Centro Educazione Ambientale Museo del Novecento Storia e arte

Transcript

Centro Educazione Ambientale Museo del Novecento Storia e arte
46
Periodico quadrimestrale
di informazione bancaria
e di cultura locale
della Banca della Marca
Credito Cooperativo
Società Cooperativa.
Poste Italiane spa · Spedizione in abbonamento postale, 70% · DCB TV.
Anno XVI · N. 46 · Maggio 2008
Centro Educazione
Ambientale
Museo
del Novecento
Ricordo
di Toti Dal Monte
Storia e arte
locale
Cibo: tutto lo spreco
che finisce nella spazzatura
Secondo una recente indagine della Confederazione
italiana agricoltori circa venticinque milioni di tonnellate
di cibo vengono buttate annualmente tra i rifiuti.
Oltre la metà, circa diciotto milioni di tonnellate,
finiscono nei cassettoni della spazzatura direttamente da
case, negozi, ristoranti, mense, hotel, aziende alimentari,
mentre tutto il resto viene perduto nella distribuzione,
nelle fattorie, nei campi e nei negozi. In definitiva
buttiamo nella spazzatura un terzo del cibo prodotto nel
Paese, qualcosa che vale trenta miliardi di euro, ovvero
il due per cento del prodotto interno lordo.
Se rapportiamo il dato al numero delle famiglie italiane,
emerge che il costo di questi scarti ammonta
a cinquecentottanta euro annui per gruppo famigliare;
se poi andiamo a vedere la natura degli scarti scopriamo
che il 30% dello spreco è dato da prodotti freschi (latte,
uova, formaggi, yogurt), il 19% dal pane, il 17% da
frutta e verdura, il 10% da affettati e il 6% da prodotti in
busta, ossia alimenti basilari acquistati e non consumati.
Le cause di questo disastro alimentare sono diverse, ma
quasi tutte riconducibili alla poca educazione
all’acquisto: compriamo troppo e male, talvolta attirati
dalle offerte del marketing, dalla seduzione della
confezione, dalle novità, dalle promozioni, dai prezzi
sottocosto che stimolano fortemente all’acquisto.
È l’accusa che i sociologi muovono al consumatore
italiano, portato a riempire il carrello di cibo che non
riuscirà mai a consumare prima che vada a male.
Per il sociologo il consumatore è troppo distratto, ha
poca coscienza ecologica, non è attento alla scadenza
del prodotto che acquista; ha perduto l’abitudine alla
parsimonia ma anche alla misura di una spesa fatta, se
non giornalmente, almeno più volte la settimana,
comprando ciò che realmente ha bisogno per uno o due
giorni nei mercati di quartiere o dal negoziante sotto
casa. Invece siamo presi dalla fretta e così la spesa si
effettua al sabato al supermercato pensando ai pasti di
tutta la settimana con il rischio che molti prodotti freschi
finiscono col il marcire e quindi buttati in spazzatura.
Ma il problema fondamentale è che la maggior parte
della gente non si rende conto di contribuire a
un dramma di vaste dimensioni: non c’è solo il costo di
prodotti che non si consumano ma anche quelli per il loro
smaltimento che vanno a carico dell’intera società.
Un problema non da poco.
sommario
SOTTOVO C E
ANNO XVI · N. 46 · MAGGIO 2008
2
Cibo: tutto lo spreco che finisce nella spazzatura
3
Editoriale
4
Notizie in breve
7
Clementa, un angelo per i bambini
9
Un valore da condividere
10
Il salice nel nostro paesaggio
13
Centro di Educazione Ambientale
16
Tanto di barba e baffi
18
Museo della Grande Guerra e del Novecento
19
Ricordo di Toti Dal Monte
21
Un mondo che scompare
22
Le pantere della SPES ruggiscono in A1
24
I nostri anziani raccontano
26
Allo Zancanaro di Sacile il teatro di gioventù
28
L’artista Marcello Fogolino
29
Daniele Francesconi autore del Settecento veneto
31
Le costituzioni Italiana (1948) e Romana (1849)
34
A Pieve di Soligo accordo con La Nostra Famiglia
In copertina. Capitello a Valdobbiadene.
Foto. Archivio Banca della Marca, Foto Viola, Giorgio Mies,
Norma Grafica.
Quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca
Direzione e redazione
Via Garibaldi, 46 · 31010 Orsago/Tv
Progetto
Janna/Pn
Direttore responsabile
Angelo Roman
Stampa
Tipolitografia Carlet Giuseppe s.r.l.
Orsago/Tv
In redazione
Claudio Bortolotto, Adriano Ceolin,
Giovanni Guizzo, Piergiovanni Mariano,
Giuseppe Maset, Mario Meneghetti,
Gianpiero Michielin, Vittorio Janna,
Gino Zanatta
Registrazione Tribunale
Treviso n. 911 del 27 maggio 1993
Le opinioni esposte in articoli firmati o siglati esprimono il punto di vista dei singoli autori e non quello
dell’Amministrazione della Banca. Gli articoli inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È
consentita la riproduzione dei testi purché venga citata la fonte. L’Editore si rende disponibile ad assolvere agli
obblighi in materia di diritto d’autore con i soggetti interessati non individuati che avanzino legittima richiesta.
Garanzia di riservatezza. I dati personali dei destinatari della rivista saranno utilizzati dall’Editore, titolare del trattamento, unicamente per l’invio della pubblicazione e di eventuali offerte commerciali secondo le finalità e i modi
consentiti dalla D. Lgs. n. 196/2003. Pertanto, i dati potranno essere trattati con mezzi informatici o manualmente anche da parte di terzi che svolgono attività strumentali (etichettatura, spedizione) e potranno essere consultati, modificati, integrati o cancellati in ogni momento dagli interessati inoltrando richiesta al responsabile, nominato per la carica, sig. Patrizio Pillon all’indirizzo della redazione.
Internet: www.bancadellamarca.it · e-mail: [email protected]
EDITORIALE
bilancio
AL 31 DICEMBRE 2007
di Gianpiero Michielin, presidente
Nell’aula magna dell’Istituto «Da Collo» di Conegliano,
il 4 maggio scorso ha avuto luogo l’Assemblea
Ordinaria annuale della nostra Banca con all’ordine del
giorno la discussione e l’approvazione del Bilancio al
31.12.2007.
Un appuntamento importante del Consiglio di
Amministrazione con i Soci del nostro Istituto, passati
dai 3.720 del 2006 ai 4.310 del 2007, per conoscersi e
confrontarsi sugli aspetti gestionali dell’Azienda.
In questa sede, anche perché i dati sono disponibili nel
fascicolo predisposto, ritengo opportuno tralasciare
la citazione dei numeri della lusinghiera crescita
ottenuta nel corso dell’esercizio negli aggregati
patrimoniali e dell’importante risultato economico
registrato.
La congruità e la valenza dei risultati raggiunti dalla
nostra Banca trova un’ulteriore, importante conferma
nel rating ufficiale della Società Moody’s che ha dato
il giudizio pari ad «A3», il massimo attualmente
ottenibile da una società di piccole dimensioni ed
operante in un mercato ristretto.
Sottolineo solo che i risultati d’eccellenza registrati, che
contraddistinguono da anni la dinamicità della nostra
Banca, sono frutto della sinergia, senza sbavature, tra
tutti coloro che reggono le sorti dell’azienda quali
il Consiglio di Amministrazione, il Collegio Sindacale,
la Direzione Generale, e nascono per merito di
un organico aziendale all’altezza del compito,
preparato professionalmente, coinvolto e partecipe
della mission aziendale e, assai importante, di una
compagine sociale che apprezza e vive convinta
l’esperienza della Cooperazione.
Il 2007 è stato l’anno di un evento importante che
considero utile sinteticamente ricordare perché
caratterizza e dà prova della capacità della Banca di
mettere in pratica un alto dinamismo impreditoriale
saldamente legato al territorio in cui opera.
Con il determinante contributo della nostra Banca è
stata fondata la Società di Mutuo Soccorso «Marca
Solidale sms» con la finalità principale di erogare
servizi alle famiglie dei Clienti nell’ambito della salute,
della prevenzione e dell’assistenza sanitaria.
Un progetto subito ampiamente condiviso tanto che,
in meno di un anno, ha trovato già oltre 1500 adesioni.
Un’ulteriore conferma della lungimiranza che, diversi
anni addietro, ci ha spinti e convinti ad attivare
il «Progetto famiglia» con l’obiettivo di essere a fianco
dei giovani e dei genitori, unitamente al mondo dello
sport e della scuola, per condividere percorsi atti
a garantire ai ragazzi valori e stili di vita validi ed
adeguati alle loro esigenze attuali.
È stato il riconoscimento da parte della Regione
Veneto con l’assegnazione alla Banca della Marca
del «Marchio Famiglia» quale soggetto significativo
che nell’ambito del territorio in cui opera si occupa
dei bisogni della famiglia. Unica realtà privata,
unitamente ad un’azienda veronese, ad avere questa
menzione in Veneto.
Tutto questo significa che mai ci siamo adagiati sui
successi ottenuti e che, di contro, siamo sempre
dinamici alla ricerca di idee innovative avendo sempre
come primo obiettivo il servizio ai Soci ed ai Clienti che
per noi sono sempre e solo persone, individualmente
importanti, e non numeri.
Il 2008 si è presentato come un anno difficile perché
l’inflazione cresce, i tassi non si riducono, è stagnante
il potere d’acquisto e più di qualche famiglia è in
difficoltà.
Proprio per questo Banca della Marca deve sempre più
impegnarsi a ricercare il ruolo delle origini, quello
delle Casse Rurali: dare aiuto e servizi di qualità alle
fascie di popolazione maggiormente a rischio,
stimolando la voglia di reagire e puntando su una
crescita solida, a misura d’uomo, concreta, lontana
dalla speculazione.
Siamo una Banca longeva perché abbiamo saputo
adattarci ai cambiamenti del nostro mercato e
su questa strada dobbiamo continuare perché, come
tutto il mondo del Credito Cooperativo, abbiamo
un modello organizzativo inimitabile.
Nel fascicolo del Bilancio Sociale distribuito durante
l’Assemblea abbiamo cercato di illustrare i valori che
ci contraddistinguono e lo sforzo attuato per operare
nell’interesse della comunità locale mirando ad uno
sviluppo economico e sociale.
La lettura delle relazioni e dei dati riportati
dettagliatamente nel fascicolo sintetizzano il ruolo
importante di Banca della Marca nello sviluppo del
territorio e nel sostegno all’associazionismo ed al
volontariato.
I francescani, già diversi secoli addietro, dicevano che
«l’elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vivere.
Perché vivere significa produrre e l’elemosina non
aiuta a produrre».
Siamo convinti che se nel nostro territorio viviamo bene
una piccola parte di merito ce la possiamo prendere.
PRIMO PIANO
in
N OT I Z I E
BREVE
STORIA LOCALE
A CORDIGNANO
FOTOGRAFIE DELLA GUERRA
DEL 1915-18
PROGETTO DI UN NUOVO PARCO
L’attenzione per il nostro passato sta vivendo da
oltre un decennio momenti di particolare euforia
documentata con la pubblicazione di interessanti
volumi, frutto di scrupolose ricerche d’archivio.
È sicuramente un percorso da apprezzare e da
sostenere perché la nostra identità, i nostri valori,
il nostro senso di appartenenza ad una Comunità
passa attraverso la conoscenza della nostra storia.
Bertolt Brecht diceva, infatti: «il popolo che non
conosce la sua storia è condannato a ripeterla».
Il Comune di Vazzola, dopo aver organizzato una
mostra storico-fotografica, ha deciso di raccogliere
in un volume e narrare le vicende ed i momenti
assai tristi dell’occupazione durante la guerra
1915-1918.
Oltre alla copiosa documentazione fotografica, in
parte inedita, il volume raccoglie le memorie
scritte da alcuni parroci ospiti presso la canonica di
Vazzola nel triste periodo dal novembre 1917 alla
fine della guerra.
I diari sono di don Giovanni Dal Poz e di
don Amerigo Garbuio, rispettivamente parroci a
Cimadolmo e San Michele di Piave. Queste
relazioni sono poi integrate dalle testimonianze
scritte a quel tempo da due ragazze vazzolesi,
quaderni che ben fanno trasparire una spontaneità
giovanile ma anche la fame e la paura di quei
giorni. L’iniziativa ha trovato in Banca della Marca
un valido e puntuale sostegno.
.
Ad inizio anno, presso il teatro «E. Francesconi» di
Cordignano, è stato presentato ed illustrato
il progetto di realizzare, nell’area del Colle Castelir
che sovrasta l’abitato di Villa di Villa di Cordignano,
un parco naturalistico-archeologico.
L’idea di questa iniziativa è del Gruppo
Archeologico di Cordignano che, con
l’apprezzamento di Provincia di Treviso e Comune
di Cordignano, ha evidenziato la necessità di
salvaguardare un territorio di rilevante pregio e ha
visto la possibilità, sia pur non immediata, di creare
interesse turistico in ambito locale e non solo. Essa
trova valenza ed integrazione con il progettato
Parco della foresta del Cansiglio e le aree
contermini delle sorgenti
del Livenza, delle Grotte del Caglieron e dell’area
fluviale del Meschio.
L’insieme del progetto, che si articola in diverse
fasi, prevede visite ai siti archeologici paleoveneti,
oggetto di scavo e studio da parte dell’Università di
Padova, spazi di ritrovo, un giardino botanico con
la ricca flora autoctona e molto altro. Per la fase di
avvio e la gestione dell’insieme è indispensabile
una coesione ed una sinergia tra pubblico e privato
affinché la progettualità divenga interessante,
oltre che sotto l’aspetto naturalistico-archeologico,
anche sotto quello economico che non è di
trascurabile rilevanza.
Il tutto è stato raccolto in una pubblicazione
realizzata con il sostegno di Banca della Marca.
IN PRIMO PIANO I NOSTRI COLLEGHI
TORNEO INTERBANCARIO
DI TENNIS
ICCREA – l’Istituto Centrale delle Banche di Credito
Cooperativo – ha organizzato nei giorni 22, 23 e 24
maggio, a Milano Marittima in comune di Cervia,
come avviene già da oltre due decenni, il torneo
interbancario di tennis del Credito Cooperativo.
A questa competizione sportiva, voluta nell’Italia
centrale proprio per permettere di partecipare a tutti
dell’Unione Europea oltre ad Islanda, Liechtenstein,
Norvegia e Svizzera.
Il codice IBAN è sempre indicato nell’estratto di
conto corrente che la Banca invia periodicamente
alla clientela.
Deve essere comunicato a chi effettua i pagamenti,
perché l’utilizzo non corretto può comportare
disguidi, ritardi ed anche oneri aggiuntivi.
PRIMO PIANO
gli appassionati dipendenti di Banche di Credito
Cooperativo, aderiscono in numero sempre
maggiore, e sempre più preparati, atleti provenienti
da tutte le regioni.
In rappresentanza di Banca della Marca hanno
partecipato due dipendenti: Ermanno Pizzinato,
Direttore della filiale di Conegliano, e Roberto
Dall’Antonia, componente dello staff della filiale di
Sacile.
Ermanno Pizzinato, per ben la terza volta, ha vinto
la gara del «singolo», quella più ambita e con
Roberto Dall’Antonia ha giocato la finale del doppio.
Un grazie agli atleti, anche dal nostro giornale, per
averci ben rappresentato.
A VENEZIA
CONVENTION DEL PERSONALE
Domenica 11 maggio si è svolta l’annuale
Convention di tutti i dipendenti di Banca della
Marca. Il lussuoso contesto scelto per quest’anno
è stata la magnifica nave da crociera Costa Serena
ormeggiata per l’occasione al porto di Venezia.
Alta la partecipazione da parte dei dipendenti che
hanno ascoltato con grande attenzione gli interventi
dello Staff di Direzione sull’andamento della Banca
nell’anno appena trascorso e sullo scenario e gli
obiettivi previsti per l’anno 2008.
Alcuni colleghi di filiale hanno inoltre portato la loro
testimonianza sull’essere «Banca del territorio».
ALLA FILIALE DI TREVISO
IMPIANTO ATM D’AVANGUARDIA
Da inizio febbraio 2008 è entrato in funzione, presso
la filiale di Treviso della nostra Banca, il primo ATM
«drive in» del Veneto.
Si tratta di un impianto Bancomat con la caratteristica
di essere più basso di quelli tradizionali sparsi sul
territorio e posizionato
in modo tale da potersi accostare ed effettuare tutte
le operazioni senza scendere dalla vettura.
Rappresenta un’ulteriore garanzia di sicurezza e
un’attenzione in più nei confronti delle persone
diversamente abili.
Un miglior servizio alla clientela ed una risposta alle
esigenze ed ai bisogni della comunità.
VITA DI BANCA
NUOVO PENSIONATO
COORDINATE BANCARIE
IN FUNZIONE NUOVI CODICI IBAN
Da gennaio 2008 sono «andate in pensione»
le vecchie coordinate bancarie (ABI, CAB e numero
di conto) ed è entrato in funzione per eseguire tutti
i bonifici bancari il codice IBAN (International Bank
Account Number).
Questo è il codice unico bancario che permette di
effettuare i pagamenti in euro in tutti gli Stati
Con la fine di dicembre scorso è entrato in
quiescenza il collega Giovanni Benedet, da anni
responsabile della Cassa centrale (matricola n.1).
Il Benedet era stato assunto dalla nostra Banca
nell’aprile del 1970, quando ancora l’istituto era
classificato come Cassa Rurale San Benedetto.
Con noi quindi ha vissuto la grande stagione dei
cambiamenti e della crescita della nostra Banca.
A lui vadano i migliori auguri dei colleghi rimasti
al lavoro, del Presidente, del Consiglio di
Amministrazione e di quelli della redazione.
INSIEME
CON FIDUCIA
5
PRIMO PIANO
INSIEME
CON FIDUCIA
IN FUNZIONE NUOVE NORME
PER ASSEGNI E LIBRETTI AL PORTATORE
6
PROGETTO FAMIGLIA
RESPONSABILITÀ EDUCATIVE
All’inizio di marzo scorso è stato organizzato
dall’Istituto Comprensivo di San Polo di Piave,
organismo d’intesa operativa che unisce al Comune
di San Polo anche quelli di Cimadolmo ed Ormelle,
un incontro dal tema «L’educazione è di rigore».
Banca della Marca ha sostenuto quest’iniziativa, che
rientra tra quelle del «Progetto Famiglia», e che ha
visto la presenza di un pubblico assai numeroso ed
attento. La serata era stata organizzata in
collaborazione con l’Associazione pattinaggio
Ormelle, l’Associazione pallacanestro Ormelle e
il Volley Grifone di San Polo di Piave. Gli interventi
sono stati tenuti da Lollo Bernardi, eletto
il pallavolista del 20° secolo e dalla dottoressa
Marcella Bounous, esperta in psicologia dello sport.
L’incontro mirava a far riflettere sulle co-responsabilità
educative della famiglia e delle società sportive.
Affrontava il particolare impegno che oggi è
richiesto per accompagnare i giovani a diventare
adulti responsabili. Durante la serata è stata
presentata anche la mostra di disegno «Emozioni in
movimento» degli studenti delle scuole medie.
Dal 30 aprile 2008 sono entrate in vigore le nuove
norme antiriciclaggio previste dal decreto legislativo
21 novembre 2007, n. 231 pubblicato sulla G.U.
n. 268 del 14 novembre 2007. Questo decreto fissa
che tutti gli assegni bancari, postali e circolari di
importo pari o superiore a 5.000,00 euro devono
recare l’indicazione del nome o della ragione sociale
del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.
Inoltre, gli assegni bancari e postali, emessi all’ordine
del traente (c.d. assegno a me medesimo) possono
essere girati unicamente per l’incasso ad una banca
o a Poste Italiane S.p.A. e ciò a prescindere
dall’importo recato dagli stessi.
Nel rispetto delle nuove disposizioni, le banche
rilasceranno dal 30 aprile 2008 gli assegni muniti
della clausola di non trasferibilità. Il cliente potrà
tuttavia richiedere per iscritto il rilascio in forma
libera di assegni circolari e bancari, da utilizzare in
detta forma libera esclusivamente per importi
inferiori a 5.000,00 euro. In tal caso il richiedente
dovrà corrispondere a titolo di imposta di bollo
la somma di 1,50 euro per ciascun modulo di
assegno e, in caso di girata, dovrà essere apposto,
pena la nullità, il codice fiscale del girante
CAMBIO AL VERTICE
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Alla scadenza del suo mandato di consigliere il Vice
Presidente Vicario Giovanni Guizzo ha ritenuto di non
riproporre la sua candidatura per il prossimo triennio.
A lui vada il ringraziamento di tutti noi per il lavoro
svolto nel Consiglio di Amministrazione fin dalla
costituzione di Banca della Marca.
La conoscenza personale e l’amicizia cementatasi in
questi anni di lavoro insieme, mi consentono di
esprimere la certezza che Gianni continuerà, da Socio,
ad assicurare alla nostra Banca il suo prezioso
appoggio con quella correttezza, disponibilità e
grande impegno che hanno connotato la sua attività,
prima di Consigliere e poi di Vice Presidente Vicario.
IL PRESIDENTE
indipendentemente dall’importo del titolo.
Con lo stesso decreto sono state introdotte novità
anche per i libretti di deposito a risparmio
«al portatore». A decorrere dal 30 aprile 2008
il saldo dei libretti di deposito bancari e postali «al
portatore» deve essere inferiore a 5.000,00 euro.
In caso di trasferimento di libretti «al portatore»,
indipendentemente dal saldo, il cedente è tenuto a
comunicare, entro trenta giorni, alla Banca
emittente, i dati identificativi del cessionario e
la data del trasferimento.
I libretti di deposito bancari e postali «al portatore»
con saldo pari o superiore a 5.000,00 euro, esistenti
alla data di entrata in vigore della nuova normativa,
devono essere estinti dal portatore, ovvero il loro
saldo deve essere ridotto ad una somma inferiore
al predetto importo entro il 30 giugno 2009.
SOCIETÀ OGGI
Clementa
UN ANGELO PER I BAMBINI
DALLA GUINEA BISSAU
A SANTA LUCIA DI PIAVE
PER SALVARE
I BAMBINI AFFETTI
DA MALFORMAZIONI
Clementa Dos Olis Viera ha una
vocazione: aiutare i bambini del
suo paese di origine, la Guinea
Bissau. In particolare i bambini
colpiti da malformazioni, che in
quel poverissimo paese dell’Africa Occidentale hanno un’esistenza difficile. Le credenze popolari
infatti, molto radicate soprattutto
nei villaggi più sperduti, considerano le deformazioni del corpo
opera di spiriti cattivi e chi ne è
portatore un indemoniato.
Spesso i bambini deformi vengono uccisi.
Clementa, 27 anni, è in Italia da
quando ne aveva 20. Da qualche
tempo si è stabilita con il marito
Carlos a Santa Lucia di Piave. Lavora come operatrice sanitaria in
una casa di riposo ed è impegnata nella promozione dei diritti
delle donne immigrate, come
componente del Tavolo provinciale per l’Immigrazione presso la
Prefettura di Treviso. Lui fa l’operaio e frequenta le scuole serali
per prendere il diploma di elettricista. Una vita non certo facile,
ma Clementa non ha chiuso le
porte a chi ha più bisogno. «Non
ho scelto di vivere in pace» ammette.
E così nel suo appartamentino di
via Comisso ospita, oltre al nipote Edmanuel, Aliou, 7 anni, e Domingas, per tutti Minga, 7 anni,
assieme alla madre di quest’ultima N’injdai. Entrambi i bimbi
sono stati portati in Italia per essere curati. Dei due, Aliu è più
fortunato perché l’intervento chirurgico all’ospedale di Conegliano ha risolto del tutto i suoi problemi deambulatori. La deformazione di Minga, invece, era più
grave. La scienza medica la definisce «piede torto congenito bilaterale» e se non è corretta nei
primi anni di vita impedisce non
solo la deambulazione, ma la
stessa postura eretta. Quando è
arrivata in Italia, due anni fa, grazie all’interessamento di un frate
SOCIETÀ OGGI
A CLEMENTA
NEL DICEMBRE SCORSO
È STATO ASSEGNATO
IL PREMIO
CIVILITAS 2007
8
INSIEME
CON FIDUCIA
francescano fra’ Mariano e all’intermediazione dell’associazione
veronese Rete Guinea Bissau, la
piccola non camminava ma si
trascinava a terra con le mani. In
tale arco di tempo ha subito ben
tre operazione chirurgiche – alla
schiena, ai piedi e alle ginocchia
– in centri specializzati del Nord
Italia, l’ultima il 20 marzo a Vicenza. Oggi Minga è ferma su un
lettino in attesa di guarire e di
poter tornare, pur sempre sorretta dalle sue stampellette, all’asilo.
In autunno, si concluderà la sua
permanenza in Italia e rientrerà in
Africa con la madre per «testimoniare che le malformazioni non
sono opera del demonio e che da
esse si può guarire» spiega Clementa.
Attorno a questa atipica e numerosa famiglia si è coagulata,
da tempo, la solidarietà di un’in-
tera comunità, estesa oltre i confini di Santa Lucia, che ha risposto con generosità anche al recente appello dell’associazione
onlus Amici Parco Bolda per la
raccolta dei fondi necessari all’ultimo intervento chirurgico di
Minga. «Nella nostra comunità la
solidarietà è un fatto, non solo
una parola – dice il presidente
Giancarlo Antoniazzi, molto soddisfatto della risposta data dai
suoi concittadini all’appello per
aiutare la famiglia di Clementa –.
Per operare Minga servivano
3.700 euro, ne abbiamo raccolti
5.500 euro, che copriranno an-
come un fattore civile importante.
Clementa ora ha intrapreso un
nuovo progetto: costruire nella
periferia di Bissau, la capitale del
Paese e sua città natale, una casa-famiglia per ospitare le mamme che vogliono salvare la vita (e
tentare di curare) i loro piccoli affetti da qualche disabilità. «Abbiamo già individuato il terreno
dove costruire la casa e abbiamo
contattato alcuni professionisti
per il progetto – spiega Clementa
–. Questa casa vuole essere un
punto di accoglienza per le mamme che non vogliono sacrificare il
loro figlio alla supersti zione. I
che le spese per la riabilitazione e
per il rientro in Africa».
L’abitazione di Clementa Dos Olis
Viera è sempre molto frequentata. Tutti a Santa Lucia conoscono
la dinamica guineiana e il suo impegno verso i connazionali meno
fortunati. Di lei si è accorta anche
la Dama Castellana che, nel dicembre scorso, le ha assegnato il
premio Civilitas 2007, riconoscendo le sue opere di solidarietà
bambini meno gravi potranno essere curati in loco dai medici
italiani volontari, i più gravi potranno essere portati in Italia,
come abbiamo fatto con Minga».
Insomma, l’impegno di Clementa
continua e le persone generose
che fino a oggi le sono state vicine e l’hanno aiutata avranno
anch’esse nuovi fronti di solidarietà in cui cimentarsi.
FRANCESCA NICASTRO
SOCIETÀ OGGI
DONAZIONE ORGANI
Un valore
DA CONDIVIDERE
Nei mesi scorsi è iniziata
la campagna di informazione per
la donazione e il trapianto di
organi, tessuti e cellule a cura
dell’Aido, l’associazione che da
oltre trent’anni opera nella
speranza che le idee di «società»
e «solidarietà» si uniscano in
quella di «responsabilità» nella
coscienza della maggior parte dei
cittadini. Acconsentire al prelievo
dei nostri organi e tessuti dopo
la morte diventa in quest’ottica
la manifestazione della nostra
consapevolezza che la malattia
degli «altri», le loro difficoltà a
vivere normalmente devono
coinvolgere tutti.
Purtroppo intorno alla donazione
degli organi persistono ancora
molte prevenzioni. Eppure questi
tipi di trapianti sono una delle
dimostrazioni più rilevanti del
progresso della medicina nella
cura di un gran numero di
malattie per le quali non esiste
nessuna soluzione alternativa.
I progressi delle tecniche
chirurgiche e la scoperta di nuovi
farmaci che migliorano
la tolleranza dell’organo
trapiantato nel ricevente, hanno
fatto sì che migliaia di malati
potessero beneficiare con
successo dei trapianti.
Tuttavia la scarsità degli organi
donati è, al momento,
il principale ostacolo alla crescita
del numero dei trapianti e ancor
oggi molti ammalati muoiono o
vivono con tante limitazioni
perché l’offerta di organi è
insufficiente. Per questo diventa
necessario continuare a
sensibilizzare l’opinione pubblica
sul fatto che la collaborazione di
ciascuno di noi in questo campo
è fondamentale per poter
diminuire il divario oggi esistente
tra la disponibilità e la necessità
di organi.
L’Aido dunque rivolge un invito a
tutti per manifestare la volontà di
donazione con l’iscrizione alla
società oppure con
la registrazione all’Asl.
Per informazioni
rivolgersi
alla sede regionale
dell’Aido:
Mestre · via Filasi, 86.
INSIEME
CON FIDUCIA
9
TERRITORIO
SCOPRIRE IL MONDO VEGETALE
Il salice
NEL NOSTRO PAESAGGIO
Parlare del salice, di questa umile
pianta così diffusa nel nostro territorio al punto da essere una
caratteristica del nostro paesaggio, è un po’ fare la storia della
nostra civiltà contadina per l’utile
impiego che la pianta (e parte di
essa) ha sempre avuto nel lavoro
e nelle attività del mondo rurale.
Ma anche al di là del mondo
contadino, la grande famiglia
delle Salicacee (a cui appartiene il
genere Salix, ossia piante e arbusti comunemente chiamati sali-
ci) si è dimostrata particolarmente utile all’uomo che ne ha
utilizzato il legno per farne tavole
per pavimenti (in particolare
quello del Salix alba), attrezzi
sportivi, carbone per fabbricare
polvere pirica o, più semplicemente, carboncini per disegno.
Dalla corteccia di alcune specie si
estrae ancora i tannini impiegati
nelle concerie nonché la salicina,
un glucoside dal quale si ottiene
l’acido salicilico e il salicilato di
sodio, efficace contro le febbri,
rimedio nei reumatismi articolari
e nella malaria.
All’infuori di questo però i salici
non hanno mai goduto di una
coltura che non fosse esclusivamente legata all’agricoltura.
Piante molto antiche, presenti
sulla Terra ancora nell’era Terziaria, i salici si sono sempre rivelati poco importanti per l’addobbo di parchi e giardini in quanto
non raggiungono forme mae stose o altezze straordinarie; non
hanno vita lunghissima, né of-
frono una fioritura di particolare
bellezza; i loro fiori, infatti, insignificanti ed elementari, sono
formati solo da organi riproduttivi, mancando del tutto di quell’involucro variopinto e affascinante (calice e corolla) che comunemente si intende come
fiore.
Ma di salici ce ne sono moltissimi
e non sempre sono facilmente riconoscibili al di là di quelle
poche e comuni specie che ancor oggi qualcuno dei nostri con-
UMILE E SEMPLICE,
IL SALICE FA PARTE
DELLA NOSTRA TRADIZIONE
CONTADINA
tadini indica con nomi dialettali
(quali gatolèr, salghèr, saes zal,
saes ross, venchèr), e che tuttora
vengono utilizzati, come accennato, per i lavori della campagna
(tralci di salice per la potatura
della vite, ad esempio). Il genere
Salix è numeroso, comprende circa cinquanta specie di alberi e arbusti senza contare i numerosissimi ibridi spontanei, originati dal
vento – loro pronubo principale –
e dagli insetti impollinatori.
Esclusive dell’emisfero boreale, le
TERRITORIO
,
,
AMMALIANTI SCULTURE,
RICOVERO
DI UNA RICCA BIODIVERSITÀ
ANIMALE E VEGETALE
Salicacee vivono prevalentemente
in zone temperate e fredde, dalla
pianura alle vette. In piano, amano fiumi, torrenti, ruscelli, laghi e
prediligono pertanto suoli con
ampie falde freatiche e terreni di
risorgiva, particolarità che le rende così comuni nel nostro territorio. Qualche specie si adatta anche a terreni asciutti e sassosi: è il
caso del salicone (Salix caprae),
così chiamato perché delle sue
foglie si nutrono le capre; altre vivono in zone alte e fredde, striscianti tra rocce quale il Salix erbacea che mostra solo qualche
foglia nella stagione propizia o il
Salix reticolata dalle foglie venate
e bianche per i peli densi.
Per quanto concerne il nostro
territorio, fino a poco tempo fa,
l’inverno caratterizzava all’orizzonte, mettendole in risalto, file
squadrate di salici lungo i fossi
dei campi o ai margini di qualche
stagno che ancora non era stato
toccato dalla bonifica dell’uomo.
Si trattava del Salix elacagnos,
usato per colonizzare terreni calcarei e alluvionali e soprattutto
del salice rosso (Salix purpurea)
utilizzato per legare i tralci della
vite, e del salice giallo (Salix viminalis), detto anche venco o vimine, coi rametti del quale i nostri contadini e artigiani facevano
ceste, canestri, nasse, gabbie,
culle, impagliature per sedie,
stuoie e persino cappelli. Sullo
sfondo di paesaggi nebbiosi, i
loro rami verticali formavano dei
bellissimi scenari rossi e gialli; poi,
recisi i rami, il tronco si ingrossava a dismisura generando grottesche e ammalianti sculture, ricovero di una ricca biodiversità
animale e vegetale.
Molto di tutto questo è scomparso o sta lentamente scomparendo; nessun altro albero, tranne
forse il gelso, può essere assunto
a testimonianza di questo cambiamento quanto i salici che abbiamo conosciuto nelle passate
stagioni. Dovremmo abituarci a
vederli finalmente cre scere ri gogliosi, a riconoscerli e a distinguerli tra loro dalla chioma e dalle
foglie, a ripensare con essi ad altri
motivo della sua bellezza e subito
impiantato in fastosi giardini a
ornare i corsi d’acqua.
Precocemente, a primavera, i suoi
rami lunghi e penduli si coprono
di piccole lucenti foglie verdi, rese
tali dall’azione diretta del sole e
dai riflessi luminosi dell’acqua; ed
è quasi una rivincita per tutte le
piante e gli arbusti della sua spe-
cie, così poco tenute in considerazione. Tutti i salici alla fine fruttificano: dai frutti escono numerosi semi muniti di un ciuffo di
peli candidi simili a fiocchi di cotone che favoriscono la diffusione. Germineranno solo se cadranno su terreni umidi.
ELISABETTA DAL COL
TERRITORIO
tipi di paesaggi e ad altre figure
sugli orizzonti.
Per concludere ricordiamo che,
unico della sua specie, il salice
piangente (Salix babilonica) ha
trovato un suo posto tra le piante ornamentali. Originario dalla
regione asiatica subtropicale, è
stato importato in Europa dalla
Cina nel corso del XIII secolo a
Centro
DI EDUCAZIONE AMBIENTALE
>>
A SERNAGLIA DELLA
BATTAGLIA
CORSI PER INSEGNANTI
SUL RISPETTO
PER L’AMBIENTE
<<
Ogni anno sono centinaia gli
insegnanti di vario grado che
frequentano il Centro di
Educazione Ambientale «Media
Piave» (CEA) di Fontigo e migliaia
gli studenti. Corsi di
aggiornamento per docenti e
visite guidate al Centro ed al
territorio circostante sono in
prevalenza le attività svolte da
circolo locale di Legambiente
grazie ad un intesa di vecchia
data, con l’Amministrazione
comunale di Sernaglia della
Battaglia che ha concesso l’uso
dei locali, dismessi, dell’ex scuola
elementare di Fontigo, che
ospitano il CEA.
Una realtà partita quasi in sordina
ma che nel corso degli anni si è
conquistata un ruolo di
primordine nella formazione sia
degli educatori sia dei giovani e
dei bambini, infondendo loro
interesse e rispetto per
l’ambiente sotto i più svariati
profili: da quello prettamente
ecologico alla geologia, senza
trascurare le tradizioni culturali
del Quartier del Piave, ne tanto
meno le vicende storiche di cui è
stato teatro, quali il Primo
Conflitto mondiale. Il Centro di
Educazione Ambientale è dotato
di ampi spazi dove di frequente
vengono allestite mostre a
carattere ambientale o legate alla
cultura locale, con particolare
riguardo alle tradizioni del fiume
Piave ed è dotato di una sala
TERRITORIO
14
INSIEME
CON FIDUCIA
proiezioni per video e diapositive,
una serie di espositori di reperti
(campioni di rocce, fossili,
strumenti usati dall’uomo
primitivo, erbario…), vario
materiale cartografico (mappe,
carte topografiche e geologiche e
plastici) oltre a cartelloni
illustrativi (schemi didattici, flora,
fauna, ecc.). Una visita guidata al
CEA «Media Piave» consente
quindi di cogliere gli aspetti
geomorfologici, ambientali, della
flora e della fauna nonché
la storia che caratterizzano e
spiegano l’attuale configurazione
del Quartier del Piave, con le sue
peculiarità ambientali come i Palù
e le Fontane Bianche. La visita al
CEA, già esaustiva da un punto
di vista teorico, può essere
integrata da escursioni lungo
i numerosi itinerari di seguito
proposti oppure nei laboratori
didattici. Le visite guidate
propongono diversi percorsi, con
la presenza di esperti qualificati,
quali: le Fontane Bianche (celebri
risorgive che affiorano nella
golena del Piave), una
passeggiata nel Miocene,
i fenomeni glaciali nella Valle del
Soligo, i sassi del Piave, i Palù di
Moriago (frutto dell’antico
ingegno benedettino, nella
pianificazione territoriale), tracce
di romanità nel Quartier del
Piave, visita all’orto botanico,
alla scoperta degli insediamenti.
I laboratori invece sono
caratterizzati da un’attività ricca
di proposte che vanno dallo
studio della flora, agli indicatori
biologici delle acque del fiume,
passando per l’importanza della
selce nella preistoria fino alle
rocce ed alle loro composizioni.
Il CEA ha inoltre programmi ad
hoc da svolgere in classe, volti a
infondere una maggiore
sensibilità verso le tematiche
ambientali, è il caso dell’offerta
che tratta di «Consumi e rifiuti».
Una carrellata di immagini e
soprattutto di sintetiche
spiegazioni delle attività sono a
disposizione di tutti visitando
il sito del CEA
www.legambiente.qdp.it
recentemente rinnovato nella
grafica e nei contenuti.
«Il toponimo Palù che richiama
l’antica presenza di una zona
paludosa, indica un’area di circa
1000 ettari compresa tra
i comuni di Sernaglia, Moriago,
Vidor e Farra di Soligo – si legge
nel sito – Il paesaggio costituito
da una maglia di prati umidi, con
fossati e piante perimetrali, e
l’aspetto storico naturalistico è
unico nel suo genere in Italia e in
Europa ha delle realtà
paragonabili in alcune zone della
Francia dove sono presenti
i cosiddetti «bocages» – mentre
per le Fontane Bianche viene
spiegato che – come accenna
il toponimo stesso (l’aggettivo
bianche si riferisce alla costante
limpidezza delle acque di
risorgiva, in contrapposizione alla
periodica torbidità di quelle
fluviali), l’elemento
caratterizzante questa porzione
TERRITORIO
di territorio non è tanto
l’idrografia superficiale quanto
quella profonda. Le numerose
conche e risorgive presenti sono
alimentate dalle acque di falda di
un bacino imbrifero a monte che
si snoda da parte delle Prealpi
Trevigiane, alle colline ed ai Palù
del Quartier di Piave, per una
estensione di circa 5.000 ettari.
Come ha rilevato l’analisi chimica
(dai rilevamenti del tasso di
atrazina nelle acque della zona)
la falda accennata è in massima
parte indipendente dalla
confluenza con la Piave e si
mantiene costante e copiosa
anche in corrispondenza delle
secche di quest’ultima».
Gli aspetti che si possono
approfondire al CEA sono quindi
davvero tanti e affascinanti.
Il Centro di Educazione
Ambientale «Media Piave» è
ubicato in Piazza del Popolo al
civico 21 di Fontigo, è aperto la
domenica pomeriggio dalle 15
alle 19 e l’ingresso è gratuito,
ma si può visitare anche negli
altri giorni previo prenotazione
telefonica allo 0438 966356
oppure al 349 0596909.
INGRID FELTRIN
INSIEME
CON FIDUCIA
15
TERRITORIO
TANTO DI BARBA
e baffi
A CASUT NEI CAMOLLI
LA SIMPATICA
MANIFESTAZIONE
SI TERRÀ
SABATO
6 SETTEMBRE
16
INSIEME
CON FIDUCIA
Secondo il detto popolare, la barba è da sempre considerata un
simbolo di maturità, mentre i
baffi sono espressione di virilità.
Vero o falso che sia, la peluria sul
viso è comunque un sintomo di
libertà, oltre che di cura e passione, perché la si può far crescere secondo proprie preferenze
e propri modelli estetici, seguendo tagli che si modellano da viso
a viso. Per questo motivo non esistono barbe perfette e baffi ideali,
ma esistono tagli e sfumature che
interpretano lo stile e il carattere
di chi li porta; pertanto barba e
baffi sono spesso la rappresentazione esteriore del carattere,
tanto che dal loro aspetto si potrebbe capire la personalità di chi
abbiamo davanti.
Per averne un riscontro basta ritrovarsi sabato 6 settembre, come
ormai avviene da ventisei anni,
presso il Bar Mexico del Casut,
nei Camolli sacilesi, dove si terrà
la consueta e tradizionale rassegna delle barbe e dei baffi. È una
simpatica manifestazione – non
dissimile da quelle che si tengono
in altre località italiane ed europee – che qui assume un carattere tutto particolare per la semplicità della gara ma anche per lo
spirito di amicizia e ospitalità che
aleggia su questa piccola frazione
campagnola, sul confine tra la
pianura friulana e quella veneta.
«Qui arrivano anche dall’Austria
e dalla Germania – ci dice Luigi
Favret, gestore del Bar Trattoria
Mexico e organizzatore della manifestazione insieme ad altri amici
– non certo a gareggiare per un
premio simbolico, ma per il piacere di vivere una giornata tra
appassionati, a raccontarsi allegramente, ma anche orgogliosamente, le diverse esperienze».
Inutile aggiungere che, per tradizione, il piatto forte della trattoria in questo giorno di gare sono gli gnocchi al sugo d’anatra
accompagnati da formaggi e salumi locali, abbondantemente in-
naffiati da vini veneti e friulani.
«Nessuno rinuncerebbe a tornare l’anno dopo perché questa,
più che una competizione, è una
festa dell’allegria e dell’amicizia».
Ma la manifestazione dei Camolli
è pur sempre una gara e lo dimostra l’impegno con il quale la
giuria, formata da cinque maestri
barbieri, seleziona i concorrenti e
motiva le premiazioni. Sono infatti ben quindici (nove per i baffi
e sei per le barbe) le categorie
sulle quali i giudici debbono esprimersi, e i dettagli per ogni singola categoria sono molti, ciascuno dei quali potrebbe incidere
sulla vittoria.
E non sono da meno i concorrenti, i quali si presentano con un abbigliamento consono alla propria
barba o ai baffi. È questo l’aspetto più spettacolare della manifestazione che, a colpo d’occhio,
fa rivivere personaggi famosi (Verdi, Garibaldi, Kaiser, il corsaro nero) o semplici borghesi in bom-
betta, mandarini cinesi, granatieri
o guardie reali, giovani rivoluzionari ottocenteschi, tanti costumi per dare risalto all’aspetto elegante delle curatissime barbe;
insom ma la rivisitazione di un
tempo nel quale la barba era veramente «onor del mento», ovvero un emblema.
Oggi la barba e il baffo, dopo
aver vissuto con l’Ottocento il
loro periodo d’oro, non sono più
così diffusi come un tempo anche se si riscontra un certo loro
ritorno dettato da una moda
passeggera piuttosto che da costume sociale come lo fu nel passato. La tendenza odierna è
quella di avere un viso ben rasato anche se una bella barba
può dare un tocco di eleganza e
di personalità senza ricorrere a
schemi del passato.
Secoli di barba
Gli Assiri erano soliti cospargerla con olii profumati per darle
lucidità, gli Egizi ne utilizzavano una finta, i Greci
la riservavano solo ai filosofi, i Romani l’amavano poco:
la barba ha cavalcato i secoli dell’uomo accompagnandolo in
tutte le manifestazioni della vita, più o meno accattata, ma
sempre tenuta in grande considerazione e dovuto rispetto.
La portavano i santi in segno di devozione, i monaci per
mortificazione, i condottieri e i briganti se ne servivano per
incutere paura, gli uomini di corte l’addobbavano con treccine
d’oro. Papa Clemente VII, dopo il sacco di Roma (1527) da
parte dei Lanzichenecchi, non volle più tagliarsela in segno di
lutto e di dolore; a Venezia erano invece proibite quelle false,
troppo spesso indossate per nascondere il volto a scopo
criminale.
Insomma, la barba ha una storia lunghissima con una
numerosa varietà di fogge e tagli che finirono con il marcare
inconfondibilmente il costume del tempo.
Un esempio fra tanti: il pizzo seicentesco come ce lo hanno
lasciato i busti marmorei di cardinali e prelati, artisti e letterati
di quel tempo.
TERRITORIO
Museo
DELLA GRANDE GUERRA
E DEL NOVECENTO
A CROCETTA DEL MONTELLO
UNA NUOVA STRUTTURA
MUSEALE PER COMPRENDERE
A FONDO IL ’900
18
INSIEME
CON FIDUCIA
Un nuovo museo dedicato alle
vicende del secolo scorso.
A Crocetta del Montello, già sede
del Museo Civico di Storia
Naturale in Villa Ancilotto, è nata
una nuova sede museale
dedicata alla Grande Guerra ed al
Novecento. Lo spazio espositivo è
stato realizzato con il sostanziale
recupero di Villa Pontello, un
tempo istituto orfanotrofio, che
l’Amministrazione comunale ha
concesso in comodato gratuito
per dieci anni all’Associazione
«Gruppo Bisnent». Il neonato
Museo della Grande Guerra e del
Novecento, si articola in due
sezioni distinte: una dedicata al
primo conflitto mondiale ed alle
ripercussioni che quest’evento ha
avuto sul territorio locale, quindi
una seconda sezione dedicata
agli aspetti di vita più significativi,
del secolo scorso. Gli allestimenti
sono davvero notevoli sotto il
profilo scenografico, grazie anche
alla collaborazione dei volontari
dell’Associazione con una nota
azienda locale, che opera anche
a livello internazionale proprio in
questo specifico settore.
Il qualificato recupero di Villa
Pontello è frutto anche del grande
lavoro di raccolta dei materiali
d’epoca, intrapreso dal «Gruppo
Bisnent» che ha potuto contare
sulla generosità e disponibilità di
tante persone, che si sono sentite
partecipi di questo progetto:
cimeli bellici, oggetti di uso
comune appartenuti alle nostre
nonne, ma anche tanti documenti
e reperti di pregio arricchiscono
questo nuovo ambito culturale.
Nella sezione dedicata al
Novecento si può così ammirare
la fedele ricostruzione di una casa
di inizio ’900, con tanto di «filò»,
nonché un’aula scolastica della
stessa epoca. «La prima sezione
fa riferimento ad avvenimenti
bellici e riguardanti
principalmente il territorio da
Nervesa fino a Segusino, lungo
il Piave e fino alle falde del
Monte Grappa – si legge nel sito
internet www.villapontello.it –.
Troviamo allestimenti
tridimensionali legati alla
Battaglia del Solstizio ed anche
un’esposizione di oggettistica
riguardante la vita del soldato e
delle popolazioni profughe».
Insomma sono davvero tanti
i motivi per visitare il nuovo
Museo di Crocetta del Montello e
per farlo basta telefonare allo
0423 303117, per prenotare o
avere informazioni sulle modalità
di fruizione.
INGRID FELTRIN
TERRITORIO
NELL’ANNIVERSARIO PUCCINIANO
RICORDO DI
Toti Dal Monte
IL SOPRANO TREVIGIANO TRA I PIÙ GRANDI DI TUTTI I TEMPI
Ricorre quest’anno il centocinquantesimo anniversario
della nascita di Giacomo Puccini.
L’occasione ci è propizia per ricordare una grande artista lirica della nostra terra, che fu pure, tra
l’altro, interprete di alcune opere
del maestro toscano. Parliamo di
Toti Dal Monte, nome d’arte di
Antonietta Meneghel, soprano
leggero e attrice italiana nata a
Mogliano Veneto il 27 giugno
1893 e morta a Pieve di Soligo il
26 gennaio 1975. Allieva del
Conservatorio di Venezia, studiò
pianoforte e poi canto con la
Marchisio (allieva di Rossini).
Esordì al teatro della Scala di
Milano nel 1916 interpretando il
personaggio di Biancofiore nella
Francesca da Rimini di Zandonai.
Da principio incerta fra il ruolo di
soprano lirico e quella di soprano
leggero optò decisamente per il
secondo dopo il trionfale successo
del Rigoletto a Torino nel 1918.
Memorabile, quattro anni dopo, il
successo alla Scala di Milano con
la stessa opera a fianco di Galeffi
e Lauri-Volpi, sotto la direzione di
Arturo Toscanini che seguì nella
tournèe in Germania effettuata
nel 1919, riconfermata per dieci
stagioni consecutive al celebre
teatro milanese. Cantò contemporaneamente nei maggiori teatri
d’Europa e d’America, dal Colon
di Buenos Aires (1923) al Covent
Garden di Londra (1925) e
all’Opera di Berlino, dal Casinò di
Montecarlo all’Opera di Parigi e al
Metropolitan di New York.
TERRITORIO
20
INSIEME
CON FIDUCIA
VOCE SPLENDIDA
DI GRANDE ESTENSIONE
CON SOVRACUTI
LIMPIDI E SICURI
Eccelse nel Barbiere di Siviglia,
Lucia di Lammemoor, La figlia del
Reggimento, Linda di Chamounix, Don Pasquale, Mignon.
Negli ultimi anni della sua strepitosa carriera interpretò più volte
le opere Traviata e Madama Butterfly, riscuotendo sempre enorme successo.
Abbandonate le scene liriche si
diede alla prosa recitando nel
1948 nella compagnia di Cesco
Baseggio, riscuotendo ancora
tanti successi. Fu anche attrice di
cinema e consulente nel 1956
nel Conservatorio e teatri dell’Unione Sovietica. Nel 1928 aveva sposato a Melbourne il celebre
tenore Renzo De Muro Lomanto.
Ha lasciato una biografia «Una
voce nel mondo» pubblicata a
Milano nel 1962.
Toti Dal Monte fu un soprano
leggendario e amatissimo dalle
folle di tutti i teatri del mondo.
Era chiamato l’usignolo italiano
per la purezza della sua voce: timbro dolcissimo, cristallino, estrema
naturalezza nei passaggi acrobatici più insidiosi, dotata di una dizione perfetta.
Trentaquattro anni di travolgente
carriera artistica – dal 1916 al
1950 – poi l’apertura di una
scuola di canto nella sua villa di
Barbisanello. Un fenomeno irripetibile in quell’epoca, quando tutti
i cantanti facevano le gare per
arrivare primi. Anche oggi, ascoltando la sue registrazioni (storiche), si rimane sempre affascinati dal suo timbro dolcissimo,
verginale e cristallino. I punti di
forza della sua splendida voce
era no una grande estensione,
con sovracuti sempre limpidissimi
e sicuri, una straordinaria tecnica
vocale che le permetteva di eseguire i passaggi acrobatici più insidiosi (abbellimenti, fioriture, trilli, scale veloci semitonali, suoni
picchiettati e fiati…) con spensierata naturalezza, ma soprattutto ammaliava il suo timbro di una
freschezza, ingenuità e dolcezza
senza uguali. Le sue eroine, fanciulle limpide, fragili e indifese,
suscitavano palpiti d’emozione e,
se ferite dal «fato spietato» o da
qualche animo malvagio, commozione irrefrenabile. Questa è
stata la sua grandissima arte.
Curiosa osservazione del grandissimo maestro Arturo Toscanini, al
celebre soprano Toti Dal Monte
durante la prove del Rigoletto alla Scala di Milano: «Signorina, si
ricordi sempre che le arie bisogna
cantarle non darsele».
LUCIANO PIZZINATO
TERRITORIO
UN MONDO
LA TECNOLOGIA
DISTRUGGE OGNI GIORNO
STRUMENTI CHE IN PASSATO
ERANO RITENUTI
INDISPENSABILI
che scompare
Il giorno in cui fu spedita la prima
e-mail, nell’estate del 1971, qualcuno chiese al suo inventore,
l’americano Ray Tomlinson, a che
cosa servisse quella bizzarra iniziativa elettronica, dal momento che
la posta funzionava benissimo da
millenni anche prima dell’introduzione del francobollo. Sembra
che neppure Tomlinson – che
quel giorno era riuscito a spedire
la sola parola qwertyuiop, ossia le
lettere della prima riga della
tastiera del computer – sapesse
cosa farne della nuova invenzione
e si limitasse a dire che «in fondo
mi sembrava una buona idea».
In realtà era un’ottima idea e
come tutte le buone invenzioni
destinata a cambiare il mondo
della comunicazione, mettendo
lentamente in soffitta una serie di
strumenti e di mezzi da sempre
usati ma divenuti improvvisamente obsoleti se non addirittura inutili. È questo un fenomeno sociale
che sta ormai emergendo da anni, un fenomeno silenzioso e talvolta poco avvertito, che si manifesta con il veloce sviluppo delle
tecnologie; di fronte a una nuova
invenzione quasi sempre si verifica il declino di un’altra, magari
vecchia di secoli, che cede il proprio posto per entrare in un angolo della soffitta, o meglio in
quel mercato della nostalgia che
è il mondo della eBay.
Una delle prime vittime dell’email è stato il telegramma, già da
tempo passato in secondo ordine
a causa del telefono. Lo scorso
anno la più antica compagnia
telegrafica americana, la Western
Union – una società che aveva accompagnato la conquista del
West e il progresso americano –
annunziò la cessazione del servizio dopo oltre cento cinquant’anni di storica gestione; da allora si
è limitata ai trasferimenti di denaro. In Italia il servizio telegrafico
vive soprattutto in due speciali
occasioni: gli auguri agli sposi,
tradizione che ancora tarda a
spegnersi, e l’ufficialità, il testo
celebrativo così caro ai nostri
politici. Ma non mancherà la circostanza, dicono i fautori del progresso tecnologico, nella quale
dovremmo presto illustrare anche
ai nostri ragazzi di scuola non
tanto le ragioni dell’Obbedisco di
Garibaldi, quanto spiegare in cosa
consistesse il telegramma (e l’alfabeto Morse) con il quale l’Eroe
dei due mondi accettava l’armistizio dell’Austria.
Tuttavia, al telegramma sopravivrà
lo «stile telegrafico», comunicazioni ridotte al massimo, parole
brevi e convenzionali già oggi
usa te con i cellulari; insomma
vivrà lo spirito del telegramma,
che era fatto soprattutto di brevità e di celerità, due miti insosti-
TERRITORIO
tuibili della nostra civiltà moderna.
Una seconda vittima dell’e-mail è
la carta carbone, rimpiazzata dalla fotocopiatrice e prima ancora
dalle macchine da scrivere a testina ruotante e dalla carta chimica.
Nata duecento anni fa in Inghilterra, la carta carbone ha rappresentato il mezzo più economico
per moltiplicare un testo; è stata
senza dubbio il primo mass media
perché consentì lo sviluppo della
comunicazione, lavorando per la
guerra e la pace, per scopi nobili
e sordidi. Gli Italiani del «ventennio» la associarono alle verità ufficiali, in quanto moltiplicatrice
delle carte veline inviate dal regime ai giornali dell’epoca. Oggi
è addirittura difficile trovarla in
cartoleria: la commercializzazione
è ridotta a qualche paese europeo, ancora in ritardo rispetto
alle moderne tecnologie. Da noi
continua ad essere usata da sarti e
ricamatrici, e forse in questa nicchia la carta carbone potrà ritrovare una ragione per non sparire
del tutto.
Un’altra vittima dell’e-mail, ma
anche della tecnologia in generale, è la Polaroid, la macchina fotografica che scattava e sviluppava all’istante. Ideata nel 1948
dall’americano Edwin Land fu
adottata anche da grandi fotografi (da Andy Warhol a Hemut
Newton) che le diedero rispetta-
bilità artistica e professionale.
Entro il 2009 le scorte della Polaroid saranno esaurite e non è prevista altra produzione; anch’essa
ha dovuto cedere il passo alla fotografia digitale, senza pellicole,
«scatta e guarda».
Ma molte altre sono le vittime di
una tecnologia che si rinnova costantemente e brucia le proprie
innovazioni in maniera così veloce
che quasi non ce ne accorgiamo,
presi come siamo dalle novità e
dai comodi servizi che esse offrono. E forse neanche navigando
nel gran mare della eBay, tra le
vecchie cose di una volta, prendiamo coscienza del nostro tempo perduto.
SPORT: IL VOLLEY IN SERIE A
le pantere
DELLA SPES RUGGISCONO IN A1
22
INSIEME
CON FIDUCIA
La Zoppas Industries Conegliano,
la squadra di pallavolo femminile
della città del Cima, è riuscita a
coronare il suo sogno: approdare
in A1. Un risultato che le «pantere» si sono sudate lavorando
con grande determinazione.
«Il segreto del successo è aver
messo insieme un gruppo di atlete e uno staff tecnico che credessero in questo obiettivo, a cominciare dall’allenatore Mario Martinez» spiega il presidente della
società sportiva Giovanni Luc chetta.
Decisiva per l’aggiudicazione del
campionato e la promozione in
A1 è stata l’ultima partita della
stagione, quella che, il 13 aprile
scorso, ha visto le ragazze della
Spes Volley fronteggiare la marchigiana Castelfidardo e vincere
1-3. Segnando 69 punti in classifica, la squadra coneglianese si è
lasciata alle spalle Milano e Castellana Grotte, facendo l’agognato salto nella massima serie.
Una «missione possibile» che la
società perseguiva dal giorno
successivo alla promozione in A2,
avvenuta nel 2005.
Lucchetta elenca gli ingredienti di
questo sogno realizzato: «In questi anni abbiamo progressivamente ringiovanito la squadra,
lasciando andare via le atlete più
mature e puntando sulle giovani
con maggiori prospettive – afferma – Abbiamo avuto la fortuna
di chiudere l’accordo per due
brave atlete, la serba Jovana
Brakocevic e la brasiliana Luciana
Do Camo».
Ma le due campionesse straniere
non devono trarre in inganno. Le
«pantere» sono quasi tutte «nostrane». «A parte le due straniere, tutte le altre ragazze sono della zona, risiedono tutte nel raggio
di 40 chilometri – precisa il presidente della Spes – La capitana, ad
esempio, Valentina Serena, è di
Marcon. Appartenendo a questo
territorio sono motivate a impegnar si per fare bella figura di
fronte a genitori, parenti e amici.
E l’arma vincente di una squadra
è proprio la motivazione. Oltretutto, vincere un campionato con
atlete semi-sconosciute come le
nostre accresce la soddisfazione».
«Altra componente del successo
– aggiunge Lucchetta – è stato il
nostro pubblico. Sembrava di essere ‘in casa‘ anche quando giocavamo fuori. Il tifo era molto
organizzato, corretto e leale ma
rumoroso. A seguire la squadra
nelle trasferte erano sempre almeno 150-200 persone».
Il campionato riprenderà ad ottobre, e le «pantere» di Conegliano
dovranno affrontare le 14 squadre più brave d’Italia. Lucchetta,
da buon manager, guarda già al
futuro. «L’obiettivo minimo è la
salvezza – dice – quello massimo
è arrivare tra le prime otto squadre, cosa che ci consentirebbe di
entrare nei play off. Il campionato 2008-2009 sarà un anno di
consolidamento che ci consentirà
di progettare la futura crescita».
Un passo dopo l’altro, misurando
le forze, per arrivare alla vetta.
A far grande una squadra sono
anche gli sponsor che la sosten-
gono. E le ragazze della Spes possono contare su tanti sostenitori
generosi e appassionati. Oltre al
gruppo Zoppas, gli sponsor di
maglia sono Qui C’è, Set-In, Canevel Spumanti, Antiga, Centro
Compur e una galassia di 157
spon sor più piccoli del Team
Nordest. «Siamo soddisfatti della
risposta dell’imprenditoria locale –
conclude il presidente – Chi investe su di noi, del resto, ha molta
visibilità. Il prossimo anno molte
partite saranno trasmesse in televisione».
FRANCESCA NICASTRO
anziani
I NOSTRI
R A C C O N T A N O
del bere
IL VIZIO
Ben si sa che, da che mondo è mondo, è forte e diffusa
la tentazione di affogare i pensieri ed i dispiaceri nel
vino e chi non ha pensieri, a volte, se li inventa pur di
bere. È un vizio antico che proprio non ha intenzione
di morire a breve.
Un tempo si beveva in osteria e nelle frasche, i punti
privilegiati per fare il pieno, ma andavano
splendidamente bene anche le cantine, le fresche e
umide caneve private, purchè fossero quelle degli altri.
Allora non erano più taccagni o spilorci d’oggi, anzi,
portafoglio permettendo, la generosità era un valore
diffuso e vissuto da quasi tutti. Il problema era un
altro: il vino, un’irrefrenabile golosità per tutti, donne
comprese, in casa era sempre poco, misurato per
quanto bene fosse andata la stagione agricola.
La vendemmia era cronicamente scarsa, tanto che
il prodotto di un’annata non riusciva mai a toccare
quello dell’annata successiva.
Le motivazioni di questa perenne carenza erano le più
diversificate. Le grandinate estive erano assai frequenti
24
INSIEME
CON FIDUCIA
nonostante le preghiere, i pellegrinaggi e le rogazioni.
Le malattie della vite erano difficili da combattere,
imperava il negròn, la pronòspera, il ragno rosso, ed
altre. La scarsa igiene dei recipienti usati per vinificare,
delle botti in particolare, faceva andar a male il vino al
primo temporale primaverile, al vin al féa la olta o
‘l ‘ndéa in aséo. Non mancavano poi le bevute fuori
programma e fraudolente, per di più in compagnia
d’altri forèsti.
Si sopperiva con l’acqua, e per imbrogliare un poco
la sete, in particolare d’estate nei campi si beveva il vin
pithol. Si aggiungeva cioè un goccio d’aceto per dare
un senso d’asprignolo e rendere meno ripugnante la
fresca acqua del pozzo.
Ad agosto c’era la prima vendemmia, quella forse più
attesa e desiderata anche se sempre di modesta
quantità. Era quella del bacò, un’uva bonorìva che
dava un vinello rosato, senza profumi, acidulo, con una
gradazione alcoolica modestissima. Un vino povero per
conto suo che peggiorava ulteriormente perché, pur di
averne una buona quantità, al mosto aggiungevano
tutta l’acqua che serviva per risciacquare le inpréste:
brenta, ormèla, sécio, lora, torcio e così via.
L’abbondante acqua aggiunta e l’assenza d’alcool
facevano sì che, durante l’inverno, questo vino, detto
vin da paletò, contenuto in piccole botti tenute sotto
le tettoie, in parte gelasse. Per poter riempire il boccale
l’incaricato, spesso, doveva aprire il foro dello spinello,
bloccato dal ghiaccio, con un ferro da calze.
È evidente che a questa prolungata, involontaria
astinenza trovava seguito un recupero a ritmi forzati
non appena, dopo la vendemmia, cessava la carestia.
Aveva il suo buon da fare il paron de casa a tener
chiusa a chiave la cantina per evitare abusi o inviti fuori
luogo.
Alla sera, in famiglia, più d’uno era alticcio o
addirittura ubriaco, a volte anche qualche donna, e
il capo famiglia non capiva dove fossero andati a bere
o come avessero fatto ad aprire il portone della cantina
per poi saziarsi così a volontà.
Si sa però che il bisogno aguzza l’ingegno, era quindi
una sfida per gli adulti trovare il modo per entrare in
cantina di frodo e mettere le mani sullo spinello.
Due erano le mosse più frequenti adottate dagli
assetati. Se la cantina era sotto il fienile, mentre gli
altri facevano la pennicchella, schiodavano una tavola
del solaio e si calavano giù con una scala o una corda,
senza badare alle difficoltà successive per risalire. Se,
invece, venivano casualmente in possesso della chiave,
provvedevano a farne furtivamente un calco su una
fetta di polenta e con questo chiedere all’amico fabbro
di riprodurre un duplicato.
È evidente che l’eccesso, ieri come oggi, creava
problemi alla salute (oggi ne crea anche altri e gravi,
ad esempio per chi guida) e così, anche gli ubriaconi,
ricorrevano alle cure mediche, andavano dal dotor de
condota che li conosceva tutti, uno per uno.
Su questo tema sono stati raccontati episodi davvero
allegri che confermano il fatto che i nostri vecchi,
nonostante qualcuno avesse il cervello annebbiato
dall’alcool, possedevano una dose di arguzia, oggi
impensabile.
Tra i tanti aneddoti tramandati, merita di essere
ricordato il dialogo che ebbe col suo medico un tal
Giovanni, Nani per gli amici, un bevitore davvero
incallito, scapolo, ormai settantenne, uno che spesso
la sera andava, per così dire, a spinarole nei fossi dopo
aver misurato più volte la strada da destra a sinistra e
viceversa, ritornando a casa dall’osteria, incapace a
reggersi per la bala.
Giovanni va dal medico perché non si sente bene, parte
di buon mattino programmando anche le varie tappe
nelle diverse osterie lungo la strada.
Il medico, che ben lo conosce, lo fa spogliare, lo fa
distendere sul lettino bianco e lo visita per bene e
capisce subito che non servono medicine ma una cura
davvero drastica. Non si preoccupa di toccare
la suscettibilità del vecchio Nani, che ha già l’alito
puzzolente da vino, e avvia, serio, il suo tentativo di
terapia.
– Giovanni, beve?
– Sì, dotor, sì, qualcosa sì, ma proprio il minimo
necesario.
– Quante volte al dì beve, Giovanni?
– Beh, dotor! …Do volte al dì: durante i past e fora dei
past.
– Giovanni, mi tocca darle una bruta novità: lei ha
il fegato molto ingrossato. Mi dispiace ma mi tocca
torghe ’l vino!
– Beh… dotor, no…no ’l se disturbe, schèrselo!…Ma se
proprio l’à da ciòrmelo… al me lo cioe bon!
– No, no Giovanni, non mi ha capito! Non deve vederlo
il vino se vuole star meglio!
– E va ben dotor, sararò i oci co cioarò su ’l quarto!
MARIO MENEGHETTI
INSIEME
CON FIDUCIA
25
STORIA E ARTE
IL GIOVANILE DEBUTTO
TEATRALE DI VERA VERGANI
E PIER PAOLO PASOLINI
ALLO ZANCANARO DI SACILE
Il teatro
di gioventù
26
INSIEME
CON FIDUCIA
Forse è proprio vero che nel
profondo di ogni luogo teatrale si
nasconde un fantasma, un
fantasma che emerge dal buio del
passato per assumere di volta in
volta gli aspetti di una realtà
troppo presto dimenticata.
I ricordi di un teatro sono, in
effetti, come il «suo doppio»,
realtà e finzione, presente e
passato che si sovrappongono
ogni volta che il piccone
demolitore va a sbattere sugli
antichi tavolati sprigionando, con
le polveri e le sensazioni, mille
svolazzanti frammenti di vita
passata.
A questo impietoso rituale non si
è sottratto il novecentesco
Politeama Zancanaro, teatro di
Sacile: la rimessa a nuovo di
questa struttura è stata
l’occasione che ha portato alla
riscoperta di alcune vicende
consumatesi sul suo palcoscenico,
brevi momenti di vita che hanno
attraversato una comunità di
provincia dove quasi sempre
la piccola storia locale subisce
i contraccolpi di quella nazionale.
A scandire il tempo della memoria
non sono state però le grandi
compagnie del teatro nazionale e
veneto (Duse, Salvini, Benvenuti,
Zago, Benini, Baseggio, Giachetti
e altri) quanto piuttosto due
apparentemente insignificanti
circostanze: il debutto di Vera
Vergani e di Pier Paolo Pasolini,
eventi destinate ad assumere, nel
tempo, i valori della grande
testimonianza.
Il teatro era appena costruito da
un anno che qui vi debuttava
(1912) la fiorente diciassettenne
bellezza di Vera Vergani, destinata
a diventare una grande star del
teatro e del cinema italiano.
L’attrice era giunta a Sacile
il pomeriggio dell’8 ottobre al
seguito della notissima «Comica
Compagnia Veneta di Ferruccio
Benini», per interpretare una
parte nella commedia del Gallina
Zente refada. Vera debuttava con
il più noto cognome della madre,
Podrecca, sorella dei famosi
Vittorio (marionettista) e Guido
(deputato e giornalista), figure
assai note a Sacile e in tutta Italia.
La sua interpretazione, legata a
un ruolo ancora comprimario
(quello di Emma, moglie di Gigi),
«lascia negli appassionati una
graditissima impressione», scrive
il cronista locale. Naturalmente
le simpatie del pubblico sono
tutte per i più famosi coniugi
Benini e per l’ottimo Mazzetti
nella parte di Gigi, «obbligato ad
assistere alla nuova condizione dei
suoi suoceri vivendo fra le
Vera Vergani.
strettoie di un limitato stipendio».
Vera, a quanto pare, si meritò
la menzione d’obbligo del
cronista e il caloroso applauso del
pubblico più per la sua avvenenza
che per la sua bravura; ma quello
che lo stesso cronista non poteva
sapere è che tra gli spettatori
c’erano la madre e i parenti
di Vera, pronti a dare il via agli
applausi all’entrata in scena
dell’attrice e alle sue poche
battute d’effetto.
Vent’anni più tardi (1932) proprio
sullo stesso palcoscenico fece
il suo debutto teatrale un
giovanissimo Pier Paolo Pasolini.
La circostanza non poteva essere
per lui più significativa e pregna di
auspici, dal momento che, prima
di diventare regista, Pasolini si
troverà, dopo il suo trasferimento
a Roma, a dover fare l’attore e lo
sceneggiatore cinematografico.
Qui a Sacile la ribalta teatrale
lo vide nella insolita veste di
attore-cantante in una operetta
messa in scena dagli alunni delle
Scuole elementari. Come è noto,
la famiglia Pasolini, per ragioni
legate alla carriera militare del
padre, fu costretta a non poche
peregrinazioni da una città
all’altra: agli inizi degli anni trenta
si era stabilita a Sacile dove
il piccolo Pier Paolo frequentò
la terza e la quinta elementare,
partecipando anche a quelle
attività del doposcuola che oggi
chiamiamo integrative.
Una di queste consisteva nella
rappresentazione di un’operetta
che richiedeva mesi di lavoro
preparatorio, con l’apporto di
elementi della banda cittadina e
della locale scuola di musica.
Nella serata di sabato 16 aprile
1932 (con la replica del sabato
successivo) ecco il debutto di
Pasolini con Puccettino e l’Orco,
operetta in tre atti di Verbana e
Corona, nella quale il futuro
scrittore ebbe una delle parti di
rilievo, quella recitata e cantata
del ciambellano.
Uno stesso palcoscenico, dunque,
seppure con un intervallo di
vent’anni, per due personaggi che
lasceranno un segno nella storia
della cultura e del costume
italiano. Cosa è rimasto in loro di
quella esperienza giovanile?
Di entrambi – in proposito –
sappiamo poco: Vera Vergani,
due anni dopo il suo debutto
sacilese, si guadagnerà i ruoli di
prima attrice presentandosi
definitivamente al pubblico con il
suo vero nome; diverrà una diva
del cinema muto e una grande
interprete del teatro pirandelliano
(Sei personaggi in cerca d’autore)
e dannunziano (La figlia di Iorio),
prima di abbandonare
felicemente le scene, appena
trentacinquenne, per dedicarsi
alla vita familiare. Su Pasolini, che
pure ha lasciato molti scritti sulla
sua infanzia, in particolare quella
sacilese, non abbiamo trovato
riscontri riferibili a quella lontana
recita sacilese. A detta dei
compagni di scuola, i suoi
interessi allora erano tutti per
l’avventuroso mondo dei
personaggi di Emilio Salgàri, un
mondo nel quale si rifletteva
la figura rassicurante e protettiva
del padre militare. I ricordi più cari
del Pasolini adulto e scrittore
risulteranno essere altri, e la recita
teatrale non rientrerà tra quelli
Pier Paolo Pasolini.
che avranno un seguito nelle sue
pagine biografiche.
Un vero peccato, perché
sicuramente lo scrittore non
avrebbe mancato di fare un
parallelo, seppure semplice, tra
quella uscita teatrale e il suo
lavoro di regista.
Forse anche per questo esistono
i fantasmi del teatro: risvegliati dal
sonno nel loro cantuccio tra
le quinte, riescono a far rivivere
storie che neppure la memoria
più viva era riuscita a fermare.
(N.R.)
INSIEME
CON FIDUCIA
27
STORIA E ARTE
28
INSIEME
CON FIDUCIA
L’ARTISTA
UN SOGGIORNO
DEL PITTORE VENETO
A BRUGNERA
NEL CINQUECENTO
Marcello
Fogolino
La ragguardevole tela raffigurante la Madonna in
trono col Bambino e i santi Giacomo e Cristoforo,
ora addossata alla parete destra della parrocchiale di
Brugnera, in origine costituiva la pala dell’altar maggiore della vecchia chiesa di San Giacomo, oggi al
cimitero, che è stata la prima parrocchiale fino al
1840 quando venne trasferita nella più centrale
chiesa di San Nicolò.
L’opera è stata dipinta da Marcello Fogolino
(1483/88-1558?) tra il 1521 e il 1525, un quinquennio in cui il pittore – nato probabilmente a Vicenza
da una famiglia di origine friulana – era particolarmente attivo nel Pordenonese dove portò a termine
la decorazione del vecchio coro della parrocchiale di
Rorai Grande, ora cappella laterale, iniziata dal
Pordenone fin dal 1516, e dipinse una grande ancona per il duomo di Pordenone.
Commissionata con tutta probabilità dall’influente
famiglia dei conti di Porcia e Brugnera che aveva
espresso vari sacerdoti rettori nella prima metà del
Cinquecento (tra tutti basti ricordare il protonotario
apostolico, nonché commendatario di San Leonardo
di Padova, il conte Ludovico), la tela è interessante
perché consente di fare nuova luce sull’attività giovanile del grande pittore, noto soprattutto per la
decorazione del Castello del Buonconsiglio a Trento
in collaborazione con i ferraresi Dossi e Gerolamo
Romanino.
Il soggiorno a Trento era dovuto a una vera e propria
fuga dal Friuli in seguito a un atto violento commesso con il fratello Matteo, pure lui pittore, e che era
costato la vita ad un barbiere friulano; per non cadere nelle mani della giustizia della Repubblica di
Venezia, Marcello con il fratello dovette rifugiarsi nel
principato trentino dove, dopo un iniziale periodo di
difficoltà per mancanza di lavoro, riuscì a entrare
nelle grazie del principe vescovo cardinale Bernardo
Cles. Questi, a partire dal 1531, gli affidò l’incarico di
decorare ad affresco alcune stanze del «magno
palazzo» del castello stesso, con episodi di vita di
Giulio Cesare, oltre ad altre dimore vescovili situate
nei dintorni di Trento, come castel Selva presso
Levico, il palazzo di Cavalese, Castel Cles e Castel
Toblino.
La frenetica attività di pittore, continuata sotto il
nuovo vescovo Cristoforo Madruzzo, non impedì al
Fogolino di fare alcune trasferte nelle terre friulane
anche grazie a una serie di «salvacondotti» concessigli dalla Serenissima in cambio di attività spionistica
concernente, ad esempio, l’invio alla magistratura
veneziana del Consiglio dei Dieci di disegni relativi a
fortificazioni che si sarebbero dovuto costruire ai
confini con il patriarcato d’Aquileia. In occasione di
STORIA E ARTE
queste incursioni, la critica recente ritiene di dovergli
assegnare anche la raffigurazione di alcune scene del
Vecchio e Nuovo Testamento, dipinte su quattro tavole attualmente custodite nel palazzo Lantieri di
Gorizia, lavori che chi scrive ha da tempo identificato
come quelle che in origine costituivano il pergolo
dell’organo del duomo di Serravalle dipinte da
Francesco da Milano nel 1528 e andate disperse alla
fine dell’Ottocento.
Le affinità riscontrabili nelle opere di questi maestri
sono giustificate dal contatto reciproco avuto nei primi anni Venti del Cinquecento, dal momento che il
da Milano, proprio in quegli anni, era impegnato a
lavorare per gli stessi conti di Porcia nel Friuli occidentale; in particolare nella chiesa di San Nicolò aveva eseguito quel singolare affresco, tuttora conservato nell’ultima cappella di sinistra, intitolato Ognissanti, che nei volti delle decine di santi raffigurati ci
presenta il consueto campionario di fisionomie
riscontrabili ad esmpio negli affreschi della sala della
Scuola dei battuti a Conegliano, ma soprattutto nella
pala di San Silvestro a Costa di Vittorio Veneto, ora
custodita nel museo diocesano.
GIORGIO MIES
Daniele
Francesconi
RIPROPOSTE LA VITA
E LE OPERE
DI QUESTO ERUDITO
NATIVO DI CORDIGNANO
AUTORE DEL SETTECENTO VENETO
Singolare figura di erudito,
dottore in legge e sacerdote,
Daniele Francesconi era nato nel
1761 a Villa Belvedere, frazione
di Cordignano. La sua famiglia
amministrava a Cordignano le
proprietà dei Mocenigo di San
Stae, nobili veneziani che, con
Alvise IV, diedero in quel tempo
alla Serenissima il suo terzultimo
Doge. Era lo zio dei più noti
Ermenegildo (1795-1862),
importante ingegnere al servizio
dell’Impero asburgico e
progettista di grandi opere viarie
e idrauliche, e Daniele (18101875), pure ingegnere e patriota
al tempo dei moti del 1848.
A Ermenegildo – lo ricordiamo
per inciso – sono oggi intitolati
il teatro e la biblioteca civica
cordignanesi.
Il Francesconi fu uomo dalla
formidabile erudizione, autore di
opere di vario genere, che
andavano dal poemetto in
ottave, alle rime d’occasione,
al saggio di antiquaria, alla
relazione scientifica. La sua
carriera di studioso fu di tutto
rispetto: docente universitario
di diritto comparato, tra il 1805 e
il 1835, con qualche interruzione
dovuta alle tormentate vicende
storiche di quegli anni, fu
bibliotecario alla Biblioteca
universitaria di Padova e di
quell’ateneo fu anche per
STORIA E ARTE
30
INSIEME
CON FIDUCIA
«
DIFESE LO STATUS
SOCIO-CULTURALE
COMPROMESSO
DAGLI EVENTI
RIVOLUZIONARI
»
un breve periodo magnifico
Rettore.
Su di lui, sui suoi meriti culturali
e sulla totalità dei suoi scritti,
dopo la sua morte, avvenuta nel
1835, calò ben presto la notte
dell’oblio e oggi non ne
sapremmo nulla se il lavoro di
ricerca di Giampaolo Zagonel,
non nuovo a operazioni culturali
di questo tipo, non ce ne avesse
restituito tutta intera la figura
(Daniele Francesconi, Vita, opere
scelte, epistolario, Vittorio
Veneto, Dario De Bastiani
editore, 2008). Un contributo,
il suo, che viene a riparare un
torto, fatto di silenzio, che
purtroppo accomuna
Francesconi a tanti altri dotti
velocemente dimenticati. Eppure
le ragioni per ricordarlo ci sono.
Colpiscono di lui alcuni tratti
distintivi: in primo luogo
la vastità degli interessi culturali,
che spaziano con eguale
familiarità dalle Lettere alle
Scienze, come era consuetudine
in tanti uomini dotti del XVIII
secolo; secondariamente il
carattere molto dispersivo del
suo lavoro di intellettuale, pronto
a rispondere con le sue opere a
sollecitazioni occasionali, ma
incapace di dare ordine agli
interventi, di predisporli secondo
un progetto culturale preciso; in
terzo luogo, ed è il dato più
significativo, documentato dalle
65 lettere scelte dall’epistolario,
la viva presenza del Nostro nel
panorama culturale italiano,
veneto-lombardo in particolare.
Una presenza non decisiva, sia
chiaro, ma nemmeno marginale,
se è vero che la relazione
epistolare con Canova, ad
esempio, evidenzia un rapporto
confidenziale, «alla pari», ed
offre di riflesso elementi utili alla
conoscenza del grande artista.
Ma al di là degli effettivi meriti
culturali di Francesconi, forse
modesti, vale la pena
sottolineare l’esemplarità della
sua esperienza di vita, che
testimonia efficacemente
la condizione degli uomini di
cultura del suo tempo, impegnati
a difendere uno status socioculturale compromesso dagli
eventi, in primis dalla Rivoluzione
francese e dalle sue ricadute
europee, che trasformarono
radicalmentre e irreversibilmente
la società. Va detto, a onor del
vero, che, al pari di quasi tutti gli
uomini della sua generazione,
Francesconi non fu in grado di
percepire il senso di quelle
trasformazioni e si dimostrò
sostanzialmente sordo alle nuove
idee (nazione, libertà,
uguaglianza,…).
Ad evitare possibili
sopravvalutazioni possono
bastare alcune sue opere
poetiche, generosamente
recuperate: quegli scritti,
destinati alla ristretta cerchia dei
lettori eruditi, riescono oggi
obiettivamente indigesti e forse
lo erano anche allora. Il punto è
che quella erudizione, fatta di
infiniti richiami agli scrittori
antichi, con i quali aveva
massima confidenza, era
l’alimento principe di
Francesconi, uomo buono e
amante della buona compagnia,
ed era al tempo stesso il suo
limite.
Resta un merito di Giampaolo
Zagonel averci fatto conoscere
questo nostro antenato, che
testimoniò a modo suo l’amore
per il sapere, sufficiente di per sé
a dare spessore e significato a
una vita.
SILVANO PICCOLI
ITALIANA (1948) E ROMANA (1849)
Se da tutti è riconosciuto che la
Repubblica Italiana è figlia della
Resistenza, in cui si sono fuse e
cementate le diverse culture e
opinioni politiche (cattolica, laicoliberal-repubblicana e socialista)
nell’intento di sconfiggere la
tirannia nazi-fascista, è altrettanto evidente che tale evento storico si lega alla storia del Risorgimento e agli ideali di Mazzini e
Garibaldi, recepiti e portati avanti
nella lotta di Liberazione dalle
brigate partigiane di Giustizia e
Libertà e dal Partito d’Azione; i
quali contribuirono poi, insieme
agli altri rappresentanti eletti dal
popolo, a definire e redigere i vari
articoli della Costituzione del
1948, ispirandosi in parte alla efficace ed avanzata Costituzione
della Repubblica Romana di Mazzini, Saffi e Armellini, del luglio
1849.
Festeggiando i sessant’anni della
nostra Costituzione, siamo coscienti dunque che questo anniversario non è di poco conto, in
quanto richiama alla memoria il
lungo e tormentato secolo di
aspirazioni, di fatiche e di lotte,
per arrivare a portare davanti ai
padri costituenti un impegno indifferibile che lo stato aveva l’obbligo di prendere con i suoi cittadini, per garantirli nella loro quotidiana impresa con una serie di
leggi sicure, condivise e democratiche. Il che è avvenuto, appunto,
con la firma del documento in
questione, da parte del presidente dell’Assemblea Costi tuente, Umberto Terracini e del
capo dello stato, Enrico De Nicola, il 1° gennaio 1948.
È meno risaputo che il regime fascista non aveva soppresso lo
Statuto albertino, pur avendolo
svuotato delle pur deboli guarentigie e concessioni democratiche
che conteneva. Così, dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio
1943, seguita dalla sconfitta definitiva dell’esercito germanico
(aprile-maggio 1945) ed il Referendum a suffragio universale
(con l’inclusione del voto alle
don ne) e la successiva proclamazione della Repubblica Ita liana, il 2 giugno 1946, si imponeva la redazione di una carta
costituzionale.
Essa doveva garantire le libertà
comunali e statali e permettere
un percorso legislativo in grado
di regolare i rapporti politico-sociali, fra lo stato ed i cittadini, prima che si insediasse il nuovo
Parlamento. Eletti i padri costituen ti, con un voto popolare
sempre nel ’46, essi si misero al
lavoro e la Costituzione fu licen-
Barricate romane durante in 1849.
Le costituzioni
STORIA E ARTE
UN PARALLELISMO TRA LE DUE CARTE COSTITUZIONALI
STORIA E ARTE
ECHI E RIMANDI
A UN SECOLO DI DISTANZA
NELLA RICORRENZA
DEI SESSANT’ANNI DELLA
NOSTRA COSTITUZIONE
La difesa di Roma (1849).
32
INSIEME
CON FIDUCIA
ziata, con voto unanime, il 22
dicembre 1947.
Questo è il percorso storicopolitico della nostra Magna Charta; ma nel contempo ci sorge
un’esigenza più articolata: quella
di fissare gli antecedenti storici di
tale atto fondamentale e necessario. Come già accennato le radici vanno ricercate lontano nel
tem po, appunto nell’epopea
mazziniano-garibaldina della Repubblica Romana, dal dicembre
1848 al luglio 1849. Sette mesi,
una manciata di giorni, in grado
peraltro di esprimere una potente
idealità, bagnata dal sangue di
tanti giovani, ma che ci lascia
l’eredità di un’opera impareggiabile di moderna democrazia. A
confronto, nessuna delle costi-
tuzioni europee più avanzate, anche posteriori, riesce ad eguagliare la novità di tale documento.
È noto che la Repubblica Romana
(la cui vita effimera è di circa
duecento giorni), schiacciata da
forze soverchianti: borbonico-papaline (al sud), austriache (al
nord); ma soprattutto dal corpo
di spedizione francese (sbarcato a
Civitavecchia nell’aprile del ’49),
perde palmo a palmo i territori
dello Stato Pontificio. La sua difesa è legata alle determinazione e
genialità di Garibaldi, all’eroismo
di Mameli che contrastano contingenti addestrati e bene armati,
fin sul Gianicolo; soprattutto alla
strenua difesa del territorio da
parte dei volontari garibaldini:
uomini liberi sostenuti da quegli
ideali di giustizia e libertà che
nell’Ottocento travalicano spesso
i limiti del territorio nazionale,
per cui troviamo, appunto fra i
garibaldini, non solo uomini di
tutti i ceti, anche di diverse nazionalità.
Ma, accanto alla difesa disperata,
si staglia la serenità dell’As semblea Costituente, eletta dal
popolo, che lavora alla redazione
della Carta Costituzionale. Essa
non si scioglierà nemmeno con
l’entrata in Roma delle prime
pattuglie francesi. Anzi il «Monitore Romano» diretto da Francesco Dall’Ongaro: professore e
letterato dell’università di Napoli,
di origini trevigiane (era nato a
Mansuè), pubblicherà il testo integrale, il 3 luglio 1849, mentre,
in seduta straordinaria, si dichiarava:«La Repubblica Romana cessa una difesa divenuta impossibile, ma resta al suo posto». Di
questa epopea garibaldina ci resta, dunque, il prezioso testo della
Costituzione Romana che ora
possiamo confrontare con quello
della Costituzione Italiana.
Se noi concediamo un momento
STORIA E ARTE
miglioramento delle condizioni
morali e materiali dei cittadini e
infine che tutti i popoli sono fratelli.
Gli stessi concetti sono espressi
dagli articoli 1, 2, 3, 11 della
Costituzione Italiana, se pure in
termini più dilatati. Si comincia
con: «L’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione». Il
se condo articolo dichiara: «La
Repubblica riconosce e garantisce
i diritti inviolabili dell’uomo, sia
come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei valori inderogabili di soliPatrioti romani nel 1849.
di attenzione ai «Principi fondamentali» delle due redazioni, ci
accorgiamo subito che la telegraficità del primo esprime
certezza di pensiero e forza di
volontà; soprattutto che la concisione della lectio romana non va
mai a detrimento della comprensione. Il primo articolo recita così:
«La sovranità è per diritto eterno
nel popolo. Il popolo dello stato
romano è costituito in Repubblica democratica». Segue il secondo: «Il regime democratico
ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce
titoli di nobiltà, né privilegi di
nascita o casta». Il terzo esprime
ancora un principio elementare di
convivenza: «La Repubblica, colle
leggi e istituzioni promuove il
miglioramento delle condizioni
morali e materiali di tutti i cittadini». Infine il quarto articolo contiene una verità umana che ci è
stata lasciata in eredità dalla vita
e dalla predicazione di Cristo, anche se tuttora la realtà è calpestata in varie parti del mondo: «La
Repubblica riguarda tutti i popoli
come fratelli, rispetta ogni
Il presidente Enrico De Nicola firma la Costituzione Italiana.
nazionalità, propugna l’italiana».
Puntando il nostro obiettivo anche soltanto su questi inizi ci confermiamo sul fatto che le due
versioni risentono di una vicinanza ideale che non è soltanto storica, ma pure umana e politica. In
poche parole nel testo romano
viene detto che la sovranità spetta al popolo, il quale deve agire
in libertà rispettando le regole
della fraternità e dell’eguaglianza; che lo stato deve pensare al
darietà politica, economica e sociale». Il terzo è assai lungo ma
in sintesi esprime la necessità di
migliorare le condizioni morali,
sociali, economiche e materiali
dei soggetti. Infine il quarto articolo della Costituzione Romana è
ripreso dall’11° di quella Italiana,
il quale ribadisce la necessità della fratellanza universale, con il
netto rifiuto della guerra: «L’Italia
ripudia la guerra come strumento
di offesa alle libertà degli altri
INSIEME
CON FIDUCIA
33
MUTUALITÀ
popoli e come mezzo di ri so luzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni
di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie
ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte
a tale scopo».
Su tali direttive congiunte, se pure a volte soltanto spostate dallo
svolgimento del discorso legislativo, mai però in contrasto fra loro,
si dipanano gli articoli dei Titoli
che riguardano: i Diritti ed i
Doveri dei cittadini, le Funzioni
dell’Assemblea e infine la parte
34
INSIEME
CON FIDUCIA
che regola i Rapporti Politici. In
tutto, si tratta di cinquantaquattro articoli per la Costituzione
della Repubblica Italiana e di sessantanove per la Co sti tuzione
Romana. Il fatto che siamo tornati su questo discorso a sessant’anni dalla rinascita dell’Italia,
non può farci dimenticare i momenti cruciali della sua nascita
come Popolo e come Nazione in
uno Stato rinnovato negli ideali e
nella realtà della vita, nei momenti indimenticabili della gloriosa Repubblica Maz zinianoGaribaldina.
In chiusura di questo pur incompleto ed inglorioso intervento,
voglio ricordare il prof. Teodolfo
Tessari che, dal 1945 al ’48 e anni seguenti, è stato per noi giovani, appena usciti da un conflitto micidiale e dai miasmi di
un’educazione falsata, un maestro di democrazia, d’umanità e
vita, al liceo «Leonardo da Vinci»
di Treviso. Il suo alto profilo di
maestro, la sua altrettanto generosa presenza umana e politica,
hanno lasciato una traccia incisiva nei nostri cuori. Alla Sua alta
Memoria voglio dedicare questo
breve escursus storico, che mi auguro la Redazione conservi.
LUIGI PIANCA
A PIEVE DI SOLIGO ACCORDO CON
La Nostra
Famiglia
È stato siglato recentemente un
accordo programmatico tra
la Banca della Marca e «La Nostra
Famiglia» di Pieve di Soligo.
L’iniziativa nasce nell’ambito della
struttura denominata Progetto
Famiglia, tramite la quale
la nostra banca propone da anni
un quadro organico di interventi
per quei progetti che riguardano
il territorio e i bisogni delle
persone, in particolare della
famiglia.
Come è noto l’Associazione di
Pieve di Soligo comprende nel
suo interno una sezione di ricerca
di alto livello: si tratta dell’Istituto
di ricovero e cura a carattere
scientifico (I.R.C.C.S.) «Eugenio
Medea», presente in molte
regioni italiane, istituto che si
occupa della ricerca e
riabilitazione dell’età evolutiva e
che viene considerato come un
vero e proprio «osservatorio
nazionale» nel campo delle
disabilità infantili. All’attività della
vasca terapeutica per i pazienti
del Presidio di riabilitazione
e dell’I.R.C.C.S. si sono unite di
recente alcune attività di
carattere ludico-sportivo-
riabilitativo svoltesi nella annessa
piscina e realizzate in
collaborazione con l’Associazione
sportiva dilettantistica
«Viribus Unitis» con la quale
l’Associazione «La Nostra
Famiglia» ha stipulato un
accordo convenzionale. In questo
modo l’Associazione finalizza
il suo impegno all’educazione
sanitaria promuovendo corsi di
nuoto sia alle puerpere che agli
alunni della scuole, mentre
la «Viribus Unitis» cura
principalmente gli aspetti inerenti
la promozione didattica del
DONATI DUE POSTAZIONI
CON PERSONAL COMPUTER
E SCHERMO TOUCHSCREEN
nuoto ivi compresa
la preparazione degli istruttori.
L’accordo sottoscritto dalla nostra
banca riguarda appunto questo
particolare settore con
il posizionamento nell’atrio della
piscina e nell’area di pertinenza
del Presidio di riabilitazione di
due postazioni informative
dotate di personal computer e di
uno schermo touchscreen –
forniti della nostra Banca –
contenenti informazioni
riguardati le attività istituzionali e
non, nuovi progetti e proposte
dei due enti firmatari, link utili a
«La Nostra Famiglia» e alla
«Viribus Unitis».
La postazione, dotata di
collegamenti internet, permetterà
di visitare i siti degli enti firmatari
e conterrà tutto il materiale che
tali enti riterranno opportuno
inserire. Dal canto suo «La Nostra
Famiglia» si preoccuperà del
collegamento alla rete Adsl, della
programmazione della videata
iniziale, dei filtri necessari e limiti
di accesso alla rete internet e,
infine, degli automatismi
necessari per avviare e spegnere i
computer a orari prestabiliti.
Inoltre, in virtù di una serie di
sponsorizzazioni, la Banca potrà
inserire il proprio logo nelle
tessere badge che verranno
consegnate all’utenza, e che
la stessa Banca fornirà
all’Associazione in formato
elettronico ad alta definizione.
L’accordo, giusto connubio tra
economia e sociale, ha destato
vivo interesse tra la popolazione e
grande soddisfazione tra gli enti
firmatari. Due grandi realtà
territoriali hanno così deciso
di incrociare le loro strade per
perseguire un obiettivo comune:
tutelare la dignità e migliorare
la qualità della vita delle persone
con disabilità, e delle loro
famiglie.
(M.C.)
PESCA LA CARTA
Per ogni chiarimento
chiedi nelle filiali,
troverai il personale
a disposizione.
A
VIS
Una nuova
opportunità
‘emerge’
per i clienti
di Banca della Marca.
Utilizza
la «Carta BCC»
o richiedine una
tra le nuove carte
del Credito Cooperativo
studiate e calibrate
sulle tue esigenze
e scoprirai così
l’esclusività
dei suoi vantaggi.
Fino al 31 agosto 2008,
utilizzando la carta per almeno
tre pagamenti, potrai partecipare
al concorso «Pesca la carta»
con l’estrazione di prestigiosi premi
per te, per la tua casa
e per il tuo tempo libero.
… e se sei Socio della Banca
e titolare di una «Carta BCC Socio»
ti sarà riservata un’ulteriore
estrazione con in palio tre favolosi
« superpremi».
www.bancadellamarca.it
www.bancadellamarca.it
Le condizioni contrattuali sono riportate nei «Fogli informativi» a disposizione del pubblico presso le filiali della Banca. Il presente documento è da considerarsi esclusivamente un messaggio pubblicitario con finalità promozionali.
E VINCI
FANTASTICI PREMI