Centro Educazione Ambientale Museo del Novecento Storia e arte
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Centro Educazione Ambientale Museo del Novecento Storia e arte
46 Periodico quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca Credito Cooperativo Società Cooperativa. Poste Italiane spa · Spedizione in abbonamento postale, 70% · DCB TV. Anno XVI · N. 46 · Maggio 2008 Centro Educazione Ambientale Museo del Novecento Ricordo di Toti Dal Monte Storia e arte locale Cibo: tutto lo spreco che finisce nella spazzatura Secondo una recente indagine della Confederazione italiana agricoltori circa venticinque milioni di tonnellate di cibo vengono buttate annualmente tra i rifiuti. Oltre la metà, circa diciotto milioni di tonnellate, finiscono nei cassettoni della spazzatura direttamente da case, negozi, ristoranti, mense, hotel, aziende alimentari, mentre tutto il resto viene perduto nella distribuzione, nelle fattorie, nei campi e nei negozi. In definitiva buttiamo nella spazzatura un terzo del cibo prodotto nel Paese, qualcosa che vale trenta miliardi di euro, ovvero il due per cento del prodotto interno lordo. Se rapportiamo il dato al numero delle famiglie italiane, emerge che il costo di questi scarti ammonta a cinquecentottanta euro annui per gruppo famigliare; se poi andiamo a vedere la natura degli scarti scopriamo che il 30% dello spreco è dato da prodotti freschi (latte, uova, formaggi, yogurt), il 19% dal pane, il 17% da frutta e verdura, il 10% da affettati e il 6% da prodotti in busta, ossia alimenti basilari acquistati e non consumati. Le cause di questo disastro alimentare sono diverse, ma quasi tutte riconducibili alla poca educazione all’acquisto: compriamo troppo e male, talvolta attirati dalle offerte del marketing, dalla seduzione della confezione, dalle novità, dalle promozioni, dai prezzi sottocosto che stimolano fortemente all’acquisto. È l’accusa che i sociologi muovono al consumatore italiano, portato a riempire il carrello di cibo che non riuscirà mai a consumare prima che vada a male. Per il sociologo il consumatore è troppo distratto, ha poca coscienza ecologica, non è attento alla scadenza del prodotto che acquista; ha perduto l’abitudine alla parsimonia ma anche alla misura di una spesa fatta, se non giornalmente, almeno più volte la settimana, comprando ciò che realmente ha bisogno per uno o due giorni nei mercati di quartiere o dal negoziante sotto casa. Invece siamo presi dalla fretta e così la spesa si effettua al sabato al supermercato pensando ai pasti di tutta la settimana con il rischio che molti prodotti freschi finiscono col il marcire e quindi buttati in spazzatura. Ma il problema fondamentale è che la maggior parte della gente non si rende conto di contribuire a un dramma di vaste dimensioni: non c’è solo il costo di prodotti che non si consumano ma anche quelli per il loro smaltimento che vanno a carico dell’intera società. Un problema non da poco. sommario SOTTOVO C E ANNO XVI · N. 46 · MAGGIO 2008 2 Cibo: tutto lo spreco che finisce nella spazzatura 3 Editoriale 4 Notizie in breve 7 Clementa, un angelo per i bambini 9 Un valore da condividere 10 Il salice nel nostro paesaggio 13 Centro di Educazione Ambientale 16 Tanto di barba e baffi 18 Museo della Grande Guerra e del Novecento 19 Ricordo di Toti Dal Monte 21 Un mondo che scompare 22 Le pantere della SPES ruggiscono in A1 24 I nostri anziani raccontano 26 Allo Zancanaro di Sacile il teatro di gioventù 28 L’artista Marcello Fogolino 29 Daniele Francesconi autore del Settecento veneto 31 Le costituzioni Italiana (1948) e Romana (1849) 34 A Pieve di Soligo accordo con La Nostra Famiglia In copertina. Capitello a Valdobbiadene. Foto. Archivio Banca della Marca, Foto Viola, Giorgio Mies, Norma Grafica. Quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca Direzione e redazione Via Garibaldi, 46 · 31010 Orsago/Tv Progetto Janna/Pn Direttore responsabile Angelo Roman Stampa Tipolitografia Carlet Giuseppe s.r.l. Orsago/Tv In redazione Claudio Bortolotto, Adriano Ceolin, Giovanni Guizzo, Piergiovanni Mariano, Giuseppe Maset, Mario Meneghetti, Gianpiero Michielin, Vittorio Janna, Gino Zanatta Registrazione Tribunale Treviso n. 911 del 27 maggio 1993 Le opinioni esposte in articoli firmati o siglati esprimono il punto di vista dei singoli autori e non quello dell’Amministrazione della Banca. Gli articoli inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È consentita la riproduzione dei testi purché venga citata la fonte. L’Editore si rende disponibile ad assolvere agli obblighi in materia di diritto d’autore con i soggetti interessati non individuati che avanzino legittima richiesta. Garanzia di riservatezza. I dati personali dei destinatari della rivista saranno utilizzati dall’Editore, titolare del trattamento, unicamente per l’invio della pubblicazione e di eventuali offerte commerciali secondo le finalità e i modi consentiti dalla D. Lgs. n. 196/2003. Pertanto, i dati potranno essere trattati con mezzi informatici o manualmente anche da parte di terzi che svolgono attività strumentali (etichettatura, spedizione) e potranno essere consultati, modificati, integrati o cancellati in ogni momento dagli interessati inoltrando richiesta al responsabile, nominato per la carica, sig. Patrizio Pillon all’indirizzo della redazione. Internet: www.bancadellamarca.it · e-mail: [email protected] EDITORIALE bilancio AL 31 DICEMBRE 2007 di Gianpiero Michielin, presidente Nell’aula magna dell’Istituto «Da Collo» di Conegliano, il 4 maggio scorso ha avuto luogo l’Assemblea Ordinaria annuale della nostra Banca con all’ordine del giorno la discussione e l’approvazione del Bilancio al 31.12.2007. Un appuntamento importante del Consiglio di Amministrazione con i Soci del nostro Istituto, passati dai 3.720 del 2006 ai 4.310 del 2007, per conoscersi e confrontarsi sugli aspetti gestionali dell’Azienda. In questa sede, anche perché i dati sono disponibili nel fascicolo predisposto, ritengo opportuno tralasciare la citazione dei numeri della lusinghiera crescita ottenuta nel corso dell’esercizio negli aggregati patrimoniali e dell’importante risultato economico registrato. La congruità e la valenza dei risultati raggiunti dalla nostra Banca trova un’ulteriore, importante conferma nel rating ufficiale della Società Moody’s che ha dato il giudizio pari ad «A3», il massimo attualmente ottenibile da una società di piccole dimensioni ed operante in un mercato ristretto. Sottolineo solo che i risultati d’eccellenza registrati, che contraddistinguono da anni la dinamicità della nostra Banca, sono frutto della sinergia, senza sbavature, tra tutti coloro che reggono le sorti dell’azienda quali il Consiglio di Amministrazione, il Collegio Sindacale, la Direzione Generale, e nascono per merito di un organico aziendale all’altezza del compito, preparato professionalmente, coinvolto e partecipe della mission aziendale e, assai importante, di una compagine sociale che apprezza e vive convinta l’esperienza della Cooperazione. Il 2007 è stato l’anno di un evento importante che considero utile sinteticamente ricordare perché caratterizza e dà prova della capacità della Banca di mettere in pratica un alto dinamismo impreditoriale saldamente legato al territorio in cui opera. Con il determinante contributo della nostra Banca è stata fondata la Società di Mutuo Soccorso «Marca Solidale sms» con la finalità principale di erogare servizi alle famiglie dei Clienti nell’ambito della salute, della prevenzione e dell’assistenza sanitaria. Un progetto subito ampiamente condiviso tanto che, in meno di un anno, ha trovato già oltre 1500 adesioni. Un’ulteriore conferma della lungimiranza che, diversi anni addietro, ci ha spinti e convinti ad attivare il «Progetto famiglia» con l’obiettivo di essere a fianco dei giovani e dei genitori, unitamente al mondo dello sport e della scuola, per condividere percorsi atti a garantire ai ragazzi valori e stili di vita validi ed adeguati alle loro esigenze attuali. È stato il riconoscimento da parte della Regione Veneto con l’assegnazione alla Banca della Marca del «Marchio Famiglia» quale soggetto significativo che nell’ambito del territorio in cui opera si occupa dei bisogni della famiglia. Unica realtà privata, unitamente ad un’azienda veronese, ad avere questa menzione in Veneto. Tutto questo significa che mai ci siamo adagiati sui successi ottenuti e che, di contro, siamo sempre dinamici alla ricerca di idee innovative avendo sempre come primo obiettivo il servizio ai Soci ed ai Clienti che per noi sono sempre e solo persone, individualmente importanti, e non numeri. Il 2008 si è presentato come un anno difficile perché l’inflazione cresce, i tassi non si riducono, è stagnante il potere d’acquisto e più di qualche famiglia è in difficoltà. Proprio per questo Banca della Marca deve sempre più impegnarsi a ricercare il ruolo delle origini, quello delle Casse Rurali: dare aiuto e servizi di qualità alle fascie di popolazione maggiormente a rischio, stimolando la voglia di reagire e puntando su una crescita solida, a misura d’uomo, concreta, lontana dalla speculazione. Siamo una Banca longeva perché abbiamo saputo adattarci ai cambiamenti del nostro mercato e su questa strada dobbiamo continuare perché, come tutto il mondo del Credito Cooperativo, abbiamo un modello organizzativo inimitabile. Nel fascicolo del Bilancio Sociale distribuito durante l’Assemblea abbiamo cercato di illustrare i valori che ci contraddistinguono e lo sforzo attuato per operare nell’interesse della comunità locale mirando ad uno sviluppo economico e sociale. La lettura delle relazioni e dei dati riportati dettagliatamente nel fascicolo sintetizzano il ruolo importante di Banca della Marca nello sviluppo del territorio e nel sostegno all’associazionismo ed al volontariato. I francescani, già diversi secoli addietro, dicevano che «l’elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vivere. Perché vivere significa produrre e l’elemosina non aiuta a produrre». Siamo convinti che se nel nostro territorio viviamo bene una piccola parte di merito ce la possiamo prendere. PRIMO PIANO in N OT I Z I E BREVE STORIA LOCALE A CORDIGNANO FOTOGRAFIE DELLA GUERRA DEL 1915-18 PROGETTO DI UN NUOVO PARCO L’attenzione per il nostro passato sta vivendo da oltre un decennio momenti di particolare euforia documentata con la pubblicazione di interessanti volumi, frutto di scrupolose ricerche d’archivio. È sicuramente un percorso da apprezzare e da sostenere perché la nostra identità, i nostri valori, il nostro senso di appartenenza ad una Comunità passa attraverso la conoscenza della nostra storia. Bertolt Brecht diceva, infatti: «il popolo che non conosce la sua storia è condannato a ripeterla». Il Comune di Vazzola, dopo aver organizzato una mostra storico-fotografica, ha deciso di raccogliere in un volume e narrare le vicende ed i momenti assai tristi dell’occupazione durante la guerra 1915-1918. Oltre alla copiosa documentazione fotografica, in parte inedita, il volume raccoglie le memorie scritte da alcuni parroci ospiti presso la canonica di Vazzola nel triste periodo dal novembre 1917 alla fine della guerra. I diari sono di don Giovanni Dal Poz e di don Amerigo Garbuio, rispettivamente parroci a Cimadolmo e San Michele di Piave. Queste relazioni sono poi integrate dalle testimonianze scritte a quel tempo da due ragazze vazzolesi, quaderni che ben fanno trasparire una spontaneità giovanile ma anche la fame e la paura di quei giorni. L’iniziativa ha trovato in Banca della Marca un valido e puntuale sostegno. . Ad inizio anno, presso il teatro «E. Francesconi» di Cordignano, è stato presentato ed illustrato il progetto di realizzare, nell’area del Colle Castelir che sovrasta l’abitato di Villa di Villa di Cordignano, un parco naturalistico-archeologico. L’idea di questa iniziativa è del Gruppo Archeologico di Cordignano che, con l’apprezzamento di Provincia di Treviso e Comune di Cordignano, ha evidenziato la necessità di salvaguardare un territorio di rilevante pregio e ha visto la possibilità, sia pur non immediata, di creare interesse turistico in ambito locale e non solo. Essa trova valenza ed integrazione con il progettato Parco della foresta del Cansiglio e le aree contermini delle sorgenti del Livenza, delle Grotte del Caglieron e dell’area fluviale del Meschio. L’insieme del progetto, che si articola in diverse fasi, prevede visite ai siti archeologici paleoveneti, oggetto di scavo e studio da parte dell’Università di Padova, spazi di ritrovo, un giardino botanico con la ricca flora autoctona e molto altro. Per la fase di avvio e la gestione dell’insieme è indispensabile una coesione ed una sinergia tra pubblico e privato affinché la progettualità divenga interessante, oltre che sotto l’aspetto naturalistico-archeologico, anche sotto quello economico che non è di trascurabile rilevanza. Il tutto è stato raccolto in una pubblicazione realizzata con il sostegno di Banca della Marca. IN PRIMO PIANO I NOSTRI COLLEGHI TORNEO INTERBANCARIO DI TENNIS ICCREA – l’Istituto Centrale delle Banche di Credito Cooperativo – ha organizzato nei giorni 22, 23 e 24 maggio, a Milano Marittima in comune di Cervia, come avviene già da oltre due decenni, il torneo interbancario di tennis del Credito Cooperativo. A questa competizione sportiva, voluta nell’Italia centrale proprio per permettere di partecipare a tutti dell’Unione Europea oltre ad Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. Il codice IBAN è sempre indicato nell’estratto di conto corrente che la Banca invia periodicamente alla clientela. Deve essere comunicato a chi effettua i pagamenti, perché l’utilizzo non corretto può comportare disguidi, ritardi ed anche oneri aggiuntivi. PRIMO PIANO gli appassionati dipendenti di Banche di Credito Cooperativo, aderiscono in numero sempre maggiore, e sempre più preparati, atleti provenienti da tutte le regioni. In rappresentanza di Banca della Marca hanno partecipato due dipendenti: Ermanno Pizzinato, Direttore della filiale di Conegliano, e Roberto Dall’Antonia, componente dello staff della filiale di Sacile. Ermanno Pizzinato, per ben la terza volta, ha vinto la gara del «singolo», quella più ambita e con Roberto Dall’Antonia ha giocato la finale del doppio. Un grazie agli atleti, anche dal nostro giornale, per averci ben rappresentato. A VENEZIA CONVENTION DEL PERSONALE Domenica 11 maggio si è svolta l’annuale Convention di tutti i dipendenti di Banca della Marca. Il lussuoso contesto scelto per quest’anno è stata la magnifica nave da crociera Costa Serena ormeggiata per l’occasione al porto di Venezia. Alta la partecipazione da parte dei dipendenti che hanno ascoltato con grande attenzione gli interventi dello Staff di Direzione sull’andamento della Banca nell’anno appena trascorso e sullo scenario e gli obiettivi previsti per l’anno 2008. Alcuni colleghi di filiale hanno inoltre portato la loro testimonianza sull’essere «Banca del territorio». ALLA FILIALE DI TREVISO IMPIANTO ATM D’AVANGUARDIA Da inizio febbraio 2008 è entrato in funzione, presso la filiale di Treviso della nostra Banca, il primo ATM «drive in» del Veneto. Si tratta di un impianto Bancomat con la caratteristica di essere più basso di quelli tradizionali sparsi sul territorio e posizionato in modo tale da potersi accostare ed effettuare tutte le operazioni senza scendere dalla vettura. Rappresenta un’ulteriore garanzia di sicurezza e un’attenzione in più nei confronti delle persone diversamente abili. Un miglior servizio alla clientela ed una risposta alle esigenze ed ai bisogni della comunità. VITA DI BANCA NUOVO PENSIONATO COORDINATE BANCARIE IN FUNZIONE NUOVI CODICI IBAN Da gennaio 2008 sono «andate in pensione» le vecchie coordinate bancarie (ABI, CAB e numero di conto) ed è entrato in funzione per eseguire tutti i bonifici bancari il codice IBAN (International Bank Account Number). Questo è il codice unico bancario che permette di effettuare i pagamenti in euro in tutti gli Stati Con la fine di dicembre scorso è entrato in quiescenza il collega Giovanni Benedet, da anni responsabile della Cassa centrale (matricola n.1). Il Benedet era stato assunto dalla nostra Banca nell’aprile del 1970, quando ancora l’istituto era classificato come Cassa Rurale San Benedetto. Con noi quindi ha vissuto la grande stagione dei cambiamenti e della crescita della nostra Banca. A lui vadano i migliori auguri dei colleghi rimasti al lavoro, del Presidente, del Consiglio di Amministrazione e di quelli della redazione. INSIEME CON FIDUCIA 5 PRIMO PIANO INSIEME CON FIDUCIA IN FUNZIONE NUOVE NORME PER ASSEGNI E LIBRETTI AL PORTATORE 6 PROGETTO FAMIGLIA RESPONSABILITÀ EDUCATIVE All’inizio di marzo scorso è stato organizzato dall’Istituto Comprensivo di San Polo di Piave, organismo d’intesa operativa che unisce al Comune di San Polo anche quelli di Cimadolmo ed Ormelle, un incontro dal tema «L’educazione è di rigore». Banca della Marca ha sostenuto quest’iniziativa, che rientra tra quelle del «Progetto Famiglia», e che ha visto la presenza di un pubblico assai numeroso ed attento. La serata era stata organizzata in collaborazione con l’Associazione pattinaggio Ormelle, l’Associazione pallacanestro Ormelle e il Volley Grifone di San Polo di Piave. Gli interventi sono stati tenuti da Lollo Bernardi, eletto il pallavolista del 20° secolo e dalla dottoressa Marcella Bounous, esperta in psicologia dello sport. L’incontro mirava a far riflettere sulle co-responsabilità educative della famiglia e delle società sportive. Affrontava il particolare impegno che oggi è richiesto per accompagnare i giovani a diventare adulti responsabili. Durante la serata è stata presentata anche la mostra di disegno «Emozioni in movimento» degli studenti delle scuole medie. Dal 30 aprile 2008 sono entrate in vigore le nuove norme antiriciclaggio previste dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 pubblicato sulla G.U. n. 268 del 14 novembre 2007. Questo decreto fissa che tutti gli assegni bancari, postali e circolari di importo pari o superiore a 5.000,00 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Inoltre, gli assegni bancari e postali, emessi all’ordine del traente (c.d. assegno a me medesimo) possono essere girati unicamente per l’incasso ad una banca o a Poste Italiane S.p.A. e ciò a prescindere dall’importo recato dagli stessi. Nel rispetto delle nuove disposizioni, le banche rilasceranno dal 30 aprile 2008 gli assegni muniti della clausola di non trasferibilità. Il cliente potrà tuttavia richiedere per iscritto il rilascio in forma libera di assegni circolari e bancari, da utilizzare in detta forma libera esclusivamente per importi inferiori a 5.000,00 euro. In tal caso il richiedente dovrà corrispondere a titolo di imposta di bollo la somma di 1,50 euro per ciascun modulo di assegno e, in caso di girata, dovrà essere apposto, pena la nullità, il codice fiscale del girante CAMBIO AL VERTICE CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Alla scadenza del suo mandato di consigliere il Vice Presidente Vicario Giovanni Guizzo ha ritenuto di non riproporre la sua candidatura per il prossimo triennio. A lui vada il ringraziamento di tutti noi per il lavoro svolto nel Consiglio di Amministrazione fin dalla costituzione di Banca della Marca. La conoscenza personale e l’amicizia cementatasi in questi anni di lavoro insieme, mi consentono di esprimere la certezza che Gianni continuerà, da Socio, ad assicurare alla nostra Banca il suo prezioso appoggio con quella correttezza, disponibilità e grande impegno che hanno connotato la sua attività, prima di Consigliere e poi di Vice Presidente Vicario. IL PRESIDENTE indipendentemente dall’importo del titolo. Con lo stesso decreto sono state introdotte novità anche per i libretti di deposito a risparmio «al portatore». A decorrere dal 30 aprile 2008 il saldo dei libretti di deposito bancari e postali «al portatore» deve essere inferiore a 5.000,00 euro. In caso di trasferimento di libretti «al portatore», indipendentemente dal saldo, il cedente è tenuto a comunicare, entro trenta giorni, alla Banca emittente, i dati identificativi del cessionario e la data del trasferimento. I libretti di deposito bancari e postali «al portatore» con saldo pari o superiore a 5.000,00 euro, esistenti alla data di entrata in vigore della nuova normativa, devono essere estinti dal portatore, ovvero il loro saldo deve essere ridotto ad una somma inferiore al predetto importo entro il 30 giugno 2009. SOCIETÀ OGGI Clementa UN ANGELO PER I BAMBINI DALLA GUINEA BISSAU A SANTA LUCIA DI PIAVE PER SALVARE I BAMBINI AFFETTI DA MALFORMAZIONI Clementa Dos Olis Viera ha una vocazione: aiutare i bambini del suo paese di origine, la Guinea Bissau. In particolare i bambini colpiti da malformazioni, che in quel poverissimo paese dell’Africa Occidentale hanno un’esistenza difficile. Le credenze popolari infatti, molto radicate soprattutto nei villaggi più sperduti, considerano le deformazioni del corpo opera di spiriti cattivi e chi ne è portatore un indemoniato. Spesso i bambini deformi vengono uccisi. Clementa, 27 anni, è in Italia da quando ne aveva 20. Da qualche tempo si è stabilita con il marito Carlos a Santa Lucia di Piave. Lavora come operatrice sanitaria in una casa di riposo ed è impegnata nella promozione dei diritti delle donne immigrate, come componente del Tavolo provinciale per l’Immigrazione presso la Prefettura di Treviso. Lui fa l’operaio e frequenta le scuole serali per prendere il diploma di elettricista. Una vita non certo facile, ma Clementa non ha chiuso le porte a chi ha più bisogno. «Non ho scelto di vivere in pace» ammette. E così nel suo appartamentino di via Comisso ospita, oltre al nipote Edmanuel, Aliou, 7 anni, e Domingas, per tutti Minga, 7 anni, assieme alla madre di quest’ultima N’injdai. Entrambi i bimbi sono stati portati in Italia per essere curati. Dei due, Aliu è più fortunato perché l’intervento chirurgico all’ospedale di Conegliano ha risolto del tutto i suoi problemi deambulatori. La deformazione di Minga, invece, era più grave. La scienza medica la definisce «piede torto congenito bilaterale» e se non è corretta nei primi anni di vita impedisce non solo la deambulazione, ma la stessa postura eretta. Quando è arrivata in Italia, due anni fa, grazie all’interessamento di un frate SOCIETÀ OGGI A CLEMENTA NEL DICEMBRE SCORSO È STATO ASSEGNATO IL PREMIO CIVILITAS 2007 8 INSIEME CON FIDUCIA francescano fra’ Mariano e all’intermediazione dell’associazione veronese Rete Guinea Bissau, la piccola non camminava ma si trascinava a terra con le mani. In tale arco di tempo ha subito ben tre operazione chirurgiche – alla schiena, ai piedi e alle ginocchia – in centri specializzati del Nord Italia, l’ultima il 20 marzo a Vicenza. Oggi Minga è ferma su un lettino in attesa di guarire e di poter tornare, pur sempre sorretta dalle sue stampellette, all’asilo. In autunno, si concluderà la sua permanenza in Italia e rientrerà in Africa con la madre per «testimoniare che le malformazioni non sono opera del demonio e che da esse si può guarire» spiega Clementa. Attorno a questa atipica e numerosa famiglia si è coagulata, da tempo, la solidarietà di un’in- tera comunità, estesa oltre i confini di Santa Lucia, che ha risposto con generosità anche al recente appello dell’associazione onlus Amici Parco Bolda per la raccolta dei fondi necessari all’ultimo intervento chirurgico di Minga. «Nella nostra comunità la solidarietà è un fatto, non solo una parola – dice il presidente Giancarlo Antoniazzi, molto soddisfatto della risposta data dai suoi concittadini all’appello per aiutare la famiglia di Clementa –. Per operare Minga servivano 3.700 euro, ne abbiamo raccolti 5.500 euro, che copriranno an- come un fattore civile importante. Clementa ora ha intrapreso un nuovo progetto: costruire nella periferia di Bissau, la capitale del Paese e sua città natale, una casa-famiglia per ospitare le mamme che vogliono salvare la vita (e tentare di curare) i loro piccoli affetti da qualche disabilità. «Abbiamo già individuato il terreno dove costruire la casa e abbiamo contattato alcuni professionisti per il progetto – spiega Clementa –. Questa casa vuole essere un punto di accoglienza per le mamme che non vogliono sacrificare il loro figlio alla supersti zione. I che le spese per la riabilitazione e per il rientro in Africa». L’abitazione di Clementa Dos Olis Viera è sempre molto frequentata. Tutti a Santa Lucia conoscono la dinamica guineiana e il suo impegno verso i connazionali meno fortunati. Di lei si è accorta anche la Dama Castellana che, nel dicembre scorso, le ha assegnato il premio Civilitas 2007, riconoscendo le sue opere di solidarietà bambini meno gravi potranno essere curati in loco dai medici italiani volontari, i più gravi potranno essere portati in Italia, come abbiamo fatto con Minga». Insomma, l’impegno di Clementa continua e le persone generose che fino a oggi le sono state vicine e l’hanno aiutata avranno anch’esse nuovi fronti di solidarietà in cui cimentarsi. FRANCESCA NICASTRO SOCIETÀ OGGI DONAZIONE ORGANI Un valore DA CONDIVIDERE Nei mesi scorsi è iniziata la campagna di informazione per la donazione e il trapianto di organi, tessuti e cellule a cura dell’Aido, l’associazione che da oltre trent’anni opera nella speranza che le idee di «società» e «solidarietà» si uniscano in quella di «responsabilità» nella coscienza della maggior parte dei cittadini. Acconsentire al prelievo dei nostri organi e tessuti dopo la morte diventa in quest’ottica la manifestazione della nostra consapevolezza che la malattia degli «altri», le loro difficoltà a vivere normalmente devono coinvolgere tutti. Purtroppo intorno alla donazione degli organi persistono ancora molte prevenzioni. Eppure questi tipi di trapianti sono una delle dimostrazioni più rilevanti del progresso della medicina nella cura di un gran numero di malattie per le quali non esiste nessuna soluzione alternativa. I progressi delle tecniche chirurgiche e la scoperta di nuovi farmaci che migliorano la tolleranza dell’organo trapiantato nel ricevente, hanno fatto sì che migliaia di malati potessero beneficiare con successo dei trapianti. Tuttavia la scarsità degli organi donati è, al momento, il principale ostacolo alla crescita del numero dei trapianti e ancor oggi molti ammalati muoiono o vivono con tante limitazioni perché l’offerta di organi è insufficiente. Per questo diventa necessario continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che la collaborazione di ciascuno di noi in questo campo è fondamentale per poter diminuire il divario oggi esistente tra la disponibilità e la necessità di organi. L’Aido dunque rivolge un invito a tutti per manifestare la volontà di donazione con l’iscrizione alla società oppure con la registrazione all’Asl. Per informazioni rivolgersi alla sede regionale dell’Aido: Mestre · via Filasi, 86. INSIEME CON FIDUCIA 9 TERRITORIO SCOPRIRE IL MONDO VEGETALE Il salice NEL NOSTRO PAESAGGIO Parlare del salice, di questa umile pianta così diffusa nel nostro territorio al punto da essere una caratteristica del nostro paesaggio, è un po’ fare la storia della nostra civiltà contadina per l’utile impiego che la pianta (e parte di essa) ha sempre avuto nel lavoro e nelle attività del mondo rurale. Ma anche al di là del mondo contadino, la grande famiglia delle Salicacee (a cui appartiene il genere Salix, ossia piante e arbusti comunemente chiamati sali- ci) si è dimostrata particolarmente utile all’uomo che ne ha utilizzato il legno per farne tavole per pavimenti (in particolare quello del Salix alba), attrezzi sportivi, carbone per fabbricare polvere pirica o, più semplicemente, carboncini per disegno. Dalla corteccia di alcune specie si estrae ancora i tannini impiegati nelle concerie nonché la salicina, un glucoside dal quale si ottiene l’acido salicilico e il salicilato di sodio, efficace contro le febbri, rimedio nei reumatismi articolari e nella malaria. All’infuori di questo però i salici non hanno mai goduto di una coltura che non fosse esclusivamente legata all’agricoltura. Piante molto antiche, presenti sulla Terra ancora nell’era Terziaria, i salici si sono sempre rivelati poco importanti per l’addobbo di parchi e giardini in quanto non raggiungono forme mae stose o altezze straordinarie; non hanno vita lunghissima, né of- frono una fioritura di particolare bellezza; i loro fiori, infatti, insignificanti ed elementari, sono formati solo da organi riproduttivi, mancando del tutto di quell’involucro variopinto e affascinante (calice e corolla) che comunemente si intende come fiore. Ma di salici ce ne sono moltissimi e non sempre sono facilmente riconoscibili al di là di quelle poche e comuni specie che ancor oggi qualcuno dei nostri con- UMILE E SEMPLICE, IL SALICE FA PARTE DELLA NOSTRA TRADIZIONE CONTADINA tadini indica con nomi dialettali (quali gatolèr, salghèr, saes zal, saes ross, venchèr), e che tuttora vengono utilizzati, come accennato, per i lavori della campagna (tralci di salice per la potatura della vite, ad esempio). Il genere Salix è numeroso, comprende circa cinquanta specie di alberi e arbusti senza contare i numerosissimi ibridi spontanei, originati dal vento – loro pronubo principale – e dagli insetti impollinatori. Esclusive dell’emisfero boreale, le TERRITORIO , , AMMALIANTI SCULTURE, RICOVERO DI UNA RICCA BIODIVERSITÀ ANIMALE E VEGETALE Salicacee vivono prevalentemente in zone temperate e fredde, dalla pianura alle vette. In piano, amano fiumi, torrenti, ruscelli, laghi e prediligono pertanto suoli con ampie falde freatiche e terreni di risorgiva, particolarità che le rende così comuni nel nostro territorio. Qualche specie si adatta anche a terreni asciutti e sassosi: è il caso del salicone (Salix caprae), così chiamato perché delle sue foglie si nutrono le capre; altre vivono in zone alte e fredde, striscianti tra rocce quale il Salix erbacea che mostra solo qualche foglia nella stagione propizia o il Salix reticolata dalle foglie venate e bianche per i peli densi. Per quanto concerne il nostro territorio, fino a poco tempo fa, l’inverno caratterizzava all’orizzonte, mettendole in risalto, file squadrate di salici lungo i fossi dei campi o ai margini di qualche stagno che ancora non era stato toccato dalla bonifica dell’uomo. Si trattava del Salix elacagnos, usato per colonizzare terreni calcarei e alluvionali e soprattutto del salice rosso (Salix purpurea) utilizzato per legare i tralci della vite, e del salice giallo (Salix viminalis), detto anche venco o vimine, coi rametti del quale i nostri contadini e artigiani facevano ceste, canestri, nasse, gabbie, culle, impagliature per sedie, stuoie e persino cappelli. Sullo sfondo di paesaggi nebbiosi, i loro rami verticali formavano dei bellissimi scenari rossi e gialli; poi, recisi i rami, il tronco si ingrossava a dismisura generando grottesche e ammalianti sculture, ricovero di una ricca biodiversità animale e vegetale. Molto di tutto questo è scomparso o sta lentamente scomparendo; nessun altro albero, tranne forse il gelso, può essere assunto a testimonianza di questo cambiamento quanto i salici che abbiamo conosciuto nelle passate stagioni. Dovremmo abituarci a vederli finalmente cre scere ri gogliosi, a riconoscerli e a distinguerli tra loro dalla chioma e dalle foglie, a ripensare con essi ad altri motivo della sua bellezza e subito impiantato in fastosi giardini a ornare i corsi d’acqua. Precocemente, a primavera, i suoi rami lunghi e penduli si coprono di piccole lucenti foglie verdi, rese tali dall’azione diretta del sole e dai riflessi luminosi dell’acqua; ed è quasi una rivincita per tutte le piante e gli arbusti della sua spe- cie, così poco tenute in considerazione. Tutti i salici alla fine fruttificano: dai frutti escono numerosi semi muniti di un ciuffo di peli candidi simili a fiocchi di cotone che favoriscono la diffusione. Germineranno solo se cadranno su terreni umidi. ELISABETTA DAL COL TERRITORIO tipi di paesaggi e ad altre figure sugli orizzonti. Per concludere ricordiamo che, unico della sua specie, il salice piangente (Salix babilonica) ha trovato un suo posto tra le piante ornamentali. Originario dalla regione asiatica subtropicale, è stato importato in Europa dalla Cina nel corso del XIII secolo a Centro DI EDUCAZIONE AMBIENTALE >> A SERNAGLIA DELLA BATTAGLIA CORSI PER INSEGNANTI SUL RISPETTO PER L’AMBIENTE << Ogni anno sono centinaia gli insegnanti di vario grado che frequentano il Centro di Educazione Ambientale «Media Piave» (CEA) di Fontigo e migliaia gli studenti. Corsi di aggiornamento per docenti e visite guidate al Centro ed al territorio circostante sono in prevalenza le attività svolte da circolo locale di Legambiente grazie ad un intesa di vecchia data, con l’Amministrazione comunale di Sernaglia della Battaglia che ha concesso l’uso dei locali, dismessi, dell’ex scuola elementare di Fontigo, che ospitano il CEA. Una realtà partita quasi in sordina ma che nel corso degli anni si è conquistata un ruolo di primordine nella formazione sia degli educatori sia dei giovani e dei bambini, infondendo loro interesse e rispetto per l’ambiente sotto i più svariati profili: da quello prettamente ecologico alla geologia, senza trascurare le tradizioni culturali del Quartier del Piave, ne tanto meno le vicende storiche di cui è stato teatro, quali il Primo Conflitto mondiale. Il Centro di Educazione Ambientale è dotato di ampi spazi dove di frequente vengono allestite mostre a carattere ambientale o legate alla cultura locale, con particolare riguardo alle tradizioni del fiume Piave ed è dotato di una sala TERRITORIO 14 INSIEME CON FIDUCIA proiezioni per video e diapositive, una serie di espositori di reperti (campioni di rocce, fossili, strumenti usati dall’uomo primitivo, erbario…), vario materiale cartografico (mappe, carte topografiche e geologiche e plastici) oltre a cartelloni illustrativi (schemi didattici, flora, fauna, ecc.). Una visita guidata al CEA «Media Piave» consente quindi di cogliere gli aspetti geomorfologici, ambientali, della flora e della fauna nonché la storia che caratterizzano e spiegano l’attuale configurazione del Quartier del Piave, con le sue peculiarità ambientali come i Palù e le Fontane Bianche. La visita al CEA, già esaustiva da un punto di vista teorico, può essere integrata da escursioni lungo i numerosi itinerari di seguito proposti oppure nei laboratori didattici. Le visite guidate propongono diversi percorsi, con la presenza di esperti qualificati, quali: le Fontane Bianche (celebri risorgive che affiorano nella golena del Piave), una passeggiata nel Miocene, i fenomeni glaciali nella Valle del Soligo, i sassi del Piave, i Palù di Moriago (frutto dell’antico ingegno benedettino, nella pianificazione territoriale), tracce di romanità nel Quartier del Piave, visita all’orto botanico, alla scoperta degli insediamenti. I laboratori invece sono caratterizzati da un’attività ricca di proposte che vanno dallo studio della flora, agli indicatori biologici delle acque del fiume, passando per l’importanza della selce nella preistoria fino alle rocce ed alle loro composizioni. Il CEA ha inoltre programmi ad hoc da svolgere in classe, volti a infondere una maggiore sensibilità verso le tematiche ambientali, è il caso dell’offerta che tratta di «Consumi e rifiuti». Una carrellata di immagini e soprattutto di sintetiche spiegazioni delle attività sono a disposizione di tutti visitando il sito del CEA www.legambiente.qdp.it recentemente rinnovato nella grafica e nei contenuti. «Il toponimo Palù che richiama l’antica presenza di una zona paludosa, indica un’area di circa 1000 ettari compresa tra i comuni di Sernaglia, Moriago, Vidor e Farra di Soligo – si legge nel sito – Il paesaggio costituito da una maglia di prati umidi, con fossati e piante perimetrali, e l’aspetto storico naturalistico è unico nel suo genere in Italia e in Europa ha delle realtà paragonabili in alcune zone della Francia dove sono presenti i cosiddetti «bocages» – mentre per le Fontane Bianche viene spiegato che – come accenna il toponimo stesso (l’aggettivo bianche si riferisce alla costante limpidezza delle acque di risorgiva, in contrapposizione alla periodica torbidità di quelle fluviali), l’elemento caratterizzante questa porzione TERRITORIO di territorio non è tanto l’idrografia superficiale quanto quella profonda. Le numerose conche e risorgive presenti sono alimentate dalle acque di falda di un bacino imbrifero a monte che si snoda da parte delle Prealpi Trevigiane, alle colline ed ai Palù del Quartier di Piave, per una estensione di circa 5.000 ettari. Come ha rilevato l’analisi chimica (dai rilevamenti del tasso di atrazina nelle acque della zona) la falda accennata è in massima parte indipendente dalla confluenza con la Piave e si mantiene costante e copiosa anche in corrispondenza delle secche di quest’ultima». Gli aspetti che si possono approfondire al CEA sono quindi davvero tanti e affascinanti. Il Centro di Educazione Ambientale «Media Piave» è ubicato in Piazza del Popolo al civico 21 di Fontigo, è aperto la domenica pomeriggio dalle 15 alle 19 e l’ingresso è gratuito, ma si può visitare anche negli altri giorni previo prenotazione telefonica allo 0438 966356 oppure al 349 0596909. INGRID FELTRIN INSIEME CON FIDUCIA 15 TERRITORIO TANTO DI BARBA e baffi A CASUT NEI CAMOLLI LA SIMPATICA MANIFESTAZIONE SI TERRÀ SABATO 6 SETTEMBRE 16 INSIEME CON FIDUCIA Secondo il detto popolare, la barba è da sempre considerata un simbolo di maturità, mentre i baffi sono espressione di virilità. Vero o falso che sia, la peluria sul viso è comunque un sintomo di libertà, oltre che di cura e passione, perché la si può far crescere secondo proprie preferenze e propri modelli estetici, seguendo tagli che si modellano da viso a viso. Per questo motivo non esistono barbe perfette e baffi ideali, ma esistono tagli e sfumature che interpretano lo stile e il carattere di chi li porta; pertanto barba e baffi sono spesso la rappresentazione esteriore del carattere, tanto che dal loro aspetto si potrebbe capire la personalità di chi abbiamo davanti. Per averne un riscontro basta ritrovarsi sabato 6 settembre, come ormai avviene da ventisei anni, presso il Bar Mexico del Casut, nei Camolli sacilesi, dove si terrà la consueta e tradizionale rassegna delle barbe e dei baffi. È una simpatica manifestazione – non dissimile da quelle che si tengono in altre località italiane ed europee – che qui assume un carattere tutto particolare per la semplicità della gara ma anche per lo spirito di amicizia e ospitalità che aleggia su questa piccola frazione campagnola, sul confine tra la pianura friulana e quella veneta. «Qui arrivano anche dall’Austria e dalla Germania – ci dice Luigi Favret, gestore del Bar Trattoria Mexico e organizzatore della manifestazione insieme ad altri amici – non certo a gareggiare per un premio simbolico, ma per il piacere di vivere una giornata tra appassionati, a raccontarsi allegramente, ma anche orgogliosamente, le diverse esperienze». Inutile aggiungere che, per tradizione, il piatto forte della trattoria in questo giorno di gare sono gli gnocchi al sugo d’anatra accompagnati da formaggi e salumi locali, abbondantemente in- naffiati da vini veneti e friulani. «Nessuno rinuncerebbe a tornare l’anno dopo perché questa, più che una competizione, è una festa dell’allegria e dell’amicizia». Ma la manifestazione dei Camolli è pur sempre una gara e lo dimostra l’impegno con il quale la giuria, formata da cinque maestri barbieri, seleziona i concorrenti e motiva le premiazioni. Sono infatti ben quindici (nove per i baffi e sei per le barbe) le categorie sulle quali i giudici debbono esprimersi, e i dettagli per ogni singola categoria sono molti, ciascuno dei quali potrebbe incidere sulla vittoria. E non sono da meno i concorrenti, i quali si presentano con un abbigliamento consono alla propria barba o ai baffi. È questo l’aspetto più spettacolare della manifestazione che, a colpo d’occhio, fa rivivere personaggi famosi (Verdi, Garibaldi, Kaiser, il corsaro nero) o semplici borghesi in bom- betta, mandarini cinesi, granatieri o guardie reali, giovani rivoluzionari ottocenteschi, tanti costumi per dare risalto all’aspetto elegante delle curatissime barbe; insom ma la rivisitazione di un tempo nel quale la barba era veramente «onor del mento», ovvero un emblema. Oggi la barba e il baffo, dopo aver vissuto con l’Ottocento il loro periodo d’oro, non sono più così diffusi come un tempo anche se si riscontra un certo loro ritorno dettato da una moda passeggera piuttosto che da costume sociale come lo fu nel passato. La tendenza odierna è quella di avere un viso ben rasato anche se una bella barba può dare un tocco di eleganza e di personalità senza ricorrere a schemi del passato. Secoli di barba Gli Assiri erano soliti cospargerla con olii profumati per darle lucidità, gli Egizi ne utilizzavano una finta, i Greci la riservavano solo ai filosofi, i Romani l’amavano poco: la barba ha cavalcato i secoli dell’uomo accompagnandolo in tutte le manifestazioni della vita, più o meno accattata, ma sempre tenuta in grande considerazione e dovuto rispetto. La portavano i santi in segno di devozione, i monaci per mortificazione, i condottieri e i briganti se ne servivano per incutere paura, gli uomini di corte l’addobbavano con treccine d’oro. Papa Clemente VII, dopo il sacco di Roma (1527) da parte dei Lanzichenecchi, non volle più tagliarsela in segno di lutto e di dolore; a Venezia erano invece proibite quelle false, troppo spesso indossate per nascondere il volto a scopo criminale. Insomma, la barba ha una storia lunghissima con una numerosa varietà di fogge e tagli che finirono con il marcare inconfondibilmente il costume del tempo. Un esempio fra tanti: il pizzo seicentesco come ce lo hanno lasciato i busti marmorei di cardinali e prelati, artisti e letterati di quel tempo. TERRITORIO Museo DELLA GRANDE GUERRA E DEL NOVECENTO A CROCETTA DEL MONTELLO UNA NUOVA STRUTTURA MUSEALE PER COMPRENDERE A FONDO IL ’900 18 INSIEME CON FIDUCIA Un nuovo museo dedicato alle vicende del secolo scorso. A Crocetta del Montello, già sede del Museo Civico di Storia Naturale in Villa Ancilotto, è nata una nuova sede museale dedicata alla Grande Guerra ed al Novecento. Lo spazio espositivo è stato realizzato con il sostanziale recupero di Villa Pontello, un tempo istituto orfanotrofio, che l’Amministrazione comunale ha concesso in comodato gratuito per dieci anni all’Associazione «Gruppo Bisnent». Il neonato Museo della Grande Guerra e del Novecento, si articola in due sezioni distinte: una dedicata al primo conflitto mondiale ed alle ripercussioni che quest’evento ha avuto sul territorio locale, quindi una seconda sezione dedicata agli aspetti di vita più significativi, del secolo scorso. Gli allestimenti sono davvero notevoli sotto il profilo scenografico, grazie anche alla collaborazione dei volontari dell’Associazione con una nota azienda locale, che opera anche a livello internazionale proprio in questo specifico settore. Il qualificato recupero di Villa Pontello è frutto anche del grande lavoro di raccolta dei materiali d’epoca, intrapreso dal «Gruppo Bisnent» che ha potuto contare sulla generosità e disponibilità di tante persone, che si sono sentite partecipi di questo progetto: cimeli bellici, oggetti di uso comune appartenuti alle nostre nonne, ma anche tanti documenti e reperti di pregio arricchiscono questo nuovo ambito culturale. Nella sezione dedicata al Novecento si può così ammirare la fedele ricostruzione di una casa di inizio ’900, con tanto di «filò», nonché un’aula scolastica della stessa epoca. «La prima sezione fa riferimento ad avvenimenti bellici e riguardanti principalmente il territorio da Nervesa fino a Segusino, lungo il Piave e fino alle falde del Monte Grappa – si legge nel sito internet www.villapontello.it –. Troviamo allestimenti tridimensionali legati alla Battaglia del Solstizio ed anche un’esposizione di oggettistica riguardante la vita del soldato e delle popolazioni profughe». Insomma sono davvero tanti i motivi per visitare il nuovo Museo di Crocetta del Montello e per farlo basta telefonare allo 0423 303117, per prenotare o avere informazioni sulle modalità di fruizione. INGRID FELTRIN TERRITORIO NELL’ANNIVERSARIO PUCCINIANO RICORDO DI Toti Dal Monte IL SOPRANO TREVIGIANO TRA I PIÙ GRANDI DI TUTTI I TEMPI Ricorre quest’anno il centocinquantesimo anniversario della nascita di Giacomo Puccini. L’occasione ci è propizia per ricordare una grande artista lirica della nostra terra, che fu pure, tra l’altro, interprete di alcune opere del maestro toscano. Parliamo di Toti Dal Monte, nome d’arte di Antonietta Meneghel, soprano leggero e attrice italiana nata a Mogliano Veneto il 27 giugno 1893 e morta a Pieve di Soligo il 26 gennaio 1975. Allieva del Conservatorio di Venezia, studiò pianoforte e poi canto con la Marchisio (allieva di Rossini). Esordì al teatro della Scala di Milano nel 1916 interpretando il personaggio di Biancofiore nella Francesca da Rimini di Zandonai. Da principio incerta fra il ruolo di soprano lirico e quella di soprano leggero optò decisamente per il secondo dopo il trionfale successo del Rigoletto a Torino nel 1918. Memorabile, quattro anni dopo, il successo alla Scala di Milano con la stessa opera a fianco di Galeffi e Lauri-Volpi, sotto la direzione di Arturo Toscanini che seguì nella tournèe in Germania effettuata nel 1919, riconfermata per dieci stagioni consecutive al celebre teatro milanese. Cantò contemporaneamente nei maggiori teatri d’Europa e d’America, dal Colon di Buenos Aires (1923) al Covent Garden di Londra (1925) e all’Opera di Berlino, dal Casinò di Montecarlo all’Opera di Parigi e al Metropolitan di New York. TERRITORIO 20 INSIEME CON FIDUCIA VOCE SPLENDIDA DI GRANDE ESTENSIONE CON SOVRACUTI LIMPIDI E SICURI Eccelse nel Barbiere di Siviglia, Lucia di Lammemoor, La figlia del Reggimento, Linda di Chamounix, Don Pasquale, Mignon. Negli ultimi anni della sua strepitosa carriera interpretò più volte le opere Traviata e Madama Butterfly, riscuotendo sempre enorme successo. Abbandonate le scene liriche si diede alla prosa recitando nel 1948 nella compagnia di Cesco Baseggio, riscuotendo ancora tanti successi. Fu anche attrice di cinema e consulente nel 1956 nel Conservatorio e teatri dell’Unione Sovietica. Nel 1928 aveva sposato a Melbourne il celebre tenore Renzo De Muro Lomanto. Ha lasciato una biografia «Una voce nel mondo» pubblicata a Milano nel 1962. Toti Dal Monte fu un soprano leggendario e amatissimo dalle folle di tutti i teatri del mondo. Era chiamato l’usignolo italiano per la purezza della sua voce: timbro dolcissimo, cristallino, estrema naturalezza nei passaggi acrobatici più insidiosi, dotata di una dizione perfetta. Trentaquattro anni di travolgente carriera artistica – dal 1916 al 1950 – poi l’apertura di una scuola di canto nella sua villa di Barbisanello. Un fenomeno irripetibile in quell’epoca, quando tutti i cantanti facevano le gare per arrivare primi. Anche oggi, ascoltando la sue registrazioni (storiche), si rimane sempre affascinati dal suo timbro dolcissimo, verginale e cristallino. I punti di forza della sua splendida voce era no una grande estensione, con sovracuti sempre limpidissimi e sicuri, una straordinaria tecnica vocale che le permetteva di eseguire i passaggi acrobatici più insidiosi (abbellimenti, fioriture, trilli, scale veloci semitonali, suoni picchiettati e fiati…) con spensierata naturalezza, ma soprattutto ammaliava il suo timbro di una freschezza, ingenuità e dolcezza senza uguali. Le sue eroine, fanciulle limpide, fragili e indifese, suscitavano palpiti d’emozione e, se ferite dal «fato spietato» o da qualche animo malvagio, commozione irrefrenabile. Questa è stata la sua grandissima arte. Curiosa osservazione del grandissimo maestro Arturo Toscanini, al celebre soprano Toti Dal Monte durante la prove del Rigoletto alla Scala di Milano: «Signorina, si ricordi sempre che le arie bisogna cantarle non darsele». LUCIANO PIZZINATO TERRITORIO UN MONDO LA TECNOLOGIA DISTRUGGE OGNI GIORNO STRUMENTI CHE IN PASSATO ERANO RITENUTI INDISPENSABILI che scompare Il giorno in cui fu spedita la prima e-mail, nell’estate del 1971, qualcuno chiese al suo inventore, l’americano Ray Tomlinson, a che cosa servisse quella bizzarra iniziativa elettronica, dal momento che la posta funzionava benissimo da millenni anche prima dell’introduzione del francobollo. Sembra che neppure Tomlinson – che quel giorno era riuscito a spedire la sola parola qwertyuiop, ossia le lettere della prima riga della tastiera del computer – sapesse cosa farne della nuova invenzione e si limitasse a dire che «in fondo mi sembrava una buona idea». In realtà era un’ottima idea e come tutte le buone invenzioni destinata a cambiare il mondo della comunicazione, mettendo lentamente in soffitta una serie di strumenti e di mezzi da sempre usati ma divenuti improvvisamente obsoleti se non addirittura inutili. È questo un fenomeno sociale che sta ormai emergendo da anni, un fenomeno silenzioso e talvolta poco avvertito, che si manifesta con il veloce sviluppo delle tecnologie; di fronte a una nuova invenzione quasi sempre si verifica il declino di un’altra, magari vecchia di secoli, che cede il proprio posto per entrare in un angolo della soffitta, o meglio in quel mercato della nostalgia che è il mondo della eBay. Una delle prime vittime dell’email è stato il telegramma, già da tempo passato in secondo ordine a causa del telefono. Lo scorso anno la più antica compagnia telegrafica americana, la Western Union – una società che aveva accompagnato la conquista del West e il progresso americano – annunziò la cessazione del servizio dopo oltre cento cinquant’anni di storica gestione; da allora si è limitata ai trasferimenti di denaro. In Italia il servizio telegrafico vive soprattutto in due speciali occasioni: gli auguri agli sposi, tradizione che ancora tarda a spegnersi, e l’ufficialità, il testo celebrativo così caro ai nostri politici. Ma non mancherà la circostanza, dicono i fautori del progresso tecnologico, nella quale dovremmo presto illustrare anche ai nostri ragazzi di scuola non tanto le ragioni dell’Obbedisco di Garibaldi, quanto spiegare in cosa consistesse il telegramma (e l’alfabeto Morse) con il quale l’Eroe dei due mondi accettava l’armistizio dell’Austria. Tuttavia, al telegramma sopravivrà lo «stile telegrafico», comunicazioni ridotte al massimo, parole brevi e convenzionali già oggi usa te con i cellulari; insomma vivrà lo spirito del telegramma, che era fatto soprattutto di brevità e di celerità, due miti insosti- TERRITORIO tuibili della nostra civiltà moderna. Una seconda vittima dell’e-mail è la carta carbone, rimpiazzata dalla fotocopiatrice e prima ancora dalle macchine da scrivere a testina ruotante e dalla carta chimica. Nata duecento anni fa in Inghilterra, la carta carbone ha rappresentato il mezzo più economico per moltiplicare un testo; è stata senza dubbio il primo mass media perché consentì lo sviluppo della comunicazione, lavorando per la guerra e la pace, per scopi nobili e sordidi. Gli Italiani del «ventennio» la associarono alle verità ufficiali, in quanto moltiplicatrice delle carte veline inviate dal regime ai giornali dell’epoca. Oggi è addirittura difficile trovarla in cartoleria: la commercializzazione è ridotta a qualche paese europeo, ancora in ritardo rispetto alle moderne tecnologie. Da noi continua ad essere usata da sarti e ricamatrici, e forse in questa nicchia la carta carbone potrà ritrovare una ragione per non sparire del tutto. Un’altra vittima dell’e-mail, ma anche della tecnologia in generale, è la Polaroid, la macchina fotografica che scattava e sviluppava all’istante. Ideata nel 1948 dall’americano Edwin Land fu adottata anche da grandi fotografi (da Andy Warhol a Hemut Newton) che le diedero rispetta- bilità artistica e professionale. Entro il 2009 le scorte della Polaroid saranno esaurite e non è prevista altra produzione; anch’essa ha dovuto cedere il passo alla fotografia digitale, senza pellicole, «scatta e guarda». Ma molte altre sono le vittime di una tecnologia che si rinnova costantemente e brucia le proprie innovazioni in maniera così veloce che quasi non ce ne accorgiamo, presi come siamo dalle novità e dai comodi servizi che esse offrono. E forse neanche navigando nel gran mare della eBay, tra le vecchie cose di una volta, prendiamo coscienza del nostro tempo perduto. SPORT: IL VOLLEY IN SERIE A le pantere DELLA SPES RUGGISCONO IN A1 22 INSIEME CON FIDUCIA La Zoppas Industries Conegliano, la squadra di pallavolo femminile della città del Cima, è riuscita a coronare il suo sogno: approdare in A1. Un risultato che le «pantere» si sono sudate lavorando con grande determinazione. «Il segreto del successo è aver messo insieme un gruppo di atlete e uno staff tecnico che credessero in questo obiettivo, a cominciare dall’allenatore Mario Martinez» spiega il presidente della società sportiva Giovanni Luc chetta. Decisiva per l’aggiudicazione del campionato e la promozione in A1 è stata l’ultima partita della stagione, quella che, il 13 aprile scorso, ha visto le ragazze della Spes Volley fronteggiare la marchigiana Castelfidardo e vincere 1-3. Segnando 69 punti in classifica, la squadra coneglianese si è lasciata alle spalle Milano e Castellana Grotte, facendo l’agognato salto nella massima serie. Una «missione possibile» che la società perseguiva dal giorno successivo alla promozione in A2, avvenuta nel 2005. Lucchetta elenca gli ingredienti di questo sogno realizzato: «In questi anni abbiamo progressivamente ringiovanito la squadra, lasciando andare via le atlete più mature e puntando sulle giovani con maggiori prospettive – afferma – Abbiamo avuto la fortuna di chiudere l’accordo per due brave atlete, la serba Jovana Brakocevic e la brasiliana Luciana Do Camo». Ma le due campionesse straniere non devono trarre in inganno. Le «pantere» sono quasi tutte «nostrane». «A parte le due straniere, tutte le altre ragazze sono della zona, risiedono tutte nel raggio di 40 chilometri – precisa il presidente della Spes – La capitana, ad esempio, Valentina Serena, è di Marcon. Appartenendo a questo territorio sono motivate a impegnar si per fare bella figura di fronte a genitori, parenti e amici. E l’arma vincente di una squadra è proprio la motivazione. Oltretutto, vincere un campionato con atlete semi-sconosciute come le nostre accresce la soddisfazione». «Altra componente del successo – aggiunge Lucchetta – è stato il nostro pubblico. Sembrava di essere ‘in casa‘ anche quando giocavamo fuori. Il tifo era molto organizzato, corretto e leale ma rumoroso. A seguire la squadra nelle trasferte erano sempre almeno 150-200 persone». Il campionato riprenderà ad ottobre, e le «pantere» di Conegliano dovranno affrontare le 14 squadre più brave d’Italia. Lucchetta, da buon manager, guarda già al futuro. «L’obiettivo minimo è la salvezza – dice – quello massimo è arrivare tra le prime otto squadre, cosa che ci consentirebbe di entrare nei play off. Il campionato 2008-2009 sarà un anno di consolidamento che ci consentirà di progettare la futura crescita». Un passo dopo l’altro, misurando le forze, per arrivare alla vetta. A far grande una squadra sono anche gli sponsor che la sosten- gono. E le ragazze della Spes possono contare su tanti sostenitori generosi e appassionati. Oltre al gruppo Zoppas, gli sponsor di maglia sono Qui C’è, Set-In, Canevel Spumanti, Antiga, Centro Compur e una galassia di 157 spon sor più piccoli del Team Nordest. «Siamo soddisfatti della risposta dell’imprenditoria locale – conclude il presidente – Chi investe su di noi, del resto, ha molta visibilità. Il prossimo anno molte partite saranno trasmesse in televisione». FRANCESCA NICASTRO anziani I NOSTRI R A C C O N T A N O del bere IL VIZIO Ben si sa che, da che mondo è mondo, è forte e diffusa la tentazione di affogare i pensieri ed i dispiaceri nel vino e chi non ha pensieri, a volte, se li inventa pur di bere. È un vizio antico che proprio non ha intenzione di morire a breve. Un tempo si beveva in osteria e nelle frasche, i punti privilegiati per fare il pieno, ma andavano splendidamente bene anche le cantine, le fresche e umide caneve private, purchè fossero quelle degli altri. Allora non erano più taccagni o spilorci d’oggi, anzi, portafoglio permettendo, la generosità era un valore diffuso e vissuto da quasi tutti. Il problema era un altro: il vino, un’irrefrenabile golosità per tutti, donne comprese, in casa era sempre poco, misurato per quanto bene fosse andata la stagione agricola. La vendemmia era cronicamente scarsa, tanto che il prodotto di un’annata non riusciva mai a toccare quello dell’annata successiva. Le motivazioni di questa perenne carenza erano le più diversificate. Le grandinate estive erano assai frequenti 24 INSIEME CON FIDUCIA nonostante le preghiere, i pellegrinaggi e le rogazioni. Le malattie della vite erano difficili da combattere, imperava il negròn, la pronòspera, il ragno rosso, ed altre. La scarsa igiene dei recipienti usati per vinificare, delle botti in particolare, faceva andar a male il vino al primo temporale primaverile, al vin al féa la olta o ‘l ‘ndéa in aséo. Non mancavano poi le bevute fuori programma e fraudolente, per di più in compagnia d’altri forèsti. Si sopperiva con l’acqua, e per imbrogliare un poco la sete, in particolare d’estate nei campi si beveva il vin pithol. Si aggiungeva cioè un goccio d’aceto per dare un senso d’asprignolo e rendere meno ripugnante la fresca acqua del pozzo. Ad agosto c’era la prima vendemmia, quella forse più attesa e desiderata anche se sempre di modesta quantità. Era quella del bacò, un’uva bonorìva che dava un vinello rosato, senza profumi, acidulo, con una gradazione alcoolica modestissima. Un vino povero per conto suo che peggiorava ulteriormente perché, pur di averne una buona quantità, al mosto aggiungevano tutta l’acqua che serviva per risciacquare le inpréste: brenta, ormèla, sécio, lora, torcio e così via. L’abbondante acqua aggiunta e l’assenza d’alcool facevano sì che, durante l’inverno, questo vino, detto vin da paletò, contenuto in piccole botti tenute sotto le tettoie, in parte gelasse. Per poter riempire il boccale l’incaricato, spesso, doveva aprire il foro dello spinello, bloccato dal ghiaccio, con un ferro da calze. È evidente che a questa prolungata, involontaria astinenza trovava seguito un recupero a ritmi forzati non appena, dopo la vendemmia, cessava la carestia. Aveva il suo buon da fare il paron de casa a tener chiusa a chiave la cantina per evitare abusi o inviti fuori luogo. Alla sera, in famiglia, più d’uno era alticcio o addirittura ubriaco, a volte anche qualche donna, e il capo famiglia non capiva dove fossero andati a bere o come avessero fatto ad aprire il portone della cantina per poi saziarsi così a volontà. Si sa però che il bisogno aguzza l’ingegno, era quindi una sfida per gli adulti trovare il modo per entrare in cantina di frodo e mettere le mani sullo spinello. Due erano le mosse più frequenti adottate dagli assetati. Se la cantina era sotto il fienile, mentre gli altri facevano la pennicchella, schiodavano una tavola del solaio e si calavano giù con una scala o una corda, senza badare alle difficoltà successive per risalire. Se, invece, venivano casualmente in possesso della chiave, provvedevano a farne furtivamente un calco su una fetta di polenta e con questo chiedere all’amico fabbro di riprodurre un duplicato. È evidente che l’eccesso, ieri come oggi, creava problemi alla salute (oggi ne crea anche altri e gravi, ad esempio per chi guida) e così, anche gli ubriaconi, ricorrevano alle cure mediche, andavano dal dotor de condota che li conosceva tutti, uno per uno. Su questo tema sono stati raccontati episodi davvero allegri che confermano il fatto che i nostri vecchi, nonostante qualcuno avesse il cervello annebbiato dall’alcool, possedevano una dose di arguzia, oggi impensabile. Tra i tanti aneddoti tramandati, merita di essere ricordato il dialogo che ebbe col suo medico un tal Giovanni, Nani per gli amici, un bevitore davvero incallito, scapolo, ormai settantenne, uno che spesso la sera andava, per così dire, a spinarole nei fossi dopo aver misurato più volte la strada da destra a sinistra e viceversa, ritornando a casa dall’osteria, incapace a reggersi per la bala. Giovanni va dal medico perché non si sente bene, parte di buon mattino programmando anche le varie tappe nelle diverse osterie lungo la strada. Il medico, che ben lo conosce, lo fa spogliare, lo fa distendere sul lettino bianco e lo visita per bene e capisce subito che non servono medicine ma una cura davvero drastica. Non si preoccupa di toccare la suscettibilità del vecchio Nani, che ha già l’alito puzzolente da vino, e avvia, serio, il suo tentativo di terapia. – Giovanni, beve? – Sì, dotor, sì, qualcosa sì, ma proprio il minimo necesario. – Quante volte al dì beve, Giovanni? – Beh, dotor! …Do volte al dì: durante i past e fora dei past. – Giovanni, mi tocca darle una bruta novità: lei ha il fegato molto ingrossato. Mi dispiace ma mi tocca torghe ’l vino! – Beh… dotor, no…no ’l se disturbe, schèrselo!…Ma se proprio l’à da ciòrmelo… al me lo cioe bon! – No, no Giovanni, non mi ha capito! Non deve vederlo il vino se vuole star meglio! – E va ben dotor, sararò i oci co cioarò su ’l quarto! MARIO MENEGHETTI INSIEME CON FIDUCIA 25 STORIA E ARTE IL GIOVANILE DEBUTTO TEATRALE DI VERA VERGANI E PIER PAOLO PASOLINI ALLO ZANCANARO DI SACILE Il teatro di gioventù 26 INSIEME CON FIDUCIA Forse è proprio vero che nel profondo di ogni luogo teatrale si nasconde un fantasma, un fantasma che emerge dal buio del passato per assumere di volta in volta gli aspetti di una realtà troppo presto dimenticata. I ricordi di un teatro sono, in effetti, come il «suo doppio», realtà e finzione, presente e passato che si sovrappongono ogni volta che il piccone demolitore va a sbattere sugli antichi tavolati sprigionando, con le polveri e le sensazioni, mille svolazzanti frammenti di vita passata. A questo impietoso rituale non si è sottratto il novecentesco Politeama Zancanaro, teatro di Sacile: la rimessa a nuovo di questa struttura è stata l’occasione che ha portato alla riscoperta di alcune vicende consumatesi sul suo palcoscenico, brevi momenti di vita che hanno attraversato una comunità di provincia dove quasi sempre la piccola storia locale subisce i contraccolpi di quella nazionale. A scandire il tempo della memoria non sono state però le grandi compagnie del teatro nazionale e veneto (Duse, Salvini, Benvenuti, Zago, Benini, Baseggio, Giachetti e altri) quanto piuttosto due apparentemente insignificanti circostanze: il debutto di Vera Vergani e di Pier Paolo Pasolini, eventi destinate ad assumere, nel tempo, i valori della grande testimonianza. Il teatro era appena costruito da un anno che qui vi debuttava (1912) la fiorente diciassettenne bellezza di Vera Vergani, destinata a diventare una grande star del teatro e del cinema italiano. L’attrice era giunta a Sacile il pomeriggio dell’8 ottobre al seguito della notissima «Comica Compagnia Veneta di Ferruccio Benini», per interpretare una parte nella commedia del Gallina Zente refada. Vera debuttava con il più noto cognome della madre, Podrecca, sorella dei famosi Vittorio (marionettista) e Guido (deputato e giornalista), figure assai note a Sacile e in tutta Italia. La sua interpretazione, legata a un ruolo ancora comprimario (quello di Emma, moglie di Gigi), «lascia negli appassionati una graditissima impressione», scrive il cronista locale. Naturalmente le simpatie del pubblico sono tutte per i più famosi coniugi Benini e per l’ottimo Mazzetti nella parte di Gigi, «obbligato ad assistere alla nuova condizione dei suoi suoceri vivendo fra le Vera Vergani. strettoie di un limitato stipendio». Vera, a quanto pare, si meritò la menzione d’obbligo del cronista e il caloroso applauso del pubblico più per la sua avvenenza che per la sua bravura; ma quello che lo stesso cronista non poteva sapere è che tra gli spettatori c’erano la madre e i parenti di Vera, pronti a dare il via agli applausi all’entrata in scena dell’attrice e alle sue poche battute d’effetto. Vent’anni più tardi (1932) proprio sullo stesso palcoscenico fece il suo debutto teatrale un giovanissimo Pier Paolo Pasolini. La circostanza non poteva essere per lui più significativa e pregna di auspici, dal momento che, prima di diventare regista, Pasolini si troverà, dopo il suo trasferimento a Roma, a dover fare l’attore e lo sceneggiatore cinematografico. Qui a Sacile la ribalta teatrale lo vide nella insolita veste di attore-cantante in una operetta messa in scena dagli alunni delle Scuole elementari. Come è noto, la famiglia Pasolini, per ragioni legate alla carriera militare del padre, fu costretta a non poche peregrinazioni da una città all’altra: agli inizi degli anni trenta si era stabilita a Sacile dove il piccolo Pier Paolo frequentò la terza e la quinta elementare, partecipando anche a quelle attività del doposcuola che oggi chiamiamo integrative. Una di queste consisteva nella rappresentazione di un’operetta che richiedeva mesi di lavoro preparatorio, con l’apporto di elementi della banda cittadina e della locale scuola di musica. Nella serata di sabato 16 aprile 1932 (con la replica del sabato successivo) ecco il debutto di Pasolini con Puccettino e l’Orco, operetta in tre atti di Verbana e Corona, nella quale il futuro scrittore ebbe una delle parti di rilievo, quella recitata e cantata del ciambellano. Uno stesso palcoscenico, dunque, seppure con un intervallo di vent’anni, per due personaggi che lasceranno un segno nella storia della cultura e del costume italiano. Cosa è rimasto in loro di quella esperienza giovanile? Di entrambi – in proposito – sappiamo poco: Vera Vergani, due anni dopo il suo debutto sacilese, si guadagnerà i ruoli di prima attrice presentandosi definitivamente al pubblico con il suo vero nome; diverrà una diva del cinema muto e una grande interprete del teatro pirandelliano (Sei personaggi in cerca d’autore) e dannunziano (La figlia di Iorio), prima di abbandonare felicemente le scene, appena trentacinquenne, per dedicarsi alla vita familiare. Su Pasolini, che pure ha lasciato molti scritti sulla sua infanzia, in particolare quella sacilese, non abbiamo trovato riscontri riferibili a quella lontana recita sacilese. A detta dei compagni di scuola, i suoi interessi allora erano tutti per l’avventuroso mondo dei personaggi di Emilio Salgàri, un mondo nel quale si rifletteva la figura rassicurante e protettiva del padre militare. I ricordi più cari del Pasolini adulto e scrittore risulteranno essere altri, e la recita teatrale non rientrerà tra quelli Pier Paolo Pasolini. che avranno un seguito nelle sue pagine biografiche. Un vero peccato, perché sicuramente lo scrittore non avrebbe mancato di fare un parallelo, seppure semplice, tra quella uscita teatrale e il suo lavoro di regista. Forse anche per questo esistono i fantasmi del teatro: risvegliati dal sonno nel loro cantuccio tra le quinte, riescono a far rivivere storie che neppure la memoria più viva era riuscita a fermare. (N.R.) INSIEME CON FIDUCIA 27 STORIA E ARTE 28 INSIEME CON FIDUCIA L’ARTISTA UN SOGGIORNO DEL PITTORE VENETO A BRUGNERA NEL CINQUECENTO Marcello Fogolino La ragguardevole tela raffigurante la Madonna in trono col Bambino e i santi Giacomo e Cristoforo, ora addossata alla parete destra della parrocchiale di Brugnera, in origine costituiva la pala dell’altar maggiore della vecchia chiesa di San Giacomo, oggi al cimitero, che è stata la prima parrocchiale fino al 1840 quando venne trasferita nella più centrale chiesa di San Nicolò. L’opera è stata dipinta da Marcello Fogolino (1483/88-1558?) tra il 1521 e il 1525, un quinquennio in cui il pittore – nato probabilmente a Vicenza da una famiglia di origine friulana – era particolarmente attivo nel Pordenonese dove portò a termine la decorazione del vecchio coro della parrocchiale di Rorai Grande, ora cappella laterale, iniziata dal Pordenone fin dal 1516, e dipinse una grande ancona per il duomo di Pordenone. Commissionata con tutta probabilità dall’influente famiglia dei conti di Porcia e Brugnera che aveva espresso vari sacerdoti rettori nella prima metà del Cinquecento (tra tutti basti ricordare il protonotario apostolico, nonché commendatario di San Leonardo di Padova, il conte Ludovico), la tela è interessante perché consente di fare nuova luce sull’attività giovanile del grande pittore, noto soprattutto per la decorazione del Castello del Buonconsiglio a Trento in collaborazione con i ferraresi Dossi e Gerolamo Romanino. Il soggiorno a Trento era dovuto a una vera e propria fuga dal Friuli in seguito a un atto violento commesso con il fratello Matteo, pure lui pittore, e che era costato la vita ad un barbiere friulano; per non cadere nelle mani della giustizia della Repubblica di Venezia, Marcello con il fratello dovette rifugiarsi nel principato trentino dove, dopo un iniziale periodo di difficoltà per mancanza di lavoro, riuscì a entrare nelle grazie del principe vescovo cardinale Bernardo Cles. Questi, a partire dal 1531, gli affidò l’incarico di decorare ad affresco alcune stanze del «magno palazzo» del castello stesso, con episodi di vita di Giulio Cesare, oltre ad altre dimore vescovili situate nei dintorni di Trento, come castel Selva presso Levico, il palazzo di Cavalese, Castel Cles e Castel Toblino. La frenetica attività di pittore, continuata sotto il nuovo vescovo Cristoforo Madruzzo, non impedì al Fogolino di fare alcune trasferte nelle terre friulane anche grazie a una serie di «salvacondotti» concessigli dalla Serenissima in cambio di attività spionistica concernente, ad esempio, l’invio alla magistratura veneziana del Consiglio dei Dieci di disegni relativi a fortificazioni che si sarebbero dovuto costruire ai confini con il patriarcato d’Aquileia. In occasione di STORIA E ARTE queste incursioni, la critica recente ritiene di dovergli assegnare anche la raffigurazione di alcune scene del Vecchio e Nuovo Testamento, dipinte su quattro tavole attualmente custodite nel palazzo Lantieri di Gorizia, lavori che chi scrive ha da tempo identificato come quelle che in origine costituivano il pergolo dell’organo del duomo di Serravalle dipinte da Francesco da Milano nel 1528 e andate disperse alla fine dell’Ottocento. Le affinità riscontrabili nelle opere di questi maestri sono giustificate dal contatto reciproco avuto nei primi anni Venti del Cinquecento, dal momento che il da Milano, proprio in quegli anni, era impegnato a lavorare per gli stessi conti di Porcia nel Friuli occidentale; in particolare nella chiesa di San Nicolò aveva eseguito quel singolare affresco, tuttora conservato nell’ultima cappella di sinistra, intitolato Ognissanti, che nei volti delle decine di santi raffigurati ci presenta il consueto campionario di fisionomie riscontrabili ad esmpio negli affreschi della sala della Scuola dei battuti a Conegliano, ma soprattutto nella pala di San Silvestro a Costa di Vittorio Veneto, ora custodita nel museo diocesano. GIORGIO MIES Daniele Francesconi RIPROPOSTE LA VITA E LE OPERE DI QUESTO ERUDITO NATIVO DI CORDIGNANO AUTORE DEL SETTECENTO VENETO Singolare figura di erudito, dottore in legge e sacerdote, Daniele Francesconi era nato nel 1761 a Villa Belvedere, frazione di Cordignano. La sua famiglia amministrava a Cordignano le proprietà dei Mocenigo di San Stae, nobili veneziani che, con Alvise IV, diedero in quel tempo alla Serenissima il suo terzultimo Doge. Era lo zio dei più noti Ermenegildo (1795-1862), importante ingegnere al servizio dell’Impero asburgico e progettista di grandi opere viarie e idrauliche, e Daniele (18101875), pure ingegnere e patriota al tempo dei moti del 1848. A Ermenegildo – lo ricordiamo per inciso – sono oggi intitolati il teatro e la biblioteca civica cordignanesi. Il Francesconi fu uomo dalla formidabile erudizione, autore di opere di vario genere, che andavano dal poemetto in ottave, alle rime d’occasione, al saggio di antiquaria, alla relazione scientifica. La sua carriera di studioso fu di tutto rispetto: docente universitario di diritto comparato, tra il 1805 e il 1835, con qualche interruzione dovuta alle tormentate vicende storiche di quegli anni, fu bibliotecario alla Biblioteca universitaria di Padova e di quell’ateneo fu anche per STORIA E ARTE 30 INSIEME CON FIDUCIA « DIFESE LO STATUS SOCIO-CULTURALE COMPROMESSO DAGLI EVENTI RIVOLUZIONARI » un breve periodo magnifico Rettore. Su di lui, sui suoi meriti culturali e sulla totalità dei suoi scritti, dopo la sua morte, avvenuta nel 1835, calò ben presto la notte dell’oblio e oggi non ne sapremmo nulla se il lavoro di ricerca di Giampaolo Zagonel, non nuovo a operazioni culturali di questo tipo, non ce ne avesse restituito tutta intera la figura (Daniele Francesconi, Vita, opere scelte, epistolario, Vittorio Veneto, Dario De Bastiani editore, 2008). Un contributo, il suo, che viene a riparare un torto, fatto di silenzio, che purtroppo accomuna Francesconi a tanti altri dotti velocemente dimenticati. Eppure le ragioni per ricordarlo ci sono. Colpiscono di lui alcuni tratti distintivi: in primo luogo la vastità degli interessi culturali, che spaziano con eguale familiarità dalle Lettere alle Scienze, come era consuetudine in tanti uomini dotti del XVIII secolo; secondariamente il carattere molto dispersivo del suo lavoro di intellettuale, pronto a rispondere con le sue opere a sollecitazioni occasionali, ma incapace di dare ordine agli interventi, di predisporli secondo un progetto culturale preciso; in terzo luogo, ed è il dato più significativo, documentato dalle 65 lettere scelte dall’epistolario, la viva presenza del Nostro nel panorama culturale italiano, veneto-lombardo in particolare. Una presenza non decisiva, sia chiaro, ma nemmeno marginale, se è vero che la relazione epistolare con Canova, ad esempio, evidenzia un rapporto confidenziale, «alla pari», ed offre di riflesso elementi utili alla conoscenza del grande artista. Ma al di là degli effettivi meriti culturali di Francesconi, forse modesti, vale la pena sottolineare l’esemplarità della sua esperienza di vita, che testimonia efficacemente la condizione degli uomini di cultura del suo tempo, impegnati a difendere uno status socioculturale compromesso dagli eventi, in primis dalla Rivoluzione francese e dalle sue ricadute europee, che trasformarono radicalmentre e irreversibilmente la società. Va detto, a onor del vero, che, al pari di quasi tutti gli uomini della sua generazione, Francesconi non fu in grado di percepire il senso di quelle trasformazioni e si dimostrò sostanzialmente sordo alle nuove idee (nazione, libertà, uguaglianza,…). Ad evitare possibili sopravvalutazioni possono bastare alcune sue opere poetiche, generosamente recuperate: quegli scritti, destinati alla ristretta cerchia dei lettori eruditi, riescono oggi obiettivamente indigesti e forse lo erano anche allora. Il punto è che quella erudizione, fatta di infiniti richiami agli scrittori antichi, con i quali aveva massima confidenza, era l’alimento principe di Francesconi, uomo buono e amante della buona compagnia, ed era al tempo stesso il suo limite. Resta un merito di Giampaolo Zagonel averci fatto conoscere questo nostro antenato, che testimoniò a modo suo l’amore per il sapere, sufficiente di per sé a dare spessore e significato a una vita. SILVANO PICCOLI ITALIANA (1948) E ROMANA (1849) Se da tutti è riconosciuto che la Repubblica Italiana è figlia della Resistenza, in cui si sono fuse e cementate le diverse culture e opinioni politiche (cattolica, laicoliberal-repubblicana e socialista) nell’intento di sconfiggere la tirannia nazi-fascista, è altrettanto evidente che tale evento storico si lega alla storia del Risorgimento e agli ideali di Mazzini e Garibaldi, recepiti e portati avanti nella lotta di Liberazione dalle brigate partigiane di Giustizia e Libertà e dal Partito d’Azione; i quali contribuirono poi, insieme agli altri rappresentanti eletti dal popolo, a definire e redigere i vari articoli della Costituzione del 1948, ispirandosi in parte alla efficace ed avanzata Costituzione della Repubblica Romana di Mazzini, Saffi e Armellini, del luglio 1849. Festeggiando i sessant’anni della nostra Costituzione, siamo coscienti dunque che questo anniversario non è di poco conto, in quanto richiama alla memoria il lungo e tormentato secolo di aspirazioni, di fatiche e di lotte, per arrivare a portare davanti ai padri costituenti un impegno indifferibile che lo stato aveva l’obbligo di prendere con i suoi cittadini, per garantirli nella loro quotidiana impresa con una serie di leggi sicure, condivise e democratiche. Il che è avvenuto, appunto, con la firma del documento in questione, da parte del presidente dell’Assemblea Costi tuente, Umberto Terracini e del capo dello stato, Enrico De Nicola, il 1° gennaio 1948. È meno risaputo che il regime fascista non aveva soppresso lo Statuto albertino, pur avendolo svuotato delle pur deboli guarentigie e concessioni democratiche che conteneva. Così, dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, seguita dalla sconfitta definitiva dell’esercito germanico (aprile-maggio 1945) ed il Referendum a suffragio universale (con l’inclusione del voto alle don ne) e la successiva proclamazione della Repubblica Ita liana, il 2 giugno 1946, si imponeva la redazione di una carta costituzionale. Essa doveva garantire le libertà comunali e statali e permettere un percorso legislativo in grado di regolare i rapporti politico-sociali, fra lo stato ed i cittadini, prima che si insediasse il nuovo Parlamento. Eletti i padri costituen ti, con un voto popolare sempre nel ’46, essi si misero al lavoro e la Costituzione fu licen- Barricate romane durante in 1849. Le costituzioni STORIA E ARTE UN PARALLELISMO TRA LE DUE CARTE COSTITUZIONALI STORIA E ARTE ECHI E RIMANDI A UN SECOLO DI DISTANZA NELLA RICORRENZA DEI SESSANT’ANNI DELLA NOSTRA COSTITUZIONE La difesa di Roma (1849). 32 INSIEME CON FIDUCIA ziata, con voto unanime, il 22 dicembre 1947. Questo è il percorso storicopolitico della nostra Magna Charta; ma nel contempo ci sorge un’esigenza più articolata: quella di fissare gli antecedenti storici di tale atto fondamentale e necessario. Come già accennato le radici vanno ricercate lontano nel tem po, appunto nell’epopea mazziniano-garibaldina della Repubblica Romana, dal dicembre 1848 al luglio 1849. Sette mesi, una manciata di giorni, in grado peraltro di esprimere una potente idealità, bagnata dal sangue di tanti giovani, ma che ci lascia l’eredità di un’opera impareggiabile di moderna democrazia. A confronto, nessuna delle costi- tuzioni europee più avanzate, anche posteriori, riesce ad eguagliare la novità di tale documento. È noto che la Repubblica Romana (la cui vita effimera è di circa duecento giorni), schiacciata da forze soverchianti: borbonico-papaline (al sud), austriache (al nord); ma soprattutto dal corpo di spedizione francese (sbarcato a Civitavecchia nell’aprile del ’49), perde palmo a palmo i territori dello Stato Pontificio. La sua difesa è legata alle determinazione e genialità di Garibaldi, all’eroismo di Mameli che contrastano contingenti addestrati e bene armati, fin sul Gianicolo; soprattutto alla strenua difesa del territorio da parte dei volontari garibaldini: uomini liberi sostenuti da quegli ideali di giustizia e libertà che nell’Ottocento travalicano spesso i limiti del territorio nazionale, per cui troviamo, appunto fra i garibaldini, non solo uomini di tutti i ceti, anche di diverse nazionalità. Ma, accanto alla difesa disperata, si staglia la serenità dell’As semblea Costituente, eletta dal popolo, che lavora alla redazione della Carta Costituzionale. Essa non si scioglierà nemmeno con l’entrata in Roma delle prime pattuglie francesi. Anzi il «Monitore Romano» diretto da Francesco Dall’Ongaro: professore e letterato dell’università di Napoli, di origini trevigiane (era nato a Mansuè), pubblicherà il testo integrale, il 3 luglio 1849, mentre, in seduta straordinaria, si dichiarava:«La Repubblica Romana cessa una difesa divenuta impossibile, ma resta al suo posto». Di questa epopea garibaldina ci resta, dunque, il prezioso testo della Costituzione Romana che ora possiamo confrontare con quello della Costituzione Italiana. Se noi concediamo un momento STORIA E ARTE miglioramento delle condizioni morali e materiali dei cittadini e infine che tutti i popoli sono fratelli. Gli stessi concetti sono espressi dagli articoli 1, 2, 3, 11 della Costituzione Italiana, se pure in termini più dilatati. Si comincia con: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il se condo articolo dichiara: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei valori inderogabili di soliPatrioti romani nel 1849. di attenzione ai «Principi fondamentali» delle due redazioni, ci accorgiamo subito che la telegraficità del primo esprime certezza di pensiero e forza di volontà; soprattutto che la concisione della lectio romana non va mai a detrimento della comprensione. Il primo articolo recita così: «La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello stato romano è costituito in Repubblica democratica». Segue il secondo: «Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta». Il terzo esprime ancora un principio elementare di convivenza: «La Repubblica, colle leggi e istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini». Infine il quarto articolo contiene una verità umana che ci è stata lasciata in eredità dalla vita e dalla predicazione di Cristo, anche se tuttora la realtà è calpestata in varie parti del mondo: «La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli, rispetta ogni Il presidente Enrico De Nicola firma la Costituzione Italiana. nazionalità, propugna l’italiana». Puntando il nostro obiettivo anche soltanto su questi inizi ci confermiamo sul fatto che le due versioni risentono di una vicinanza ideale che non è soltanto storica, ma pure umana e politica. In poche parole nel testo romano viene detto che la sovranità spetta al popolo, il quale deve agire in libertà rispettando le regole della fraternità e dell’eguaglianza; che lo stato deve pensare al darietà politica, economica e sociale». Il terzo è assai lungo ma in sintesi esprime la necessità di migliorare le condizioni morali, sociali, economiche e materiali dei soggetti. Infine il quarto articolo della Costituzione Romana è ripreso dall’11° di quella Italiana, il quale ribadisce la necessità della fratellanza universale, con il netto rifiuto della guerra: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alle libertà degli altri INSIEME CON FIDUCIA 33 MUTUALITÀ popoli e come mezzo di ri so luzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Su tali direttive congiunte, se pure a volte soltanto spostate dallo svolgimento del discorso legislativo, mai però in contrasto fra loro, si dipanano gli articoli dei Titoli che riguardano: i Diritti ed i Doveri dei cittadini, le Funzioni dell’Assemblea e infine la parte 34 INSIEME CON FIDUCIA che regola i Rapporti Politici. In tutto, si tratta di cinquantaquattro articoli per la Costituzione della Repubblica Italiana e di sessantanove per la Co sti tuzione Romana. Il fatto che siamo tornati su questo discorso a sessant’anni dalla rinascita dell’Italia, non può farci dimenticare i momenti cruciali della sua nascita come Popolo e come Nazione in uno Stato rinnovato negli ideali e nella realtà della vita, nei momenti indimenticabili della gloriosa Repubblica Maz zinianoGaribaldina. In chiusura di questo pur incompleto ed inglorioso intervento, voglio ricordare il prof. Teodolfo Tessari che, dal 1945 al ’48 e anni seguenti, è stato per noi giovani, appena usciti da un conflitto micidiale e dai miasmi di un’educazione falsata, un maestro di democrazia, d’umanità e vita, al liceo «Leonardo da Vinci» di Treviso. Il suo alto profilo di maestro, la sua altrettanto generosa presenza umana e politica, hanno lasciato una traccia incisiva nei nostri cuori. Alla Sua alta Memoria voglio dedicare questo breve escursus storico, che mi auguro la Redazione conservi. LUIGI PIANCA A PIEVE DI SOLIGO ACCORDO CON La Nostra Famiglia È stato siglato recentemente un accordo programmatico tra la Banca della Marca e «La Nostra Famiglia» di Pieve di Soligo. L’iniziativa nasce nell’ambito della struttura denominata Progetto Famiglia, tramite la quale la nostra banca propone da anni un quadro organico di interventi per quei progetti che riguardano il territorio e i bisogni delle persone, in particolare della famiglia. Come è noto l’Associazione di Pieve di Soligo comprende nel suo interno una sezione di ricerca di alto livello: si tratta dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (I.R.C.C.S.) «Eugenio Medea», presente in molte regioni italiane, istituto che si occupa della ricerca e riabilitazione dell’età evolutiva e che viene considerato come un vero e proprio «osservatorio nazionale» nel campo delle disabilità infantili. All’attività della vasca terapeutica per i pazienti del Presidio di riabilitazione e dell’I.R.C.C.S. si sono unite di recente alcune attività di carattere ludico-sportivo- riabilitativo svoltesi nella annessa piscina e realizzate in collaborazione con l’Associazione sportiva dilettantistica «Viribus Unitis» con la quale l’Associazione «La Nostra Famiglia» ha stipulato un accordo convenzionale. In questo modo l’Associazione finalizza il suo impegno all’educazione sanitaria promuovendo corsi di nuoto sia alle puerpere che agli alunni della scuole, mentre la «Viribus Unitis» cura principalmente gli aspetti inerenti la promozione didattica del DONATI DUE POSTAZIONI CON PERSONAL COMPUTER E SCHERMO TOUCHSCREEN nuoto ivi compresa la preparazione degli istruttori. L’accordo sottoscritto dalla nostra banca riguarda appunto questo particolare settore con il posizionamento nell’atrio della piscina e nell’area di pertinenza del Presidio di riabilitazione di due postazioni informative dotate di personal computer e di uno schermo touchscreen – forniti della nostra Banca – contenenti informazioni riguardati le attività istituzionali e non, nuovi progetti e proposte dei due enti firmatari, link utili a «La Nostra Famiglia» e alla «Viribus Unitis». La postazione, dotata di collegamenti internet, permetterà di visitare i siti degli enti firmatari e conterrà tutto il materiale che tali enti riterranno opportuno inserire. Dal canto suo «La Nostra Famiglia» si preoccuperà del collegamento alla rete Adsl, della programmazione della videata iniziale, dei filtri necessari e limiti di accesso alla rete internet e, infine, degli automatismi necessari per avviare e spegnere i computer a orari prestabiliti. Inoltre, in virtù di una serie di sponsorizzazioni, la Banca potrà inserire il proprio logo nelle tessere badge che verranno consegnate all’utenza, e che la stessa Banca fornirà all’Associazione in formato elettronico ad alta definizione. L’accordo, giusto connubio tra economia e sociale, ha destato vivo interesse tra la popolazione e grande soddisfazione tra gli enti firmatari. Due grandi realtà territoriali hanno così deciso di incrociare le loro strade per perseguire un obiettivo comune: tutelare la dignità e migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità, e delle loro famiglie. (M.C.) PESCA LA CARTA Per ogni chiarimento chiedi nelle filiali, troverai il personale a disposizione. A VIS Una nuova opportunità ‘emerge’ per i clienti di Banca della Marca. Utilizza la «Carta BCC» o richiedine una tra le nuove carte del Credito Cooperativo studiate e calibrate sulle tue esigenze e scoprirai così l’esclusività dei suoi vantaggi. 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