corso:
sala convegni “Cittadella della Carità”
Quartiere Paolo VI- Ta
Crediti formativi: 14
Costo: € 20 per iscritti Collegio Ipasvi-Ta
€ 50 per iscritti altri Collegi
Destinatari: Infermieri
Iscrizioni dal 2 settembre
Orario: 8,30-13,30
15 – 20
15- 20
IPASVI
4° Edizione Corso
“Complessità assistenziale: le
ulcere da pressione”
Giorni: 6 ottobre
7 ottobre
Orario: 8-18
8-15
Numero partecipanti: 70 Infermieri
30 Fisioterapisti
Sede corso:
sala convegni “Cittadella della Carità”
Quartiere Paolo VI - Ta
Crediti formativi: 9 per infermieri,
8 per fisioterapisti
Costo: € 25 per Infermieri
€ 25 per Fisioterapisti
Destinatari: Infermieri e Fisioterapisti
Iscrizioni: dal 2 settembre
5° Edizione Corso
“Complessità assistenziale: le
ulcere da pressione”
Giorni: 10 novembre Orario: 8-18
11 novembre
8-15
Numero partecipanti: 70 Infermieri
30 Fisioterapisti
Sede corso:
sala convegni “Cittadella della Carità”Quartiere Paolo VI- Ta
Crediti formativi: 9 per infermieri,
8 per fisioterapisti
Costo: € 25 per Infermieri
€ 25 per Fisioterapisti
Destinatari: Infermieri e Fisioterapisti
Iscrizioni: dal 2 settembre
PROGRAMMA SCIENTIFICO
“La movimentazione centrata sulla
persona (MCP): una buona pratica
infermieristica per il governo del rischio
da movimentazione dei pazienti”
Giorno: 8 ottobre
Orario 8- 16,30
Numero partecipanti: 100
Sede del corso: Collegio IPASVI-Ta
Crediti formativi: 4
Costo: € 20
Destinatari: Infermieri
Iscrizioni: dal 2 settembre
In fase di organizzazione:
1) Corso di aggiornamento(titolo
provvisorio)
“Management infermieristico in Burn-out”
Destinatari: 80 Infermieri
2) Incontri di neonatologia
“Il neonato e dintorni… Globalità,
interdisciplinarità, integrazione
nell’assistenza neonatale”
Destinatari: 80 Infermieri,
80 Infermieri Pediatrici,
40 Ostetriche
Importante!
MODALITÀ DI
ISCRIZIONE AI CORSI
L’iscrizione va fatta presso la sede
del Collegio nei giorni e negli orari di
apertura.
Non saranno accettate richieste di
partecipazione al di fuori dei giorni e
degli orari indicati.
Non si accettano iscrizioni via fax ed
e-mail
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IPASVI
TARANTO
CENTRO DI FORMAZIONE
E DIIPASVI
STUDI SANITARI
“Padre Luigi Monti”
A.A. 2009-2010
UNIVERSITA’ DI ROMA
TOR VERGATA
MASTER UNIVERSITARIO
di 1º Livello in
MANAGEMENT INFERMIERISTICO
PER LE FUNZIONI DI COORDINAMENTO
Ai sensi del D.M. 509/99
Il Master ha l’obiettivo di fornire conoscenze avanzate e sviluppare le competenze per la gestione delle risorse umane ed economiche dei processi assistenziali ed organizzativi delle unità
operative, nell’ambito delle organizzazioni sanitarie.
Ha una durata di 1500 ore, corrispondenti a 60 Crediti Universitari (CFU), distribuite in 6 moduli.
Le lezioni teoriche, le esercitazioni, le simulazioni ed i seminari
si svolgeranno prevalentemente presso la struttura del COLLEGIO
IPASVI di Taranto, via Mazzini 37/D.
Al termine di ciascun Modulo verranno sostenuti gli esami dei
corsi integrati previsti e la valutazione del tirocinio. Gli studenti ammessi all’esame finale discuteranno una tesi su tematiche
gestionali.
Con l’esame finale verrà rilasciato dall’Università degli Studi di
Tor Vergata il “Diploma di Master di 1º livello in Management
infermieristico per le funzioni di coordinamento”.
Taranto - Colonna dorica
Il Master è riservato ad infermieri, infermieri pediatrici ed
ostetriche.
62
Bando: http://www.idi.it/poloinfermieri/index.htm
Informazioni: [email protected]
Tel. 06.393.660.59/62 - 099.459.26.99
Iscrizioni: http://www.delpho.uniroma2.it
Preiscrizioni: dal 4 maggio 2009
Per informazioni rivolgersi al Collegio IPASVI di Taranto nei giorni
martedì-venerdì.
IMPORTANTE
Controllate frequentemente il sito www.infermieritorvergata.com per
la pubblicazione del bando di partecipazione alla selezione
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AVVERTENZA
VARIAZIONE DI INDIRIZZO
Si invitano gli iscritti, in caso di modifica degli indirizzi, a
darne tempestiva comunicazione al Collegio
La seconda parte del Progetto “Promozione ed Educazione alla Salute” sarà pubblicata nel prossimo numero
IL COLLEGIO RESTERA’ CHIUSO DAL 12 AL 18 AGOSTO.
L’apertura pomeridiana del venerdì è soppressa fino
al 31 agosto
NORME EDITORIALI
1.
2.
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4.
5.
"La parola a noi" pubblica - previa approvazione del Comitato di Redazione - articoli
inerenti la professione infermieristica, la formazione, la legislazione sanitaria, nonché
tutto quanto concerne l'attività infermieristica.
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Gli articoli dovranno essere corredati dal nome dell'autore, dalla qualifica
professionale, dal nome dell'Ente di appartenenza.
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