Orizzonti 1 U2 C9 File

Transcript

Orizzonti 1 U2 C9 File
L’Europa e l’esplorazione
del mondo
Mar Gl aci al e Ar tico
nav
S
Nuova Spagna
(Messico)
Cuba
RUSSIA
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A
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S a h a r a
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A f r i c a
Gabon
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Cile
t i c o
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Sudame ric a
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Kamcatka
ˇ
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Giappone
Persia
Brasile
Carico e scarico di navi mercantili nel porto di una città anseatica, disegno acquerellato.
Mongolia
A rab ia
Tibet
C i n a
Oceano
Pac i f i c o
In d ia
Siam
n
Tropico del Capricorno
e
PORTOGALLO
SPAGNA
Equatore
Oceano Pacifico
b
FRANCIA
Nuova Terranova
Scozia
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di
INGHILTERRA
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Tropico del Cancro
n
Islanda
Nordamerica
G l a c i a l e
Filippine
Somalia
Sumatra Borneo
Giava
Madagascar
Oc eano Ind iano
Nuova
Guinea
Australia
Capo di
Buona
Speranza
Terre conosciute dagli europei nel 1400
Terre scoperte fino al 1500
Capo
Horn
Terre scoperte fino al 1600
Direttrici delle nuove scoperte
Le scoperte geografiche tra Quattrocento e Cinquecento
9.1 La scoperta del
«Nuovo Mondo»
Il difficile commercio con
le «Indie» nel Quattrocento
Dossier 12 p. 350
Quentin Metsys, Il cambiavalute e sua moglie, 1514, Parigi, Louvre.
Capo
Nord
Circolo Polare Artico
Labrador
M a r
Isole Svalbard
Groenlandia
Nel corso del XV secolo, l’economia europea si lasciò definitivamente alle spalle la
crisi trecentesca e conobbe un periodo di
piena espansione: la popolazione riprese a
crescere e anche le città e le produzioni manifatturiere tornarono a svilupparsi. Vi fu di
conseguenza un nuovo sviluppo dei commerci, al quale parteciparono sia le potenti
associazioni dei mercanti italiani, francesi,
tedeschi, spagnoli e inglesi, sia le stesse monarchie nazionali, interessate a imporre le
loro nazioni nel grande gioco dell’economia
internazionale. D12
Nel 1453, però, i Turchi ottomani avevano conquistato Costantinopoli ottenendo il
completo controllo del Mediterraneo orientale, e minacciavano addirittura di espandersi verso l’Europa centrale partendo dai
Balcani. Per Venezia, che aveva detenuto
per secoli il monopolio dei commerci con
l’Oriente, e per tutti gli altri Stati europei
divenne allora difficile continuare a vendere e acquistare merci provenienti dall’Asia,
l’immenso territorio che gli occidentali indicavano con il nome generico di «Indie».
Venezia, che pure era uno Stato ancora forte
(godeva inoltre del periodo di pace garantito in Italia dal trattato di Lodi ) e rappresentava l’avamposto europeo verso Oriente,
privata dell’appoggio dell’Impero bizantino
stava perdendo una dopo l’altra le sue basi
commerciali.
Era necessario, dunque, cercare nuove vie
per giungere alle Indie: percorsi sicuri, liberi dalle imposizioni e dai condizionamenti
imposti dai Turchi e percorribili con grandi
quantità di merci. Era questo l’interesse di
compagnie di mercanti sempre più ricche
e organizzate, disposte per questo scopo a
investire ingenti capitali. Le vie terrestri già
aperte in quegli anni erano troppo lente e
pericolose per sostenere i crescenti volumi
di merci richiesti dall’economia europea in
piena espansione. Queste nuove vie di comunicazione dovevano quindi essere marittime e collegare direttamente e in piena
sicurezza i porti europei al Golfo Persico,
all’India, al Sud-est asiatico e alla Cina.
I progressi nelle tecniche
di navigazione
Tra gli Stati nazionali europei che avevano
le risorse sufficienti per dedicarsi alla ricerca di una nuova via verso l’Asia, un ruolo di
primo piano assunsero la Spagna e il Portogallo, affacciate sull’Oceano Atlantico: si
trattava di potenze relativamente giovani e
la posizione geografica – che non le vincolava alla sola navigazione nel Mediterraneo
– le favorì in modo determinante nella ricerca delle nuove vie.
L’avvio delle esplorazioni oceaniche fu
facilitato da una serie di importanti pro-
gressi nelle tecniche di navigazione. L’uso della bussola, che i navigatori italiani avevano appreso dagli
Arabi, era ormai diffuso, e i calcoli astronomici (con astrolabi perfezionati) per stabilire e verificare le rotte erano sempre più
precisi. D7 Le carte nautiche,
molto dettagliate, venivano aggiornate rapidamente a seguito di nuove
esplorazioni, indicando anche la direzione e l’intensità stagionale dei venti. D8
Cominciarono ad essere prodotti anche
nuovi modelli di navi: più robuste, dotate di
scafi più piccoli ma con alte «murate» (cioè
fianchi) per fronteggiare meglio le imponenti onde oceaniche in tempesta. Queste navi
avevano stive più profonde e un sistema di
ponti sovrapposti con una forma arcuata che
consentiva alle acque di defluire subito in
mare. Erano più veloci perché spinte da velature non più limitate a una sola o a poche
vele quadrate, ma montavano veri e propri
sistemi complessi di vele di diversa forma
(ad esempio quella «latina», cioè triangolare),
posizione (anche a prua e poppa) e orientamento, in grado di sfruttare anche venti più
deboli e di diversa provenienza rispetto alla
linea di navigazione o di sostenere la spinta
di quelli più impetuosi. Le navi, inoltre, montavano un unico e maneggevole timone di
poppa, che aveva ormai sostituito l’antiquato sistema di pilotaggio basato
su due lunghi remi laterali.
Verso il 1430 comparve la più
celebre di queste nuove navi: la
caravella. Essa era relativamente
piccola – ben più piccola di una tradizionale galea a remi –, ma era robusta
e molto maneggevole, perché sfruttava
vele quadrate per la spinta e vele triango-
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1200
Un astrolabio.
astrolabio: strumento
utilizzato per determinare
l’altezza del sole o
di un qualsiasi altro
astro rispetto alla linea
del’orizzonte e poter così
individuare la latitudine.
Dossier 7 p. 340
Dossier 8 p. 342
Una bussola.
© Loescher Editore – Torino
1364 Dondi costruisce l’astrario
Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco
1430 Appare la caravella
XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa
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2
9
Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
e le tecniche giuste per affrontare il rischio
di una stagione di impegnative esplorazioni oceaniche. In pochi decenni da queste
esplorazioni giunse un ampliamento degli
orizzonti inaspettato e senza precedenti.
Isole del
Capo Verde
A f r i c a
Golfo
di Guinea
l
Equatore
Mombasa
Oceano Indiano
i c o
n t
1200
Calicut
Mozambico
Tropico del Capricorno
Capo di
Buona Speranza
La via della circumnavigazione dell’Africa
era già percorsa con successo dai navigatori portoghesi. Isabella decise quindi di dare
fiducia a un esperto navigatore di origine
genovese, Cristoforo Colombo (1451-1506),
convinto che fosse possibile « buscar el
Levante par el Poniente  » , cioè raggiungere l’Oriente navigando verso Occidente. Egli
aveva concepito questo progetto seguendo
le idee dell’astronomo e matematico fiorentino Paolo Dal Pozzo Toscanelli (1397-1482),
 Tweet Storia p. 358
Juan Cordero, Cristoforo Colombo alla corte dei re cattolici, 1850.
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Gabon
a
La partenza di Colombo da Palos in un dipinto di A. Cabral Bejarano.
India
t
 Tweet Storia p. 358
Espugnata nel 1492 Granada, ultima roccaforte araba nella penisola iberica, i sovrani
spagnoli Ferdinando d’Aragona e Isabella di
Castiglia, divenuti sovrani di un intero Stato
nazionale, compresero che per assicurare
ricchezza al proprio regno e garantire alla
Spagna un ruolo di primo piano nel nuovo
scenario delle esplorazioni geografiche era
necessario imitare i re del Portogallo.
Tropico del Cancro
A
Un ritratto del
navigatore
portoghese
Bartolomeo Diaz.
La reazione degli spagnoli e
l’incarico a Cristoforo Colombo
Vasco da Gama
PORTOGALLO
Sagres
Azzorre
o
Un quadrante.
lari per la manovra. Successivamente fu sviluppato il galeone, una nave
più grande che poteva anche avere tre
ponti sovrapposti e caricare una maggiore quantità di merci e file parallele di
cannoni.
A metà del Quattrocento, quindi, gli europei occidentali, e in primo luogo portoghesi e spagnoli, avevano gli interessi
commerciali, i capitali, la volontà politica
Bartolomeo Diaz
n
Una carta nautica del XV sec.
Il Portogallo si era reso indipendente dagli
Arabi fin dal 1250, ben prima della Spagna,
che liberò completamente le proprie coste
mediterranee solo nel 1492.
Re Enrico, detto il Navigatore (1394-1460),
e i suoi successori, rendendosi conto di quanto fosse importante per il Portogallo trovare
nuove vie commerciali, incoraggiarono con
ogni mezzo lo sviluppo della flotta e spinsero
molti navigatori a giungere nelle Indie circumnavigando l’Africa.
Nel 1471 i portoghesi raggiunsero l’equatore e nel 1487 Bartolomeo Diaz  si spinse fino all’estrema punta meridionale del
continente africano, battezzandola Capo di
Buona Speranza.
Dieci anni più tardi, nel luglio 1497, Vasco
de Gama partì dal porto di Lisbona, superò il Capo di Buona Speranza proseguendo
verso est e giunse fino a Calicut (Calcutta)
in India. Tornò in patria nel 1499 dopo aver
acquistato un carico di spezie: la nuova via
dei commerci era stata trovata.
Nel corso delle loro esplorazioni, i portoghesi posero delle basi commerciali lungo
le coste dell’Africa: sulla costa occidentale
le isole di Capo verde, la Guinea e l’Angola,
sulla costa orientale il Mozambico; in un secondo momento, dopo aver respinto con le
navi munite di cannoni gli attacchi dei mercanti arabi, fecero lo stesso anche in India.
Era l’inizio di una vera strategia di conquista. Nel 1502, in un secondo viaggio,
Vasco de Gama minacciò il sovrano di Calicut con quindici navi armate di cannoni
e lo costrinse a stabilire regolari contatti
commerciali con il suo paese. Nei decenni
successivi i portoghesi si spinsero ancora
più a nord ed entro il 1515 controllavano il
transito delle merci verso il Golfo Persico e
il Mar Rosso, occupando i porti di Hormuz
e Aden. Il Portogallo stava prendendo così il
monopolio del commercio di spezie e merci
di lusso dall’Estremo Oriente, strappandolo
dalle mani di Venezia e anticipando le altre
potenze europee.
Le esplorazioni e i primi insediamenti dei portoghesi in Africa
e India
a
O c e
I successi degli esploratori
portoghesi
Con l’esperienza acquisita, i navigatori
portoghesi offrirono contributi significativi
alla tecnica della navigazione. Di particolare
importanza fu la scoperta degli alisei, venti
presenti nella fascia tropicale dell’oceano
Atlantico che soffiano per lunghi periodi in
direzione costante e con intensità regolare
(a differenza dei venti del Mediterraneo che
sono variabili e incostanti). Gli esploratori
portoghesi capirono che gli alisei dell’emisfero meridionale soffiano verso est, e già
Vasco da Gama sfruttò a suo vantaggio questa scoperta per la navigazione oltre il Capo
di Buona Speranza.
I portoghesi riuscirono inoltre a utilizzare, almeno in alcuni periodi dell’anno, la
spinta regolare dei monsoni, che sono altri
venti, nell’Oceano Indiano. E ancora Vasco
da Gama si servì di questi venti stagionali
per raggiungere l’India.
L’Europa e l’esplorazione del mondo
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1364 Dondi costruisce l’astrario
Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco
1430 Appare la caravella
XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa
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Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
Incisione del XVI sec.: allegoria dei viaggi di Magellano.
Incisione del XVI sec.: l’incontro tra Vespucci e le popolazioni del Nuovo Mondo.
Dossier 8 p. 342
 Tweet Storia p. 358
Vespucci, scultura
del XIX sec., Firenze,
Uffizi.
un convinto sostenitore della sfericità della
Terra, che aveva disegnato un planisfero e
calcolato la distanza tra le coste atlantiche
della penisola iberica e le isole del Giappone, sottostimandola peraltro enormemente
(circa 5000 chilometri invece degli effettivi
20.000). D8 Secondo lui attraversando l’Atlantico si poteva giungere al Catai (Cina) e
a Cipango (Giappone). Così Colombo,
immaginando di compiere un viaggio
relativamente breve, decise di voler
applicare concretamente le teorie
della sfericità della Terra.
Il navigatore si era già rivolto,
negli anni precedenti, al re del
Portogallo Giovanni II, ma questi non lo aveva voluto ascoltare: la corte portoghese era
convinta, con ragione, che la
via più agevole e sicura per
raggiungere l’India fosse
quella attraverso il superamento dell’Africa (via
che era, ormai, a portata di mano dei suoi
esploratori).
Nel 1492, Isabella offrì
dunque a Colombo l’appoggio necessario a intraprendere il suo viaggio
verso le Indie passando
dall’Atlantico. Egli partì
con tre caravelle (la Niña,
la Pinta e la Santa Maria) il
3 agosto 1492 dal porto di Palos; la corona
spagnola gli concesse
il titolo di «Ammiraglio del Mar Oceano» e
l’incarico di viceré delle terre eventualmente scoperte e conquistate, oltre al possesso
di un decimo delle ricchezze che riportate
con sé. Tra i finanziatori di questa esplorazione vi furono anche alcuni banchieri fiorentini.
Il suo incarico era quello di raggiungere le Indie, trovarvi spezie, tessuti e metalli
preziosi (soprattutto oro), e aprire la via a
mercanti e missionari (questi ultimi pronti a
convertire le popolazioni al cristianesimo).
Era un insieme di obiettivi moderni e medievali, di ordine terreno e spirituale, e Colombo condivideva con grande convinzione
questo senso di missione divina che doveva
garantire il successo del suo viaggio.
La scoperta dell’America
Il viaggio di Colombo si rivelò più lungo
del previsto e più volte i marinai  , stan-
Vespucci osserva la Croce del Sud, incisione.
chi, spaventati e preoccupati per il possibile
esaurimento delle scorte di cibo e acqua, furono sul punto di ammutinarsi. Il 12 ottobre
1492 egli giunse in vista della terra, come
aveva sperato, e sbarcò su un’isola delle
Bahamas, che battezzò San Salvador (in
onore di Gesù Cristo, il Salvatore). Colombo
era però convinto di aver raggiunto le coste del Giappone o della Cina: come tutti i
suoi contemporanei ignorava l’esistenza del
continente americano, situato tra l’Europa e
l’Asia.
Dopo aver toccato le attuali Cuba e Haiti – e aver definito indios gli abitanti locali,
sempre perché convinto di essere giunto
alle Indie –, Colombo tornò in Spagna senza
aver trovato l’oro o alcuna traccia dei grandi regni dell’Oriente narrati nel Milione da
Marco Polo. I sovrani spagnoli non persero
la fiducia in lui e lo incaricarono di compiere altri tre viaggi verso le Americhe, viaggi
che egli compì dal 1493 al 1502. Durante
queste nuove esplorazioni Colombo toccò
altri punti del continente americano. Cadde
anche in disgrazia presso la corte e si risollevò solo con il terzo e quarto viaggio quando
finalmente trovò oro e legnami pregiati. La
difficile opera di organizzazione delle prime
colonie, a lui affidate, e i pessimi rapporti tra
europei e popolazione locale (che tra l’altro
cominciava a morire per le epidemie portate dagli stranieri) lo misero definitivamente
in cattiva luce presso la corte. Sollevato dai
suoi incarichi, tornò nel 1504 in Spagna e
morì due anni dopo in solitudine e relativa
povertà. Fino alla fine Colombo rimase convinto di essere giunto sulle coste orientali
dell’Asia e mai si rese conto di aver scoperto
un nuovo continente.
Altri esploratori giunsero, dopo di lui, a
una conclusione diversa. Tra questi ricordiamo gli italiani Giovanni Caboto (14501500), che, al servizio del re inglese Enrico
VII raggiunse nel 1497 le coste del Canada,
e Amerigo Vespucci (1454-1512), esperto
navigatore fiorentino che esplorò prima per
la Spagna e poi per Portogallo le coste degli
attuali Brasile e Argentina. Compì numerosi viaggi verso il continente americano e fu
probabilmente il primo a rendersi conto di
aver messo piede su un nuovo continente:
per questo motivo nel 1507 il Nuovo Mondo
venne chiamato America in suo onore.
I viaggi di Cristoforo Colombo
O C E A N O AT L A N T I C O
1200
Azzorre
Lisbona
Siviglia
Palos
Madeira
Canarie
Isole di
Capo Verde
P
Primo
viaggio di Colombo (1492-1493)
Secondo viaggio (1493-1496)
S
TTerzo viaggio (1498)
Q
Quarto viaggio (1502-1504)
Golfo del
Messico
O C E A NO
Florida
AT L A NTI CO
Bahamas
San Salvador
Cuba
Giamaica
America
Centrale
Mar
La Navidad
Isabella
Santo Domingo
Puerto Rico
Hispaniola (Haiti)
dei
C a ra ibi
Guadalupa
Dominica
Martinica
Trinidad
America Medidionale
L’impresa di Magellano
Visto che navigando verso Occidente la rotta per l’Asia sembrava sbarrata dalle nuove
terre appena scoperte, alcuni navigatori cercarono di trovare un passaggio
a nord-ovest per aggirare l’America.
Sebastiano Caboto (1480-1557), figlio di Giovanni, non riuscì tuttavia a
superare la Baia di Hudson
(nel Canada settentrionale), che trovò invasa dai
ghiacci.
Nel 1513, lo spagnolo
Vasco Núñez de Balboa
(1475-1517) attraversò
le foreste dell’istmo di Panama, in America
centrale, e giunse in vista
dell’Oceano Pacifico: era
il primo europeo a farlo,
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L’Europa e l’esplorazione del mondo
istmo: lingua di terra
che unisce due continenti
o una penisola e un
continente.
Ritratto di
Magellano,
incisione, XVI sec.
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XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa
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Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
ma non aveva trovato una via navigabile.
Un passaggio a sud-ovest fu invece trovato dal portoghese Ferdinando Magellano
(1480-1521). Nel 1519, con cinque navi e al
servizio del re di Spagna, si diresse lungo le
coste dell’America meridionale e nell’ottobre del 1520 attraversò, a sud, uno stretto
passaggio (che verrà poi chiamato «stretto
di Magellano») e giunse all’Oceano che lui
stesso chiamò «Pacifico» (perché vi trovò
acque tranquille). Attraversandolo verso
occidente – in un lunghissimo viaggio di tre
mesi senza mai avvistare la terra – giunse a
un arcipelago di isole che battezzò «Filippine» in onore di Filippo II, re di Spagna. Qui
Dossier 7 p. 340
Lo sviluppo dell’economia mondiale durante la «Rivoluzione
atlantica»
Acapulco
New York
Québec
L’Avana
Guadalupa
Nuova
Amsterdam
Lima
Macao
Canton
Manila
Calcutta
Londra
Amsterdam
Lisbona La Rochelle
Pondicherry
Bombay
Batavia
Cadice
Caienne
Accra
Rio de Janeiro Bahia
Sofala
Buenos Aires
Città del Capo
Trondheim
San Pietroburgo
Londra
Lubecca
Bruges
Venezia
Genova
Marsiglia
Napoli
Costantinopoli
Lisbona
Alessandria
Direttrici economiche europee
Direttrici economiche
portoghesi
p
sspagnole
iinglesi
ffrancesi
olandesi
o
altri
a
morì, ucciso dagli indigeni; l’unica nave superstite a bordo della quale c’era Antonio
Pigafetta, navigatore di Vicenza, riprese la
rotta e nel 1522, il nuovo comandante della
spedizione, Juan Sebastián de Elcano, giunse nel porto di Siviglia. Erano passati tre
anni dalla partenza di Magellano e dei 238
che erano partiti i sopravvissuti erano 18.
Per la prima volta era stata circumnavigata la Terra e gli europei, al termine di una
lunga stagione di esplorazioni, erano in grado di giungere in ogni parte del mondo: in un
certo senso se ne consideravano i padroni.
La «Rivoluzione atlantica»
dei commerci e dell’economia
europea
Nei primi decenni del Cinquecento gli europei potevano dunque contare sugli incoraggianti risultati di una lunga stagione di
esplorazioni: avevano addirittura circumnavigato la Terra, erano in grado di giungere
in ogni parte del mondo e in un certo senso
se ne consideravano i padroni.
Era ormai evidente comunque che la via
più breve dall’Europa all’Asia era quella
che passava intorno all’Africa, cioè la via in
mano ai portoghesi. Gli spagnoli, dunque,
concentrarono i loro sforzi nello sfruttamento del Nuovo Mondo, ma furono anche
in questo quasi subito affiancati dai portoghesi, dagli inglesi e dai francesi.
Per tutti questi Stati ormai il Mediterraneo
non era più il centro della civiltà europea e
il crocevia di tutti i commerci più importanti. Le nuove rotte e le nuove terre scoperte
dall’intraprendenza delle potenti monarchie nazionali spostavano prepotentemente
l’asse dei commerci e dell’economia verso
l’Atlantico. D7 Esploratori, mercanti, imprenditori, conquistatori, emigranti e missionari presero a circolare con sempre maggiore intensità tra i due lati dell’Atlantico sia
per trasportare merci da e per le Americhe,
sia per insediarsi nel «Nuovo Mondo» in cerca di nuove opportunità di vita.
Nei secoli successivi questa «Rivoluzione atlantica» avrebbe decretato il tramonto
delle città marittime mediterranee (in primo
luogo di Venezia) e reso possibile la nascita
e lo sviluppo delle grandi potenze economiche e coloniali europee: Spagna e Portogallo prima (tra XVI e XVII secolo), Inghilterra,
Francia e Olanda poi (tra XVII e XX secolo).
9.2 L’America
«precolombiana»
Un continente abitato
da millenni
L’America settentrionale e meridionale – il
«Nuovo Mondo» per gli europei – erano un
continente abitato da migliaia di anni. Per
indicare il lungo periodo storico in cui questi popoli vissero isolati dal resto del mondo,
gli storici parlano di «era precolombiana»,
espressione che comprende tutti gli eventi
precedenti lo sbarco di Cristoforo Colombo.
Le aree più densamente popolate erano collocate soprattutto nell’area centrale
e meridionale del continente: qui si erano
sviluppate grandi civiltà ed erano sorti veri
e propri imperi. Nella parte settentrionale,
invece, vivevano centinaia di tribù di «Indiani» (in tutto circa un milione), poi detti
«pellerossa», dediti alla caccia, nomadi e
spesso in conflitto tra loro.
Al momento della scoperta dell’America,
il livello di sviluppo tecnologico di questi
popoli era inferiore a quello degli europei:
non conoscevano l’uso della ruota e lavoravano i metalli (ma non il ferro) solo per fabbricare ornamenti. Non usavano la moneta
e la loro economia era quasi esclusivamente
basata sul baratto. La lavorazione della terra era affidata alla forza dell’uomo perché
non esistevano animali da tiro, né cavalli né
buoi, e non veniva utilizzato l’aratro.
Le civiltà precolombiane fondavano il
loro benessere sull’agricoltura e sull’allevamento. In America si coltivavano prodotti
che in Europa erano sconosciuti: il mais,
alla base della loro alimentazione, il cacao,
la patata, il pomodoro, il peperone e il tabacco. Animali caratteristici di questo continente e ugualmente sconosciuti agli europei erano il tacchino e il lama.
Jan Mostaert, Paesaggio delle Indie Occidentali, 1520-30 circa, Haarlem, Frans Hals Museum.
re fu compreso tra il 300 e il 900 d.C., seguito
da una breve fase di declino per rifiorire tra il
X e il XIV secolo. Quando arrivarono degli europei la loro civiltà era tuttavia decadente e le
città erano per la maggior parte spopolate.
I Maya coltivavano il mais e producevano
magnifici oggetti artigianali (vasi in ceramica, utensili in legno, tessuti, copricapi con
piume d’uccello) che poi scambiavano con
altri popoli del Centroamerica. Esportavano
anche pietre preziose e sale.
Il loro territorio era suddiviso in cittàStato, più di 300 centri urbani autonomi tra
loro, a capo delle quali c’era una potente casta di sacerdoti e guerrieri (gli «uomini veri»),
proprietari delle terre. Nella scala gerarchica
maya, al di sotto dei sacerdoti vi erano contadini e artigiani, cioè gli «uomini inferiori».
Gli imperi maya e azteco all’arrivo dei conquistadores
Golfo del Messico
Tamuin
Panuco
El Tajin
Tula
Teotihuacàn
Cholula Cempoala
Remojadas
Tres Zapotes
Xochicalco
Tenochtitlàn
I M PE RO A Z T E C O
I Maya
Portero Nuevo
La civiltà dei Maya prosperò nella zona
del Centroamerica che si estende dal sud
dell’attuale Messico (penisola dello Yucatán) fino all’Honduras e a El Salvador passando per Guatemala e Belize. I Maya erano
un gruppo di popoli che nel corso dei secoli
si insediarono intorno alla penisola dello
Yucatán e svilupparono una ricca e fiorente
civiltà. Il periodo del loro maggiore splendo-
1200
Mayapàn Chichèn Itza
Uxmal
Tulum
Is. Jaina
Labnà
Malinalco
Monte Alban
Mitla
Santa Lucia
GUATEMALA
BELIZE
HONDURAS
Caraibi
I M PE RO M AYA
La Venta
Palenque
Tikal
Piedras Negras Yaxchilàn
Bonampak
Seibal
Nebaj
M E S S I CO
Mar
dei
Rio Bec
Mixco Viejo
© Loescher Editore – Torino
190
L’Europa e l’esplorazione del mondo
Quiriguà
Copàn
Kaminaljuyù
Amatitlàn
O C E A N O PAC I F I CO
© Loescher Editore – Torino
1364 Dondi costruisce l’astrario
Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco
1430 Appare la caravella
XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa
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2
Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
I sacerdoti erano i custodi della cultura e
della scienza: usavano un complesso sistema
di scrittura, possedevano evolute conoscenze matematiche e astronomiche che utilizzavano per la creazione di calendari e per
scrutare i cieli in cerca di segni della volontà
divina. Grazie a queste conoscenze furono in
grado di registrare i cicli del Sole, della Luna
e di Venere e anche la congiunzione SaturnoGiove, che si verifica ogni 20 anni.
Gli Aztechi
Orecchini aztechi.
Manufatto delle
civiltà amerindie:
maschera rituale.
contro le tenebre e le forze del
male e che per questo avessero
bisogno di continue offerte sacrificali. Venivano sacrificati quasi esclusivamente prigionieri di guerra, e proprio per questo motivo gli Aztechi erano spesso impegnati in
conflitti sanguinosi contro i popoli vicini.
Gli Incas
L’impero degli Incas all’arrivo dei conquistadores
Quito
r
Achupallas
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Tumbes
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raño
Ma
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oni
A m a z z o n i a
ali
Chavìn
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Paramonga
e
Tarma
Pachacamac
r
Ica
Nazca
a
Machu-Picchu
Pisac
Cuzco
d
Pucará
Lago Titicaca
e
Arequipa
Tiahuanaco
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O C E A N O PAC I F I CO
l
L. Poopò
e
COLOMBIA
ECUADOR
A
B R A S I LE
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BOLIVIA
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CILE
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ARGENTINA
Rio
do
Sala
1200
zz
ay
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Chanchan
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Uc
Cajamarca
© Loescher Editore – Torino
192
Ri
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Calendario azteco scolpito.
L’imperatore era detto «inca» (ossia
«capo») ed era considerato figlio del Sole. Per
lui e per la nobiltà veniva coltivata la parte
migliore delle terre; un’altra parte era coltivata per il sostentamento dei sacerdoti e una
terza parte era coltivata per l’alimentazione
del popolo. Nessuno, tuttavia, possedeva terra, perché gli Incas non conoscevano la proprietà privata; inoltre, coloro che non potevano lavorare erano mantenuti dallo Stato.
L’economia incaica era molto florida e
sfruttava tutte le ricchezze di un immenso
territorio: pesca e agricoltura lungo le coste, coltivazioni sugli altopiani e sui versanti
delle montagne, e, ad alta quota, allevamento dei lama e degli alpaca, animali dai quali
si ricavava una pregiata lana.
Gli Incas costruirono un efficiente sistema di strade che metteva in comunicazione
ogni parte dell’impero con la capitale Cuzco
(che si trova nell’attuale Perù), posta al centro del territorio a 3400 metri di quota. Le
strade favorivano l’amministrazione dello
Stato e i traffici commerciali con i popoli
vicini. Tramite una di queste strade era possibile raggiungere anche la città di Macchu
Picchu, una probabile residenza estiva per
l’imperatore e per i nobili posta a oltre 2400
metri di altitudine.
o
L’Impero inca fu il più vasto impero precolombiano del continente americano. Nella
seconda metà del XIV secolo gli Incas lo edificarono su un’area molto estesa dell’America
meridionale comprendente gli attuali Stati
di Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia e Cile.
Il sistema politico degli Incas era ancora
più accentrato rispetto a quello degli Aztechi. Essi tuttavia seppero integrare economicamente e culturalmente i popoli conquistati creando una struttura sociale molto
ben funzionante.
Veduta delle rovine di Machu Picchu.
C
Statuetta antropomorfa inca.
Gli Aztechi erano un popolo nomade e guerriero originario dell’America settentrionale.
Dalla metà del XIV secolo si trasferirono
nell’area dell’attuale Messico, dove in un
primo momento combatterono al servizio
dei Toltechi, un popolo più evoluto e di più
antica tradizione, e poi li sottomisero, assorbendone la cultura.
Al momento del contatto con gli spagnoli,
l’Impero azteco sotto l’imperatore Montezuma II (1502-1519) aveva raggiunto la massima espansione e dominava brutalmente numerosi popoli minori. A differenza dei Maya,
infatti, gli Aztechi costruirono un regno formato dalla federazione di più popoli, ma dominato da un forte potere centrale.
La loro capitale era Tenochtitlán, costruita verso il 1325 su alcuni isolotti del lago
Texcoco. Costruita come una vera città galleggiante, era molto vasta e popolata da circa 300.000 abitanti. Oggi sulle sue rovine
sorge Città del Messico, la capitale
messicana.
Anche l’economia azteca era
basata principalmente sull’agricoltura e sull’allevamento: si
coltivavano mais, patate, fagioli, zucche, pomodori, tabacco e cotone. Con questi
prodotti gli Aztechi effettuavano scambi con altri popoli, ma non
conoscevano la fusione dei metalli.
Accanto all’imperatore c’era un
consiglio supremo, con circa cento
rappresentanti della nobiltà, composta da sacerdoti, guerrieri, giudici e
funzionari dello Stato.
La religione azteca prevedeva frequenti sacrifici umani. Gli Aztechi
ritenevano infatti che le divinità
benefiche, come il Sole, fossero costantemente impegnate in una lotta
© Loescher Editore – Torino
1364 Dondi costruisce l’astrario
Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco
1430 Appare la caravella
XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa
1550
193
9
Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
La spartizione delle nuove terre
Appena compresero che Colombo aveva
scoperto un continente sconosciuto, Spagna e Portogallo decisero di impadronirsi
delle nuove terre e di sfruttarne le risorse
agricole e minerarie.
Per evitare contrasti tra le due potenze, già
nel 1493 papa Alessandro VI, invocato come
arbitro, aveva emanato un solenne documento, la Bolla Inter caetera, che stabiliva una linea meridiana di separazione (la «raya») tra i
territori scoperti e quelli ancora da scoprire
che spettavano ai due Paesi: a ovest di questa
linea si estendevano i territori che sarebbero
andati alla Spagna, a est quelli che invece sarebbero finiti sotto il dominio portoghese.
Hernán Cortés
guida un gruppo
di conquistadores,
miniatura, XVI sec.
Gli spagnoli alla conquista
dell’Impero azteco
Le prime aree del Nuovo Mondo nelle quali si insediarono gli Spagnoli furono le isole
che fronteggiavano l’America centrale, le
prime scoperte da Colombo, tra cui le attuali Cuba e Haiti. Qui vivevano popolazioni
semplici e ospitali ma arretrate da punto di
vista tecnologico: vi era dunque la possibilità di sfruttarne le risorse agricole, ma non
c’erano oro e argento, cioè le ricchezze di cui
gli europei erano in particolar modo avidi.
Partendo da questi avamposti alcuni
esploratori spagnoli ebbero notizia dell’esistenza dell’Impero azteco, di cui si cominciò
ad esaltare la straordinaria ricchezza. Nel
febbraio del 1519 un nobile spagnolo, Hernán Cortés (1485-1547), partì da Cuba con
11 navi, 400 soldati, 14 cannoni e 40 archibugi; aveva con sé anche 16 cavalli, animali
del tutto sconosciuti agli indigeni.
Nonostante le esigue forze, Cortés vinse
facilmente la resistenza degli Aztechi. Egli,
infatti, sfruttò tre fattori decisivi:
• la credenza degli indigeni in un’antica
profezia, che annunciava l’arrivo da est
del dio Quetzalcoatl, il serpente piumato destinato ad assumere il dominio sul
mondo. Cortés e i suoi uomini furono in
un primo momento scambiati per divinità, dando così modo agli spagnoli di agire
indisturbati.
In soli due anni, Cortés conquistò l’Impero
azteco, lo saccheggiò e uccise l’ultimo imperatore, Montezuma II. Nel 1522 egli fu nominato dalla corona spagnola governatore
generale della provincia conquistata, che fu
chiamata «Nuova Spagna», corrispondente
al Messico e all’America centrale.
La conquista dell’Impero inca
Nel 1531, il conquistador spagnolo Francisco
Pizarro invase i territori dell’attuale Perù con
un esercito ancora più modesto di quello di
Cortés. Puntava al cuore dell’Impero inca
e per riuscire nella sua impresa egli sfruttò
l’organizzazione del potere nella civiltà incaica. Come abbiamo visto, infatti, per questa popolazione tutto ruotava intorno alla
figura dell’imperatore, l’inca figlio del Sole.
Quando Pizarro giunse a contatto con
gli Incas, due fratelli, Atahualpa e Huàscar,
erano in lotta tra loro per il titolo di imperatore. Lo spagnolo si alleò con Huàscar e
fece prigioniero Atahualpa: in un secondo
momento lo fece giustiziare, accusandolo
di aver ucciso il fratello. Eliminati i due contendenti, nel 1533 Pizarro entrò da dominatore a Cuzco, la capitale dell’Impero inca.
In breve tempo l’impero fu saccheggiato
e completamente sottomesso.
Il genocidio dei nativi
americani
Le conseguenze delle conquiste europee in
America meridionale furono devastanti. Gli
spagnoli, in cerca di ricchezze, saccheggiarono le città degli Aztechi e degli Incas, massacrando chiunque osasse opporsi al loro
dominio. I conquistadores imposero con
la forza la loro autorità e la fede cristiana,
proibirono i culti delle religioni tradizionali (accusati di brutalità) e distrussero molte
testimonianze delle culture precolombiane.
Agli indigeni fu imposto di lavorare nelle
piantagioni e nelle miniere, ma non essen-
1200
Dossier 6 p. 338
I possedimenti portoghesi in Brasile
O C E A NO
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Recife
Bahia
Santa Cruz
Porto Seguro
Ouro Preto
Rio de Janeiro
San Paolo
La prudenza del Portogallo
Il trattato di Tordesillas concedeva al Portogallo le coste e i territori più orientali del
Nuovo Mondo (l’attuale Brasile). I portoghesi seguirono la stessa strategia che aveva
permesso loro di stabilire e consolidare degli
avamposti commerciali sulle coste dell’Africa e dell’India e si limitarono in principio a
occupare le coste, sulle quali fondarono le
città di San Paolo e di Bahia.
© Loescher Editore – Torino
194
Il navigatore Vincente Yañez Pinzón.
n Fra
n
«Nuovo Mondo»
• la forza delle armi, in particolare quelle
da fuoco, che spaventarono e colpirono
con violenza i nemici; D6
Il Portogallo non si lanciò dunque in
spettacolari operazioni di conquista come
quelle guidate da Cortés e Pizarro, anche
perché il territorio assegnato ai portoghesi
non era abitato da civiltà evolute e organizzate come quella azteca e maya. Essi dunque esplorarono e conquistarono gradualmente l’entroterra, sfruttandolo in maniera
crescente man mano che venivano alla luce
le sue enormi risorse agricole, forestali e
minerarie.
Sa
9.3 La conquista del
• le divisioni interne tra gli Aztechi e i popoli a loro sottomessi;
an
à
Un affresco del mondo conosciuto nel 1574 di Giovanni Antonio da Varese.
Nel documento papale, inoltre, il pontefice sottolineava il dovere degli europei di
conquistare il Nuovo Mondo: con la conquista, infatti, si sarebbero potuti convertire gli
indigeni alla fede cristiana. L’anno successivo, nel 1494, la spartizione decisa dal papa
fu parzialmente corretta. Spagna e Portogallo infatti firmarono il Trattato di Tordesillas, nel quale la linea fissata dal pontefice
fu spostata più a ovest per favorire il Portogallo: veniva così stabilito, di fatto, il futuro
dominio dei portoghesi sull’attuale Brasile.
L’Inghilterra (seguita dalla Francia) non
accettò questi accordi, che di diritto l’avrebbero esclusa dalla corsa alla conquista delle
Americhe, e incaricò propri esploratori di ricercare e prendere possesso di territori più
settentrionali del Nuovo Mondo. Di fatto
il Trattato di Tordesillas si applicò dunque
solo all’America centrale e meridionale,
perché era impossibile tenere a distanza di
un continente tanto immenso le altre potenze europee. Inoltre, proprio nei primi
decenni del Cinquecento la Riforma protestante ruppe l’unità religiosa dell’Europa
e molti Stati, tra cui l’Inghilterra, smisero di
riconoscere l’autorità dei papi (e le decisioni del papato in merito alla spartizione del
Nuovo Mondo).
L’Europa e l’esplorazione del mondo
Pa
r
2
Trattato di Tordesillas 1494
(linea di divisione del mondo
tra Spagna e Portogallo)
Insediamenti portoghesi
Pedro Cabral
Ferdinando Magellano
Spedizioni paoliste
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1364 Dondi costruisce l’astrario
Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco
1430 Appare la caravella
XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa
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Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
do abituati a lavorare come schiavi essi non
riuscirono a far fronte alle richieste dei loro
padroni.
Infine, gli europei portarono nel Nuovo
Mondo numerose malattie contro le quali
gli indigeni non avevano alcuna difesa. Essendo infatti vissuti per millenni in completo isolamento, non possedevano anticorpi
contro il vaiolo, il tifo, il morbillo e altre malattie spesso non letali per gli europei.
Proprio le malattie furono la causa principale della decimazione della popolazione
nativa. Gli storici calcolano che in pochi decenni, tra la fine del XV e la prima metà del
XVI secolo, morirono circa 70 milioni di indigeni, il 90% della popolazione totale. Cifre,
che unite alla ferocia e assoluta mancanza
di scrupoli degli invasori hanno fatto giustamente parlare di «genocidio» dei nativi americani. [ I NODI DELLA STORIA p. 198]
La giustificazione giuridica
e teologica dei conquistadores
Pochi europei disapprovarono le distruzioni provocate dai conquistatori nel Nuovo
Mondo. Esse anzi venivano giustificate con
argomenti giuridici e teologici. In virtù della propria superiore moralità e intelligenza,
le nazioni europee – si sosteneva – avevano
tutto il diritto di possedere e sfruttare le terre abitate dai «selvaggi», pagani e immorali. Anzi, gli europei dovevano «proteggere»
ed «educare» le popolazioni indigene alla
L’organizzazione dell’impero
coloniale spagnolo
L’avvio della tratta degli
schiavi: il «commercio
triangolare»
Lo sfruttamento disumano degli indigeni
determinò presto una scarsità di manodopera. I nativi conoscevano infatti un costante calo demografico che i provvedimenti
ufficiali delle autorità (a partire dagli stessi
sovrani spagnoli) per migliorare le condizioni di vita, puntualmente inapplicati, non
riuscivano a frenare. A rimediare alla mancanza di manodopera contribuirono i portoghesi, ideando un sistema per importare
in America schiavi neri prelevati dal continente africano.
Come abbiamo visto il Portogallo aveva
curato con particolare attenzione lo sviluppo di proprie basi commerciali Asia, Africa,
e America. Questa estesa rete di avamposti
permise loro di organizzare il cosiddetto
«commercio triangolare» (toccava infatti
tre continenti, Europa, Africa e America): dai
Lisbona
o
A
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Recife
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Oceano
Pacifico
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Valparaiso
Montevideo
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Callao
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1200
Algeri Tunisi
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Agadèz Bilma Suakin
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Kano
Cacheu Lagos El Fasher Sennar
Zella
Calabar
Elmina
Mogadiscio
Akassa
Malindi
Cabinda Mombasa
Zanzibar
Luanda Kilwa
Mozambico
I. di
Benguela Quelimane
Francia
I. di Santa Maria
I. di Bourbon
Fort-Dauphin
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Campeche
Veracruz
Acapulco
Panama
La Guaira
Georgetown
Oceano
Indiano
Buenos Aires
Bacini schiavistici europei
Bacini schiavistici musulmani
Basi europee
Rotte marine europee
Basi musulmane
Rotte carovaniere e marine islamiche
Basi nel Nuovo Mondo
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Album p. 200
Le rotte del «commercio triangolare»
n
Quando il massacro delle popolazioni native americane era ormai avvenuto, gli europei cominciarono a organizzare la gestione
dei nuovi territori conquistati. I sovrani spagnoli istituirono la encomienda, una sorta
di contratto coloniale con il quale i sudditi
spagnoli che volevano stabilirsi nel Nuovo
Mondo ricevevano un terreno del quale diventavano di fatto proprietari in cambio di
un tributo annuale alla corona di Spagna
(proprietaria di diritto di tutte le regioni
conquistate).
Si trattava di un sistema di tipo feudale:
encomenderos e nativi erano tutti «sudditi
del re», il quale governava attraverso i viceré, gli amministratori e i magistrati provenienti dalla madrepatria. Il re fissava quindi
i loro rapporti reciproci come un sovrano
medievale e attribuiva terre e benefici ai notabili a lui legati da obbedienza.
All’encomendero il re affidava anche il
compito di occuparsi degli indigeni che
abitavano sulle terre a lui concesse: con
l’aiuto dei missionari giunti in gran numero dall’Europa, i coloni dovevano educare i
nativi alla fede cristiana e provvedere al loro
benessere. In realtà, gli indigeni di regola vennero sfruttati e mantenuti in stato di
povertà; ad essi furono imposte prestazioni di lavoro senza alcuna regola in cambio
del necessario alla mera sopravvivenza. In
poche parole, vennero ridotti in schiavitù.
L’encomienda fu quindi una istituzione che
permise di consolidare la colonizzazione
dei nuovi territori attraverso lo sfruttamento fisico, morale e religioso delle popolazioni precolombiane.
Grazie allo sfruttamento degli indigeni,
dalle colonie cominciarono ad affluire in
Europa metalli preziosi come oro e, soprattutto, argento, e prodotti agricoli del tutto
nuovi che cambiarono le abitudini alimentari degli europei: il mais, la patata, il pomo-
doro, il peperone, il cacao e il tabacco. Alla
coltivazione di altri prodotti già conosciuti
in Europa furono invece destinate vaste
estensioni nelle haciendas (aziende agricole
in mano a un unico proprietario europeo):
ad esempio canna da zucchero, caffé, banane, destinati anch’essi ad essere venduti sui
mercati europei. Gli spagnoli introdussero
anche l’allevamento di animali da loro importati (equini, bovini e ovini). A
e a
Indios arsi sul rogo, miniatura, XVI sec.
gioranza degli europei (in cerca di ricchezza
e promozione sociale) fu tuttavia troppo forte
per essere frenata dalla ragione. L’opera di autori come Las Casas impedì almeno che si affermasse incontrastato un principio razzista
e disumanizzante a sostegno dell’avidità dei
colonizzatori. [Testimonianze  documento
10, p. 212]
O c
La battaglia di Michoacán, miniatura, XVI sec.
conoscenza della verità cristiana e alla vita
civile. I resoconti sulle tradizioni religiose e
culturali dei nuovi territori sottolineavano
la brutalità e arretratezza dei nativi, definiti
in alcuni casi «omuncoli», privi di vero ingegno e di anima immortale: non propriamente uomini, dunque. Erano le idee sostenute,
ad esempio, da Juan Ginés de Sepùlveda nel
suo Trattato sopra le giuste cause della guerra contro gli Indi. [Testimonianze  documento 9, p. 212]
Simili teorie vennero utilizzate da investitori, mercanti, conquistatori, avventurieri in cerca di fortuna (Cortés stesso, in
patria un piccolo nobile senza prospettive,
era uno di questi) per giustificare saccheggi
e omicidi. Persino buona parte dei missionari considerava giusto imporre con la forza
e l’inganno, se necessario, la fede cristiana.
A sostegno di queste «missioni», venivano
forzate persino le indicazioni dei papi, che
fin dalle prime scoperte avevano affidato ai
sovrani cristiani il compito umanizzare ed
evangelizzare questi popoli che non conoscevano l’annuncio cristiano.
Vi furono anche importanti e in parte
ascoltate (almeno dalle supreme autorità
ecclesiastiche e civili) voci di dissenso. Tra
queste ci fu quella del vescovo spagnolo
Bartolomé de Las Casas (1474-1566), che
nel 1539 nella Brevissima relazione sulla
distruzione delle Indie denunciò il colonialismo e l’espansionismo degli europei. La
spinta degli interessi combinati della mag-
L’Europa e l’esplorazione del mondo
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1364 Dondi costruisce l’astrario
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XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa
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Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
Progetto di una nave usata per
il commercio degli schiavi.
porti dell’Europa partivano navi cariche di
prodotti molto apprezzati sul mercato africano, in particolare armi da fuoco e liquori. Queste merci venivano scambiate con
schiavi neri catturati dai capitribù indigeni.
Gli schiavi venivano poi venduti in America Meridionale e con il denaro ricavato da
questa transazione i mercanti acquistavano
merci molto ricercate sul mercato europeo
(soprattutto prodotti agricoli) e ripartivano
alla volta dei porti atlantici dell’Europa.
Tutte le principali potenze atlantiche europee praticarono questo sistema che – con
la crescente partecipazione e poi con il monopolio inglese – raggiunse il pieno sviluppo tra il XVII e il XIX secolo.
Gli schiavi deportati furono milioni e la
popolazione del Nuovo Mondo cominciò
ad assumere proprio in questo periodo la
sua ben nota caratteristica multietnica, che
comprende i bianchi discendenti dei coloni
europei, indios, africani e mulatti, cioè nati
dall’unione di diverse etnie.
1453
Caduta di Costantinopoli
1487
Il portoghese Bartolomeo
Diaz doppia il Capo
di Buona Speranza
1492
Colombo scopre l’America
1494
Trattato di Tordesillas: Spagna
e Portogallo si dividono
il Nuovo Mondo
1498
Vasco da Gama circumnaviga
l’Africa
I NODI DELLA STORIA
Ci fu veramente una scoperta dell’America?
È del tutto normale parlare di «scoperta» dell’America da parte
di Cristoforo Colombo sul finire del XV secolo. Si tratta, però, se
ci pensiamo bene, di un convincimento alquanto problematico.
Semmai il continente americano è stato «trovato»: si scopre,
infatti, quello che si cerca e Colombo cercava la via delle Indie.
Tecnicamente, quindi, la sua spedizione è stata un fallimento. Al
contrario i portoghesi riuscirono, fedeli al loro intento, a trovare
il modo di raggiungere veramente l’Oriente, navigando intorno
all’Africa. Ma l’altra ragione che rende discutibile l’espressione
«scoperta dell’America» è la premessa psicologica che la sottintende. Nessuno di noi, come ha osservato un grande studioso
di questi argomenti, l’intellettuale bulgaro T. Todorov, si sognerebbe di parlare di scoperta dell’Inghilterra da parte dei Romani
che la conquistarono, seppure parzialmente, nel II secolo d.C.;
noi percepiamo, infatti, le isole britanniche come una parte della
nostra storia e della nostra identità. Diamo per scontato che
la storia inglese sia un’evoluzione progressiva di popoli diversi,
magari conflittuali, ma tutti destinati a contribuire allo sviluppo
di una medesima storia unitaria. Il continente americano era già
abitato da popolazioni locali, alcune delle quali avevano raggiunto un significativo grado di sviluppo culturale ed economico.
198
© Loescher Editore – Torino
E tuttavia gli europei faticarono a scoprire «l’altro da loro»;
furono decisamente più bravi a conquistare quei territori e a
distruggere quelle civiltà.
L’incontro con l’«altro» non era una novità per il mondo occidentale. I Greci si erano confrontati con i Persiani; i Romani con una
lunga serie di popolazioni barbariche. I contrasti furono feroci
e durevoli nel tempo. Tuttavia, alla fine prevalse l’idea dell’assimilazione e della contaminazione reciproca. La conquista
dell’America ebbe, invece, come risultato quasi immediato
la distruzione totale (circa il 90% delle popolazioni autoctone
morì nell’arco di poche decine di anni, per morte violenta o, più
spesso, per le malattie portate dagli europei). Persino l’ambiente fu trasformato. Tutti ricordiamo i prodotti agricoli importati
dall’America; ma fu ancora più significativo il processo contrario. Sono molti di più, ancora oggi, i frutti della terra introdotti nel
continente americano dalla vecchia Europa che quelli originali.
Non mancarono le voci alte e nobili che si levarono in difesa
dei primi abitanti del nuovo continente: furono, però, minoritarie
e scarsamente ascoltate. La cosiddetta scoperta dell’America
fu, senza dubbio, uno degli eventi più importanti ma anche più
tragici e dolorosi della storia umana.
1519-1521
Cortés sottomette gli Aztechi
1531-1533
Pizarro sottomette gli Incas
1507
Il Nuovo Mondo viene chiamato
America in onore del navigatore
Amerigo Vespucci
1539
De Las Casas denuncia
la riduzione in schiavitù
degli indigeni americani
L’Europa e l’esplorazione del mondo
1 Nel XV secolo, la minaccia turca nel Mediterraneo orientale e il crescente
sviluppo delle potenze europee occidentali creano le condizioni per la
ricerca di nuove vie commerciali verso l’Asia. Con la conquista di Costantinopoli
nel 1453 e con l’occupazione dei Balcani, i Turchi resero sempre più difficili e costosi
i commerci con l’Asia che passavano attraverso il Mediterraneo orientale: ne risentì
in particolare il monopolio di Venezia. Si rendeva necessario scoprire e sfruttare
nuove vie per raggiungere «le Indie». A questa ricerca erano interessati i sempre
più attivi mercanti dell’Europa occidentale, i grandi banchieri europei e le stesse
monarchie nazionali.
2 I portoghesi definiscono una rotta che raggiunge l’Asia circumnavigando
l’Africa. Essi creano quindi basi commerciali e insediamenti coloniali sulle coste lungo questa rotta. I portoghesi si segnalarono per la loro intraprendenza
nella ricerca di rotte marittime verso l’Asia. Il re portoghese Enrico «il Navigatore» e i
suoi successori sostennero e incentivarono i viaggi dei loro esploratori lungo le coste
occidentali dell’Africa. Nel 1498 Vasco da Gama circumnavigò l’Africa e raggiunse
l’India: si apriva per il Portogallo la possibilità di diventare una potenza commerciale.
Vennero poste basi commerciali sempre più ampie lungo le coste dell’Africa orientale e in India.
3 Gli investimenti della Spagna nell’impresa ideata e guidata da Cristoforo
Colombo portano alla scoperta di un «Nuovo Mondo». Nel 1492, appena
espugnata la roccaforte araba di Granada, la corona spagnola decise di finanziare l’impresa di Cristoforo Colombo, un navigatore genovese che riteneva di poter
raggiungere la Cina e l’India viaggiando verso occidente. Ma il suo viaggio lo portò
a sbarcare, il 12 ottobre 1492, su un’isola delle Bahamas, battezzata San Salvador. Colombo aveva scoperto un continente sconosciuto, ma solo altri esploratori
compresero questa novità. Tra questi c’era Amerigo Vespucci: il «Nuovo Mondo»
venne battezzato «America» proprio in suo onore. Altri navigatori – ben presto anche
esploratori al servizio di Inghilterra e Francia – contribuirono a far conoscere il nuovo
continente.
4 Alla fase dell’esplorazione segue quella delle conquiste: gli spagnoli creano il loro impero coloniale e si spartiscono con i portoghesi l’America
meridionale. Al principio l’America apparve ben più povera dell’Asia, ma presto si
diffusero notizie sull’esistenza di antiche e ricchissime civiltà. Gli spagnoli scoprirono
l’Impero azteco e quello degli Incas e vollero sfruttare le risorse naturali dei territori
sui quali queste civiltà si erano sviluppate. Un documento del papa Alessandro VI e
il Trattato di Tordesillas del 1494 assegnarono a spagnoli e portoghesi diverse aree
che essi avevano il diritto e il dovere di conquistare e «civilizzare». Hernán Cortés e
Francisco Pizarro, alla guida di piccoli eserciti, invasero, sconfissero e sottomisero
alla corona spagnola i popoli indigeni.
5 La brutalità e le malattie portate dagli europei causano la scomparsa
del 90% della popolazione indigena; il Portogallo inaugura il cosiddetto
«commercio triangolare». I conquistadores compirono saccheggi e massacri. Poi
ridussero in schiavitù gli Indios, che furono decimati dal brutale trattamento e soprattutto dalle malattie portate dagli europei. Di conseguenza, entro il 1550 il 90%
della popolazione dell’America precolombiana scomparve. Gli spagnoli sfruttarono
i sopravvissuti costringendoli a convertirsi alla fede cristiana e a vivere nelle encomiendas. I portoghesi, da parte loro, idearono il cosiddetto «commercio triangolare»:
importavano in America meridionale schiavi africani pagati con prodotti europei e, in
cambio, ricevevano prodotti agricoli sudamericani da vendere in Europa.
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Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
L’Europa e l’esplorazione del mondo
La scoperta dell’America e le nuove colture
alimentari
La scoperta del continente americano nell’ultimo decennio del XV secolo non solo modificò profondamente
le conoscenze geografiche e la concezione del mondo degli europei, ma provocò una profonda e irreversibile contaminazione biologica tra i due continenti che erano entrati in contatto per la prima volta. Si trattò
di un processo irreversibile di reciproco scambio di numerose specie animali e vegetali che gli storici hanno
denominato «scambio colombiano». Gli effetti e le conseguenze non furono immediate, ma si manifestarono in modo concreto solo dopo poco più di un secolo, circa dalla prima metà del Seicento.
Mais e patata
Le due più importanti piante ad uso alimentare protagoniste dello
«scambio colombiano» furono il mais (detto anche granoturco)
e la patata. Erano del tutto sconosciute in Europa e vi giunsero
nel corso del Cinquecento. Si diffusero nelle campagne europee
come coltivazioni stabili solo nel corso del XVII secolo e divennero due dei principali prodotti dell’alimentazione umana insieme
ai cereali (grano, avena, orzo). Uno dei punti di forza di queste
due piante era la resa o produttività visto che, a parità di terreno
coltivato, producevano il doppio (mais) e il triplo (patata) rispetto
al grano.
La diffusione del mais coinvolse anche la penisola italiana nella
parte centro-settentrionale, soprattutto nella pianura padana, e
segnò la dieta di quest’area con alcuni piatti divenuti tipici come
la polenta. La patata divenne invece la protagonista delle attività
agricole e dell’alimentazione dell’Europa centro-settentrionale
(Francia settentrionale, Germania, Irlanda, Belgio).
Tabacco in fase di essiccazione
Tabacco e cacao
Piante di cacao
Il tabacco e il cacao, piante originarie del continente americano, non
erano destinate a un uso alimentare tradizionale e non trovarono applicazione agricola in Europa perché non potevano ambientarsi nei climi
europei. Tuttavia il consumo di queste sostanze, diffusosi nel XVIII secolo, produsse abitudini individuali e costumi sociali del tutto nuovi.
Cotone e caffè
I conquistatori e colonizzatori europei introdussero nel continente americano molte piante a uso alimentare e industriale, ma tra queste
il cotone e il caffè hanno senza dubbio lasciato il segno più evidente sul panorama agricolo e ambientale del nuovo continente.
Patate
Mais
Pomodoro e peperone
In seguito alla scoperta dell’America giunsero in Europa altre piante alimentari che non ebbero l’importanza e l’incidenza della patata o del mais, ma che, sul lungo periodo, modificarono ugualmente le tradizioni gastronomiche degli europei e, in modo particolare, dell’Italia.
Pomodori
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Peperoni
Piantagione di cotone
Piantagione di caffè
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9
Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento
ATTIVITÀ
2
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
2
Osserva le cartine alle pp. 184 e 190 e rifletti sulle scoperte geografiche e sulla conseguente «rivoluzione
atlantica» del Cinquecento: quali sono le tre vie per raggiungere le Indie? Qual è tra queste la più battuta?
Dove si sposta il nuovo asse commerciale, e cosa comporta per città italiane come Genova e Venezia?
1 Nel
Bartolomeo Diaz raggiunge l’estrema punta meridionale del continente africano, battezzandola
Capo di Buona Speranza
2 Nel
Vasco de Gama parte alla volta dell’India passando per il Capo di Buona Speranza, inaugurando
così una nuova via commerciale
3 Nel
Cristoforo Colombo scopre l’America, convinto di essere approdato sulle coste del Giappone
o della Cina
4 Nel
si compie la prima circumnavigazione del globo terrestre
5 Nel
Spagna e Portogallo firmano il Trattato di Tordesillas
6 Nel
papa Alessandro VI emana la Bolla Inter caetera che stabilisce una linea di separazione tra i territori
americani che spettano a Spagna e Portogallo
7 Nel
Hernán Cortés parte alla conquista dell’Impero azteco
8 Nel
Francisco Pizarro conquista Cuzco, la capitale dell’Impero inca
9 Nel
Hernán Cortés viene nominato governatore della «Nuova Spagna», corrispondente al Messico
e all’America Centrale
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti alle soglie dell’Età moderna.
1
2
3
4
5
6
7
8
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi distingui con due colori diversi gli eventi
riconducibili alla Spagna, e quelli che riguardano il Portogallo. Attenzione, alcuni eventi sono riconducibili a
entrambi gli Stati.
5
L’Europa e l’esplorazione del mondo
Avamposto
Anticorpi
Circumnavigazione
Archibugio
Profezia
Piantagione
Base commerciale
Indigeno
Prova a riflettere sul significato di «principio disumanizzante» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega
perché le teorie dei conquistadores possono essere definite «disumanizzanti».
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa ai nativi americani. Poi rispondi alle domande.
Le conseguenze dell’occupazione europea sui nativi americani
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
In seguito alla presa di Costantinopoli da parte dei (1)
gli Stati europei sono costretti a
ricercare nuove vie per raggiungere le Indie: gli Ottomani, infatti, detengono ormai il completo controllo
del Mediterraneo orientale, ostacolando così i commerci con l’(2)
, le cui ricchezze
(spezie, oro e seta) sono molto richieste in Occidente.
Tra le potenze europee, Spagna e (3)
assumono un ruolo di primo piano nella scoperta
di nuove rotte, avvantaggiate dalla loro posizione geografica: affacciandosi sull’oceano Atlantico,
infatti, esse non sono vincolate alla sola navigazione nel (4)
. Grazie anche ai progressi
compiuti in quegli anni nelle tecniche di navigazione (l’uso della (5)
appreso dagli
Arabi, l’elaborazione di calcoli astronomici sempre più precisi e di carte nautiche aggiornate e
dettagliate), tali potenze conseguono importanti successi: il Portogallo, con la circumnavigazione
dell’(6)
, inaugura una nuova rotta per raggiungere le Indie, strappando a Venezia il
(7)
dei commerci con l’Oriente; la Spagna, invece, nel tentativo di raggiungere l’Asia
procedendo verso occidente, scopre l’America e approfitta delle ricchezze del nuovo continente
costituendo un ricco impero coloniale. In questo modo l’asse dell’economia e dei commerci si sposta
dal Mediterraneo verso l’(8)
.
1 Quali sono le cause della scomparsa quasi totale
della popolazione indigena?
2 Per quale motivo si ricorre agli schiavi africani?
3 In quale modo le grandi potenze europee si dividono
il controllo delle Americhe?
Mostra quello che sai
7
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Osserva l’immagine a p. 194 (in basso) e rispondi alla domanda: quali tra gli elementi raffigurati hanno costituito
un punto di forza per i conquistadores nei confronti degli indigeni?
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Documenti
Statualità
Costantino Mortati, uno dei maggiori costituzionalisti italiani, che partecipò attivamente all’elaborazione della nostra Costituzione, offrì la seguente definizione di Stato: «ordinamento giuridico a fini generali esercitante il potere
sovrano su un dato territorio, cui sono subordinati in modo necessario i soggetti ad esso appartenenti». Lo Stato
è quindi contrassegnato da uno spazio entro il quale, nelle forme varianti a seconda delle condizioni storiche,
sono date le regole, riguardanti sia la dimensione pubblica sia l’ambito privato, valide per tutti coloro i quali
in quello spazio vivono.
Se lo Stato, così come noi lo conosciamo, è il frutto di una evoluzione che contrassegna soprattutto la modernità, a partire – per trovare un riferimento temporale – dalla conclusione delle guerre di religione del XVI-XVII secolo,
la statualità (intesa genericamente come forma di organizzazione politico-giuridica) contrassegna tutte le forme
del vivere associato a partire dalle città dell’antica Grecia (le póleis, da cui deriva il termine «politica», diffuso in
tutte le lingue e che significa lo stare insieme di una comunità). Si tratta però, come si è detto, di un lento, costante
processo evolutivo. Alle origini, dopo la dissoluzione dell’Impero romano, si affermò lo Stato feudale, contrassegnato dalla coesistenza di un feudatario maggiore con altri minori, ciascuno esercitante, nei rispettivi ambiti,
un potere sovrano, e dall’assenza di una chiara distinzione tra ambito privato e sfera pubblica. Le trasformazioni
legate all’emergere dell’economia di scambio e alla maggiore complessità della struttura sociale che ne derivò
non furono estranee all’affermazione, in determinate parti dell’Europa, delle grandi monarchie nazionali, che si costituirono in monarchie assolute. Il successivo passaggio consistette nello Stato di polizia, formula che esemplifica
al tempo stesso la cura del sovrano per il benessere dei sudditi e l’assenza da parte di questi di qualsiasi esercizio
di sovranità: «Tutto per il popolo, niente dal popolo» è la formula che ne definisce l’essenza. Una svolta fu impressa
dalla Rivoluzione francese: sulla sua scia, lo spazio europeo andò organizzandosi, nel corso del XIX secolo, secondo il modello degli Stati nazionali, che si diffusero progressivamente fino ad assumere, nel corso del Novecento
e in seguito ai processi di decolonizzazione del secondo dopoguerra, una «dimensione-mondo». In altri termini, con
la Rivoluzione francese si affermò lo Stato moderno, che, nel corso dei due ultimi secoli, si è trasformato da Stato
aristocratico nel senso etimologico del termine (in cui cioè la titolarità dei diritti politici compete esclusivamente ai
«migliori», cioè ai possessori del potere economico, sociale e culturale) a Stato democratico, il quale poteva essere
effettivamente tale soltanto in quanto Stato sociale (ossia Stato che comprende tra le proprie finalità quella di promuovere il benessere e l’uguaglianza tra cittadini). Sotto questo profilo, la seconda metà del Novecento è stata contrassegnata dalla coesistenza di Stati democratico-sociali di tipo liberale e di Stati sociali a impronta socialista.
Questi ultimi crollarono nel triennio tra il 1989 e il 1991, anno in cui si disintegrò anche il modello originario, l’Unione
Sovietica. Questo modello, fondato sul partito unico, è ancora attivo nella Repubblica popolare cinese, il paese che
nell’ultimo ventennio ha conosciuto i più alti livelli di crescita economica.
Nel mondo contemporaneo lo Stato è in rapida e profonda trasformazione, specie nello spazio europeo. La sua
forma democratico-sociale, che nel corso del Novecento ha consentito un decisivo miglioramento delle condizioni di vita, è entrata in crisi a partire dagli anni Settanta, con la maturità del modello industriale e con l’avvento
dell’economia della conoscenza.
Per definizione lo Stato è un ordinamento giuridico politico che esercita il potere sovrano su un determinato territorio e sulle
persone che vi abitano. Una teorizzazione sempre più organica dello Stato moderno è apparsa a partire dal XV-XVI secolo;
tuttavia, già tra il XII e il XIII secolo in Europa sorsero forme di organizzazione politica particolari e diverse che col tempo
ottennero una crescente autonomia a scapito dell’impero, riuscendo anche a limitare le ingerenze politiche della Chiesa.
Sorsero federazioni, leghe tra città e nuove monarchie feudali (ad esempio in Francia e in Inghilterra) che costituirono il
primo embrione dei futuri Stati nazionali.
1 L’esercizio dei diritti individuali dipende anche dal corretto funzionamento delle istituzioni: sapresti fare un esempio?
2 Che cosa generalmente si pensa che faccia di una legge una «buona legge»?
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1.La teoria dello Stato in Marsilio da Padova
Marsilio da Padova (1275-1342) dopo essersi laureato all’università della Sorbona di Parigi, ne divenne rettore. Vissuto nel periodo
delle lotte tra la Chiesa romana e il re di Francia Filippo il Bello, nelle sue opere si è dedicò proprio all’analisi dei rapporti tra papato
e impero e allo studio dell’organizzazione dello Stato. Critico nei confronti delle pretese universalistiche del papato, fu tra i primi a
dichiarare che il potere dell’imperatore non derivava da Dio o dal papa, ma dalla volontà popolare.
Nelle posizioni della filosofia medievale la teoria di Marsilio è notevole.
Egli, posto tra la filosofia aristotelica e la cristiana, cerca di liberare il
suo Stato dagli antichi limiti al suo
nascimento e al suo sviluppo, e lo
fa con una dottrina organica, che
gli dà una vigile idea di unitarietà e
di complementarità vitale tra parti
aventi distinte funzioni, che al Medioevo sfuggiva. Se l’antica dottrina
unificava la società in Dio, Marsilio
la unifica nella natura umana. […]
Abbandonato il trascendentalismo
antico, scaturisce spontaneo il bisogno di una revisione del concetto
di Stato, e quindi vengono eliminati
Impero e Chiesa, come enti divini,
insopprimibili ed eterni, in cui si
incentra ogni varietà politica, e al
loro luogo è sostituita un’infinita
molteplicità di organizzazioni umane, le più varie e diverse, ma tutte
aventi le stesse esigenze di autonomia e di interiore unitarietà. L’unità
e la sovranità non sono più in Dio,
ma nell’uomo, e quindi il teocratico Impero e l’universale Chiesa
sono svuotati di ogni ragione politica d’essere. I vari Stati di fronte
a loro vengono ad acquisire, come
formazioni naturali, un’importanza
intrinseca. […] La sua concezione
è senza dubbio legata al Medioevo,
ma essa ha compiuto lo sforzo di
restituire una perfetta autonomia
all’Impero, e quindi allo Stato, e con
questo ha aperto il varco al Rinascimento, che darà all’uomo tutto intero il dominio di sé.
F. Battaglia, Marsilio da Padova e la filosofia politica del Medioevo, Bologna, Clueb, 1987
2.Fine dello Stato?
All’inizio di una sua importante opera, il filosofo della politica Pier Paolo Portinaro pone la importante questione dei fondamenti storicamente determinati dello Stato e quindi della finitezza della sua esistenza. Lo Stato cui egli fa riferimento è quello sviluppatosi in
Occidente.
Esso [lo Stato] è in misura eminente il prodotto di un’evoluzione storica complessa e di una stratificata progettazione istituzionale: un
prodotto particolarmente contrastato che s’insedia al centro della
scena politica europea dopo una
lotta secolare che vede la Chiesa,
i comuni, le aristocrazie opporsi
agli sforzi di monopolizzazione del
potere coercitivo, che nemmeno le
grandi rivoluzioni moderne riescono a smorzare. Ma nel momento in
cui, dopo la Rivoluzione francese,
il consolidamento degli Stati appare ormai un dato acquisito, si fa
strada l’idea del loro superamento.
A molti oggi sembra che la parabo-
la di quella grandiosa costruzione
storica possa dirsi compiuta.
La vulnerabilità in effetti è da sempre inscritta nel codice genetico
di ogni singolo Stato e già Thomas
Hobbes, il primo pensatore sistematico ad averne penetrato a fondo la logica, lo aveva riconosciuto:
«sebbene la sovranità, nell’intenzione di quelli che la fanno, sia
immortale, tuttavia, per sua natura, non solo è soggetta a morte
violenta per una guerra esterna,
ma, a causa dell’ignoranza e delle
passioni degli uomini, ha anche in
sé, fin dalla sua stessa istituzione,
molti germi di mortalità naturale,
per discordie intestine».
Ma nel mondo contemporaneo la
coscienza di questa vulnerabilità
trapassa nella consapevolezza che la
funzione storica degli Stati si è esaurita e di conseguenza l’epoca stessa
della statualità è giunta al termine.
L’idea del superamento della formaStato si fa strada già nella cultura romantica tedesca. Sono però le opere
di Saint Simon, di Marx e di Engels
che nell’Ottocento possono essere assunte a spartiacque rispetto al
discorso politocentrico dell’Antico
regime ma anche rispetto alla tradizione utopistica classica. Esse aprono la via alle diverse visioni ideologiche della dottrina dell’estinzione
dello Stato.
P.P. Portinaro, Lo Stato, Bologna, Il Mulino, 1999
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Documenti
Lavoro
Il principio «lavorista» è uno dei cardini del nostro sistema costituzionale. Non solo fonda la Repubblica sul lavoro, ma con l’articolo 4 («La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società») stabilisce anche
sotto questo profilo il fondamentale rilievo attribuito alla possibilità dei cittadini di esplicare, indipendentemente
dalle origini, le proprie capacità. Questo rilievo accordato al lavoro come misura dell’affermazione dei cittadini
costituisce quindi un rafforzamento della dimensione integralmente democratica del nostro ordinamento.
E nel contempo costituisce l’approdo di una lunghissima vicenda storica nel corso della quale si sono succedute
le più varie modalità organizzative, tutte caratterizzate da sostanziale subordinazione dello stato dei lavoratori.
Nel sistema feudale il lavoro era obbligatorio, ereditario e imposto. Con il risveglio economico, con la nascita
e con lo sviluppo dei Comuni rifiorì un’organizzazione del lavoro fondata sulle corporazioni. Erano associazioni
che aspiravano a un ruolo di controllo totale della produzione e del commercio. Esse sorsero prima in campo mercantile, per poi svilupparsi in tutti gli altri settori: artigianato, industria, lavoro intellettuale. La loro influenza coinvolgeva l’economia e la società e si faceva sentire profondamente nella vita politica delle città e nell’esercizio della
giurisdizione. L’organizzazione corporativa favorì una sempre più accurata professionalizzazione nei diversi
mestieri, ma nel contempo si trasformò ben presto in un sistema chiuso, rigido. Era strettamente funzionale a
economie che aspiravano all’autosufficienza, proteggendosi da ogni forma di concorrenza, interna ed esterna.
E nel contempo soddisfaceva le esigenze di sicurezza e di garanzie per quanti ne erano inclusi. La struttura interna rispondeva proprio ai fini di una rigorosa tutela rispetto a quanto era esterno e ai tentativi di ingresso nei
diversi rami di attività di coloro che ne erano esclusi.
Se nel Medioevo le corporazioni si caratterizzavano per il carattere unitario, coeso e omogeneo delle diverse
gerarchie (maestri, lavoratori, garzoni) che le componevano, nell’Età moderna le trasformazioni economiche innescate dalla scoperta del Nuovo Mondo, la nascita degli Stati nazionali, con l’assoggettamento di molte funzioni
al potere centrale, la crescente conflittualità che incominciò a svilupparsi all’interno tra le diverse componenti, ne
agevolarono la decadenza, sancita definitivamente dalla rivoluzione industriale. Infatti, radicali mutamenti sul
piano produttivo e sociale che derivarono da quest’ultima evidenziarono in modo manifesto il sempre più acuto
conflitto tra i possessori dei capitali e i lavoratori, detti «proletari» (perché la sola ricchezza di cui disponevano
erano, appunto, i figli, la prole). La nascita del sindacalismo contemporaneo, che dovette superare aspre battaglie per potersi liberamente e compiutamente esprimere, ha contraddistinto il mondo contemporaneo. Per questa
via sono state garantite la tutela delle condizioni in cui nelle fabbriche e negli uffici si svolgevano le attività, la
salvaguardia dei salari e degli stipendi (i quali hanno pure conosciuto un sensibile miglioramento, almeno fino agli
anni Novanta del secolo scorso), la garanzia del diritto al riposo, al tempo libero, la preservazione della capacità
di guadagno, una volta venuta meno la capacità lavorativa, con i sistemi di previdenza.
In questa accurata architettura contemporanea, è stato decisivo il ruolo dello Stato che nel corso del XX secolo
si è sempre più contrassegnato per la sua dimensione sociale.
A partire dal XIII secolo nelle città europee si sviluppò rapidamente la produzione di manufatti artigianali, grazie al miglioramento dei processi produttivi, all’introduzione di migliorie tecniche e soprattutto all’impiego di una manodopera più
numerosa e via via più specializzata. Si verificò quindi un processo di crescente «divisione del lavoro», con il formarsi di un
ceto di artigiani specializzati in precise attività. Questi si organizzarono in associazioni di mestiere – le corporazioni – che
rappresentano un primo embrione di quei sindacati che apparvero dopo la prima rivoluzione industriale.
1 Che cosa pensi del fenomeno delle «morti bianche», cioè degli incidenti mortali sul lavoro (l’Italia è la «maglia nera» europea)?
Che cosa si dovrebbe fare per limitarlo?
2 Da qualche anno si parla sovente di «lavoro temporaneo», «lavoro interinale», «lavoro a progetto»: cosa si intende?
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1.Lo statuto dell’Arte dei medici e speziali di Firenze (1349)
Il minuzioso Statuto consta di 91 articoli, suddivisi in due libri, che regolano ogni singolo aspetto della vita della corporazione. Qui si
riproduce l’articolo 89, che tratta «Di coloro a’ quali è conceduto e a’ quali è proibito lavorare del mestiere delle dett’arti».
a. A sovenire alle necessità de’ maestri, delle donne e artefici di qualunche e quali ànno bisognio al
prezzo e merce’ del ministero delle
dette arti lavorare, statuito e ordinato è che tucti e ciascuni maestri
delle dette arti, che saranno stati
per lo passato e sono o saranno maestri d’esse arti e lle loro e ciascuno
di loro donne, figliuoli e figliuole e
madri, a esse donne di tali maestri
quando vedove rimanessono e stessono co’ loro figliuoli e figliuole in
casa de’ meariti e vedovate, possono e a lloro sia lecito lavorare del
magistero delle dette arti nella città
di Firenze, borgi e sobborghi, senza fare però alcuno pagamento alla
detta arte ed alcun’altra persona,
non ostante che tale maestro non
si trovi o trovassesi nella matricola
delle dette arti o d’alcuna d’esse;
dummodo esso lavorio non faccino
per vendere, né tenghi discepolo, né
insegnino ad altri la detta arte.
b. E che tali maestri e vedove, come
dicto è, volenti lavorare e ciascuno di
loro, ogni anno, del mese di gennaio
o poi quandunche a’ consoli parrà,
dieno cautione fideiussoria di soldi
cento di f. p. per ciascuno di loro a’
consoli della detta compagnia, da
essere scripta pel notaio delle dette
arti, di lavorare bene e lealmente,
fare e salvare e governare con buona fe’ e senza fraude e d’ubbidire
a’ comandamenti de’ predetti consoli e di guardare le feste, secondo
la forma degli statuti di detta arte. E
in dicto modo tucti gli artefici e lavoranti a prezzo e merce, possino e
a loro sia lecito lavorare come detto
è, dummodo prestino la cautione
predetta e paghino al camarlingho
delle dette arti ogni annod el emse
di gennaio soldi due di f. p. per ciascuno di loro, e lavorii per vendere
non faccino, né tenghino discepoli
o l’arte insegnino, come dicto è, sotto la pena di soldi .XL. per ciascuno
che lavorerà, se non prestata la cautione predetta e pagato soldi due
per ciascuno come dicto è.
R. Ciasca (a cura di), Fonti per la storia delle corporazioni artigiane del comune di Firenze, Firenze, Vallecchi, 1922
2.I giovani e il mondo del lavoro: un contratto di apprendistato del 1260
Per un giovane del Medioevo il primo impatto con il mondo del lavoro era spesso rappresentato dall’apprendistato in una bottega
artigianale. Di seguito il testo di un contratto di apprendistato, redatto in Liguria nel 1260, che stabilisce gli obblighi del giovane
apprendista, Paganino, e del maestro artigiano, Giliolo.
Io Giovanni, sarto, tutore testamentario del mio nipote Paganino, figlio
del fu Guido, sarto, mio fratello,
prometto e convengo con te, Gigliolo, calzolaio, di far stare con te
il suddetto Paganino per i prossimi
sei anni perché impari la tua arte
della calzoleria, promettendoti di
far sì e di procurare che il suddetto
Paganino serva a te e alla tua casa e
svolga i servizi che ti occorrono in
casa e fuori, come si deve e come si
conviene. Che custodisca e conservi fedelmente e senza inganno tutte
le cose tue e di altri che gli saranno
affidate; che non ti sottragga più di
12 denari all’anno e anche questi
non con malizia, che non ti lasci,
che non fugga, che non esca contro la tua volontà di casa tua fino
al suddetto termine. Se per caso
se ne andasse, ti prometto di farlo
ritornare al tuo servizio come prima. Tutto quanto inoltre avrà guadagnato entro il suddetto termine,
lo porrà e lo consegnerà nelle tue
mani o in quelle di un tuo sicuro
rappresentante. In caso contrario
prometto a te contraente la somma
di 10 lire genovesi. Restando valido
il contratto, dandoti inoltre in pegno tutti i miei beni posseduti. […]
E io Gigliolo prometto a te Giovanni di tenere con me il suddetto Paganino fino al termine suddetto, di
dargli vitto e vestito conveniente, di
ammaestrarlo e di istruirlo in buona fede nel mio mestiere o arte e di
non imporgli incombenze che non
debba o non possa svolgere. In caso
contrario prometto a te la somma di
10 lire genovesi. A garanzia dell’osservanza dei predetti obblighi ti do
in pegno tutti i miei beni posseduti.
C. Frova, Istruzione ed educazione nel Medioevo, Torino, Loescher, 1973
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Testimonianze
Documento 1
Testimonianze
Inghilterra: la Magna Charta Libertatum limita i poteri del re (capitolo 4)
La battaglia di Bouvines, nel 1214, consacrò vincitore Filippo II Augusto di Francia in una delle fasi del secolare braccio di ferro con
l’Inghilterra. Essa portò invece sventura allo sconfitto Giovanni «Senza Terra», sovrano d’Inghilterra. I nobili e i mercanti del regno
approfittarono infatti della sua debolezza per imporgli nel 1215 la Magna Charta Libertatum, che limitava in molti campi il potere del
monarca. All’aristocrazia e agli «uomini liberi» venivano riconosciuti parecchi diritti, tra cui quello di essere giudicati da un tribunale
di pari e addirittura quello di resistere con la forza al re che si comportasse in modo arbitrario. Ecco una scelta degli articoli più
rilevanti.
[21] Conti e baroni non siano multati
se non dai loro pari e soltanto in proporzione alla natura del reato […].
[30] Nessuno sceriffo nostro balivo o
alcun altro prenda cavalli o carri di
alcun uomo libero per lavori di trasporto senza il consenso di quell’uomo libero.
[31] Né noi né i nostri balivi prenderemo il legname di altri per i nostri castelli
o altre nostre necessità senza il consenso del proprietario del bosco […].
[39] Nessun uomo libero sia arrestato o imprigionato o multato o messo
fuori legge o esiliato o danneggiato in
alcun modo, né ci volgeremo o manderemo alcuno contro di lui, eccetto
che per legale giudizio di suoi pari o
secondo la legge del regno.
[40] A nessuno venderemo, a nessuno negheremo o ritarderemo il diritto e la giustizia […].
[52] Se qualcuno è stato da noi spossessato o privato senza legale giudizio dei suoi pari di terre, castelli, libertà o suoi diritti, glieli restituiremo
immediatamente […].
[61] […] I baroni eleggano quei venticinque baroni del regno che essi
desiderano, i quali con tutte le loro
forze debbono osservare, mantenere
e far osservare la pace e le libertà che
abbiamo concesso e confermato loro
con questa nostra carta, cosi che, se
noi […] commettiamo mancanza
contro chiunque in qualunque maniera, o trasgrediamo uno qualsiasi
degli articoli di pace o di sicurezza,
e l’offesa è denunciata a quattro dei
suddetti venticinque baroni, quei
quattro baroni vengano da noi […]
e la portino a nostra conoscenza e
chiedano che noi la correggiamo senza indugio. E se noi […] non correggessimo l’offesa entro quaranta giorni dal momento in cui è stata portata
a conoscenza nostra […] i suddetti
quattro baroni riferiscano il caso ai
rimanenti dei venticinque baroni,
i quali tutti insieme alla comunità
di tutto il regno ci danneggeranno e
molesteranno in ogni maniera […]
sino a che, a loro giudizio, sia stata
corretta l’offesa, e quando sarà stata
corretta essi ci obbediranno come facevano prima.
G. Musca, La «Magna Charta» e le origini del parlamentarismo inglese, Firenze, D’Anna, 1973
Documento 2
Spagna: la caduta di Granada e il completamento della Reconquista (capitolo 4)
Il 2 gennaio 1492 Granada si arrese al re di Spagna Ferdinando il Cattolico. Granada era l’ultimo possedimento musulmano nella
penisola iberica e con la sua caduta ebbe termine il lungo processo della «Reconquista» cristiana, iniziato poco dopo l’anno Mille. In
quello stesso giorno, Ferdinando spedì una lettera al papa Innocenzo VIII per annunciargli l’avvenimento.
Oggi, secondo giorno di gennaio del
presente anno novantadue, la città
di Granada si è arresa a noi con l’Alhambra e tutte le fortificazioni che la
costituiscono e con tutte le fortezze
e castelli che noi avevamo ancora da
guadagnare in questo regno, e noi ora
abbiamo questo completamente in
mano e in nostro potere. Comunico a
Vostra Santità una cosi grande fortu-
na, ossia che dopo tante pene, spese,
sacrifici di vite e di sangue dei nostri
sudditi, questo regno di Granada, che
per settecentottanta anni è stato occupato dagli Infedeli, sotto il vostro
regno e col vostro aiuto, è stato conquistato. È il frutto che i Pontefici passati, vostri predecessori, hanno tanto
desiderato, e al quale hanno contribuito per la gloria e l’onore di Dio, Nostro
Signore, e della Santa Sede apostolica.
Dio mantenga in ogni tempo la vostra
santissima persona e la conservi per il
buono e prospero governo della sua
Chiesa Universale.
Scritto nella città di Granada il 2 gennaio 1492. Di vostra Santità umilissimo e devoto figlio, che bacia i vostri
santi piedi e le vostre mani, il re di Castiglia e d’Aragona, e di Granada.
A. Saitta, Storia e tradizione. Panorama critico di testimonianze, Firenze, Sansoni, 1965
Documento 3
L a visione politica di Bonifacio VIII, ultimo grande difensore della supremazia della
Chiesa (capitolo 5)
Al principio del Trecento il re di Francia Filippo IV il Bello impose al clero del suo paese il pagamento delle tasse. Il papa Bonifacio
VIII reagì duramente a questa violazione dell’autonomia della Chiesa ed emanò la bolla «Unam Sanctam», che conteneva la famosa
teoria delle «due spade»: entrambe le spade, la spirituale e la temporale, appartengono al papato, che delega l’uso della seconda ai
principi. Bonifacio VIII fu l’ultimo grande propugnatore del potere universale della Chiesa, ma non realizzò i suoi obiettivi.
Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo
potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero:
«Ecco qui due spade» – che significa
nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare – il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano
sufficienti. E chi nega che la spada
temporale appartenga a Pietro ha
malamente interpretato le parole del
Signore, quando dice: «Rimetti la tua
spada nel fodero». Quindi ambedue
sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una
invero deve essere impugnata per la
Chiesa, l’altra dalla Chiesa, la prima
dal clero, la seconda dalla mano di re
o cavalieri, ma secondo il comando e
la condiscendenza del clero, perché
è necessario che una spada dipenda
dall’altra e che l’autorità temporale
sia soggetta a quella spirituale […].
Perciò se il potere terreno erra, sarà
giudicato da quello spirituale; se il
potere spirituale inferiore sbaglia,
sarà giudicato dal superiore; ma se
erra il supremo potere spirituale,
questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini:
del che fa testimonianza l’Apostolo:
«L’uomo spirituale giudica tutte le
cose, ma egli stesso non è giudicato
da alcun uomo», perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma
senz’altro divina, essendo stata data
a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come roccia per lui e i suoi
successori, in colui che egli confessò,
poiché il Signore disse allo stesso Pietro: «Qualunque cosa tu legherai…».
Perciò chiunque si oppone a questo
potere istituito da Dio si oppone ai
comandi di Dio […]. Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed
affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa
al pontefice di Roma.
S. Ehler, J. Morral, Chiesa e Stato attraverso i secoli, Milano, Vita e Pensiero, 1958
Documento 4
Milano, città libera, ricca e potente (capitolo 6)
Alla fine del Duecento, quando le istituzioni comunali apparivano vicine al tramonto, Milano era la più grande e prospera città dell’Italia settentrionale. Lo racconta in una famosa pagina il cronista Bonvesin de la Riva (1240 ca. - 1315 ca.), enumerando dati sui quali
non abbiamo certezze storiche ma capaci egualmente di trasmetterci il senso della potenza e del benessere di Milano. Dove il popolo
era sovrano, ogni mestiere era rappresentato e qualsiasi merce si poteva comprare.
Secondo miei lunghi calcoli, confermati dalle assicurazioni di molti, più
di settecentomila bocche umane di
ambo i sessi (contando, insieme con
gli adulti, tutti i bambini) vivono sulla
superficie della terra ambrosiana […].
Nella popolosissima città vi sono
sicuramente centoquindici parrocchie, tra le quali ve ne sono alcune
che annoverano senz’altro più di cinquecento famiglie e altre che ne annoverano circa mille […].
Complessivamente abitano questa
città più di quarantamila uomini, capaci ciascuno di maneggiare singo-
larmente contro i nemici una lancia o
una spada o un’altra arma […]. Più di
diecimila uomini […] potrebbero facilmente presentarsi, a un ordine del
comune, con cavalli da guerra […].
Vi sono nella sola città centoventi giureconsulti in entrambi i diritti […].
I notai sono più di millecinquecento
[…].
I periti medici, che vengono comunemente chiamati fisici, sono ventotto. I chirurghi delle diverse specialità
sono più di centocinquanta […].
I professori di grammatica sono otto;
ciascuno di essi tiene sotto la propria
bacchetta una numerosa scolaresca
[…].
I forni che in città, come si sa dai registri del comune, cuociono il pane ad
uso dei cittadini sono trecento […].
I bottegai, che vendono al minuto
un numero incredibile di mercanzie,
sono sicuramente più di mille […].
I macellai sono più di quattrocentoquaranta […].
Gli albergatori che a pagamento danno albergo a gente che viene di fuori
sono circa centocinquanta.
B. de la Riva, De magnalibus civitatis Mediolani, Milano, Bompiani, 2010
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Testimonianze
Documento 5
Testimonianze
Lorenzo il Magnifico rafforza il proprio potere sfuggendo alla congiura dei Pazzi
(capitolo 6)
I congiurati che nel 1478 cercarono di rovesciare il potere dei Medici sulla città incontrarono un clamoroso fallimento perché non
ottennero l’indispensabile sostegno della popolazione. A provocare la rivolta doveva essere l’azione guidata da Francesco dei Pazzi
– una delle grandi famiglie spodestate dai Medici – e sostenuta segretamente da papa Sisto IV. Ma questi interessi di pochi, seppur
potenti, non ottennero lo scopo. Giuliano e Lorenzo furono attaccati nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. Il primo morì, ma Lorenzo reagì e fu aiutato dal popolo che lo sosteneva compatto. Nel brano delle Istorie Fiorentine di Machiavelli che citiamo si sottolinea
il sostegno della gente di Firenze ai Medici e la caccia ai congiurati che si svolge per le vie e nei palazzi della città.
In questo mezzo [nel frattempo, subito dopo che Lorenzo era sfuggito
ai pugnali dei congiurati] tutta la
città era in arme, e Lorenzo de’ Medici da molti armati accompagnato
si era nelle sue case ridutto. Il Palagio
del popolo era stato ricuperato e gli
occupatori di quello tutti fra presi e
morti. Già per tutta la città si gridava
il nome de’ Medici, e le membra de’
morti [oppositori dei Medici o membri della famiglia dei Pazzi], o sopra
le punte delle armi fitte o per la città
strascinate si vedevano; e ciascheduno con parola piene d’ira e con fatti
pieni di crudeltà i Pazzi perseguiva.
Già erano le loro case dal popolo occupate, e Francesco [dei Pazzi] così
ignudo fu di casa tratto, e al Palagio
condotto fu a canto dell’arcivescovo
e agli altri appiccato. Né fu possibile,
per ingiuria che per il cammino o poi
gli fusse fatta o detta, fargli parlare alcuna cosa, ma guardando altrui fiso,
sanza dolersi altrimenti tacito sospirava. Guglielmo de’ Pazzi, di Lorenzo
cognato, nelle case di quello e per
la innocenza sua e per lo aiuto della
Bianca sua moglie si salvò.
Non fu cittadino che armato o disarmato non andasse alle case di Lorenzo in quella necessità, e ciascheduno
sé e le sustanze sue gli offeriva: tanta
era la fortuna e la grazia che quella
casa per la sua prudenza e liberalità
si aveva acquistata.
N. Machiavelli, Istorie Fiorentine, Firenze, Le Monnier, 1990
Documento 7
n viaggiatore europeo all’inizio del Quattrocento vede con i suoi occhi
U
le ricchezze dell’India e dell’Estremo Oriente (capitolo 7)
Niccolò dei Conti, veneziano, compì un lungo viaggio tra il 1414 e il 1439, visitando Baghdad, l’India, Sumatra, Giava, il Borneo e il
Sud-est asiatico. Nei suoi resoconti all’umanista fiorentino Poggio Bracciolini c’è l’eco dello sguardo occidentale sulle meraviglie
dell’Oriente: ricchezze, costumi e religioni diverse, un sistema politico e civile che gli europei giudicavano con indulgente superiorità
(sono «tutti idolatri»), ma dietro il quale si celava la straordinaria vitalità di culture e società antiche e ben organizzate.
Quindi Malpuria [Mailapur, nei pressi di Madras, India] accolse Niccolò.
Qui il corpo di san Tommaso [secondo la leggenda primo evangelizzatore
dell’India] è splendidamente sepolto
in una basilica grande e tutta adorna
e venerato dagli eretici [cristiani di
antica fede non cattolica]. Si chiamano Nestoriti [da Nestoriani: l’antica
setta eretica di cui parte dei membri
emigrarono in India nel V secolo] e
abitano in quella città in un migliaio circa. Essi, come da noi gli ebrei,
sono sparsi per tutta l’India […].
In mezzo all’insenatura è la nobilissima isola Seilana, che ha un giro di
tremila miglia e nella quale si scavano rubini, zaffiri, granate e occhi
di gatto, assai stimati in quel luogo.
produce anche molto cinnamomo.
Quindi giunse a una città ragguardevole dell’isola di Taprobane [Sumatra], dove stette un anno. Afferma
che Taprobane ha un circuito di 1600
miglia. Gli abitanti sono crudeli e di
costumi rozzi: uomini e donne hanno grandi orecchie, a cui appendono orecchini d’oro ornati di gemme,
indossano vesti di lino e di seta fino
al ginocchio. Prendono più mogli,
hanno case basse per evitare il calore del sole. Tutti idolatri, sono ricchi
di pepe, più grosso del comune ed
anche di pepe dai granelli lunghi , di
canfora e di molto oro. L’albero del
pepe è assai simile all’edera, i granelli del pepe sono verdi press’a poco
come i granelli del ginepro, e sparsi
di un po’ di cenere sono abbrustoliti
al sole […].
Per tutta l’India è una schiatta di filosofi detti Brammoni [brahmini] che
si occupano di astrologia e a predire
il futuro, dediti a una vita più civile e
a costumi di vita più rigidi. Dice che
fra costoro ha visto un uomo di 300
anni, e ciò era considerato come meraviglia.
I viaggi in Persia, India e Giava di Niccolò dei Conti, Milano, Istituto edit. italiano, 1960
Documento 6
Dopo la caduta di Costantinopoli la Russia è la nuova patria dell’ortodossia (capitolo 7)
L’ideologia che voleva esaltare Mosca come la «Terza Roma» fu sostenuta vigorosamente da diversi appartenenti al clero ortodosso.
In questo testo, scritto da un monaco anonimo e confluito all’inizio del Cinquecento in una delle più diffuse cronache degli eventi del
tempo, riconosciamo gli elementi-chiave di questa visione: Dio avrebbe abbandonato Costantinopoli – un fatto che fu considerato
epocale e suscitò intense emozioni – proprio per aver chiesto aiuto alla Chiesa e agli Stati cattolici a Mosca sarebbe avvenuta una
nuova fioritura della vera fede. Su queste basi si giustificherà per secoli il potere degli Zar e il loro immenso impero.
Come una tale terra [Costantinopoli]
ha potuto sopportare ciò? Perché il
sole non ha smesso di brillare? Perché
la luna non si è specchiata nel sangue? Perché le stelle non sono cadute
come foglie? Perché il primo fra gli imperatori, Costantino, non ha mosso la
Signora Madre di Dio e tutti i santi a
pregare per gli uomini peccatori e per
allontanare l’ira del Signore? No, gli
uomini pur pregando non si oppongono ai destini del Signore, dal momento che non potrebbero espiare in
nessun modo il loro peccato, tranne
che col fuoco o altri modi simili, poiché anno peccato dalla testa ai piedi,
ossia dai più potenti ai più miseri.
[Tuttavia] dice Dio per mezzo del
profeta: «Ma se di nuovo vi rivolgerete a me con tutto il cuore e l’animo
vostro, vi purificherò dei vostri peccati e vi conserverò nella vostra terra e
allontanerò i vostri nemici dal vostro
viso».
Da queste parole del Signore e dalla
situazione attuale [cioè dal fatto che
Costantinopoli è caduta, ma Mosca
continua libera] si può capire perché egli non ha fatto precipitare totalmente nella disperazione il vostro
impero. E perciò ha lasciato a noi
[Russia] il seme. Questo seme è come
una scintilla nascosta nella cenere –
le tenebre delle forze degli infedeli. Il
seme: cioè i troni dei patriarchi, dei
metropoliti e dei vescovi, e non solo
questo seme, ma anche il capo della fede ortodossa, e tutti questi sono
sani e salvi in tutte le città e le chiese
sante [di Russia].
[…] Tutti i devoti e pii regni, greco,
serbo, bosniaco, albanese e molti altri
a causa dei vostri peccati per volontà
divina sono stati ridotti in schiavitù
dai turchi infedeli, devastati, sottomessi al loro potere. La nostra terra
russa, invece, per la Bontà divina e
per le preghiere della purissima Madre di Dio e dei santi taumaturghi
[autori di miracoli e guarigioni] cresce e vigoreggia ed è esaltata. A lei,
Cristo generoso, permetti di crescere,
di fiorire e di estendersi fino alla fine
dei secoli.
Documento 8
n uomo del XV secolo parla del Medioevo come di un’epoca rozza e oscura:
U
nasce l’idea di «Rinascimento» (capitolo 8)
Matteo Palmieri (1406-1475), umanista e uomo politico nella Firenze dei Medici, scrisse un trattato sulla «Vita civile» in cui esprimeva una visione dell’epoca precedente alla sua come di un periodo rozzo e di decadenza rispetto all’Età antica. Ora finalmente,
sostiene Palmieri, le arti e le lettere stanno vivendo un’età di risveglio. Con simili argomenti prendeva corpo l’idea del Medioevo come
epoca oscura, mentre il Rinascimento, che Palmieri stava vivendo, sarebbe stato la ripresa dello splendore delle arti dopo la triste
pausa medievale durata, egli dice, ottocento o anche mille anni: fino al pittore Giotto e fino ai suoi giorni.
Di quinci [quindi] veggiamo innanzi
a Giotto la pictura morta e maestra di
figure da ridere, da lui rilevata [rinnovata] e da’ suoi discepoli mantenuta
e ad altri data, essere venuta [oggi]
et essere in molti quanto più può
degnissima. Lo ’ntaglio [la scultura]
e l’architettura da noi indietro per
lunghissimo tempo maestre di sciocche meraviglie, in nella età nostra si
sono rilevate, tornate in luce, e da più
maestri pulitesi e fatte perfette. Delle
lettere e liberali studi [grammatica,
matematica, geometria, filosofia…]
sare’ meglio tacere che dire poco.
Queste principatissime conducitrici
e vere maestre d’ogni buona arte per
più d’ottocento anni sono in modo
[a tal punto] state dimenticate nel
mondo, che mai s’é trovato chi n’ab-
bia avuto cognizione vera, né saputo
usare uno loro minimo ornamento,
in tanto che tutto quello che si truova in carte o marmi per grammatica
scritto fra questo tempo meritatamente si possa chiamare grossaggine rozza. [I nostri tempi, invece] più
fioriscono d’eccellenti arti d’ingegno
che altri tempi sieno stati già son mille anni passati.
M. Palmieri, La Vita civile, Firenze, Sansoni, 1982
Anonimo, da La caduta di Costantinopoli, vol. II, L’eco nel mondo, Milano, Mondadori, 1997
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Interpretazioni
Testimonianze
Documento 9
La negazione della dignità umana dei nativi americani nelle parole di Juan Ginés
de Sepùlveda (capitolo 9)
Da una parte gli spagnoli (e più in generale gli europei): religiosi, ingegnosi, civili; dall’altra gli indigeni: feroci, viziosi e pagani, tali da
non potersi definire pienamente «uomini» ma «homuncoli». Questa netta contrapposizione serviva non solo a giustificare la conquista di quelle terre ma anche a scusare massacri e sfruttamento ai danni di popolazioni innocenti. Leggiamo le parole di Sepùlveda,
teologo e consulente dell’imperatore e re di Spagna, nel suo «Trattato sopra le giuste cause della guerra contro gli Indi».
Confronta ora le doti di prudenza,
ingegno, magnanimità, temperanza,
umanità, religione di questi uomini [gli spagnoli] con quelle di quegli
omuncoli [homunculi], nei quali a
stento potrai riscontrare qualche
traccia di umanità, e che non solo
sono totalmente privi di cultura, ma
non conoscono l’uso delle lettere,
non conservano alcun documento
della loro storia (escluso qualche tenue ed oscuro ricordo di alcuni avvenimenti affidato a certe pitture), non
hanno alcuna legge scritta, ma soltanto istituzioni e costumi barbari. E
se, a proposito delle loro virtù, vuoi
sapere della loro temperanza e mansuetudine, che cosa potresti aspettarti da uomini abbandonati ad ogni
genere di intemperanza e nefanda
libidine, molti dei quali si nutrivano
di carne umana?
Non credere che prima della venuta
dei cristiani vivessero in ozio, nello
stato di pace dell’età di Saturno cantata dai poeti, ché al contrario si facevano guerra quasi in continuazione,
con tanta rabbia da non considerarsi
vittoriosi se non riuscivano a saziare
con le carni dei loro nemici la loro
fame portentosa.
[I «messicani», cioè gli Aztechi, furo-
no facilmente sconfitti e sottomessi
da pochi spagnoli, guidati da Cortés].
Non sarebbe stato possibile esibire
una prova più decisiva e convincente per dimostrare che alcuni uomini
sono superiori ad altri per ingegno,
abilità, fortezza d’animo e virtù, e
che i secondi sono servi per natura.
Il fatto poi che alcuni di loro sembrino avere dell’ingegno, per via di certe opere di costruzione, non è prova
di una più umana perizia, dal momento che vediamo certi animaletti,
come le api e i ragni, costruire opere
che nessuna abilità umana saprebbe
imitare.
Lo Stato moderno post-feudale e le assemblee rappresentative dei sudditi della nazione (capitolo 4)
La nascita e lo sviluppo dei grandi regni europei tra XI e XV secolo può essere descritto come il successo delle monarchie contro i poteri
feudali che frazionavano il territorio. Occorre tuttavia sottolineare che i monarchi europei, furono sostenuti nella loro opera dalle forze
che stavano trasformando l’Europa occidentale. Essi, anche se in misura e con modalità diverse, dovettero governare confrontandosi e
persino ottenendo l’approvazione della nobiltà, del clero e della borghesia, che si esprimeva in apposite assemblee rappresentative.
[Il] potere monarchico del Basso Medioevo, in gran parte d’Europa […]
non poteva operare senza il consenso di un’assemblea rappresentativa
appositamente convocata, in cui sedevano dapprima soltanto i nobili, in
quanto vassalli del re, ma dalla fine
del Duecento anche i prelati e i rappresentanti delle borghesie cittadine.
E’ questo un tratto di estrema importanza, che consente di parlare dell’età
tardomedievale come di un’età di
dialogo tra il principe e il paese, in
contrapposizione all’età successiva,
chiamata dell’assolutismo […]. [Le
assemblee] prendevano nomi diversi
a seconda dei paesi; si chiamavano
Parlamenti in Inghilterra, Tre Stati
G. Gliozzi, La scoperta dei selvaggi, Milano, Princpato, 1971
Documento 10
La crudeltà dei conquistadores nelle parole di Bartolomé de Las Casas (capitolo 9)
Il domenicano Bartolomé de Las Casas (1484-1566) fu testimone oculare delle violenze e dei massacri subiti dagli indigeni d’America – che egli considera uomini a tutti gli effetti – per mano dei conquistadores spagnoli. E le sue denunce furono tanto veritiere
e vigorose da costringere Carlo V a emanare leggi protettive per le popolazioni del nuovo continente. Disposizioni che si rivelarono
insufficienti e non impedirono il genocidio degli Indios.
I cristiani, con i loro cavalli, spade e
lance, cominciarono a fare crudeli
stragi tra quelli. Entravano nelle terre, e non lasciavano né fanciulli né
vecchi né donne gravide né di parto,
che non le sventrassero e lacerassero
come se assaltassero tanti agnelletti
nelle loro mandrie. Di solito uccidevano i signori e la nobiltà in questo
modo: facevano alcune graticole di
legni sopra forchette e ve li legavano
sopra, e sotto vi mettevano fuoco lento, onde a poco a poco, dando strida
disperate in quei tormenti, mandavano fuori l’anima […].
Dopo, finite le guerre e con esse le
uccisioni, divisero fra di loro tutti gli
uomini, compresi i giovanetti, le donne e i fanciulli, dandone a uno trenta,
a un altro quaranta, a un altro cento e duecento, secondo che ciascuno era in grazia al tiranno maggiore
che chiamavano governatore […]. La
cura e il pensiero che ne ebbero fu
di mandare gli uomini alle miniere
a cavare oro, che è una fatica intol-
lerabile. E mettevano le donne nelle
stanze, che sono capanne, per cavare
e coltivare il terreno, fatica da uomini
molto forti e robusti.
Non davano da mangiare agli uni né
alle altre, se non erbe e cose che non
avevano sostanza. Si seccava il latte
nel seno alle donne, e così morirono
in poco tempo tutte le creature. È impossibile riferire le some che vi ponevano sopra, facendoli camminare
cento o duecento leghe. E i medesimi
cristiani si facevano portare dagli In
B. de Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie, Milano, Mondadori, 1992
in Francia, Diete in Germania […].
Il ruolo delle assemblee rappresentative era in primo luogo quello di acconsentire o meno alle richieste del
re in materia fiscale […]. Le assemblee rappresentative […] si riunivano
in seguito ad apposite convocazioni;
anche se là dove il loro potere era
più forte, ad esempio in Inghilterra,
le loro sedute assunsero di fatto una
regolare periodicità.
Benché il loro compito fosse il primo
luogo quello di esercitare un controllo sulla fiscalità straordinaria, il peso
politico delle assemblee rappresentative era piuttosto considerevole. La
finanza degli Stati tre e quattrocenteschi, infatti, era organizzata in modo
tale che per intraprendere qualsiasi
iniziativa politica, e ancor più militare, il re era costretto a chiedere ai
sudditi un finanziamento straordinario; e per ottenerlo era necessario
spiegare lungamente alle assemblee
le motivazioni della richiesta. Le assemblee erano dunque chiamate a
svolgere una funzione consultiva
[…]; e anzi, di fatto, esercitavano un
controllo sulla sua politica, tanto più
forte quanto più il re si trovava in difficoltà. In situazioni di grave crisi, ad
esempio durante una reggenza o davanti a una grave minaccia militare,
le assemblee potevano addirittura
esercitare un’attività di supplenza
politica […].
A. Barbero, C. Frugoni, Dizionario del Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2002
L’economia nel Trecento: «crisi» o «ristrutturazione»? (capitolo 5)
È certo che nel corso del Trecento ampi strati della popolazione europea soffrirono a causa della fame, delle epidemie e delle guerre.
Tuttavia, gli storici dell’economia, come Carlo Mario Cipolla, più che di «crisi» preferiscono oggi parlare di «ristrutturazione»: un’evoluzione non certo priva di sofferenze e contrasti, ma che era inevitabile e portò a una nuova stagione di sviluppo.
Le falcidie provocate dalla pandemia
del 1347-51 e dalle epidemie seguenti mantennero per oltre un secolo la
popolazione europea su livelli sensibilmente ridotti rispetto a quelli
raggiunti prima del 1347. Per l’Inghilterra è stato provato che con una
popolazione ridotta a circa due terzi
la produzione di stagno continuò a
mantenersi sui livelli precedenti: il
che ovviamente significa che la produzione pro capite aumentò di circa
il 30%. […]. Attorno al 1300 la produzione totale europea di ferro pare si
aggirasse sulle 25.000-30.000 tonnellate. Alla fine del secolo la produzione
di ferro era probabilmente aumentata a circa 40.000 tonnellate […].
Il successivo martellamento di gra-
vi epidemie non ebbe naturalmente
conseguenze solo sul livello medio
della produzione pro capite, ma anche sulla redistribuzione del reddito.
Tra il 1350 e il 1500 i salari andarono progressivamente aumentando,
mentre la rendita e l’interesse dimostrarono una tendenza alla stagnazione o al ribasso. […]
Il contrastante andamento nel periodo 1350-1500 dei salari reali da una
parte e della rendita e dell’interesse dall’altra concorda con l’idea di
un’economia nient’affatto depressa
[…]. Le classi contadine migliorarono la loro posizione economica e sociale rispetto alla classe dei proprietari terrieri. […] Artigiani e lavoratori
cittadini migliorarono la loro posi-
zione relativa nei riguardi dei gruppi
mercantili-imprenditoriali. Quanto
di sa della storia del costume conferma queste affermazioni. […] Il camino, la scodella individuale, la sedia al
posto della panca, la dote di qualche
consistenza cominciarono ad essere
cose più frequenti.
Alla fine del Quattrocento il progresso […] non risultava evidente solo
nel livello dei consumi, ma anche nel
livello e nelle possibilità di investimento. Ancora nel secolo XI diversi
«capitalisti» veneziani dovevano metter insieme le loro risorse per poter
comprare un’ancora […]. Alla fine del
Quattrocento il comprare un’ancora
non era più un problema nemmeno
per un singolo mercante […].
C.M. Cipolla, Storia economica dell’Europa preindustriale, Bologna, il Mulino, 1974
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Interpretazioni
Interpretazioni
Lo Stato regionale italiano, tra potere centrale e «diritti» dei potentati «locali» (capitolo 6)
Medioevo e Rinascimento: mondi estranei o in progressivo sviluppo l’uno verso l’altro? (capitolo 8)
Per lungo tempo l’affermazione della Signoria è sembrata agli storici un fatto negativo, un passo indietro rispetto alle antiche libertà
comunali. Più di recente si è visto nella concentrazione di ogni potere in mano di un solo uomo una prefigurazione, anche in Italia, del
moderno Stato monarchico. Lo storico G. Chittolini evidenzia una delle caratteristiche dello Stato regionale italiano che lo distingueva
dalle grandi monarchie europee: si trattava di un potere centrale certamente forte, che però doveva ancora mediare, per garantire
unità e compattezza al piccolo principato, con molti poteri locali (città, feudi, comunità rurali).
L’interpretazione della creatività e del dinamismo che si registrano come una fase di ripresa dopo un lungo periodo di oscurità ha
portato alle categorie di «Rinascimento» e «Medioevo», intese come due epoche contrapposte. Oggi, tuttavia si preferisce parlare di
continuità ed evoluzione della civiltà europea. Lo storico F. Chabod fa il punto sul dibattito e propone una sua soluzione: nel Rinascimento giungono a piena espressione modi di vita ed elementi di cultura certamente non del tutto assenti nel Medioevo, ma che in
quella fase diventano una visione del mondo organica ed esplicita.
È da notare innanzitutto come la
formazione dei nuovi Stati […] fosse avvenuta mediante l’acquisizione
separata, in tempi e modi diversi, di
nuclei territoriali frazionati, spesso
acquistati in minuscoli frammenti.
Là dove il frazionamento municipale
e signorile era stato più intenso, l’affermazione dell’autorità del sovrano
[…] era avvenuta castello per castello, feudo per feudo, villaggio per villaggio.
Ma anche in quelle aree in cui pure
il comune cittadino aveva compiuto
un grosso sforzo di unificazione territoriale […] la crisi della città stato
aveva lasciato alle sue spalle una situazione spesso disgregata che aveva
reso più ardua l’opera di ricomposizione. […]
Altrettanto eterogenei […] erano i
fondamenti di legittimità che i nuovi
Stati rivendicavano […]. Si era trattato, talvolta, di un atto formale di sottomissione a un signore da parte di
un consiglio cittadino; talvolta della
concessione a lui di una balìa [una
magistratura straordinaria con poteri
eccezionali]; talvolta del nudo diritto
di conquista; talora di una sottomissione rivestita di forme feudali. Di
fronte ai vecchi feudi il nuovo principe (o la dominante) si ponevano
come nuovi suzerains [«sovrani» feudali, cioè signori a capo di una gerarchia feudale] o si facevano essi stessi
feudatari per farsi investire legittimamente di diritti su un territorio […].
Spesso diritti di Signoria erano semplicemente donati, o acquistati in
denaro sonante […].
Non è, insomma, lo Stato italiano
del Rinascimento, quello «Stato moderno» o meno che mai quello «Stato assoluto» che si è talvolta troppo
frettolosamente intravvisto. […] Lo
Stato regionale si trova viceversa ad
essere costituito da un gran numero
di ordinamenti particolaristici laboriosamente coordinati. […] Una costruzione elastica […] l’unica però
che […] riuscisse ad abbracciare in
un unico assetto forme di organizzazione politica così vivaci e diverse.
Il quadro tradizionale dell’antitesi
Medioevo-Rinascimento è già pienamente tracciato dagli uomini del
Quattrocento e del Cinquecento […].
Crollo dell’Impero romano, trionfo
del Cristianesimo avverso all’antica
civiltà pagana, fine di quest’ultima,
tenebre del Medioevo: è il quadro
classico […]. [Un quadro che ebbe
poi seguito anche nel secolo successivo], basti pensare alla celeberrima
opera di Jakob Burckhardt, La civiltà
del Rinascimento in Italia, capolavoro [del 1860] da cui il Rinascimento
usciva fuori come uno splendido fiore, d’improvviso sbocciato in mezzo
al deserto […].
Del tutto opposti al quadro tradizionale del Rinascimento sono i risultati
e le affermazioni di parte della critica
recente [… che] hanno infatti condotto ad una netta riabilitazione della vita
dell’età di mezzo, anche dal punto di
vista artistico-letterario. […] Si è visto
come la civiltà antica non sia affatto
andata smarrita […] e abbia invece
lasciato in eredità ai secoli di mezzo
norme giuridiche, consuetudini economiche e, anche, tradizioni culturali;
si è posto in rilievo come, al di sotto
dell’apparente uniformità «religiosa»
dei secoli tra il VI e il XIV, sia vissuto
un mondo complesso di sentimenti e
di idee […]; si sono riscoperti periodi
di rifioriture intellettuali ed artistiche
pur nei secoli che un tempo erano
detti i secoli di ferro, e si è parlato di
una rinascenza carolingia, di una rinascenza ottoniana, anche prima,
dunque, di giungere alla rinascenza
francese del secolo XII. […]
Si pone così nettamente il problema:
che cosa dobbiamo intendere per Rinascimento?
Quello per cui il Rinascimento è tale
[…] è il modo con cui i propositi e
le azioni degli uomini vengono sistemati concettualmente e da puro
agire pratico, istintivo, diventano un
credo spirituale, un programma […]
ideale di vita, norma teorica […].
F. Chabod, Il Rinascimento, in Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, 1967
G. Chittolini, La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello Stato nel Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 1993
«Civilizzare» o «colonizzare»? La pretesa superiorità culturale giustifica la violenza? (capitolo 9)
Il dinamico sistema sociale dell’Impero ottomano (capitolo 7)
Nel 1453 Costantinopoli cadeva e dopo mille anni l’Impero romano d’Oriente cessava di esistere. Ma chi erano i conquistatori Ottomani, questi stranieri «infedeli» alle porte dell’Europa? Lo storico R. Polacco illustra come l’Impero ottomano fosse ben governato e
basato su un sistema sociale al quale gli europei avrebbero potuto, almeno in parte, ispirarsi.
La società ottomana possedeva una
complessa organizzazione, il cui scopo era quello di mantenere il «cerchio
dell’equità», vale a dire un rapporto
di equilibrio tra le diverse strutture
sociali.
Il sultano era la massima autorità civile e religiosa e per esercitare il potere si avvaleva della classe militare,
che a sua volta veniva mantenuta
dalle ricchezze prodotte dal popolo.
La società turca era divisa tra sudditi
(reaya) e classe dirigente e tra musulmani e non musulmani, tuttavia le
divisioni non erano così nette come
in Europa, dove vigevano schemi
rigidissimi. Nell’Impero ottomano
ogni individuo poteva entrare a pie-
no titolo a far parte della classe dirigente senza preclusioni etniche o di
classe, poiché contavano soprattutto
le capacità individuali, unite naturalmente alla lealtà verso il sultano,
all’accettazione della religione islamica e all’adesione a quel sistema
di credenze , tradizioni e cultura che
formava l’essere ottomano […].
In un’epoca in cui l’Europa progredita lasciava dipendere la vita di un
uomo dalla fortuna della nascita, la
mobilità sociale che offriva l’Impero
ottomano era una forza dirompente
e rivoluzionaria di grande portata.
Quest’apertura spinse molti occidentali verso il mondo turco e creò
un fenomeno fortemente avversato
e stigmatizzato dalla cristianità. Il
flusso di rinnegati o convertiti […]
era composto di uomini appartenenti alle classi sociali più disparate
[…] animati dal desiderio di abbandonare i limiti angusti della propria
esistenza, costretti dal bisogno di
evitare qualche condanna, spinti da
curiosità intellettuale, recidevano i
fili del passato, bruciavano il passaporto della nazionalità e si stabilivano in Oriente. Questi «cristiani di
Allah» […] riuscirono spesso a costruirsi nel mondo degli infedeli una
vita migliore di quella cui avrebbero
potuto aspirare in patria. E non furono rari i casi di carriere eccezionali e
fortunate.
Gli storici hanno analizzato attentamente cronache del Quattro-Cinquecento, per cercare di comprendere le motivazioni di chi sostenne che gli Indios non erano uomini, o almeno non lo erano pienamente, ma anche quelle di chi li difese. Leggiamo una pagina
tratta dalla fondamentale opera di Tzvetan Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro». Todorov riflette a proposito
dell’azione «civilizzatrice» – oggi invece detta «colonizzatrice» – degli spagnoli nei confronti degli indigeni.
Taluno potrà stupirsi di veder stigmatizzate col nome di «colonialismo»,
che ai nostri giorni è un insulto, tutte
le forme assunte dalla presenza della Spagna in America. Fin dall’epoca
della conquista, gli autori appartenenti al partito filospagnolo non
hanno mancato di insistere sui benefici apportati dagli spagnoli in quelle
selvagge contrade. […] È innegabile
che vi furono alcuni apporti positivi:
progressi tecnici, ma anche […] simbolici e culturali. Si tratta pur sempre di colonialismo? In altri termini,
ogni influenza è sempre nefasta, per
il solo fatto di provenire dall’esterno?
Posta in questa forma, la questione
non può ricevere, mi sembra, che
una risposta negativa. […]
Ma esiste anche un altro principio,
quello di autodeterminazione e di
non ingerenza. Come conciliarlo con
l’altro? Non è contraddittorio rivendicare il diritto all’influenza e condannare l’ingerenza? No, anche se la cosa
è tutt’altro che scontata e richiede delle precisazioni. Non si tratta di giudicare il contenuto, positivo o negativo,
di questa o di quella influenza: si potrebbe farlo solo con criteri del tutto
relativi, e si rischierebbe, in ogni caso,
di non essere mai d’accordo, tanto
complesse sono le cose. […]
È possibile in compenso stabilire un
criterio etico in base al quale esprimere un giudizio sulla forma delle
influenze: l’essenziale, direi, consiste nel sapere se esse sono imposte o
proposte. La cristianizzazione, come
l’esportazione di qualsiasi ideologia
o tecnica, è condannabile non appena è imposta […]. Imporre agli altri
la propria volontà sottintende che ad
essi non viene riconosciuta la nostra
stessa umanità (e proprio ciò rappresenta un indice di inferiorità culturale). Nessuno ha chiesto agli indiani se
desideravano la ruota, i telai, le fucine;
sono stati costretti ad accettarli. In ciò
risiede la violenza, che non dipende
dall’eventuale utilità di quegli oggetti.
T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», Torino, Einaudi, 1984
R. Polacco, Bisanzio Costantinopoli Istanbul. Storia e arte di una città imperiale, Venezia, Corbo e Fiore, 1994
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Unità 2 • Dalla fine del Medioevo al Rinascimento
Verso la Prima prova: saggio breve
Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale
1 Leggi attentamente il seguente documento relativo al periodo delle esplorazioni e delle scoperte geografiche e scrivi
4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sulla nascita delle monarchie
un titolo appropriato. Poi sottolinea in verde le parole o le frasi che permettono di individuare la collocazione spaziale
degli avvenimenti e in blu quelle utili a individuarne la collocazione temporale.
Hanno cominciato già molti anni or sono i Re del Portogallo a costeggiare per cupidigia di guadagni l’Africa, e portatisi a
poco a poco fino alle isole di Capo Verde, preso pian piano maggior coraggio, andarono navigando, con un lungo giro, fino al
Capo di Buona Speranza, e da lì, volgendosi ad oriente, hanno navigato per l’Oceano fino al Golfo Arabico e al Golfo Persico.
In quei luoghi i mercanti d’Alessandria solevano comperare le spezierie, per lo più provenienti dall’India; poi per terra, in
mezzo a difficoltà e spese di ogni genere, le portavano ad Alessandria e quindi le vendevano ai mercanti veneziani, i quali
a loro volta, portatele a Venezia, ne fornivano tutta la cristianità, traendone grandissimi guadagni. Essi, infatti, essendo i
soli ad avere in mano le spezierie, stabilivano i prezzi a loro arbitrio, e sulle medesime navi con le quali le avevano portate
da Alessandria, caricavano molte altre mercanzie, per poi sbarcarle a Venezia. Questo giro d’affari accresceva molto le
entrate della Repubblica grazie alle varie gabelle. Ora però i Portoghesi si sono impadroniti di quel commercio che prima
era proprio dei mercanti di Alessandria, e portano le spezierie nei luoghi dove le portavano prima i Veneziani; navigazione
certamente ammirevole, per sedicimila miglia per mari del tutto sconosciuti e sotto altri cieli. Nonostante questa difficoltà, col
tempo tale navigazione è diventata per loro così famigliare che, se prima vi impiegavano dieci mesi ora ve ne impiegano sei.
Più ammirevole ancora è stata la navigazione degli Spagnoli, cominciata dal genovese Cristoforo Colombo […] Egli,
impetrate dal Re di Spagna certe navi, dopo aver navigato per trentatré giorni verso occidente, scoprì alcune isole delle
quali non si aveva alcuna notizia. Isole felici sia per la posizione sia per la fertilità, e perché - all’infuori di certe popolazioni
che si cibano di carne umana - quasi tutti gli abitanti sono di costumi semplicissimi, contenti di quello che produce la
natura, non tormentati né da avarizia né da ambizione, e però infelici perché non hanno una religione, né cultura, né abilità
tecniche, né arte militare. Sono quasi come animali mansueti, facilissima preda di chiunque li assale.
Onde gli Spagnoli, allettati dalla facilità di occupare quelle terre e dalla ricchezza della preda, poiché in esse sono state
trovate abbondanti vene d’oro, hanno cominciato ad abitarle. Sono poi penetrati più a fondo Cristoforo Colombo, Amerigo
Vespucci e molti altri, scoprendo altre isole e grandissimi paesi di terra ferma. In alcuni di essi c’erano costumi civili, ma
tutte genti imbelli e facili ad essere predate, per cui gli Spagnoli, estraendo oro e argento dalle cave, o comperandolo dagli
abitanti a prezzo vilissimo, o rubandoglielo, ne hanno portato in patria una quantità infinita. Anzi, l’ardire degli Spagnoli
s’è spinto fino al polo antartico e poi, attraverso uno stretto, fino al grande mare che li ha portati in Oriente, così che hanno
circuito tutta la Terra. Degni dunque di lode sono […] gli Spagnoli perché dalla loro navigazione è venuta a noi notizia di
cose tanto grandi e ignorate.
nazionali (capitolo 4), che potrai poi esporre oralmente.
In Inghilterra
Guglielmo il Conquistatore re
d’Inghilterra à Dominio dei nobili
normanni à Organizzazione
del territorio in contee à Controllo
dei funzionari regi
In Francia
Conquista di Filippo II Augusto
dei territori nelle mani
dei feudatari à Amministrazione
centralizzata del fisco à Incremento
dei funzionari regi à Diffusione
dei tribunali regi à Costituzione
di un esercito permanente à Vittoria
della Guerra dei Cent’Anni
Magna Charta Libertatum
à Affermazione del Parlamento
à Monarchia parlamentare
Sconfitta della Guerra dei
Cent’Anni à Guerra delle Due Rose
à Affermazione della dinastia
dei Tudor à Nuova coesione
all’interno del paese
In Spagna
Successo della Reconquista
à Suddivisione del territorio in
quattro regni: Navarra, Portogallo,
Castiglia e León, Aragona
à Rafforzamento del potere regio
a scapito della nobiltà feudale
Matrimonio tra Isabella di Castiglia e
Ferdinando d’Aragona à Unificazione
dei due regni à Nascita del
regno di Spagna à Eliminazione
dell’opposizione interna
Espugnazione del regno di Granada
à Diffusione della dottrina cristiana
à Cacciata dei discendenti degli
Arabi à Espulsione degli ebrei
F. Guicciardini, Storia d’Italia, Firenze, Sansoni, 1982
Verso la Terza prova: quesiti a risposta singola
nelle mani del sovrano
2 Rispondi in tre/cinque righe ai seguenti quesiti.
1Che cos’era e perché venne concessa la Magna Charta
Libertatum? Quali importanti principi conteneva?
2Per quali ragioni scoppiò la Guerra dei Cent’Anni tra
Francia e Inghilterra?
3Spiega brevemente che cosa accadde in ciascuna delle
quattro fasi in cui si può dividere la Guerra dei Cent’Anni.
• Centralizzazione del potere
• Sovranità su un territorio ampio
4Spiega quali furono le cause della diminuzione della
produzione agricola che contribuì a provocare la cosiddetta
«crisi del Trecento».
5Quali erano gli Stati regionali nell’Italia del Quattrocento e
da chi erano governati?
e unificato
• Condivisione della lingua,
della cultura e della storia
• Senso di appartenenza a
una nazione
Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta
3 Costruisci uno schema sul declino del potere imperiale e di quello papale (capitolo 5), usando anche i seguenti concetti.
Nascita delle monarchie nazionali
in Francia, Inghilterra e Spagna
Federico II di Svevia • Bolla d’Oro • Vespri siciliani • Bonifacio VIII
Clemente V • cattività avignonese • Grande scisma d’Occidente • sette
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