Orizzonti 1 U2 C9 File
Transcript
Orizzonti 1 U2 C9 File
L’Europa e l’esplorazione del mondo Mar Gl aci al e Ar tico nav S Nuova Spagna (Messico) Cuba RUSSIA i A s r i i S a h a r a o A f r i c a Gabon A Cile t i c o a n t l Sudame ric a a Kamcatka ˇ a Giappone Persia Brasile Carico e scarico di navi mercantili nel porto di una città anseatica, disegno acquerellato. Mongolia A rab ia Tibet C i n a Oceano Pac i f i c o In d ia Siam n Tropico del Capricorno e PORTOGALLO SPAGNA Equatore Oceano Pacifico b FRANCIA Nuova Terranova Scozia A r t i c o ia S ca di INGHILTERRA a O c e Tropico del Cancro n Islanda Nordamerica G l a c i a l e Filippine Somalia Sumatra Borneo Giava Madagascar Oc eano Ind iano Nuova Guinea Australia Capo di Buona Speranza Terre conosciute dagli europei nel 1400 Terre scoperte fino al 1500 Capo Horn Terre scoperte fino al 1600 Direttrici delle nuove scoperte Le scoperte geografiche tra Quattrocento e Cinquecento 9.1 La scoperta del «Nuovo Mondo» Il difficile commercio con le «Indie» nel Quattrocento Dossier 12 p. 350 Quentin Metsys, Il cambiavalute e sua moglie, 1514, Parigi, Louvre. Capo Nord Circolo Polare Artico Labrador M a r Isole Svalbard Groenlandia Nel corso del XV secolo, l’economia europea si lasciò definitivamente alle spalle la crisi trecentesca e conobbe un periodo di piena espansione: la popolazione riprese a crescere e anche le città e le produzioni manifatturiere tornarono a svilupparsi. Vi fu di conseguenza un nuovo sviluppo dei commerci, al quale parteciparono sia le potenti associazioni dei mercanti italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi, sia le stesse monarchie nazionali, interessate a imporre le loro nazioni nel grande gioco dell’economia internazionale. D12 Nel 1453, però, i Turchi ottomani avevano conquistato Costantinopoli ottenendo il completo controllo del Mediterraneo orientale, e minacciavano addirittura di espandersi verso l’Europa centrale partendo dai Balcani. Per Venezia, che aveva detenuto per secoli il monopolio dei commerci con l’Oriente, e per tutti gli altri Stati europei divenne allora difficile continuare a vendere e acquistare merci provenienti dall’Asia, l’immenso territorio che gli occidentali indicavano con il nome generico di «Indie». Venezia, che pure era uno Stato ancora forte (godeva inoltre del periodo di pace garantito in Italia dal trattato di Lodi ) e rappresentava l’avamposto europeo verso Oriente, privata dell’appoggio dell’Impero bizantino stava perdendo una dopo l’altra le sue basi commerciali. Era necessario, dunque, cercare nuove vie per giungere alle Indie: percorsi sicuri, liberi dalle imposizioni e dai condizionamenti imposti dai Turchi e percorribili con grandi quantità di merci. Era questo l’interesse di compagnie di mercanti sempre più ricche e organizzate, disposte per questo scopo a investire ingenti capitali. Le vie terrestri già aperte in quegli anni erano troppo lente e pericolose per sostenere i crescenti volumi di merci richiesti dall’economia europea in piena espansione. Queste nuove vie di comunicazione dovevano quindi essere marittime e collegare direttamente e in piena sicurezza i porti europei al Golfo Persico, all’India, al Sud-est asiatico e alla Cina. I progressi nelle tecniche di navigazione Tra gli Stati nazionali europei che avevano le risorse sufficienti per dedicarsi alla ricerca di una nuova via verso l’Asia, un ruolo di primo piano assunsero la Spagna e il Portogallo, affacciate sull’Oceano Atlantico: si trattava di potenze relativamente giovani e la posizione geografica – che non le vincolava alla sola navigazione nel Mediterraneo – le favorì in modo determinante nella ricerca delle nuove vie. L’avvio delle esplorazioni oceaniche fu facilitato da una serie di importanti pro- gressi nelle tecniche di navigazione. L’uso della bussola, che i navigatori italiani avevano appreso dagli Arabi, era ormai diffuso, e i calcoli astronomici (con astrolabi perfezionati) per stabilire e verificare le rotte erano sempre più precisi. D7 Le carte nautiche, molto dettagliate, venivano aggiornate rapidamente a seguito di nuove esplorazioni, indicando anche la direzione e l’intensità stagionale dei venti. D8 Cominciarono ad essere prodotti anche nuovi modelli di navi: più robuste, dotate di scafi più piccoli ma con alte «murate» (cioè fianchi) per fronteggiare meglio le imponenti onde oceaniche in tempesta. Queste navi avevano stive più profonde e un sistema di ponti sovrapposti con una forma arcuata che consentiva alle acque di defluire subito in mare. Erano più veloci perché spinte da velature non più limitate a una sola o a poche vele quadrate, ma montavano veri e propri sistemi complessi di vele di diversa forma (ad esempio quella «latina», cioè triangolare), posizione (anche a prua e poppa) e orientamento, in grado di sfruttare anche venti più deboli e di diversa provenienza rispetto alla linea di navigazione o di sostenere la spinta di quelli più impetuosi. Le navi, inoltre, montavano un unico e maneggevole timone di poppa, che aveva ormai sostituito l’antiquato sistema di pilotaggio basato su due lunghi remi laterali. Verso il 1430 comparve la più celebre di queste nuove navi: la caravella. Essa era relativamente piccola – ben più piccola di una tradizionale galea a remi –, ma era robusta e molto maneggevole, perché sfruttava vele quadrate per la spinta e vele triango- © Loescher Editore – Torino 184 1200 Un astrolabio. astrolabio: strumento utilizzato per determinare l’altezza del sole o di un qualsiasi altro astro rispetto alla linea del’orizzonte e poter così individuare la latitudine. Dossier 7 p. 340 Dossier 8 p. 342 Una bussola. © Loescher Editore – Torino 1364 Dondi costruisce l’astrario Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco 1430 Appare la caravella XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa 1550 185 2 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento e le tecniche giuste per affrontare il rischio di una stagione di impegnative esplorazioni oceaniche. In pochi decenni da queste esplorazioni giunse un ampliamento degli orizzonti inaspettato e senza precedenti. Isole del Capo Verde A f r i c a Golfo di Guinea l Equatore Mombasa Oceano Indiano i c o n t 1200 Calicut Mozambico Tropico del Capricorno Capo di Buona Speranza La via della circumnavigazione dell’Africa era già percorsa con successo dai navigatori portoghesi. Isabella decise quindi di dare fiducia a un esperto navigatore di origine genovese, Cristoforo Colombo (1451-1506), convinto che fosse possibile « buscar el Levante par el Poniente » , cioè raggiungere l’Oriente navigando verso Occidente. Egli aveva concepito questo progetto seguendo le idee dell’astronomo e matematico fiorentino Paolo Dal Pozzo Toscanelli (1397-1482), Tweet Storia p. 358 Juan Cordero, Cristoforo Colombo alla corte dei re cattolici, 1850. © Loescher Editore – Torino 186 Gabon a La partenza di Colombo da Palos in un dipinto di A. Cabral Bejarano. India t Tweet Storia p. 358 Espugnata nel 1492 Granada, ultima roccaforte araba nella penisola iberica, i sovrani spagnoli Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, divenuti sovrani di un intero Stato nazionale, compresero che per assicurare ricchezza al proprio regno e garantire alla Spagna un ruolo di primo piano nel nuovo scenario delle esplorazioni geografiche era necessario imitare i re del Portogallo. Tropico del Cancro A Un ritratto del navigatore portoghese Bartolomeo Diaz. La reazione degli spagnoli e l’incarico a Cristoforo Colombo Vasco da Gama PORTOGALLO Sagres Azzorre o Un quadrante. lari per la manovra. Successivamente fu sviluppato il galeone, una nave più grande che poteva anche avere tre ponti sovrapposti e caricare una maggiore quantità di merci e file parallele di cannoni. A metà del Quattrocento, quindi, gli europei occidentali, e in primo luogo portoghesi e spagnoli, avevano gli interessi commerciali, i capitali, la volontà politica Bartolomeo Diaz n Una carta nautica del XV sec. Il Portogallo si era reso indipendente dagli Arabi fin dal 1250, ben prima della Spagna, che liberò completamente le proprie coste mediterranee solo nel 1492. Re Enrico, detto il Navigatore (1394-1460), e i suoi successori, rendendosi conto di quanto fosse importante per il Portogallo trovare nuove vie commerciali, incoraggiarono con ogni mezzo lo sviluppo della flotta e spinsero molti navigatori a giungere nelle Indie circumnavigando l’Africa. Nel 1471 i portoghesi raggiunsero l’equatore e nel 1487 Bartolomeo Diaz si spinse fino all’estrema punta meridionale del continente africano, battezzandola Capo di Buona Speranza. Dieci anni più tardi, nel luglio 1497, Vasco de Gama partì dal porto di Lisbona, superò il Capo di Buona Speranza proseguendo verso est e giunse fino a Calicut (Calcutta) in India. Tornò in patria nel 1499 dopo aver acquistato un carico di spezie: la nuova via dei commerci era stata trovata. Nel corso delle loro esplorazioni, i portoghesi posero delle basi commerciali lungo le coste dell’Africa: sulla costa occidentale le isole di Capo verde, la Guinea e l’Angola, sulla costa orientale il Mozambico; in un secondo momento, dopo aver respinto con le navi munite di cannoni gli attacchi dei mercanti arabi, fecero lo stesso anche in India. Era l’inizio di una vera strategia di conquista. Nel 1502, in un secondo viaggio, Vasco de Gama minacciò il sovrano di Calicut con quindici navi armate di cannoni e lo costrinse a stabilire regolari contatti commerciali con il suo paese. Nei decenni successivi i portoghesi si spinsero ancora più a nord ed entro il 1515 controllavano il transito delle merci verso il Golfo Persico e il Mar Rosso, occupando i porti di Hormuz e Aden. Il Portogallo stava prendendo così il monopolio del commercio di spezie e merci di lusso dall’Estremo Oriente, strappandolo dalle mani di Venezia e anticipando le altre potenze europee. Le esplorazioni e i primi insediamenti dei portoghesi in Africa e India a O c e I successi degli esploratori portoghesi Con l’esperienza acquisita, i navigatori portoghesi offrirono contributi significativi alla tecnica della navigazione. Di particolare importanza fu la scoperta degli alisei, venti presenti nella fascia tropicale dell’oceano Atlantico che soffiano per lunghi periodi in direzione costante e con intensità regolare (a differenza dei venti del Mediterraneo che sono variabili e incostanti). Gli esploratori portoghesi capirono che gli alisei dell’emisfero meridionale soffiano verso est, e già Vasco da Gama sfruttò a suo vantaggio questa scoperta per la navigazione oltre il Capo di Buona Speranza. I portoghesi riuscirono inoltre a utilizzare, almeno in alcuni periodi dell’anno, la spinta regolare dei monsoni, che sono altri venti, nell’Oceano Indiano. E ancora Vasco da Gama si servì di questi venti stagionali per raggiungere l’India. L’Europa e l’esplorazione del mondo © Loescher Editore – Torino 1364 Dondi costruisce l’astrario Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco 1430 Appare la caravella XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa 1550 187 2 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento Incisione del XVI sec.: allegoria dei viaggi di Magellano. Incisione del XVI sec.: l’incontro tra Vespucci e le popolazioni del Nuovo Mondo. Dossier 8 p. 342 Tweet Storia p. 358 Vespucci, scultura del XIX sec., Firenze, Uffizi. un convinto sostenitore della sfericità della Terra, che aveva disegnato un planisfero e calcolato la distanza tra le coste atlantiche della penisola iberica e le isole del Giappone, sottostimandola peraltro enormemente (circa 5000 chilometri invece degli effettivi 20.000). D8 Secondo lui attraversando l’Atlantico si poteva giungere al Catai (Cina) e a Cipango (Giappone). Così Colombo, immaginando di compiere un viaggio relativamente breve, decise di voler applicare concretamente le teorie della sfericità della Terra. Il navigatore si era già rivolto, negli anni precedenti, al re del Portogallo Giovanni II, ma questi non lo aveva voluto ascoltare: la corte portoghese era convinta, con ragione, che la via più agevole e sicura per raggiungere l’India fosse quella attraverso il superamento dell’Africa (via che era, ormai, a portata di mano dei suoi esploratori). Nel 1492, Isabella offrì dunque a Colombo l’appoggio necessario a intraprendere il suo viaggio verso le Indie passando dall’Atlantico. Egli partì con tre caravelle (la Niña, la Pinta e la Santa Maria) il 3 agosto 1492 dal porto di Palos; la corona spagnola gli concesse il titolo di «Ammiraglio del Mar Oceano» e l’incarico di viceré delle terre eventualmente scoperte e conquistate, oltre al possesso di un decimo delle ricchezze che riportate con sé. Tra i finanziatori di questa esplorazione vi furono anche alcuni banchieri fiorentini. Il suo incarico era quello di raggiungere le Indie, trovarvi spezie, tessuti e metalli preziosi (soprattutto oro), e aprire la via a mercanti e missionari (questi ultimi pronti a convertire le popolazioni al cristianesimo). Era un insieme di obiettivi moderni e medievali, di ordine terreno e spirituale, e Colombo condivideva con grande convinzione questo senso di missione divina che doveva garantire il successo del suo viaggio. La scoperta dell’America Il viaggio di Colombo si rivelò più lungo del previsto e più volte i marinai , stan- Vespucci osserva la Croce del Sud, incisione. chi, spaventati e preoccupati per il possibile esaurimento delle scorte di cibo e acqua, furono sul punto di ammutinarsi. Il 12 ottobre 1492 egli giunse in vista della terra, come aveva sperato, e sbarcò su un’isola delle Bahamas, che battezzò San Salvador (in onore di Gesù Cristo, il Salvatore). Colombo era però convinto di aver raggiunto le coste del Giappone o della Cina: come tutti i suoi contemporanei ignorava l’esistenza del continente americano, situato tra l’Europa e l’Asia. Dopo aver toccato le attuali Cuba e Haiti – e aver definito indios gli abitanti locali, sempre perché convinto di essere giunto alle Indie –, Colombo tornò in Spagna senza aver trovato l’oro o alcuna traccia dei grandi regni dell’Oriente narrati nel Milione da Marco Polo. I sovrani spagnoli non persero la fiducia in lui e lo incaricarono di compiere altri tre viaggi verso le Americhe, viaggi che egli compì dal 1493 al 1502. Durante queste nuove esplorazioni Colombo toccò altri punti del continente americano. Cadde anche in disgrazia presso la corte e si risollevò solo con il terzo e quarto viaggio quando finalmente trovò oro e legnami pregiati. La difficile opera di organizzazione delle prime colonie, a lui affidate, e i pessimi rapporti tra europei e popolazione locale (che tra l’altro cominciava a morire per le epidemie portate dagli stranieri) lo misero definitivamente in cattiva luce presso la corte. Sollevato dai suoi incarichi, tornò nel 1504 in Spagna e morì due anni dopo in solitudine e relativa povertà. Fino alla fine Colombo rimase convinto di essere giunto sulle coste orientali dell’Asia e mai si rese conto di aver scoperto un nuovo continente. Altri esploratori giunsero, dopo di lui, a una conclusione diversa. Tra questi ricordiamo gli italiani Giovanni Caboto (14501500), che, al servizio del re inglese Enrico VII raggiunse nel 1497 le coste del Canada, e Amerigo Vespucci (1454-1512), esperto navigatore fiorentino che esplorò prima per la Spagna e poi per Portogallo le coste degli attuali Brasile e Argentina. Compì numerosi viaggi verso il continente americano e fu probabilmente il primo a rendersi conto di aver messo piede su un nuovo continente: per questo motivo nel 1507 il Nuovo Mondo venne chiamato America in suo onore. I viaggi di Cristoforo Colombo O C E A N O AT L A N T I C O 1200 Azzorre Lisbona Siviglia Palos Madeira Canarie Isole di Capo Verde P Primo viaggio di Colombo (1492-1493) Secondo viaggio (1493-1496) S TTerzo viaggio (1498) Q Quarto viaggio (1502-1504) Golfo del Messico O C E A NO Florida AT L A NTI CO Bahamas San Salvador Cuba Giamaica America Centrale Mar La Navidad Isabella Santo Domingo Puerto Rico Hispaniola (Haiti) dei C a ra ibi Guadalupa Dominica Martinica Trinidad America Medidionale L’impresa di Magellano Visto che navigando verso Occidente la rotta per l’Asia sembrava sbarrata dalle nuove terre appena scoperte, alcuni navigatori cercarono di trovare un passaggio a nord-ovest per aggirare l’America. Sebastiano Caboto (1480-1557), figlio di Giovanni, non riuscì tuttavia a superare la Baia di Hudson (nel Canada settentrionale), che trovò invasa dai ghiacci. Nel 1513, lo spagnolo Vasco Núñez de Balboa (1475-1517) attraversò le foreste dell’istmo di Panama, in America centrale, e giunse in vista dell’Oceano Pacifico: era il primo europeo a farlo, © Loescher Editore – Torino 188 L’Europa e l’esplorazione del mondo istmo: lingua di terra che unisce due continenti o una penisola e un continente. Ritratto di Magellano, incisione, XVI sec. © Loescher Editore – Torino 1364 Dondi costruisce l’astrario Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco 1430 Appare la caravella XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa 1550 189 2 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento ma non aveva trovato una via navigabile. Un passaggio a sud-ovest fu invece trovato dal portoghese Ferdinando Magellano (1480-1521). Nel 1519, con cinque navi e al servizio del re di Spagna, si diresse lungo le coste dell’America meridionale e nell’ottobre del 1520 attraversò, a sud, uno stretto passaggio (che verrà poi chiamato «stretto di Magellano») e giunse all’Oceano che lui stesso chiamò «Pacifico» (perché vi trovò acque tranquille). Attraversandolo verso occidente – in un lunghissimo viaggio di tre mesi senza mai avvistare la terra – giunse a un arcipelago di isole che battezzò «Filippine» in onore di Filippo II, re di Spagna. Qui Dossier 7 p. 340 Lo sviluppo dell’economia mondiale durante la «Rivoluzione atlantica» Acapulco New York Québec L’Avana Guadalupa Nuova Amsterdam Lima Macao Canton Manila Calcutta Londra Amsterdam Lisbona La Rochelle Pondicherry Bombay Batavia Cadice Caienne Accra Rio de Janeiro Bahia Sofala Buenos Aires Città del Capo Trondheim San Pietroburgo Londra Lubecca Bruges Venezia Genova Marsiglia Napoli Costantinopoli Lisbona Alessandria Direttrici economiche europee Direttrici economiche portoghesi p sspagnole iinglesi ffrancesi olandesi o altri a morì, ucciso dagli indigeni; l’unica nave superstite a bordo della quale c’era Antonio Pigafetta, navigatore di Vicenza, riprese la rotta e nel 1522, il nuovo comandante della spedizione, Juan Sebastián de Elcano, giunse nel porto di Siviglia. Erano passati tre anni dalla partenza di Magellano e dei 238 che erano partiti i sopravvissuti erano 18. Per la prima volta era stata circumnavigata la Terra e gli europei, al termine di una lunga stagione di esplorazioni, erano in grado di giungere in ogni parte del mondo: in un certo senso se ne consideravano i padroni. La «Rivoluzione atlantica» dei commerci e dell’economia europea Nei primi decenni del Cinquecento gli europei potevano dunque contare sugli incoraggianti risultati di una lunga stagione di esplorazioni: avevano addirittura circumnavigato la Terra, erano in grado di giungere in ogni parte del mondo e in un certo senso se ne consideravano i padroni. Era ormai evidente comunque che la via più breve dall’Europa all’Asia era quella che passava intorno all’Africa, cioè la via in mano ai portoghesi. Gli spagnoli, dunque, concentrarono i loro sforzi nello sfruttamento del Nuovo Mondo, ma furono anche in questo quasi subito affiancati dai portoghesi, dagli inglesi e dai francesi. Per tutti questi Stati ormai il Mediterraneo non era più il centro della civiltà europea e il crocevia di tutti i commerci più importanti. Le nuove rotte e le nuove terre scoperte dall’intraprendenza delle potenti monarchie nazionali spostavano prepotentemente l’asse dei commerci e dell’economia verso l’Atlantico. D7 Esploratori, mercanti, imprenditori, conquistatori, emigranti e missionari presero a circolare con sempre maggiore intensità tra i due lati dell’Atlantico sia per trasportare merci da e per le Americhe, sia per insediarsi nel «Nuovo Mondo» in cerca di nuove opportunità di vita. Nei secoli successivi questa «Rivoluzione atlantica» avrebbe decretato il tramonto delle città marittime mediterranee (in primo luogo di Venezia) e reso possibile la nascita e lo sviluppo delle grandi potenze economiche e coloniali europee: Spagna e Portogallo prima (tra XVI e XVII secolo), Inghilterra, Francia e Olanda poi (tra XVII e XX secolo). 9.2 L’America «precolombiana» Un continente abitato da millenni L’America settentrionale e meridionale – il «Nuovo Mondo» per gli europei – erano un continente abitato da migliaia di anni. Per indicare il lungo periodo storico in cui questi popoli vissero isolati dal resto del mondo, gli storici parlano di «era precolombiana», espressione che comprende tutti gli eventi precedenti lo sbarco di Cristoforo Colombo. Le aree più densamente popolate erano collocate soprattutto nell’area centrale e meridionale del continente: qui si erano sviluppate grandi civiltà ed erano sorti veri e propri imperi. Nella parte settentrionale, invece, vivevano centinaia di tribù di «Indiani» (in tutto circa un milione), poi detti «pellerossa», dediti alla caccia, nomadi e spesso in conflitto tra loro. Al momento della scoperta dell’America, il livello di sviluppo tecnologico di questi popoli era inferiore a quello degli europei: non conoscevano l’uso della ruota e lavoravano i metalli (ma non il ferro) solo per fabbricare ornamenti. Non usavano la moneta e la loro economia era quasi esclusivamente basata sul baratto. La lavorazione della terra era affidata alla forza dell’uomo perché non esistevano animali da tiro, né cavalli né buoi, e non veniva utilizzato l’aratro. Le civiltà precolombiane fondavano il loro benessere sull’agricoltura e sull’allevamento. In America si coltivavano prodotti che in Europa erano sconosciuti: il mais, alla base della loro alimentazione, il cacao, la patata, il pomodoro, il peperone e il tabacco. Animali caratteristici di questo continente e ugualmente sconosciuti agli europei erano il tacchino e il lama. Jan Mostaert, Paesaggio delle Indie Occidentali, 1520-30 circa, Haarlem, Frans Hals Museum. re fu compreso tra il 300 e il 900 d.C., seguito da una breve fase di declino per rifiorire tra il X e il XIV secolo. Quando arrivarono degli europei la loro civiltà era tuttavia decadente e le città erano per la maggior parte spopolate. I Maya coltivavano il mais e producevano magnifici oggetti artigianali (vasi in ceramica, utensili in legno, tessuti, copricapi con piume d’uccello) che poi scambiavano con altri popoli del Centroamerica. Esportavano anche pietre preziose e sale. Il loro territorio era suddiviso in cittàStato, più di 300 centri urbani autonomi tra loro, a capo delle quali c’era una potente casta di sacerdoti e guerrieri (gli «uomini veri»), proprietari delle terre. Nella scala gerarchica maya, al di sotto dei sacerdoti vi erano contadini e artigiani, cioè gli «uomini inferiori». Gli imperi maya e azteco all’arrivo dei conquistadores Golfo del Messico Tamuin Panuco El Tajin Tula Teotihuacàn Cholula Cempoala Remojadas Tres Zapotes Xochicalco Tenochtitlàn I M PE RO A Z T E C O I Maya Portero Nuevo La civiltà dei Maya prosperò nella zona del Centroamerica che si estende dal sud dell’attuale Messico (penisola dello Yucatán) fino all’Honduras e a El Salvador passando per Guatemala e Belize. I Maya erano un gruppo di popoli che nel corso dei secoli si insediarono intorno alla penisola dello Yucatán e svilupparono una ricca e fiorente civiltà. Il periodo del loro maggiore splendo- 1200 Mayapàn Chichèn Itza Uxmal Tulum Is. Jaina Labnà Malinalco Monte Alban Mitla Santa Lucia GUATEMALA BELIZE HONDURAS Caraibi I M PE RO M AYA La Venta Palenque Tikal Piedras Negras Yaxchilàn Bonampak Seibal Nebaj M E S S I CO Mar dei Rio Bec Mixco Viejo © Loescher Editore – Torino 190 L’Europa e l’esplorazione del mondo Quiriguà Copàn Kaminaljuyù Amatitlàn O C E A N O PAC I F I CO © Loescher Editore – Torino 1364 Dondi costruisce l’astrario Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco 1430 Appare la caravella XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa 1550 191 2 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento I sacerdoti erano i custodi della cultura e della scienza: usavano un complesso sistema di scrittura, possedevano evolute conoscenze matematiche e astronomiche che utilizzavano per la creazione di calendari e per scrutare i cieli in cerca di segni della volontà divina. Grazie a queste conoscenze furono in grado di registrare i cicli del Sole, della Luna e di Venere e anche la congiunzione SaturnoGiove, che si verifica ogni 20 anni. Gli Aztechi Orecchini aztechi. Manufatto delle civiltà amerindie: maschera rituale. contro le tenebre e le forze del male e che per questo avessero bisogno di continue offerte sacrificali. Venivano sacrificati quasi esclusivamente prigionieri di guerra, e proprio per questo motivo gli Aztechi erano spesso impegnati in conflitti sanguinosi contro i popoli vicini. Gli Incas L’impero degli Incas all’arrivo dei conquistadores Quito r Achupallas d Tumbes n raño Ma i oni A m a z z o n i a ali Chavìn i Paramonga e Tarma Pachacamac r Ica Nazca a Machu-Picchu Pisac Cuzco d Pucará Lago Titicaca e Arequipa Tiahuanaco l O C E A N O PAC I F I CO l L. Poopò e COLOMBIA ECUADOR A B R A S I LE PERÙ n BOLIVIA d CILE e ARGENTINA Rio do Sala 1200 zz ay l Chanchan ma o d ell e A Uc Cajamarca © Loescher Editore – Torino 192 Ri g Calendario azteco scolpito. L’imperatore era detto «inca» (ossia «capo») ed era considerato figlio del Sole. Per lui e per la nobiltà veniva coltivata la parte migliore delle terre; un’altra parte era coltivata per il sostentamento dei sacerdoti e una terza parte era coltivata per l’alimentazione del popolo. Nessuno, tuttavia, possedeva terra, perché gli Incas non conoscevano la proprietà privata; inoltre, coloro che non potevano lavorare erano mantenuti dallo Stato. L’economia incaica era molto florida e sfruttava tutte le ricchezze di un immenso territorio: pesca e agricoltura lungo le coste, coltivazioni sugli altopiani e sui versanti delle montagne, e, ad alta quota, allevamento dei lama e degli alpaca, animali dai quali si ricavava una pregiata lana. Gli Incas costruirono un efficiente sistema di strade che metteva in comunicazione ogni parte dell’impero con la capitale Cuzco (che si trova nell’attuale Perù), posta al centro del territorio a 3400 metri di quota. Le strade favorivano l’amministrazione dello Stato e i traffici commerciali con i popoli vicini. Tramite una di queste strade era possibile raggiungere anche la città di Macchu Picchu, una probabile residenza estiva per l’imperatore e per i nobili posta a oltre 2400 metri di altitudine. o L’Impero inca fu il più vasto impero precolombiano del continente americano. Nella seconda metà del XIV secolo gli Incas lo edificarono su un’area molto estesa dell’America meridionale comprendente gli attuali Stati di Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia e Cile. Il sistema politico degli Incas era ancora più accentrato rispetto a quello degli Aztechi. Essi tuttavia seppero integrare economicamente e culturalmente i popoli conquistati creando una struttura sociale molto ben funzionante. Veduta delle rovine di Machu Picchu. C Statuetta antropomorfa inca. Gli Aztechi erano un popolo nomade e guerriero originario dell’America settentrionale. Dalla metà del XIV secolo si trasferirono nell’area dell’attuale Messico, dove in un primo momento combatterono al servizio dei Toltechi, un popolo più evoluto e di più antica tradizione, e poi li sottomisero, assorbendone la cultura. Al momento del contatto con gli spagnoli, l’Impero azteco sotto l’imperatore Montezuma II (1502-1519) aveva raggiunto la massima espansione e dominava brutalmente numerosi popoli minori. A differenza dei Maya, infatti, gli Aztechi costruirono un regno formato dalla federazione di più popoli, ma dominato da un forte potere centrale. La loro capitale era Tenochtitlán, costruita verso il 1325 su alcuni isolotti del lago Texcoco. Costruita come una vera città galleggiante, era molto vasta e popolata da circa 300.000 abitanti. Oggi sulle sue rovine sorge Città del Messico, la capitale messicana. Anche l’economia azteca era basata principalmente sull’agricoltura e sull’allevamento: si coltivavano mais, patate, fagioli, zucche, pomodori, tabacco e cotone. Con questi prodotti gli Aztechi effettuavano scambi con altri popoli, ma non conoscevano la fusione dei metalli. Accanto all’imperatore c’era un consiglio supremo, con circa cento rappresentanti della nobiltà, composta da sacerdoti, guerrieri, giudici e funzionari dello Stato. La religione azteca prevedeva frequenti sacrifici umani. Gli Aztechi ritenevano infatti che le divinità benefiche, come il Sole, fossero costantemente impegnate in una lotta © Loescher Editore – Torino 1364 Dondi costruisce l’astrario Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco 1430 Appare la caravella XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa 1550 193 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento La spartizione delle nuove terre Appena compresero che Colombo aveva scoperto un continente sconosciuto, Spagna e Portogallo decisero di impadronirsi delle nuove terre e di sfruttarne le risorse agricole e minerarie. Per evitare contrasti tra le due potenze, già nel 1493 papa Alessandro VI, invocato come arbitro, aveva emanato un solenne documento, la Bolla Inter caetera, che stabiliva una linea meridiana di separazione (la «raya») tra i territori scoperti e quelli ancora da scoprire che spettavano ai due Paesi: a ovest di questa linea si estendevano i territori che sarebbero andati alla Spagna, a est quelli che invece sarebbero finiti sotto il dominio portoghese. Hernán Cortés guida un gruppo di conquistadores, miniatura, XVI sec. Gli spagnoli alla conquista dell’Impero azteco Le prime aree del Nuovo Mondo nelle quali si insediarono gli Spagnoli furono le isole che fronteggiavano l’America centrale, le prime scoperte da Colombo, tra cui le attuali Cuba e Haiti. Qui vivevano popolazioni semplici e ospitali ma arretrate da punto di vista tecnologico: vi era dunque la possibilità di sfruttarne le risorse agricole, ma non c’erano oro e argento, cioè le ricchezze di cui gli europei erano in particolar modo avidi. Partendo da questi avamposti alcuni esploratori spagnoli ebbero notizia dell’esistenza dell’Impero azteco, di cui si cominciò ad esaltare la straordinaria ricchezza. Nel febbraio del 1519 un nobile spagnolo, Hernán Cortés (1485-1547), partì da Cuba con 11 navi, 400 soldati, 14 cannoni e 40 archibugi; aveva con sé anche 16 cavalli, animali del tutto sconosciuti agli indigeni. Nonostante le esigue forze, Cortés vinse facilmente la resistenza degli Aztechi. Egli, infatti, sfruttò tre fattori decisivi: • la credenza degli indigeni in un’antica profezia, che annunciava l’arrivo da est del dio Quetzalcoatl, il serpente piumato destinato ad assumere il dominio sul mondo. Cortés e i suoi uomini furono in un primo momento scambiati per divinità, dando così modo agli spagnoli di agire indisturbati. In soli due anni, Cortés conquistò l’Impero azteco, lo saccheggiò e uccise l’ultimo imperatore, Montezuma II. Nel 1522 egli fu nominato dalla corona spagnola governatore generale della provincia conquistata, che fu chiamata «Nuova Spagna», corrispondente al Messico e all’America centrale. La conquista dell’Impero inca Nel 1531, il conquistador spagnolo Francisco Pizarro invase i territori dell’attuale Perù con un esercito ancora più modesto di quello di Cortés. Puntava al cuore dell’Impero inca e per riuscire nella sua impresa egli sfruttò l’organizzazione del potere nella civiltà incaica. Come abbiamo visto, infatti, per questa popolazione tutto ruotava intorno alla figura dell’imperatore, l’inca figlio del Sole. Quando Pizarro giunse a contatto con gli Incas, due fratelli, Atahualpa e Huàscar, erano in lotta tra loro per il titolo di imperatore. Lo spagnolo si alleò con Huàscar e fece prigioniero Atahualpa: in un secondo momento lo fece giustiziare, accusandolo di aver ucciso il fratello. Eliminati i due contendenti, nel 1533 Pizarro entrò da dominatore a Cuzco, la capitale dell’Impero inca. In breve tempo l’impero fu saccheggiato e completamente sottomesso. Il genocidio dei nativi americani Le conseguenze delle conquiste europee in America meridionale furono devastanti. Gli spagnoli, in cerca di ricchezze, saccheggiarono le città degli Aztechi e degli Incas, massacrando chiunque osasse opporsi al loro dominio. I conquistadores imposero con la forza la loro autorità e la fede cristiana, proibirono i culti delle religioni tradizionali (accusati di brutalità) e distrussero molte testimonianze delle culture precolombiane. Agli indigeni fu imposto di lavorare nelle piantagioni e nelle miniere, ma non essen- 1200 Dossier 6 p. 338 I possedimenti portoghesi in Brasile O C E A NO AT L A NT ICO m Rio dell e A S e l OCEANO PAC I F I CO v São Luis do Maranhão a z zon i a B R Ao S I L E s cisc Recife Bahia Santa Cruz Porto Seguro Ouro Preto Rio de Janeiro San Paolo La prudenza del Portogallo Il trattato di Tordesillas concedeva al Portogallo le coste e i territori più orientali del Nuovo Mondo (l’attuale Brasile). I portoghesi seguirono la stessa strategia che aveva permesso loro di stabilire e consolidare degli avamposti commerciali sulle coste dell’Africa e dell’India e si limitarono in principio a occupare le coste, sulle quali fondarono le città di San Paolo e di Bahia. © Loescher Editore – Torino 194 Il navigatore Vincente Yañez Pinzón. n Fra n «Nuovo Mondo» • la forza delle armi, in particolare quelle da fuoco, che spaventarono e colpirono con violenza i nemici; D6 Il Portogallo non si lanciò dunque in spettacolari operazioni di conquista come quelle guidate da Cortés e Pizarro, anche perché il territorio assegnato ai portoghesi non era abitato da civiltà evolute e organizzate come quella azteca e maya. Essi dunque esplorarono e conquistarono gradualmente l’entroterra, sfruttandolo in maniera crescente man mano che venivano alla luce le sue enormi risorse agricole, forestali e minerarie. Sa 9.3 La conquista del • le divisioni interne tra gli Aztechi e i popoli a loro sottomessi; an à Un affresco del mondo conosciuto nel 1574 di Giovanni Antonio da Varese. Nel documento papale, inoltre, il pontefice sottolineava il dovere degli europei di conquistare il Nuovo Mondo: con la conquista, infatti, si sarebbero potuti convertire gli indigeni alla fede cristiana. L’anno successivo, nel 1494, la spartizione decisa dal papa fu parzialmente corretta. Spagna e Portogallo infatti firmarono il Trattato di Tordesillas, nel quale la linea fissata dal pontefice fu spostata più a ovest per favorire il Portogallo: veniva così stabilito, di fatto, il futuro dominio dei portoghesi sull’attuale Brasile. L’Inghilterra (seguita dalla Francia) non accettò questi accordi, che di diritto l’avrebbero esclusa dalla corsa alla conquista delle Americhe, e incaricò propri esploratori di ricercare e prendere possesso di territori più settentrionali del Nuovo Mondo. Di fatto il Trattato di Tordesillas si applicò dunque solo all’America centrale e meridionale, perché era impossibile tenere a distanza di un continente tanto immenso le altre potenze europee. Inoltre, proprio nei primi decenni del Cinquecento la Riforma protestante ruppe l’unità religiosa dell’Europa e molti Stati, tra cui l’Inghilterra, smisero di riconoscere l’autorità dei papi (e le decisioni del papato in merito alla spartizione del Nuovo Mondo). L’Europa e l’esplorazione del mondo Pa r 2 Trattato di Tordesillas 1494 (linea di divisione del mondo tra Spagna e Portogallo) Insediamenti portoghesi Pedro Cabral Ferdinando Magellano Spedizioni paoliste © Loescher Editore – Torino 1364 Dondi costruisce l’astrario Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco 1430 Appare la caravella XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa 1550 195 2 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento do abituati a lavorare come schiavi essi non riuscirono a far fronte alle richieste dei loro padroni. Infine, gli europei portarono nel Nuovo Mondo numerose malattie contro le quali gli indigeni non avevano alcuna difesa. Essendo infatti vissuti per millenni in completo isolamento, non possedevano anticorpi contro il vaiolo, il tifo, il morbillo e altre malattie spesso non letali per gli europei. Proprio le malattie furono la causa principale della decimazione della popolazione nativa. Gli storici calcolano che in pochi decenni, tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo, morirono circa 70 milioni di indigeni, il 90% della popolazione totale. Cifre, che unite alla ferocia e assoluta mancanza di scrupoli degli invasori hanno fatto giustamente parlare di «genocidio» dei nativi americani. [ I NODI DELLA STORIA p. 198] La giustificazione giuridica e teologica dei conquistadores Pochi europei disapprovarono le distruzioni provocate dai conquistatori nel Nuovo Mondo. Esse anzi venivano giustificate con argomenti giuridici e teologici. In virtù della propria superiore moralità e intelligenza, le nazioni europee – si sosteneva – avevano tutto il diritto di possedere e sfruttare le terre abitate dai «selvaggi», pagani e immorali. Anzi, gli europei dovevano «proteggere» ed «educare» le popolazioni indigene alla L’organizzazione dell’impero coloniale spagnolo L’avvio della tratta degli schiavi: il «commercio triangolare» Lo sfruttamento disumano degli indigeni determinò presto una scarsità di manodopera. I nativi conoscevano infatti un costante calo demografico che i provvedimenti ufficiali delle autorità (a partire dagli stessi sovrani spagnoli) per migliorare le condizioni di vita, puntualmente inapplicati, non riuscivano a frenare. A rimediare alla mancanza di manodopera contribuirono i portoghesi, ideando un sistema per importare in America schiavi neri prelevati dal continente africano. Come abbiamo visto il Portogallo aveva curato con particolare attenzione lo sviluppo di proprie basi commerciali Asia, Africa, e America. Questa estesa rete di avamposti permise loro di organizzare il cosiddetto «commercio triangolare» (toccava infatti tre continenti, Europa, Africa e America): dai Lisbona o A l Recife Lima Oceano Pacifico Bahia Rio de Janeiro Valparaiso Montevideo i c o n t Callao a 1200 Algeri Tunisi Cadice Fez GadamesTripoli Gerusalemme Baghdad Kufa Tindouf Abuam Alessandria Il Cairo Medina Taghaza Murzuk Gidda Ghat Mecca Taoudenni Agadèz Bilma Suakin San’a Arguin Hodeida Dhofar Nguimi Goré Timbuctu Aden Kano Cacheu Lagos El Fasher Sennar Zella Calabar Elmina Mogadiscio Akassa Malindi Cabinda Mombasa Zanzibar Luanda Kilwa Mozambico I. di Benguela Quelimane Francia I. di Santa Maria I. di Bourbon Fort-Dauphin t Campeche Veracruz Acapulco Panama La Guaira Georgetown Oceano Indiano Buenos Aires Bacini schiavistici europei Bacini schiavistici musulmani Basi europee Rotte marine europee Basi musulmane Rotte carovaniere e marine islamiche Basi nel Nuovo Mondo © Loescher Editore – Torino 196 Album p. 200 Le rotte del «commercio triangolare» n Quando il massacro delle popolazioni native americane era ormai avvenuto, gli europei cominciarono a organizzare la gestione dei nuovi territori conquistati. I sovrani spagnoli istituirono la encomienda, una sorta di contratto coloniale con il quale i sudditi spagnoli che volevano stabilirsi nel Nuovo Mondo ricevevano un terreno del quale diventavano di fatto proprietari in cambio di un tributo annuale alla corona di Spagna (proprietaria di diritto di tutte le regioni conquistate). Si trattava di un sistema di tipo feudale: encomenderos e nativi erano tutti «sudditi del re», il quale governava attraverso i viceré, gli amministratori e i magistrati provenienti dalla madrepatria. Il re fissava quindi i loro rapporti reciproci come un sovrano medievale e attribuiva terre e benefici ai notabili a lui legati da obbedienza. All’encomendero il re affidava anche il compito di occuparsi degli indigeni che abitavano sulle terre a lui concesse: con l’aiuto dei missionari giunti in gran numero dall’Europa, i coloni dovevano educare i nativi alla fede cristiana e provvedere al loro benessere. In realtà, gli indigeni di regola vennero sfruttati e mantenuti in stato di povertà; ad essi furono imposte prestazioni di lavoro senza alcuna regola in cambio del necessario alla mera sopravvivenza. In poche parole, vennero ridotti in schiavitù. L’encomienda fu quindi una istituzione che permise di consolidare la colonizzazione dei nuovi territori attraverso lo sfruttamento fisico, morale e religioso delle popolazioni precolombiane. Grazie allo sfruttamento degli indigeni, dalle colonie cominciarono ad affluire in Europa metalli preziosi come oro e, soprattutto, argento, e prodotti agricoli del tutto nuovi che cambiarono le abitudini alimentari degli europei: il mais, la patata, il pomo- doro, il peperone, il cacao e il tabacco. Alla coltivazione di altri prodotti già conosciuti in Europa furono invece destinate vaste estensioni nelle haciendas (aziende agricole in mano a un unico proprietario europeo): ad esempio canna da zucchero, caffé, banane, destinati anch’essi ad essere venduti sui mercati europei. Gli spagnoli introdussero anche l’allevamento di animali da loro importati (equini, bovini e ovini). A e a Indios arsi sul rogo, miniatura, XVI sec. gioranza degli europei (in cerca di ricchezza e promozione sociale) fu tuttavia troppo forte per essere frenata dalla ragione. L’opera di autori come Las Casas impedì almeno che si affermasse incontrastato un principio razzista e disumanizzante a sostegno dell’avidità dei colonizzatori. [Testimonianze documento 10, p. 212] O c La battaglia di Michoacán, miniatura, XVI sec. conoscenza della verità cristiana e alla vita civile. I resoconti sulle tradizioni religiose e culturali dei nuovi territori sottolineavano la brutalità e arretratezza dei nativi, definiti in alcuni casi «omuncoli», privi di vero ingegno e di anima immortale: non propriamente uomini, dunque. Erano le idee sostenute, ad esempio, da Juan Ginés de Sepùlveda nel suo Trattato sopra le giuste cause della guerra contro gli Indi. [Testimonianze documento 9, p. 212] Simili teorie vennero utilizzate da investitori, mercanti, conquistatori, avventurieri in cerca di fortuna (Cortés stesso, in patria un piccolo nobile senza prospettive, era uno di questi) per giustificare saccheggi e omicidi. Persino buona parte dei missionari considerava giusto imporre con la forza e l’inganno, se necessario, la fede cristiana. A sostegno di queste «missioni», venivano forzate persino le indicazioni dei papi, che fin dalle prime scoperte avevano affidato ai sovrani cristiani il compito umanizzare ed evangelizzare questi popoli che non conoscevano l’annuncio cristiano. Vi furono anche importanti e in parte ascoltate (almeno dalle supreme autorità ecclesiastiche e civili) voci di dissenso. Tra queste ci fu quella del vescovo spagnolo Bartolomé de Las Casas (1474-1566), che nel 1539 nella Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie denunciò il colonialismo e l’espansionismo degli europei. La spinta degli interessi combinati della mag- L’Europa e l’esplorazione del mondo © Loescher Editore – Torino 1364 Dondi costruisce l’astrario Fine XIV sec. Formula della polvere da sparo per le armi da fuoco 1430 Appare la caravella XV sec. Appare la nave ad attrezzatura completa 1550 197 2 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento Progetto di una nave usata per il commercio degli schiavi. porti dell’Europa partivano navi cariche di prodotti molto apprezzati sul mercato africano, in particolare armi da fuoco e liquori. Queste merci venivano scambiate con schiavi neri catturati dai capitribù indigeni. Gli schiavi venivano poi venduti in America Meridionale e con il denaro ricavato da questa transazione i mercanti acquistavano merci molto ricercate sul mercato europeo (soprattutto prodotti agricoli) e ripartivano alla volta dei porti atlantici dell’Europa. Tutte le principali potenze atlantiche europee praticarono questo sistema che – con la crescente partecipazione e poi con il monopolio inglese – raggiunse il pieno sviluppo tra il XVII e il XIX secolo. Gli schiavi deportati furono milioni e la popolazione del Nuovo Mondo cominciò ad assumere proprio in questo periodo la sua ben nota caratteristica multietnica, che comprende i bianchi discendenti dei coloni europei, indios, africani e mulatti, cioè nati dall’unione di diverse etnie. 1453 Caduta di Costantinopoli 1487 Il portoghese Bartolomeo Diaz doppia il Capo di Buona Speranza 1492 Colombo scopre l’America 1494 Trattato di Tordesillas: Spagna e Portogallo si dividono il Nuovo Mondo 1498 Vasco da Gama circumnaviga l’Africa I NODI DELLA STORIA Ci fu veramente una scoperta dell’America? È del tutto normale parlare di «scoperta» dell’America da parte di Cristoforo Colombo sul finire del XV secolo. Si tratta, però, se ci pensiamo bene, di un convincimento alquanto problematico. Semmai il continente americano è stato «trovato»: si scopre, infatti, quello che si cerca e Colombo cercava la via delle Indie. Tecnicamente, quindi, la sua spedizione è stata un fallimento. Al contrario i portoghesi riuscirono, fedeli al loro intento, a trovare il modo di raggiungere veramente l’Oriente, navigando intorno all’Africa. Ma l’altra ragione che rende discutibile l’espressione «scoperta dell’America» è la premessa psicologica che la sottintende. Nessuno di noi, come ha osservato un grande studioso di questi argomenti, l’intellettuale bulgaro T. Todorov, si sognerebbe di parlare di scoperta dell’Inghilterra da parte dei Romani che la conquistarono, seppure parzialmente, nel II secolo d.C.; noi percepiamo, infatti, le isole britanniche come una parte della nostra storia e della nostra identità. Diamo per scontato che la storia inglese sia un’evoluzione progressiva di popoli diversi, magari conflittuali, ma tutti destinati a contribuire allo sviluppo di una medesima storia unitaria. Il continente americano era già abitato da popolazioni locali, alcune delle quali avevano raggiunto un significativo grado di sviluppo culturale ed economico. 198 © Loescher Editore – Torino E tuttavia gli europei faticarono a scoprire «l’altro da loro»; furono decisamente più bravi a conquistare quei territori e a distruggere quelle civiltà. L’incontro con l’«altro» non era una novità per il mondo occidentale. I Greci si erano confrontati con i Persiani; i Romani con una lunga serie di popolazioni barbariche. I contrasti furono feroci e durevoli nel tempo. Tuttavia, alla fine prevalse l’idea dell’assimilazione e della contaminazione reciproca. La conquista dell’America ebbe, invece, come risultato quasi immediato la distruzione totale (circa il 90% delle popolazioni autoctone morì nell’arco di poche decine di anni, per morte violenta o, più spesso, per le malattie portate dagli europei). Persino l’ambiente fu trasformato. Tutti ricordiamo i prodotti agricoli importati dall’America; ma fu ancora più significativo il processo contrario. Sono molti di più, ancora oggi, i frutti della terra introdotti nel continente americano dalla vecchia Europa che quelli originali. Non mancarono le voci alte e nobili che si levarono in difesa dei primi abitanti del nuovo continente: furono, però, minoritarie e scarsamente ascoltate. La cosiddetta scoperta dell’America fu, senza dubbio, uno degli eventi più importanti ma anche più tragici e dolorosi della storia umana. 1519-1521 Cortés sottomette gli Aztechi 1531-1533 Pizarro sottomette gli Incas 1507 Il Nuovo Mondo viene chiamato America in onore del navigatore Amerigo Vespucci 1539 De Las Casas denuncia la riduzione in schiavitù degli indigeni americani L’Europa e l’esplorazione del mondo 1 Nel XV secolo, la minaccia turca nel Mediterraneo orientale e il crescente sviluppo delle potenze europee occidentali creano le condizioni per la ricerca di nuove vie commerciali verso l’Asia. Con la conquista di Costantinopoli nel 1453 e con l’occupazione dei Balcani, i Turchi resero sempre più difficili e costosi i commerci con l’Asia che passavano attraverso il Mediterraneo orientale: ne risentì in particolare il monopolio di Venezia. Si rendeva necessario scoprire e sfruttare nuove vie per raggiungere «le Indie». A questa ricerca erano interessati i sempre più attivi mercanti dell’Europa occidentale, i grandi banchieri europei e le stesse monarchie nazionali. 2 I portoghesi definiscono una rotta che raggiunge l’Asia circumnavigando l’Africa. Essi creano quindi basi commerciali e insediamenti coloniali sulle coste lungo questa rotta. I portoghesi si segnalarono per la loro intraprendenza nella ricerca di rotte marittime verso l’Asia. Il re portoghese Enrico «il Navigatore» e i suoi successori sostennero e incentivarono i viaggi dei loro esploratori lungo le coste occidentali dell’Africa. Nel 1498 Vasco da Gama circumnavigò l’Africa e raggiunse l’India: si apriva per il Portogallo la possibilità di diventare una potenza commerciale. Vennero poste basi commerciali sempre più ampie lungo le coste dell’Africa orientale e in India. 3 Gli investimenti della Spagna nell’impresa ideata e guidata da Cristoforo Colombo portano alla scoperta di un «Nuovo Mondo». Nel 1492, appena espugnata la roccaforte araba di Granada, la corona spagnola decise di finanziare l’impresa di Cristoforo Colombo, un navigatore genovese che riteneva di poter raggiungere la Cina e l’India viaggiando verso occidente. Ma il suo viaggio lo portò a sbarcare, il 12 ottobre 1492, su un’isola delle Bahamas, battezzata San Salvador. Colombo aveva scoperto un continente sconosciuto, ma solo altri esploratori compresero questa novità. Tra questi c’era Amerigo Vespucci: il «Nuovo Mondo» venne battezzato «America» proprio in suo onore. Altri navigatori – ben presto anche esploratori al servizio di Inghilterra e Francia – contribuirono a far conoscere il nuovo continente. 4 Alla fase dell’esplorazione segue quella delle conquiste: gli spagnoli creano il loro impero coloniale e si spartiscono con i portoghesi l’America meridionale. Al principio l’America apparve ben più povera dell’Asia, ma presto si diffusero notizie sull’esistenza di antiche e ricchissime civiltà. Gli spagnoli scoprirono l’Impero azteco e quello degli Incas e vollero sfruttare le risorse naturali dei territori sui quali queste civiltà si erano sviluppate. Un documento del papa Alessandro VI e il Trattato di Tordesillas del 1494 assegnarono a spagnoli e portoghesi diverse aree che essi avevano il diritto e il dovere di conquistare e «civilizzare». Hernán Cortés e Francisco Pizarro, alla guida di piccoli eserciti, invasero, sconfissero e sottomisero alla corona spagnola i popoli indigeni. 5 La brutalità e le malattie portate dagli europei causano la scomparsa del 90% della popolazione indigena; il Portogallo inaugura il cosiddetto «commercio triangolare». I conquistadores compirono saccheggi e massacri. Poi ridussero in schiavitù gli Indios, che furono decimati dal brutale trattamento e soprattutto dalle malattie portate dagli europei. Di conseguenza, entro il 1550 il 90% della popolazione dell’America precolombiana scomparve. Gli spagnoli sfruttarono i sopravvissuti costringendoli a convertirsi alla fede cristiana e a vivere nelle encomiendas. I portoghesi, da parte loro, idearono il cosiddetto «commercio triangolare»: importavano in America meridionale schiavi africani pagati con prodotti europei e, in cambio, ricevevano prodotti agricoli sudamericani da vendere in Europa. © Loescher Editore – Torino 199 2 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento L’Europa e l’esplorazione del mondo La scoperta dell’America e le nuove colture alimentari La scoperta del continente americano nell’ultimo decennio del XV secolo non solo modificò profondamente le conoscenze geografiche e la concezione del mondo degli europei, ma provocò una profonda e irreversibile contaminazione biologica tra i due continenti che erano entrati in contatto per la prima volta. Si trattò di un processo irreversibile di reciproco scambio di numerose specie animali e vegetali che gli storici hanno denominato «scambio colombiano». Gli effetti e le conseguenze non furono immediate, ma si manifestarono in modo concreto solo dopo poco più di un secolo, circa dalla prima metà del Seicento. Mais e patata Le due più importanti piante ad uso alimentare protagoniste dello «scambio colombiano» furono il mais (detto anche granoturco) e la patata. Erano del tutto sconosciute in Europa e vi giunsero nel corso del Cinquecento. Si diffusero nelle campagne europee come coltivazioni stabili solo nel corso del XVII secolo e divennero due dei principali prodotti dell’alimentazione umana insieme ai cereali (grano, avena, orzo). Uno dei punti di forza di queste due piante era la resa o produttività visto che, a parità di terreno coltivato, producevano il doppio (mais) e il triplo (patata) rispetto al grano. La diffusione del mais coinvolse anche la penisola italiana nella parte centro-settentrionale, soprattutto nella pianura padana, e segnò la dieta di quest’area con alcuni piatti divenuti tipici come la polenta. La patata divenne invece la protagonista delle attività agricole e dell’alimentazione dell’Europa centro-settentrionale (Francia settentrionale, Germania, Irlanda, Belgio). Tabacco in fase di essiccazione Tabacco e cacao Piante di cacao Il tabacco e il cacao, piante originarie del continente americano, non erano destinate a un uso alimentare tradizionale e non trovarono applicazione agricola in Europa perché non potevano ambientarsi nei climi europei. Tuttavia il consumo di queste sostanze, diffusosi nel XVIII secolo, produsse abitudini individuali e costumi sociali del tutto nuovi. Cotone e caffè I conquistatori e colonizzatori europei introdussero nel continente americano molte piante a uso alimentare e industriale, ma tra queste il cotone e il caffè hanno senza dubbio lasciato il segno più evidente sul panorama agricolo e ambientale del nuovo continente. Patate Mais Pomodoro e peperone In seguito alla scoperta dell’America giunsero in Europa altre piante alimentari che non ebbero l’importanza e l’incidenza della patata o del mais, ma che, sul lungo periodo, modificarono ugualmente le tradizioni gastronomiche degli europei e, in modo particolare, dell’Italia. Pomodori 200 © Loescher Editore – Torino Peperoni Piantagione di cotone Piantagione di caffè © Loescher Editore – Torino 201 9 Dalla fine del Medioevo all’età del Rinascimento ATTIVITÀ 2 Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 2 Osserva le cartine alle pp. 184 e 190 e rifletti sulle scoperte geografiche e sulla conseguente «rivoluzione atlantica» del Cinquecento: quali sono le tre vie per raggiungere le Indie? Qual è tra queste la più battuta? Dove si sposta il nuovo asse commerciale, e cosa comporta per città italiane come Genova e Venezia? 1 Nel Bartolomeo Diaz raggiunge l’estrema punta meridionale del continente africano, battezzandola Capo di Buona Speranza 2 Nel Vasco de Gama parte alla volta dell’India passando per il Capo di Buona Speranza, inaugurando così una nuova via commerciale 3 Nel Cristoforo Colombo scopre l’America, convinto di essere approdato sulle coste del Giappone o della Cina 4 Nel si compie la prima circumnavigazione del globo terrestre 5 Nel Spagna e Portogallo firmano il Trattato di Tordesillas 6 Nel papa Alessandro VI emana la Bolla Inter caetera che stabilisce una linea di separazione tra i territori americani che spettano a Spagna e Portogallo 7 Nel Hernán Cortés parte alla conquista dell’Impero azteco 8 Nel Francisco Pizarro conquista Cuzco, la capitale dell’Impero inca 9 Nel Hernán Cortés viene nominato governatore della «Nuova Spagna», corrispondente al Messico e all’America Centrale Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti alle soglie dell’Età moderna. 1 2 3 4 5 6 7 8 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi distingui con due colori diversi gli eventi riconducibili alla Spagna, e quelli che riguardano il Portogallo. Attenzione, alcuni eventi sono riconducibili a entrambi gli Stati. 5 L’Europa e l’esplorazione del mondo Avamposto Anticorpi Circumnavigazione Archibugio Profezia Piantagione Base commerciale Indigeno Prova a riflettere sul significato di «principio disumanizzante» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega perché le teorie dei conquistadores possono essere definite «disumanizzanti». Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa ai nativi americani. Poi rispondi alle domande. Le conseguenze dell’occupazione europea sui nativi americani Esplora il macrotema 3 Completa il testo. In seguito alla presa di Costantinopoli da parte dei (1) gli Stati europei sono costretti a ricercare nuove vie per raggiungere le Indie: gli Ottomani, infatti, detengono ormai il completo controllo del Mediterraneo orientale, ostacolando così i commerci con l’(2) , le cui ricchezze (spezie, oro e seta) sono molto richieste in Occidente. Tra le potenze europee, Spagna e (3) assumono un ruolo di primo piano nella scoperta di nuove rotte, avvantaggiate dalla loro posizione geografica: affacciandosi sull’oceano Atlantico, infatti, esse non sono vincolate alla sola navigazione nel (4) . Grazie anche ai progressi compiuti in quegli anni nelle tecniche di navigazione (l’uso della (5) appreso dagli Arabi, l’elaborazione di calcoli astronomici sempre più precisi e di carte nautiche aggiornate e dettagliate), tali potenze conseguono importanti successi: il Portogallo, con la circumnavigazione dell’(6) , inaugura una nuova rotta per raggiungere le Indie, strappando a Venezia il (7) dei commerci con l’Oriente; la Spagna, invece, nel tentativo di raggiungere l’Asia procedendo verso occidente, scopre l’America e approfitta delle ricchezze del nuovo continente costituendo un ricco impero coloniale. In questo modo l’asse dell’economia e dei commerci si sposta dal Mediterraneo verso l’(8) . 1 Quali sono le cause della scomparsa quasi totale della popolazione indigena? 2 Per quale motivo si ricorre agli schiavi africani? 3 In quale modo le grandi potenze europee si dividono il controllo delle Americhe? Mostra quello che sai 7 202 © Loescher Editore – Torino Osserva l’immagine a p. 194 (in basso) e rispondi alla domanda: quali tra gli elementi raffigurati hanno costituito un punto di forza per i conquistadores nei confronti degli indigeni? © Loescher Editore – Torino 203 Documenti Statualità Costantino Mortati, uno dei maggiori costituzionalisti italiani, che partecipò attivamente all’elaborazione della nostra Costituzione, offrì la seguente definizione di Stato: «ordinamento giuridico a fini generali esercitante il potere sovrano su un dato territorio, cui sono subordinati in modo necessario i soggetti ad esso appartenenti». Lo Stato è quindi contrassegnato da uno spazio entro il quale, nelle forme varianti a seconda delle condizioni storiche, sono date le regole, riguardanti sia la dimensione pubblica sia l’ambito privato, valide per tutti coloro i quali in quello spazio vivono. Se lo Stato, così come noi lo conosciamo, è il frutto di una evoluzione che contrassegna soprattutto la modernità, a partire – per trovare un riferimento temporale – dalla conclusione delle guerre di religione del XVI-XVII secolo, la statualità (intesa genericamente come forma di organizzazione politico-giuridica) contrassegna tutte le forme del vivere associato a partire dalle città dell’antica Grecia (le póleis, da cui deriva il termine «politica», diffuso in tutte le lingue e che significa lo stare insieme di una comunità). Si tratta però, come si è detto, di un lento, costante processo evolutivo. Alle origini, dopo la dissoluzione dell’Impero romano, si affermò lo Stato feudale, contrassegnato dalla coesistenza di un feudatario maggiore con altri minori, ciascuno esercitante, nei rispettivi ambiti, un potere sovrano, e dall’assenza di una chiara distinzione tra ambito privato e sfera pubblica. Le trasformazioni legate all’emergere dell’economia di scambio e alla maggiore complessità della struttura sociale che ne derivò non furono estranee all’affermazione, in determinate parti dell’Europa, delle grandi monarchie nazionali, che si costituirono in monarchie assolute. Il successivo passaggio consistette nello Stato di polizia, formula che esemplifica al tempo stesso la cura del sovrano per il benessere dei sudditi e l’assenza da parte di questi di qualsiasi esercizio di sovranità: «Tutto per il popolo, niente dal popolo» è la formula che ne definisce l’essenza. Una svolta fu impressa dalla Rivoluzione francese: sulla sua scia, lo spazio europeo andò organizzandosi, nel corso del XIX secolo, secondo il modello degli Stati nazionali, che si diffusero progressivamente fino ad assumere, nel corso del Novecento e in seguito ai processi di decolonizzazione del secondo dopoguerra, una «dimensione-mondo». In altri termini, con la Rivoluzione francese si affermò lo Stato moderno, che, nel corso dei due ultimi secoli, si è trasformato da Stato aristocratico nel senso etimologico del termine (in cui cioè la titolarità dei diritti politici compete esclusivamente ai «migliori», cioè ai possessori del potere economico, sociale e culturale) a Stato democratico, il quale poteva essere effettivamente tale soltanto in quanto Stato sociale (ossia Stato che comprende tra le proprie finalità quella di promuovere il benessere e l’uguaglianza tra cittadini). Sotto questo profilo, la seconda metà del Novecento è stata contrassegnata dalla coesistenza di Stati democratico-sociali di tipo liberale e di Stati sociali a impronta socialista. Questi ultimi crollarono nel triennio tra il 1989 e il 1991, anno in cui si disintegrò anche il modello originario, l’Unione Sovietica. Questo modello, fondato sul partito unico, è ancora attivo nella Repubblica popolare cinese, il paese che nell’ultimo ventennio ha conosciuto i più alti livelli di crescita economica. Nel mondo contemporaneo lo Stato è in rapida e profonda trasformazione, specie nello spazio europeo. La sua forma democratico-sociale, che nel corso del Novecento ha consentito un decisivo miglioramento delle condizioni di vita, è entrata in crisi a partire dagli anni Settanta, con la maturità del modello industriale e con l’avvento dell’economia della conoscenza. Per definizione lo Stato è un ordinamento giuridico politico che esercita il potere sovrano su un determinato territorio e sulle persone che vi abitano. Una teorizzazione sempre più organica dello Stato moderno è apparsa a partire dal XV-XVI secolo; tuttavia, già tra il XII e il XIII secolo in Europa sorsero forme di organizzazione politica particolari e diverse che col tempo ottennero una crescente autonomia a scapito dell’impero, riuscendo anche a limitare le ingerenze politiche della Chiesa. Sorsero federazioni, leghe tra città e nuove monarchie feudali (ad esempio in Francia e in Inghilterra) che costituirono il primo embrione dei futuri Stati nazionali. 1 L’esercizio dei diritti individuali dipende anche dal corretto funzionamento delle istituzioni: sapresti fare un esempio? 2 Che cosa generalmente si pensa che faccia di una legge una «buona legge»? 204 © Loescher Editore – Torino 1.La teoria dello Stato in Marsilio da Padova Marsilio da Padova (1275-1342) dopo essersi laureato all’università della Sorbona di Parigi, ne divenne rettore. Vissuto nel periodo delle lotte tra la Chiesa romana e il re di Francia Filippo il Bello, nelle sue opere si è dedicò proprio all’analisi dei rapporti tra papato e impero e allo studio dell’organizzazione dello Stato. Critico nei confronti delle pretese universalistiche del papato, fu tra i primi a dichiarare che il potere dell’imperatore non derivava da Dio o dal papa, ma dalla volontà popolare. Nelle posizioni della filosofia medievale la teoria di Marsilio è notevole. Egli, posto tra la filosofia aristotelica e la cristiana, cerca di liberare il suo Stato dagli antichi limiti al suo nascimento e al suo sviluppo, e lo fa con una dottrina organica, che gli dà una vigile idea di unitarietà e di complementarità vitale tra parti aventi distinte funzioni, che al Medioevo sfuggiva. Se l’antica dottrina unificava la società in Dio, Marsilio la unifica nella natura umana. […] Abbandonato il trascendentalismo antico, scaturisce spontaneo il bisogno di una revisione del concetto di Stato, e quindi vengono eliminati Impero e Chiesa, come enti divini, insopprimibili ed eterni, in cui si incentra ogni varietà politica, e al loro luogo è sostituita un’infinita molteplicità di organizzazioni umane, le più varie e diverse, ma tutte aventi le stesse esigenze di autonomia e di interiore unitarietà. L’unità e la sovranità non sono più in Dio, ma nell’uomo, e quindi il teocratico Impero e l’universale Chiesa sono svuotati di ogni ragione politica d’essere. I vari Stati di fronte a loro vengono ad acquisire, come formazioni naturali, un’importanza intrinseca. […] La sua concezione è senza dubbio legata al Medioevo, ma essa ha compiuto lo sforzo di restituire una perfetta autonomia all’Impero, e quindi allo Stato, e con questo ha aperto il varco al Rinascimento, che darà all’uomo tutto intero il dominio di sé. F. Battaglia, Marsilio da Padova e la filosofia politica del Medioevo, Bologna, Clueb, 1987 2.Fine dello Stato? All’inizio di una sua importante opera, il filosofo della politica Pier Paolo Portinaro pone la importante questione dei fondamenti storicamente determinati dello Stato e quindi della finitezza della sua esistenza. Lo Stato cui egli fa riferimento è quello sviluppatosi in Occidente. Esso [lo Stato] è in misura eminente il prodotto di un’evoluzione storica complessa e di una stratificata progettazione istituzionale: un prodotto particolarmente contrastato che s’insedia al centro della scena politica europea dopo una lotta secolare che vede la Chiesa, i comuni, le aristocrazie opporsi agli sforzi di monopolizzazione del potere coercitivo, che nemmeno le grandi rivoluzioni moderne riescono a smorzare. Ma nel momento in cui, dopo la Rivoluzione francese, il consolidamento degli Stati appare ormai un dato acquisito, si fa strada l’idea del loro superamento. A molti oggi sembra che la parabo- la di quella grandiosa costruzione storica possa dirsi compiuta. La vulnerabilità in effetti è da sempre inscritta nel codice genetico di ogni singolo Stato e già Thomas Hobbes, il primo pensatore sistematico ad averne penetrato a fondo la logica, lo aveva riconosciuto: «sebbene la sovranità, nell’intenzione di quelli che la fanno, sia immortale, tuttavia, per sua natura, non solo è soggetta a morte violenta per una guerra esterna, ma, a causa dell’ignoranza e delle passioni degli uomini, ha anche in sé, fin dalla sua stessa istituzione, molti germi di mortalità naturale, per discordie intestine». Ma nel mondo contemporaneo la coscienza di questa vulnerabilità trapassa nella consapevolezza che la funzione storica degli Stati si è esaurita e di conseguenza l’epoca stessa della statualità è giunta al termine. L’idea del superamento della formaStato si fa strada già nella cultura romantica tedesca. Sono però le opere di Saint Simon, di Marx e di Engels che nell’Ottocento possono essere assunte a spartiacque rispetto al discorso politocentrico dell’Antico regime ma anche rispetto alla tradizione utopistica classica. Esse aprono la via alle diverse visioni ideologiche della dottrina dell’estinzione dello Stato. P.P. Portinaro, Lo Stato, Bologna, Il Mulino, 1999 © Loescher Editore – Torino 205 Documenti Lavoro Il principio «lavorista» è uno dei cardini del nostro sistema costituzionale. Non solo fonda la Repubblica sul lavoro, ma con l’articolo 4 («La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società») stabilisce anche sotto questo profilo il fondamentale rilievo attribuito alla possibilità dei cittadini di esplicare, indipendentemente dalle origini, le proprie capacità. Questo rilievo accordato al lavoro come misura dell’affermazione dei cittadini costituisce quindi un rafforzamento della dimensione integralmente democratica del nostro ordinamento. E nel contempo costituisce l’approdo di una lunghissima vicenda storica nel corso della quale si sono succedute le più varie modalità organizzative, tutte caratterizzate da sostanziale subordinazione dello stato dei lavoratori. Nel sistema feudale il lavoro era obbligatorio, ereditario e imposto. Con il risveglio economico, con la nascita e con lo sviluppo dei Comuni rifiorì un’organizzazione del lavoro fondata sulle corporazioni. Erano associazioni che aspiravano a un ruolo di controllo totale della produzione e del commercio. Esse sorsero prima in campo mercantile, per poi svilupparsi in tutti gli altri settori: artigianato, industria, lavoro intellettuale. La loro influenza coinvolgeva l’economia e la società e si faceva sentire profondamente nella vita politica delle città e nell’esercizio della giurisdizione. L’organizzazione corporativa favorì una sempre più accurata professionalizzazione nei diversi mestieri, ma nel contempo si trasformò ben presto in un sistema chiuso, rigido. Era strettamente funzionale a economie che aspiravano all’autosufficienza, proteggendosi da ogni forma di concorrenza, interna ed esterna. E nel contempo soddisfaceva le esigenze di sicurezza e di garanzie per quanti ne erano inclusi. La struttura interna rispondeva proprio ai fini di una rigorosa tutela rispetto a quanto era esterno e ai tentativi di ingresso nei diversi rami di attività di coloro che ne erano esclusi. Se nel Medioevo le corporazioni si caratterizzavano per il carattere unitario, coeso e omogeneo delle diverse gerarchie (maestri, lavoratori, garzoni) che le componevano, nell’Età moderna le trasformazioni economiche innescate dalla scoperta del Nuovo Mondo, la nascita degli Stati nazionali, con l’assoggettamento di molte funzioni al potere centrale, la crescente conflittualità che incominciò a svilupparsi all’interno tra le diverse componenti, ne agevolarono la decadenza, sancita definitivamente dalla rivoluzione industriale. Infatti, radicali mutamenti sul piano produttivo e sociale che derivarono da quest’ultima evidenziarono in modo manifesto il sempre più acuto conflitto tra i possessori dei capitali e i lavoratori, detti «proletari» (perché la sola ricchezza di cui disponevano erano, appunto, i figli, la prole). La nascita del sindacalismo contemporaneo, che dovette superare aspre battaglie per potersi liberamente e compiutamente esprimere, ha contraddistinto il mondo contemporaneo. Per questa via sono state garantite la tutela delle condizioni in cui nelle fabbriche e negli uffici si svolgevano le attività, la salvaguardia dei salari e degli stipendi (i quali hanno pure conosciuto un sensibile miglioramento, almeno fino agli anni Novanta del secolo scorso), la garanzia del diritto al riposo, al tempo libero, la preservazione della capacità di guadagno, una volta venuta meno la capacità lavorativa, con i sistemi di previdenza. In questa accurata architettura contemporanea, è stato decisivo il ruolo dello Stato che nel corso del XX secolo si è sempre più contrassegnato per la sua dimensione sociale. A partire dal XIII secolo nelle città europee si sviluppò rapidamente la produzione di manufatti artigianali, grazie al miglioramento dei processi produttivi, all’introduzione di migliorie tecniche e soprattutto all’impiego di una manodopera più numerosa e via via più specializzata. Si verificò quindi un processo di crescente «divisione del lavoro», con il formarsi di un ceto di artigiani specializzati in precise attività. Questi si organizzarono in associazioni di mestiere – le corporazioni – che rappresentano un primo embrione di quei sindacati che apparvero dopo la prima rivoluzione industriale. 1 Che cosa pensi del fenomeno delle «morti bianche», cioè degli incidenti mortali sul lavoro (l’Italia è la «maglia nera» europea)? Che cosa si dovrebbe fare per limitarlo? 2 Da qualche anno si parla sovente di «lavoro temporaneo», «lavoro interinale», «lavoro a progetto»: cosa si intende? 206 © Loescher Editore – Torino 1.Lo statuto dell’Arte dei medici e speziali di Firenze (1349) Il minuzioso Statuto consta di 91 articoli, suddivisi in due libri, che regolano ogni singolo aspetto della vita della corporazione. Qui si riproduce l’articolo 89, che tratta «Di coloro a’ quali è conceduto e a’ quali è proibito lavorare del mestiere delle dett’arti». a. A sovenire alle necessità de’ maestri, delle donne e artefici di qualunche e quali ànno bisognio al prezzo e merce’ del ministero delle dette arti lavorare, statuito e ordinato è che tucti e ciascuni maestri delle dette arti, che saranno stati per lo passato e sono o saranno maestri d’esse arti e lle loro e ciascuno di loro donne, figliuoli e figliuole e madri, a esse donne di tali maestri quando vedove rimanessono e stessono co’ loro figliuoli e figliuole in casa de’ meariti e vedovate, possono e a lloro sia lecito lavorare del magistero delle dette arti nella città di Firenze, borgi e sobborghi, senza fare però alcuno pagamento alla detta arte ed alcun’altra persona, non ostante che tale maestro non si trovi o trovassesi nella matricola delle dette arti o d’alcuna d’esse; dummodo esso lavorio non faccino per vendere, né tenghi discepolo, né insegnino ad altri la detta arte. b. E che tali maestri e vedove, come dicto è, volenti lavorare e ciascuno di loro, ogni anno, del mese di gennaio o poi quandunche a’ consoli parrà, dieno cautione fideiussoria di soldi cento di f. p. per ciascuno di loro a’ consoli della detta compagnia, da essere scripta pel notaio delle dette arti, di lavorare bene e lealmente, fare e salvare e governare con buona fe’ e senza fraude e d’ubbidire a’ comandamenti de’ predetti consoli e di guardare le feste, secondo la forma degli statuti di detta arte. E in dicto modo tucti gli artefici e lavoranti a prezzo e merce, possino e a loro sia lecito lavorare come detto è, dummodo prestino la cautione predetta e paghino al camarlingho delle dette arti ogni annod el emse di gennaio soldi due di f. p. per ciascuno di loro, e lavorii per vendere non faccino, né tenghino discepoli o l’arte insegnino, come dicto è, sotto la pena di soldi .XL. per ciascuno che lavorerà, se non prestata la cautione predetta e pagato soldi due per ciascuno come dicto è. R. Ciasca (a cura di), Fonti per la storia delle corporazioni artigiane del comune di Firenze, Firenze, Vallecchi, 1922 2.I giovani e il mondo del lavoro: un contratto di apprendistato del 1260 Per un giovane del Medioevo il primo impatto con il mondo del lavoro era spesso rappresentato dall’apprendistato in una bottega artigianale. Di seguito il testo di un contratto di apprendistato, redatto in Liguria nel 1260, che stabilisce gli obblighi del giovane apprendista, Paganino, e del maestro artigiano, Giliolo. Io Giovanni, sarto, tutore testamentario del mio nipote Paganino, figlio del fu Guido, sarto, mio fratello, prometto e convengo con te, Gigliolo, calzolaio, di far stare con te il suddetto Paganino per i prossimi sei anni perché impari la tua arte della calzoleria, promettendoti di far sì e di procurare che il suddetto Paganino serva a te e alla tua casa e svolga i servizi che ti occorrono in casa e fuori, come si deve e come si conviene. Che custodisca e conservi fedelmente e senza inganno tutte le cose tue e di altri che gli saranno affidate; che non ti sottragga più di 12 denari all’anno e anche questi non con malizia, che non ti lasci, che non fugga, che non esca contro la tua volontà di casa tua fino al suddetto termine. Se per caso se ne andasse, ti prometto di farlo ritornare al tuo servizio come prima. Tutto quanto inoltre avrà guadagnato entro il suddetto termine, lo porrà e lo consegnerà nelle tue mani o in quelle di un tuo sicuro rappresentante. In caso contrario prometto a te contraente la somma di 10 lire genovesi. Restando valido il contratto, dandoti inoltre in pegno tutti i miei beni posseduti. […] E io Gigliolo prometto a te Giovanni di tenere con me il suddetto Paganino fino al termine suddetto, di dargli vitto e vestito conveniente, di ammaestrarlo e di istruirlo in buona fede nel mio mestiere o arte e di non imporgli incombenze che non debba o non possa svolgere. In caso contrario prometto a te la somma di 10 lire genovesi. A garanzia dell’osservanza dei predetti obblighi ti do in pegno tutti i miei beni posseduti. C. Frova, Istruzione ed educazione nel Medioevo, Torino, Loescher, 1973 © Loescher Editore – Torino 207 Testimonianze Documento 1 Testimonianze Inghilterra: la Magna Charta Libertatum limita i poteri del re (capitolo 4) La battaglia di Bouvines, nel 1214, consacrò vincitore Filippo II Augusto di Francia in una delle fasi del secolare braccio di ferro con l’Inghilterra. Essa portò invece sventura allo sconfitto Giovanni «Senza Terra», sovrano d’Inghilterra. I nobili e i mercanti del regno approfittarono infatti della sua debolezza per imporgli nel 1215 la Magna Charta Libertatum, che limitava in molti campi il potere del monarca. All’aristocrazia e agli «uomini liberi» venivano riconosciuti parecchi diritti, tra cui quello di essere giudicati da un tribunale di pari e addirittura quello di resistere con la forza al re che si comportasse in modo arbitrario. Ecco una scelta degli articoli più rilevanti. [21] Conti e baroni non siano multati se non dai loro pari e soltanto in proporzione alla natura del reato […]. [30] Nessuno sceriffo nostro balivo o alcun altro prenda cavalli o carri di alcun uomo libero per lavori di trasporto senza il consenso di quell’uomo libero. [31] Né noi né i nostri balivi prenderemo il legname di altri per i nostri castelli o altre nostre necessità senza il consenso del proprietario del bosco […]. [39] Nessun uomo libero sia arrestato o imprigionato o multato o messo fuori legge o esiliato o danneggiato in alcun modo, né ci volgeremo o manderemo alcuno contro di lui, eccetto che per legale giudizio di suoi pari o secondo la legge del regno. [40] A nessuno venderemo, a nessuno negheremo o ritarderemo il diritto e la giustizia […]. [52] Se qualcuno è stato da noi spossessato o privato senza legale giudizio dei suoi pari di terre, castelli, libertà o suoi diritti, glieli restituiremo immediatamente […]. [61] […] I baroni eleggano quei venticinque baroni del regno che essi desiderano, i quali con tutte le loro forze debbono osservare, mantenere e far osservare la pace e le libertà che abbiamo concesso e confermato loro con questa nostra carta, cosi che, se noi […] commettiamo mancanza contro chiunque in qualunque maniera, o trasgrediamo uno qualsiasi degli articoli di pace o di sicurezza, e l’offesa è denunciata a quattro dei suddetti venticinque baroni, quei quattro baroni vengano da noi […] e la portino a nostra conoscenza e chiedano che noi la correggiamo senza indugio. E se noi […] non correggessimo l’offesa entro quaranta giorni dal momento in cui è stata portata a conoscenza nostra […] i suddetti quattro baroni riferiscano il caso ai rimanenti dei venticinque baroni, i quali tutti insieme alla comunità di tutto il regno ci danneggeranno e molesteranno in ogni maniera […] sino a che, a loro giudizio, sia stata corretta l’offesa, e quando sarà stata corretta essi ci obbediranno come facevano prima. G. Musca, La «Magna Charta» e le origini del parlamentarismo inglese, Firenze, D’Anna, 1973 Documento 2 Spagna: la caduta di Granada e il completamento della Reconquista (capitolo 4) Il 2 gennaio 1492 Granada si arrese al re di Spagna Ferdinando il Cattolico. Granada era l’ultimo possedimento musulmano nella penisola iberica e con la sua caduta ebbe termine il lungo processo della «Reconquista» cristiana, iniziato poco dopo l’anno Mille. In quello stesso giorno, Ferdinando spedì una lettera al papa Innocenzo VIII per annunciargli l’avvenimento. Oggi, secondo giorno di gennaio del presente anno novantadue, la città di Granada si è arresa a noi con l’Alhambra e tutte le fortificazioni che la costituiscono e con tutte le fortezze e castelli che noi avevamo ancora da guadagnare in questo regno, e noi ora abbiamo questo completamente in mano e in nostro potere. Comunico a Vostra Santità una cosi grande fortu- na, ossia che dopo tante pene, spese, sacrifici di vite e di sangue dei nostri sudditi, questo regno di Granada, che per settecentottanta anni è stato occupato dagli Infedeli, sotto il vostro regno e col vostro aiuto, è stato conquistato. È il frutto che i Pontefici passati, vostri predecessori, hanno tanto desiderato, e al quale hanno contribuito per la gloria e l’onore di Dio, Nostro Signore, e della Santa Sede apostolica. Dio mantenga in ogni tempo la vostra santissima persona e la conservi per il buono e prospero governo della sua Chiesa Universale. Scritto nella città di Granada il 2 gennaio 1492. Di vostra Santità umilissimo e devoto figlio, che bacia i vostri santi piedi e le vostre mani, il re di Castiglia e d’Aragona, e di Granada. A. Saitta, Storia e tradizione. Panorama critico di testimonianze, Firenze, Sansoni, 1965 Documento 3 L a visione politica di Bonifacio VIII, ultimo grande difensore della supremazia della Chiesa (capitolo 5) Al principio del Trecento il re di Francia Filippo IV il Bello impose al clero del suo paese il pagamento delle tasse. Il papa Bonifacio VIII reagì duramente a questa violazione dell’autonomia della Chiesa ed emanò la bolla «Unam Sanctam», che conteneva la famosa teoria delle «due spade»: entrambe le spade, la spirituale e la temporale, appartengono al papato, che delega l’uso della seconda ai principi. Bonifacio VIII fu l’ultimo grande propugnatore del potere universale della Chiesa, ma non realizzò i suoi obiettivi. Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: «Ecco qui due spade» – che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare – il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: «Rimetti la tua spada nel fodero». Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l’altra dalla Chiesa, la prima dal clero, la seconda dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale […]. Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale; se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini: del che fa testimonianza l’Apostolo: «L’uomo spirituale giudica tutte le cose, ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo», perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz’altro divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come roccia per lui e i suoi successori, in colui che egli confessò, poiché il Signore disse allo stesso Pietro: «Qualunque cosa tu legherai…». Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio si oppone ai comandi di Dio […]. Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al pontefice di Roma. S. Ehler, J. Morral, Chiesa e Stato attraverso i secoli, Milano, Vita e Pensiero, 1958 Documento 4 Milano, città libera, ricca e potente (capitolo 6) Alla fine del Duecento, quando le istituzioni comunali apparivano vicine al tramonto, Milano era la più grande e prospera città dell’Italia settentrionale. Lo racconta in una famosa pagina il cronista Bonvesin de la Riva (1240 ca. - 1315 ca.), enumerando dati sui quali non abbiamo certezze storiche ma capaci egualmente di trasmetterci il senso della potenza e del benessere di Milano. Dove il popolo era sovrano, ogni mestiere era rappresentato e qualsiasi merce si poteva comprare. Secondo miei lunghi calcoli, confermati dalle assicurazioni di molti, più di settecentomila bocche umane di ambo i sessi (contando, insieme con gli adulti, tutti i bambini) vivono sulla superficie della terra ambrosiana […]. Nella popolosissima città vi sono sicuramente centoquindici parrocchie, tra le quali ve ne sono alcune che annoverano senz’altro più di cinquecento famiglie e altre che ne annoverano circa mille […]. Complessivamente abitano questa città più di quarantamila uomini, capaci ciascuno di maneggiare singo- larmente contro i nemici una lancia o una spada o un’altra arma […]. Più di diecimila uomini […] potrebbero facilmente presentarsi, a un ordine del comune, con cavalli da guerra […]. Vi sono nella sola città centoventi giureconsulti in entrambi i diritti […]. I notai sono più di millecinquecento […]. I periti medici, che vengono comunemente chiamati fisici, sono ventotto. I chirurghi delle diverse specialità sono più di centocinquanta […]. I professori di grammatica sono otto; ciascuno di essi tiene sotto la propria bacchetta una numerosa scolaresca […]. I forni che in città, come si sa dai registri del comune, cuociono il pane ad uso dei cittadini sono trecento […]. I bottegai, che vendono al minuto un numero incredibile di mercanzie, sono sicuramente più di mille […]. I macellai sono più di quattrocentoquaranta […]. Gli albergatori che a pagamento danno albergo a gente che viene di fuori sono circa centocinquanta. B. de la Riva, De magnalibus civitatis Mediolani, Milano, Bompiani, 2010 208 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 209 Testimonianze Documento 5 Testimonianze Lorenzo il Magnifico rafforza il proprio potere sfuggendo alla congiura dei Pazzi (capitolo 6) I congiurati che nel 1478 cercarono di rovesciare il potere dei Medici sulla città incontrarono un clamoroso fallimento perché non ottennero l’indispensabile sostegno della popolazione. A provocare la rivolta doveva essere l’azione guidata da Francesco dei Pazzi – una delle grandi famiglie spodestate dai Medici – e sostenuta segretamente da papa Sisto IV. Ma questi interessi di pochi, seppur potenti, non ottennero lo scopo. Giuliano e Lorenzo furono attaccati nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. Il primo morì, ma Lorenzo reagì e fu aiutato dal popolo che lo sosteneva compatto. Nel brano delle Istorie Fiorentine di Machiavelli che citiamo si sottolinea il sostegno della gente di Firenze ai Medici e la caccia ai congiurati che si svolge per le vie e nei palazzi della città. In questo mezzo [nel frattempo, subito dopo che Lorenzo era sfuggito ai pugnali dei congiurati] tutta la città era in arme, e Lorenzo de’ Medici da molti armati accompagnato si era nelle sue case ridutto. Il Palagio del popolo era stato ricuperato e gli occupatori di quello tutti fra presi e morti. Già per tutta la città si gridava il nome de’ Medici, e le membra de’ morti [oppositori dei Medici o membri della famiglia dei Pazzi], o sopra le punte delle armi fitte o per la città strascinate si vedevano; e ciascheduno con parola piene d’ira e con fatti pieni di crudeltà i Pazzi perseguiva. Già erano le loro case dal popolo occupate, e Francesco [dei Pazzi] così ignudo fu di casa tratto, e al Palagio condotto fu a canto dell’arcivescovo e agli altri appiccato. Né fu possibile, per ingiuria che per il cammino o poi gli fusse fatta o detta, fargli parlare alcuna cosa, ma guardando altrui fiso, sanza dolersi altrimenti tacito sospirava. Guglielmo de’ Pazzi, di Lorenzo cognato, nelle case di quello e per la innocenza sua e per lo aiuto della Bianca sua moglie si salvò. Non fu cittadino che armato o disarmato non andasse alle case di Lorenzo in quella necessità, e ciascheduno sé e le sustanze sue gli offeriva: tanta era la fortuna e la grazia che quella casa per la sua prudenza e liberalità si aveva acquistata. N. Machiavelli, Istorie Fiorentine, Firenze, Le Monnier, 1990 Documento 7 n viaggiatore europeo all’inizio del Quattrocento vede con i suoi occhi U le ricchezze dell’India e dell’Estremo Oriente (capitolo 7) Niccolò dei Conti, veneziano, compì un lungo viaggio tra il 1414 e il 1439, visitando Baghdad, l’India, Sumatra, Giava, il Borneo e il Sud-est asiatico. Nei suoi resoconti all’umanista fiorentino Poggio Bracciolini c’è l’eco dello sguardo occidentale sulle meraviglie dell’Oriente: ricchezze, costumi e religioni diverse, un sistema politico e civile che gli europei giudicavano con indulgente superiorità (sono «tutti idolatri»), ma dietro il quale si celava la straordinaria vitalità di culture e società antiche e ben organizzate. Quindi Malpuria [Mailapur, nei pressi di Madras, India] accolse Niccolò. Qui il corpo di san Tommaso [secondo la leggenda primo evangelizzatore dell’India] è splendidamente sepolto in una basilica grande e tutta adorna e venerato dagli eretici [cristiani di antica fede non cattolica]. Si chiamano Nestoriti [da Nestoriani: l’antica setta eretica di cui parte dei membri emigrarono in India nel V secolo] e abitano in quella città in un migliaio circa. Essi, come da noi gli ebrei, sono sparsi per tutta l’India […]. In mezzo all’insenatura è la nobilissima isola Seilana, che ha un giro di tremila miglia e nella quale si scavano rubini, zaffiri, granate e occhi di gatto, assai stimati in quel luogo. produce anche molto cinnamomo. Quindi giunse a una città ragguardevole dell’isola di Taprobane [Sumatra], dove stette un anno. Afferma che Taprobane ha un circuito di 1600 miglia. Gli abitanti sono crudeli e di costumi rozzi: uomini e donne hanno grandi orecchie, a cui appendono orecchini d’oro ornati di gemme, indossano vesti di lino e di seta fino al ginocchio. Prendono più mogli, hanno case basse per evitare il calore del sole. Tutti idolatri, sono ricchi di pepe, più grosso del comune ed anche di pepe dai granelli lunghi , di canfora e di molto oro. L’albero del pepe è assai simile all’edera, i granelli del pepe sono verdi press’a poco come i granelli del ginepro, e sparsi di un po’ di cenere sono abbrustoliti al sole […]. Per tutta l’India è una schiatta di filosofi detti Brammoni [brahmini] che si occupano di astrologia e a predire il futuro, dediti a una vita più civile e a costumi di vita più rigidi. Dice che fra costoro ha visto un uomo di 300 anni, e ciò era considerato come meraviglia. I viaggi in Persia, India e Giava di Niccolò dei Conti, Milano, Istituto edit. italiano, 1960 Documento 6 Dopo la caduta di Costantinopoli la Russia è la nuova patria dell’ortodossia (capitolo 7) L’ideologia che voleva esaltare Mosca come la «Terza Roma» fu sostenuta vigorosamente da diversi appartenenti al clero ortodosso. In questo testo, scritto da un monaco anonimo e confluito all’inizio del Cinquecento in una delle più diffuse cronache degli eventi del tempo, riconosciamo gli elementi-chiave di questa visione: Dio avrebbe abbandonato Costantinopoli – un fatto che fu considerato epocale e suscitò intense emozioni – proprio per aver chiesto aiuto alla Chiesa e agli Stati cattolici a Mosca sarebbe avvenuta una nuova fioritura della vera fede. Su queste basi si giustificherà per secoli il potere degli Zar e il loro immenso impero. Come una tale terra [Costantinopoli] ha potuto sopportare ciò? Perché il sole non ha smesso di brillare? Perché la luna non si è specchiata nel sangue? Perché le stelle non sono cadute come foglie? Perché il primo fra gli imperatori, Costantino, non ha mosso la Signora Madre di Dio e tutti i santi a pregare per gli uomini peccatori e per allontanare l’ira del Signore? No, gli uomini pur pregando non si oppongono ai destini del Signore, dal momento che non potrebbero espiare in nessun modo il loro peccato, tranne che col fuoco o altri modi simili, poiché anno peccato dalla testa ai piedi, ossia dai più potenti ai più miseri. [Tuttavia] dice Dio per mezzo del profeta: «Ma se di nuovo vi rivolgerete a me con tutto il cuore e l’animo vostro, vi purificherò dei vostri peccati e vi conserverò nella vostra terra e allontanerò i vostri nemici dal vostro viso». Da queste parole del Signore e dalla situazione attuale [cioè dal fatto che Costantinopoli è caduta, ma Mosca continua libera] si può capire perché egli non ha fatto precipitare totalmente nella disperazione il vostro impero. E perciò ha lasciato a noi [Russia] il seme. Questo seme è come una scintilla nascosta nella cenere – le tenebre delle forze degli infedeli. Il seme: cioè i troni dei patriarchi, dei metropoliti e dei vescovi, e non solo questo seme, ma anche il capo della fede ortodossa, e tutti questi sono sani e salvi in tutte le città e le chiese sante [di Russia]. […] Tutti i devoti e pii regni, greco, serbo, bosniaco, albanese e molti altri a causa dei vostri peccati per volontà divina sono stati ridotti in schiavitù dai turchi infedeli, devastati, sottomessi al loro potere. La nostra terra russa, invece, per la Bontà divina e per le preghiere della purissima Madre di Dio e dei santi taumaturghi [autori di miracoli e guarigioni] cresce e vigoreggia ed è esaltata. A lei, Cristo generoso, permetti di crescere, di fiorire e di estendersi fino alla fine dei secoli. Documento 8 n uomo del XV secolo parla del Medioevo come di un’epoca rozza e oscura: U nasce l’idea di «Rinascimento» (capitolo 8) Matteo Palmieri (1406-1475), umanista e uomo politico nella Firenze dei Medici, scrisse un trattato sulla «Vita civile» in cui esprimeva una visione dell’epoca precedente alla sua come di un periodo rozzo e di decadenza rispetto all’Età antica. Ora finalmente, sostiene Palmieri, le arti e le lettere stanno vivendo un’età di risveglio. Con simili argomenti prendeva corpo l’idea del Medioevo come epoca oscura, mentre il Rinascimento, che Palmieri stava vivendo, sarebbe stato la ripresa dello splendore delle arti dopo la triste pausa medievale durata, egli dice, ottocento o anche mille anni: fino al pittore Giotto e fino ai suoi giorni. Di quinci [quindi] veggiamo innanzi a Giotto la pictura morta e maestra di figure da ridere, da lui rilevata [rinnovata] e da’ suoi discepoli mantenuta e ad altri data, essere venuta [oggi] et essere in molti quanto più può degnissima. Lo ’ntaglio [la scultura] e l’architettura da noi indietro per lunghissimo tempo maestre di sciocche meraviglie, in nella età nostra si sono rilevate, tornate in luce, e da più maestri pulitesi e fatte perfette. Delle lettere e liberali studi [grammatica, matematica, geometria, filosofia…] sare’ meglio tacere che dire poco. Queste principatissime conducitrici e vere maestre d’ogni buona arte per più d’ottocento anni sono in modo [a tal punto] state dimenticate nel mondo, che mai s’é trovato chi n’ab- bia avuto cognizione vera, né saputo usare uno loro minimo ornamento, in tanto che tutto quello che si truova in carte o marmi per grammatica scritto fra questo tempo meritatamente si possa chiamare grossaggine rozza. [I nostri tempi, invece] più fioriscono d’eccellenti arti d’ingegno che altri tempi sieno stati già son mille anni passati. M. Palmieri, La Vita civile, Firenze, Sansoni, 1982 Anonimo, da La caduta di Costantinopoli, vol. II, L’eco nel mondo, Milano, Mondadori, 1997 210 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 211 Interpretazioni Testimonianze Documento 9 La negazione della dignità umana dei nativi americani nelle parole di Juan Ginés de Sepùlveda (capitolo 9) Da una parte gli spagnoli (e più in generale gli europei): religiosi, ingegnosi, civili; dall’altra gli indigeni: feroci, viziosi e pagani, tali da non potersi definire pienamente «uomini» ma «homuncoli». Questa netta contrapposizione serviva non solo a giustificare la conquista di quelle terre ma anche a scusare massacri e sfruttamento ai danni di popolazioni innocenti. Leggiamo le parole di Sepùlveda, teologo e consulente dell’imperatore e re di Spagna, nel suo «Trattato sopra le giuste cause della guerra contro gli Indi». Confronta ora le doti di prudenza, ingegno, magnanimità, temperanza, umanità, religione di questi uomini [gli spagnoli] con quelle di quegli omuncoli [homunculi], nei quali a stento potrai riscontrare qualche traccia di umanità, e che non solo sono totalmente privi di cultura, ma non conoscono l’uso delle lettere, non conservano alcun documento della loro storia (escluso qualche tenue ed oscuro ricordo di alcuni avvenimenti affidato a certe pitture), non hanno alcuna legge scritta, ma soltanto istituzioni e costumi barbari. E se, a proposito delle loro virtù, vuoi sapere della loro temperanza e mansuetudine, che cosa potresti aspettarti da uomini abbandonati ad ogni genere di intemperanza e nefanda libidine, molti dei quali si nutrivano di carne umana? Non credere che prima della venuta dei cristiani vivessero in ozio, nello stato di pace dell’età di Saturno cantata dai poeti, ché al contrario si facevano guerra quasi in continuazione, con tanta rabbia da non considerarsi vittoriosi se non riuscivano a saziare con le carni dei loro nemici la loro fame portentosa. [I «messicani», cioè gli Aztechi, furo- no facilmente sconfitti e sottomessi da pochi spagnoli, guidati da Cortés]. Non sarebbe stato possibile esibire una prova più decisiva e convincente per dimostrare che alcuni uomini sono superiori ad altri per ingegno, abilità, fortezza d’animo e virtù, e che i secondi sono servi per natura. Il fatto poi che alcuni di loro sembrino avere dell’ingegno, per via di certe opere di costruzione, non è prova di una più umana perizia, dal momento che vediamo certi animaletti, come le api e i ragni, costruire opere che nessuna abilità umana saprebbe imitare. Lo Stato moderno post-feudale e le assemblee rappresentative dei sudditi della nazione (capitolo 4) La nascita e lo sviluppo dei grandi regni europei tra XI e XV secolo può essere descritto come il successo delle monarchie contro i poteri feudali che frazionavano il territorio. Occorre tuttavia sottolineare che i monarchi europei, furono sostenuti nella loro opera dalle forze che stavano trasformando l’Europa occidentale. Essi, anche se in misura e con modalità diverse, dovettero governare confrontandosi e persino ottenendo l’approvazione della nobiltà, del clero e della borghesia, che si esprimeva in apposite assemblee rappresentative. [Il] potere monarchico del Basso Medioevo, in gran parte d’Europa […] non poteva operare senza il consenso di un’assemblea rappresentativa appositamente convocata, in cui sedevano dapprima soltanto i nobili, in quanto vassalli del re, ma dalla fine del Duecento anche i prelati e i rappresentanti delle borghesie cittadine. E’ questo un tratto di estrema importanza, che consente di parlare dell’età tardomedievale come di un’età di dialogo tra il principe e il paese, in contrapposizione all’età successiva, chiamata dell’assolutismo […]. [Le assemblee] prendevano nomi diversi a seconda dei paesi; si chiamavano Parlamenti in Inghilterra, Tre Stati G. Gliozzi, La scoperta dei selvaggi, Milano, Princpato, 1971 Documento 10 La crudeltà dei conquistadores nelle parole di Bartolomé de Las Casas (capitolo 9) Il domenicano Bartolomé de Las Casas (1484-1566) fu testimone oculare delle violenze e dei massacri subiti dagli indigeni d’America – che egli considera uomini a tutti gli effetti – per mano dei conquistadores spagnoli. E le sue denunce furono tanto veritiere e vigorose da costringere Carlo V a emanare leggi protettive per le popolazioni del nuovo continente. Disposizioni che si rivelarono insufficienti e non impedirono il genocidio degli Indios. I cristiani, con i loro cavalli, spade e lance, cominciarono a fare crudeli stragi tra quelli. Entravano nelle terre, e non lasciavano né fanciulli né vecchi né donne gravide né di parto, che non le sventrassero e lacerassero come se assaltassero tanti agnelletti nelle loro mandrie. Di solito uccidevano i signori e la nobiltà in questo modo: facevano alcune graticole di legni sopra forchette e ve li legavano sopra, e sotto vi mettevano fuoco lento, onde a poco a poco, dando strida disperate in quei tormenti, mandavano fuori l’anima […]. Dopo, finite le guerre e con esse le uccisioni, divisero fra di loro tutti gli uomini, compresi i giovanetti, le donne e i fanciulli, dandone a uno trenta, a un altro quaranta, a un altro cento e duecento, secondo che ciascuno era in grazia al tiranno maggiore che chiamavano governatore […]. La cura e il pensiero che ne ebbero fu di mandare gli uomini alle miniere a cavare oro, che è una fatica intol- lerabile. E mettevano le donne nelle stanze, che sono capanne, per cavare e coltivare il terreno, fatica da uomini molto forti e robusti. Non davano da mangiare agli uni né alle altre, se non erbe e cose che non avevano sostanza. Si seccava il latte nel seno alle donne, e così morirono in poco tempo tutte le creature. È impossibile riferire le some che vi ponevano sopra, facendoli camminare cento o duecento leghe. E i medesimi cristiani si facevano portare dagli In B. de Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie, Milano, Mondadori, 1992 in Francia, Diete in Germania […]. Il ruolo delle assemblee rappresentative era in primo luogo quello di acconsentire o meno alle richieste del re in materia fiscale […]. Le assemblee rappresentative […] si riunivano in seguito ad apposite convocazioni; anche se là dove il loro potere era più forte, ad esempio in Inghilterra, le loro sedute assunsero di fatto una regolare periodicità. Benché il loro compito fosse il primo luogo quello di esercitare un controllo sulla fiscalità straordinaria, il peso politico delle assemblee rappresentative era piuttosto considerevole. La finanza degli Stati tre e quattrocenteschi, infatti, era organizzata in modo tale che per intraprendere qualsiasi iniziativa politica, e ancor più militare, il re era costretto a chiedere ai sudditi un finanziamento straordinario; e per ottenerlo era necessario spiegare lungamente alle assemblee le motivazioni della richiesta. Le assemblee erano dunque chiamate a svolgere una funzione consultiva […]; e anzi, di fatto, esercitavano un controllo sulla sua politica, tanto più forte quanto più il re si trovava in difficoltà. In situazioni di grave crisi, ad esempio durante una reggenza o davanti a una grave minaccia militare, le assemblee potevano addirittura esercitare un’attività di supplenza politica […]. A. Barbero, C. Frugoni, Dizionario del Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2002 L’economia nel Trecento: «crisi» o «ristrutturazione»? (capitolo 5) È certo che nel corso del Trecento ampi strati della popolazione europea soffrirono a causa della fame, delle epidemie e delle guerre. Tuttavia, gli storici dell’economia, come Carlo Mario Cipolla, più che di «crisi» preferiscono oggi parlare di «ristrutturazione»: un’evoluzione non certo priva di sofferenze e contrasti, ma che era inevitabile e portò a una nuova stagione di sviluppo. Le falcidie provocate dalla pandemia del 1347-51 e dalle epidemie seguenti mantennero per oltre un secolo la popolazione europea su livelli sensibilmente ridotti rispetto a quelli raggiunti prima del 1347. Per l’Inghilterra è stato provato che con una popolazione ridotta a circa due terzi la produzione di stagno continuò a mantenersi sui livelli precedenti: il che ovviamente significa che la produzione pro capite aumentò di circa il 30%. […]. Attorno al 1300 la produzione totale europea di ferro pare si aggirasse sulle 25.000-30.000 tonnellate. Alla fine del secolo la produzione di ferro era probabilmente aumentata a circa 40.000 tonnellate […]. Il successivo martellamento di gra- vi epidemie non ebbe naturalmente conseguenze solo sul livello medio della produzione pro capite, ma anche sulla redistribuzione del reddito. Tra il 1350 e il 1500 i salari andarono progressivamente aumentando, mentre la rendita e l’interesse dimostrarono una tendenza alla stagnazione o al ribasso. […] Il contrastante andamento nel periodo 1350-1500 dei salari reali da una parte e della rendita e dell’interesse dall’altra concorda con l’idea di un’economia nient’affatto depressa […]. Le classi contadine migliorarono la loro posizione economica e sociale rispetto alla classe dei proprietari terrieri. […] Artigiani e lavoratori cittadini migliorarono la loro posi- zione relativa nei riguardi dei gruppi mercantili-imprenditoriali. Quanto di sa della storia del costume conferma queste affermazioni. […] Il camino, la scodella individuale, la sedia al posto della panca, la dote di qualche consistenza cominciarono ad essere cose più frequenti. Alla fine del Quattrocento il progresso […] non risultava evidente solo nel livello dei consumi, ma anche nel livello e nelle possibilità di investimento. Ancora nel secolo XI diversi «capitalisti» veneziani dovevano metter insieme le loro risorse per poter comprare un’ancora […]. Alla fine del Quattrocento il comprare un’ancora non era più un problema nemmeno per un singolo mercante […]. C.M. Cipolla, Storia economica dell’Europa preindustriale, Bologna, il Mulino, 1974 212 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 213 Interpretazioni Interpretazioni Lo Stato regionale italiano, tra potere centrale e «diritti» dei potentati «locali» (capitolo 6) Medioevo e Rinascimento: mondi estranei o in progressivo sviluppo l’uno verso l’altro? (capitolo 8) Per lungo tempo l’affermazione della Signoria è sembrata agli storici un fatto negativo, un passo indietro rispetto alle antiche libertà comunali. Più di recente si è visto nella concentrazione di ogni potere in mano di un solo uomo una prefigurazione, anche in Italia, del moderno Stato monarchico. Lo storico G. Chittolini evidenzia una delle caratteristiche dello Stato regionale italiano che lo distingueva dalle grandi monarchie europee: si trattava di un potere centrale certamente forte, che però doveva ancora mediare, per garantire unità e compattezza al piccolo principato, con molti poteri locali (città, feudi, comunità rurali). L’interpretazione della creatività e del dinamismo che si registrano come una fase di ripresa dopo un lungo periodo di oscurità ha portato alle categorie di «Rinascimento» e «Medioevo», intese come due epoche contrapposte. Oggi, tuttavia si preferisce parlare di continuità ed evoluzione della civiltà europea. Lo storico F. Chabod fa il punto sul dibattito e propone una sua soluzione: nel Rinascimento giungono a piena espressione modi di vita ed elementi di cultura certamente non del tutto assenti nel Medioevo, ma che in quella fase diventano una visione del mondo organica ed esplicita. È da notare innanzitutto come la formazione dei nuovi Stati […] fosse avvenuta mediante l’acquisizione separata, in tempi e modi diversi, di nuclei territoriali frazionati, spesso acquistati in minuscoli frammenti. Là dove il frazionamento municipale e signorile era stato più intenso, l’affermazione dell’autorità del sovrano […] era avvenuta castello per castello, feudo per feudo, villaggio per villaggio. Ma anche in quelle aree in cui pure il comune cittadino aveva compiuto un grosso sforzo di unificazione territoriale […] la crisi della città stato aveva lasciato alle sue spalle una situazione spesso disgregata che aveva reso più ardua l’opera di ricomposizione. […] Altrettanto eterogenei […] erano i fondamenti di legittimità che i nuovi Stati rivendicavano […]. Si era trattato, talvolta, di un atto formale di sottomissione a un signore da parte di un consiglio cittadino; talvolta della concessione a lui di una balìa [una magistratura straordinaria con poteri eccezionali]; talvolta del nudo diritto di conquista; talora di una sottomissione rivestita di forme feudali. Di fronte ai vecchi feudi il nuovo principe (o la dominante) si ponevano come nuovi suzerains [«sovrani» feudali, cioè signori a capo di una gerarchia feudale] o si facevano essi stessi feudatari per farsi investire legittimamente di diritti su un territorio […]. Spesso diritti di Signoria erano semplicemente donati, o acquistati in denaro sonante […]. Non è, insomma, lo Stato italiano del Rinascimento, quello «Stato moderno» o meno che mai quello «Stato assoluto» che si è talvolta troppo frettolosamente intravvisto. […] Lo Stato regionale si trova viceversa ad essere costituito da un gran numero di ordinamenti particolaristici laboriosamente coordinati. […] Una costruzione elastica […] l’unica però che […] riuscisse ad abbracciare in un unico assetto forme di organizzazione politica così vivaci e diverse. Il quadro tradizionale dell’antitesi Medioevo-Rinascimento è già pienamente tracciato dagli uomini del Quattrocento e del Cinquecento […]. Crollo dell’Impero romano, trionfo del Cristianesimo avverso all’antica civiltà pagana, fine di quest’ultima, tenebre del Medioevo: è il quadro classico […]. [Un quadro che ebbe poi seguito anche nel secolo successivo], basti pensare alla celeberrima opera di Jakob Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, capolavoro [del 1860] da cui il Rinascimento usciva fuori come uno splendido fiore, d’improvviso sbocciato in mezzo al deserto […]. Del tutto opposti al quadro tradizionale del Rinascimento sono i risultati e le affermazioni di parte della critica recente [… che] hanno infatti condotto ad una netta riabilitazione della vita dell’età di mezzo, anche dal punto di vista artistico-letterario. […] Si è visto come la civiltà antica non sia affatto andata smarrita […] e abbia invece lasciato in eredità ai secoli di mezzo norme giuridiche, consuetudini economiche e, anche, tradizioni culturali; si è posto in rilievo come, al di sotto dell’apparente uniformità «religiosa» dei secoli tra il VI e il XIV, sia vissuto un mondo complesso di sentimenti e di idee […]; si sono riscoperti periodi di rifioriture intellettuali ed artistiche pur nei secoli che un tempo erano detti i secoli di ferro, e si è parlato di una rinascenza carolingia, di una rinascenza ottoniana, anche prima, dunque, di giungere alla rinascenza francese del secolo XII. […] Si pone così nettamente il problema: che cosa dobbiamo intendere per Rinascimento? Quello per cui il Rinascimento è tale […] è il modo con cui i propositi e le azioni degli uomini vengono sistemati concettualmente e da puro agire pratico, istintivo, diventano un credo spirituale, un programma […] ideale di vita, norma teorica […]. F. Chabod, Il Rinascimento, in Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, 1967 G. Chittolini, La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello Stato nel Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 1993 «Civilizzare» o «colonizzare»? La pretesa superiorità culturale giustifica la violenza? (capitolo 9) Il dinamico sistema sociale dell’Impero ottomano (capitolo 7) Nel 1453 Costantinopoli cadeva e dopo mille anni l’Impero romano d’Oriente cessava di esistere. Ma chi erano i conquistatori Ottomani, questi stranieri «infedeli» alle porte dell’Europa? Lo storico R. Polacco illustra come l’Impero ottomano fosse ben governato e basato su un sistema sociale al quale gli europei avrebbero potuto, almeno in parte, ispirarsi. La società ottomana possedeva una complessa organizzazione, il cui scopo era quello di mantenere il «cerchio dell’equità», vale a dire un rapporto di equilibrio tra le diverse strutture sociali. Il sultano era la massima autorità civile e religiosa e per esercitare il potere si avvaleva della classe militare, che a sua volta veniva mantenuta dalle ricchezze prodotte dal popolo. La società turca era divisa tra sudditi (reaya) e classe dirigente e tra musulmani e non musulmani, tuttavia le divisioni non erano così nette come in Europa, dove vigevano schemi rigidissimi. Nell’Impero ottomano ogni individuo poteva entrare a pie- no titolo a far parte della classe dirigente senza preclusioni etniche o di classe, poiché contavano soprattutto le capacità individuali, unite naturalmente alla lealtà verso il sultano, all’accettazione della religione islamica e all’adesione a quel sistema di credenze , tradizioni e cultura che formava l’essere ottomano […]. In un’epoca in cui l’Europa progredita lasciava dipendere la vita di un uomo dalla fortuna della nascita, la mobilità sociale che offriva l’Impero ottomano era una forza dirompente e rivoluzionaria di grande portata. Quest’apertura spinse molti occidentali verso il mondo turco e creò un fenomeno fortemente avversato e stigmatizzato dalla cristianità. Il flusso di rinnegati o convertiti […] era composto di uomini appartenenti alle classi sociali più disparate […] animati dal desiderio di abbandonare i limiti angusti della propria esistenza, costretti dal bisogno di evitare qualche condanna, spinti da curiosità intellettuale, recidevano i fili del passato, bruciavano il passaporto della nazionalità e si stabilivano in Oriente. Questi «cristiani di Allah» […] riuscirono spesso a costruirsi nel mondo degli infedeli una vita migliore di quella cui avrebbero potuto aspirare in patria. E non furono rari i casi di carriere eccezionali e fortunate. Gli storici hanno analizzato attentamente cronache del Quattro-Cinquecento, per cercare di comprendere le motivazioni di chi sostenne che gli Indios non erano uomini, o almeno non lo erano pienamente, ma anche quelle di chi li difese. Leggiamo una pagina tratta dalla fondamentale opera di Tzvetan Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro». Todorov riflette a proposito dell’azione «civilizzatrice» – oggi invece detta «colonizzatrice» – degli spagnoli nei confronti degli indigeni. Taluno potrà stupirsi di veder stigmatizzate col nome di «colonialismo», che ai nostri giorni è un insulto, tutte le forme assunte dalla presenza della Spagna in America. Fin dall’epoca della conquista, gli autori appartenenti al partito filospagnolo non hanno mancato di insistere sui benefici apportati dagli spagnoli in quelle selvagge contrade. […] È innegabile che vi furono alcuni apporti positivi: progressi tecnici, ma anche […] simbolici e culturali. Si tratta pur sempre di colonialismo? In altri termini, ogni influenza è sempre nefasta, per il solo fatto di provenire dall’esterno? Posta in questa forma, la questione non può ricevere, mi sembra, che una risposta negativa. […] Ma esiste anche un altro principio, quello di autodeterminazione e di non ingerenza. Come conciliarlo con l’altro? Non è contraddittorio rivendicare il diritto all’influenza e condannare l’ingerenza? No, anche se la cosa è tutt’altro che scontata e richiede delle precisazioni. Non si tratta di giudicare il contenuto, positivo o negativo, di questa o di quella influenza: si potrebbe farlo solo con criteri del tutto relativi, e si rischierebbe, in ogni caso, di non essere mai d’accordo, tanto complesse sono le cose. […] È possibile in compenso stabilire un criterio etico in base al quale esprimere un giudizio sulla forma delle influenze: l’essenziale, direi, consiste nel sapere se esse sono imposte o proposte. La cristianizzazione, come l’esportazione di qualsiasi ideologia o tecnica, è condannabile non appena è imposta […]. Imporre agli altri la propria volontà sottintende che ad essi non viene riconosciuta la nostra stessa umanità (e proprio ciò rappresenta un indice di inferiorità culturale). Nessuno ha chiesto agli indiani se desideravano la ruota, i telai, le fucine; sono stati costretti ad accettarli. In ciò risiede la violenza, che non dipende dall’eventuale utilità di quegli oggetti. T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», Torino, Einaudi, 1984 R. Polacco, Bisanzio Costantinopoli Istanbul. Storia e arte di una città imperiale, Venezia, Corbo e Fiore, 1994 214 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 215 Unità 2 • Dalla fine del Medioevo al Rinascimento Verso la Prima prova: saggio breve Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale 1 Leggi attentamente il seguente documento relativo al periodo delle esplorazioni e delle scoperte geografiche e scrivi 4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sulla nascita delle monarchie un titolo appropriato. Poi sottolinea in verde le parole o le frasi che permettono di individuare la collocazione spaziale degli avvenimenti e in blu quelle utili a individuarne la collocazione temporale. Hanno cominciato già molti anni or sono i Re del Portogallo a costeggiare per cupidigia di guadagni l’Africa, e portatisi a poco a poco fino alle isole di Capo Verde, preso pian piano maggior coraggio, andarono navigando, con un lungo giro, fino al Capo di Buona Speranza, e da lì, volgendosi ad oriente, hanno navigato per l’Oceano fino al Golfo Arabico e al Golfo Persico. In quei luoghi i mercanti d’Alessandria solevano comperare le spezierie, per lo più provenienti dall’India; poi per terra, in mezzo a difficoltà e spese di ogni genere, le portavano ad Alessandria e quindi le vendevano ai mercanti veneziani, i quali a loro volta, portatele a Venezia, ne fornivano tutta la cristianità, traendone grandissimi guadagni. Essi, infatti, essendo i soli ad avere in mano le spezierie, stabilivano i prezzi a loro arbitrio, e sulle medesime navi con le quali le avevano portate da Alessandria, caricavano molte altre mercanzie, per poi sbarcarle a Venezia. Questo giro d’affari accresceva molto le entrate della Repubblica grazie alle varie gabelle. Ora però i Portoghesi si sono impadroniti di quel commercio che prima era proprio dei mercanti di Alessandria, e portano le spezierie nei luoghi dove le portavano prima i Veneziani; navigazione certamente ammirevole, per sedicimila miglia per mari del tutto sconosciuti e sotto altri cieli. Nonostante questa difficoltà, col tempo tale navigazione è diventata per loro così famigliare che, se prima vi impiegavano dieci mesi ora ve ne impiegano sei. Più ammirevole ancora è stata la navigazione degli Spagnoli, cominciata dal genovese Cristoforo Colombo […] Egli, impetrate dal Re di Spagna certe navi, dopo aver navigato per trentatré giorni verso occidente, scoprì alcune isole delle quali non si aveva alcuna notizia. Isole felici sia per la posizione sia per la fertilità, e perché - all’infuori di certe popolazioni che si cibano di carne umana - quasi tutti gli abitanti sono di costumi semplicissimi, contenti di quello che produce la natura, non tormentati né da avarizia né da ambizione, e però infelici perché non hanno una religione, né cultura, né abilità tecniche, né arte militare. Sono quasi come animali mansueti, facilissima preda di chiunque li assale. Onde gli Spagnoli, allettati dalla facilità di occupare quelle terre e dalla ricchezza della preda, poiché in esse sono state trovate abbondanti vene d’oro, hanno cominciato ad abitarle. Sono poi penetrati più a fondo Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e molti altri, scoprendo altre isole e grandissimi paesi di terra ferma. In alcuni di essi c’erano costumi civili, ma tutte genti imbelli e facili ad essere predate, per cui gli Spagnoli, estraendo oro e argento dalle cave, o comperandolo dagli abitanti a prezzo vilissimo, o rubandoglielo, ne hanno portato in patria una quantità infinita. Anzi, l’ardire degli Spagnoli s’è spinto fino al polo antartico e poi, attraverso uno stretto, fino al grande mare che li ha portati in Oriente, così che hanno circuito tutta la Terra. Degni dunque di lode sono […] gli Spagnoli perché dalla loro navigazione è venuta a noi notizia di cose tanto grandi e ignorate. nazionali (capitolo 4), che potrai poi esporre oralmente. In Inghilterra Guglielmo il Conquistatore re d’Inghilterra à Dominio dei nobili normanni à Organizzazione del territorio in contee à Controllo dei funzionari regi In Francia Conquista di Filippo II Augusto dei territori nelle mani dei feudatari à Amministrazione centralizzata del fisco à Incremento dei funzionari regi à Diffusione dei tribunali regi à Costituzione di un esercito permanente à Vittoria della Guerra dei Cent’Anni Magna Charta Libertatum à Affermazione del Parlamento à Monarchia parlamentare Sconfitta della Guerra dei Cent’Anni à Guerra delle Due Rose à Affermazione della dinastia dei Tudor à Nuova coesione all’interno del paese In Spagna Successo della Reconquista à Suddivisione del territorio in quattro regni: Navarra, Portogallo, Castiglia e León, Aragona à Rafforzamento del potere regio a scapito della nobiltà feudale Matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona à Unificazione dei due regni à Nascita del regno di Spagna à Eliminazione dell’opposizione interna Espugnazione del regno di Granada à Diffusione della dottrina cristiana à Cacciata dei discendenti degli Arabi à Espulsione degli ebrei F. Guicciardini, Storia d’Italia, Firenze, Sansoni, 1982 Verso la Terza prova: quesiti a risposta singola nelle mani del sovrano 2 Rispondi in tre/cinque righe ai seguenti quesiti. 1Che cos’era e perché venne concessa la Magna Charta Libertatum? Quali importanti principi conteneva? 2Per quali ragioni scoppiò la Guerra dei Cent’Anni tra Francia e Inghilterra? 3Spiega brevemente che cosa accadde in ciascuna delle quattro fasi in cui si può dividere la Guerra dei Cent’Anni. • Centralizzazione del potere • Sovranità su un territorio ampio 4Spiega quali furono le cause della diminuzione della produzione agricola che contribuì a provocare la cosiddetta «crisi del Trecento». 5Quali erano gli Stati regionali nell’Italia del Quattrocento e da chi erano governati? e unificato • Condivisione della lingua, della cultura e della storia • Senso di appartenenza a una nazione Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta 3 Costruisci uno schema sul declino del potere imperiale e di quello papale (capitolo 5), usando anche i seguenti concetti. Nascita delle monarchie nazionali in Francia, Inghilterra e Spagna Federico II di Svevia • Bolla d’Oro • Vespri siciliani • Bonifacio VIII Clemente V • cattività avignonese • Grande scisma d’Occidente • sette 216 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 217