Maurizio Dardano, Gianluca Frenguelli, Gianluca Colella

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Maurizio Dardano, Gianluca Frenguelli, Gianluca Colella
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol I, pp. 193-202
Il lessico della narrativa contemporanea (2002-2006)
Prove di lettura e d’inventario
Maurizio Dardano*, Gianluca Frenguelli**, Gianluca Colella**
*Università di Roma Tre, **Università di Macerata
Abstract
Il presente contributo si propone di avviare uno studio dei materiali lessicali presenti nella narrativa dell’ultimo quinquennio. Di sette
romanzi di successo (G. De Cataldo Romanzo criminale 2002, M. Mazzucco Vita 2003 e Un giorno perfetto 2005, P. Buttafuoco Le
uova del drago 2005, S. Veronesi Caos calmo 2005, S. Niffoi La vedova scalza 2006, M. Venezia Mille anni che sono qui 2006) si
sono esaminati in particolare i seguenti fenomeni: 1) uso dei traslati e “profilo combinatorio” dei vocaboli, considerati importanti per
la rilevanza quantitativa e tematica; 2) analisi di neologismi (con svolgimenti nei campi della formazione delle parole e dei linguaggi
settoriali) e forestierismi (soprattutto anglismi); 3) analisi di dialettismi e gergalismi. Sono presi in considerazione anche altri tratti che
contribuiscono a fondare la specificità stilistica delle opere: griffes, onomatopee, nomi parlanti, citazioni, elenchi ecc. Osservati nei
loro contesti e nella prospettiva delle loro motivazioni, tutti questi materiali permettono di compiere rilievi concernenti alcuni caratteri
dell’enunciazione e della testualità.
1. Premessa1
Negli studi dedicati alla lingua della narrativa
contemporanea sono analizzati per lo più fenomeni
riguardanti la sintassi, la testualità e lo stile2. Minore
attenzione è dedicata al lessico. Ciò dipende da varie
cause. Un confronto tra il GDLI e il GRADIT3 mostra che
anche i grandi dizionari, nell’accogliere i narratori degli
ultimi decenni, seguono criteri piuttosto diversi e talvolta
penalizzanti un settore non certo secondario della nostra
prosa: qualche attenuante tuttavia va concessa al
lessicografo, disorientato di fronte al proliferare delle
scelte linguistiche. Non aiutano i repertori di neologismi,
che raccolgono per lo più vocaboli ed espressioni mediali
(Adamo e Della Valle, 2003; Bencini e Manetti, 2005). Il
diritto d’autore impedisce la preparazione di archivi
elettronici e la pubblicazione di raccolte sistematiche.
Anche Internet non offre materiali selezionati e ben
ordinati per analisi approfondite. Per interpretare
dialettismi e gergalismi non noti a tutti i lettori si
approntavano un tempo brevi glossari, posti in appendice
alle opere: tale prassi è venuta meno negli ultimi anni. Il
lessico della narrativa contemporanea è studiato mediante
campioni piuttosto circoscritti (e talvolta scelti unicamente
sulla base del gusto e della sensibilità dei ricercatori). È la
via seguita anche nel presente contributo. È augurabile che
in futuro tali indagini s’intensifichino e diventino più
rigorose.
La nostra comunicazione vuole fornire un primo
contributo in vista degli obiettivi da raggiungere.
Abbiamo analizzato sette romanzi usciti negli ultimi
cinque anni: G. De Cataldo Romanzo criminale, Einaudi,
2002 [ROM], M. Mazzucco Vita, Rizzoli, 2003 [VITA] e Un
1
Questo articolo è il frutto di una collaborazione fra i tre autori,
ciascuno dei quali si assume la responsabilità delle procedure
seguite e dei risultati ottenuti. 1, 2 e 5 sono stati scritti da M.D.,
3 da G.F., 4 da G. C. Rispetto alla comunicazione esposta a
voce, nel testo scritto lo spoglio è stato esteso ad altri due
romanzi pubblicati nel 2006: La vedova scalza di S. Niffoi e
Mille anni che sono qui di M. Venezia. Nelle note si è tenuto
conto anche di altri testi.
2
Si vedano: Dardano (1999 e 2001), Berisso (2000), Della Valle
(2004 e 2005) e Antonelli (2006).
3
Precisamente tra il GDLI (vol. XXI: 2002, Supplemento 2004)
e il GRADIT (1999, Nuove parole 2003).
giorno perfetto, Rizzoli, 2005 [GIORNO], P. Buttafuoco Le
uova del drago, Mondadori, 2005 [DRAGO], S. Veronesi
Caos calmo, Bompiani, 2005 [CAOS], S. Niffoi La vedova
scalza, Adelphi, 2006 [VEDOVA], M. Venezia Mille anni
che sto qui, Einaudi, 2006 [MILLE].
Grazie alla cortesia di G. De Cataldo, M. Mazzucco e
S. Veronesi, che hanno messo a nostra disposizione i files
dei loro romanzi, siamo stati agevolati nella ricerca di
vocaboli ed espressioni utili ai nostri fini. I romanzi sono
stati scelti principalmente in base a due criteri:
1) l’aver riscosso un successo di vendite (ROM, VITA,
GIORNO, DRAGO, CAOS);
2) l’aver contestato la “medietà linguistica” che
prevale nell’odierna narrativa italiana: è il caso di VEDOVA
e, in misura minore, di MILLE.
La prassi del cut up – realizzata anche con mezzi
grafici e iconici4 – e del collage, nonché la ricerca della
cosiddetta “polifonia”, caratteri ricorrenti nei romanzi qui
esaminati, hanno favorito l’afflusso di neoformazioni,
tecnicismi,
forestierismi,
dialettismi,
gergalismi,
giovanilismi ecc. Nell’avviare lo studio del lessico di
queste opere, a parte il riscontro della componente
standard5, la nostra attenzione si è concentrata soprattutto
sui settori ora menzionati.
4
In GIORNO (p. 77-81) il maiuscoletto è usato per indicare le
fermate dell’autobus e per citare i messaggi pubblicitari che
Emma legge durante il tragitto sul mezzo pubblico.
5
A proposito di tale componente va detto che le scelte lessicali
corrispondono in genere allo status sociale dei personaggi. In
GIORNO Emma (con i figli Kevin e Valentina), da una parte, Maja
(con la figlia Camilla), dall’altra, rappresentano bene, anche
nella prospettiva della lingua, gli ambienti diversi cui
appartengono: popolare e degradato, nel primo caso,
medioborghese e falsamente sofisticato, nel secondo. Nel parlato
di Emma sono presenti numerosi vocaboli ed espressioni
regionali, nonché tratti morfosintattici poco formali (tra l’altro
l’indicativo in luogo del congiuntivo, v. GIORNO, p. 89); allo
stesso modo nel parlato dell’anziana madre di Emma affiorano
vari malapropismi (v. 20). Al contrario l’ambiente
medioborghese è connotato da particolari scelte lessicali, che
affiorano anche nella narrazione: «La scuola distava da casa
poco più di dieci minuti», «Indignata dalla sfacciataggine del
roditore», «il retrogusto nauseante di una notte amara e di
ribollenti, tetri pensieri», «fra le deiezioni canine e i
motoscooteristi prepotenti» (GIORNO, pp. 82, 83, 84).
Maurizio Dardano et al.
Tracciare confini nel vocabolario di un narratore
rappresenta per il linguista una non eliminabile operazione
di base, la quale può essere compiuta più facilmente nei
romanzi del passato6; infatti è più difficile individuare
confini nei vocabolari di autori contemporanei, dediti a
un’attiva e programmata mescidanza di parole ed
espressioni di diversa provenienza. La nostra analisi non
focalizza singoli autori o singole opere (come accade, per
es., in Mengaldo, 1994 e in Gatta, 2000), ma piuttosto
fenomeni e fasci di fenomeni, secondo una tipologia che
andrà perfezionata e sviluppata in ricerche più estese. Ci
siamo serviti per ora di una campionatura essenziale, col
proposito di avviare in un secondo tempo una più ampia
esplorazione dei materiali lessicali della narrativa degli
ultimi anni mediante schedatura su supporto informatico.
La mescidanza delle varietà lessicali, fenomeno
particolarmente diffuso ai giorni nostri, fa sì che molti
vocaboli ed espressioni possano essere attribuiti a più di
un settore. Ciò ovviamente complica, ma, al tempo stesso,
rende più interessante l’analisi: nel senso che si pongono
problemi di metodo (finora scarsamente studiati), i quali
sono discussi nel par. 2. In seguito analizzeremo
neologismi e forestierismi (par. 3), regionalismi e
gergalismi (par. 4).
2. Catalogare va bene, ma occorre fare
anche altre cose
Dopo la catalogazione i materiali lessicali ricavati dai
sette romanzi sono soggetti a un’analisi di secondo livello,
nella quale si esaminano (con pochi esempi in questa
occasione): a) l’uso dei traslati e il loro potere espressivo;
b) il “profilo combinatorio” di vocaboli, considerati
importanti per la loro rilevanza quantitativa e tematica;
s’intenda: vocaboli che rinviano all’ispirazione
fondamentale dell’opera, al suo tema predominante.
Per quanto riguarda a), consideriamo quattro
similitudini introdotte da come e tre metafore.
Similitudini: «Le parole inquietanti [...] gli avviluppavano
il cervello come carta moschicida» (GIORNO, p. 24), «Maja
dentro granulosa e soffice come una babbuccia di seta. E
adesso asciutta, quasi abrasiva» (GIORNO, p. 30), «Si
stanno più o meno tutti guardando attorno, con le orecchie
ritte, impauriti come scimmie nella savana» (CAOS, p. 37),
«Le case di Taculè sono come pallettoni sparati nella
roccia» (VEDOVA, p. 47: è il titolo del cap. IV). La ricerca
analogica si svolge in diverse direzioni, pur avendo in
comune l’accostamento di referenti lontani tra loro,
rispettivamente: intelletto − oggetto basso (ripugnante),
sesso femminile − oggetti comuni, esseri umani − animali,
cose grandi − cose piccole (queste ultime denominate
antifrasticamente da un accrescitivo “convenzionale”).
Comune alle quattro similitudini è una forte connotazione
che rinvia a temi di fondo: la tragica banalità del
quotidiano in GIORNO e in CAOS, la violenza in VEDOVA (il
fucile da caccia uccide uomini e animali).
Metafore: «il sorriso incistato di orrore» (CAOS, p.
429), «nei suoi occhi ora c’è un frastuono di male e di
bene» (CAOS, p. 318: metafora e sinestesia), «Le case di
via Garibaldi erano per la maggior parte ridotte a
pietrame, con stoffe e velluti di divani fra le travi e lo
6
Si vedano a tale proposito Bricchi (2000) e Zangrandi (2002).
scheletro dei balconi in ghisa; erano stomaci sbrecciati da
cui fuoriuscivano tubazioni, cannicciate, letti in bilico:
budella sbucate dalla pancia a forza di coltellate» (DRAGO,
p. 66). Nella coppia antitetica sorriso − orrore s’inserisce
iconicamente un aggettivo verbale (parasintetico) tratto
dal linguaggio della medicina7, il quale potenzia la
negatività propria del secondo sostantivo. L’antitesi male
− bene è invece esaltata dalla forte sinestesia occhi −
frastuono. Le case sono “sventrate”: mostrano infatti le
loro budella in un quadro di tragica disumanizzazione.
Bastino per ora questi rapidi cenni: il discorso − è ovvio −
va approfondito con altri esempi. Formuliamo due
domande: questi traslati aiutano a raggiungere il centro
dell’opera? i traslati della narrativa contemporanea
(spesso innovativi e sperimentali) in che cosa differiscono
dai traslati (spesso ripetitivi e stereotipici) dell’odierno
linguaggio giornalistico?8
Di alcuni vocaboli significativi, individuati nei sette
romanzi, si è studiato il “profilo combinatorio” [PC], vale
a dire «la struttura schematica di vicinanza sintattica e
semantica di una parola-cerniera (mot pivot), come si
manifesta in un corpus ampio». Oltrepassando la visione
tradizionale della combinatoria dei nomi e delle loro
collocazioni, Blumenthal (2002), da cui è tratta la
citazione, di un nome studia: 1) la valenza; 2) le
costruzioni diverse da quelle relative alla valenza; 3) le
costruzioni “V + N” e “Prep + N”; 4) il ruolo nelle
relazioni transfrastiche, vale a dire i valori anaforici.
L’identità semantica della parola-cerniera è caratterizzata
dal suo contesto. Il PC di una parola-cerniera prende
l’aspetto di un frame o script9. Ci domandiamo: questo
tipo di analisi può essere applicato alla narrativa? Noi
crediamo di sì. Certo il passaggio dai testi pragmatici
(esaminati dallo studioso tedesco) ai testi narrativi
richiede adattamenti nel metodo e nelle procedure. Un
conto è esaminare i contesti giornalistici in cui cadono
sostantivi come politica, partito, governo o aggettivi come
economico, sindacale, islamico ecc. e un conto è
esaminare i contesti in cui cadono vocaboli come faccia in
ROM (71 occorrenze), luce in GIORNO (74), corpo e figlia in
CAOS (29 e 71).
Individuare il PC di vocaboli (ritenuti a vario titolo
importanti nell’ambito di un romanzo) è senza dubbio un
7
incistarsi: «med. di corpo estraneo o ascesso, venire avvolto da
una formazione di tipo cistico» (GRADIT).
8
Anche la lingua dei giornali si dimostra propensa all’uso di
traslati, ma questi appartengono perlopiù a settori diversi da
quelli preferiti dai narratori contemporanei; inoltre, come accade
nel mondo dei media, si riscontra una notevole ripetitività: si
ritrovano traslati analoghi ma dotati di diversi contesti; eccone
due esempi tratti da articoli di fondo: «cortocircuito giudiziariomediatico» (Piero Ostellino, “Corriere della sera”, 18/6/2006, p.
1), «l’imbarbarimento morale, il galoppo degli egoismi, lo
sfascio costituzionale, lo sfarinamento delle istituzioni»
(Eugenio Scalfari, “la Repubblica”, 18/6/2006, p. 1).
9
Si distingue tra: “profilo aspettuale”, “p. ontologico”, “p.
paradigmatico”, “p. di saturazione”. Si tratta di parametri della
parola parzialmente misurabili, i quali possono fornire dati sulla
varianza (nel senso statistico) di dati riguardanti il PC. Anche da
questi rapidi cenni appare evidente che il concetto di PC si
differenzia da quello tradizionale di “formula”, “espressione
formulare” e simili.
Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006)
procedimento utile alla nostra analisi, anche nella
prospettiva dell’interrelazione lessico-sintassi: rapporto tra
PC, da una parte, paratassi e nominalizzazioni, dall’altra.
Che l’uso dei lessemi di una data lingua sia condizionato
anche dalla loro collocazione, come risulta dalla
linguistica dei corpora (Veland, 2006), è un principio
certamente valido anche per i testi narrativi. Per
comprendere il modo in cui sono rappresentati personaggi
ed eventi appare utile al linguista (e non soltanto al
linguista) analizzare alcuni significativi accostamenti di
vocaboli: «stupore plastico» (CAOS, p. 270), «raglio di
clackson» (CAOS, p. 311), «aura cazzutissima» (CAOS, p.
129)10, «camminata masticata» (DRAGO, p. 59), «lame
d’afa» (DRAGO, p. 91); e si veda anche il rilievo che simili
coniunctiones raggiungono nella frase nominale:
«Sguardo subacqueo, sudore, nuda parola, grigio
arrendersi» (CAOS, p. 227)11.
Nello stile nominale rientra anche la struttura
elencatoria usata dal narratore o da un personaggio. In
CAOS appaiono sette elenchi (i primi due sono “Elenco
delle compagnie aeree con cui ho volato”, “Elenco delle
ragazze che ho baciato”). In GIORNO si elencano armi (p.
177) e obiettivi aziendali (p. 133). Stilare elenchi può
essere interpretato come sintomo di una moderna nevrosi.
Tuttavia l’esempio di Nick Hornby può far pensare a una
sorta di stigma, di “blasone di appartenenza”12. Questo
non è l’unico fenomeno d’importazione. Le mode
d’oltreoceano (a far data dall’influsso della beat
generation) hanno avuto un peso notevole nel diffondere
nella nostra narrativa onomatopee, griffes e, soprattutto,
frammenti canzonettistici (blues, rock, hip-hop). Se in un
racconto ambientato in Sardegna, nel periodo tra le due
guerre, viene inserita un’onomatopea lessicale da
cartoons, dobbiamo riconoscere che c’è sotto qualcosa
(ironia? allusioni? pop art?): «Le onde rispondevano
mordendo l’orlo della battigia: slàsh, slàsh, slàsh, slàsh.
Sembrava avesse una bocca invisibile il mare, che
vomitava sabbia e poi la inghiottiva di nuovo. Slàsh, slàsh,
slàsh, slàsh» (VEDOVA, p. 89); la ripresa dell’intera serie
evidenzia inoltre il forte intento iconico del passo. Invece
rientrano per così dire nella norma altre onomatopee:
STU-TUN, sclomp, boing, bumbumbum (CAOS, pp. 130,
217, 351, 360).
Vi sono anche altri ingredienti. Un testo di Lou Reed
Perfect day incornicia GIORNO: appare infatti in esergo e
prima del capitolo-cronaca finale13. E si veda ancora un
10
Vedi l’esempio (25).
Sintagmi come raglio di clackson e lame d’afa ricordano i
«cortocircuiti analogici di tipo sintetico in cui il figurante funge
tramite di, da sostegno del figurato: “tufo del tempo”, “feto di
pace”». Sono esempi che Mengaldo (1994: 213) trae da Rebora.
12
Alta fedeltà di Nick Hornby (trad. ital., Parma, Guanda, 1996)
esibisce in apertura un elenco di cinque persone che hanno
procurato all’io narrante «le cinque più memorabili fregature».
13
La citazione musicale è un tratto della narrativa italiana che si
afferma dapprima con Pier Vittorio Tondelli (Altri libertini,
1980). Anche DRAGO (un “romanzo storico”) apre con una
citazione di Franco Battiato. Riferimenti a canzoni e a
personaggi del mondo della musica sono presenti in quasi tutti i
romanzi analizzati. A tal proposito è interessante una citazione
tratta dal romanzo Un destino ridicolo di F. De André e A.
Gennari (1996): «Che tristezza. Una volta erano i romanzi a
11
passo scelto a caso: «“Hakuna matata, Kevin. Adesso
devo andare”, ripeté Emma, sciogliendosi con strazio da
quell’abbraccio» (GIORNO, p. 90)14. Il recupero della voce
(per lo più gridata ed esibita con rilievo fonico e grafico)
influenza le scelte lessicali15.
Il comune denominatore di questi fenomeni è la ricerca
dell’eterogeneità: chi narra vuole dimostrare che i pezzi
esibiti non sono suoi prodotti, ma piuttosto prestiti da altri,
intrusioni del reale nella fiction.
3. Neologismi, forestierismi e altro
(1) Abbiamo appena fatto surf, io e Carlo. Surf: come
vent’anni fa. Ci siamo fatti prestare le tavole da due
pischelli e ci siamo buttati tra le onde alte, lunghe,
così insolite nel Tirreno che ha bagnato tutta la nostra
vita. Carlo più aggressivo e spericolato, ululante,
tatuato, obsoleto, col capello lungo al vento e l’orecchino che sbrilluccicava al sole; io più prudente e
stilista, più diligente e controllato, più mimetizzato,
come sempre. La sua famigerata classe beat e il mio
vecchio understatement su due tavole che filavano al
sole, e i nostri due mondi che tornavano a duellare
come ai tempi dei formidabili scazzi giovanili –
ribellione contro sovversione –, quando volavano le
sedie, mica scherzi. (CAOS, p. 11).
L’incipit del romanzo di Veronesi è un esempio
paradigmatico del lessico della nostra recente narrativa. In
poche righe sono presentati tutti gli ingredienti tipici di
questo genere: anglismi, dialettismi, colloquialismi,
giovanilismi. Poco oltre c’imbattiamo in affissati e
composti, nonché in quelle griffes che da tempo, nella
narrativa occidentale, connotano uno stile di vita. Si va da
nomi inventati, come Barrie (CAOS, p. 185) − sono i jeans
disegnati da Carlo, fratello del protagonista16 −, o come
Cioccolato Brick (CAOS, p. 355), a noti marchi di
abbigliamento, come Freitag (CAOS, p. 281) o Krizia,
(CAOS, p. 261). Non mancano denominazioni che rinviano
alla quotidianità: i fazzoletti kleenex che ricorrono in CAOS
(p. 101) e in GIORNO (p. 252) (ma può trattarsi di una
denominazione generica), il vino laziale Est-Est-Est (ROM,
p. 470), la lampada a forma di stella dell’Ikea (CAOS, p.
331). Anche il mondo dei giochi è ben presente: Gameboy, Carte Magic, Play station (CAOS, pp. 67, 143, 319; in
GIORNO, p. 43: playstation). In base a quale criterio
avvengono queste scelte? Si scelgono oggetti alla moda e
di prestigio.
Gli ambienti e i personaggi descritti in alcuni romanzi
portano con sé numerose griffes. È naturale che in ROM
abbondino le armi da fuoco: Beretta vi compare 11 volte,
Winchester 2 volte, non mancano la Colt e la meno nota
Bernardelli:
ispirare le canzoni, non viceversa» (p. 114). Su questi aspetti v.
Casini (1998).
14
Dalla colonna sonora del film Il Re Leone (Disney Records).
15
Nello stesso romanzo i ringraziamenti finali (una prassi che da
qualche tempo “fa parte” della narrazione) sono qualcosa di più
di un semplice coinvolgimento: esprimono infatti solidarietà e al
tempo stesso narcisistica ricerca di prestigio.
16
Forse non è casuale il fatto che Barrie Pace sia una marca
straniera (sconosciuta in Italia) di abbigliamento femminile, che
effettua le vendite su Internet.
Maurizio Dardano et al.
(2) Fierolocchio si dovette accontentare di una Colt
canna corta a sei colpi. Il Freddo scelse una
Bernardelli long-rifle. (ROM, p. 183).
I personaggi non si accendono sigarette, ma Marlboro
(ROM, p. 65 e passim) e Gitane (CAOS, p. 66). Delle
automobili e delle motociclette è sempre indicata la
marca, talvolta anche il modello:
(3) Possiedo […] un’Audi A6 3000 Avant nera piena di
optional costosissimi. (CAOS, p. 27).
Rispetto alla narrativa di alcuni anni fa, si assiste a una
precisione nomenclatoria che colpisce varie categorie di
oggetti: in genere, oggetti prestigiosi e caratterizzanti o
ipercaratterizzanti situazioni e ambienti. La tendenza al
plurilinguismo comporta un uso piuttosto esteso di
vocaboli ed espressioni delle scienze e delle tecniche. Gli
apporti provengono dalle discipline più disparate:
dall’informatica, che la fa da padrona, alla medicina,
dall’economia alla matematica. A proposito di
quest’ultima, ecco frattale, usato come aggettivo, in un
contesto piuttosto particolare:
(4) La bidella Maria chiede ai genitori di non accalcarsi
al portone, di sistemarsi a semicerchio tutt’intorno, e
il suo intervento produce un minimo di geometria
nella frattale complessità dell’assembramento (CAOS,
p. 48).
Dunque da geometria, vocabolo usato talvolta con
accezione traslata17, si passa al tecnicismo estremo
frattale. Anche in altre occasioni Veronesi appare incline
a “forzare” i traslati e, al tempo stesso, a promuovere l’uso
di settorialismi per una finalità espressiva o, per meglio
dire, ludica; ciò accade in una similitudine zoomorfa,
piuttosto particolare, riferita a un personaggio:
(5) La sua bruttezza, […] in quel disarmo totale risaltava
come nuda: la pelle del viso straziata dall’acne, la
bocca del tutto priva di labbra, la fronte abnorme e
sporgente – da casuario, come aveva notato Claudia.
(CAOS, p. 80).
Nella descrizione dello stesso personaggio, eseguita dal
narratore interno e in un contesto simile, si ritrova il
termine pleistocene:
(6) Però molto più brutto di Harvey Keitel. Molto più
ridicolo, soprattutto: con quella fronte da pleistocene
e quel giubbottino da adolescente che gli striminziva
il busto. (CAOS, p. 89).
Come le armi, così anche le espressioni burocratiche si
addicono all’atmosfera di ROM, dove a volte compaiono
“citazioni” di verbali e di memorie giudiziarie:
(7) Occorre una puntuale e rigorosa indagine su ciascuno
dei punti posti in premessa nelle rivelazioni (omissis)
17
Cfr. «la perfetta geometria della Commedia», «geometria di
concetti» (Gioberti, cit. in GDLI), «un ragionamento
geometrico».
tenendo conto che nessun valido indice di credibilità
può essere desunto dalla gravità e dal numero dei
fatti dedotti dalla fonte e dimostratisi veri: come si
può sapere con certezza quanti fatti realmente
conosca la fonte e quanti ne abbia taciuti, e se abbia
taciuti i fatti più importanti e a sé maggiormente
pregiudizievoli? (ROM, p. 527) 18.
E ora un rapido controllo dei forestierismi. Abbiamo
privilegiato quelli non adattati perché possiedono in
genere una maggiore carica connotativa.
Come di consueto, l’inglese domina incontrastato
rispetto ad altre lingue straniere con circa l’80% delle
occorrenze. Vi sono anglismi di ampia circolazione: jointventure (ROM, p. 133), open-space (CAOS, p. 60), roommate (CAOS, p. 122), understatement (CAOS, p. 11). Vi sono
vocaboli specifici: klakfoam (CAOS, p. 21) è il materiale
con cui è stata fabbricata la tavola da surf, slice e top-spin
(CAOS, p. 357) appartengono al vocabolario tennistico.
Il fatto che nel nostro corpus siano presenti stereotipi
giornalistici, come self-made man (ROM, p. 581) e
numerosi prestiti di lusso, come baby-boomers, producer
(essere) out, jump-cut (CAOS, pp. 71, 93, 144, 371),
conferma il valore stilistico di tali riprese, «la [loro]
funzione di riconoscibilità sociale» (Berisso, 2000: 478).
Sull’anglismo si disquisisce metalinguisticamente:
(8) un’ora e mezza persa per scoprire come si dica in
inglese “porta-lattine estraibile” [...] “cup-holder”,
“can-holder”, “bottle-holder”? (CAOS, p. 372);
l’anglismo fa “etichetta”:
(9) Niente a che vedere con il “robbery & sex”, con
rapine e sesso come luoghi dell’immaginario adottati
dal linguaggio comune. (DRAGO, p. 131).
L’inglese è ben presente, con vocaboli singoli, intere
espressioni, adattamenti di vario tipo, in vari romanzi
recenti; per avere una prova basta leggere Chi è Lou
Sciortino? di Ottavio Cappellani19 o Nicola Rubino è
entrato in fabbrica di Francesco Dezio20.
18
In tali scelte gioca sicuramente un ruolo importante il fatto che
l’autore è un magistrato.
19
Si tratta perlopiù di prestiti non adattati: semplici vocaboli o
espressioni come What has happened (p. 18); vi sono i soliti
adattamenti (businissi per business), trascrizioni parziali del tipo
Can ai invite iu? (p. 135); da notare alcuni pseudoanglismi
disfemici: dickbrain ‘testa di cazzo’ (p. 6), e ass kiss ‘baciaculo’
(p. 15); talvolta una frase funge da clausola discorsiva: «Ok Lou,
fammi avere uno speech col guaglione e poi I’ll call you back»
(p. 40); la citazione di una canzone costituisce l’explicit del
romanzo: «Ora state cantando a squarciagola: She’s got it, yeah
baby, she’s got it. I’m your venus, I’m your fire at your desire!»
(p. 209); ha un evidente valore connotativo la citazione
dell’incipit di The great Gatsby di F. S. Fitzgerald (p. 167).
20
Anche in questo romanzo si ritrovano (quasi sempre nella
narrazione e in riferimento all’ambiente lavorativo) vocaboli,
espressioni, intere frasi in inglese: rendering (p. 23), know how,
problem solving (p. 25), check list, crash test (p. 44),
competitors (p. 134), team leader (p. 142), If you can’t change
the world, change yourself (p. 148, da una canzone); un
Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006)
I forestierismi meno comprensibili (in genere perché
tratti da lingue ignote al grande pubblico) sono quasi
sempre glossati: «Schellenbaum, il cembalo dionisiaco
delle bande militari» (DRAGO, p. 116); «Marschkompass –
la bussola da truppa» (DRAGO, p. 115). Vi sono anche
esotismi: guerrieri waziri (DRAGO, p. 71), dràkkar ‘tipo
d’imbarcazione vichinga’ (DRAGO, p. 116); in CAOS gli
orientalismi dipendono dalle abitudini di un personaggio
dedito a particolari terapie: shavasana (CAOS, p. 356),
mantra (ivi), zen (CAOS, p. 18); l’effetto ludico, come
accade spesso, si potenzia nell’enumerazione:
(10) Negli anni l’ha accompagnata da una quantità di
guaritori, pranoterapeuti, yogi, santoni, sciamani,
stregoni, ayurveda, maharishi, agopuntori, agopuntori
senza aghi, quelli-che-ti-appoggiano-i-sassi-suichakra – come cazzo si chiamano –, podologi che ti
leggono i piedi, tricomanti che ti leggono i capelli,
monaci tibetani che ti ripuliscono l’aura con la spada,
samurai che te la ripuliscono con la katana, perfino
da un vampiro sono state, proprio così, l’anno scorso,
a Corso Magenta, un rumeno della Transilvania,
naturalmente di nome Vlad. (CAOS, p. 112).
Gli orientalismi di DRAGO riguardano invece il mondo
arabo e musulmano: casbah (p. 81), imano (p. 116), kursi
‘leggio’ (p. 71), rais (p. 130).
Nei nostri romanzi ricorrono latinismi comuni: ad
personam (CAOS, p. 37); requiescat (VITA, p. 98); more
uxorio (VITA, p. 258); talvolta sono inseriti in contesti
dissonanti: «sorta di Guantanamo ante litteram» (DRAGO,
p. 71), «messi a morte in loco» (ivi).
Passiamo alla formazione delle parole. Nel campo dei
suffissati sono appena da notare sostantivi come
«platealizzazione del rifiuto» (CAOS, p. 205),
«teatralizzazione del rifiuto» (CAOS, p. 302); alcuni
aggettivi in -ico: «lacoontico traffico romano» (CAOS, p.
119), «morfinica passività» (CAOS, p. 350) (con
anticipazione rispetto al sostantivo); il solito suffisso
romanesco -aro: cravattaro, parafangari (ROM, pp. 37,
454), borgatari (GIORNO, p. 264). Notiamo alcuni avverbi
piuttosto particolari: dostoevskijanamente (CAOS, p. 113),
gallisticamente (DRAGO, p. 187), fosforescentemente
(CAOS, p. 118). Introducono una tonalità colloquiale alcuni
parasintetici:
sfaretta
‘lampeggia
con
i
fari
dell’automobile’ (CAOS, p. 176); scarrellò ‘fece scorrere il
carrello della pistola’ (ROM, p. 532), si avvolpacchiava
‘s’ingarbugliava’ (ROM, p. 426); scentrato (CAOS, p. 276);
intortano ‘ingannano’ (CAOS, p. 127), s’inorecchisce
‘drizza le orecchie’ , detto di un cane (CAOS, p. 154).
Nel campo della prefissazione notiamo un proliferare
di trattini: in-azione (ROM, p. 192); non-americani, nonsemplici, non-luce (CAOS, pp. 411, 231, 443), non-vita,
non-sentimenti, non-parole (GIORNO, p. 256, 298); autoterminando (GIORNO, p. 104), auto-liquidato (CAOS, p.
161); mega-gruppo (CAOS, pp. 438); super-fidato, «supergiocattolo per super-manager», super-morigerata, supertesta di legno (CAOS, p. 314, 67, 268, 432); ultraadattamento suffissale: flashante (p. 101). Dei ventitré capitoli
due hanno il titolo in inglese, uno in tedesco.
aggressiva (CAOS, p. 409); tra gli elativi troviamo anche
cocazza stratagliata ‘cocaina tagliata eccessivamente con
altre sostanze’, supertangente, supercontrollata (ROM, pp.
127, 370, 378). Carattere iconico hanno i vari
conglomerati sempre muniti di trattino: i) nome-nome:
donna-cavallo (GIORNO, p. 286), fantesca-fattucchiera
(DRAGO, p. 192), infermiera-amante (CAOS, p. 28); salonescannatoio, quota-stecca (ROM, pp. 227, 312); ii) verbali:
dai-e-prendi, entra-esci, ufficio-che-non-c’è (ROM, pp.
144, 340, 407); iii) altri tipi: «minerva scudo-fornita»
(GIORNO, p. 113), «lo zio-mito, lo zio-sposo, lo zio-concui-si-può-parlare-di-tutto» (CAOS, p. 277), non-ancorabuio (CAOS, p. 443), «insabbiato-dalla-marcia-e-corrottademocrazia-filoyankee» (ROM, p. 255). Talvolta un
conglomerato è ripreso a breve distanza, quasi si tratti di
un leitmotiv morfologico: «edificio/città, edificio/mondo»
(CAOS, p. 330), «l’albergo/città, l’albergo/mondo» (CAOS,
p. 332). La giustapposizione di vocaboli mediante
sbarretta è presente anche in ROM: «aderisco/non aderisco»
(p. 101), «binomio omicidio/complicità» (p. 168),
«connessioni servizi/neri/malavita organizzata» (p. 316),
L’univerbazione può riguardare ben otto proposizioni:
(11) siamo quelli che mentre suo marito la lasciava
affogare come un sorcio le hanno salvato la vita
mettendo a repentaglio la propria e subito dopo
hanno perso la moglie e soffrono in silenzio
dedicandosi anima e corpo alla loro figlia tanto da
restarsene tutto il giorno davanti alla sua scuola
dinamica post-trauma . (CAOS, p. 317).
Il fenomeno, che ha certamente un rilievo iconico, appare
anche nel DD:
(12) «Non sono io che decido quali operatori devono
essere non-richiamati», disse eufemistico il capo,
trincerato dietro la scrivania, mentre il sorriso di
circostanza gli avvizziva sulla bocca. (GIORNO, p.
140).
Anche l’univerbazione del chissenefrega ha valore
iconico:
(13) Senza potere, naturalmente, una super-testa di legno,
un guscio vuoto, un fantoccio eterodiretto, ma
chissenefrega, intanto la mia vita diventerebbe
favolosa. (CAOS, p. 432);
(14) Avevano uno stereo e ascoltavano a volume altissimo
– alla chissenefrega – una cassetta dei Clash
(GIORNO, p. 291).
4. Varietà regionali e sociali
Cominciamo col distinguere gradi diversi di
assunzione della dialettalità (o neodialettalità) nella nostra
narrativa recente21. Esiste innanzi tutto un grado zero (a):
vale a dire, similitudini, paragoni, modi dire, frasi
21
Si tenga presente l’affermazione di Berruto (2004: 18): «La
collocazione del dialetto negli atteggiamenti e nella valutazione
della comunità parlante è evidentemente cambiata, nel corso
degli ultimi dieci anni». Sull’uso del dialetto nella narrativa
contemporanea: Guerriero (2001), Antonelli (2006: 97-108).
Maurizio Dardano et al.
proverbiali, che si assume siano stati pronunciati in
dialetto, appaiono in un italiano non privo di toni
regionali; questa prassi, che ha avuto tra i suoi massimi
esponenti il Verga (Nencioni, 1988) rivive, per es., in
MILLE. Vi sono poi dialettismi formali (b), indotti da
situazioni enunciative particolari (descrizioni di
personaggi e ambienti locali, cibo, artigianato, tradizioni,
temi riguardanti il sesso); di questi dialettismi sono
responsabili gli attanti; l’io narrante si limita a riprodurli
(s’intende che tutto ciò fa parte della finzione narrativa,
del progetto del racconto)22. Vi è certo una differenza
rispetto ai dialettismi-bandiera (c), usati dal narratore per
riassumere in una parola lo “spirito”, il “carattere” di una
realtà regionale. Da (b) e da (c) si distingue il dialettismo
interno, assunto direttamente dall’io narrante (d).
Possiamo parlare di plurilinguismo (esofasico), motivato
dalla realtà esterna: rientrano in tale ambito ROM, VITA,
GIORNO (la Mazzucco sviluppa questa modalità più nel
romanzo americano, meno nel racconto romano); VEDOVA
e MILLE, e per certi aspetti anche DRAGO, possiedono una
motivazione interna vale a dire interiorizzano l’esterno.
Anche in CAOS (dove dosi minime di romanesco e di altri
dialetti convivono con altre varietà sociali) la commistione
di localismi, gergo “dirigenziale” e “snobistico”,
giovanilismi, anglismi, vocaboli settoriali, deriva da una
condizione psicologica dell’io narrante, che fonde in
un’unica voce tali varietà: si ha una condizione di
completa endofasia. Vediamo alcuni esempi della
tipologia proposta.
(a) Dialettalità di grado zero. Ecco alcune similitudini
(spesso introdotte da come), le quali si riferiscono a
referenti rustici e pertanto creano una tonalità locale:
«quel suo corpaccione che sembrava tagliato nell’olivo
sarebbe diventato molliccio e si sarebbe sfatto come i
torsoli delle pannocchie» (MILLE, p. 17);
«l’ambasciatore aveva motivo di sospetto sapendolo
“cane che non conosce padrone”, l’esatto pensiero che
la Lenbach formulò adottando un fraseggio
tipicamente siciliano» (DRAGO, p. 38, con riflessione
metalinguistica).
(b) Dialettismi indotti da situazioni locali (abbiamo scelto
il settore dei cibi): «e le donne impastarono
foccazzole, cavarono cavatelli, torsero ricchitedde,
arricciarono scr’ppelle col miele e col vin cotto»
(MILLE, p. 26), «taralli inceleppati» (MILLE, p. 29),
«Nelle nostre famiglie non si buttava niente, neanche
le murichias del pane, che restavano nel fondo della
canistedda (VEDOVA, p. 87).
(c) Dialettismi-bandiera: nonzi ‘nossignore’, camurria
(DRAGO, pp. 137, 211), «chette corri?», daje (CAOS, pp.
120, 396).
(d) Dialettismo assorbito: «Il professore Tringale non era
imputato di niente: a quel mischino, a quel povero
vecchio stordito dalla pena e dalla paura, l’avevano
costretto a fare l’interprete per le udienze della
giornata» (DRAGO, p. 107).
22
Si tenga presente (Moretti, 2001: 724): «Una volta che la voce
del narratore si è mescolata a quella dei personaggi non si torna
più indietro».
In CAOS Veronesi pone a confronto meschino con
l’equivalente romanesco porello e altre varianti, facendo
esibire il padre e la figlia in un rapido gioco linguistico23:
(15) L’ha fatta piangere, meschina. / Meschina... [corsivo
nel testo] Di questo sì che si può parlare. /–
Meschina? E dove l’hai imparata questa parola? / –
Perché? E’ volgare? / – No. Anzi, se uno non è
siciliano è molto ricercata. / – La dice sempre la
Roxanna – si volta, sorride – Ehi, infatti la Roxanna è
della Sicilia! / […] / In romanesco si direbbe porella
– faccio./ – Porella [corsivo nel testo]? / – Sì.
Poverella, porella. / – E in milanese come si dice?| –
In milanese? Non lo so: pora stella. | Mi guarda,
riflette. / – Tipo povera stellina. / Oggi è proprio un
casino. Povera stellina sarebbe lei... / Non lo so. Non
ho mai imparato il milanese. Io so’ de Romaa!
[corsivo nel testo]» (CAOS, p. 440)24.
D’altra parte s’incontrano frequenti dialettismi panitaliani,
come il settentrionale malmostoso ‘scorbutico’25, che,
grazie all’uso giornalistico, si è ampiamente diffuso in
tutta la Penisola: lo ritroviamo sia in DRAGO (domanda
malmostosa, p. 205) sia in GIORNO (sofferenza
malmostosa, p. 269).
In romanzi di diversa ambientazione, come ROM e
DRAGO, c’imbattiamo più volte negli stessi sicilianismi:
ammazzatina, pulla ‘prostituta’, buttana (o buttanazza), i
quali, dal momento che si ritrovano anche nella
narrazione, non dipendono dalla provenienza dei
personaggi, ma dal fatto di far parte da tempo di un
vocabolario basso, diffusosi mediante il cinema e la
televisione, e portatore di una espressività panitaliana,
buona − per così dire − per tutte le occasioni.
Essendo la componente dialettale funzionale alla
fiction, occorre considerare sia le occasioni in cui essa
ricorre sia il dosaggio con cui è distribuita nei vari
contesti. Importa pertanto analizzare la componente
pragmatica dell’uso del dialetto, che talvolta passa dal DD
al DI e a una gamma piuttosto differenziata di DIL.
La citazione poi può riguardare singoli vocaboli,
espressioni, intere frasi. Quest’ultima modalità appare in
VITA:
(16) Dopo l’ennesimo vavattene abbascio ca te piglio pe’
’ssi quattro pirci ca te ’n coccia uocca fràceta zoccola
ch’anzi atu (VITA, p. 70)26.
Sempre in VITA, si ritrovano vari casi di italianizzazione
dell’inglese: nella parlata dell’anziano Agnello si
alternano espressioni in dialetto e travestimenti: bummo
23
Sulla «consapevolezza linguistica» di Veronesi si veda Meacci
(1997: 204-211).
24
Porello ricorre anche nei due romanzi di ambientazione
romana; cfr.: «Scrocchia, lui, porello, si sentiva vittima… ma
vittima de che?» (ROM, p. 575); «i napoletani sono così
divertenti, pensa a Totò, a Massimo Troisi, porello, è morto
tanto giovane» (GIORNO, p. 282).
25
Cfr. la voce malmostós in Cortelazzo e Marcato (1998).
26
Traduzione: “ma vattene via, che ti prendo per questi quattro
capelli che hai in testa, bocca marcia, ‘zoccola’ che non sei
altro”.
Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006)
(ingl. bum), Nevorco (ingl. New York); appaiono anche
frasi composite: «Che vonno ’sti polismen all’ausa mia?»
(VITA, p. 165).
In DRAGO l’espressività è affidata a singoli dialettismi,
inseriti per lo più nel dialogo: «Ma che spacchio
[‘sperma’] vai contando!» (p. 58), «Chi sunnu ’sti cosi? I
’mpiccicaru a testa sutta» (p. 184) e a espressioni
proverbiali (una tradizione che ha numerosi punti di
riferimento nella narrativa siciliana): «Futti futti che Dio
perdona a tutti» (p. 42); «Era solo tempo di guerra, quello:
l’amore era brodo di ciciri [ceci]» (p. 60).
Queste riprese sottolineano un rapporto forte con
situazioni locali, per le quali l’ambientazione del racconto
diventa un fattore predominante ed elementi caratteristici
del luogo occupano una posizione di primo piano.
Come appare da alcuni esempi già riportati, il
dialettismo è sovente al servizio della disfemia27; si
vedano ancora:
(17) Oh, finalmente! Dunque, non c’ho tempo, perciò
stamme bene a senti’: l’omini che te rompono li
cojoni o se comprano o se spengono (ROM, p. 567);
(18) E io con te non voglio averci più niente a che fare,
pezzo di parrino arruso28! (DRAGO, p. 152).
L’intento ludico è sempre presente29. In ROM il
siciliano è usato nei dialoghi per dare una forte
caratterizzazione caricaturale a personaggi appartenenti
alla malavita siciliana:
(19) Una volta, a Palermo, presero due picciotti. C’erano
tre testimoni, e loro stavano davanti al morto con un
fucile ancora caldo. Si fece la perizia, e il fucile
risultò fasano. /– Che significa «fasano»? / –
Significa che era come favuso, comu si dici… falso.
’Un sirbeva, non serviva. Un pezzo di legno era. Non
aveva mai sparato e mai poteva sparare. I due
picciotti furono liberati con tante scuse (ROM, p.
334)30.
Oltre al romanesco, al napoletano e al siciliano, i
malavitosi parlano il toscano; il contrassegno di tale
varietà linguistica è naturalmente la gorgia, che De
Cataldo rappresenta mediante l’apostrofo:
(20) Un riccone colla villa in Versilia... sai ’ome vanno
’odeste cose: sono a corto di liquidi! (ROM, p. 521).
nella narrazione: il toscano inteccherire (pp. 312, 330)31, i
meridionali fattarielli (p. 88) e pommarola (pp. 243, 287).
In VITA, l’autrice fa parlare molti dei propri personaggi
in un “italiano popolare” al fine di connotarne il livello
sociale. Tale tecnica ricorre anche in GIORNO. Ecco come
si esprime una semicolta, la suocera del protagonista:
(21)
Lei che è tanto introdotto professor Alessandro,
perché non dice a Mister Verità di fare una puntata su
di noi, così rimette a posto la situazione? Una volta
che uno è andato alla televisione certe brutte cose non
le può fare più, che lo conoscono tutti, dico giusto?
stiamo inguaiati, mio genero ci ha la depersione, la
malattia del secolo e non c’è cura, mi vuole
ammazzare a me che c’ho sessantanni e l’ossoporosi,
che gli ossi mi diventano frangibili come vetro
soffiato, io gliel’ho detto ai giudici che mio genero
c’ha gli occhi strani e i pensieri rintorcinati e i fucili
da guerra mica per giocare, ma i lupi non si sbranano
mica fra loro, non so se mi spiego (GIORNO, pp. 323324).
Si noti come ai malapropismi depersione ‘depressione’,
ossoporosi ‘osteoporosi’, al romanesco rintorcinati e al
meridionalismo (ormai panitaliano) inguaiati si
accompagni una sintassi parlata, costituita da elementi
ricorrenti in questo tipo di mimesi32. Si vedano ancora la
ripresa pronominale certe brutte cose non le può fare più e
l’anticipazione mediante pronome io gliel’ho detto ai
giudici che; il connettore più semplice rappresenta sia la
funzione causale che lo conoscono tutti sia quella
esplicativa che gli ossi mi diventano frangibili; il ci
presentativo compare tre volte; anche la particella
negativa mica è ripetuta; appaiono tipiche formule
discorsive: dico giusto?, non so se mi spiego. Questi
elementi si accompagnano a una folta schiera di
colloquialismi, che convivono con forme standard (ciò
accade anche negli altri romanzi del nostro corpus): per
es. frequente è l’uso alternato di importare, fregare e
fottere33. Un discorso a parte deve essere fatto per VEDOVA
e MILLE34. Nel romanzo di Niffoi, si oscilla fra sardo (più
precisamente, dialetto barbaricino) e italiano. Si va da
vocaboli resi intelligibili dal contesto (ammacchiare
‘impazzire’, VEDOVA, p. 14, leppa ‘coltello a serramanico’,
p. 70, già usato dalla Deledda) ad altri di più difficile
31
Anche in CAOS compaiono regionalismi, che, a differenza
di quanto accade talvolta per il romanesco, non hanno
alcun valore mimetico o espressivo, ma sono assorbiti
27
A proposito di elementi lessicali copro- e pornolalici presenti
in un corpus di testi “cannibali”, Berisso (2000: 490) nota «una
relativa scarsità di elementi di provenienza dialettale». In ROM la
scelta tra le varianti regionali dipende dalla situazione narrativa;
cfr. le varianti: fica (pp. 26, 27, 533, 568), sorca (p. 162,
nell’espressione rutilante sorca), sticchio (p. 276).
28
‘Prete sodomita’: cfr. Vocabolario siciliano s.vv.
29
Antonelli (2006: 108) parla di «dialetto per diletto».
30
Per tali contesti Guerriero (2001: 223) parla di «glossa
intradialogica».
Cfr. GRADIT: ‘intirizzirsi per il freddo’, ‘stare impettito,
rigido’. Un altro toscanismo, spippolare ‘comporre, suonare con
grande scioltezza e disinvoltura’ (GRADIT) compare in GIORNO
(p. 77): «tirò fuori il cellulare e spippolò per controllare i
messaggini – ma nessuno le aveva scritto».
32
Sulla sintassi del parlato dei semicolti cfr. D’Achille (1994:
69-72).
33
Cfr. alcuni passi: «non gliene poteva fregare di meno a
nessuno» (ROM, p. 575), «be’, chi se ne frega» (CAOS, p. 316),
«non gliene fregava niente» (GIORNO, p. 71), «chi se ne fotte!»
(ROM, p. 523). Frequente fottere ‘imbrogliare, danneggiare qcn.’:
«Mi hanno fottuto» (GIORNO, p. 163), «lavoravamo tutti e due per
fottere Boesson» (CAOS, p. 72).
34
Un episodio degno di nota nell’ultima narrativa italiana è
l’assunzione dell’arbëresh nei romanzi di Carmine Abate; si
veda per es. Il mosaico del tempo grande, Mondadori, 2006.
Maurizio Dardano et al.
comprensione35. Spesso vocaboli ed espressioni sardi
conferiscono alla narrazione una tonalità epica:
(22) Me lo portarono a casa una mattina di giugno,
spoiolato [sgozzato] e smembrato a colpi di scure
come un maiale. Neanche una goccia di sangue gli
era rimasta. Due lados [‘metà di animale macellato]
che ad appezzarli non sarebbe bastato un gomitolo di
spago nero, di quello catramoso che i calzolai usano
per le tomaie dei cosinzos [scarpe di pelle cruda] di
vacchetta» (VEDOVA, p. 13).
In MILLE, romanzo ambientato in Basilicata, ricorrono
vocaboli locali: naca ‘culla sospesa’ (p. 70), lampascione
‘cipolla selvatica’(ivi), abbabbiare ‘ingannare’ (pp. 48,
94); struscere ‘sciupare’ (detto del denaro) (p. 49)36. Alla
p. 97 c’è un intero passo in dialetto; solo l’ultima frase è
tradotta:
(23) Le cartelle non le sapeva leggere. Tutto scritto qua
sopra. Chi gli ha empito la testa? Rocco deve
studiare. Ca t vò spadazzà. Ca t voln accid. Cà t vol
cazzà na saiett. Ca non t vuò rtrà viv staser. Ca cur
Crist non t fasc scttà u sagn e u vlen quanta fum men
na cimner, che quello Cristo non ti fa buttar sangue e
veleno quanto fumo mena una ciminiera. E i tuoi
figli, e tua moglie.
Dunque talvolta il dialettismo è seguito da una glossa:
«Essera a briga, a dirma, da noi vuol dire guardarsi a collo
grosso, togliersi il saluto» (VEDOVA, p. 84); «Di l’as
chircada! Te la sei cercata! Adesso grattati!» (VEDOVA, p.
150), «Tar’socc’ [...] mormorò stupita, leccandosi la
peluria sulle labbra: “iè iuogghj”, olio, olio d’oliva!»
(MILLE, p. 13).
Elementi dialettali, anche disfemici, oltre ad essere
presenti nel dialogato e nel DIL (quando si formalizza il
pensiero di uno dei protagonisti), risalgono nella
narrazione installandosi per lo più in passi di forte
tensione emotiva. Non mancano tuttavia in contesti neutri:
per es. nei titoli dei capitoli37.
Lo stesso discorso vale anche per i giovanilismi, che
ricorrono in alcuni filoni della nostra narrativa
contemporanea, oltre che nel cinema (Rossi, 2006: 392403). Cominciamo con un iconismo grafico, portatore di
una connotazione variamente orientata a seconda dei
contesti: anarkici, mikrocefalo (GIORNO, p. 207)38 per
passare all’altrettanto noto coatto, che appare una volta in
GIORNO (p. 309), ma ben 14 volte in ROM (anche con le
varianti coattone, coattello e coatta). Nello stesso
35
Per i vocaboli sardi si è consultato Pittau (1999).
Cfr. Rohlfs (1977) alla voce strusciare, -ri.
37
Cfr. «Solitudini. Disamistade» (ROM, p. 441): il secondo
vocabolo (che appare solo in questa occasione) è sardo e vale
‘inimicizia’, per estensione ‘faida’: probabilmente è una
citazione del film Disamistade di S. Cabiddu (1988) o
dell’omonima canzone di F. De André (1996, Bmg Ricordi).
38
Radtke (1993: 216), a proposito di quest’uso giovanilistico,
parla di «kappa deformante». In GIORNO (pp. 123-125), il diario
scritto dalla giovanissima Valentina contiene grafismi da SMS: ke
‘che’, x ‘per’, xché ‘perché’, + ‘più’.
36
romanzo ricorre 4 volte sbroccato (ROM, pp. 5, 25, 179,
206); il verbo sbroccare appare 2 volte in CAOS (pp. 322 e
373)39.
Una sorta di vocabolo-bandiera dei giovani è il verbo
sgamare (originariamente un gergalismo), presente in tre
dei nostri romanzi40. Sullo stesso piano si pone l’aggettivo
cazzuto ‘particolarmente degno di considerazione’41:
(24) Il rischio d’incappare in una pattuglia cazzuta era
altissimo, e bisognava stare coperti (ROM, p. 83);
(25) la mia aura dev’essere cazzutissima in questi giorni;
il mio corpo radiante smisurato (CAOS, p. 109).
In (25) la distanza semantica e stilistica tra il sostantivo
aura (ripreso nell’accezione di aura of person)42 e
l’aggettivo plebeo (in forma di superlativo) crea una
diseguaglianza impressiva e ludica. Se cazzuto è
panitaliano, altrettanto si può dire di mezzasega, un altro
vocabolo colorito che ritroviamo in ROM (p. 178) e CAOS
(p. 20: qui senza univerbazione) 43.
Nel settore della fraseologia notiamo, oltre
all’espressione, piuttosto neutra, bersi la strada ‘andare a
forte velocità’ (ROM, p. 13), andare in fissa ‘essere
coinvolto’ (CAOS, p. 185), venire un flash («M’è venuto un
flash», GIORNO, p. 203) e l’espressione romanesca che tajo
‘che divertimento’ (GIORNO, p. 73), usata però con
significato antifrastico:
(26) «Le previsioni fanno schifo, il sole non riusciamo a
prenderlo e il bagno non ce lo facciamo, però non
piove, pranziamo sulle dune e poi ci facciamo una
corsa sulla spiaggia.» «Sai che tajo!» gridò
Valentina, «no, domani vado con la squadra alla
partita della ROMA VOLLEY.».
Come appare, la quasi totalità dei giovanilismi
(soprattutto di origine romanesca) sono vocaboli ed
espressioni trasparenti, da tempo entrati nella lingua
comune. Una specie di giovanilismo internazionale è
taggare (GIORNO, p. 57, dall’inglese tag ‘firma scritta sui
muri’). È naturale che una maggiore concentrazione di
gergalismi si abbia in ROM. Qui ritroviamo numerosi
vocaboli provenienti dal linguaggio della malavita come
cavallo e formica ‘spacciatore di droga’. Oltre al
39
Cfr. GRADIT: «roman[esco] ‘perdere la brocca’ nel senso di
‘testa’».
40
Cfr. «e lei aveva per forza sgamato che stavo parlando di lei
senza averla riconosciuta» (CAOS, p. 189); «Le ragazze romane si
lasciavano abbordare facilmente, erano fragorose e socievoli, ma
al momento di darsi appuntamento, quando sgamavano che era
soldato finivano per schifarlo, e dargli numeri di telefono falsi, o
inesistenti» (GIORNO, p. 289); «il Sorcio capì immediatamente
che il Freddo l’aveva sgamato» (ROM, p. 412).
41
I lessicografi ne danno giudizi diversi: “comune” (GRADIT),
“popolare” (Devoto- Oli, 2004-2005), “volgare” (Garzanti, 2007;
Zingarelli, 2006), manca in Sabatini e Coletti (20032).
42
Per aura v. anche (10).
43
È ovvio che voci ed espressioni provenienti dal gergo
giovanile scadano spesso nella coprolalìa: «Ranocchia era alto
un cazzo e un barattolo» (ROM, p. 139).
Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006)
ricorrente sbirro (53 occorrenze contro le 81 di poliziotto),
ci sono gli specialotti (p. 425) e la pula (p. 89). In luogo di
pistola s’incontra spesso la metonimia ferro (p. 6 e
passim), ma anche l’espressiva baiaffa (p. 532)44; si noti
anche la locuzione finire al gabbio (p. 28); il carcere è
detto anche eufemisticamente villeggiatura (p. 425). Ben
rappresentato il gergo della tossicodipendenza: ero (p. 63
e passim), buco (p. 438), roba (p. 79 e passim), brown
sugar ‘eroina’ (p. 63 e passim), fattone ‘drogato’ (p. 344 e
passim), pippare ‘sniffare cocaina’ (p. 160 e passim)45,
impasticcato (pp. 25, 153), stare a rota (p. 113) ‘essere in
astinenza’ e scimmia ‘tossicodipendenza’ (pp. 306, 423).
Ananas ‘bomba a mano’ (DRAGO, p. 156) sarà da riferire al
gergo militare. In qualche modo connessa al ricorso a
varietà dialettali e gergali è la folta presenza di nomi
“parlanti”, che prende spicco in ROM46.
5. Conclusioni
L’analisi ha dimostrato che:
i) il lessico della nostra più recente narrativa appare
mescidato soprattutto a causa degli apporti che vengono
dal basso (si potrebbe parlare di una «mescidanza
programmata» di diverse varietà);
ii) nonostante la ricerca di una «medietà linguistica»,
le componenti centrifughe sono piuttosto attive;
iii) alcune scelte lessicali (affissati, nominalizzazioni)
influenzano gli aspetti enunciativi e pragmatico-testuali
dei nostri romanzi.
Rispetto alla «standardizzazione linguistica», rilevata
da Coletti (2001) nella narrativa della fine del XX secolo,
il quadro complessivo non è privo di fattori centrifughi.
Per i romanzi da noi esaminati non si può parlare di
«lingua ipermedia», che del resto, a detta dello stesso
inventore di questa formula, appare in declino (Antonelli,
2006: 14), né di «lingua di plastica» (o «selvaggia»). Lo
scrittore di oggi accoglie mode più o meno effimere dal
mondo del cinema della televisione e, in particolare dalla
musica leggera. Chi volesse suggerirgli: “Parla con la tua
voce, Italiano”, si porrebbe irrimediabilmente fuori dal
nostro tempo. La coscienza di usare toni e allusioni
particolari è cresciuta negli ultimi anni. Data una certa
fluidità delle situazioni e delle forme espressive, non è
opportuno
imporre
a
questi
romanzi
rigide
schematizzazioni ed etichette. La mescidanza di forme e
di stili non va giudicata in modo univoco. Il fenomeno è,
44
Cfr. Ferrero (1991, s.v.): «Pistola, rivoltella, perché i suoi
colpi ricordano l’abbaiare di un cane. Voce largamente diffusa,
che negli anni ’70 indicava in particolare la P38, molto usata dai
terroristi».
45
Cfr. anche pippata (p. 60), pippatone (p. 83), pippatore (p. 47
e passim).
46
Molti dei personaggi del romanzo hanno soprannomi
“parlanti”, i quali, riferendosi all’onomastica locale, offrono un
surplus informativo sul carattere, sull’aspetto fisico e sulla vita
passata. Il Libanese è in realtà figlio di calabresi (mediterraneità
generica, usata in senso spregiativo), il Freddo è un individuo
controllato e scrupoloso, l’antifrastico Secco è un lestofante
grasso e viscido, il Dandi pretende di vestirsi con raffinatezza, il
Terribile è noto per la sua ferocia, Fierolocchio è affetto da
strabismo, Varighina (da varechina) è albino; non mancano
referenti letterari o paraletterari: il Conte Ugolino è un criminale
con tendenze antropofagiche, Trentadenari è un traditore.
di volta in volta, mimesi del parlato (De Cataldo),
modalità di un edonismo plurilinguistico variamente
declinato (Buttafuoco, Niffoi), manifestazione di una
ricerca interiore perseguita mediante addizioni e
sottrazioni verbali (Veronesi), testimonianza di una
partecipazione commossa a una realtà degradata
(Mazzucco).
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