Maurizio Dardano, Gianluca Frenguelli, Gianluca Colella
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Maurizio Dardano, Gianluca Frenguelli, Gianluca Colella
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol I, pp. 193-202 Il lessico della narrativa contemporanea (2002-2006) Prove di lettura e d’inventario Maurizio Dardano*, Gianluca Frenguelli**, Gianluca Colella** *Università di Roma Tre, **Università di Macerata Abstract Il presente contributo si propone di avviare uno studio dei materiali lessicali presenti nella narrativa dell’ultimo quinquennio. Di sette romanzi di successo (G. De Cataldo Romanzo criminale 2002, M. Mazzucco Vita 2003 e Un giorno perfetto 2005, P. Buttafuoco Le uova del drago 2005, S. Veronesi Caos calmo 2005, S. Niffoi La vedova scalza 2006, M. Venezia Mille anni che sono qui 2006) si sono esaminati in particolare i seguenti fenomeni: 1) uso dei traslati e “profilo combinatorio” dei vocaboli, considerati importanti per la rilevanza quantitativa e tematica; 2) analisi di neologismi (con svolgimenti nei campi della formazione delle parole e dei linguaggi settoriali) e forestierismi (soprattutto anglismi); 3) analisi di dialettismi e gergalismi. Sono presi in considerazione anche altri tratti che contribuiscono a fondare la specificità stilistica delle opere: griffes, onomatopee, nomi parlanti, citazioni, elenchi ecc. Osservati nei loro contesti e nella prospettiva delle loro motivazioni, tutti questi materiali permettono di compiere rilievi concernenti alcuni caratteri dell’enunciazione e della testualità. 1. Premessa1 Negli studi dedicati alla lingua della narrativa contemporanea sono analizzati per lo più fenomeni riguardanti la sintassi, la testualità e lo stile2. Minore attenzione è dedicata al lessico. Ciò dipende da varie cause. Un confronto tra il GDLI e il GRADIT3 mostra che anche i grandi dizionari, nell’accogliere i narratori degli ultimi decenni, seguono criteri piuttosto diversi e talvolta penalizzanti un settore non certo secondario della nostra prosa: qualche attenuante tuttavia va concessa al lessicografo, disorientato di fronte al proliferare delle scelte linguistiche. Non aiutano i repertori di neologismi, che raccolgono per lo più vocaboli ed espressioni mediali (Adamo e Della Valle, 2003; Bencini e Manetti, 2005). Il diritto d’autore impedisce la preparazione di archivi elettronici e la pubblicazione di raccolte sistematiche. Anche Internet non offre materiali selezionati e ben ordinati per analisi approfondite. Per interpretare dialettismi e gergalismi non noti a tutti i lettori si approntavano un tempo brevi glossari, posti in appendice alle opere: tale prassi è venuta meno negli ultimi anni. Il lessico della narrativa contemporanea è studiato mediante campioni piuttosto circoscritti (e talvolta scelti unicamente sulla base del gusto e della sensibilità dei ricercatori). È la via seguita anche nel presente contributo. È augurabile che in futuro tali indagini s’intensifichino e diventino più rigorose. La nostra comunicazione vuole fornire un primo contributo in vista degli obiettivi da raggiungere. Abbiamo analizzato sette romanzi usciti negli ultimi cinque anni: G. De Cataldo Romanzo criminale, Einaudi, 2002 [ROM], M. Mazzucco Vita, Rizzoli, 2003 [VITA] e Un 1 Questo articolo è il frutto di una collaborazione fra i tre autori, ciascuno dei quali si assume la responsabilità delle procedure seguite e dei risultati ottenuti. 1, 2 e 5 sono stati scritti da M.D., 3 da G.F., 4 da G. C. Rispetto alla comunicazione esposta a voce, nel testo scritto lo spoglio è stato esteso ad altri due romanzi pubblicati nel 2006: La vedova scalza di S. Niffoi e Mille anni che sono qui di M. Venezia. Nelle note si è tenuto conto anche di altri testi. 2 Si vedano: Dardano (1999 e 2001), Berisso (2000), Della Valle (2004 e 2005) e Antonelli (2006). 3 Precisamente tra il GDLI (vol. XXI: 2002, Supplemento 2004) e il GRADIT (1999, Nuove parole 2003). giorno perfetto, Rizzoli, 2005 [GIORNO], P. Buttafuoco Le uova del drago, Mondadori, 2005 [DRAGO], S. Veronesi Caos calmo, Bompiani, 2005 [CAOS], S. Niffoi La vedova scalza, Adelphi, 2006 [VEDOVA], M. Venezia Mille anni che sto qui, Einaudi, 2006 [MILLE]. Grazie alla cortesia di G. De Cataldo, M. Mazzucco e S. Veronesi, che hanno messo a nostra disposizione i files dei loro romanzi, siamo stati agevolati nella ricerca di vocaboli ed espressioni utili ai nostri fini. I romanzi sono stati scelti principalmente in base a due criteri: 1) l’aver riscosso un successo di vendite (ROM, VITA, GIORNO, DRAGO, CAOS); 2) l’aver contestato la “medietà linguistica” che prevale nell’odierna narrativa italiana: è il caso di VEDOVA e, in misura minore, di MILLE. La prassi del cut up – realizzata anche con mezzi grafici e iconici4 – e del collage, nonché la ricerca della cosiddetta “polifonia”, caratteri ricorrenti nei romanzi qui esaminati, hanno favorito l’afflusso di neoformazioni, tecnicismi, forestierismi, dialettismi, gergalismi, giovanilismi ecc. Nell’avviare lo studio del lessico di queste opere, a parte il riscontro della componente standard5, la nostra attenzione si è concentrata soprattutto sui settori ora menzionati. 4 In GIORNO (p. 77-81) il maiuscoletto è usato per indicare le fermate dell’autobus e per citare i messaggi pubblicitari che Emma legge durante il tragitto sul mezzo pubblico. 5 A proposito di tale componente va detto che le scelte lessicali corrispondono in genere allo status sociale dei personaggi. In GIORNO Emma (con i figli Kevin e Valentina), da una parte, Maja (con la figlia Camilla), dall’altra, rappresentano bene, anche nella prospettiva della lingua, gli ambienti diversi cui appartengono: popolare e degradato, nel primo caso, medioborghese e falsamente sofisticato, nel secondo. Nel parlato di Emma sono presenti numerosi vocaboli ed espressioni regionali, nonché tratti morfosintattici poco formali (tra l’altro l’indicativo in luogo del congiuntivo, v. GIORNO, p. 89); allo stesso modo nel parlato dell’anziana madre di Emma affiorano vari malapropismi (v. 20). Al contrario l’ambiente medioborghese è connotato da particolari scelte lessicali, che affiorano anche nella narrazione: «La scuola distava da casa poco più di dieci minuti», «Indignata dalla sfacciataggine del roditore», «il retrogusto nauseante di una notte amara e di ribollenti, tetri pensieri», «fra le deiezioni canine e i motoscooteristi prepotenti» (GIORNO, pp. 82, 83, 84). Maurizio Dardano et al. Tracciare confini nel vocabolario di un narratore rappresenta per il linguista una non eliminabile operazione di base, la quale può essere compiuta più facilmente nei romanzi del passato6; infatti è più difficile individuare confini nei vocabolari di autori contemporanei, dediti a un’attiva e programmata mescidanza di parole ed espressioni di diversa provenienza. La nostra analisi non focalizza singoli autori o singole opere (come accade, per es., in Mengaldo, 1994 e in Gatta, 2000), ma piuttosto fenomeni e fasci di fenomeni, secondo una tipologia che andrà perfezionata e sviluppata in ricerche più estese. Ci siamo serviti per ora di una campionatura essenziale, col proposito di avviare in un secondo tempo una più ampia esplorazione dei materiali lessicali della narrativa degli ultimi anni mediante schedatura su supporto informatico. La mescidanza delle varietà lessicali, fenomeno particolarmente diffuso ai giorni nostri, fa sì che molti vocaboli ed espressioni possano essere attribuiti a più di un settore. Ciò ovviamente complica, ma, al tempo stesso, rende più interessante l’analisi: nel senso che si pongono problemi di metodo (finora scarsamente studiati), i quali sono discussi nel par. 2. In seguito analizzeremo neologismi e forestierismi (par. 3), regionalismi e gergalismi (par. 4). 2. Catalogare va bene, ma occorre fare anche altre cose Dopo la catalogazione i materiali lessicali ricavati dai sette romanzi sono soggetti a un’analisi di secondo livello, nella quale si esaminano (con pochi esempi in questa occasione): a) l’uso dei traslati e il loro potere espressivo; b) il “profilo combinatorio” di vocaboli, considerati importanti per la loro rilevanza quantitativa e tematica; s’intenda: vocaboli che rinviano all’ispirazione fondamentale dell’opera, al suo tema predominante. Per quanto riguarda a), consideriamo quattro similitudini introdotte da come e tre metafore. Similitudini: «Le parole inquietanti [...] gli avviluppavano il cervello come carta moschicida» (GIORNO, p. 24), «Maja dentro granulosa e soffice come una babbuccia di seta. E adesso asciutta, quasi abrasiva» (GIORNO, p. 30), «Si stanno più o meno tutti guardando attorno, con le orecchie ritte, impauriti come scimmie nella savana» (CAOS, p. 37), «Le case di Taculè sono come pallettoni sparati nella roccia» (VEDOVA, p. 47: è il titolo del cap. IV). La ricerca analogica si svolge in diverse direzioni, pur avendo in comune l’accostamento di referenti lontani tra loro, rispettivamente: intelletto − oggetto basso (ripugnante), sesso femminile − oggetti comuni, esseri umani − animali, cose grandi − cose piccole (queste ultime denominate antifrasticamente da un accrescitivo “convenzionale”). Comune alle quattro similitudini è una forte connotazione che rinvia a temi di fondo: la tragica banalità del quotidiano in GIORNO e in CAOS, la violenza in VEDOVA (il fucile da caccia uccide uomini e animali). Metafore: «il sorriso incistato di orrore» (CAOS, p. 429), «nei suoi occhi ora c’è un frastuono di male e di bene» (CAOS, p. 318: metafora e sinestesia), «Le case di via Garibaldi erano per la maggior parte ridotte a pietrame, con stoffe e velluti di divani fra le travi e lo 6 Si vedano a tale proposito Bricchi (2000) e Zangrandi (2002). scheletro dei balconi in ghisa; erano stomaci sbrecciati da cui fuoriuscivano tubazioni, cannicciate, letti in bilico: budella sbucate dalla pancia a forza di coltellate» (DRAGO, p. 66). Nella coppia antitetica sorriso − orrore s’inserisce iconicamente un aggettivo verbale (parasintetico) tratto dal linguaggio della medicina7, il quale potenzia la negatività propria del secondo sostantivo. L’antitesi male − bene è invece esaltata dalla forte sinestesia occhi − frastuono. Le case sono “sventrate”: mostrano infatti le loro budella in un quadro di tragica disumanizzazione. Bastino per ora questi rapidi cenni: il discorso − è ovvio − va approfondito con altri esempi. Formuliamo due domande: questi traslati aiutano a raggiungere il centro dell’opera? i traslati della narrativa contemporanea (spesso innovativi e sperimentali) in che cosa differiscono dai traslati (spesso ripetitivi e stereotipici) dell’odierno linguaggio giornalistico?8 Di alcuni vocaboli significativi, individuati nei sette romanzi, si è studiato il “profilo combinatorio” [PC], vale a dire «la struttura schematica di vicinanza sintattica e semantica di una parola-cerniera (mot pivot), come si manifesta in un corpus ampio». Oltrepassando la visione tradizionale della combinatoria dei nomi e delle loro collocazioni, Blumenthal (2002), da cui è tratta la citazione, di un nome studia: 1) la valenza; 2) le costruzioni diverse da quelle relative alla valenza; 3) le costruzioni “V + N” e “Prep + N”; 4) il ruolo nelle relazioni transfrastiche, vale a dire i valori anaforici. L’identità semantica della parola-cerniera è caratterizzata dal suo contesto. Il PC di una parola-cerniera prende l’aspetto di un frame o script9. Ci domandiamo: questo tipo di analisi può essere applicato alla narrativa? Noi crediamo di sì. Certo il passaggio dai testi pragmatici (esaminati dallo studioso tedesco) ai testi narrativi richiede adattamenti nel metodo e nelle procedure. Un conto è esaminare i contesti giornalistici in cui cadono sostantivi come politica, partito, governo o aggettivi come economico, sindacale, islamico ecc. e un conto è esaminare i contesti in cui cadono vocaboli come faccia in ROM (71 occorrenze), luce in GIORNO (74), corpo e figlia in CAOS (29 e 71). Individuare il PC di vocaboli (ritenuti a vario titolo importanti nell’ambito di un romanzo) è senza dubbio un 7 incistarsi: «med. di corpo estraneo o ascesso, venire avvolto da una formazione di tipo cistico» (GRADIT). 8 Anche la lingua dei giornali si dimostra propensa all’uso di traslati, ma questi appartengono perlopiù a settori diversi da quelli preferiti dai narratori contemporanei; inoltre, come accade nel mondo dei media, si riscontra una notevole ripetitività: si ritrovano traslati analoghi ma dotati di diversi contesti; eccone due esempi tratti da articoli di fondo: «cortocircuito giudiziariomediatico» (Piero Ostellino, “Corriere della sera”, 18/6/2006, p. 1), «l’imbarbarimento morale, il galoppo degli egoismi, lo sfascio costituzionale, lo sfarinamento delle istituzioni» (Eugenio Scalfari, “la Repubblica”, 18/6/2006, p. 1). 9 Si distingue tra: “profilo aspettuale”, “p. ontologico”, “p. paradigmatico”, “p. di saturazione”. Si tratta di parametri della parola parzialmente misurabili, i quali possono fornire dati sulla varianza (nel senso statistico) di dati riguardanti il PC. Anche da questi rapidi cenni appare evidente che il concetto di PC si differenzia da quello tradizionale di “formula”, “espressione formulare” e simili. Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006) procedimento utile alla nostra analisi, anche nella prospettiva dell’interrelazione lessico-sintassi: rapporto tra PC, da una parte, paratassi e nominalizzazioni, dall’altra. Che l’uso dei lessemi di una data lingua sia condizionato anche dalla loro collocazione, come risulta dalla linguistica dei corpora (Veland, 2006), è un principio certamente valido anche per i testi narrativi. Per comprendere il modo in cui sono rappresentati personaggi ed eventi appare utile al linguista (e non soltanto al linguista) analizzare alcuni significativi accostamenti di vocaboli: «stupore plastico» (CAOS, p. 270), «raglio di clackson» (CAOS, p. 311), «aura cazzutissima» (CAOS, p. 129)10, «camminata masticata» (DRAGO, p. 59), «lame d’afa» (DRAGO, p. 91); e si veda anche il rilievo che simili coniunctiones raggiungono nella frase nominale: «Sguardo subacqueo, sudore, nuda parola, grigio arrendersi» (CAOS, p. 227)11. Nello stile nominale rientra anche la struttura elencatoria usata dal narratore o da un personaggio. In CAOS appaiono sette elenchi (i primi due sono “Elenco delle compagnie aeree con cui ho volato”, “Elenco delle ragazze che ho baciato”). In GIORNO si elencano armi (p. 177) e obiettivi aziendali (p. 133). Stilare elenchi può essere interpretato come sintomo di una moderna nevrosi. Tuttavia l’esempio di Nick Hornby può far pensare a una sorta di stigma, di “blasone di appartenenza”12. Questo non è l’unico fenomeno d’importazione. Le mode d’oltreoceano (a far data dall’influsso della beat generation) hanno avuto un peso notevole nel diffondere nella nostra narrativa onomatopee, griffes e, soprattutto, frammenti canzonettistici (blues, rock, hip-hop). Se in un racconto ambientato in Sardegna, nel periodo tra le due guerre, viene inserita un’onomatopea lessicale da cartoons, dobbiamo riconoscere che c’è sotto qualcosa (ironia? allusioni? pop art?): «Le onde rispondevano mordendo l’orlo della battigia: slàsh, slàsh, slàsh, slàsh. Sembrava avesse una bocca invisibile il mare, che vomitava sabbia e poi la inghiottiva di nuovo. Slàsh, slàsh, slàsh, slàsh» (VEDOVA, p. 89); la ripresa dell’intera serie evidenzia inoltre il forte intento iconico del passo. Invece rientrano per così dire nella norma altre onomatopee: STU-TUN, sclomp, boing, bumbumbum (CAOS, pp. 130, 217, 351, 360). Vi sono anche altri ingredienti. Un testo di Lou Reed Perfect day incornicia GIORNO: appare infatti in esergo e prima del capitolo-cronaca finale13. E si veda ancora un 10 Vedi l’esempio (25). Sintagmi come raglio di clackson e lame d’afa ricordano i «cortocircuiti analogici di tipo sintetico in cui il figurante funge tramite di, da sostegno del figurato: “tufo del tempo”, “feto di pace”». Sono esempi che Mengaldo (1994: 213) trae da Rebora. 12 Alta fedeltà di Nick Hornby (trad. ital., Parma, Guanda, 1996) esibisce in apertura un elenco di cinque persone che hanno procurato all’io narrante «le cinque più memorabili fregature». 13 La citazione musicale è un tratto della narrativa italiana che si afferma dapprima con Pier Vittorio Tondelli (Altri libertini, 1980). Anche DRAGO (un “romanzo storico”) apre con una citazione di Franco Battiato. Riferimenti a canzoni e a personaggi del mondo della musica sono presenti in quasi tutti i romanzi analizzati. A tal proposito è interessante una citazione tratta dal romanzo Un destino ridicolo di F. De André e A. Gennari (1996): «Che tristezza. Una volta erano i romanzi a 11 passo scelto a caso: «“Hakuna matata, Kevin. Adesso devo andare”, ripeté Emma, sciogliendosi con strazio da quell’abbraccio» (GIORNO, p. 90)14. Il recupero della voce (per lo più gridata ed esibita con rilievo fonico e grafico) influenza le scelte lessicali15. Il comune denominatore di questi fenomeni è la ricerca dell’eterogeneità: chi narra vuole dimostrare che i pezzi esibiti non sono suoi prodotti, ma piuttosto prestiti da altri, intrusioni del reale nella fiction. 3. Neologismi, forestierismi e altro (1) Abbiamo appena fatto surf, io e Carlo. Surf: come vent’anni fa. Ci siamo fatti prestare le tavole da due pischelli e ci siamo buttati tra le onde alte, lunghe, così insolite nel Tirreno che ha bagnato tutta la nostra vita. Carlo più aggressivo e spericolato, ululante, tatuato, obsoleto, col capello lungo al vento e l’orecchino che sbrilluccicava al sole; io più prudente e stilista, più diligente e controllato, più mimetizzato, come sempre. La sua famigerata classe beat e il mio vecchio understatement su due tavole che filavano al sole, e i nostri due mondi che tornavano a duellare come ai tempi dei formidabili scazzi giovanili – ribellione contro sovversione –, quando volavano le sedie, mica scherzi. (CAOS, p. 11). L’incipit del romanzo di Veronesi è un esempio paradigmatico del lessico della nostra recente narrativa. In poche righe sono presentati tutti gli ingredienti tipici di questo genere: anglismi, dialettismi, colloquialismi, giovanilismi. Poco oltre c’imbattiamo in affissati e composti, nonché in quelle griffes che da tempo, nella narrativa occidentale, connotano uno stile di vita. Si va da nomi inventati, come Barrie (CAOS, p. 185) − sono i jeans disegnati da Carlo, fratello del protagonista16 −, o come Cioccolato Brick (CAOS, p. 355), a noti marchi di abbigliamento, come Freitag (CAOS, p. 281) o Krizia, (CAOS, p. 261). Non mancano denominazioni che rinviano alla quotidianità: i fazzoletti kleenex che ricorrono in CAOS (p. 101) e in GIORNO (p. 252) (ma può trattarsi di una denominazione generica), il vino laziale Est-Est-Est (ROM, p. 470), la lampada a forma di stella dell’Ikea (CAOS, p. 331). Anche il mondo dei giochi è ben presente: Gameboy, Carte Magic, Play station (CAOS, pp. 67, 143, 319; in GIORNO, p. 43: playstation). In base a quale criterio avvengono queste scelte? Si scelgono oggetti alla moda e di prestigio. Gli ambienti e i personaggi descritti in alcuni romanzi portano con sé numerose griffes. È naturale che in ROM abbondino le armi da fuoco: Beretta vi compare 11 volte, Winchester 2 volte, non mancano la Colt e la meno nota Bernardelli: ispirare le canzoni, non viceversa» (p. 114). Su questi aspetti v. Casini (1998). 14 Dalla colonna sonora del film Il Re Leone (Disney Records). 15 Nello stesso romanzo i ringraziamenti finali (una prassi che da qualche tempo “fa parte” della narrazione) sono qualcosa di più di un semplice coinvolgimento: esprimono infatti solidarietà e al tempo stesso narcisistica ricerca di prestigio. 16 Forse non è casuale il fatto che Barrie Pace sia una marca straniera (sconosciuta in Italia) di abbigliamento femminile, che effettua le vendite su Internet. Maurizio Dardano et al. (2) Fierolocchio si dovette accontentare di una Colt canna corta a sei colpi. Il Freddo scelse una Bernardelli long-rifle. (ROM, p. 183). I personaggi non si accendono sigarette, ma Marlboro (ROM, p. 65 e passim) e Gitane (CAOS, p. 66). Delle automobili e delle motociclette è sempre indicata la marca, talvolta anche il modello: (3) Possiedo […] un’Audi A6 3000 Avant nera piena di optional costosissimi. (CAOS, p. 27). Rispetto alla narrativa di alcuni anni fa, si assiste a una precisione nomenclatoria che colpisce varie categorie di oggetti: in genere, oggetti prestigiosi e caratterizzanti o ipercaratterizzanti situazioni e ambienti. La tendenza al plurilinguismo comporta un uso piuttosto esteso di vocaboli ed espressioni delle scienze e delle tecniche. Gli apporti provengono dalle discipline più disparate: dall’informatica, che la fa da padrona, alla medicina, dall’economia alla matematica. A proposito di quest’ultima, ecco frattale, usato come aggettivo, in un contesto piuttosto particolare: (4) La bidella Maria chiede ai genitori di non accalcarsi al portone, di sistemarsi a semicerchio tutt’intorno, e il suo intervento produce un minimo di geometria nella frattale complessità dell’assembramento (CAOS, p. 48). Dunque da geometria, vocabolo usato talvolta con accezione traslata17, si passa al tecnicismo estremo frattale. Anche in altre occasioni Veronesi appare incline a “forzare” i traslati e, al tempo stesso, a promuovere l’uso di settorialismi per una finalità espressiva o, per meglio dire, ludica; ciò accade in una similitudine zoomorfa, piuttosto particolare, riferita a un personaggio: (5) La sua bruttezza, […] in quel disarmo totale risaltava come nuda: la pelle del viso straziata dall’acne, la bocca del tutto priva di labbra, la fronte abnorme e sporgente – da casuario, come aveva notato Claudia. (CAOS, p. 80). Nella descrizione dello stesso personaggio, eseguita dal narratore interno e in un contesto simile, si ritrova il termine pleistocene: (6) Però molto più brutto di Harvey Keitel. Molto più ridicolo, soprattutto: con quella fronte da pleistocene e quel giubbottino da adolescente che gli striminziva il busto. (CAOS, p. 89). Come le armi, così anche le espressioni burocratiche si addicono all’atmosfera di ROM, dove a volte compaiono “citazioni” di verbali e di memorie giudiziarie: (7) Occorre una puntuale e rigorosa indagine su ciascuno dei punti posti in premessa nelle rivelazioni (omissis) 17 Cfr. «la perfetta geometria della Commedia», «geometria di concetti» (Gioberti, cit. in GDLI), «un ragionamento geometrico». tenendo conto che nessun valido indice di credibilità può essere desunto dalla gravità e dal numero dei fatti dedotti dalla fonte e dimostratisi veri: come si può sapere con certezza quanti fatti realmente conosca la fonte e quanti ne abbia taciuti, e se abbia taciuti i fatti più importanti e a sé maggiormente pregiudizievoli? (ROM, p. 527) 18. E ora un rapido controllo dei forestierismi. Abbiamo privilegiato quelli non adattati perché possiedono in genere una maggiore carica connotativa. Come di consueto, l’inglese domina incontrastato rispetto ad altre lingue straniere con circa l’80% delle occorrenze. Vi sono anglismi di ampia circolazione: jointventure (ROM, p. 133), open-space (CAOS, p. 60), roommate (CAOS, p. 122), understatement (CAOS, p. 11). Vi sono vocaboli specifici: klakfoam (CAOS, p. 21) è il materiale con cui è stata fabbricata la tavola da surf, slice e top-spin (CAOS, p. 357) appartengono al vocabolario tennistico. Il fatto che nel nostro corpus siano presenti stereotipi giornalistici, come self-made man (ROM, p. 581) e numerosi prestiti di lusso, come baby-boomers, producer (essere) out, jump-cut (CAOS, pp. 71, 93, 144, 371), conferma il valore stilistico di tali riprese, «la [loro] funzione di riconoscibilità sociale» (Berisso, 2000: 478). Sull’anglismo si disquisisce metalinguisticamente: (8) un’ora e mezza persa per scoprire come si dica in inglese “porta-lattine estraibile” [...] “cup-holder”, “can-holder”, “bottle-holder”? (CAOS, p. 372); l’anglismo fa “etichetta”: (9) Niente a che vedere con il “robbery & sex”, con rapine e sesso come luoghi dell’immaginario adottati dal linguaggio comune. (DRAGO, p. 131). L’inglese è ben presente, con vocaboli singoli, intere espressioni, adattamenti di vario tipo, in vari romanzi recenti; per avere una prova basta leggere Chi è Lou Sciortino? di Ottavio Cappellani19 o Nicola Rubino è entrato in fabbrica di Francesco Dezio20. 18 In tali scelte gioca sicuramente un ruolo importante il fatto che l’autore è un magistrato. 19 Si tratta perlopiù di prestiti non adattati: semplici vocaboli o espressioni come What has happened (p. 18); vi sono i soliti adattamenti (businissi per business), trascrizioni parziali del tipo Can ai invite iu? (p. 135); da notare alcuni pseudoanglismi disfemici: dickbrain ‘testa di cazzo’ (p. 6), e ass kiss ‘baciaculo’ (p. 15); talvolta una frase funge da clausola discorsiva: «Ok Lou, fammi avere uno speech col guaglione e poi I’ll call you back» (p. 40); la citazione di una canzone costituisce l’explicit del romanzo: «Ora state cantando a squarciagola: She’s got it, yeah baby, she’s got it. I’m your venus, I’m your fire at your desire!» (p. 209); ha un evidente valore connotativo la citazione dell’incipit di The great Gatsby di F. S. Fitzgerald (p. 167). 20 Anche in questo romanzo si ritrovano (quasi sempre nella narrazione e in riferimento all’ambiente lavorativo) vocaboli, espressioni, intere frasi in inglese: rendering (p. 23), know how, problem solving (p. 25), check list, crash test (p. 44), competitors (p. 134), team leader (p. 142), If you can’t change the world, change yourself (p. 148, da una canzone); un Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006) I forestierismi meno comprensibili (in genere perché tratti da lingue ignote al grande pubblico) sono quasi sempre glossati: «Schellenbaum, il cembalo dionisiaco delle bande militari» (DRAGO, p. 116); «Marschkompass – la bussola da truppa» (DRAGO, p. 115). Vi sono anche esotismi: guerrieri waziri (DRAGO, p. 71), dràkkar ‘tipo d’imbarcazione vichinga’ (DRAGO, p. 116); in CAOS gli orientalismi dipendono dalle abitudini di un personaggio dedito a particolari terapie: shavasana (CAOS, p. 356), mantra (ivi), zen (CAOS, p. 18); l’effetto ludico, come accade spesso, si potenzia nell’enumerazione: (10) Negli anni l’ha accompagnata da una quantità di guaritori, pranoterapeuti, yogi, santoni, sciamani, stregoni, ayurveda, maharishi, agopuntori, agopuntori senza aghi, quelli-che-ti-appoggiano-i-sassi-suichakra – come cazzo si chiamano –, podologi che ti leggono i piedi, tricomanti che ti leggono i capelli, monaci tibetani che ti ripuliscono l’aura con la spada, samurai che te la ripuliscono con la katana, perfino da un vampiro sono state, proprio così, l’anno scorso, a Corso Magenta, un rumeno della Transilvania, naturalmente di nome Vlad. (CAOS, p. 112). Gli orientalismi di DRAGO riguardano invece il mondo arabo e musulmano: casbah (p. 81), imano (p. 116), kursi ‘leggio’ (p. 71), rais (p. 130). Nei nostri romanzi ricorrono latinismi comuni: ad personam (CAOS, p. 37); requiescat (VITA, p. 98); more uxorio (VITA, p. 258); talvolta sono inseriti in contesti dissonanti: «sorta di Guantanamo ante litteram» (DRAGO, p. 71), «messi a morte in loco» (ivi). Passiamo alla formazione delle parole. Nel campo dei suffissati sono appena da notare sostantivi come «platealizzazione del rifiuto» (CAOS, p. 205), «teatralizzazione del rifiuto» (CAOS, p. 302); alcuni aggettivi in -ico: «lacoontico traffico romano» (CAOS, p. 119), «morfinica passività» (CAOS, p. 350) (con anticipazione rispetto al sostantivo); il solito suffisso romanesco -aro: cravattaro, parafangari (ROM, pp. 37, 454), borgatari (GIORNO, p. 264). Notiamo alcuni avverbi piuttosto particolari: dostoevskijanamente (CAOS, p. 113), gallisticamente (DRAGO, p. 187), fosforescentemente (CAOS, p. 118). Introducono una tonalità colloquiale alcuni parasintetici: sfaretta ‘lampeggia con i fari dell’automobile’ (CAOS, p. 176); scarrellò ‘fece scorrere il carrello della pistola’ (ROM, p. 532), si avvolpacchiava ‘s’ingarbugliava’ (ROM, p. 426); scentrato (CAOS, p. 276); intortano ‘ingannano’ (CAOS, p. 127), s’inorecchisce ‘drizza le orecchie’ , detto di un cane (CAOS, p. 154). Nel campo della prefissazione notiamo un proliferare di trattini: in-azione (ROM, p. 192); non-americani, nonsemplici, non-luce (CAOS, pp. 411, 231, 443), non-vita, non-sentimenti, non-parole (GIORNO, p. 256, 298); autoterminando (GIORNO, p. 104), auto-liquidato (CAOS, p. 161); mega-gruppo (CAOS, pp. 438); super-fidato, «supergiocattolo per super-manager», super-morigerata, supertesta di legno (CAOS, p. 314, 67, 268, 432); ultraadattamento suffissale: flashante (p. 101). Dei ventitré capitoli due hanno il titolo in inglese, uno in tedesco. aggressiva (CAOS, p. 409); tra gli elativi troviamo anche cocazza stratagliata ‘cocaina tagliata eccessivamente con altre sostanze’, supertangente, supercontrollata (ROM, pp. 127, 370, 378). Carattere iconico hanno i vari conglomerati sempre muniti di trattino: i) nome-nome: donna-cavallo (GIORNO, p. 286), fantesca-fattucchiera (DRAGO, p. 192), infermiera-amante (CAOS, p. 28); salonescannatoio, quota-stecca (ROM, pp. 227, 312); ii) verbali: dai-e-prendi, entra-esci, ufficio-che-non-c’è (ROM, pp. 144, 340, 407); iii) altri tipi: «minerva scudo-fornita» (GIORNO, p. 113), «lo zio-mito, lo zio-sposo, lo zio-concui-si-può-parlare-di-tutto» (CAOS, p. 277), non-ancorabuio (CAOS, p. 443), «insabbiato-dalla-marcia-e-corrottademocrazia-filoyankee» (ROM, p. 255). Talvolta un conglomerato è ripreso a breve distanza, quasi si tratti di un leitmotiv morfologico: «edificio/città, edificio/mondo» (CAOS, p. 330), «l’albergo/città, l’albergo/mondo» (CAOS, p. 332). La giustapposizione di vocaboli mediante sbarretta è presente anche in ROM: «aderisco/non aderisco» (p. 101), «binomio omicidio/complicità» (p. 168), «connessioni servizi/neri/malavita organizzata» (p. 316), L’univerbazione può riguardare ben otto proposizioni: (11) siamo quelli che mentre suo marito la lasciava affogare come un sorcio le hanno salvato la vita mettendo a repentaglio la propria e subito dopo hanno perso la moglie e soffrono in silenzio dedicandosi anima e corpo alla loro figlia tanto da restarsene tutto il giorno davanti alla sua scuola dinamica post-trauma . (CAOS, p. 317). Il fenomeno, che ha certamente un rilievo iconico, appare anche nel DD: (12) «Non sono io che decido quali operatori devono essere non-richiamati», disse eufemistico il capo, trincerato dietro la scrivania, mentre il sorriso di circostanza gli avvizziva sulla bocca. (GIORNO, p. 140). Anche l’univerbazione del chissenefrega ha valore iconico: (13) Senza potere, naturalmente, una super-testa di legno, un guscio vuoto, un fantoccio eterodiretto, ma chissenefrega, intanto la mia vita diventerebbe favolosa. (CAOS, p. 432); (14) Avevano uno stereo e ascoltavano a volume altissimo – alla chissenefrega – una cassetta dei Clash (GIORNO, p. 291). 4. Varietà regionali e sociali Cominciamo col distinguere gradi diversi di assunzione della dialettalità (o neodialettalità) nella nostra narrativa recente21. Esiste innanzi tutto un grado zero (a): vale a dire, similitudini, paragoni, modi dire, frasi 21 Si tenga presente l’affermazione di Berruto (2004: 18): «La collocazione del dialetto negli atteggiamenti e nella valutazione della comunità parlante è evidentemente cambiata, nel corso degli ultimi dieci anni». Sull’uso del dialetto nella narrativa contemporanea: Guerriero (2001), Antonelli (2006: 97-108). Maurizio Dardano et al. proverbiali, che si assume siano stati pronunciati in dialetto, appaiono in un italiano non privo di toni regionali; questa prassi, che ha avuto tra i suoi massimi esponenti il Verga (Nencioni, 1988) rivive, per es., in MILLE. Vi sono poi dialettismi formali (b), indotti da situazioni enunciative particolari (descrizioni di personaggi e ambienti locali, cibo, artigianato, tradizioni, temi riguardanti il sesso); di questi dialettismi sono responsabili gli attanti; l’io narrante si limita a riprodurli (s’intende che tutto ciò fa parte della finzione narrativa, del progetto del racconto)22. Vi è certo una differenza rispetto ai dialettismi-bandiera (c), usati dal narratore per riassumere in una parola lo “spirito”, il “carattere” di una realtà regionale. Da (b) e da (c) si distingue il dialettismo interno, assunto direttamente dall’io narrante (d). Possiamo parlare di plurilinguismo (esofasico), motivato dalla realtà esterna: rientrano in tale ambito ROM, VITA, GIORNO (la Mazzucco sviluppa questa modalità più nel romanzo americano, meno nel racconto romano); VEDOVA e MILLE, e per certi aspetti anche DRAGO, possiedono una motivazione interna vale a dire interiorizzano l’esterno. Anche in CAOS (dove dosi minime di romanesco e di altri dialetti convivono con altre varietà sociali) la commistione di localismi, gergo “dirigenziale” e “snobistico”, giovanilismi, anglismi, vocaboli settoriali, deriva da una condizione psicologica dell’io narrante, che fonde in un’unica voce tali varietà: si ha una condizione di completa endofasia. Vediamo alcuni esempi della tipologia proposta. (a) Dialettalità di grado zero. Ecco alcune similitudini (spesso introdotte da come), le quali si riferiscono a referenti rustici e pertanto creano una tonalità locale: «quel suo corpaccione che sembrava tagliato nell’olivo sarebbe diventato molliccio e si sarebbe sfatto come i torsoli delle pannocchie» (MILLE, p. 17); «l’ambasciatore aveva motivo di sospetto sapendolo “cane che non conosce padrone”, l’esatto pensiero che la Lenbach formulò adottando un fraseggio tipicamente siciliano» (DRAGO, p. 38, con riflessione metalinguistica). (b) Dialettismi indotti da situazioni locali (abbiamo scelto il settore dei cibi): «e le donne impastarono foccazzole, cavarono cavatelli, torsero ricchitedde, arricciarono scr’ppelle col miele e col vin cotto» (MILLE, p. 26), «taralli inceleppati» (MILLE, p. 29), «Nelle nostre famiglie non si buttava niente, neanche le murichias del pane, che restavano nel fondo della canistedda (VEDOVA, p. 87). (c) Dialettismi-bandiera: nonzi ‘nossignore’, camurria (DRAGO, pp. 137, 211), «chette corri?», daje (CAOS, pp. 120, 396). (d) Dialettismo assorbito: «Il professore Tringale non era imputato di niente: a quel mischino, a quel povero vecchio stordito dalla pena e dalla paura, l’avevano costretto a fare l’interprete per le udienze della giornata» (DRAGO, p. 107). 22 Si tenga presente (Moretti, 2001: 724): «Una volta che la voce del narratore si è mescolata a quella dei personaggi non si torna più indietro». In CAOS Veronesi pone a confronto meschino con l’equivalente romanesco porello e altre varianti, facendo esibire il padre e la figlia in un rapido gioco linguistico23: (15) L’ha fatta piangere, meschina. / Meschina... [corsivo nel testo] Di questo sì che si può parlare. /– Meschina? E dove l’hai imparata questa parola? / – Perché? E’ volgare? / – No. Anzi, se uno non è siciliano è molto ricercata. / – La dice sempre la Roxanna – si volta, sorride – Ehi, infatti la Roxanna è della Sicilia! / […] / In romanesco si direbbe porella – faccio./ – Porella [corsivo nel testo]? / – Sì. Poverella, porella. / – E in milanese come si dice?| – In milanese? Non lo so: pora stella. | Mi guarda, riflette. / – Tipo povera stellina. / Oggi è proprio un casino. Povera stellina sarebbe lei... / Non lo so. Non ho mai imparato il milanese. Io so’ de Romaa! [corsivo nel testo]» (CAOS, p. 440)24. D’altra parte s’incontrano frequenti dialettismi panitaliani, come il settentrionale malmostoso ‘scorbutico’25, che, grazie all’uso giornalistico, si è ampiamente diffuso in tutta la Penisola: lo ritroviamo sia in DRAGO (domanda malmostosa, p. 205) sia in GIORNO (sofferenza malmostosa, p. 269). In romanzi di diversa ambientazione, come ROM e DRAGO, c’imbattiamo più volte negli stessi sicilianismi: ammazzatina, pulla ‘prostituta’, buttana (o buttanazza), i quali, dal momento che si ritrovano anche nella narrazione, non dipendono dalla provenienza dei personaggi, ma dal fatto di far parte da tempo di un vocabolario basso, diffusosi mediante il cinema e la televisione, e portatore di una espressività panitaliana, buona − per così dire − per tutte le occasioni. Essendo la componente dialettale funzionale alla fiction, occorre considerare sia le occasioni in cui essa ricorre sia il dosaggio con cui è distribuita nei vari contesti. Importa pertanto analizzare la componente pragmatica dell’uso del dialetto, che talvolta passa dal DD al DI e a una gamma piuttosto differenziata di DIL. La citazione poi può riguardare singoli vocaboli, espressioni, intere frasi. Quest’ultima modalità appare in VITA: (16) Dopo l’ennesimo vavattene abbascio ca te piglio pe’ ’ssi quattro pirci ca te ’n coccia uocca fràceta zoccola ch’anzi atu (VITA, p. 70)26. Sempre in VITA, si ritrovano vari casi di italianizzazione dell’inglese: nella parlata dell’anziano Agnello si alternano espressioni in dialetto e travestimenti: bummo 23 Sulla «consapevolezza linguistica» di Veronesi si veda Meacci (1997: 204-211). 24 Porello ricorre anche nei due romanzi di ambientazione romana; cfr.: «Scrocchia, lui, porello, si sentiva vittima… ma vittima de che?» (ROM, p. 575); «i napoletani sono così divertenti, pensa a Totò, a Massimo Troisi, porello, è morto tanto giovane» (GIORNO, p. 282). 25 Cfr. la voce malmostós in Cortelazzo e Marcato (1998). 26 Traduzione: “ma vattene via, che ti prendo per questi quattro capelli che hai in testa, bocca marcia, ‘zoccola’ che non sei altro”. Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006) (ingl. bum), Nevorco (ingl. New York); appaiono anche frasi composite: «Che vonno ’sti polismen all’ausa mia?» (VITA, p. 165). In DRAGO l’espressività è affidata a singoli dialettismi, inseriti per lo più nel dialogo: «Ma che spacchio [‘sperma’] vai contando!» (p. 58), «Chi sunnu ’sti cosi? I ’mpiccicaru a testa sutta» (p. 184) e a espressioni proverbiali (una tradizione che ha numerosi punti di riferimento nella narrativa siciliana): «Futti futti che Dio perdona a tutti» (p. 42); «Era solo tempo di guerra, quello: l’amore era brodo di ciciri [ceci]» (p. 60). Queste riprese sottolineano un rapporto forte con situazioni locali, per le quali l’ambientazione del racconto diventa un fattore predominante ed elementi caratteristici del luogo occupano una posizione di primo piano. Come appare da alcuni esempi già riportati, il dialettismo è sovente al servizio della disfemia27; si vedano ancora: (17) Oh, finalmente! Dunque, non c’ho tempo, perciò stamme bene a senti’: l’omini che te rompono li cojoni o se comprano o se spengono (ROM, p. 567); (18) E io con te non voglio averci più niente a che fare, pezzo di parrino arruso28! (DRAGO, p. 152). L’intento ludico è sempre presente29. In ROM il siciliano è usato nei dialoghi per dare una forte caratterizzazione caricaturale a personaggi appartenenti alla malavita siciliana: (19) Una volta, a Palermo, presero due picciotti. C’erano tre testimoni, e loro stavano davanti al morto con un fucile ancora caldo. Si fece la perizia, e il fucile risultò fasano. /– Che significa «fasano»? / – Significa che era come favuso, comu si dici… falso. ’Un sirbeva, non serviva. Un pezzo di legno era. Non aveva mai sparato e mai poteva sparare. I due picciotti furono liberati con tante scuse (ROM, p. 334)30. Oltre al romanesco, al napoletano e al siciliano, i malavitosi parlano il toscano; il contrassegno di tale varietà linguistica è naturalmente la gorgia, che De Cataldo rappresenta mediante l’apostrofo: (20) Un riccone colla villa in Versilia... sai ’ome vanno ’odeste cose: sono a corto di liquidi! (ROM, p. 521). nella narrazione: il toscano inteccherire (pp. 312, 330)31, i meridionali fattarielli (p. 88) e pommarola (pp. 243, 287). In VITA, l’autrice fa parlare molti dei propri personaggi in un “italiano popolare” al fine di connotarne il livello sociale. Tale tecnica ricorre anche in GIORNO. Ecco come si esprime una semicolta, la suocera del protagonista: (21) Lei che è tanto introdotto professor Alessandro, perché non dice a Mister Verità di fare una puntata su di noi, così rimette a posto la situazione? Una volta che uno è andato alla televisione certe brutte cose non le può fare più, che lo conoscono tutti, dico giusto? stiamo inguaiati, mio genero ci ha la depersione, la malattia del secolo e non c’è cura, mi vuole ammazzare a me che c’ho sessantanni e l’ossoporosi, che gli ossi mi diventano frangibili come vetro soffiato, io gliel’ho detto ai giudici che mio genero c’ha gli occhi strani e i pensieri rintorcinati e i fucili da guerra mica per giocare, ma i lupi non si sbranano mica fra loro, non so se mi spiego (GIORNO, pp. 323324). Si noti come ai malapropismi depersione ‘depressione’, ossoporosi ‘osteoporosi’, al romanesco rintorcinati e al meridionalismo (ormai panitaliano) inguaiati si accompagni una sintassi parlata, costituita da elementi ricorrenti in questo tipo di mimesi32. Si vedano ancora la ripresa pronominale certe brutte cose non le può fare più e l’anticipazione mediante pronome io gliel’ho detto ai giudici che; il connettore più semplice rappresenta sia la funzione causale che lo conoscono tutti sia quella esplicativa che gli ossi mi diventano frangibili; il ci presentativo compare tre volte; anche la particella negativa mica è ripetuta; appaiono tipiche formule discorsive: dico giusto?, non so se mi spiego. Questi elementi si accompagnano a una folta schiera di colloquialismi, che convivono con forme standard (ciò accade anche negli altri romanzi del nostro corpus): per es. frequente è l’uso alternato di importare, fregare e fottere33. Un discorso a parte deve essere fatto per VEDOVA e MILLE34. Nel romanzo di Niffoi, si oscilla fra sardo (più precisamente, dialetto barbaricino) e italiano. Si va da vocaboli resi intelligibili dal contesto (ammacchiare ‘impazzire’, VEDOVA, p. 14, leppa ‘coltello a serramanico’, p. 70, già usato dalla Deledda) ad altri di più difficile 31 Anche in CAOS compaiono regionalismi, che, a differenza di quanto accade talvolta per il romanesco, non hanno alcun valore mimetico o espressivo, ma sono assorbiti 27 A proposito di elementi lessicali copro- e pornolalici presenti in un corpus di testi “cannibali”, Berisso (2000: 490) nota «una relativa scarsità di elementi di provenienza dialettale». In ROM la scelta tra le varianti regionali dipende dalla situazione narrativa; cfr. le varianti: fica (pp. 26, 27, 533, 568), sorca (p. 162, nell’espressione rutilante sorca), sticchio (p. 276). 28 ‘Prete sodomita’: cfr. Vocabolario siciliano s.vv. 29 Antonelli (2006: 108) parla di «dialetto per diletto». 30 Per tali contesti Guerriero (2001: 223) parla di «glossa intradialogica». Cfr. GRADIT: ‘intirizzirsi per il freddo’, ‘stare impettito, rigido’. Un altro toscanismo, spippolare ‘comporre, suonare con grande scioltezza e disinvoltura’ (GRADIT) compare in GIORNO (p. 77): «tirò fuori il cellulare e spippolò per controllare i messaggini – ma nessuno le aveva scritto». 32 Sulla sintassi del parlato dei semicolti cfr. D’Achille (1994: 69-72). 33 Cfr. alcuni passi: «non gliene poteva fregare di meno a nessuno» (ROM, p. 575), «be’, chi se ne frega» (CAOS, p. 316), «non gliene fregava niente» (GIORNO, p. 71), «chi se ne fotte!» (ROM, p. 523). Frequente fottere ‘imbrogliare, danneggiare qcn.’: «Mi hanno fottuto» (GIORNO, p. 163), «lavoravamo tutti e due per fottere Boesson» (CAOS, p. 72). 34 Un episodio degno di nota nell’ultima narrativa italiana è l’assunzione dell’arbëresh nei romanzi di Carmine Abate; si veda per es. Il mosaico del tempo grande, Mondadori, 2006. Maurizio Dardano et al. comprensione35. Spesso vocaboli ed espressioni sardi conferiscono alla narrazione una tonalità epica: (22) Me lo portarono a casa una mattina di giugno, spoiolato [sgozzato] e smembrato a colpi di scure come un maiale. Neanche una goccia di sangue gli era rimasta. Due lados [‘metà di animale macellato] che ad appezzarli non sarebbe bastato un gomitolo di spago nero, di quello catramoso che i calzolai usano per le tomaie dei cosinzos [scarpe di pelle cruda] di vacchetta» (VEDOVA, p. 13). In MILLE, romanzo ambientato in Basilicata, ricorrono vocaboli locali: naca ‘culla sospesa’ (p. 70), lampascione ‘cipolla selvatica’(ivi), abbabbiare ‘ingannare’ (pp. 48, 94); struscere ‘sciupare’ (detto del denaro) (p. 49)36. Alla p. 97 c’è un intero passo in dialetto; solo l’ultima frase è tradotta: (23) Le cartelle non le sapeva leggere. Tutto scritto qua sopra. Chi gli ha empito la testa? Rocco deve studiare. Ca t vò spadazzà. Ca t voln accid. Cà t vol cazzà na saiett. Ca non t vuò rtrà viv staser. Ca cur Crist non t fasc scttà u sagn e u vlen quanta fum men na cimner, che quello Cristo non ti fa buttar sangue e veleno quanto fumo mena una ciminiera. E i tuoi figli, e tua moglie. Dunque talvolta il dialettismo è seguito da una glossa: «Essera a briga, a dirma, da noi vuol dire guardarsi a collo grosso, togliersi il saluto» (VEDOVA, p. 84); «Di l’as chircada! Te la sei cercata! Adesso grattati!» (VEDOVA, p. 150), «Tar’socc’ [...] mormorò stupita, leccandosi la peluria sulle labbra: “iè iuogghj”, olio, olio d’oliva!» (MILLE, p. 13). Elementi dialettali, anche disfemici, oltre ad essere presenti nel dialogato e nel DIL (quando si formalizza il pensiero di uno dei protagonisti), risalgono nella narrazione installandosi per lo più in passi di forte tensione emotiva. Non mancano tuttavia in contesti neutri: per es. nei titoli dei capitoli37. Lo stesso discorso vale anche per i giovanilismi, che ricorrono in alcuni filoni della nostra narrativa contemporanea, oltre che nel cinema (Rossi, 2006: 392403). Cominciamo con un iconismo grafico, portatore di una connotazione variamente orientata a seconda dei contesti: anarkici, mikrocefalo (GIORNO, p. 207)38 per passare all’altrettanto noto coatto, che appare una volta in GIORNO (p. 309), ma ben 14 volte in ROM (anche con le varianti coattone, coattello e coatta). Nello stesso 35 Per i vocaboli sardi si è consultato Pittau (1999). Cfr. Rohlfs (1977) alla voce strusciare, -ri. 37 Cfr. «Solitudini. Disamistade» (ROM, p. 441): il secondo vocabolo (che appare solo in questa occasione) è sardo e vale ‘inimicizia’, per estensione ‘faida’: probabilmente è una citazione del film Disamistade di S. Cabiddu (1988) o dell’omonima canzone di F. De André (1996, Bmg Ricordi). 38 Radtke (1993: 216), a proposito di quest’uso giovanilistico, parla di «kappa deformante». In GIORNO (pp. 123-125), il diario scritto dalla giovanissima Valentina contiene grafismi da SMS: ke ‘che’, x ‘per’, xché ‘perché’, + ‘più’. 36 romanzo ricorre 4 volte sbroccato (ROM, pp. 5, 25, 179, 206); il verbo sbroccare appare 2 volte in CAOS (pp. 322 e 373)39. Una sorta di vocabolo-bandiera dei giovani è il verbo sgamare (originariamente un gergalismo), presente in tre dei nostri romanzi40. Sullo stesso piano si pone l’aggettivo cazzuto ‘particolarmente degno di considerazione’41: (24) Il rischio d’incappare in una pattuglia cazzuta era altissimo, e bisognava stare coperti (ROM, p. 83); (25) la mia aura dev’essere cazzutissima in questi giorni; il mio corpo radiante smisurato (CAOS, p. 109). In (25) la distanza semantica e stilistica tra il sostantivo aura (ripreso nell’accezione di aura of person)42 e l’aggettivo plebeo (in forma di superlativo) crea una diseguaglianza impressiva e ludica. Se cazzuto è panitaliano, altrettanto si può dire di mezzasega, un altro vocabolo colorito che ritroviamo in ROM (p. 178) e CAOS (p. 20: qui senza univerbazione) 43. Nel settore della fraseologia notiamo, oltre all’espressione, piuttosto neutra, bersi la strada ‘andare a forte velocità’ (ROM, p. 13), andare in fissa ‘essere coinvolto’ (CAOS, p. 185), venire un flash («M’è venuto un flash», GIORNO, p. 203) e l’espressione romanesca che tajo ‘che divertimento’ (GIORNO, p. 73), usata però con significato antifrastico: (26) «Le previsioni fanno schifo, il sole non riusciamo a prenderlo e il bagno non ce lo facciamo, però non piove, pranziamo sulle dune e poi ci facciamo una corsa sulla spiaggia.» «Sai che tajo!» gridò Valentina, «no, domani vado con la squadra alla partita della ROMA VOLLEY.». Come appare, la quasi totalità dei giovanilismi (soprattutto di origine romanesca) sono vocaboli ed espressioni trasparenti, da tempo entrati nella lingua comune. Una specie di giovanilismo internazionale è taggare (GIORNO, p. 57, dall’inglese tag ‘firma scritta sui muri’). È naturale che una maggiore concentrazione di gergalismi si abbia in ROM. Qui ritroviamo numerosi vocaboli provenienti dal linguaggio della malavita come cavallo e formica ‘spacciatore di droga’. Oltre al 39 Cfr. GRADIT: «roman[esco] ‘perdere la brocca’ nel senso di ‘testa’». 40 Cfr. «e lei aveva per forza sgamato che stavo parlando di lei senza averla riconosciuta» (CAOS, p. 189); «Le ragazze romane si lasciavano abbordare facilmente, erano fragorose e socievoli, ma al momento di darsi appuntamento, quando sgamavano che era soldato finivano per schifarlo, e dargli numeri di telefono falsi, o inesistenti» (GIORNO, p. 289); «il Sorcio capì immediatamente che il Freddo l’aveva sgamato» (ROM, p. 412). 41 I lessicografi ne danno giudizi diversi: “comune” (GRADIT), “popolare” (Devoto- Oli, 2004-2005), “volgare” (Garzanti, 2007; Zingarelli, 2006), manca in Sabatini e Coletti (20032). 42 Per aura v. anche (10). 43 È ovvio che voci ed espressioni provenienti dal gergo giovanile scadano spesso nella coprolalìa: «Ranocchia era alto un cazzo e un barattolo» (ROM, p. 139). Il lessico della narrativa contemporanea(2002-2006) ricorrente sbirro (53 occorrenze contro le 81 di poliziotto), ci sono gli specialotti (p. 425) e la pula (p. 89). In luogo di pistola s’incontra spesso la metonimia ferro (p. 6 e passim), ma anche l’espressiva baiaffa (p. 532)44; si noti anche la locuzione finire al gabbio (p. 28); il carcere è detto anche eufemisticamente villeggiatura (p. 425). Ben rappresentato il gergo della tossicodipendenza: ero (p. 63 e passim), buco (p. 438), roba (p. 79 e passim), brown sugar ‘eroina’ (p. 63 e passim), fattone ‘drogato’ (p. 344 e passim), pippare ‘sniffare cocaina’ (p. 160 e passim)45, impasticcato (pp. 25, 153), stare a rota (p. 113) ‘essere in astinenza’ e scimmia ‘tossicodipendenza’ (pp. 306, 423). Ananas ‘bomba a mano’ (DRAGO, p. 156) sarà da riferire al gergo militare. In qualche modo connessa al ricorso a varietà dialettali e gergali è la folta presenza di nomi “parlanti”, che prende spicco in ROM46. 5. Conclusioni L’analisi ha dimostrato che: i) il lessico della nostra più recente narrativa appare mescidato soprattutto a causa degli apporti che vengono dal basso (si potrebbe parlare di una «mescidanza programmata» di diverse varietà); ii) nonostante la ricerca di una «medietà linguistica», le componenti centrifughe sono piuttosto attive; iii) alcune scelte lessicali (affissati, nominalizzazioni) influenzano gli aspetti enunciativi e pragmatico-testuali dei nostri romanzi. Rispetto alla «standardizzazione linguistica», rilevata da Coletti (2001) nella narrativa della fine del XX secolo, il quadro complessivo non è privo di fattori centrifughi. Per i romanzi da noi esaminati non si può parlare di «lingua ipermedia», che del resto, a detta dello stesso inventore di questa formula, appare in declino (Antonelli, 2006: 14), né di «lingua di plastica» (o «selvaggia»). Lo scrittore di oggi accoglie mode più o meno effimere dal mondo del cinema della televisione e, in particolare dalla musica leggera. Chi volesse suggerirgli: “Parla con la tua voce, Italiano”, si porrebbe irrimediabilmente fuori dal nostro tempo. La coscienza di usare toni e allusioni particolari è cresciuta negli ultimi anni. Data una certa fluidità delle situazioni e delle forme espressive, non è opportuno imporre a questi romanzi rigide schematizzazioni ed etichette. La mescidanza di forme e di stili non va giudicata in modo univoco. Il fenomeno è, 44 Cfr. Ferrero (1991, s.v.): «Pistola, rivoltella, perché i suoi colpi ricordano l’abbaiare di un cane. Voce largamente diffusa, che negli anni ’70 indicava in particolare la P38, molto usata dai terroristi». 45 Cfr. anche pippata (p. 60), pippatone (p. 83), pippatore (p. 47 e passim). 46 Molti dei personaggi del romanzo hanno soprannomi “parlanti”, i quali, riferendosi all’onomastica locale, offrono un surplus informativo sul carattere, sull’aspetto fisico e sulla vita passata. Il Libanese è in realtà figlio di calabresi (mediterraneità generica, usata in senso spregiativo), il Freddo è un individuo controllato e scrupoloso, l’antifrastico Secco è un lestofante grasso e viscido, il Dandi pretende di vestirsi con raffinatezza, il Terribile è noto per la sua ferocia, Fierolocchio è affetto da strabismo, Varighina (da varechina) è albino; non mancano referenti letterari o paraletterari: il Conte Ugolino è un criminale con tendenze antropofagiche, Trentadenari è un traditore. di volta in volta, mimesi del parlato (De Cataldo), modalità di un edonismo plurilinguistico variamente declinato (Buttafuoco, Niffoi), manifestazione di una ricerca interiore perseguita mediante addizioni e sottrazioni verbali (Veronesi), testimonianza di una partecipazione commossa a una realtà degradata (Mazzucco). 6. Riferimenti Testi: Buttafuoco, P. (2005). Le uova del drago. Milano: Mondadori = DRAGO. Cappellani, O. (2004). Chi è Lou Sciortino?. Vicenza: Neri Pozza. De Cataldo, G. 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